Ancora su Macerata. Un intervento di Alessandro Visalli
Il pezzo di Roberto Buffagni è molto bello e terribile. Non siamo davvero più abituati a traguardare nei fatti il radicale altro che vi può essere incluso. L’obiettivo mi sembra un troppo facile multiculturalismo, l’idea di una sussunzione senza resti nella tecnica, ovvero nello spirito della tecnica moderna, nella creazione di valore proprio del capitalismo (nella riduzione di tutto a misura, a metrica), dell’uomo intero. Ma l’uomo ha ottenuto questo risultato, questa potente capacità di farsi macchina di valore, schermandosi e disincantando il mondo stesso. Ci sono voluti secoli e non è neppure mai davvero riuscito del tutto. Questo processo, che si raggruma in modo particolarmente chiaro nello scientismo (ed in quella sua sublimazione che è l’economia contemporanea), postula la separazione tra mente e corpo con il confinamento di tutto il senso, di tutto il significato ed il pensiero nell’intramentale (il termine è di Charles Taylor, L’Età secolare, pp.174). Quando si ottiene questo effetto, al quale nessuno di noi è esente e che ci ha determinati, la realtà diviene meccanismo. Ed il meccanismo prevede uno ‘sviluppo’. Ma non tutti gli uomini sono formati in questo modo, ed alcuni hanno radicamenti diversi. Hanno una vita religiosa intrecciata con la vita sociale, non separabile, e non separabile da un cosmo. L’uomo è radicato in una società ed in un cosmo, dunque nei riti che lo costituiscono. Qui ci mancano le parole, perché ci manca l’esperienza. Taylor parla di “mondo incantato”, in cui gli spiriti e le forze hanno a che fare con il mondo in un modo che ci è alieno (o che non vediamo nei termini in cui ancora lo facciamo, ad esempio nel feticismo della merce e del denaro). Cosa sta succedendo quando tutto viene in contatto? Quando si sradica violentemente e si propone di reinserire come oggetti, come macchine produttive costrette alle metriche del desiderio e del valore nostre proprie, biografie e personalità diversamente formate? Che si arriverà all’imperiale dominio della forma unica della modernità, al tempo unico e lineare ed allo spazio isotropo che ci ha regalato, con immenso sforzo intellettuale e mostruoso coraggio (non privo di una sua perversione) Newton? Al dominio totale e uniforme, senza resti, del capitale, della forma denaro, del lavoro astratto e preordinato allo scambio che ne è presupposto ed esito insieme? O, come teme Roberto, qualche resto ci sarà, rigurgiterà dagli altrove, e ci minaccerà?
Negli indimenticabili saggi di Koyrè sulla rivoluzione scientifica si trova il senso di quel che succede: “spiegare ciò che è partendo da ciò che non è, da ciò che non è mai. E anche partendo da ciò che non può mai essere. . . . spiegazione, o meglio ricostruzione del reale empirico partendo da un reale ideale. [la geometria e la matematica] . . . necessità di una conversione totale, di una sostituzione totale, di una sostituzione radicale di un mondo matematico, platonico, alla realtà empirica – poiché solo in questo modo valgono e si realizzano le leggi ideali della fisica classica-” Alexander Koyrè, Studi galileiani, pag. 210. Lo scopo delle ricerche empiriche di Galileo diventa, quindi, scoprire le leggi matematiche del moto, cioè dimostrare come il moto della caduta segue “la legge del numero”. Legge, bisogna notare, “astratta” nel senso che non ha validità in senso stretto per i corpi reali; ma, all’opposto, poggia su di una realtà ideale interamente costruita dall’uomo. Galileo arriverà a rifiutare una teoria come quella di Gilbert (che poteva portare la sua fisica fuori delle secche nelle quali era incappata), capace di spiegare la gravità attraverso il paragone con la calamita, perché non era matematizzabile; era, cioè, una spiegazione basata su di una forza animata: “Vis magnetica animata est, aut animatam imitatur, quae humanam animam dum organico corpori alligatur, in multis superat”[3]. Da questo illuminante rifiuto possiamo comprendere la natura della piega epistemica che si viene a creare rispetto al pensiero precedente. Da ora ciò che non si riesce a matematizzare (o geometrizzare) non esiste, non è utilizzabile e non costituisce fenomeno osservabile. Ovviamente, la caratteristica di sistemi di conoscenza “dall’alto” (come proponeva di dire Gargani), come questi, è che a tutti i possibili problemi sono già state fornite le risposte; nel senso che esiste solo un insieme di risposte “legali”, quelle che si conformano alle regole date. In altre parole, come ha sottolineato anche Foucault con una controversa affermazione, in queste teorie filosofiche o scientifiche si possono riscontrare non tanto procedure cognitive ma strutture d’ordine, statuti di disciplinamento nei quali vengono distribuiti gli oggetti, i termini di riferimento di una cultura. Tali teorie, proprio per questo, non accettano e non legittimano problemi che non siano già previamente risolti nelle assunzioni di partenza del sistema. Sono perciò concepibili come vere e proprie strategie di orientamento della vita umana, tecniche per dirigere i processi della vita intellettuale entro percorsi già assegnati e definiti; in quanto tali restano funzionali a procedure di regolamentazione e disposizione in qualche modo dall’alto. Per concludere: il punto di vista della matematica classica e della geometria euclidea è fondato su questo lungo processo di astrazione e selezione dei “fatti”, oggetto legale di conoscenza. In questo processo intervengono argomentazioni di tipo metafisico in notevole quantità ed è inoltre pervaso, in ogni sua parte, di spirito di autorità. Ciò può essere mostrato e compreso anche se si guarda al quadro socio – politico che fa da sfondo agli eventi dei quali abbiamo parlato: si ha, in questo periodo, infatti un grandioso processo di concentrazione del potere negli stati assoluti e la ripresa di un’economia di scambio che esigeva nuovi strumenti di controllo e legittimazione. In altre parole si crea insieme lo Stato nazionale e il capitalismo.
In risposta a queste sollecitazioni l’epistemologia newtoniana unifica l’universo, costruendo un quadro coerente in cui ogni cosa può essere inserita e trovarvi il suo posto, ma realizza tale miracolo ad un alto prezzo: lo realizza, cioè, come sostiene Koyrè “sostituendo al nostro mondo delle qualità e delle percezioni sensibili; il mondo che è teatro della nostra vita, delle nostre passioni e della nostra morte, un altro mondo, il mondo della quantità, della geometria reificata, nel quale, sebbene vi sia posto per ogni cosa, non vi è posto per l’uomo”.
Ogni campo del sapere umano converge, da ora, sul principio fondante della ragione umana e sul suo strumento principe, quello controllabile e scientifico della matematica e della geometria. Intorno alla fisica vincente, quella di Newton, e al suo “Spazio Assoluto” si formerà, così, anche un sapere geografico perfettamente formalizzato e “neutro”; capace di giustificarsi a posteriori attraverso la sua potente capacità performativa.
La rivoluzione compiuta in questo secolo consiste, in effetti, nella possibilità (che aveva visto già Galilei) di studiare le “leggi” di un fenomeno anche senza darne una spiegazione. È sufficiente assumere che le forze che vai a studiare agiscano secondo leggi matematiche per poi cercare queste leggi ed applicarle alle forze reali.
Newton compirà, infatti, proprio questa operazione per un principio cardine della nuova fisica, la gravità. Secondo le sue stesse parole: “In generale assumo qui la parola attrazione per significare una qualsiasi tendenza dei corpi ad accostarsi l’uno all’altro; ….. in quanto in questo trattato esamino, come ho spiegato nelle definizioni, non le specie delle forze e le qualità fisiche, ma le quantità e le proporzioni matematiche. In matematica vanno investigati quelle quantità e quei rapporti delle forze che discendono dalle qualsiasi condizioni poste”[Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, 1729 (traduzione inglese), (traduzione italiana, Principi matematici della filosofia naturale, Utet 1965), pag. 339]. La “filosofia naturale” di Newton, in altre parole, non esclude affatto enti inspiegati, e nemmeno inspiegabili come il suo “Spazio Assoluto”, ma rinuncia solo alla discussione sulla loro natura. “Le tratta – essendo una filosofia naturale matematica – come cause matematiche o forze, cioè come concetti o relazioni matematiche”[Alexandre Koyrè, Dal mondo chiuso all’universo infinito, pag. 163]. Si può, infatti, leggere nei Principi. . . “dò qui uno stesso significato alle attrazioni e alle impulsioni acceleratrici e motrici. E adopero indifferentemente i termini attrazione, impulso o tendenza qualsiasi verso un centro, poiché considero tali forze non fisicamente ma matematicamente”[Newton, p.39].
Ciò comporta, come ha giustamente rilevato Koyrè, l’espulsione dalla legalità scientifica di tutti i ragionamenti e delle esperienze basate su concetti come: perfezione, armonia, significato, fine. Da Newton in poi questi concetti sono semplicemente soggettivi e non trovano posto nella nuova ontologia. “In altre parole, le cause finali o formali, come criteri di spiegazione spariscono – o vengono respinte – dalla nuova scienza mentre subentrano al loro posto le cause efficienti e materiali”[Alexandre Koyrè, Studi Newtoniani, pag. 8]. Abbiamo, quindi, la sostituzione di un mondo di qualità con uno di quantità e di uno del divenire con uno dell’essere “non c’è mutamento o divenire nei numeri e nelle figure”.
Tutto questo, come mostra anche Taylor ricostruendo con altri strumenti ed altre fonti il lungo percorso della secolarizzazione, è una lunga scala, la nostra scala. Non è naturale, non è ovvio, non è necessario. E’ il nostro mondo, non quello di tutti.