PRESIDENTIAL SPEECH – RIFLESSIONI SUL PIANETA RUSSIA (2022) /Cap.1_di Daniele Lanza

PRESIDENTIAL SPEECH – RRIFLESSIONI SUL PIANETA RUSSIA (2022) /Cap.1 (DA LEGGERE….con un po di pazienza)
INTRODUZIONE
Per comodità, qui sotto il link con l’intervento di Putin tradotto
Un capo di stato incolla su per giù un centinaio di milioni di ascoltatori – una massa in patria, come una spessa coltre di curiosi ed analisti spalmati sui 5 continenti – per questo lasso di tempo.
Vuoi chi è in grado di seguirlo in lingua originale, vuoi chi deve fare affidamento al simultaneista in quella mezza dozzina di lingue planetarie….chi ne segue un brandello per poi stufarsi, chi la metà e chi dall’inizio alla fine senza interruzioni (..) : sia quel che sia, si tratta di qualcosa con rari precedenti nella storia delle comunicazioni dirette tra governanti e governati, dove in genere i messaggi di Capodanno non superano i 10 minuti e quelli per le situazioni di calamità non ne raggiungono nemmeno la metà (mi si citi un caso analogo perché al momento non riesce a venirmi alla mente).
L’evento ha una magniloquenza obbligata……non può essere altrimenti, considerate le implicazioni geopolitiche su scala sconosciuta alle società europee sin dal secolo appena passato : per minuscolo che sia il territorio effettivo delle repubbliche in guerra, rappresenta potenzialmente l’innesco di un effetto domino (ve n’è una mezza dozzina di varianti diverse e non mi sogno di poterli prevedere e descrivere) che – per analogia – riporterebbe il vecchio continente a date e manciate di anni seppellite nei libri di storia da una generazione. Semplicemente non si capisce quanto si possano tirare indietro le lancette : al 1989 ? O invece al 1939 ? O forse addirittura al 1914 ?! (tra le varianti).
Anche l’osservatore non preparato (ma attento), si rende conto che quei 60 minuti sono assai più che un discorso, sono molte cose intrecciate assieme.
Ragionando sul breve termine si può postulare che sia il sermone in una grande chiesa per preparare il popolo ad eventi bellici (o di peso equivalente a quello bellico) imminenti, se non direttamente pianificati perlomeno ragionevolmente previsti. Qualcun altro, un analista ambizioso del lungo termine o altri di impostazione più filosofica, potrebbe affermare che si tratta del “calcio di inizio”, o – per esprimersi con maggiore profondità – della sorgente di un nuovo flusso della realtà geopolitica per il secolo attualmente in corso : direzione e intensità e durata di questo flusso sono oggettivamente indefinibili al momento (in particolare all’esercito di analisti, professionali o amatoriali, che pretenderanno continuamente di conoscerne con precisione la prossima svolta). Un evento che idealmente e materialmente vorrebbe riportare la temperatura alla soglia critica raggiunta la quale le pareti della realtà iniziano a cambiare forma, sciogliersi per tornare ad un magma indecifrabile che ne genera di nuove. Il senso senso globale dell’ora di discorso al cospetto della nazione è questo, signori : un messaggio che va molto al di là della massa di informazioni specifiche sulla questione ucraina disseminate lungo la strada, di minuto in minuto….fondamentali per i tanti la cui forma mentis mira al concreto, ma che per il sottoscritto passano addirittura in secondo luogo.
A scanso di fronzoli e riflessioni suggestive, sento di dover dire a chi legge ed ascolta che dovrebbe comprendere almeno un fatto tra tutti (è sufficiente) : quell’ora di parole di fronte a uno schermo è un testamento. Si tratta del TESTAMENTO di uno statista (con tutto il bene o il male che si possa pensare del personaggio in questione), un manifesto che idealmente dovrebbe dettare la filosofia d’azione di uno stato più di quanto farebbe una costituzione stessa. Ha il medesimo valore che aveva la dottrina di Monroe (1823) a suo tempo : l’Ucraina stessa non è che un casus belli, una pedina di un meccanismo assai più vasto e instabile…..quello dell’arena delle superpotenze (“the great game”) nel quale si vorrebbe, idealmente, che la madre Russia facesse ritorno in qualche modo.
Questa è l’idea di fondo che travalica l’aspetto materiale della situazione. Idea che viene espressa, formulata, malgrado la complessità, in modo relativamente semplice, diretto……a disappunto di molti che l’han seguita con attenzione. Il caso ucraino in fondo non è che una frazione, concettualmente parlando, del lungo discorso presidenziale : la patata bollente del momento presente, la periferia minacciata, il caso del giorno insomma, ma da anch’esso da inquadrarsi e incastrarsi in un’omerica narrazione patriottica che parte da tanto lontano da renderne le premesse intricate (per l’utenza meno preparata).
Come spesso capita si parla di un determinato fatto per riferirsi in realtà ad un altro : si sfrutta un episodio occasionale per innescare una riflessione molto più generale. A mente fredda il messaggio di Putin riguarda solo marginalmente l’Ucraina e le sue repubbliche ora riconosciute: il vero e assoluto protagonista è la Russia stessa nel senso più ampio trasfigurato del termine storico (…), il suo presente, passato e futuro.
Questa affrontiamo allora, andando a quella premessa (prima ventina di minuti) di cui si parla.
(CONTINUA)
NB_tratto da facebook

redde rationem, di Daniele Lanza

Nota (ce ne sono sempre).
La vera sconfitta in tutto il macello che si profila in Ucraina, non è il paese in questione, invaso o meno che sia.
La VERA sconfitta è l’Europa che si ritrova impotente come dal 1945 ad oggi, pur con una guerra imminente sul proprio suolo : chi ha armi e determinazione – Cremlino e Washington – le usa……chi non le ha (complici 70 anni di benessere irreale, costituzioni pacifiste etc.) sta invece a guardare e a subirne le conseguenze. I paesi europei, piccoli attori riuniti nella grande casa UE (e in questi frangenti di crisi si vede quanto peso reale ha l’UE) sono gli spettatori vocianti e ridicoli.
Mosca cerca di riprendersi ciò che è “suo” da circa 4 secoli e mezzo (la sfera ucro-russofona inglobata nello zarato sin dal 1667), mentre il Pentagono coglie l’occasione (la desidera) per poter instaurare ed rinverdire la faglia di divisione tra bene e male perduta dopo il 1991 (il collasso dell’URSS aveva rovinato la Russia nel breve termine….ma come effetto collaterale aveva anche privato di ogni significato la Nato che negli ultimi 20 anni ha faticato a trovare motivi per continuare ad esistere di fronte agli interrogativi dell’opinione pubblica europea : l’unico motivo che potesse reggere era una difesa……ma difesa da COSA ?! E’ stata utile quindi una risurrezione della Russi potenza che più danni fa più giustifica la presenza della basi statunitensi/Nato in Europa (e magari a carico degli stessi europei).
Il Cremlino e lo stato maggiore russo con poche parole e grande professionalità preparano la mossa……la CNN americana dall’altro lato dell’oceano strepita con megafoni planetari : nel mezzo……i leader europei (l’asse franco-tedesco di Macron e Scholz in testa) che si agitano come marionette e contano come tali.
I veri sconfitti sono loro (cioè noi europei).
Signori (in particolare coloro che non sono d’accordo con me spesso) : suppongo che l’immagine da me scelta in basso – forze kaiseriane coloniali in africa orientale – risultino ostiche perchè evocano violenza e sopraffazione (sì è proprio così) e non è ciò che si vuole idealmente. D’altro canto mi piacerebbe che capiste come l’Europa della PACE della tolleranza e del benessere sopravvissuta per 70 anni è stata sempre un’illusione pia….guscio dorato entro il quale 3 generazioni di europei sono nati e cresciuti beatamente. Il mondo reale è un altro……..è quello dove se non possiedi il “ferro” non hai alcun peso (e tutto il tuo benessere può evaporare in una frazione di secondo). Che piaccia o meno è così : ognuno può continuare a cullarvisi se vuole, nel proprio paradiso interiore, non glielo impedisco).
Buona serata a tutti.
Gregorio Baggiani

La fine della “interiorita protetta”,della “machtgeschützte Innerlichkeit” come ptesagiva il buon Thomas Mann qualche anno fa letteratura piu o meno profetica a parte a parte, la guerra provochera sconquassi ed in definitivo shift of power, nel senso che cambiera definitivamente le relazioni politiche e militari e quindi gli equilibri internazionali..
Ennio Abate

Tutti realpolitik eh!
Ma quest’affermazione: “I veri sconfitti sono loro (cioè noi europei).” mi pare falsa o parziale: nel senso che la sconfitta delle classi dirigenti europee è altra cosa dalla sconfitta dei lavoratori o dei “popoli”.
Brecht: Anders als die Kämpfe der Höhe sind die Kämpfe der Tiefe!
(Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo![1]).
[1] Dal frammento La bottega del fornaio
Daniele Lanza

Ennio Abate non sempre gli interessi della classe dirigente coincidono con la popolazione in generale…..ma in certi casi è l’intera società sconfitta ad un qualche livello. L’Europa geopoliticamente lo è dal 1945 ad oggi (dirigenti o lavoratori non c’entra).
Daniele Lanza Nell’Europa sconfitta geopoliticamente «dal 1945 ad oggi» gli sconfitti «dirigenti» se la sono passata più allegramente degli sconfitti «lavoratori». E’ questo che mi preme ricordare. Ed è a questo che la geopolitica non pensa. A me continua a parere un limite.
All’interno degli “europei” io faccio ancora delle distinzioni di classe, che mi paiono evidenti sul piano dei redditi, del possesso di saperi e del tipo di vita sociale che i singoli conducono. Certo, queste distinzioni (o contraddizioni?) oggi sono “inerti” politicamente, nel senso che non condizionano in modi palesi le scelte delle classi dirigenti. Ma ci sono. La geopolitica le trascura o le minimizza. La mia speranza è che tornino “attive”. Tenerle presenti (perciò ho citato l’archeologico Brecht) permette di capire che, in caso di guerra, il peggio che toccherà alla classe dirigente (e non ad una astratta «intera società») è altra cosa dal peggio che toccherà proprio ai lavoratori o al “popolo”.
Giuseppe Germinario

Ennio Abate Il problema da affrontare è infatti come all’interno delle dinamiche geopolitiche e dei rapporti di potenza sia possibile costruire una formazione sociale dinamica, coesa nella quale si riconformino distinzioni di funzione che altrimenti creano degrado, sfruttamento e sperequazioni avvilenti

SI TORNI AL BENE E AL MALE, a cura di Daniele Lanza

……Washington teme il nord stream 2, in primo luogo (tutto il resto è secondario) : la questione della dipendenza energetica europea dal continente russo è una spina nel fianco da oramai molti anni ed è il maggiore ostacolo al piano maggiore di integrazione economica tra USA e UE (che nella prospettiva nordamericana è essenziale in questo secolo che la vede contrapposta/dipendente alla Cina).
I piani per contrastare il gas russo si sono arenati negli ultimi anni (vedi il caso shale gas) e anzi la dipendenza prospetta di incrementare a dismisura tra nord stream 1 e 2 (e eventualmente altre pipeline successive tipo riedizione del southern stream, etc.). Washington per quanto influente non ha il potere oggettivo per opporsi direttamente – senza fondate ragioni – a quello che è un interesse (vitale) europeo : l’UNICA strada per fermare il trend è creare un vasto fronte pan-europeo saldissimamente schierato contro il Cremlino (non come è stato negli ultimi 20 anni, ma ad un livello superiore : un ritorno allo standard della guerra fredda storica che conosciamo). Mosca come potenza militare violenta, fuorilegge ed aggressiva con la quale NON sia possibile (per i canoni dell’etica internazionale) intrecciare rapporti troppo stretti…..in modo che governi ed opinioni pubbliche del vecchio continente accettino con margine minimo di opposizione anche opzioni non razionali e meno convenienti (shale gas, per esempio) pur di non trattare con Mosca.
Il Cremlino deve essere escluso, allontanato, trasformato in un mega-stato canaglia….ma per questo occorre un atto violento da parte sua : occorre, è assolutamente NECESSARIO che invada uno stato vicino (l’Ucraina).
La politica estera USA ha bisogno assolutamente che Mosca commetta tale violazione per poterla neutralizzare nei rapporti diplomatici con l’occidente. La Russia DEVE invadere l’Ucraina, affinchè si ristabilisca inequivocabilmente quella linea di demarcazione netta che c’era un tempo : è questo che Washington vuole, di cui ha disperato bisogno…..che si torni al 1989.
La sorte di Kiev è secondaria : si tratta di un avamposto estremamente utile, ma tuttavia assolutamente secondario – negli equilibri globali – rispetto alla preziosa Unione europea (il vero tesoro per cui ci si batte) e la sua temuta dipendenza energetica che ne attenua l’orientamento antirusso. L’Ucraina è SACRIFICABILE in quest’ottica : la si perde, ma in fondo si perde un territorio che non era mai stato veramente Europa, solo una grossa pedina russa (e russofona) guadagnata temporaneamente ai tempi di Eltsin che le leggi della geopolitica e della storia avrebbero comunque prima o poi fatto tornare all’ovile ed in cambio……si rinconquista quell’Europa occidentale che è il fulcro del vecchio continente : si riallaccia con i 500 milioni di abitanti dell’eurozona che per necessita di difesa diventano tutt’uno, anima e corpo con la politica della Casa bianca (legame che dalla fine della guerra fredda è andato attenuandosi oltre il livello di guardia).
In essenza : si ristabilisce il ruolo guida/protettore a stelle e strisce, si inquadra una “insubordinata” Europa (riuscendo magari anche nell’impresa di farle aumentare le spese militari) demarcandola per la prossima generazione dalla Russia……….un risultato formidabile. E tutto questo semplicemente sacrificando Kiev (stato povero e apatico della periferia non-moderna del continente, con quasi 50 milioni di abitanti dei cui bisogni ci si dovrebbe sobbarcare (!) : meglio “lasciarlo andare” ottenendo il risultato, molto più utile, di far passare Mosca per “orso assassino”).
E’ questo che realmente si vuole : una cosa che non vorrebbe il Cremlino e che lascerebbe sbalordita la rada ucraina la quale non realizza di essere il fante di scacchi in un gioco assai più grande. Si pensa sia il pomo della discordia quando in realtà non lo è.
Agli USA non interessa l’Ucraina anche se giocano il ruolo del suo difensore……..è nel loro interesse di lungo termine che essa venga invasa invece !
L’Ucraina più che pedina sacrificabile, è “preferibilmente sacrificabile” o addirittura “obbligatoriamente sacrificabile” (tra l’altro unico boccone che si può dare in pasto senza problemi legali dato che non fa parte della Nato).
Tutto, purchè si torni al BENE e al MALE….inequivocabilmente demarcati (rispetto all’imbarazzante e controproducente caos/libertà diplomatico attuale). Era meglio il 1945-1990, questo ci stanno dicendo le azioni della Casa bianca.
Il nord stream2 (la sua neutralizzazione) vale molto più di Kiev (purtroppo Kiev questo non l’ha inteso).
Conclusione : vista la campagna allarmistica ormai oltre qualsiasi limite di responsabilità ed etica internazionale (annunciare a sirene spiegate su tutti i media planetari di un’invasione in forze prima che essa sia avvenuta – con tanto di data – invitare residenti di nazionalità e consolati a lasciare il paese) il Cremlino – che a questo punto subisce un danno d’immagine quasi che se l’invasione l’avesse fatta davvero, potrebbe anche farlo il “passo” : considerando una UE degli anni a venire fortemente allineata a Washington a prescindere da tutto, per via della campagna diffamatoria….allora tanto vale meritarselo l’inferno (…).

 

FONDAMENTI LINGUISTICI DELL’ASIA MEDIANA*_di Daniele Lanza

FONDAMENTI LINGUISTICI DELL’ASIA MEDIANA*
(dal nucleo persiano/afgano all’India)
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*Molti hanno trovato interessante la mia serie di capitoli sui rudimenti (non altro) della storia afgana : suppongo possa essere interessante anche una ancora più modesta appendice che aggiungo ora.*
Tutto parte da una considerazione semplice : spesso e volentieri ci si immerge in un tema sviluppando i suoi più suggestivi gangli………fino a sorvolare inconsapevolmente i fattori più elementari della materia. Sottolineo pertanto qui un fatto che forse non è stato realizzato dal lettore nei giorni scorsi.
L’Afganistan (quello contemporaneo che ritroviamo si notiziari) in che idioma si esprime ? Risposta essenziale : il paese legale vede due lingue ufficiali, affiancate, ovvero (1)
PASHTO – (2) PERSIANO.
La prima delle due è la lingua autoctona dell’Afganistan, quella naturalmente delle tribù pashtun che sono il nucleo della sua storia indipendente : il fatto è che rappresenta non oltre il 55-60% dell’intera popolazione. Il restante 40-45% parla correntemente il persiano invece (per la precisione una sua variante più orientale, denominata “DARI” per distinguerla da quella più occidentale della repubblica islamica dell’Iran). A conti fatti quindi, quasi metà della popolazione afgana parla in realtà la medesima lingua dei propri vicini irano/persiani : se poi consideriamo che – pur senza averne un comando – la quota di afgani in grado perlomeno di comprendere ad orecchio la parlata persiana si avvicina all’80%, questo ci porta alla conclusione che abbiamo a che fare con due entità nazionali (Iran e Afganistan) che si collocano su un piano di mutua intellegibilità culturale. La cosa non stupisce alcuno dei lettori che fin qui hanno avuto pazienza di seguirmi : se partiamo dalla consapevolezza storica di base che l’emirato afgano è paragonabile ad una cellula scissa dal grande corpo dell’impero persiano che ha preso vita propria, allora i conti tornano in pieno. L’Afganistan è anche – linguisticamente parlando – un’espansione verso oriente (verso il continente indiano) della parlata PERSIANA nei secoli passati.
Qualche precisazione in più : avete tutti presente l’alfabeto arabico standard ? (si parte di lì) Abbiamo a che fare con le fatidiche 28 LETTERE tramite le quali si articolano le comunicazioni scritte di centinaia di milioni di individui, sin dai tempi del PROFETA Maometto, con tutte le loro evoluzioni (…). Orbene, quando nel XII secolo gli eserciti dei califfati arabi in avanzata travolgono le oramai decadenti vestigia della Persia tardoantica (dinastia sasanide, contemporanea di Bisanzio), pur riuscendo ad imporre l’ISLAM come dimensione religiosa dominante, NON riescono tuttavia a piegare la cultura persiana né a diffondere la propria lingua (cosa impossibile visto lo spessore culturale millenario della Persia, a differenza della più depopolata e confusa Africa nord-sahariana che, comparativamente, sarà invece del tutto arabizzata). Questo – dicotomia arabo/persiana – è di dominio COMUNE per chiunque sappia anche solo qualcosa del vicino oriente (…)
Una vittoria tuttavia la lingua araba la riporta : dona il proprio sistema di caratteri alla cultura locale che finisce col servirsene per ragioni pratiche. Il processo di “conversione alfabetica” in questione è qualcosa di magmatico senza confini cronologici precisi……teniamo semplicemente conto che è qualcosa che dura svariati secoli (3 circa : la zona “buia” della storia persiana che ci conduce alla rinascita dei secoli successivi all’anno 1000 con poeti e scrittori come Omar Khayyam) : la grande PERSIA rinasce culturalmente con un alfabeto mutuato quindi dagli arabi, con alcune variazioni…….le lettere anziché 28 sono portate a 32, in modo da aggiungere alcuni suoni del persiano, assenti in arabo.
Abbiamo a questo punto l’alfabeto “arabo-persiano” (vale a dire, in altre parole, un alfabeto arabo preso a prestito, adattato e modificato per trasporre per iscritto la parlata persiana tradizionale) che a partire dal XIII secolo si standardizza ulteriormente quando un letterato unisce le due tradizioni calligrafiche del suo tempo (“Naskh e Tal’iq) per fondarne una unificata che sarà quella ufficiale della potenza persiana a venire : “ NASTALIQ “ (نستعلیق ).
Tenete bene a mente questo termine poiché è la base NON solo della scrittura persiana, ma di tutta l’area ad oriente verso la quale si espanderà : per analogia, così come gli arabi impongono il loro alfabeto alla Persia, quest’ultima a sua volta impone il proprio alfabeto (derivato) a tutta la sua grane sfera di estensione politico-culturale ad est, dove ognuno a sua volta lo prenderà a prestito apportando le sue modifiche (l’URDU, lingua nazionale del Pakistan utilizza l’alfabeto persiano/arabico in questione, aggiungendo altri 7 caratteri ed arrivando quindi a 39. Nell’emirato afgano si arrivò ad averne 41). Questo significa che la calligrafia NASTALIQ (utilizzata per fini artistici) è la scrittura di base da secoli in AFGANISTAN e in PAKISTAN (per non parlare della sua espansione in areale indiano dove la lingua persiana è mezzo di comunicazione a corte nell’impero MUGHAL)
L’Afganistan contemporaneo infine standardizza il proprio sistema di scrittura nel 1958, durante un congresso di intellettuali a Kabul (i caratteri vengono portati a 45, cercando forse di renderlo ancora più “afgano”, più specificamente nazionale….un alfabeto pashto -پښتو الفبې ). Se da un lato abbiamo sottolineato l’influenza persiana in Afganistan e altrove, rammentiamo allo stesso modo come il pashto mostra una diffusione significativa anche al di là dei confini afgani, oltre il passo di Khyber (faglia di divisione geografica tra Afganistan e Pakistan da sempre) in quelle provincie rivendicate talvolta dai nazionalisti afgani a danno del vicino (…) : di fatto il 15% della popolazione del Pakistan si esprime in pashto, nella sua frangia più di confine naturalmente (considerata la mole demografica pakistana, 15% = 30 milioni di parlanti circa…numericamente tanti quasi quanto nell’Afganistan stesso, paradossalmente).

IL VOLTO DI DIO NEI PRESSI DI KANDAHAR*, di Daniele Lanza

IL VOLTO DI DIO NEI PRESSI DI KANDAHAR*
(*note storiche aggiuntive sull’areale AFGANO antico anteriore all’islamizzazione)
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(PREMESSA) Nei nostri fondamenti di storia dell’Afganistan altro non ho tratteggiato che la gestazione, la nascita dello stato nazionale che vediamo oggi sulle mappe, traversando tutte le sue forme intermedie di sviluppo. In realtà per semplicità di esposizione sono partito dalla tarda età moderna, coprendo cioè solo gli ultimi 300 anni di evoluzione geopolitica per intendersi e non quanto vi era prima : per semplicità ed anche per correttezza dal momento che intendevo illustrare molto velocemente la nascita di questo stato nazionale – con i confini come li vediamo grossomodo -nel marasma che lo circonda………… se si decidesse di andare a ritroso verso ere più remote (corrispondenti al nostro medioevo o era antica) l’operazione avrebbe progressivamente perso senso, andando ad affrontare un qualcosa che nulla ha a che fare con l’Afganistan in evoluzione nell’età moderno/contemporanea, bensì un aggregato territoriale che porta altro nome e che non ha praticamente confini né un’identità che possa definirsi nazionale.
L’esposizione dei 4 capitoli che tanti di voi hanno sfogliato, prende in considerazione un’entità etno-territoriale (Pashtun) già da lungo tempo islamizzata, tanto per cominciare : un potentato/o stato nazione che emerge entro l’ecumene musulmano.
Se tuttavia vogliamo spingerci un po più in là e scavare in una memoria ancor più lontana e perduta per vedere le cose da una prospettiva storica ancora (troppo) più ampia che ci permetta di cogliere l’avvicendarsi delle civilizzazione sulla crosta terrestre, allora possiamo dare una spiegazione del perché in areale afgano troviamo residui di qualcosa di estraneo all’Islam e che porta le sembianze del BUDDA.
La cosa può descriversi in questo modo : l’ingresso tumultuoso dell’Islam corrisponde al 7° secolo dopo Cristo, esattamente in concomitanza con la caduta e l’islamizzazione della Persia sasanide ad opera dei califfati arabi (…). L’areale pashtun – analogamente alla Persia – sarà convertito alla fede di Maometto nel giro di 3-4 secoli, risvegliandosi musulmano per i primi secolo dopo l’anno 1000. “Conversione” sta tuttavia ad indicare che l’elemento umano che abitava la zona era già portatore di un suo sistema religioso che lentamente verrà rimpiazzato : di cosa si trattava ? Abbiamo a che fare con qualcosa che arriva dal sub-continente indiano…..e che si estende alla gole afgane molto prima di Cristo. Affrontiamo la parola del BUDDA.
Quando l’onda d’urto arabo/islamica investe i territori che oggi corrispondono all’Afganistan, essi non mostrano -malgrado la natura remota del luogo – un qualche rozzo credo barbarico, ma sono già da tempo immemore un’areale di diffusione del buddismo che filtra da sud, dagli imperi indiani limitrofi. Tutto inizia al tempo di ALESSANDRO IL MACEDONE : la titanica conquista di quest’ultimo e il sorgere dei regni ellenistici lungo tutta la linea dell’avanzata che fu è la chiave di volta della storia del vicino oriente……un evento non del tutto descrivibile come portata che mette in congiunzione le sponde orientali del Mediterraneo con l’area tra l’INDO e il GANGE (…). Se la vita di Alessandro è un battito di ciglia, sappiamo bene tuttavia che l’era ellenistica con le sue dinastie (nate dai generali che lo seguivano) fiorirà per centinaia di anni a venire, dando alla luce miracoli di sincretismo culturale impensabili nel mondo di allora. Ora, per arrivare al punto, ricordiamo che i più orientali tra questi regni ellenistici – un tempo le satrapie persiane più orientali, ora governate da satrapi macedoni – si trovavano geograficamente a ridosso dell’INDIA……oscuro e misterioso colosso geografico/demografico (già all’epoca) che lo stesso Alessandro non aveva potuto attaccare fino in fondo, complice la diserzione dei suoi stessi uomini (…). L’INDIA di allora era, politicamente parlando, rappresentata da imperi che portavano il nome delle dinastie del momento o perlomeno che sono ricordati così sui manuali di oggi.
Si da il caso – volere della sorte – che proprio negli anni immediatamente successivi la morte di Alessandro il grande, un ALTRO EVENTO (non noto alla storiografia occidentale) avviene in Asia : un capovolgimento politico nell’impero indiano che porta al potere la dinastia MAURYA (ricordare tale nome) che riesce nell’impresa di unificare quasi totalmente il continente indiano. L’impero MAURYA di fatto è la maggiore manifestazione di potenza geopolitica indiana nell’era antica, arrivando a estendere il proprio controllo su quasi 60 milioni di individui nel III° secolo avanti Cristo (in pratica mentre Alessandro il macedone creava un universo culturale e cosmopolita nell’Asia occidentale, parallelamente prendevano forma le fondamenta culturali di una grande potenza nell’Asia centrale hindu. Non tutti lo realizzano). L’unità dell’intero sub-continente indiano è raggiunta ad un alto prezzo in termini di vite umane a distruzioni nonché rischio di future rivolte : tali considerazioni (pratiche quanto spirituali) portano il nuovo sovrano – ASHOKA – ad un’ulteriore rivoluzione….non militare, ma religiosa.
ASHOKA, probabilmente consapevole dell’insufficienza della coercizione nel tenere insieme un ampio dominio, arrivò alla svolta morale che lo porta a superare la sua fede tradizionale (il bramensimo hindù, religione dei padri) per abbracciare un più universale e benevolo buddismo (realtà presente da tempo, ma vista come alternativa ed eversiva dalla tradizione induista, benchè culturalmente ne provenga). Re Ashoka spezza con la tradizione immemore per promuovere la pratica buddista nel suo regno, convinto che la forza benevola del convincimento possa portare maggiori frutti che le armi. L’operazione – di ampio respiro e coraggio – raccoglie un certo successo, determinando una certa diffusione del buddismo entro i confini dell’impero…….nonchè delle sue frange più periferiche : queste ultime corrispondono ai regni ellenistici di cui abbiamo parlato (quello della BACTRIANA è quello che maggiormente coincide – relativamente – con la sagoma dell’Afganistan moderno). I monarchi di origine macedone col tempo diventano tributari del sovrano indiano, ma in modo non conflittuale tramite un’accorta politica matrimoniale e non opponendosi alla diffusione del buddismo nelle proprie provincie : si potrebbe dire che una genuina sinergia si instauri tra l’impero indiano Maurya e la fascia ellenistica di confine ad esso.
Dopo meno di 150 la dinastia Maurya viene a sua volta travolta dal corso degli eventi……..ma tuttavia lasciando dietro di sé la preziosa eredità di buon vicinato con la tradizione ellenistica della Bactriana ed altri potentati rimasti in buoni rapporti per tutto quel tempo, i quali tendevano a vedere proprio nel BUDDISMO la chiave di una coesistenza pacifica (o più pragmaticamente di equilibrio geopolitico e comunicazione culturale) con gli indiani. Se dunque i discendenti di ASHOKA cadono nell’oblio…..i semi da lui gettati quando inaugurò l’era buddista sopravvivono : se da un lato le dinastie indiane successive tenteranno di rovesciare l’opera culturale di Ashoka, ritornando integralmente all’ordine religioso hindu e perseguitando i buddisti, dall’altro i potentati ellenistici si ribellano al vetero-ordine induista di ritorno, PROTEGGENDO quel buddismo che oramai avevano acquisito.
In particolare proprio il regno della Bactriana (sotto re Menandro) alla fine della dinastia Maurya e prima di essere invaso da altre dinastie indiane, entra vittoriosamente in conflitto con esse fondando quella potenza che sui manuali di storia indiana viene oggi definito come “REGNO GRECO-INDIANO” che di fatto copre la fascia nord-occidentale indiana + il Pakistan attuale + una parte considerevole dell’Afganistan moderno. Le conseguenze culturali cono significative : il buddismo in altre parole, sotto l’ombrello benevolo e protettivo del regno ellenistico-indiano si PRESERVA dalla reazione tradizionalista hindu, permettendo una sopravvivenza del buddismo di quasi un millennio nell’area in questione.
Per descrivere il processo in corso in altro modo mettiamola così : l’areale che poi verrà chiamato AFGANISTAN in era moderna (risultato di una scissione dall’impero persiano) si trovava ad essere – in era antica – un’espansione culturale INDIANA. Del tutto particolare per i tempi, a causa di 2 fattori : 1 – l’indianità che si afferma nella zona (quella in sembianza buddista cioè) è sicuramente alternativa rispetto al “core” culturale indiano (conservatore e bramanico). 2 – tale influsso culturale dall’India è accolto e mediato dal prisma ELLENISTICO che controlla il territorio……..e che da vita tra l’altro ad una nuova espressione del buddismo stesso il cui impatto è INCALCOLABILE.
Pochi sanno che l’arte figurativa indiana dell’era antichissima (antecedente ad Alessandro) era in buona parte NON-ICONICA : la simbologia c’era, ma quasi mai compariva un viso umano. L’arte buddista NON era (pare) antropomorfizzata. A partire dal contatto con la cultura greco/ellenistica il BUDDA inizia ad assumere sembianze decisamente umane, in statue di pietra che nella sagoma ricordano quelle dell’arte Mediterranea. Benchè vi siano pensieri discordi sul punto, una parte consistente del meinstream scientifico ritiene che i lineamenti fondamentali dei Budda indiani che iniziano a comparire nei secoli immediatamente precedenti a Cristo e da lì in avanti saranno la regola nel mondo indiano…….siano quelli delle divinità del Pantheon greco (a partire da Apollo in persona), cui vengono adattati costumi, pose e acconciature locali in un processo di adattamento estetico (…). Il discorso è lungo e potrei essere impreciso : se un esperto di arte e storia indian è nei paraggi, lo prego di venirmi in soccorso.
Ecco la ragione di innumerevoli siti archeologici buddisti nell’areale Afgano : quest’ultimo era la Bactriana ellenistica che accolse il Budda e gli diede il proprio volto di pietra (dall’Acropoli al Gange….visione suggestiva, ma va provata del tutto ancora).
Solo un’onda sismica come l’ISLAM avrà il potere di invertire il processo culturale instauratosi nel millennio precedente, portando nella dimensione musulmana l’antica e sepolta Bactriana (ora Afganistan)

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (EPILOGO*), di Daniele Lanza

Dǝ Afġānistān wākmanān – د افغانستان واکمنان (ovvero REGNO DELL’AFGANISTAN…..)
Ghazi Amanullah Khan : questo è il suo primo re.
Emerge da quella fucina di idee che è il congresso post prima guerra mondiale (preceduto da fermenti nella decina di anni che la precedono) e a seguito di una brevissimo conflitto sul campo, il regno afgano contemporaneo.
Non si tratta più dell’emirato o altre forme di stato pre-moderne, ma si prefigge l’obiettivo di essere un moderno stato-nazionale, di forma monarchica, il cui cammino va nella direzione dei più efficienti regni europei, almeno idealmente. Da questa premessa generano 7 anni di intensa riforma (nel corso della quale ci si dota di una vera bandiera) che danno alla luce perlomeno le fondamenta del nuovo stato che si vorrebbe : i suoi monarchi saranno TRE in tutto e i loro regni spaziano per buona parte del 900. La strada della modernizzazione in un contesto autoctono e remoto come quello afgano è lunga è difficile…….sin dal principio vi sono tentativi di ribellione : il nuovo regno di stampo occidentale voluto dalla dinastia (ancora la Barkazai) NON rappresenta in realtà fasce del paese profondo che tentano già al momento dell’abdicazione del primo sovrano la strada della rivolta vera e propria. Anche quando quest’ultima sarà domata rimarrà sempre una ribellione strisciante, un pervasivo malcontento del paese profondo la cui vocazione sarebbe ripristinare il vecchio – e più tradizionale – EMIRATO……più consono alla mentalità conservatrice afgana. Che dire, per certi versi una situazione analoga a quella che si sviluppa nella vicina PERSIA filobritannica : stati nazionali in via di sviluppo economico, per natura riformisti e tendenzialmente rivolti verso l’occidente pur senza averne la tradizione democratica e le istituzioni. Entrambe – per un verso o per un altro – pur superando la fase del secondo conflitto mondiale e dell’inserimento nell’ordine mondiale che ne segue, non riusciranno a superare lo scoglio dei vorticosi anni 70, densi di contestazione e rivoluzioni……..
Per quanto riguarda il regno afgano, questo dura una quarantina d’anni dalla sua istituzione ufficiale : le riforme si susseguono con difficoltà (un vero sistema di monarchia parlamentare solo a partire dal 1964) e in generale il paese profondo non riesce a metabolizzare la modernità che gli si vorrebbe dare, tra l’altro dimostrandosi non all’altezza di gestire gravi crisi interne.
E’ il 1973 quando si verifica il primo colpo di stato militare : evento molto veloce e quasi senza spargere sangue….più che la violenza del golpista (per dire) pare che l’assenza di supporto per la corrotta monarchia abbia giocato il ruolo maggiore. Il regno si è dissolto da solo per la propria inadeguatezza. Il leader del golpe – tra l’altro membro della famiglia reale – non si autonomia regnante, ma al contrario proclama la repubblica dell’Afganistan come nuova fase (più trasparente ed efficiente) della modernizzazione nazionale. In pratica il processo continua, ma su basi moralmente più solide o così si vorrebbe……perché in realtà non lo sarà.
In sintesi : la rivoluzione repubblicana del 1973 pone fine ad un’inefficiente monarchia, proponendosi di procedere in modo assai più spedito verso la modernizzazione. Quest’ultima tuttavia è proprio quanto la parte conservatrice della nazione afgana NON VUOLE : se la vecchia monarchia era filoccidentale, il regime repubblicano nato dal golpe lo è ancora di più ! E’ avvenuta una rivoluzione sì….ma non quella che il popolo conservatore voleva (e si apre la strada della rivolta). Nel contesto descritto chi coglie la palla al balzo è a questo punto è il PDPA ovvero il partito di matrice marxista leninista del paese, allineato all’Unione Sovietica.
Quest’ultimo di propria iniziativa – approfittando del momento propizio e della ancora scarsa solidità del governo repubblicano – danno inizio ad un rapido confronto militare che li porta a prendere il potere nel 1978 (si chiamerà la rivoluzione del SAUR…o rivoluzione d’aprile). Insomma, gli anni 70 in Afganistan vedono DUE rivoluzioni : quella repubblicana del 1973 e poi quella socialista del 1978. Ricorda quanto accadde nella Russia zarista del 1917 : nel medesimo anno si verificarono due rivoluzioni (la prima “generale” e la seconda specificamente socialista e bolscevica. La seconda è conseguenza inevitabile della prima) solo che nel caso russo l’intervallo tra i due eventi è di 10 mesi, mentre in quello afgano sarà di 5 anni….si potrebbe vedere forse il 1973-78 come un’unica vorticosa fase rivoluzionaria paragonabile al 1917 ?(..mah).
Quanto è certo è che il PDPA dopo aver sfruttato il malcontento ed aver preso il controllo, si trovano da subito nella linea di fuoco : per un anno e mezzo governano seguendo un programma riformista di stampo socialista che è ancor più radicale di quello precedente, mettendosi contro il nerbo della popolazione rurale. Forse coscienti di questo fatto, il governo in carica firma lo stesso anno un trattato di “soccorso” con l’Unione Sovietica che dia un fondamento legale a quest’ultima per intervenire in caso di pericolo per il governo amico.  Il momento previsto dal trattato si presenterà assai presto, manco a dirlo………ora lo spazio a disposizione impedisce di trattare con dovizia di dettaglio le circostanze che portano all’intervento sovietico, ma si tenga a mente questo : le massime sfere sovietiche sono inizialmente RILUTTANTI a intervenire in forze, considerato il costo dell’operazione e la ricaduta negativa d’immagine che ne comporterà (a partire da Gromyko e Andropov rispettivamente ministro degli esteri e capo dei servizi segreti) : ciò che risulterà DETERMINANTE nell’innescare l’intervento di Mosca non sarà la fratellanza ideologica coi marxisti leninisti del PDPA, ma più concrete considerazioni geopolitiche quali il sospetto che il governo in carica (pur teoricamente affine) si distanzi dal Cremlino per creare rapporti più stretti con rivali come USA e CINA. Nel momento in cui tale timore (corroborato dai rapporti del KGB, dove si evidenzia come il PDPA la cui dirigenza è stata sostituita con un leader assai meno allineato a Mosca colpisca svariati suoi esponenti filosovietici) si fa più reale allora tutta la gerarchia sostiene compatta l’intervento immediato : d’altro canto al momento in cui Brezhnev da l’assenso il territorio afgano è GIA’ largamente fuori controllo governativo ed in mano ai guerriglieri mujeidin.
Nel dicembre del 1979 oltre 100’000 soldati di prima linea (cui si aggiungono altri della logistica per un totale di oltre mezzo milione di militari) varcano il confine sovietico-afgano, mentre un corpo scelto abbatte letteralmente tutte la massime cariche politiche in una notte nel palazzo governativo, reinstallando alla guida del PDPA una dirigenza filocremlino. Osservando la storia nel suo lungo corso, qualcuno potrebbe osservare che la Russia – nella sua incarnazione socialista – ha finalmente ottenuto nel 1980 quanto non aveva raggiunto in sembianze imperialiste esattamente 100 anni prima, ostacolata dall’impero britannico. E’ un successo tuttavia pirrico come si vedrà.
E’ l’esordio di una decina di anni di presenza sovietica sul territorio a difesa e sostegno di quella che ora è la repubblica POPOLARE afgana : l’armata rossa si ritira nei primi mesi del 1989 (hanno ben altro cui pensare al Cremlino) lasciando che la storia faccia il suo corso. Questo corso successivo non starò a rinvangarlo che immagino anche gran parte del pubblico lo rammenti………..fine del governo in carica nel 1992 e quindi immediatamente inizio di una guerra civile che vede il movimento musulmano afgano (temprato da anni ed anni di guerra contro l’invasore) all’attacco e in netto vantaggio : in pratica nei primi anni 90 si ritorna indietro a quella situazione di emergenza che vi era a fine anni 70……con la differenza che ora non c’è più l’URSS a puntellare la situazione (potremmo dire che l’intervento di Mosca ritardò di circa 15 anni l’avvento al potere dei TALEBANI (che sarebbero prevalsi attorno al 1980 anziché nel 1996 come nel corso reale delle cose). Il resto è ancor più chiaro……l’EMIRATO ISLAMICO dell’Afganistan (sì, in mano ai talebani torna ad esser quello) diventa un hub del terrorismo internazionale sino al drammatico settembre del 2001 : consideriamo gli anni 90 come una lunga transizione – dopo il presidio sovietico degli anni 80 – che ci conduce dritti alle torri gemelle.
Occupazione USA (loro turno), 20 anni di presenza a costi stellari e epilogo nei giorni che corrono (…).
Dunque vediamo di concludere questo lungo ciclo di capitoli affermando qualcosa, anziché riportando nozioni (esponiamoci, sì)
Ricapitoliamo nell’estrema essenza, ma con LOGICA, il rapporto storico di questo popolo col mondo circostante con cui interagisce (l’occidente) da 200 anni. Nel corso del secolo XIX lo si voleva privo di una politica estera autonoma perché poteva essere pericoloso (ci pensò la Gran Bretagna) ; nel corso del XX si andò oltre non limitandosi a sdentare la tigre, ma con l’ambizione di trasformarla in un’altra specie…….si abolisce l’EMIRATO e si punta a stati secolarizzati di modello occidentale rimediando una lunga serie di insuccessi : prima la monarchia filoccidentale (FALLISCE), poi la repubblica progressista (FALLISCE), quindi la repubblica popolare socialista (FALLISCE). In extremis quest’ultima ricorre all’aiuto esterno supplicando Brezhnev (….e anche questo FALLISCE). La libertà dalle catene della guerra fredda conferisce loro la libertà di tornare all’Emirato che desideravano, quello stato pre-secolare tradito cui auspicavano da generazioni. Passata la parentesi ventennale statunitense sono TORNATI a quell’emirato (che è una categoria filosofico spirituale, una dimensione, prima che politica come tutti avranno inteso a questo punto), senza colpo ferire. Chiunque abbia tentato di esportare la propria forma di democrazia (socialista, liberista) violando la loro dimensione ideale è stato severamente respinto al mittente (la busta nemmeno aperta, per intenderci).
In tantissimi – come ho sottolineato sin dall’incipit di questo mini ciclo – si mettono a commentare la crisi di questi giorni. Beh, alla luce della serie di fatti riportati sopra, forse di considerazioni ne bastano di meno : si potrebbe iniziare con anche solo una…………ed è che la democrazia NON si esporta. Parliamo di una contraddizione in termini, un paradosso che non sta in piedi quanto costringere un sentimento (che si suppone essere spontaneo).

 

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (4 di 4), di Daniele Lanza

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (4 di 4)
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Riprendiamo esattamente da dove ci siamo fermati nel capitolo precedente (3).
L’impero britannico solidamente installato in India (in realtà all’epoca quest’ultima era gestita ancora non direttamente dal governo britannico, ma dalla Compagnia delle indie inglesi) è deciso ad ogni costo a difenderla, vista l’enorme rilevanza economica e strategica : si tratta di quasi 100 milioni di sudditi su una grande superficie…..il cuore dei domini inglesi nell’Asia meridionale, snodo indispensabile dei trasporti verso centri ancor più lontani e soprattutto poco attaccabile dall’esterno malgrado la grande estensione (in sostanza migliaia di km di coste ben presidiate dalla marina reale britannica allora la prima del pianeta e la massa terrestre invalicabile dell’Himalaya ad est). Solo da UN punto questo edificio può essere penetrato : da nord-ovest ovvero là dove si trova l’EMIRATO dell’Afganistan. Quest’ultimo non è più l’impero Durrani che si era formato cento anni prima, ma solo un più modesto potentato di confine tra Persia e India : di per sé non desterebbe alcun timore (l’emirato non ha oggettivamente i mezzi per lanciare grandi piani di invasione contro nessuno), se non fosse che altre potenze esterne – la RUSSIA in primo luogo – possono SERVIRSI di esso come trampolino, corridoio, punta di lancia, per spingersi più a sud e colpire l’India del nord tentando invasioni o peggio, fomentando sentimenti di rivolta da tempo latenti nella massa indiana.
L’eternamente citato “THE GREAT GAME”….consiste in questo nell’estrema sostanza : una Gran Bretagna per tutto il secolo XIX zelante nel difendere il proprio dominio indiano, timorosa che da qualche parte nel nord-ovest il grande attore euroasiatico che è la Russia, riesca a monopolizzare l’emirato afgano – unico portale di accesso – cosa che gli consentirebbe di sbucare giusto nell’Hindu Kush. Il timore è talmente grande che decidono GUERRE PREVENTIVE contro l’Afganistan finalizzate a controllarlo (evitando che altri lo facciano prima) : attorno al 1840 infuria la PRIMA guerra anglo-afgana, atta a neutralizzare una politica indipendente del paese – potenzialmente pericolosa – e trasformarlo in protettorato. Il risultato di questa prima collisione militare è fallimentare e le forze britanniche si ritirano (complici i costi altissimi dell’operazione) senza aver alterato di molto la situazione.
40 anni dopo, i giochi si riaprono : nel giro di una trentina d’anni l’impero zarista ha portato avanti una campagna di successo che porta tutta l’Asia centrale turca nell’orbita russa (…). Ora il nemico è veramente alle porte (emissari dello tsar tentano di stabilire rapporti diplomatici diretti con l’emiro dell’Afganistan) e occorre nuovamente puntellare la situazione e immediatamente : si decide di farlo nel medesimo modo in cui si era fatto decadi avanti, ovvero direttamente manu militari……..questo ci porta alla SECONDA GUERRA ANGLO-AFGANA.
Tutto si sviluppa tra il 1878-80 : una missione diplomatica inglese viene respinta alla frontiera afgana, cosa che da pretesto per intervenire militarmente agli inglesi. Per la seconda volta una grande offensiva terrestre si sviluppa dal British Raj (il governo britannico assume direttamente il controllo dell’India a partire dal 1858, dopo una grande rivolta dell’anno prima) contro l’emirato che è invaso. L’andamento della guerra stavolta è migliore e si conclude con una disfatta totale afgana il cui nuovo sovrano (costretto ad abdicare il precedente ritenuto poco affidabile) si decide ad accettare le clausole di parte britannica : l’emirato NON diventa formalmente parte dell’impero britannico e (non viene stabilito ufficialmente un protettorato), ma si impegna a non intrattenere rapporti con potenze ostili (Russia) o in generale non con altre che non siano l’impero britannico…impegnandosi tra l’altro a non creare problemi sul delicato confine afgano-indiano.
Per andare dritti al punto : con il trattato di Gandamak (questo è il documento chiave) ratificato nel 1880, l’Emirato dell’Afganistan RINUNCIA ad una propria politica estera. Questo è il fatto fondamentale da tenere a mente.
In altre parole si potrebbe dire che la seconda guerra anglo-afgana si conclude con un successo britannico pressochè completo, riuscendo questi ultimi a stabilizzare geopoliticamente l’area afgana in senso favorevole alla corona : l’Afganistan è ridotto al ruolo di stato satellite, che si interpone tra la preziosa India e i tentativi espansionistici dello tsar, assicurando la protezione che era mancata in precedenza. L’Afganistan esce dal conflitto come stato cuscinetto eterodiretto da Londra (mantenendo una relativa libertà negli affari interni) e tale rimarrà per i decenni a venire.
Il successo si rivela provvidenziale se si pensa che solo pochissimi anni dopo le forze russe REALMENTE arrivano a collidere con l’Afganistan : nel 1885 un corpo di spedizione conquista un forte afgano di frontiera, prefigurando un’eventuale invasione russa dell’emirato (la cosa non avverrà per tempestiva risposta britannica che minaccia guerra immediata e difatti le cose si risolveranno in sede diplomatica, arrestandosi l’avanzata russa e fissando definitivamente il confine settentrionale dell’emirato afgano…quello che si vede ancora oggi). La lunga conquista russa dell’Asia centrale si arresta quell’anno dunque e si conferma il valore dell’Afganistan come utile strato di separazione tra i due giganti rivali (…). Il caso viene chiamato oggi sui manuali “Incidente del Panjdeh”.
Successivo evento che plasma la nazione che vediamo oggi sulle mappe : nel 1893 il diplomatico inglese Mortimer Durand, inviato da Londra per risolvere la questione di frontiera tra emirato e India britannica, traccia sulla carta il CONFINE definitivo tra i due stati che prenderà il suo nome in onore. La “Linea DURAND” sarà quindi il nuovo confine di stato tra Afganistan e India (tuttora quasi invariata) : a questo punto l’emirato dell’Afganistan ha perso pressochè tutto quello sbocco verso l’Hindu KUsh che aveva ad inizio secolo (l’area dell’attuale Pakistan, che rientra integralmente nel dominio britannico) ed è ridotto al suo areale strettamente iranico, territorialmente compresso ai minimi termini.
In parole altre si conclude un secolo tormentato con un nettissimo ridimensionamento del paese : se all’esordio del XIX sec. vediamo ancora un “impero” sebbene in declino, sul finire dello stesso secolo vediamo solo più un minuscolo (comparativamente a prima) potentato regionale privo di una politica estera (commissariata da parte inglese) e privo di qualsiasi influenza su stati esteri il cui scopo, ragione di esistere è garantire una zona neutrale tra impero russo e britannico in questo quadrante del globo : la sagoma stessa, i confini fisici dello stato afgano, sono decisi dalla collisione con le suddette superpotenze (confine NORD stabilito indirettamente per forza di cose dall’avanzata russa arrestata e confine SUD stabilito con calma a tavolino da un diplomatico inglese). La parabola politico/diplomatica dell’emirato, non occorrono forbite interpretazioni per arrivarci, segue nella sua evoluzione lo stesso corso di tutto quella parte del pianeta che è investita dall’imperialismo europeo nella seconda metà dell’800 : una prospettiva esistenziale, se vogliamo dire così, del tutto capovolta nella quale interi popoli e i loro conflitti locali contro altri popoli vicini si ritrovano avviluppati in un altro gioco assai più grande (quello della “globalismo militare” regolato dagli imperi d’Europa) che letteralmente finisce con l’esautorarli da qualsiasi ruolo che non sia in qualche modo eterodiretto (una riflessione, anche breve, sul colonialismo è troppo lunga per qualsiasi bacheca).
Lo STATUS QUO raggiunto nel 1880 dopo questa guerra si rivela solido e durerà per altri 40 anni garantendo il confine tra i due imperi planetari che scongiura il conflitto diretto. Per vedere un qualche cambiamento di rilievo bisogna aspettare gli anni del primo conflitto mondiale : il nuovo emiro afgano (figlio di colui che avevano firmato il trattato una generazione prima) resistette alle ripetute richieste delle potenze centrali (ottomani e tedeschi) di schierarsi attivamente e muoversi contro l’India britannica, tra l’altro lasciata quasi incustodita per l’invio di forze sul fronte europeo (…).
Sebbene un “tradimento” da parte afgana non avverrà durante la guerra mondiale (e anche malgrado l’appello da parte ottomano in nome del comune ISLAM), gli anni del conflitto sono decisivi nell’instillare l’idea di indipendenza nazionale nel sovrano che la reclamerà a guerra subito conclusa : nel 1919 le richieste in tal senso vengono respinte ai tavoli di Versailles…….portando quindi ad un terzo conflitto (una TERZA guerra anglo afgana, questa volta in un contesto proprio del XX secolo tinto di nazionalismi e insorgenze nazionali). Il conflitto che ne divampa è molto breve e poco sanguinoso : privi di risorse per sostenere ennesimi conflitti per il mondo i britannici optano per ritirarsi e l’emiro dell’Afganistan sostanzialmente guadagna l’indipendenza in politica estera per il proprio paese (persa 40 anni prima) prefigurando così uno stato nazionale pienamente sovrano. Per parte britannica non è una sconfitta totale in quanto nonostante l’indipendenza afgana in politica estera, viene definitivamente riconosciuta la linea DURAND (nevralgico confine mai del tutto accettato da parte afgana) che garantisce la sicurezza territoriale minima nella prospettiva inglese.
Col 1919 parte una stagione intensa di riforme fondamentali dello stato (1919-1926) finalizzate ad avviare razionalizzazione amministrativa e modernizzazione : in quella stringa di anni la stessa denominazione ufficiale cambia : si estingue il vecchio emirato e al suo posto nasce il REGNO DELL’AFGANISTAN. La fase storica di quest’ultimo, anche se oggi relativamente negletta, spazia per buona parte del 900, dal momento che dura dall’indipendenza del 19 (e riforme che ne seguono) fino alla tormentata fase degli anni 70 che lo vedono collassare a seguito di un colpo di stato militare…..
CONTINUA (EPILOGO*)
NB_tratto da facebook

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (3 di 4), di Daniele Lanza

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (3 di 4)
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Dunque…..nei precedenti due capitoli abbiamo affrontato una serie di vicende e punti di svolta nella storia dell’Asia centrale che in comune hanno il contesto di fondo ossia quello del XVIII° secolo nell’area : un lasso di tempo lungo il quale ancora non si avverte una presenza estranea rispetto ai “giocatori autoctoni” (il colonialismo europeo non si è ancora fatto sentire, in sostanza).
Il 700 ci restituisce uno spaccato dal quale risalta lo stato tormentato dell’impero persiano in età moderna, il suo sostanziale declino rischiarato da un fulmineo ed effimero apogeo per poi tornare gradualmente al limbo precedente : da questo magma prende vita propria una nuova entità più ad oriente risultato dell’affermazione politica del ceppo etnico pashtun, ora elevato a nazione. Questo periferico “spin off” dello stato imperiale persiano (come si direbbe nel linguaggio delle serie televisive) sa affermarsi e sfrutta efficacemente la propria posizione a cavallo tra due mondi……quello IRANICO e quello INDIANO, al punto di dare vita ad un impero proprio (in gran parte a danno dell’areale indiano). Questa è l’essenza di un secolo di evoluzione geopolitica (…).
Il XIX° secolo che ora affrontiamo, ci conduce invece verso una differente dimensione il cui piano di comprensione si fa più complesso : qui si situano le chiavi d’accesso alle dinamiche dell’Afganistan contemporaneo. Sostanzialmente potremmo dire che compare LO STRANIERO (o occidentale per dire) nel campo da gioco : in realtà l’espressione stessa difetta di un’ambiguità semantica dal momento che più che “comparire” sul campo da gioco altrui, egli PLASMA il campo da gioco altrui (!)……contribuisce a crearlo a fissarne le regole, ne è il dominatore assoluto anche quando non si espone in prima persona. Per esprimersi un tantino cervelloticamente, l’uomo occidentale nelle sue diverse incarnazioni (inglese, russo) si proietta nel determinato contesto (in questo caso irano/afgano/indiano) affiancando i giocatori tradizionali – che già interagiscono da tempo immemore – subentrando loro in modi sottili (cioè MAI del tutto e mai in primissima persona ossia rimanendo dietro le quinte), interfacciandosi, assumendone il parziale controllo………onde dar vita alle prime “proxies war” o conflitti per interposta persona che sono la regola fino ad oggi (…). Ù
Gli eroici confronti di cavalleria cha caratterizzano tutta un’epica militare afgana o persiana – per la cattura poi di un distretto di confine – diventano improvvisamente ben poca cosa rispetto alle dimensioni della posta in gioco supera la limitata immaginazione di questi guerrieri d’altri tempi : se i diretti interessati (afgani e indiani nello specifico) sono convinti in buona fede di battersi per una supremazia locale……..senza poter realizzare dalla propria prospettiva degli eventi, il fatto che la supremazia locale/regionale di uno o dell’altro può innescare un effetto domino capace di intaccare un equilibrio planetario. Coloro che detengono il primato di quest’ultimo (russi e inglesi nello specifico) sono coloro che dirigono l’azione da dietro le quinte, trasformando così la natura del quadro in uno schema a due livelli : LOCALE (1) e GLOBALE (2). Come oggi.
Va bene……..cerchiamo di andare più al concreto. Avevamo lasciato l’impero DURRANI a cavallo tra il XVII° e il XIX° secolo : dopo la morte del suo fondatore, l’esistenza di questo primo progenitore dello stato afgano si trascina ancora per mezzo secolo, arenandosi in un confronto di lungo termine contro la nazione SIKH (un “impero” indiano nel nord dell’India attuale, verso il Kashmere, all’epoca di inizio del conflitto ancora relativamente scevro di influenze europee). L’esito inconcludente e talvolta fallimentare – sostanzialmente le forze afgane, complice la natura difficile del contesto geografico, NON riusciranno mai a oltrepassare i SIKH, i quali de facto diventano lo “scudo” dell’Hindustan oltre il quale ogni espansione Durrani è impedita. Nei decenni iniziali dell’800 le sorti volgono anche negativamente per la parte afgana, che oltre a non fare un passo finisce anche per perdere pezzi preziosi : il principale è la perdita di Peshawar nel 1819, cui presto seguirà anche il Kashmere stesso a favore dei Sikh.
A questo andamento fallimentare della strategia contro il mondo indiano si aggiunge un conflitto dinastico che deflagra poco dopo, lasciando per un breve lasso di tempo il paese senza nemmeno una guida : in questo momento di confusione che vede sprofondare l’ormai esautorata dinastia fondatrice Durrani, si fa strada la dinastia BARAKZAI (بارک‌زایی‎ )……..che caratterizzerà il nuovo secolo in corso e anche quello successivo, contando alla fine 150 anni di regno complessivi (siamo nel 1823 al momento dell’ascesa e durerà sino al colpo di stato militare del 1973). Da ricordare quindi almeno il nome di questa nuova dinastia. Da questo momento cambia anche il nome dello stato : considerata defunta la vecchia forma imperiale Durrani, viene scelto l’appellativo ufficiale di EMIRATO DELL’AFGANISTAN (امارت افغانستان‎ Amārat-i Afghānistān ).
Il suo nuovo sovrano – Dost Mohammad Khan Barakzai – ha davanti a sé da subito, grandi sfide da sostenere : gestire i rapporti col rivale storico sikh, ma soprattutto gestire i rapporti diplomatici con i due nuovi attori d’eccezione che irrompono sulla scena……impero RUSSO e impero BRITANNICO. Il calcio di inizio arriva da parte russa : si sfrutta il desiderio mai sopito dell’impero persiano (ora sotto la dinastia QAJAR) di riprendere qualche brandello di quanto era loro fino a un centinaio di anni prima (la strategica città di HERAT). Se i piani militari sono in corso sin dal 1816, ci vorranno una ventina di anni prima che la macchina si metta in moto, con il supporto russo : in breve, nel 1837 La Persia Qajar (affiancata dalla Russia zarista) si dirige verso Herat dove inizia un lungo assedio. I britannici dal canto loro interpretano la mossa chiaramente : un tentativo di riconquista persiano ai danni dell’emirato può presagire ad invasione ulteriori su più larga scala finalizzate al crollo di questo stato……ritrovandosi così la Persia padrona del campo fino alla frontiera con l’India britannica (e prefigurandosi così rischi non calcolabili, considerato il supporto russo alla Persia ed potenziali fronti capaci di destabilizzare l’India intera, al tempo la più ricca colonia della corona). Non si perde tempo e si organizza subito una controffensiva strategica (si occupano via mare postazione sul golfo Persico ai danni dello Scià) fino a che l’assedio non viene tolto e i russi non ritirano i propri “inviati speciali” : è il 1838.
Questo successo tuttavia NON basta alla Gran Bretagna : si è trattato di un evento militare del tutto minore ed il successo è in effetti temporaneo. Più che altro è il prodromo di futuri e più gravi tentativi……il nemico (la Russia) ha oramai compreso che l’emirato dell’Afganistan è il ventre molle a nord del continente indiano, la lancia da utilizzare contro i ricchi possedimenti britannici oltre l’HinduKush. Il governatore britannico del tempo si decide quindi a muovere guerra DIRETTAMENTE all’emirato. Il concetto è semplice e brutale : occupare via terra l’Afganistan e portarlo forzatamente nella propria sfera di influenza PRIMA che qualcun altro (la Russia) lo faccia. Non fa una piega.
Da questa decisione prende inizio quello che è il PRIMO CONFLITTO ANGLO-AFGANO (1839-1842). La prima vera campagna militare sul territorio afgano nel corso di quel “grande gioco” che attraversa il XIX° secolo : nella sostanza si rivelerà un inconcludente disastro per la parte britannica. Dopo un iniziale, prevedibile, successo (sono mobilitate le più potenti armate indiane del tempo inquadrate sotto ufficiali inglesi) viene posto sul trono un sostituto del deposto regnante della dinastia Barzakai con un superstite della screditata dinastia Durrani, non sostenuta da nessuno nel paese : un equilibrio quindi del tutto artificiale che non può sostenersi da solo, ma solo con la presenza militare britannica il cui costo è proibitivo………nel giro di un paio di anni inizia una ritirata che si rivela catastrofica (un’intera armata viene perduta complici le condizioni atmosferiche invernali). In altre parole il corpo di invasione britannico è costretto a ritirarsi dopo 3 anni senza essere riuscita ad instaurare una monarchia a sé fedele (il legittimo sovrano Barzakai rientra immediatamente dall’esilio) : anche grazie ad un momento di distensione dei rapporti tra Russia e Gran Bretagna nel corso del loro grande gioco (…), la questione viene temporaneamente messa da parte, con la rinuncia da parte britannica di intromettersi negli affari interni afgani, almeno nell’immediato.
E’ in effetti un primo punto di svolta di tutto il “grande gioco” : al di là dell’esito di questa prima spedizione (“disastro afgano” secondo alcuni autori) i grandi giocatori russi e inglesi si confrontano diplomaticamente a carte scoperte. Il rappresentante russo propone in questo frangente (1840) di fissare pacificamente i limiti delle rispettive sfere di influenza sullo scacchiere mettendo fine al grande gioco…….da parte britannica tuttavia (Lord Palmerston) si respinge l’apertura per ragioni di alta strategia globale : l’apertura della Russia zarista fu interpretata come segnale di debolezza, inoltre uno sconfinato fronte asiatico sempre in movimento, poteva essere utile per distogliere attenzione e risorse da parte russa (impedendogli pertanto di essere più presente sullo scacchiere europeo che interessava maggiormente alla Gran Bretagna : questa la visione strategica di parte inglese in una stringa di parole).
La “visione di gioco”, per quanto sottile, in realtà era meno perfetta di quanto sembrasse : la debolezza russa in particolare era sopravvalutata e l’assenza di chiare linee di demarcazione diede la possibilità all’impero zarista di espandersi forse più di quanto avrebbe potuto fare altrimenti. Nel lasso di tempo che va dal 1840 al 1870 l’avanzata della imperiale russa fu lenta ma costante : nello spazio di una generazione i colonnelli di cavalleria (l’espansione si deve in sostanza a loro che presero terreno poco alla volta senza troppe direttive dall’alto se non poi vedersi riconosciuto il risultato a fatto compiuto) arrivarono ad occupare tutto lo spazio strategico dell’Asia centrale (poi ereditato dall’Unione Sovietica) : Samarkand e Bukhara sono occupate tra il 1865-68 (vengono liberate decine di migliaia di schiavi tra l’altro) permettendo ai confini imperiali di arrivare COMUNQUE a ridosso dell’emirato afgano.
In parole poverissime….le decisioni prese nel 1840 non fanno che rimandare la resa dei conti di una generazione : i giochi si riaprono puntualmente negli anni 70 dell’800 allorchè una delegazione russa è inviata a Kabul per trattare direttamente con l’emiro (1878 : è l’anno della mancata pace di S.Stefano dopo la guerra contro l’impero ottomano. La Russia imperiale trova molti oppositori in Europa, tra cui la GB in prima linea e i diversivi ad oriente potevano anche fungere da avvertimento).
La missione diplomatica russa a Kabul del 1878 (in realtà non invitata) e la conseguente missione britannica (che pretenderà di essere ricevuta allo stesso modo), sono i prodromi della SECONDA GUERRA ANGLO AFGANA (l’ultima).
CONTINUA
[bandiera in basso dell’Emirato , ufficialmente dal 1919-26]

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (1 e 2 di 4)_di Daniele Lanza

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (1 di 4)
Come di regola – ma nelle presenti circostanze è anche comprensibile – le bacheche di tutti i social esibiscono una variopinta carovana di considerazioni e commenti per ogni gusto e livello di comprensione. Non so esattamente quanti abbiano la visione d’insieme della storia di questo areale geostrategico : quanti hanno a mente le sequenza di eventi politici e militari che plasmano lo stato che vediamo oggi sulle carte (assieme a tutti i suoi nodi irrisolti ?)
Non si può certo rimediare da un’ennesima bacheca (!), ma tenterò di offrire una cronologia illustrata e ragionata almeno…
Prestare attenzione dunque : la sagoma politico-amministrativa che prende il nome di AFGHANISTAN sugli atlanti è una creatura relativamente recente (per il metro storico). Per esprimerla in modo molto grezzo e oltremodo sintetico, altro non è che una derivazione della decadenza e disfacimento delle potenze regionali circostanti (Persia in primissimo luogo) in età moderna – ultimi 200 anni circa – : da tale evento di lungo termine affiora l’aggregato territoriale fondamentale i cui contorni interni ed esterni sono ulteriormente temprati e rifiniti dalla pressione oceanica di due grandi forze contrapposte ovvero quella zarista da nord, in discesa dall’Asia centrale e quella britannica da sud, in avanzata dal sub-continente indiano……..tra le quali il neonato Afganistan ha la sfortuna di ritrovarsi.
Andiamo in ordine tuttavia, partiamo dal principio.
La scintilla di tutto deflagra tanto, tanto tempo fa (300 anni)…..giusto agli inizi del XVIII° secolo, quando la Persia Safavide incontra una delle sue più gravi crisi sin dalla rinascita imperiale di due secoli e mezzo prima : all’estrema periferia orientale dell’impero – nella zona che oggi sarebbe la fascia più meridionale dell’Afganistan – vi è un variegato complesso tribale autoctono, in generale appartenente all’indoeuropeo (ed iranico) ceppo PASHTUN, tra cui primeggia la tribù dei Ghilzay (غلزی)…..combattenti intrepidi dei deserti di roccia da cui emergono, lontani dallo sfarzo della corte persiana di cui non condividono nemmeno l’islam sciita/duodecimano, rimanendo ancorati alla più tradizionale Sunna (…). Tra quella gente spicca il nobile clan HOTAK (da ricordare) – che si distingue per influenza e ricchezza, tanto che il capo del casato è il rappresentante della città di Kandahar (eccoci) ed interagisce direttamente col governatore inviato dalla capitale : quest’ultimo, un georgiano convertito all’islam (ve ne erano molti nell’amministrazione imperiale) perpetua la tradizione di brutalità dei suoi predecessori fino a provocare una grande rivolta – guidata dal capo della famiglia Hotak – che si innesca nell’anno 1709 del calendario occidentale.
La rivolta inizia a KANDAHAR per l’appunto – dove il governatore viene presto ucciso -, ma anziché rimanere limitata al suo ambito regionale come ci si aspetterebbe, dilaga invece a buona parte dell’areale iranico sotto il controllo safavide, sino a minacciarne le sue più nevralgiche città tra cui la capitale, complice la debolezza del potere centrale : non c’è dubbio che siamo di fronte ad una manifestazione di grandi proporzioni della decadenza imperiale persiana, del capolinea naturale della sua dinastia dopo 250 anni di regno. Una dopo l’altra le varie roccaforti cadono fino al punto da creare una situazione surreale : l’impero safavide è letteralmente divorato dal suo interno da questa improvvisa insurrezione tribale Pashtun che arriva ad occupare buona parte del suo territorio….si parla sui manuali di storia dell’Asia centrale di un “impero HOTAK” di brevissima durata e che prende il nome del condottiero che la orchestra.
Questo stato di disordine interno – analogo forse ai barbari germani già da tempo entro i confini dell’impero romano d’occidente, ma che colgono l’occasione per ribellarvisi invaderlo dal suo interno – durerà lo spazio di una generazione : per una trentina di anni la Persia cerca di ripristinare l’ordine precedente impegnandosi in una lunga e difficile guerra contro questi audaci insorti che già si pongono come difensori di una nuova monarchia. La situazione è ancor più drammatica se si tiene conto che altre potenze – RUSSIA in primis – realizzando lo stato di estrema debolezza in cui versa lo stato safavide si fanno avanti ai 4 punti cardinali conquistando e reclamando regioni di confine (una per tutte la “campagna caspica” di Pietro il grande nel 1721-22 che rischia di strappare allo Scià tutta la costa iranica sul mare Caspio)
L’impero di questo passo potrebbe anche cessare di esistere, si intravede uno smembramento territoriale sempre più inarrestabile……tutto sembra perduto.
Eppure avviene il miracolo : questo miracolo porta il nome di Nader Shah Afshar. Costui è un condottiero militare di immenso genio strategico (pare esista una legge arcana dell’equilibrio nella storia degli stati che fa comparire un salvatore quando si è prossimi al baratro) che rimette in piedi l’impero, invertendo il processo di decadenza in corso (…). Non è persiano (ed anzi è di certo più simile agli insorti Pashtun come cultura guerriera, benchè in realtà lui sia di origine turcomanna, OGHUZ per essere precisi : quei popoli seminomadi di confine da tempo immemore incorporati nelle gerarchie militari persiane. Ammira Tamerlano e lo stesso Gengis che sono suoi modelli) Con lui inizia un lungo ciclo di guerre che tuttavia avranno esito positivo non soltanto salvando la Persia, ma anzi riportandola all’attacco su tutti i fronti prefigurando una versione allargata dell’impero come non esisteva da ere : nel giro di 20 anni di fatto neutralizza tutte le minacce interne ed esterne al paese, respingendo russi, ottomani, indiani da occidente ad oriente (si spinge fino a Bukhara e arriva persino a passare all’offensiva contro l’altrettanto decadente India Mughal, dal canto suo prossima alla colonizzazione anglo-francese)……..ma soprattutto annientando la minaccia HOTAK all’interno che imperversa da decenni.
Per ridurre all’osso una lunga vicenda militare, Nader SCONFIGGE ripetutamente gli insorti pashtun fino a ricacciarli là da dove erano partiti : nel 1738, dopo molti anni di battaglie, arriva alle mura di Kandahar che verrà assediata e presa. Con la caduta della sua capitale, la dinastia Hotak si dissolve e molti dei suoi antichi sostenitori (molti l’avevano già fatto) passano dalla parte di Nader : uno di essi – tra i più fedeli e valorosi – è un generale e capoclan pashtu di nome DURRANI (questo è il nome chiave, ci ritorniamo dieci righe più in basso) . Quest’ultimo ha rimesso insieme l’impero persiano e l’ha reso più forte di prima (di quanto fosse mai stato nella sua fase moderna. Ha letteralmente capovolto la traiettoria storica che pareva instaurata irreversibilmente, portando una nazione dall’orlo della scomparsa sulla mappe alla prospettiva di un nuovo impero continentale) : il paese gli è talmente debitore (e i regnanti precedenti talmente screditati) che è acclamato lui stesso come nuovo Scià e iniziatore di una nuova dinastia che prende il suo nome (Afshar ovvero. Sarà dunque il tempi di “Nader Shah Afshar”).
Non pensiate che vada troppo fuori del seminato : questo interessante excursus di storia persiana è indispensabile per ricostruire la nascita dei potentati che prenderanno poi il nome di Afganistan. Sorvoliamo alcune vicende andando al punto cruciale di svolta : Nader Shah Afshar, nuovo e potente monarca di Persia, cade prematuramente, assassinato in un complotto militare durante una campagna contro i curdi (siamo nell’anno 1747). Con la fine di questo astro della storia militare persiana si esaurisce ipso facto anche lo zenit di espansione territoriale raggiunto per poco tempo : molte regioni da poco conquistate si riprendono l’indipendenza perduta, un po come i regni ellenistico orientali che fanno capolino dopo la morte di Alessandro il macedone, sebbene su scala minore. In realtà l’impero persiano NON si dissolve (l’ascesa di una dinastia Zand stabilizza relativamente le cose), ma ritorna semplicemente ad essere quanto era prima di Nader Shah…..una discreta potenza regionale che non va oltre il suo limite e portata comunque verso la decadenza in un clima di arretratezza rispetto alle grandi potenze dell’occidente che giocano sul piano planetario oramai (…).
In questo clima generale di ridimensionamento persiano dopo un brevissimo zenit di gloria, si forma una nuova entità, anch’essa che porta il nome del proprio fondatore : è in questo momento che ci focalizziamo nuovamente sull’areale specificamente afgano, tornando a quel DURRANI di cui ho accennato (il generale pashtun fedele a Nader)
Ancor prima di proseguire premettiamo che questo Durrani – Ahmad Shāh Durrānī – è oggi considerato il PADRE DELL’AFGANISTAN (inteso come nazione afgana nel senso storico più ampio del termine e non dello stato contemporaneo che abbiamo davanti agli occhi)
Se a qualcuno interessa, mi faccia un cenno che proseguo coi capitoli (con questo caldo procedo solo se ne vale la pena, perdonatemi…)
CONTINUA (?)
FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (2 di 4)
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Allora, ricapitolando il paragrafo precedente : un impero persiano che versa in gravissima crisi (inizio XVIII° sec.) si vede eroso dall’interno da una rivolta tribale PASHTUN che parte da Kandahar nel cuore dell’odierno Afganistan meridionale, e dilaga fino alla stessa capitale imperiale, incapace di domarla o anche solo arginarla. L’emergenza interna rende la Persia safavide vulnerabile anche dall’esterno, facendosi avanti praticamente tutte le potenze confinanti per approfittare del momento – dallo tsar di Russia ai rajah Mughal dell’India – e avvantaggiarsi territorialmente. Sull’orlo del tracollo totale…………le sorti di Persi provvidenzialmente si invertono con l’affermarsi di un leader politico-militare di grande spessore (NADER SHAH, generale di origine turca oghuz in servizio all’impero) : quest’ultimo , praticamente il Napoleone Bonaparte nel contesto persiano della prima metà del 700, modifica il corso della storia ripristinando l’unità del paese sconfiggendo TUTTI gli avversari interni ed esteri in tutti i teatri di guerra. L’azione di Nader è talmente efficace che non soltanto viene riportata la sicurezza (assente sotto la debole dinastia safavide), ma addirittura si ritorna all’attacco e all’espansione ai 4 punti cardinali che fa presagire una nuova età d’oro da Samarkand alla Mesopotamia all’Hindustan (…). Pare sia nato il nuovo Tamerlano dopo secoli. Non a caso manda in pensione la vecchia dinasti a safavide dando inizio alla propria. L’incredibile capovolgimento di situazione non dura oltre la vita di Nader stesso che cade vittima di un complotto di ufficiali persiani, dopo una stagione storica di successi sfolgoranti. Tutto tornerà (quasi) come prima.
Questa serie di eventi ci porta al 1747.
A questo punto facciamo un piccolo passo indietro sottolineando un fatto : NADER (il grande !) nel corso della sua straordinaria ascesa e affermazione porta molti che pure si erano ribellati al decadente impero safavide ad unirsi a lui sotto il suo vessillo vincente. Una tra queste forze erano le tribù ABDALI : trattasi di una parte (la più grande) dei Pashtun ovvero la sua frazione demograficamente più consistente e combattiva. Malgrado la rivolta antipersiana di una generazione prima fosse partita proprio da una tribù pashtun, gli abdali invece si uniranno a Nader Shah una volta compreso la sua forza e il suo genio (a differenza dei suoi predecessori)……arrivando a diventare i suoi più stretti ALLEATI. Tra di essi vi è un giovane di notevoli capacità di nome Ahmad Shāh Durrānī (احمد شاه دراني) .
Lui e il fratello verranno reintegrati come gli altri abdali tra le forze imperiali di Nader, facendo una rapida carriera : al tempo della caduta di Kandahar (che pone fine alla trentennale ribellione pashtun, 1738) ha oramai guadagnato un prestigio tale che da quel momento in poi sarà aiutante di campo dello Scià e successivamente comandante di un corpo d’elite composto di abdali che segue il monarca nella sua campagna contro l’India Mughal (…). Ahmad Durrani è un brillante ufficiale, estremamente apprezzato da Nader. Quando, nel 1747, Nader Shah viene assassinato durante una campagna militare la situazione si fa di nuovo caotica : il breve “super-impero” di Nader si ridimensione rapidamente e svariate sue regioni e provincie conquistate tornano ai possessori oppure cercano l’indipendenza. Quest’ultimo è il caso delle provincie più orientali che occupano l’odierno Afganistan del sud : DURRANI (presente al momento dell’assassinio di Nader) si trova improvvisamente in una situazione di incertezza che tuttavia si chiarisce subito……….considerato estinto con Nader il suo giuramente di fedeltà alla Persia, si allontana dal campo con tutto il suo reggimento di cavalleria portando con sé il sigillo reale del defunto sovrano. Quella stessa estate viene scelto da un grande consiglio (“Ioya Jirga”) di capitribù pashtun come condottiero di tutta la nazione pashtu/afgana.
Questo è letteralmente l’INIZIO. Come leader unico acclamato dalla sua gente, Ahmad Durrani inizia subito la sua opera di conquista, approfittando tra l’altro degli anni di relativa instabilità e debolezza del potere centrale immediatamente successivi alla morte di Nader.
Durrani con una rapida serie di campagne rende definitivamente indipendenti le provincie più orientali dell’impero persiano – corrispondenti all’Afganistan del sud, il cui epicentro era Kandahar – ma questa volta in maniera più stabile rispetto alla ribellione di 40 anni prima ossia con una visione politica assai più definita e concreta : in parole povere cessa l’era dei potentati tribali tributari dell’impero persiano (a volte in rivolta) e inizia l’era di una realtà geopolitica INDIPENDENTE dalla Persia , tanto quanto dall’India Mughal adiacente. Si forma una NAZIONE AFGANA a cavallo tra la Persia imperiale ad ovest e il sub-continente indiano a sud-est : Ahmad Durrani è ritenuto nella storiografia generale come il “pater patriae”.
Durrani si conferma il brillante stratega che già lo Scià persiano aveva notato : nel giro di una manciata di anni non soltanto rende indipendente l’Afganistan propriamente detto all’epoca, ma ne estende i confini, soprattutto ad oriente andando ad intaccare l’areale geopolitico indiano allora ancora sotto lo scettro Mughal (questi già in decadenza in realtà, duramente provati dal confronto con i nativi potentati Maharata nonché con le avanguardie della colonizzazione occidentale sia inglese che francese). Tra il 1747 e il 1755 – ossia alla vigilia della guerra dei 7 anni in Europa e nord America – Durrani penetra in profondità a sud, attacca 4 volte di seguito l’India e arriva a saccheggiare DELHI, staccando fisicamente una larga porzione dell’India Mughal ai suoi legittimi regnanti : una fascia territoriale equivalente all’odierno PAKISTAN (!) più il Kashmir entra a far parte di quello che prende ufficialmente il nome di “IMPERO DURRANI”.
In breve è venuta ad affermarsi in un brevissimo lasso di tempo un’entità politica distinta da Persia e India e temuta da entrambi : in particolare dall’INDIA ora, verso le cui ampie risorse (scarsamente difese) i condottieri afgani paiono attratti. Attorno alla metà del XVIII° sec. i monarchi indiani (Maharati o Mughal che siano) paiono impotenti contro i raid di questi predoni del nord, comparativamente tanto quanto i regni indiani dell’antichità più remota lo furono di fronte alle ondate d’invasione indo-aria (…). Persino la CINA della dinastia Quing è nel mirino dei Durrani che sperano di far insorgere i sudditi musulmani e turchi del celeste impero (le campagne contro l’India tuttavia prosciugano già tutte le risorse a disposizione e non si potrà continuare, dando preminenza a quest’ultima). L’Hindu Kush è a portata di mano per qualsiasi invasione, così come la stessa Delhi sembra essere bersaglio facile di un blitz di questi cavalieri degli altipiani iranici : orbene FARE ATTENZIONE ! E’ da questo momento che si inizia a percepire l’Afganistan (o impero Durrani o comunque lo si voglia appellare) come minaccia per il sub-continente indiano o chiunque lo controlli. Dal punto di vista indiano (e quindi BRITANNICO, dato che nel secolo a venire il “protettore” dell’areale sarà la corona d’Inghilterra) l’entità afgana è equiparabile ad un falco minaccioso….sparuto in termini numerici, ma capace di penetrare all’improvviso sino ai punti più nevralgici del grande HINDUSTAN : non una forza militare sufficiente ad annettere certo………ma sufficiente eventualmente ad innescare pericolose rivolte tra la popolazione autoctona indiana contro i suoi governanti inglesi (ed in questa opera di destabilizzazione eventualmente “aiutato” da un’ulteriore potenza europea o euroasiatica come la Russia zarista : ecco, dal punto di vista di quest’ultima invece, l’entità afgana assume, viceversa, le sembianze di un’utile lancia puntata contro il cuore dell’impero indiano di proprietà del rivale britannico. Una “lancia” che può essere aiutata….). La dinastia Durrani dura per generazioni : il suo successore stabilirà per la prima volta KABUL come capitale del regno (e Peshawar come capitale d’inverno).
A questo periodo risalgono anche i più pesanti attriti con entità non islamiche : fondamentale il confronto armato tra afgani e SIKH nel nord dell’India. Allora iniziano sistematiche distruzioni a danno della cultura induista Sikh cui seguirà una fase di conflitti regolari che terminano solo con la perdita del Kashmir nel 1819 (verso la fine dell’impero Durrani). Si tratta forse dei prodromi di un’animosità che ancora oggi si nota nella popolazione musulmana afgana contro i simboli del buddismo (?) Durrani medesimo scompare nel 1772 lasciando la sua importante eredità e generazioni di successori per i 50 anni a venire, prima che nuovi contesti storici mettano al trono una nuova dinastia : siamo alle porte di un nuovo secolo……….che vede l’uomo occidentale inserirsi nella pugna monopolizzandola al punto di farla divenire un proprio riflesso (ma nel far questo, sfruttando e servendosi di conflitti secolari sempre esistiti tra popolazioni confinanti e rivali come quelli che abbiamo intravisto)
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