I CORRIDOI EUROPEI E LA STRATEGIA USA, di Luigi Longo

I CORRIDOI EUROPEI E LA STRATEGIA USA

di Luigi Longo

 

 

[…] Il secondo fattore che determina il     potenziale di una persona stupida deriva                                                                    dalla posizione di potere e di autorità che                                                                        occupa nella società. Tra burocrati,                                                                                generali, politici, capi di stato e uomini di                                                                       Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale o di                                                                      individui fondamentalmente stupidi la cui                                                                 capacità di danneggiare il prossimo fu (o è)                                                               pericolosamente accresciuta dalla posizione                         

di potere che occuparono (od occupano).                                                                       La domanda che spesso si pongono

 le persone ragionevoli è in che modo e

come mai persone stupide riescano a

raggiungere posizioni di potere e di autorità.

 

Carlo Maria Cipolla*

 

 

Tav e corridoio V europeo

 

In questo periodo si sta ri-discutendo della Tav (sono quasi trent’anni di dibattito), che fa parte del corridoio europeo V. La discussione va vanti in maniera fuorviante perché l’approntamento della infrastruttura la si astrae dal contesto dei corridoi europei che assumono valenza strategica non per l’Europa (l’Europa del secondo dopoguerra è una invenzione degli Usa) ma per gli Stati Uniti, soprattutto a partire dalla rinascita, coordinata da Vladimir Putin, della Russia ri-diventata potenza mondiale dopo l’implosione dell’ex URSS e la gestione di distruzione e di svendita di una nazione (in nome del libero mercato, sic) (1) ad opera di Boris El’cin [ (1991-1996) espressione di gruppi di potere delle diverse sfere sociali (soprattutto politica, militare, economica e finanziaria) subordinati alle strategie statunitensi di smembramento della Russia (la strategia di Zbigniew Brzezinski)] (2).

Riporto alcune considerazioni, perché le ritengo ancora valide, scritte sulla Tav nel 2012:

1.E’ a partire dagli inizi della fase multicentrica (caratterizzata dall’emergere di potenze mondiali in grado di mettere in discussione l’egemonia statunitense) che i corridoi europei assumono importanza come infrastrutture per penetrare, via Nato, ad Est dell’Europa, contrastare le potenze mondiali emergenti (soprattutto Russia e Cina). Non a caso Zbigniew Brezezinski, con chiarezza imperiale, riteneva che l’area attraversata dai Corridoi I, V e “dei due mari” sia il centro critico della sicurezza europea per: << L’obiettivo strategico fondamentale dell’America in Europa [che] consiste quindi, molto semplicemente, nel rafforzare, attraverso una più stretta collaborazione transatlantica, la testa di ponte americana sul continente euroasiatico, in modo che un’Europa allargata possa servire a estendere all’Eurasia l’ordine democratico e il sistema di cooperazione internazionale >>;

  1. << L’idea dei corridoi nasce con la caduta del Muro di Berlino per favorire la cooperazione economica fra Europa e i paesi dell’Est e predisporre le basi della loro futura integrazione nell’Unione Europea…i corridoi transeuropei rappresentano l’ossatura portante del disegno [ USA, mia precisazione] geopolitico e di integrazione economica tra l’Europa comunitaria e quella del Sud-Est ( corsivo mio). Infatti i corridoi vengono qualificati oggi come “multimodali”, indicando così che essi non corrispondono semplicemente ad un tracciato ma sono dei connettori globali (corsivo mio) attraverso cui passa il trasporto di merci, di persone, di energia e di sistemi di telecomunicazione. I corridoi multimodali dovranno altresì incentivare la creazione o il potenziamento di poli di sviluppo nelle aree da essi attraversate, al fine di rendere il progetto, nel tempo, economicamente sostenibile >>;

3.Per capire perché i nostri decisori hanno decretato la realizzazione della TAV Torino – Lione del Corridoio V, in esecuzione delle strategie dei pre-dominanti statunitensi e sub-dominanti europei, occorre situarsi, per quanto detto sopra, nel vivaio del conflitto strategico, per leggere l’insieme del Corridoio V, in particolare, e, in generale, i corridoi europei che sono infrastrutture per lo sviluppo e l’integrazione dell’Unione dei 27 Paesi. In questa fase multipolare, essi nascondono l’uso politico militare degli agenti strategici: la penetrazione ad Est per chiudere il cordone militare alla Russia, attraverso il tentativo di fare entrare nella Nato un paese importante come l’Ucraina. << Come è noto, il rafforzamento delle relazioni con gli USA crea continui motivi di conflitto con Mosca, che teme ovviamente la cosiddetta “cintura speciale” degli stati membro della NATO attorno alla Federazione Russa, dall’Ucraina alle Repubbliche Baltiche, al Caucaso, con la chiusura o la riduzione di tutti gli accessi al mare, dal Baltico al Delta del Danubio, fino al Caspio e il problema dei gasdotti >>;

4.La TAV Torino – Lione è stata oggetto da più di venti anni di: a) studi ( penso all’Università di Venezia, al Politecnico di Milano, al Politecnico di Torino); b) mobilitazione popolare “NO TAV” che ha prodotto inchieste, analisi, saperi popolari; c) apertura di diversi siti web; d) documentazione delle istituzioni locali di area vasta; e) inchieste di denunce del malaffare ( a livello di rete nazionale dei trasporti i primi e gli unici a denunciare e a capire la stortura e il malaffare dell’Alta velocità furono Luigi Preti in qualità di Presidente del PSDI e Nino Andreatta in qualità di ministro della DC); f) scelte errate dei modelli di riferimento europeo [ si è preferito, infatti, il modello francese ( la lobby con capofila la Fiat!) di nuove linee ferroviarie “dedicate”, senza curve o con raggi di curvatura molto ampi per il collegamento veloce tra le aree metropolitane, anzichè quello tedesco e svizzero, più vicino alla struttura del nostro Paese, alla nostra geografia urbana, all’assetto del territorio e alle esigenze della mobilità ]; g) strumenti finanziari ( project financing, project bond) per l’acquisizione delle risorse pubbliche senza nessun rischio per le imprese private con architettura progettuale, finanziaria, contrattuale ed economica strutturata su un grande sfruttamento finanziario delle finanze dello Stato con forti conseguenze sul territorio (rete ferroviaria, nodi di penetrazioni nelle città, stazioni, eccetera); h) solite cordate di imprenditori che si accaparrano le risorse pubbliche (i “cotonieri” di Gianfranco La Grassa: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti, dalla Lega delle cooperative al capofila Impregilo della Fiat). La TAV è stata studiata da tutti i punti di vista: economia dei trasporti, valutazioni ambientali e strategiche, relazioni territoriali, inquinamento ambientale, dissesto idrogeologico, eccetera.

5.Non c’è una ragione seria e scientifica perché la TAV Torino – Lione si debba fare!

Allora, perché la TAV va fatta? Perché si ripete quello che è successo a Sigonella con la costruzione del nodo europeo del sistema di comunicazione globale?; a Vicenza con la costruzione della più grande base USA in Europa (sui terreni dell’ex aeroporto “Dal Molin”), che insieme a quella della Nato di Aviano costituiscono una sorta di hub dell’area mediterranea?; a Taranto dove la situazione si sta indirizzando sempre più verso la trasformazione da polo siderurgico di livello europeo a polo USA-NATO?; a Niscemi (Caltanisetta) con la costruzione del Muos (Mobile User Objective System), un potentissimo sistema di comunicazione militare di ultima generazione messo a punto dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti?; per non parlare della riconsiderazione e del riposizionamento della base di Gaeta e dei comandi USA di Napoli e Taranto. Non è un caso che le basi Nato e Usa in Italia siano oggetto di interventi di elevato valore che corrisponde ad una elevata importanza delle stesse per le strategie USA;

  1. La posizione e le argomentazioni del governo italiano fanno parte, per dirla con Jacques Sapir, della “letteratura senza vergogna”. Il Governo nulla dice sulle questioni territoriali presenti nel Corridoio V: a) le problematiche diverse tra il Nord Est e il Nord Ovest ( per il nord-est la problematica del passaggio dai distretti industriali ai sistemi locali; per il nord-ovest la riconversione del territorio del triangolo industriale del boom economico ), b) le relazioni del sistema urbano e insediativo delle città in relazione al progetto ESPON (European Statial Planning Observation Network), c) la riorganizzazione dal Nord – Ovest al Nord – Est con una nuova configurazione dell’Italia settentrionale dal resto del Paese, d) lo sviluppo sbilanciato e non bilanciato dei territori che pongono domanda di infrastrutture diverse per la competitività delle imprese nel processo di mondializzazione, e) la mancanza di un briciolo di strategia su quelle che Federico Butera definisce “innovazioni senza sistemi”, eccetera. (3)

 

 

Infrastrutture di guerra e non di sviluppo

 

Il ministro Danilo Toninelli, con i soldi degli italiani come direbbe Giorgio Gaber, incarica un gruppo di lavoro per un’analisi dei costi e dei benefici sull’approntamento del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, che ha dato esito negativo: << L’analisi condotta mostra come, assumendo come dati di input relativamente alla crescita dei flussi di merce e dei passeggeri e agli effetti di cambio modale quelli non verosimili contenuti nell’analisi costi-benefici redatta nell’anno 2011, il progetto presenta una redditività fortemente negativa. >> (4). Sono seguiti degli interventi che hanno messo in evidenza le seguenti problematiche: la mancanza di pianificazione del sistema dei trasporti, la critica all’analisi dei costi-benefici sulle accise allo Stato e sui pedaggi ai concessionari autostradali, sulle possibili alternative alla rete e sul problema del perimetro della rete (5); la complessità giuridica dei regolamenti europei, degli Accordi interstatali e dei protocolli (6); la storia del conflitto territoriale (7); la relazione tra politica e imprenditori cotonieri (8). Tali interventi hanno il grosso limite di non inquadrare la Tav nel corridoio V e nell’insieme dei corridoi europei finalizzati all’allargamento della sfera di influenza degli USA, via Nato, per contrastare le potenze mondiali nelle fasi multicentrica e policentrica.

Una domanda si pone: che senso ha produrre un’analisi costi-benefici quando il vero problema è a che cosa serve e a chi serve la Tav del corridoio V? Eppure il Ministro aveva a disposizione una storia (sociale, istituzionale, politica, economica e territoriale) lunga 30 anni sulla Tav nella quale, a saperla leggere, è stato dimostrato ampiamente la inutilità dell’opera sotto tutti i punti di vista.

La discussione sulla Tav, durata lo spazio di un mattino, ha assunto toni da teatro dell’assurdo in quanto i nuovi servitori (Lega e M5S) devono, per fini meramente elettorali e di basso potere, giocare, nella logica lucacciana antitetica polare: la Lega con la ferma volontà di fare la Tav per lo sviluppo del Paese e il M5S con la ferma volontà di bloccare la Tav in nome dello sviluppo sostenibile del territorio, della lotta allo spreco del denaro pubblico e del contrasto alle grandi opere; vogliono far credere che sono loro a decidere l’approntamento o meno della Tav all’interno del corridoio V europeo, nascondendo così le strategie dei predominanti statunitensi.

A mio avviso, ci vorrebbe, piuttosto, una analisi dei costi-benefici della servitù italiana ed europea con la valutazione del tempo e dello spazio delle merci speciali (armi) e dei passeggeri qualificati (militari) dei corridoi europei per le strategie territoriali degli Stati Uniti!

La questione sarebbe, invece, quella di mettere in discussione la politica dei corridoi europei e creare reti infrastrutturali di sviluppo, di dialogo e di confronto con l’Oriente e liberarsi dalla servitù statunitense che usa i corridoi europei (infrastrutture di guerra e non di sviluppo) per le proprie strategie di dominio (qui la divisione tattica e non strategica tra gli agenti strategici interni agli Usa non c’entra per niente). Bisogna creare le condizioni per mettere in moto un possibile progetto-processo strategico di rottura della subordinazione italiana ed europea alle strategie statunitensi particolarmente pericolose perché gli Usa sono una potenza in declino irreversibile e non accettano, per la loro storia, un mondo multicentrico.

Chi deve farlo? Si cercano agenti strategici dei dominanti e agenti strategici dei dominati che si facciano carico di un progetto sia di autodeterminazione sia di cambiamento sociale a livello nazionale ed europeo (dentro o fuori dal capitale, inteso come rapporto sociale). E qui si pone la questione storica sempre attuale che Marco Della Luna sintetizza con chiarezza: << […] nel vigente sistema di potere liberale e democratico il dibattito politico pubblico è permesso, o perlomeno può aver luogo, solo dopo che tali riforme abbiano raggiunto gli obiettivi per i quali sono state introdotte, in modo che il dibattito pubblico e la politica popolare, la ‘democrazia’, non possa impedire il raggiungimento di tali effetti. Cioè i problemi vengono posti all’opinione pubblica dai mass media e divengono oggetto di dibattito ed eventualmente di lotta politica (popolare) solo quando oramai il gioco è fatto e la lotta politica è innocua, inutile. Le poche volte che la volontà popolare si è attivata per tempo dicendo no a qualche riforma calata dall’altro, come nei referendum per l’integrazione europea, i popoli sono stati fatti rivotare fino ad approvarla […] La politica popolare, di regola, viene in tal modo attivata su problemi ormai superati.

Viene attivata in modo fittizio per dare sfogo. Lotta per chiudere le porte della stalla dopo che i buoi sono stati rubati. Così il dibattito e la lotta politica sulla sovranità e sull’Euro sono stati avviati solo dopo che la sovranità era oramai stata perduta e che l’Euro aveva prodotto i suoi effetti (devastanti per alcuni paesi, e vantaggiosi per i paesi dominanti), sebbene già negli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 negli ambienti tecnici si prevedessero benissimo, dato che economisti di vaglia avvertivano che il blocco dei cambi tra le monete europee avrebbe prodotto i risultati che poi ha prodotto. Fino al 2008 l’informazione popolare, la discussione politica, l’opinione pubblica italiana erano in massa per l’Euro e per l’integrazione europea, e l’informazione sui suoi previsti effetti veniva tenuta nascosta al pubblico. Le battaglie populiste-sovraniste contro l’Euro, minacciando di uscirne, si fanno solo adesso che uscirne è praticamente impossibile, come è impossibile per un pesce uscire dalla nassa –infatti chi prospettava di uscirne ha ritirato tale progetto. La popolazione generale, del resto, essendo incompetente e attenta solo all’immediato, non prevede gli effetti delle riforme tecniche, e si accorge di essi soltanto dopo che si sono prodotti, quando li sente sulla propria pelle. Ma anche allora fatica a capirne le cause. Le informazioni sono disponibili, a chi le cerca, ma pochi lo fanno, e soprattutto non avviene il coordinamento, la mobilitazione di massa, se i partiti politici non la organizzano e se, prima ancora, i mass media non mandano alla mente della gente la narrazione che il problema esiste, che è grave, che bisogna mobilitarsi. Ma lo fanno solo a giochi fatti.>> (9).

E’ evidente che l’attuale fase storica sociale è difficile così come tutte le fasi di trapasso d’epoca, ma questa che stiamo vivendo ha un peso specifico di vuoto, di perdita sociale, di superficialità delle relazioni, di mancanza di tensione sociale al cambiamento, di assenza di una idea altra delle relazione sociali, dove diventa difficile trovare agenti strategici di cui sopra. Si è perso il buon senso delle fasi storiche passate che era l’humus sociale su cui la maggioranza della popolazione senza strumenti (di analisi, di conoscenza, di interpretazioni e di progetto) cresceva. Sembra quasi, citando quel piccolo capolavoro di Carlo Maria Cipolla, una sorta di scherzosa (mica tanto) teoria generale della stupidità umana, che si sia regolati dalle leggi della stupidità << […] Classe e casta (sia laica che ecclesiastica) furono gli istituti sociali che permisero un flusso costante di persone stupide in posizioni di potere nella maggior parte delle società preindustriali. Nel mondo industriale moderno, classe e casta vanno perdendo sempre più rilievo. Ma, al posto di classe e casta, ci sono partiti politici, burocrazia e democrazia. All’interno di un sistema democratico, le elezioni generali sono uno strumento di grande efficacia per assicurare il mantenimento stabile della frazione o fra i potenti. Va ricordato che, in base alla Seconda Legge [della stupidità, mia precisazione], la frazione o di persone che votano sono stupide e le elezioni offrono loro una magnifica occasione per danneggiare tutti gli altri, senza ottenere alcun guadagno dalla loro azione. Esse realizzano questo obiettivo, contribuendo al mantenimento del livello o di stupidi tra le persone al potere […] Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore. Nei secoli dei secoli, nella vita pubblica e privata, innumerevoli persone non hanno tenuto conto della Quarta Legge Fondamentale e ciò ha causato incalcolabili perdite all’umanità >> (10).

 

Infrastrutture e aree di influenza

 

L’Europa è attraversata da una fase di cambiamento della strategia statunitense: dal progetto dell’Unione Europea al progetto Nato (11). La Nato, come istituzione internazionale ad egemonia Usa, è lo strumento più idoneo per contrastare le aree di influenza della Cina e della Russia ed è quello più adatto alla gestione e alla programmazione delle infrastrutture ai fini delle strategie militari (12).

A riprova di quanto sostenuto sulla egemonia statunitense (via Nato) nell’Unione europea riporto alcuni stralci di un recente scritto di Manlio Dinucci sulla risoluzione imbarazzante del Parlamento europeo del 12 marzo 2019 sullo stato delle relazioni politiche tra l’Unione europea e la Russia: << […] La risoluzione del Parlamento europeo ripete fedelmente, non solo nei contenuti ma nelle stesse parole, le accuse che Usa e Nato rivolgono alla Russia. E, cosa più importante, ripete fedelmente la richiesta di bloccare il Nord Stream 2: obiettivo della strategia di Washington mirante a ridurre le forniture energetiche russe all’Unione europea per sostituirle con quelle provenienti dagli Stati uniti o comunque da compagnie statunitensi. Nello stesso quadro rientra la comunicazione della Commissione europea ai paesi membri, tra cui l’Italia, intenzionati ad aderire alla iniziativa cinese della Nuova Via della Seta: la Commissione li avverte che la Cina è un partner ma anche un concorrente economico e, cosa della massima importanza, «un rivale sistemico che promuove modelli alternativi di governance», in altre parole modelli alternativi alla governance finora dominata dalle potenze occidentali.

La Commissione avverte che occorre anzitutto «salvaguardare le infrastrutture digitali critiche da minacce potenzialmente serie alla sicurezza», derivanti da reti 5G fornite da società cinesi come la Huawei messa al bando negli Stati uniti. La Commissione europea ripete fedelmente l’avvertimento degli Stati uniti agli alleati.

Il Comandante Supremo Alleato in Europa, il generale Usa Scaparrotti, ha avvertito che le reti mobili ultraveloci di quinta generazione svolgeranno un ruolo sempre più importante nelle capacità belliche della Nato, per cui non sono ammesse «leggerezze» da parte degli alleati.

Tutto ciò conferma quale sia l’influenza che esercita il «partito americano», potente schieramento trasversale che orienta le politiche dell’Unione lungo le linee strategiche Usa/Nato.

Costruendo la falsa immagine di una Russia e una Cina minacciose, le istituzioni Ue preparano l’opinione pubblica ad accettare ciò che gli Usa a guida Trump stanno preparando per «difendere» l’Europa: gli Stati uniti – ha dichiarato alla Cnn un portavoce del Pentagono – si preparano a testare missili balistici con base a terra (proibiti dal Trattato Inf affossato da Washington), cioè nuovi euromissili che faranno di nuovo dell’Europa la base e allo stesso tempo il bersaglio di una guerra nucleare >> (13).

A ulteriore conferma del ruolo dei mass media e degli intellettuali in difesa dell’egemonia statunitense riporto, a mò di esempio, quanto affermato da Giulio Sapelli (storico economico) e da Maurizio Molinari (direttore de la stampa).

Giulio Sapelli: << La nostra sovranità è stata già messa a repentaglio da precedenti accordi fatti anni addietro, e continua ad essere messa a repentaglio da accordi che non dovrebbero essere fatti. Ribadisco che se si facesse questo accordo con la Cina, sarebbe un vulnus pericolosissimo, che ci dividerebbe dagli Stati Uniti e dall’Europa. I porti di Rotterdam e delle città anseatiche sono preoccupatissimi per il fatto che stiamo trattando per cedere ai cinesi un pezzo di porto di Trieste. Nella città di Trieste si insegna già il cinese nelle scuole. […] Precisiamo: il presidente della Repubblica si pone in antitesi rispetto all’orientamento solo di una parte di questo governo. La Lega infatti fa eccezione, come dimostra chiaramente la visita a Washington del sottosegretario Giancarlo Giorgetti, che è andato lì per ribadire la nostra fedeltà all’Alleanza Atlantica. Questo mi pare eloquente. La nostra fedeltà atlantica è fondata sul rapporto con le istituzioni americane e con il suo popolo. E il presidente della Repubblica è il miglior garante di questa fedeltà. >> (14).

Maurizio Molinari:<< […] L’Italia è diventata l’anello debole di un Occidente in difficoltà davanti a due rivali strategici diventati temibili: Cina e Russia […] Pechino e Mosca hanno portato l’Europa ad essere il terreno di scontro fra la loro duplice offensiva da un lato e gli Usa affiancati da alleati in affanno […] L’Italia si presenta come una preda ghiotta e accessibile per chi sta dando l’assalto all’Europa delle democrazie […] La sfida è armonizzare la tutela degli interessi nazionali con la nostra adesione alle alleanze UE e NATO senza le quali il nostro benessere e la nostra sicurezza sarebbero a rischio. >> (15).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* L’epigrafe è tratta da Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988, pp. 65-66.

 

 

NOTE

 

1.Tali processi rendono storicamente valide alcune fasi dell’accumulazione originaria di Karl Marx in Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, libro primo, pp.879-938.

2.Vladislav Zubok, L’idea di occidente in Russia: da Stalin a Medvedev in Vittorio Strada, a cura di, Da Lenin a Putin e oltre. La Russia tra passato e presente, Jaca Book, 2011, pp. 75-105.

  1. Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico in www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.

4.Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Gruppo di lavoro sulla valutazione dei progetti, Analisi costi-benefici del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione in www.mit.gov.it, 12/2/2019, pag.68.

5.Maria Rosa Vittadini e Anna Donati, Ancora sulla Torino-Lione: buchi nei monti, buchi nei conti in www.eddyburg.it, 23/2/2019; Maria Rosa Vittadini, Tav: obbligo di discussione democratica sui costi benefici, www.eddyburg.it, 13/3/2019.

6.Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Pasquale Pucciariello, Analisi costi-benefici del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione: Relazione tecnico-giuridica in www.mit.gov.it, 12/2/2019.

7.Guido Viale, La lunga guerra dei 30 anni che inventa la Tav in www.ilmanifesto.info, 12/3/2019; Filomena Greco, Tav, la lunga storia della Torino-Lione che il governo rimette in discussione in www.ilsole24ore.com, 16/3/2019.

8.Marco Della Luna, Probabilitav: la tassa di fondo al tunnel, www.marcodellaluna.info, 20/3/2019.

9.Marco Della Luna, Lotta politica e ingegneria sociale, www.marcodellaluna.info, 2/3/2019.

10.Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988, pp. 66 e 72.

11.Luigi Longo, Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

12.Luigi Longo, Le infrastrutture militari nella fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 19/1/2018.

13.Manlio Dinucci, Il “partito americano” nelle istituzioni Ue, www.ilmanifesto.it, 19/3/2019.

14.Giulio Sapelli, Il MoU Italia-Cina? Una piccola Vichy, ecco perché, intervista a cura di Mario Orioles, www.startmag.it, 15/3/2019.

15.Maurizio Molinari, Per indebolire l’Occidente, Cina e Russia puntano sull’Italia, www.lastampa.it, 17/3/2019.

 

L’Italia, l’Europa e il Mondo: uno spaccato della servitù volontaria ed obbligatoria funzionale alle strategie Usa nel conflitto per l’egemonia mondiale. a cura di Luigi Longo

L’Italia, l’Europa e il Mondo: uno spaccato della servitù volontaria ed obbligatoria funzionale alle strategie Usa nel conflitto per l’egemonia mondiale.

 

a cura di Luigi Longo

 

 

Le letture che propongo riguardano gli aspetti nazionali, europei e mondiali che interessano le strategie della potenza egemonica mondiale, quali sono gli Stati Uniti d’America, nell’avanzamento della fase multicentrica.

La prima è tratta dal libro di Gianni Lannes, Italia, Usa e getta. I nostri mari: una discarica americana per ordigni nucleari, Arianna editrice, Bologna, 2014 (capitoli nn.4 e 5); la seconda è un articolo di Manlio Dinucci, Washington, la ragione della forza in il Manifesto del 5 febbraio 2019.

Qui mi interessa evidenziare tre questioni.

 

La prima. La sfera militare, nella fase multicentrica sempre più incalzante, tende ad avere un ruolo determinante all’interno del blocco dominante degli agenti strategici (principali, gestionali ed esecutivi). Per inciso, i nostri agenti strategici esecutivi della sfera militare sono incastrati sotto il comando di quelli principali statunitensi sia direttamente (Pentagono, Servizi segreti, eccetera) sia indirettamente tramite Nato.

E’ nella fase multicentrica, dove prevale l’egemonia coercitiva, che si incominciano a vedere le modifiche legislative ed istituzionali orientate ad un accentramento dei poteri per accorciare la filiera del comando e rendere più efficaci ed efficienti le strategie tra le potenze mondiali, finalizzate all’espansione e al controllo delle aree di influenza nel conflitto per l’egemonia mondiale (le potenze attuali sono Usa, Cina e Russia).

 

La seconda. La fine del progetto dell’Unione Europea, strumento strategico degli Usa pensato dopo la fine della seconda guerra mondiale per il coordinamento del mondo occidentale in opposizione al mondo orientale coordinato dall’Urss, coincide con l’inizio del relativo declino della potenza mondiale egemone statunitense (preceduto da una breve fase di dominio mondiale unipolare dopo l’implosione dell’Urss durata più o meno 10 anni) che tenta un cambio di strategia, per rilanciare il suo progetto egemonico mondiale, smembrando l’apparente Unione Europea (che è solo economico-finanziaria), che, nella fase unipolare, dove prevale l’egemonia consensuale, ha avuto un ruolo di dipendenza e servitù volontaria ed obbligatoria (coordinato principalmente nell’ultima fase dalla Germania tramite il sistema monetario dell’euro) permettendo l’occupazione militare dello spazio europeo da parte degli Usa. Altro che cambiare le regole, come sostengono molti sovranisti nostrani, per riconquistare sovranità come da Costituzione per mezzo delle elezioni europee (sic), ben sapendo che i Trattati europei hanno annullato la Costituzione italiana (e non solo), e, ammesso e non concesso che la Costituzione abbia a che fare con la vita reale della popolazione.

 

La terza. La fine dell’Unione Europea [che può essere simboleggiata formalmente dal trattato inconsistente di Aquisgrana tra Germania e Francia, due nazioni espressione di agenti strategici gestionali, che, tra le altre questioni, dimenticano sia la forza di polizia multinazionale a statuto militare, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda), sia l’esercito europeo (la PeSCO), sia l’Eri (Iniziativa di rassicurazione dell’Europa), tutte sotto comando della Nato, cioè degli Usa] potrebbe comportare un ripensamento sia dell’autodeterminazione storica di una nazione sia dell’autodeterminazione storica del continente Europa.

Un ripensamento che deve partire dalla formazione di agenti strategici che siano in grado di rompere l’egemonia statunitense e guardare ad Oriente, a quelle nazioni che sono a favore di un mondo multicentrico: Russia e Cina.

Il problema delle nazioni europee è quello di essere egemonizzate e guidate da agenti strategici gestionali ed esecutivi delle strategie statunitensi per il dominio unipolare del mondo, ovverossia i tre rappresentanti Angela Merkel in Germania, Emmanuel Macron in Francia, Sergio Mattarella in Italia.

 

 

Gianni Lannes, Italia, Usa e getta. I nostri mari: una discarica americana per ordigni nucleari, Arianna editrice, Bologna, 2014:

 

Capitolo 4

 

Radiazioni belliche

 

«Non si sa che effetto avrà sul sistema immunitario dei siciliani di Lentini la radioattività delle scorie nucleari nascoste dagli americani nel suolo», si legge in un passaggio del libro Radiation and Human Health, scritto dal professor John William Gofman1, uno dei maggiori esperti in materia a livello internazionale.

A cosa si riferiva, lo scienziato nordamericano di caratura mondiale? Forse alle scorie della vicina base militare USA di Sigonella? Forse, in qualcuna delle 27 cave dismesse – etichettate “apri e chiudi” – del comprensorio locale? Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia hanno rilevato che la base di Sigonella compare tra gli enti che per anni hanno scaricato rifiuti nella discarica abusiva di Salvatore Proto, un prestanome del clan Santapaola-Ercolano2. In ogni caso, c’è poco da stare allegri. Le ricerche scientifiche concordano nel ritenere l’esposizione a grandi quantità di radiazioni il maggiore fattore di rischio per il tumore del sangue. «La leucemia è associata al plutonio, responsabile della perdita dell’immunità biologica che colpisce un numero crescente di persone», argomenta Gofman nelle sue innumerevoli pubblicazioni. Il 21 gennaio 1968 un bombardiere B-52 americano che trasportava 4 bombe H cadeva nel nord della Groenlandia, disintegrandosi e spargendo rottami radioattivi su un’area vastissima di terra e di mare.

Nel giro di qualche anno, le persone che erano venute inavvertitamente a contatto con i rottami si ammalarono di leucemia, e in quel luogo proprio la leucemia divenne una delle più frequenti cause di morte.

Se si scava, emergono delle singolari analogie con due incidenti aerei – di carattere militare – che hanno funestato la Sicilia orientale a metà degli anni Ottanta.

Il 12 luglio 1984, alle ore 14:45, proprio a Lentini, un quadrigetto Lockeed C141B “Starlifter” dell’US Air Force, con un carico segreto si schiantò ed esplose in contrada Sabuci-San Demetrio, dopo essersi levato in volo da Sigonella, diretto in Germania. Nell’impatto, morirono sul colpo 9 militari americani.

«I marines giunsero sul luogo del disastro pochi minuti dopo e ostacolarono militarmente l’intervento dei mezzi di soccorso locali e l’accesso addirittura delle Forze dell’ordine italiane; l’indagine fu sottratta alla magistratura italiana», rivela il sostituto commissario della Polizia di Stato, Enzo Laezza che l’11 agosto 1987 ha perso la figlia Manuela di appena 7 anni, colpita dalla leucemia mieloide acuta.

Le autorità americane mantennero il massimo riserbo sul carico trasportato dal velivolo. La zona in cui era precipitato l’aereo USA venne transennata e per una quarantina di giorni la statale 194, che collega Catania a Ragusa, fu interdetta al traffico veicolare.

Un altro incidente aereo, del quale però si hanno solo scarne notizie, si verificò nel giugno del 1985. Nell’occasione, un altro velivolo dell’aviazione USA, in volo verso la base di Sigonella, perse quota proprio negli agrumeti di Lentini. L’aereo si disintegrò nell’impatto con il suolo. L’area rimase impenetrabile ai comuni mortali siciliani per diversi mesi, fino a quando tutti i frammenti del velivolo furono raccolti dai marines. Cosa trasportavano, i due aerei in missione per il Pentagono sui cieli di Lentini? Oltre ai velivoli e agli uomini che persero la vita nei due incidenti, cos’altro compenetrò il suolo siciliano da allora? A bordo vi erano materiali nucleari o soltanto uranio sporco usato come contrappeso dei velivoli? Conseguenze letali a prova di scienza.

Da allora, nelle contrade agricole del comprensorio di Lentini, Carlentini e Francofonte i bambini muoiono di leucemia più che in ogni altra parte d’Italia.

«In provincia di Siracusa negli ultimi anni si è osservato un aumento della mortalità per leucemie. Estendendo l’osservazione a otto anni, i tassi provinciali si attestano intorno a quelli regionali e nazionali, a eccezione del distretto di Lentini, dove si osservano tassi di gran lunga maggiori».

L’Atlante della “mortalità per tumori” (vol. 2), realizzato da alcuni epidemiologi coordinati da Anselmo Madeddu – con il contributo dell’università di Catania – e pubblicato dall’Azienda sanitaria locale, parla chiaro.

«Questo dato nell’ultimo periodo di osservazione non solo si è consolidato, ma è cresciuto e sembra ineluttabilmente destinato a moltiplicarsi. La mortalità e l’incidenza dei tumori del sangue, in particolare leucemie e linfomi, nella zona nord della provincia siracusana – caso totalmente diverso dalla situazione di Augusta, Priolo e Gela – stanno divenendo sempre più preoccupanti.

Sarebbe utile verificare se esistono fattori di rischio legati a determinati rifiuti tossici che hanno inquinato terreni e falde freatiche non distanti dall’insediamento militare di Sigonella», denuncia il dottor Pino Bruno, un medico della CGIL. Nell’area vivono 60.000 persone, su un totale di 403.000 dell’intero territorio provinciale. Il 30 gennaio 2006, l’associazione “Manuela-Michele”, che dal 1991 si batte per fare luce sul gran numero di bimbi e ragazzini deceduti a causa di questa particolare forma di cancro, ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa, sollecitando un’indagine sulla «tangibile possibilità che i numerosi casi di leucemia possano essere causati dalla commistione di reati contro l’ambiente». Secondo l’avvocato Santi Terranova, «tocca alla magistratura indagare e capire perché in questa zona della Sicilia i bambini muoiono in percentuale maggiore rispetto ad altre aree del Belpaese». L’incandescente fascicolo giudiziario giace nelle mani del sostituto procuratore Maurizio Musco. Il pubblico ministero, da me interpellato personalmente, però, non si sbottona di un millimetro. Ben due documentati rapporti dell’Azienda sanitaria siracusana ipotizzano una causa di inquinamento scatenata dalla presenza sul territorio di «discariche illegali di scorie radioattive. Infatti le radiazioni ionizzanti sono associate a un aumento di rischio per leucemie e possono avere due origini: origini nucleari, per disintegrazione di radionuclidi naturali come il radon, o per disintegrazione di radionuclidi artificiali, come nel caso delle centrali nucleari o delle bombe».

Il primo volume dell’Atlante ha ricevuto anche la prefazione del professor Donald Maxwel Parkin, membro dell’International Agency for Research on Cancer (IARC): «Si spera che gli autori di questa eccellente monografia avranno l’energia, il tempo e la pazienza per preparare una terza monografia, quando saranno disponibili i risultati scientifici». Il terzo volume dell’Atlante, la cui presentazione era prevista per l’ottobre del 2006, ha subito un brusco stop dalla Regione sotto il regno del governatore Totò Cuffaro.

L’area orientale della Sicilia è forse un luogo contaminato dalle invisibili radiazioni? Perché la magistratura non ha aperto doverosamente un’indagine, in occasione addirittura di ben due incidenti aerei? Il governo italiano non si è preoccupato di chiarire la vicenda e ha preferito occultare i rischi? Tutti gli scenari previsti da politicanti e strateghi negli interminabili anni della Guerra Fredda, erano così saltati. Forse in un Paese membro della Nato sono rovinate al suolo alcune bombe atomiche nordamericane, sia pure disattivate?

Il comando militare “alleato” e le autorità italiane hanno sempre mantenuto un silenzio tombale sui due incidenti di Lentini. Per quale ragione? Non era successo niente di preoccupante e tutto era apparentemente tranquillo?

Altri fatti. La base militare di Sigonella ha “smaltito”, ma è meglio dire “occultato”, le proprie scorie pericolose – prodotte in enorme quantità – nell’ampio complesso militare in territorio di Lentini, nella contrada Armicci. Sempre in loco sono stati interrati i rifiuti speciali ospedalieri prodotti nel grande ospedale della vicina base americana, che si occupa della salute degli ottomila soldati di stanza a Sigonella e di tutti gli altri assegnati alle diverse basi della marina militare USA dislocate nel Mediterraneo. Chi li controlla? Nessuno. Per lo “Zio Sam” non valgono le leggi italiane e il nostro governo non ha mai fatto rispettare la sua sovranità. Neppure l’EPA (agenzia federale americana di protezione ambientale) ha l’autorità di monitorare le basi militari all’estero. All’addetto stampa della base USA, a suo tempo, abbiamo girato i quesiti, ottenendo in cambio un seccato «No comment». Comunque, era alla Giano Ambiente, una società a responsabilità limitata, che l’US Navy aveva affidato lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri speciali. Fondata nel 1983, la Giano Ambiente fa parte del Gruppo Giano SpA, con sede a Messina e ufficio di rappresentanza a Milano. L’azienda opera nel settore per la bonifica, il trasporto, lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti d’ogni genere prodotti in Italia, Germania, Francia e Austria; vanta ufficialmente un fatturato annuo di 4 milioni di euro. Essa è anche una delle aziende di fiducia della Marina militare italiana: la Direzione Commissariato in Sicilia affida alla Giano la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti delle basi navali di Augusta, Messina e Catania; l’impresa esegue inoltre lo smaltimento dei rifiuti industriali e tossici prodotti negli impianti di Priolo e Gela, di proprietà delle principali aziende petrolchimiche. Amministratore e principale azionista della Giano è il manager Gaetano Mobilia, rinviato a giudizio nell’aprile del 2004 con l’accusa di turbativa d’asta, falso e abuso d’ufficio. Già nel febbraio del 2002 il Tribunale aveva interdetto il Mobilia per due mesi dall’esercizio dell’attività d’impresa. Il nome di Gaetano Mobilia è poi comparso nel Rapporto Ecomafia 1998 di Legambiente: il manager messinese è legato alla ODM del faccendiere Giorgio Comerio, più volte sotto inchiesta per traffici di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi, ovvero per affondamenti di navi e siluri nel Mediterraneo e in alcuni Oceani, nonché occultamenti in Africa (alla voce “Somalia”, ma non solo). Mobilia ha fatto anche parte del consiglio d’amministrazione della Servizi Ambientali di Filippo Duvia, società coinvolta nello scandalo dei rifiuti occultati nella discarica di Pitelli a La Spezia. Un dato generale: soltanto il Dipartimento della difesa USA produce mediamente 800.000 t di rifiuti nocivi, cinque volte quelli prodotti dalle cinque maggiori multinazionali chimiche, senza contare quelli nucleari.

Ma dove siamo? Nei pressi dell’Etna, prossimi a un altro deposito nucleare segreto. “Saygonella”, come dicono gli yankee, è stata messa a disposizione delle Forze Armate degli Stati Uniti d’America sulla base di un Memorandum firmato l’8 aprile 1957 e mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 18 dicembre 2003, è stato predisposto segretamente un nuovo “Accordo Tecnico” tra l’Italia e gli Stati Uniti per regolare l’utilizzo delle installazioni militari della base militare. “Nassig” ricopre un ruolo fondamentale nello stoccaggio e nella manutenzione di testate e munizioni per le unità della VI flotta e i reparti dell’aviazione USA e NATO. L’infrastruttura è classificata dal Pentagono come “Special Ammunition Depot” (deposito di munizioni speciali), in quanto è a Sigonella che viene effettuato lo stoccaggio delle bombe nucleari del tipo B 57 – stimate in 100 unità – utilizzate per la guerra antisommergibile. Una ventina circa di queste testate nucleari è destinata ai velivoli Atlantic in forza al 41° Stormo dell’Aeronautica italiana. Il numero degli ordigni atomici occultati nella base siciliana cresce in particolari periodi di esercitazioni o di crisi internazionale, quando l’insediamento aeronavale funziona da centro di manutenzione per le armi nucleari destinate alle unità navali della VI flotta e ai velivoli imbarcati. «Periodicamente vengono dislocate a Sigonella anche le testate nucleari del tipo B 43, B 61 e B 83 con potenza distruttiva variabile da 1 kt a 1,45 Mt», rivela un alto ufficiale dell’US Navy, di origine italo-americana. A 39 km di distanza, si erge il vulcano Etna con le sue eruzioni e a 16 la città di Catania. La mastodontica base sorge nei territori di Lentini (Siracusa) e Motta Sant’Anastasia (Catania) e si compone di due sezioni: NAS 1 e NAS 2 (Naval Air Station 1 e 2). La prima ospita gli uffici amministrativi e di sicurezza, gli alloggi per gli ufficiali, servizi e strutture per il personale, un centro commerciale. NAS 2 sorge invece a 15 km di distanza e comprende le due zone militari operative degli USA e della NATO, un Air Terminal, altri centri residenziali, due piste d’atterraggio di 2500 m, due aree di parcheggio in grado di garantire la prontezza operativa a un’ottantina di mezzi, tra aerei da trasporto, cacciabombardieri, pattugliatori ed elicotteri da combattimento, depositi munizioni e sistemi radar e di intercettamento. A circa 3 km da NAS 2, nel territorio di Belpasso, è presente una terza area militare, in cui sono stati realizzati un centro trasmissioni e una decina di depositi sotterranei colmi di munizioni e di sistemi d’arma. Infine, nell’adiacente porto di Augusta, sovente attraccano e stazionano sommergibili a propulsione e armamento nucleare, sotto il controllo diretto del Pentagono5. L’US Naval Computer and Telecommunication Station Sicily controlla, inoltre, la base Ulmo di Niscemi, ove sono state installate 41 antenne, che collegano i reparti fra Asia sud-occidentale, Oceano Indiano e Oceano Atlantico, ed è stato allestito illegalmente il dispositivo di guerra denominato Muos, distruggendo un’antica sughereta protetta solo sulla carta.

Nel 2006, ho realizzato un’inchiesta giornalistica. Su questa base conoscitiva, i senatori Liotta, Russo Spena e Martone, il 13 settembre di sette anni fa, hanno indirizzato ai ministri dell’Ambiente, della salute e della difesa l’interrogazione a risposta scritta numero 4-026456.

A Lentini e dintorni, numerosi cittadini, e soprattutto quei genitori che hanno perso i figli, continuano a chiedere, con insistenza inascoltata, se esiste un qualche nesso di causalità tra l’elevato tasso di mortalità infantile per leucemie e i due incidenti aerei.

Perché il governo italiano non è intervenuto positivamente per garantire l’effettivo diritto alla salute, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione? Non si può fare finta di nulla o girarsi dall’altra parte, anche se le radiazioni letali sono invisibili all’occhio umano. Si tratta di un crimine latente, che sfiora i governi, ma annienta i bambini.

 

 

Capitolo 5

 

Eldorado di guerra

 

Da anni svettiamo in cima alla classifica mondiale per spese ed esportazioni militari, grazie anche alle triangolazioni che hanno fatto la fortuna dei servizi segreti, soprattutto del SISMI, e causato l’eliminazione mirata di ben quattro giornalisti, vale a dire: Graziella De Palo e Italo Toni, assassinati in Libano nel 1980, nonché Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ammazzati in Somalia nel 1994. Sicuramente in barba alla legge 185 del 1990, che vieta la vendita a Paesi in guerra o in cui non regna la democrazia. Gli ignari contribuenti sborsano milioni di euro per mantenere le basi militari dello “zio Sam”.

Gli italiani pagano con nuovi debiti gli armamenti, che la Difesa USA ci assegna. Ultimo caso: il cacciabombardiere nucleare F- 35, dal costo faraonico in perenne lievitazione.

La casta dei politicanti drena senza controllo le casse pubbliche, sempre più al verde; poi agli italiani dicono che non ci sono risorse per la scuola pubblica, la sanità collettiva, la ricerca di qualità, i servizi pubblici efficienti, il lavoro dignitoso, e tanto meno per la cultura, la famiglia, la salvaguardia ambientale e la reale crescita umana. Che succede, in un Paese a sovranità cancellata in cui i segreti di Stato coprono di tutto, sotto il peso di molteplici e schiaccianti condizionamenti? In ossequio alle pianificazioni della NATO, ecco l’ultima «Direttiva Ministeriale sulla politica militare italiana». Argomenti e contenuti del documento ufficiale, firmato dal ministro della Difesa non lasciano adito a equivoci, dubbi o fraintendimenti; eppure, il testo istituzionale passato inosservato ad analisti e mass media. Di che si tratta? Di una cosa inquietante: la preparazione a un conflitto bellico convenzionale e ibrido contro un nemico esterno (Siria, Iran e altri Stati “canaglia”), ma anche contro un problema interno. La direttiva ministeriale, emanata per il 2013, è in vigore anche nel 2014; composta da 24 pagine, si richiama prevalentemente alle normative di guerra e, in particolare, alle decisioni della NATO. Inoltre, presenta un vistoso omissis, ovvero un riferimento a una norma, che non è indicata, ma solo presunta: la “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”; infatti vi è scritto, alla lettera: «VISTO il Codice dell’ordinamento militare […] VISTO il TESTO unico delle disposizione regolamentari in materia di ordinamento militare […] VISTO il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; VISTA la Legge […………….] recante “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”; VISTE le Conclusioni del Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012; VISTA la “Chicago Summit Declaration” rilasciata dai capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Alleanza atlantica il 20 maggio 2012, EMANA per l’anno 2013 la direttiva ministeriale in merito alla politica militare, di cui all’annesso documento… IL MINISTRO Giampaolo di Paola».

Nel sommario, c’è un riferimento esplicito alle «Direttive specifiche per il potenziamento della condotta delle operazioni», ovviamente belliche; infatti, a pagina 8 (punti da 29 al 33, in alcune parti evidenziate in grassetto) si legge: «29. In ragione della mutevolezza del quadro internazionale, l’Italia deve saper concorrere a iniziative multilaterali caratterizzate da un significativo impegno militare, per affrontare in tempi brevi e in maniera risolutiva, crisi che dovessero accendersi in aree o contesti di critica rilevanza per la sicurezza del Paese e della stabilità internazionale. 30. Nel contempo, alla luce delle istanze che giungono dal Paese, le Forze Armate devono tenersi pronte ad assicurare quel supporto tecnico e organizzativo che risulta decisivo in caso di particolari emergenze nazionali, nei modi e nei tempi che verranno richiesti da parte delle autorità preposte alla gestione di tali eventi. 31. Non può essere, infine, ignorata la possibilità, per quanto remota, di un coinvolgimento del Paese e del sistema delle alleanze del quale siamo parte in un confronto militare su vasta scala e di tipo “ibrido”, ovvero che implichi sia operazioni militari convenzionali, sia operazioni nello spettro informativo, sia operazioni nel dominio cibernetico. 32. Elemento irrinunciabile della politica nazionale è anche il rispetto degli impegni assunti in sede europea, impegni finalizzati a garantire la stabilità di lungo periodo della moneta comune e, con essa, dell’intero sistema economico comunitario. Tale stabilità dev’essere considerata come essenziale per il perseguimento del fine ultimo costituito dalla sicurezza del sistema internazionale e delle relazioni politiche ed economiche che in questo si sviluppano […]». Unione dittatoriale? Il Consiglio europeo si riunisce almeno due volte a semestre a Bruxelles, nel palazzo Justus Lipsius. È composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’UE e dal presidente della Commissione europea. È presieduto dal suo presidente Herman Van Rompuy. Prende altresì parte alle riunioni l’alto rappresentante per gli Affari esteri. L’Europa del potere bancario internazionale, pilotata dalla politica di dominio imperiale degli Stati Uniti d’America, non ha nulla a che vedere con il “vecchio continente” dei popoli liberi, sovrani e pacifici; infatti, il 14 dicembre 2012 il Consiglio europeo approvava così: «Una tabella di marcia per il completamento dell’Unione economica e monetaria, basato su una maggiore integrazione e una solidarietà rafforzata. I leader dell’UE hanno esaminato anche aspetti connessi alla politica di sicurezza e di difesa comune, le strategie regionali, l’allargamento e il processo di stabilizzazione e associazione, e la Siria […]. Nella conferenza stampa che ha fatto seguito al primo giorno di vertice, Herman Van Rompuy ha presentato i risultati delle discussioni della serata: progressi sull’istituzione del meccanismo di vigilanza unico, che dovrebbe consentire la ricapitalizzazione diretta delle banche mediante il meccanismo europeo di stabilità, e la decisione di istituire un unico meccanismo di risoluzione, una volta istituito il meccanismo di vigilanza unico. Herman Van Rompuy ha annunciato che presenterà altre misure economiche, dirette a conseguire un’Unione economica e monetaria europea stabile, da discutere nel Consiglio europeo di giugno 2013. Il Consiglio europeo ha approvato una tabella di marcia per il completamento dell’Unione economica e monetaria, basato su una maggiore integrazione e una solidarietà rafforzata».

In tempi bellici vale appunto il Codice di Guerra del Patto Atlantico. Non a caso, si fa riferimento esplicito al Chicago Summit Declaration (dei capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Alleanza atlantica (maggio 2012)3. Anche i rappresentanti del Belpaese senza alcun mandato parlamentare hanno accettato di scatenare la guerra, addirittura quella nucleare.

In punta di diritto, il poco noto Trattato di Lisbona (firmato il 12 dicembre 2007 da Prodi & D’Alema) entrato in vigore nel 2009, ha superato (annullato) la Costituzione italiana, ma chi detta legge preferisce non farlo sapere al popolo sovrano solo in teoria.

Attenzione: la questione tocca il rapporto tra la democrazia rappresentativa e il potere militare, che si reggono su princìpi diversi: su libertà e controllo pubblico, la prima; su disciplina, obbedienza cieca e gerarchia, il secondo. Quale pericolo si profila, concretamente, per l’Occidente? L’instaurarsi di tendenze autoritarie, che trovano espressione nel pensiero militare e legittimazione nell’ambito politico. Imperversa infatti il modello autoritario delle élite militari che hanno preso il sopravvento sui Parlamenti, già esautorati dai governi, palesemente eterodiretti. Le democrazie rappresentative occidentali hanno subito non golpe militari, bensì svuotamenti graduali che comportano un mantenimento solo apparente di forme democratiche, che coprono in realtà una sostanza oligarchica. È in questo tipo di processo che hanno trovato un ruolo le élite militari insieme a quelle dei servizi di sicurezza, vale a dire il potere repressivo. A parte i terroristici postulati del pensiero geopolitico nordamericano, c’è un documento del Pentagono, risalente al gennaio del 1992 (Prevent the Re-Emergence of a New Rival), davvero “illuminato”. Lo scenario che vi si profila è la fine del mondo in senso occidentale, e l’involuzione del sistema verso un unico e assoluto governo mondiale, non eletto dai popoli, selezionato dal sistema di potere finanziario. È interesse vitale, per gli USA, impedire, sia in Europa che in Asia, il sorgere di una superpotenza in grado di sfidare il potere mondiale degli Stati Uniti. Tale strategia, ufficialmente smentita, traspare però nell’adozione di una struttura delle Forze armate nordamericane.

La forza militare gioca un ruolo determinante nelle relazioni internazionali, e le armi nucleari non verranno eliminate. Ecco i due punti cardine del pensiero a stelle e strisce del presente e del futuro: essere l’unica superpotenza e l’esportazione della democrazia secondo il proprio modello quale realizzazione di una nuova storia basata sulla pax americana, imposta con la forza militare. Attenzione non solo al potere finanziario, ma a quello delle élite militari. Alla luce di Eurogendfor (alla voce “Trattato di Velsen”), ovvero la gendarmeria militare europea sotto il controllo della NATO, che esautora tutte le forze di polizia, carabinieri compresi, con licenza di uccidere chiunque, a buon diritto, osi ribellarsi e di distruggere qualunque obiettivo civile senza alcun controllo della magistratura e del Parlamento.

E allora? «Per amare la pace, bisogna armare la pace. L’F-35 risponde a questa esigenza», aveva dichiarato pubblicamente il ministro della Difesa Mario Mauro, titolare nel governo Letta (dimissionato dal capo dello Stato Giorgio Napolitano nel febbraio 2014): una “dichiarazione d’amore” al jet da guerra, utilizzata senza colpo ferire dalla multinazionale Lockheed Martin per lo “F 35 show” di New York.

Doveva essere il cacciabombardiere del futuro; invece l’F35 targato Lockheed, dopo la piena adesione dei governi tricolore al dispendioso e inutile programma di riarmo bellico in violazione dell’articolo 11 della Costituzione, rischia di diventare un boomerang. Specie ora che il Pentagono lo marchia come aereo difettoso e inaffidabile, con problemi strutturali e di gestione dei software. Il tutto, all’interno di un rapporto in cui, beffa ulteriore, si stimano nettamente al ribasso i livelli occupazionali promessi dal programma stesso. Secondo l’ultimo rapporto del Pentagono (per ora il sesto della serie) Director of Operational Test and Evaluation (DOT&E) – recapitato al Congresso venerdì 24 gennaio 2014, ma anticipato due giorni prima da una nota dell’agenzia giornalistica Reuters – «le prestazioni sull’operatività complessiva continuano a essere immature e rendono necessarie soluzioni industriali con assistenza e lavori inaccettabili per operazioni di combattimento».

È il DOT&E a definire “inaccettabili” le prestazioni del software, ponendo l’accento su altri due problemi particolarmente critici, già denunciati a più riprese: la continua scarsa affidabilità del sistema logistico ALIS, del cui “terminale di ingresso” italiano il sito di Cameri dovrebbe presto cominciare a equipaggiarsi, e l’altrettanto perdurante mancanza di adeguati margini di crescita del peso del velivolo, fattore chiave per ogni sviluppo ulteriore di cellula, sistemi e quant’altro. La fusoliera, in particolare, è soggetta a crepe che richiedono continua assistenza, circostanza, questa, che – in caso di guerra o di conflitto – rischierebbe di comprometterne in modo pesante l’operatività. Sempre sul fronte dell’affidabilità della fusoliera, già un anno fa la Difesa statunitense aveva sottolineato come, nel tentativo di ridurre il peso del velivolo (è stato infatti quasi raggiunto il peso massimo, prima di compromettere le capacità tecniche previste per contratto) lo si era reso talmente fragile che, se colpito da un fulmine, sarebbe potuto esplodere. Risultato: il cacciabombardiere non può volare a meno di 45 km da un temporale. Per non parlare, poi, della scarsa visibilità posteriore e del sistema radar, incapace di inquadrare gli obiettivi. Beffardamente, sarebbero proprio gli F-35 nella versione a decollo verticale su pista corta ad avere il software più difettoso. L’Italia ha già finanziato l’acquisto di 90 caccia F-35 (inizialmente erano 131) per l’Aviazione e per la Marina: di questi, due terzi sono modelli “tradizionali” Lightning 2, un terzo invece è composto da F-35B a decollo corto e atterraggio verticale. L’intera operazione costa, nel 2014, circa 12 miliardi di euro, ma il prezzo finale, quando il velivolo sarà ormai obsoleto, è destinato ad aumentare notevolmente. L’adesione al programma JSF è stata siglata per la prima volta dall’Italia nel 1998 (con la firma dell’allora ministro Massimo D’Alema); la scelta è stata poi confermata nel 2002 – senza ratifica parlamentare – dall’esecutivo allora in atto di mister Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816)8; la decisione è stata infine confermata nel 2012 dal governo Monti. Secondo il Consiglio supremo della difesa, presieduto da Giorgio Napolitano, la prescrizione voluta dalla maggioranza non è attuabile. Il Consiglio supremo della difesa ha ribadito che la titolarità delle scelte sull’ammodernamento delle Forze armate, quindi anche sugli F-35, spetta al governo. La polemica sul programma di acquisto degli F-35 (Joint Strike Fighters) si è recentemente riaccesa dopo la notizia che il governo si appresta a dimezzare il parco dei velivoli Canadair antincendio, per mancanza di fondi. Eppure i lavori per l’assemblaggio del primo F-35 destinato all’Italia sono già cominciati (lo ha attestato «Il Sole 24 Ore») e il cacciabombardiere dovrebbe essere completato nel secondo semestre del 2015. Per i generaloni dell’Arma azzurra, questo caccia multiruolo è «un sistema d’arma di combattimento di nuova generazione economicamente sostenibile e supportabile in tutto il mondo». Nel portale online dell’Aeronautica militare è scritto: «Il Joint Strike Fighter (JSF) è un velivolo multi-ruolo con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo, Stealth, cioè a bassa osservabilità radar e quindi a elevata sopravvivenza, in grado di utilizzare un’ampia gamma di armamento e capace di operare da piste semipreparate o deteriorate, pensato e progettato per quei contesti operativi che caratterizzano le moderne operazioni militari di quest’era successiva alla Guerra Fredda. Nello specifico, il JSF può soddisfare un ampio spettro di missioni, a conferma della notevole versatilità della macchina, assolvendo compiti di operazioni di proiezione in profondità del “potere aereo”, di soppressione dei sistemi d’arma missilistici avversari e di concorso al conseguimento della superiorità aerea».

Il programma d’acquisto italiano per 131 aerei da guerra, in ossequio ai voleri del padrone nordamericano, prevede attualmente (8 maggio 2014) una previsione minima di spesa pari a ben 15 miliardi di euro (una lievitazione ingiustificata di altri 3 miliardi), equivalenti a una manovra finanziaria. Altre nazioni hanno già rinunciato. Le temute penali sul ritiro italiano non esistono. Lo ha confermato, tra l’altro, l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, che sa perfettamente quanto sia reale la subordinazione delle forze armate italiane. Perché comprare a tutti i costi – pagati però dagli ignari contribuenti – un autentico bidone, tant’è che lo stesso responsabile del programma Joint Strike Fighter, tale David Venlet, ha ammesso pubblicamente che «qualcosa non va nel programma, disegnato in modo da permettere la produzione massiccia prima ancora di terminare i test»? Infatti, secondo i responsabili tecnici USA, «il programma F35 continua a mostrare problemi tipici delle prime fasi di sperimentazione». Le reiterate richieste di ritocchi e modifiche fanno intuire che il JSF non sarà pronto per le operazioni belliche prima del 2019, ossia otto anni dopo il termine previsto. A quel punto, la macchina volante potrà essere considerata obsoleta, ma i costi saranno schizzati alle stelle.

In altri termini, il jet multiruolo, che doveva assicurare la superiorità aerea, atterrare sul ponte di una nave scendendo in verticale e di nascosto dai radar nemici, costa enormemente, ma non è ancora in grado di mantenere le promesse. In tempi di crisi speculativa, aumentano i dubbi sulla reale necessità di macchine inutili come i caccia di quinta generazione, che servono esclusivamente per fare la guerra, in violazione dell’articolo 11 della Costituzione (superata dal Trattato di Lisbona): un’altra brutta storia sconosciuta ai più, e da non dimenticare, mai.

 

 

Washington, la ragione della forza

L’arte della guerra. L’escalation Usa, dall’incoronazione di Guaidò alla sospensione del Trattato Inf

Manlio Dinucci

Due settimane fa Washington ha incoronato presidente del Venezuela Juan Guaidò, pur non avendo questi neppure partecipato alle elezioni presidenziali, e ha dichiarato illegittimo il presidente Maduro, regolarmente eletto, preannunciando la sua deportazione a Guantanamo. La scorsa settimana ha annunciato la sospensione Usa del Trattato Inf, attribuendone la responsabilità alla Russia, e ha in tal modo aperto una ancora più pericolosa fase della corsa agli armamenti nucleari. Questa settimana Washington compie un altro passo: domani 6 febbraio, la Nato sotto comando Usa si allarga ulteriormente, con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord quale 30° membro.

Non sappiamo quale altro passo farà Washington la settimana prossima, ma sappiamo qual è la direzione: una sempre più rapida successione di atti di forza con cui gli Usa e le altre potenze dell’Occidente cercano di mantenere il predominio unipolare in un mondo che sta divenendo multipolare. Tale strategia – espressione non di forza ma di debolezza, tuttavia non meno pericolosa – calpesta le più elementari norme di diritto internazionale. Caso emblematico è il varo di nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, con il «congelamento» di beni per 7 miliardi di dollari appartenenti alla compagnia petrolifera di Stato, allo scopo dichiarato di impedire al Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, di esportare petrolio.

Il Venezuela, oltre a essere uno dei sette paesi del mondo con riserve di coltan, è ricco anche di oro, con riserve stimate in oltre 15 mila tonnellate, usato dallo Stato per procurarsi valuta pregiata e acquistare farmaci, prodotti alimentari e altri generi di prima necessità. Per questo il Dipartimento del Tesoro Usa, di concerto con i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali di Unione europea e Giappone, ha condotto una operazione segreta di «esproprio internazionale» (documentata da Il Sole 24 Ore). Ha sequestrato 31 tonnellate di lingotti d’oro appartenenti allo Stato venezuelano: 14 tonnellate depositate presso la Banca d’Inghilterra, più altre 17 tonnellate trasferite a questa banca dalla tedesca Deutsche Bank che li aveva avuti in pegno a garanzia di un prestito, totalmente rimborsato dal Venezuela in valuta pregiata. Una vera e propria rapina, sullo stile di quella che nel 2011 ha portato al «congelamento» di 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici (ormai in gran parte spariti), con la differenza che quella contro l’oro venezuelano è stata condotta segretamente. Lo scopo è lo stesso: strangolare economicamente lo Stato-bersaglio per accelerarne il collasso, fomentando l’opposizione interna, e, se ciò non basta, attaccarlo militarmente dall’esterno.

Con lo stesso dispregio delle più elementari norme di condotta nei rapporti internazionali, gli Stati uniti e i loro alleati accusano la Russia di violare il Trattato Inf, senza portare alcuna prova, mentre ignorano le foto satellitari diffuse da Mosca le quali provano che gli Stati uniti avevano cominciato a preparare la produzione di missili nucleari proibiti dal Trattato, in un impianto della Raytheon, due anni prima che accusassero la Russia di violare il Trattato. Riguardo infine all’ulteriore allargamento della Nato, che sarà sancito domani, va ricordato che nel 1990, alla vigilia dello scioglimento del Patto di Varsavia, il Segretario di stato Usa James Baker assicurava il Presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov che «la Nato non si estenderà di un solo pollice ad Est». In vent’anni, dopo aver demolito con la guerra la Federazione Jugoslava, la Nato si è estesa da 16 a 30 paesi, espandendosi sempre più ad Est verso la Russia.

 

GLI USA E L’EGEMONIA DISTRUTTRICE a cura di Luigi Longo

GLI USA E L’EGEMONIA DISTRUTTRICE

a cura di Luigi Longo

 

 

L’ambigua ritirata statunitense dalla Siria e il nulla osta dato ad Israele di attaccare le installazioni militari iraniane in Siria hanno come obiettivo di fondo la guerra contro l’Iran.

Propongo, al riguardo, la lettura dell’articolo di Manlio Dinucci, apparso su il Manifesto del 22 gennaio 2019 con il titolo Israele, licenza di uccidere, perché mette in evidenza il ruolo di Israele e della Nato nelle strategie statunitensi nel Medio Oriente finalizzate alla pianificazione della prossima guerra con l’Iran, per ostacolare il temuto coordinamento tra Russia, Cina e le potenze emergenti (come l’Iran) in grado di mettere in discussione l’egemonia distruttrice degli Usa. La stessa strategia fu realizzata dagli USA per la distruzione della Libia, tramite i loro sicari: Francia, Inghilterra e Italia, con l’uccisione di Mu’ammar Gheddafi.

Così scrissi nel 2015:<< Gli USA nel 2011, tramite la Francia e l’Inghilterra (che avevano ed hanno interessi economici e di accaparramento di risorse energetiche), l’Italia (che oltre a perdere i suoi interessi economici ed energetici doveva e deve svolgere il ruolo di nazione-spazio di infrastruttura militare a disposizione dei comandi USA e USA-NATO) e i miliziani dell’IS, hanno dato la stura alla disintegrazione di una nazione e di un popolo come la Libia. Mu’ammar Gheddafi è stato eliminato per ragioni evidenti e precise: per aver portato la Libia ad essere una nazione superando le divisioni tribali; per averla fatta diventare la nazione sovrana più importante dell’Africa; per aver costruito una strategia di sviluppo non dipendente soltanto dalle risorse energetiche; per le sue azioni politiche ed economiche intraprese in Medio Oriente; per il ruolo svolto nella costruzione dell’Unione Africana (gli stati uniti d’Africa) con obiettivi strategici di autodeterminazione e di costruzione di un polo geopolitico sovrano come il continente africano, con una sua moneta, un fondo monetario africano, una banca centrale africana; per il suo anticolonialismo >>*.

Gli Usa sono una potenza mondiale devastante, distruttrice di popoli e di territori; sono l’emblema di una crisi profonda dell’Occidente che non riesce ad esprimere più un senso della vita, un’idea di rapporto sociale e di sviluppo; altro che contraddizioni: c’è il vuoto! Certo, la vita continua, nonostante tutto, ma si regge su un equilibrio dinamico sociale “sopra la follia” (parafrasando Vasco Rossi).

La mancanza di una idea di sviluppo, di un nuovo rapporto sociale trova la sua ragion d’essere nella fine di un’idea della modernità. Siamo in presenza di uno sviluppo squilibrato sotto tutti gli aspetti (umano, politico, economico, sociale, culturale, scientifico, tecnologico) che ha ridotto la modernità a un nonsense, cioè a quella incapacità di vedere le storture presenti e ad immaginare che, a partire da esse, sia possibile rilanciare una nuova modernità basata su paradigmi diversi proprio a iniziare dalla prima esperienza storica della modernità.

I nostri decisori attuali e passati sono servi volontari e, come tali, non hanno nessun interesse a pensare strategie di cambiamento per ribellarsi al padrone USA (siamo molto al di sotto della dialettica hegeliana del servo-padrone!), con l’unico risultato evidente di portare il Paese (e intendo la maggioranza della popolazione che non decide nulla!) al degrado economico, politico, sociale e culturale.

 

 

* Luigi Longo, Che ci fa l’Islamic state (IS) in Libia? Perché non lo chiediamo agli Usa, in www.conflittiestrategie.it, 2/3/2015.

 

 

 

 

 

 

 

ISRAELE, LICENZA DI UCCIDERE

L’arte della guerra. Dopo che Israele ha ufficializzato l’attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria, sui media italiani nessuno ha messo in dubbio il «diritto» di Tel Aviv di attaccare uno Stato sovrano per imporre quale governo debba avere

Manlio Dinucci

 

«Con una mossa davvero insolita, Israele ha ufficializzato l’attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria e intimato alle autorità siriane di non vendicarsi contro Israele»: così i media italiani riportano l’attacco effettuato ieri da Israele in Siria con missili da crociera e bombe guidate. «È un messaggio ai russi, che insieme all’Iran permettono la sopravvivenza al potere di Assad», commenta il Corriere della Sera.

Nessuno mette in dubbio il «diritto» di Israele di attaccare uno Stato sovrano per imporre quale governo debba avere, dopo che per otto anni gli Usa, la Nato e le monarchie del Golfo hanno cercato insieme ad Israele di demolirlo, come avevano fatto nel 2011 con lo Stato libico.

Nessuno si scandalizza che gli attacchi aerei israeliani, sabato e lunedì, abbiano provocato decine di morti, tra cui almeno quattro bambini, e gravi danni all’aeroporto internazionale di Damasco, mentre si dà risalto alla notizia che per prudenza è rimasta chiusa per un giorno, con grande dispiacere degli escursionisti, la stazione sciistica israeliana sul Monte Hermon (interamente occupato da Israele insieme alle alture del Golan).

Nessuno si preoccupa del fatto che l’intensificarsi degli attacchi israeliani in Siria, con il pretesto che essa serve come base di lancio di missili iraniani, rientra nella preparazione di una guerra su larga scala contro l’Iran, pianificata col Pentagono, i cui effetti sarebbero catastrofici.

La decisione degli Stati uniti di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano – accordo definito da Israele «la resa dell’Occidente all’asse del male guidato dall’Iran» – ha provocato una situazione di estrema pericolosità non solo per il Medio Oriente. Israele, l’unica potenza nucleare in Medioriente – non aderente al Trattato di non-proliferazione, sottoscritto invece dall’Iran – tiene puntate contro l’Iran 200 armi nucleari (come ha specificato l’ex segretario di stato Usa Colin Powell nel marzo 2015).

Tra i diversi vettori di armi nucleari, Israele possiede una prima squadra di caccia F-35A, dichiarata operativa nel dicembre 2017. Israele non solo è stato il primo paese ad acquistare il nuovo caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, ma con le proprie industrie militari svolge un ruolo importante nello sviluppo del caccia: le Israel Aerospace Industries hanno iniziato lo scorso dicembre la produzione di componenti delle ali che rendono gli F-35 invisibili ai radar.

Grazie a tale tecnologia, che sarà applicata anche agli F-35 italiani, Israele potenzia le capacità di attacco delle sue forze nucleari, integrate nel sistema elettronico Nato nel quadro del «Programma di cooperazione individuale con Israele».

Di tutto questo non vi è però notizia sui nostri media, come non vi è notizia che, oltre alle vittime provocate dall’attacco israeliano in Siria, vi sono quelle ancora più numerose provocate tra i palestinesi dall’embargo israeliano nella Striscia di Gaza. Qui – a causa del blocco, decretato dal governo israeliano, dei fondi internazionali destinati alle strutture sanitarie della Striscia – sei ospedali su tredici, tra cui i due ospedali pediatrici Nasser e Rantissi, hanno dovuto chiudere il 20 gennaio per mancanza del carburante necessario a produrre energia elettrica (nella Striscia l’erogazione tramite rete è estremamente saltuaria).

Non si sa quante vittime provocherà la deliberata chiusura degli ospedali di Gaza. Di questo non ci sarà comunque notizia sui nostri media, che hanno invece dato rilievo a quanto dichiarato dal vice-premier Matteo Salvini nella recente visita in Israele: «Tutto il mio impegno per sostenere il diritto alla sicurezza di Israele, baluardo di democrazia in Medio Oriente».

 

IL CONFLITTO STRATEGICO NELLA STORIA DI ROMA.UNA RIFLESSIONE ATTUALE. a cura di Luigi Longo (versione integrale)

Qui sotto il testo integrale curato da Luigi Longo. Coloro che avessero già letto la prima parte del testo e non intendessero rileggerla possono passare direttamente  al testo di Sallustio “la congiura di Catilina” a metà dell’articolo_Buona lettura, Giuseppe Germinario

Ho ritenuto opportuno presentare alcuni passi* tratti dal testo di Sallustio, La congiura di Catilina (Mondadori, Milano, ventisettesima edizione 2018), preceduti da alcune parti della introduzione di Lidia Storoni Mazzolani (studiosa e antichista, 1911-2006), perché li ritengo una buona riflessione per comprendere meglio la fase storica attuale del multicentrismo con il conflitto strategico tra agenti detentori del potere e del dominio (inteso nella logica gramsciana di coercizione e di consenso) per l’egemonia mondiale.

Ricordo, en passant, che la congiura di Catilina si inserisce nella fase di passaggio, nella storia di Roma, da uno Stato repubblicano ad uno Stato imperiale (dal 70 a.C. al 27 a.C.), caratterizzata da una crisi politica, sociale, economica, istituzionale e culturale, dal conflitto tra agenti strategici (con peso sempre più decisivo della sfera militare come sintesi del blocco dominante), da nuove idee di sviluppo, da nuovi rapporti sociali, da una diversa organizzazione statale e territoriale.

Di fatto la nostra fase storica è una fase di passaggio d’epoca: da una fase di egemonia mondiale statunitense (soprattutto a partire dal 1990-1991 con l’implosione non sorprendente dell’Urss), una sorta di centro di coordinamento mondiale conquistato sia con la prima guerra industriale quale fu quella di secessione (1861-1865) sia con le due guerre mondiali, ad una nuova fase, tutta da definire in termini di sviluppo e di idea di relazioni sociali reali, che vedrà l’affermarsi o di una sorta di centro di coordinamento mondiale condiviso tra le potenze configurate nella fase multicentrica o di un centro di coordinamento assoluto del vincitore del conflitto mondiale tra le potenze consolidate nella fase policentrica (spero nell’avverarsi della prima ipotesi).

La storia del genere umano sessuato [dalla preistoria fino ad oggi ad eccezione di un breve periodo del neolitico con l’autorità femminile (non potere)] va vista come un lungo legame sociale basato sui rapporti di potere e di dominio, che sono le molle del conflitto, derivanti dalle diverse sfere sociali (potere) che compongono l’insieme di una società (dominio) storicamente determinata.

La storia è, a mio avviso, da intendere in maniera aporetica (né lineare né ciclica) nella logica lagrassiana del tutto torna ma in modo diverso.

 

 

*L’impostazione e i titoli dei paragrafi sono miei.

 

 

 

Dall’Introduzione di Lidia Storoni Mazzolani

 

 

La crisi e il cambiamento sociale

 

Sallustio conobbe le leve segrete della politica, le connivenze, le tortuose miserie; ebbe modo di constatare la instabilità d’uno stato che non era più, come lo descrive schematicamente, diviso tra due gruppi d’interesse, i patrizi e la plebe, ma presentava una realtà sociale molto più complessa: dominavano ancora i <<nobiles>>, categoria alla quale si apparteneva per aver avuto uno o più consoli (o comunque alti magistrati) tra gli antenati, ma senza precisa definizione giuridica: essi si trasmettevano led alte cariche di padre in figlio. Ma contava molto anche l’alta finanza, formata di quella classe equestre che, essendo vietata ai senatori qualsiasi attività lucrosa, rappresentava la parte produttiva della società romana: erano appaltatori, banchieri, imprenditori, costruttori, importatori, creatori di società anonime – gente che non aveva le << imagines >> degli antenati nell’atrio della casa né indossava la toga pretesta e i calzari regali, ma praticamente maneggiava le finanze dell’impero, ne promuoveva l’espansione, ne sfruttava le risorse […] Impoverito, il ceto medio declinava e intanto cresceva il peso politico dell’esercito, ormai permanente e quindi finanziato dallo stato, pronto a sostenere il più prodigo, se non il più valoroso, dei comandanti; e aumentava la massa dei disoccupati, perché il fabbisogno di manodopera era saturato dagli schiavi, affluiti in gran numero dopo le conquiste, e c’erano piccoli possidenti vittime di confische e di espropri, e nobili decaduti, e politicanti frustrati, e, infine, un sottoproletariato urbano indolente e facinoroso, pronto a farsi strumento dei peggiori demagoghi: una massa di analfabeti privi di assistenza, di scuole, di educazione civile e politica, che campavano alla meglio con le distribuzioni annonarie gratuite e le regalie, e si davano al mercimonio, alla rapina; tutti sicari possibili, tutti oberati di debiti e assillati dagli usurai.[pag.7]

 

 

La sinistra

 

[…] Appunto perché viveva [Sallustio] in un’epoca di crisi e ne era consapevole, preferì farne oggetto di indagine e di riflessione anziché essere attore. Tedio e chiaroveggenza lo inibivano: a che pro impegnarsi in una competizione, nella quale prevalevano i peggiori? << adoprarsi senza alcun costrutto, farsi cattivo sangue per non accogliere che odio, è pura follia…>> […] Tutto è marcio attorno a lui: ripete mille volte che l’oligarchia senatoriale deteneva in esclusiva un potere che non sapeva esercitare; ma gli uomini della sinistra, i suoi, non valevano di più: sotto i loro slogans umanitari e i programmi innovatori, si celava soltanto il desiderio di arraffare posti lucrosi: furtim et per latrocinia […]. [pp.9-10]

 

 

 

La lotta faziosa tra i gruppi di potere

 

[…] Sallustio contesta tutto il sistema, la politica dei partiti che fa perdere di vista ai contendenti il fine supremo che la storia imponeva a Roma: governare l’impero. Non si tratta di azzannarsi per decidere chi dovrà governarlo, ma piuttosto in che modo si possa far meglio. La faziosità, l’inasprimento della lotta politica provocano sperpero di energie, discredito morale.

I due episodi [la guerra contro Giugurta e il colpo di stato preparato da Catilina, mia precisazione], più che il malgoverno d’una classe di agrari improduttivi, sono significativi di quel malessere sociale, di quel disagio economico e di quel declino morale che, per Sallustio, ebbe inizio con la caduta di Cartagine, nel 146 a.C.; venuta meno la minaccia nemica, ambizione e avidità dilagarono, disunirono gli animi.

Alle riforme promosse da Gracchi, per limitare l’estensione del latifondo senatoriale, basato su territori annessi in guerra, e dare terra ai contadini, il senato si irrigidì nel più miope conservatorismo; ne seguirono condanne, esili, iniquità di ogni genere […]. Il dovere categorico del romano – esercitare degnamente il dominio – era stato accantonato da chi pensava soltanto a sostituire la classe dirigente oligarchica con quella a cui apparteneva. [pp.10-11]

 

 

La rivoluzione dentro il sistema costituito

 

[…] l’autore [non è certo che sia Sallustio a scrivere le due lettere a Cesare, mia precisazione] riflette le istanze dei popolari: vuole la moralizzazione del costume, l’ordine, l’eliminazione di qualsiasi monopolio di potere; vuole che la ricchezza non costituisca un titolo per il potere politico; che le magistrature siano accessibili a tutti, che sia rinsanguato il senato con elementi nuovi e abolito il voto segreto. La plebe urbana, che rappresentava una seria minaccia per l’ordine e la proprietà, propone di sparpagliarla in nuove colonie, mescolandola a elementi di altri paesi: isolato dall’ambiente di Roma, trasferito in un poderetto di sua proprietà, qualsiasi sovversivo diventa conservatore. Era la tesi dei Gracchi, desiderosi di giustizia, non d’un diverso assetto costituzionale; sdegnati per l’ottuso egoismo della classe a cui appartenevano, ma non promotori di un rovesciamento totale delle istituzioni repubblicane. [pag.13]

 

 

Il debito pubblico

 

Cesare agì con molta prudenza, un occhio alle masse e uno ai ceti possidenti: dopo che aveva vinto Pompeo, era la destra a diffidare di lui. Dissipato il terrore che rinnovasse gli orrori del regime sillano, perdurava la paura che adottasse le misure radicali già prospettate da Catilina. La più grave sarebbe stata quella del condono dei debiti. Le ragioni di tutti coloro che avevano motivo di sperarlo le espone un seguace di Catilina, Manlio, con accorata fermezza, in una lettera che Sallustio sembrerebbe disposto a sottoscrivere […] In violazione della legge antica, il pretore urbano, un reazionario, aveva imposto l’esproprio e persino il carcere per gli insolvibili. Cesare decretò che gli interessi già versati fossero detratti dal capitale, alleviando la situazione dei debitori, senza peraltro annullare completamente il debito pubblico [Catilina era per l’abolizione totale del debito, precisazione mia]; ciò avrebbe comportato l’esproprio totale dei creditori, cosa che, secondo Cicerone, in realtà era nei suoi propositi sin da quando congiurava nell’ombra con Catilina: l’insicurezza del proprio avere avrebbe infirmato uno dei principi fondamentali dello stato.[pp.13-14]

 

 

Il governo del mondo

 

[…] Si può essere aperti alle rivendicazioni economiche proletarie senza sovvertire lo stato; si può auspicare il rinnovamento della società e l’abolizione dei privilegi senza rinnegare una tradizione che ha assunto un valore etico perenne; si può condannare lo sfruttamento coloniale senza abdicare alla supremazia: a prescindere dal profitto economico e dal prestigio nazionale, essa era vista come un compito storico, una missione di civiltà. Il pensiero dell’impero prevaleva su tutti gli altri: riforme sociali, rivendicazioni economiche, rivalità di potere, lotta di classe apparivano manifestazioni feconde del vivere libero, a patto che non facessero ostacolo all’adempimento dei doveri primari: difesa e amministrazione delle province. Nella scala delle priorità, la politica interna era subordinata al governo del mondo. Che si potesse raggiungere una nuova stabilità sociale basta su gerarchie capovolte era un’ipotesi che non si poneva se non sul piano dell’utopia. [pp.15-16]

 

 

La plebe strumento dei dominanti

 

Nei due episodi scelti a soggetto delle due monografie [la guerra di Giugurta e la congiura di Catilina, precisazione mia], lo scrittore ravvisò i prodomi dei due grandi sconfitti del secolo: la guerra contro Giugurta aveva messo in evidenza il contrasto di interessi tra classi medie e senato: espansionisti, i primi, per gli investimenti che andavano facendo nelle province; astensionisti, i secondi – come sempre i conservatori – per arginare la ulteriore ascesa del ceto imprenditoriale, gli abusi di potere di comandanti e proconsoli. Dei primi, si fece patrono e portavoce Mario, i secondi, di lì a poco, favorirono una dittatura di destra, quella di Silla.

La guerra civile che ne derivò << sconvolse tutte le leggi divine e umane e giunse a tal punto di violenza che solo la guerra e la devastazione dell’Italia misero fine alle guerre civili >> […] La congiura di Catilina, invece, aveva rilevato la minacciosa presenza di altre forze nella società romana, ancora disperse, ma più numerose, più temibili della borghesia italica: i facinorosi potevano puntare su di esse per impadronirsi del potere assoluto. Bisognava stroncarle con mano ferma, e cercare di appagare, nei limiti del giusto, le loro istanze, se si voleva assolvere a quella missione unica e sovrana che incombeva al governo di Roma: esercitare con giustizia il dominio del mondo. […] La società è guasta; essa contiene in gran numero seguaci potenziali d’un movimento estremista: << la plebe, vogliosa di mutamenti, era tutta per Catilina: è nella sua natura, poiché, in qualsiasi gruppo umano, chi non ha invidia chi possiede e porta ad emergere gli elementi più abbietti…a Roma, come in una fogna, erano convenuti tutti coloro che s’erano segnalati altrove per azioni criminose commesse con imprudenza …c’erano poi i nostalgici del regime sillano. Essi ricordavano bene che alcuni, da semplici gregari, erano saliti ad alti gradi o avevano ammassato fortune tali da potersi permettere un tenore di vita principesco: speravano di potere fare altrettanto, qualora avessero partecipato al colpo di stato. C’erano giovani che avevano percepito salari da fame come braccianti, e s’erano trasferiti nell’Urbe, attratti dalle largizioni pubbliche e private…>> [pp.17-18-30]

 

 

La nazione di etnie diverse

 

[…] Quell’ambiente naturale, quegli odori, quello stile di vita gli saranno [a Sallustio] parsi quelli del villaggio che diventò Roma. La città crudele e opulenta […] era, alle origini, una comunità di aborigeni e di Troiani: di stirpe diversa e d’altra lingua, alieno l’uno all’altro il costume; eppure << incredibile a dirsi, da quella moltitudine eterogenea e dispersa con la concordia fu fatta una nazione >>. [pag.19]

 

 

Il nuovo che viene dall’Oriente

 

Nel 36 a.C., Antonio mosse a sua volta contro i Parti e, in una ritirata disastrosa, perdette venticinquemila uomini. Si ridestavano nel deserto siriano i fantasmi dei caduti di Crasso: << l’Oriente tornerà a dominare >> dice l’oracolo di Istapse << e l’Occidente servirà. Il potere mondiale sarà trasferito all’Asia. Sarà cancellato il nome di Roma >>. […] Mitridate si presentava come il vero antagonista dell’impero romano: << noi >> gli fa dire Sallustio << siamo i rivali di Roma. Saremo immancabilmente i vendicatori >> […] Tale posizione gli derivava dallo stato di inferiorità sociale e di sfruttamento economico nel quale erano tenute le province: << l’Asia ci attende >> prosegue il re di Ponto << e ci invoca: a tal punto hanno saputo farsi odiare i romani con l’avidità dei proconsoli, le estorsioni dei gabellieri, le ingiustizie dei magistrati…>>.

Lo scontento dei provinciali, ammesso da altri autori, riproduce su scala più vasta, l’odio di classe che divampa all’interno; Sallustio, come faranno poi Lucano, Giovenale e Tacito, si associa a quelle proteste: << da giusto e ottimo che era, il governo di Roma è diventato crudele e intollerabile >> […] Non sono le parole di un rinunciatario astensionista, né si tratta di solidarietà umana verso gli oppressi: è apprensione presaga che un giorno quelle genti si uniranno e prenderanno il sopravvento: << ai nemici di Roma >> fa dire al console Filippo << non manca che un capo >>. [pp. 24-25]

 

 

Le maschere e i giochi del potere

 

Catilina avanza sulla scena con la maschera del sanguinario; ma, più che a persuaderci sulla verosimiglianza del suo carattere, Sallustio mira a descrivere in lui l’esempio umano espresso da una società negatrice dei valori morali, il risultato d’una dittatura cruenta. E’ divorato da un’ambizione smisurata, in uno stato nel quale i deboli non sono ascoltai; le cricche nobiliari per quattro volte l’hanno escluso dal consolato: forse, se fosse riuscito, avrebbe proposto e attuato in sede legale rivendicazioni giuste in sé, ma esasperate dalla frustrazione. E’ dominato dall’assillo del denaro, in una società che ha fatto della ricchezza il metro dei valori; un perverso, ma forse reso tale dalle ingiustizie viste e subite. […] La visuale di Sallustio è più vasta, meno legata a voci allarmistiche, a fattori contingenti; il suo assillo profondo è il decline and fall; anche a lui la congiura appare, momentaneamente, un piano criminoso, una minaccia per gli abbienti, e ci tiene a dissociare se stesso e Cesare da quelle rivendicazioni estreme; ma pone l’accento sulla singolarità dell’impresa, che rivela l’inasprimento della lotta politica: per la prima volta un audace, forse più esasperato che scellerato, attentava allo sicurezza dello stato. Sallustio vede in lui il prototipo di tutti gli avventurieri rapaci che pensano di poter osare perché altri aspirano al potere totalitario: dietro di lui, tramano in ombra Pompeo, Cesare, Crasso, uomini senza scrupoli, che si sganciano in tempo e si tengono pronti per il momento propizio. [pp. 29-33]

 

 

Sallustio, La congiura di Catilina, a cura di, Lidia Storoni Mazzolani, Mondadori, Milano, 2018.

 

 

Il potere e il declino della Repubblica

 

Ma come la repubblica, con la tenacia e la giustizia, si fu ingrandita e i re più potenti furono soggiogati e genti barbare e grandi nazioni sottomesse con la forza, e la rivale dell’impero romano, Cartagine, fu distrutta dalle fondamenta e si erano aperti tutti i mari, tutte le terre, la sorte incominciò a infierire e a sovvertire ogni cosa. Quelli stessi che avevano sopportato senza un lamento fatiche, pericoli, sorti incerte e avverse, nella tranquillità, nel benessere – beni d’altro canto desiderabili – non trovarono se non angustie e sciagure. La sete di denaro e di potere aumentò e con essa, si può dire, divamparono tutti i mali. Fu la cupidigia a spazzar via la buona fede, la rettitudine e tutte le norme del vivere onesto, indusse gli uomini all’arroganza, alla crudeltà, alla negligenza degli dèi, alla convinzione che non c’è cosa che non sia in vendita. L’ambizione indusse molti a fingere, a tener chiuso in cuore un pensiero e manifestarne un altro, a considerare amici e nemici non per i loro meriti ma per il vantaggio che potevano ricavarne, a parere onesti più che esserlo.

Sulle prime, questi vizi aumentarono lentamente; a volte, furono anche puniti. Ma poi il contagio si diffuse a guisa di pestilenza, la città mutò volto e quel governo che era il più giusto, il migliore, divenne crudele e intollerabile. [pp. 93-95]

 

 

Il denaro come mezzo del potere

 

Nei primi tempi, peraltro, più della cupidigia turbava gli animi l’ambizione, un difetto sì ma non molto lontano da un pregio: alla gloria, infatti, agli onori, al potere aspirano tutti allo stesso modo, i valenti e gli inetti; ma i primi vi tendono percorrendo la retta via, i secondi, privi di qualità, cercano di raggiungere la mèta con la frode e il raggiro. L’avidità altro non è che amore del denaro; e il saggio non ne ha desiderato mai. Essa, quasi fosse intrisa di veleni mortali, snerva il corpo e l’anima più virile; non conosce limiti né sazietà, non l’attenuano né l’opulenza né il bisogno.

Ora, quando Silla si fu impadronito del potere delle armi e ai suoi fasti inizi fecero seguito fatti atroci, tutti si misero a commettere stupri e rapine.

Chi voleva una casa, chi un podere; i vincitori non conoscevano freno né misura e si macchiavano di atti turpi e feroci a danno dei concittadini. Silla, inoltre, per attivarsi il favore delle truppe che aveva condotte in Asia, contrariamente al costume degli avi nostri le aveva trattate con indulgenza eccessiva. L’amenità dei luoghi, i piaceri, l’ozio ben presto fiaccarono lo spirito fiero di quei soldati. Laggiù per la prima volta un esercito del popolo romano sperimentò piaceri che non conosceva, l’amore e il vino; imparò ad apprezzare opere d’arte, statue, quadri, vasellame cesellato, e incominciò a portarli via sia dalle case private sia dallo Stato, a spogliare templi, a profanare ciò che apparteneva agli dèi e agli uomini. Quei soldati, dopo la vittoria, non lasciarono nulla ai vinti. La prosperità corrompe persino l’animo del saggio: potevano moderarsi nella vittoria uomini degenerati? [pp. 95-97]

 

 

Il potere della distruzione

 

Quando i beni di fortuna diventarono un merito e procurarono gloria, potere e prestigio, i valori morali incominciarono a scadere, la povertà fu ritenuta un disonore, l’integrità parve un’ostentazione malevola. Dalla ricchezza derivarono edonismo, cupidigia, tracotanza e si propagarono tra i giovani, i quali si abbandonarono ad atti di violenza, incominciarono a dar fondo al patrimonio della famiglia, a non tenere conto di ciò che possedevano, a volere ciò che apparteneva ad altri, a sovvertire le cose divine e umane, a non aver più modestia e rispetto di sé. Quando si vedono case d’abitazione, ville, costruite a misura di città, val la pena di visitare i santuari religiosi degli dèi edificati dagli avi nostri, i più religiosi tra i mortali; ai loro tempi, il lusso dei templi consisteva nella fede, quelle delle case nella gloria. Ai vinti si toglieva una sola cosa, la possibilità di nuocere. Oggi, al contrario, uomini ignavi, suprema ignominia, portano via ad alleati tutto ciò che i prodi d’un tempo, per essendo vincitori, avevano lasciato: come se esercitare il dominio consistesse nel commettere soprusi. [pp. 97-99]

 

 

 

Il degrado sociale

 

A che citare fatti che solo chi li ha visti potrà crederli veri, semplici privati che spostano monti e colmano mari, quasi, si direbbe, a ludibrio della propria ricchezza, quasi volessero dilapidare oltraggiosamente quei beni che avrebbero potuto impiegare a fini onorati? Si era introdotta in pari misura l’inclinazione a turpi amori, la consuetudine del bordello e di tutti i piaceri del genere: uomini dediti alla prostituzione, donne spudoratamente in mostra, terre e mari esplorati in cerca di vivande rare; si dormiva prima d’aver sonno, non si aspettava la fame, la sete, il freddo e la stanchezza per soddisfarli. I giovani avvezzi a questo tenore di vita, quando le sostanze erano sfumate, si davano ad azioni criminose; l’animo ormai depravato non sapeva rinunciare ai piaceri e non arretrava davanti a qualsiasi mezzo pur di procurarsi denaro da sperperare. [pag. 99]

 

 

La plebe in balia dei potenti

 

In una città così grande e così corrotta, non era stato difficile a Catilina raccogliersi attorno tutti i dissipati e i criminali e farne, si può dire, la sua guardia del corpo. Non c’era degenerato, adultero, puttaniere, scialacquatore del patrimonio al gioco, al bordello, a tavola, non c’era un indebitato fino al collo per riscattarsi dall’infamia o dal delitto, non un parricida, un sacrilego d’ogni paese, condannato o in attesa di giudizio, non uno di quei sicari e spergiuri che prosperano sul sangue dei cittadini, non c’era infine coscienza inquieta per il disonore, il bisogno, i rimorsi che non fosse dei suoi.

E se capitava a qualcuno, ancora immune da colpe, d’entrare nel giro, i rapporti quotidiani, le tentazioni, ben presto lo facevano diventare come gli altri.

Cercava, più di tutto, di attirare i giovani. Le loro menti ancora informi e malleabili cadevano facilmente nella pania; ed egli gli assecondava nelle loro passioni, a uno procurava donne, a un altro comperava cani e cavalli, insomma non lesinava denaro né badava alla dignità pur di farsene amici fidati. […] Quei giovani che, come abbiamo detto, aveva attirati a sé, li addestrava al malfare in mille modi, a prestare false testimonianze e firme false, a mancar di parola, a non curarsi dei casi della vita e dei pericoli. Quando ne aveva compromesso il buon nome e distrutto il senso d’onore, affidava loro incarichi sempre più iniqui: e se al momento non si presentava l’occasione di delinquere, circuiva innocenti e colpevoli, li dominava e per impedire che nella inattività si intorpidissero l’animo e la mano, preferiva commettere atti malvagi e crudeli senza motivo.

Sicuro di amici e complici di quella risma e per il gran numero di gente oberata di debiti per ogni dove, e perché molti veterani di Silla, dilapidato ogni avere, rimpiangevano le ruberie commesse da vincitori e auspicavano la guerra civile, Catilina concepì il disegno di impadronirsi della repubblica: in Italia, nessun esercito; Cn Pompeo alla guerra, in capo al mondo; lui stesso nutriva molte speranze di ottenere il consolato; il senato non sospettava di nulla; regnava la calma e la sicurezza; la situazione era propizia. [pp. 99-103]

Il conflitto tra potenti

 

Così [… Catilina, mia precisazione] incominciò a chiamare i suoi uno a uno. […] Li mise al corrente dei mezzi di cui disponeva, li informò che la repubblica era indifesa, fece balenare i profitti immensi d’una congiura. Come fu certo di ciò che gli premeva sapere, convoca tutti quelli che si trovarono nelle peggiori strettezze e i più spregiudicati: dell’ordine senatorio […]; dell’ordine equestre [Gli equestri, erano un ordine istituito nel II sec. a.C. Il nome deriva dall’antica organizzazione militare per censo, nella quale gli equites militavano con cavallo proprio, armi a spese proprie; alcuni furono gradatamente assorbiti dalla nobiltà, mentre altri, non riuscendo ad accedere alle cariche, acquistarono coscienza di classe e si posero in antagonismo contro la classe senatoria: questa, che possedeva soltanto terra, esercitava un potere oligarchico ormai inadeguato a un impero mondiale, ricco di forze economiche attive. Gli equites crearono l’alta finanza romana: l’invenzione delle società per azioni (alla quale, attraverso prestanome, partecipavano anche i nobili) consentiva loro di fondare grandi imprese: appalti di lavori pubblici, linee di navigazione, rete daziaria, miniere, edilizia, commercio, trasporti, forniture militari, banche, impianti portuali, era tutto nelle loro mani. La loro posizione politica non si discostava da quella del senato se non in quanto mirava ad allargare la base del governo, ma in sostanza erano altrettanto conservatori, da nota n.12 di pag. 105, corsivo mio] […] e molti altri, infine, venuti da colonie e municipi dove appartenevano alle migliori famiglie. Partecipavano alla cospirazione, ma con maggior circospezione, anche molti nobili, mossi più dalla speranza del potere che dal bisogno o da altri motivi impellenti. Gran parte dei giovani, del resto, specie tra i nobili, simpatizzava per i progetti di Catilina: pur avendo la possibilità di vivere senza pensieri, nel lusso e nei divertimenti, preferivano l’incerto al certo, la guerra alla pace.

Vi fu all’epoca, chi credette che M. Licinio Crasso non fosse all’oscuro del complotto: geloso di Pompeo, che a quell’epoca comandava un grande esercito, vedeva di buon occhio il formarsi d’una forza da contrapporre al suo potere, da qualsiasi parte venisse; qualora la congiura avesse avuto buon esito, del resto, non dubitava che sarebbe riuscito ad assumere il comando. [pp. 103-105]

 

 

La possibilità di ribellarsi

 

[…dal discorso di Catilina, mia precisazione] Da quando la repubblica è caduta in balia d’un pugno di potenti, a loro versano i tributi i re e i tetrarchi, a loro pagano imposte popoli e nazioni; gli altri, noi tutti, coraggiosi, onesti, nobili e non nobili, non siamo stati che volgo, senza autorità, senza prestigio, sottomessi a coloro i quali, se lo stato fosse efficiente, dovremmo far paura. Così, influenze, potere, onori, ricchezze appartengono a loro e a quelli che godono dei loro favori; a noi hanno lasciato sconfitte elettorali, insicurezza, processi, miseria. Fino a quando, o miei prodi, siete disposti a sopportar? Non è preferibile morire da forti che consumare ignominiosamente un’esistenza misera, oscura, fatti zimbello dell’altrui superbia?

[…] C’è un uomo al mondo, un vero uomo intendo, disposto a tollerare che vi sia chi anche dopo aver profuso tesori per edificare sul mare, per spianare i monti, guazza nell’oro mentre a noi manca persino il necessario? Che quelli mettono in comunicazione palazzo e palazzo per abitarvi, e noi non abbiamo neppure un tetto? Per quanto comprino quadri, statue, argenteria cesellata, demoliscano case nuove per costruirne altre, insomma spendano in tutti i modi, ad onta di questi sprechi non riescono mai a esaurire i patrimoni. Noi, invece, a casa siamo nelle strettezze, fuori casa nei debiti; avversità d’ogni genere e un domani ancora più fosco: che cosa ci resta, se non questa grama esistenza? [pp. 111-113]

 

 

L’esasperazione della plebe

 

[ dal messaggio di C. Manlio a Marco Re, mia precisazione] << Chiamiamo a testimoni gli dèi e gli uomini, imperator, che non abbiamo preso le armi contro la patria né vogliamo far male ad alcuno, ma per difenderci dalle ingiustizie: siamo sventurati, stretti dal bisogno. Gli usurai esosi, inesorabili, hanno tolto a molti di noi la patria, a tutti l’onore e le sostanze. A nessun è stato concesso di fruire della legge in base alla quale, secondo l’uso degli avi nostri, chi aveva perduto il patrimonio restava libero: tanta fu la crudeltà degli usurai e del pretore. I vostri antenati, presi da pietà per la plebe di Roma, spesso con i loro decreti vennero incontro ai suoi bisogni; anche recentemente, a memoria nostra, l’entità dei debiti fu tale che, con il consenso di tutti gli ottimati, il debito d’argento fu pagato in bronzo [ Nell’86 a.C., una legge emanata da L. Valerio Flacco aveva ordinato di estinguere i debiti fatti in sesterzi (d’argento) con assi (di bronzo) riducendo così l’ammontare del debito, da nota n.26 di pag.133, corsivo mio]. Spesso la plebe, desiderosa di esercitare il potere o esasperata per la durezza dei magistrati, prese le armi e fece secessione dai patrizi: ma noi non vogliamo il governo dello stato né le ricchezze, che sempre suscitano guerra e conflitti tra gli uomini. […] [pp. 131-132]

 

 

La composizione sociale della plebe

 

E non era sconvolta la mente dei congiurati soltanto. La plebe al completo, avida di cambiamenti, approvava l’iniziativa di Catilina. In questo atteggiamento, non si discostava dal suo costume: nello stato, infatti, chi non possiede nulla immancabilmente invidia i benestanti e porta alle stelle i miserabili; detesta l’antico ordine, agogna alle novità. Esasperati per la loro situazione, mirano a sovvertire ogni cosa; nei torbidi, nei disordini si trovano a loro agio, poiché la miseria rende immuni da perdite. Ma la plebe dell’Urbe, a dire il vero, si precipitava nell’avventura per molte ragioni: prima di tutto, quelli che in altri luoghi s’erano resi tristemente celebri per azioni disoneste e prepotenze, altri che avevano dilapidato vergognosamente i beni di famiglia, infine tutti quelli che avevano dovuti allontanarsi da casa per le malefatte e gli scandali, tutti erano affluiti a Roma come in una sentina. Molti si ricordarono ancora della vittoria di Silla e poiché vedevano alcuni soldati semplice essere diventati senatori, altri così ricchi da passarsela con fasto regale, speravano, se prendevano le armi, di arraffare con la vittoria una situazione analoga; i giovani di campagna, poi, che avevano sofferto la fame per il magro salario del bracciante, attirati dalle largizioni pubbliche e private, avevano preferito l’ozio di Roma alla loro dura fatica: tutta gente che prosperava sulla sventura pubblica. E quindi non c’è da meravigliarsi se uomini miserabili, di cattivi costumi, ma animati da immense speranze, gettavano allo sbaraglio se stessi e la repubblica. Poi, c’erano quelli che avevano avuti i genitori proscritti da Silla e gli averi confiscati: menomati nei diritti civili, non aspettavano certo con animo diverso l’esito della guerra; poi, tutti coloro che appartenevano a correnti [Partes, usato il più delle volte al plurale, può indicare “una parte” e cioè una divisione in classi, in categorie, in gruppi di potere; ma non ha il significato tecnico di “Partito” come s’intende oggi. Alcuni studiosi riconoscono una maggiore frequenza di questo termine riferito ai populares, factio invece ai nobiles…; ma la differenza consiste specialmente nel fatto che partes indica strati sociali più vasti, meno solidali di factio, che significa cricca con interessi e finalità identici. Nota n. 30 di pag. 139] diverse dal senato, pronti a sovvertire lo stato pur di non perdere la propria posizione influente: fu così che dopo molti anni era tornato il male tra i cittadini. [ pp. 137-139]

 

 

L’opportunismo della plebe

 

Dopo che la congiura fu scoperta, la plebe, che prima, desiderosa di rivolgimenti, era tutta per la guerra, cambiò d’avviso e si mise a imprecare contro Catilina e i suoi progetti, a portare alle stelle Cicerone, festosa e giubilante che pareva l’avessero strappata dalla schiavitù; per la verità, dalle altre azioni di guerra s’aspettava profitti più che perdite, ma l’incendio le appariva d’una crudeltà disumana e portatore di danni immensi, dato che possedeva soltanto oggetti d’uso e miseri panni. [ pag.155]

IL CONFLITTO STRATEGICO NELLA STORIA DI ROMA. UNA RIFLESSIONE ATTUALE. PRIMA PARTE a cura di Luigi Longo

 

IL CONFLITTO STRATEGICO NELLA STORIA DI ROMA. UNA RIFLESSIONE ATTUALE.

PRIMA PARTE

a cura di Luigi Longo

 

 

Ho ritenuto opportuno presentare alcuni passi* tratti dal testo di Sallustio, La congiura di Catilina (Mondadori, Milano, ventisettesima edizione 2018), preceduti da alcune parti della introduzione di Lidia Storoni Mazzolani (studiosa e antichista, 1911-2006), perché li ritengo una buona riflessione per comprendere meglio la fase storica attuale del multicentrismo con il conflitto strategico tra agenti detentori del potere e del dominio (inteso nella logica gramsciana di coercizione e di consenso) per l’egemonia mondiale.

Ricordo, en passant, che la congiura di Catilina si inserisce nella fase di passaggio, nella storia di Roma, da uno Stato repubblicano ad uno Stato imperiale (dal 70 a.C. al 27 a.C.), caratterizzata da una crisi politica, sociale, economica, istituzionale e culturale, dal conflitto tra agenti strategici (con peso sempre più decisivo della sfera militare come sintesi del blocco dominante), da nuove idee di sviluppo, da nuovi rapporti sociali, da una diversa organizzazione statale e territoriale.

Di fatto la nostra fase storica è una fase di passaggio d’epoca: da una fase di egemonia mondiale statunitense (soprattutto a partire dal 1990-1991 con l’implosione non sorprendente dell’Urss), una sorta di centro di coordinamento mondiale conquistato sia con la prima guerra industriale quale fu quella di secessione (1861-1865) sia con le due guerre mondiali, ad una nuova fase, tutta da definire in termini di sviluppo e di idea di relazioni sociali reali, che vedrà l’affermarsi o di una sorta di centro di coordinamento mondiale condiviso tra le potenze configurate nella fase multicentrica o di un centro di coordinamento assoluto del vincitore del conflitto mondiale tra le potenze consolidate nella fase policentrica (spero nell’avverarsi della prima ipotesi).

La storia del genere umano sessuato [dalla preistoria fino ad oggi ad eccezione di un breve periodo del neolitico con l’autorità femminile (non potere)] va vista come un lungo legame sociale basato sui rapporti di potere e di dominio, che sono le molle del conflitto, derivanti dalle diverse sfere sociali (potere) che compongono l’insieme di una società (dominio) storicamente determinata.

La storia è, a mio avviso, da intendere in maniera aporetica (né lineare né ciclica) nella logica lagrassiana del tutto torna ma in modo diverso.

 

 

*L’impostazione e i titoli dei paragrafi sono miei.

 

 

 

Dall’Introduzione di Lidia Storoni Mazzolani

 

 

La crisi e il cambiamento sociale

 

Sallustio conobbe le leve segrete della politica, le connivenze, le tortuose miserie; ebbe modo di constatare la instabilità d’uno stato che non era più, come lo descrive schematicamente, diviso tra due gruppi d’interesse, i patrizi e la plebe, ma presentava una realtà sociale molto più complessa: dominavano ancora i <<nobiles>>, categoria alla quale si apparteneva per aver avuto uno o più consoli (o comunque alti magistrati) tra gli antenati, ma senza precisa definizione giuridica: essi si trasmettevano led alte cariche di padre in figlio. Ma contava molto anche l’alta finanza, formata di quella classe equestre che, essendo vietata ai senatori qualsiasi attività lucrosa, rappresentava la parte produttiva della società romana: erano appaltatori, banchieri, imprenditori, costruttori, importatori, creatori di società anonime – gente che non aveva le << imagines >> degli antenati nell’atrio della casa né indossava la toga pretesta e i calzari regali, ma praticamente maneggiava le finanze dell’impero, ne promuoveva l’espansione, ne sfruttava le risorse […] Impoverito, il ceto medio declinava e intanto cresceva il peso politico dell’esercito, ormai permanente e quindi finanziato dallo stato, pronto a sostenere il più prodigo, se non il più valoroso, dei comandanti; e aumentava la massa dei disoccupati, perché il fabbisogno di manodopera era saturato dagli schiavi, affluiti in gran numero dopo le conquiste, e c’erano piccoli possidenti vittime di confische e di espropri, e nobili decaduti, e politicanti frustrati, e, infine, un sottoproletariato urbano indolente e facinoroso, pronto a farsi strumento dei peggiori demagoghi: una massa di analfabeti privi di assistenza, di scuole, di educazione civile e politica, che campavano alla meglio con le distribuzioni annonarie gratuite e le regalie, e si davano al mercimonio, alla rapina; tutti sicari possibili, tutti oberati di debiti e assillati dagli usurai.[pag.7]

 

 

La sinistra

 

[…] Appunto perché viveva [Sallustio] in un’epoca di crisi e ne era consapevole, preferì farne oggetto di indagine e di riflessione anziché essere attore. Tedio e chiaroveggenza lo inibivano: a che pro impegnarsi in una competizione, nella quale prevalevano i peggiori? << adoprarsi senza alcun costrutto, farsi cattivo sangue per non accogliere che odio, è pura follia…>> […] Tutto è marcio attorno a lui: ripete mille volte che l’oligarchia senatoriale deteneva in esclusiva un potere che non sapeva esercitare; ma gli uomini della sinistra, i suoi, non valevano di più: sotto i loro slogans umanitari e i programmi innovatori, si celava soltanto il desiderio di arraffare posti lucrosi: furtim et per latrocinia […]. [pp.9-10]

 

 

 

La lotta faziosa tra i gruppi di potere

 

[…] Sallustio contesta tutto il sistema, la politica dei partiti che fa perdere di vista ai contendenti il fine supremo che la storia imponeva a Roma: governare l’impero. Non si tratta di azzannarsi per decidere chi dovrà governarlo, ma piuttosto in che modo si possa far meglio. La faziosità, l’inasprimento della lotta politica provocano sperpero di energie, discredito morale.

I due episodi [la guerra contro Giugurta e il colpo di stato preparato da Catilina, mia precisazione], più che il malgoverno d’una classe di agrari improduttivi, sono significativi di quel malessere sociale, di quel disagio economico e di quel declino morale che, per Sallustio, ebbe inizio con la caduta di Cartagine, nel 146 a.C.; venuta meno la minaccia nemica, ambizione e avidità dilagarono, disunirono gli animi.

Alle riforme promosse da Gracchi, per limitare l’estensione del latifondo senatoriale, basato su territori annessi in guerra, e dare terra ai contadini, il senato si irrigidì nel più miope conservatorismo; ne seguirono condanne, esili, iniquità di ogni genere […]. Il dovere categorico del romano – esercitare degnamente il dominio – era stato accantonato da chi pensava soltanto a sostituire la classe dirigente oligarchica con quella a cui apparteneva. [pp.10-11]

 

 

La rivoluzione dentro il sistema costituito

 

[…] l’autore [non è certo che sia Sallustio a scrivere le due lettere a Cesare, mia precisazione] riflette le istanze dei popolari: vuole la moralizzazione del costume, l’ordine, l’eliminazione di qualsiasi monopolio di potere; vuole che la ricchezza non costituisca un titolo per il potere politico; che le magistrature siano accessibili a tutti, che sia rinsanguato il senato con elementi nuovi e abolito il voto segreto. La plebe urbana, che rappresentava una seria minaccia per l’ordine e la proprietà, propone di sparpagliarla in nuove colonie, mescolandola a elementi di altri paesi: isolato dall’ambiente di Roma, trasferito in un poderetto di sua proprietà, qualsiasi sovversivo diventa conservatore. Era la tesi dei Gracchi, desiderosi di giustizia, non d’un diverso assetto costituzionale; sdegnati per l’ottuso egoismo della classe a cui appartenevano, ma non promotori di un rovesciamento totale delle istituzioni repubblicane. [pag.13]

 

 

Il debito pubblico

 

Cesare agì con molta prudenza, un occhio alle masse e uno ai ceti possidenti: dopo che aveva vinto Pompeo, era la destra a diffidare di lui. Dissipato il terrore che rinnovasse gli orrori del regime sillano, perdurava la paura che adottasse le misure radicali già prospettate da Catilina. La più grave sarebbe stata quella del condono dei debiti. Le ragioni di tutti coloro che avevano motivo di sperarlo le espone un seguace di Catilina, Manlio, con accorata fermezza, in una lettera che Sallustio sembrerebbe disposto a sottoscrivere […] In violazione della legge antica, il pretore urbano, un reazionario, aveva imposto l’esproprio e persino il carcere per gli insolvibili. Cesare decretò che gli interessi già versati fossero detratti dal capitale, alleviando la situazione dei debitori, senza peraltro annullare completamente il debito pubblico [Catilina era per l’abolizione totale del debito, precisazione mia]; ciò avrebbe comportato l’esproprio totale dei creditori, cosa che, secondo Cicerone, in realtà era nei suoi propositi sin da quando congiurava nell’ombra con Catilina: l’insicurezza del proprio avere avrebbe infirmato uno dei principi fondamentali dello stato.[pp.13-14]

 

 

Il governo del mondo

 

[…] Si può essere aperti alle rivendicazioni economiche proletarie senza sovvertire lo stato; si può auspicare il rinnovamento della società e l’abolizione dei privilegi senza rinnegare una tradizione che ha assunto un valore etico perenne; si può condannare lo sfruttamento coloniale senza abdicare alla supremazia: a prescindere dal profitto economico e dal prestigio nazionale, essa era vista come un compito storico, una missione di civiltà. Il pensiero dell’impero prevaleva su tutti gli altri: riforme sociali, rivendicazioni economiche, rivalità di potere, lotta di classe apparivano manifestazioni feconde del vivere libero, a patto che non facessero ostacolo all’adempimento dei doveri primari: difesa e amministrazione delle province. Nella scala delle priorità, la politica interna era subordinata al governo del mondo. Che si potesse raggiungere una nuova stabilità sociale basta su gerarchie capovolte era un’ipotesi che non si poneva se non sul piano dell’utopia. [pp.15-16]

 

 

La plebe strumento dei dominanti

 

Nei due episodi scelti a soggetto delle due monografie [la guerra di Giugurta e la congiura di Catilina, precisazione mia], lo scrittore ravvisò i prodomi dei due grandi sconfitti del secolo: la guerra contro Giugurta aveva messo in evidenza il contrasto di interessi tra classi medie e senato: espansionisti, i primi, per gli investimenti che andavano facendo nelle province; astensionisti, i secondi – come sempre i conservatori – per arginare la ulteriore ascesa del ceto imprenditoriale, gli abusi di potere di comandanti e proconsoli. Dei primi, si fece patrono e portavoce Mario, i secondi, di lì a poco, favorirono una dittatura di destra, quella di Silla.

La guerra civile che ne derivò << sconvolse tutte le leggi divine e umane e giunse a tal punto di violenza che solo la guerra e la devastazione dell’Italia misero fine alle guerre civili >> […] La congiura di Catilina, invece, aveva rilevato la minacciosa presenza di altre forze nella società romana, ancora disperse, ma più numerose, più temibili della borghesia italica: i facinorosi potevano puntare su di esse per impadronirsi del potere assoluto. Bisognava stroncarle con mano ferma, e cercare di appagare, nei limiti del giusto, le loro istanze, se si voleva assolvere a quella missione unica e sovrana che incombeva al governo di Roma: esercitare con giustizia il dominio del mondo. […] La società è guasta; essa contiene in gran numero seguaci potenziali d’un movimento estremista: << la plebe, vogliosa di mutamenti, era tutta per Catilina: è nella sua natura, poiché, in qualsiasi gruppo umano, chi non ha invidia chi possiede e porta ad emergere gli elementi più abbietti…a Roma, come in una fogna, erano convenuti tutti coloro che s’erano segnalati altrove per azioni criminose commesse con imprudenza …c’erano poi i nostalgici del regime sillano. Essi ricordavano bene che alcuni, da semplici gregari, erano saliti ad alti gradi o avevano ammassato fortune tali da potersi permettere un tenore di vita principesco: speravano di potere fare altrettanto, qualora avessero partecipato al colpo di stato. C’erano giovani che avevano percepito salari da fame come braccianti, e s’erano trasferiti nell’Urbe, attratti dalle largizioni pubbliche e private…>> [pp.17-18-30]

 

 

La nazione di etnie diverse

 

[…] Quell’ambiente naturale, quegli odori, quello stile di vita gli saranno [a Sallustio] parsi quelli del villaggio che diventò Roma. La città crudele e opulenta […] era, alle origini, una comunità di aborigeni e di Troiani: di stirpe diversa e d’altra lingua, alieno l’uno all’altro il costume; eppure << incredibile a dirsi, da quella moltitudine eterogenea e dispersa con la concordia fu fatta una nazione >>. [pag.19]

 

 

Il nuovo che viene dall’Oriente

 

Nel 36 a.C., Antonio mosse a sua volta contro i Parti e, in una ritirata disastrosa, perdette venticinquemila uomini. Si ridestavano nel deserto siriano i fantasmi dei caduti di Crasso: << l’Oriente tornerà a dominare >> dice l’oracolo di Istapse << e l’Occidente servirà. Il potere mondiale sarà trasferito all’Asia. Sarà cancellato il nome di Roma >>. […] Mitridate si presentava come il vero antagonista dell’impero romano: << noi >> gli fa dire Sallustio << siamo i rivali di Roma. Saremo immancabilmente i vendicatori >> […] Tale posizione gli derivava dallo stato di inferiorità sociale e di sfruttamento economico nel quale erano tenute le province: << l’Asia ci attende >> prosegue il re di Ponto << e ci invoca: a tal punto hanno saputo farsi odiare i romani con l’avidità dei proconsoli, le estorsioni dei gabellieri, le ingiustizie dei magistrati…>>.

Lo scontento dei provinciali, ammesso da altri autori, riproduce su scala più vasta, l’odio di classe che divampa all’interno; Sallustio, come faranno poi Lucano, Giovenale e Tacito, si associa a quelle proteste: << da giusto e ottimo che era, il governo di Roma è diventato crudele e intollerabile >> […] Non sono le parole di un rinunciatario astensionista, né si tratta di solidarietà umana verso gli oppressi: è apprensione presaga che un giorno quelle genti si uniranno e prenderanno il sopravvento: << ai nemici di Roma >> fa dire al console Filippo << non manca che un capo >>. [pp. 24-25]

 

 

Le maschere e i giochi del potere

 

Catilina avanza sulla scena con la maschera del sanguinario; ma, più che a persuaderci sulla verosimiglianza del suo carattere, Sallustio mira a descrivere in lui l’esempio umano espresso da una società negatrice dei valori morali, il risultato d’una dittatura cruenta. E’ divorato da un’ambizione smisurata, in uno stato nel quale i deboli non sono ascoltai; le cricche nobiliari per quattro volte l’hanno escluso dal consolato: forse, se fosse riuscito, avrebbe proposto e attuato in sede legale rivendicazioni giuste in sé, ma esasperate dalla frustrazione. E’ dominato dall’assillo del denaro, in una società che ha fatto della ricchezza il metro dei valori; un perverso, ma forse reso tale dalle ingiustizie viste e subite. […] La visuale di Sallustio è più vasta, meno legata a voci allarmistiche, a fattori contingenti; il suo assillo profondo è il decline and fall; anche a lui la congiura appare, momentaneamente, un piano criminoso, una minaccia per gli abbienti, e ci tiene a dissociare se stesso e Cesare da quelle rivendicazioni estreme; ma pone l’accento sulla singolarità dell’impresa, che rivela l’inasprimento della lotta politica: per la prima volta un audace, forse più esasperato che scellerato, attentava allo sicurezza dello stato. Sallustio vede in lui il prototipo di tutti gli avventurieri rapaci che pensano di poter osare perché altri aspirano al potere totalitario: dietro di lui, tramano in ombra Pompeo, Cesare, Crasso, uomini senza scrupoli, che si sganciano in tempo e si tengono pronti per il momento propizio. [pp. 29-33]

 

Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica. di Luigi Longo

Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica.

di Luigi Longo

 

 

[…] la Nato non è un’alleanza fra eguali. Essa pone

                                                           necessariamente gli alleati europei in posizione di

                                                           subalternità e li costringe ad allinearsi agli obiettivi

                                                           degli Stati Uniti. […] La storia degli ultimi dieci anni,

                                                           dalla guerra del Golfo a quella del Kosovo, dimostra che

                                                           la Nato non agisce e non agirà mai se non al servizio degli

                                                           obiettivi di Washington e niente altro. La Nato interverrà

                                                           solo se gli Stati Uniti lo decidono e non agirà se essi non lo

                                                           vogliono.

Samir Amin*

 

Lo spazio della resistenza è la matrice di ogni possibile

                                                           futuro cambiamento. Da esso possiamo aspettarci, pur

                                                           se non ancora a breve termine, anche una resistenza al

                                                           bombardamento etico ed all’interventismo umanitario,

                                                           che scommettono sull’idiozia e sull’ignoranza dell’uomo.

                                                           Ma l’uomo è un animale idiota ed ignorante, quando lo è,

                                                           solo a breve termine. A lungo termine l’uomo è un animale

                                                           reattivo e intelligente.

Costanzo Preve**

 

 

L’Europa e il progetto degli Stati Uniti d’America

 

Il declino dell’Europa inizia con la prima guerra mondiale e si consolida con la seconda guerra mondiale. Con le due guerre gli Stati Uniti si sono affermati come potenza mondiale egemone il cui inizio può essere datato con la guerra di secessione (1861-1865) che < […] era stata un fenomeno importantissimo sì, ma non solo americano. La sua portata mondiale nacque dal fatto che essa fu la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea, il prodromo mal studiato e incompreso dei due conflitti mondiali in cui naufragò quel mondo di nazioni la cui comparsa aveva segnato l’inizio dell’età moderna.>> (1).

Avanzerò alcune riflessioni sulla fine dell’Unione Europea come espressione del progetto statunitense nella fase monocentrica e la metamorfosi della Nato come nuovo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica (2).

Si chiude una fase che è iniziata nel secondo dopoguerra con l’affermazione definitiva della potenza degli Stati Uniti come centro di coordinamento, prima nella << Grande Area >> comprendente l’emisfero occidentale, l’Estremo Oriente e l’ex impero britannico con le sue risorse energetiche mediorientali, e dopo, nel mondo intero, con la implosione del socialismo irrealizzato dell’URSS e del suo blocco (1990-1991, preceduta dalla caduta del muro di Berlino del 1989): << […] All’interno della Grande Area gli Stati Uniti avrebbero conservato un “potere incontrastato” e la “supremazia militare ed economica”, e avrebbero allo stesso tempo “limitato qualsiasi esercizio di sovranità” da parte degli Stati che potevano intralciare i loro piani >> (3).

L’attuale Europa è figlia del progetto ideato e attuato dagli agenti strategici statunitensi nella fase monocentrica << L’Unione Europea […] non sarebbe mai diventata tale se non fosse stata il progetto, pensato, finanziato e guidato segretamente dagli Stati Uniti, di uno Stato Federale europeo politicamente a loro legato, per non dire vassallo degli Usa, come è emerso da documenti alcuni venuti alla luce nel 1997, altri desecretati nel 2000 grazie a un ricercatore della Georgetown University di Washington, Joshua Paul. Un piano volutamente portato avanti sotto traccia e gradualmente dal dopoguerra a oggi […] >> (4).

Il progetto Europa statunitense è stato imposto sia con il consenso attraverso il Piano Marshall (1947-1948): << Il 5 giugno 1947, meno di tre mesi dopo il drammatico discorso con cui era stata enunciata la Dottrina Truman (del mondo libero sotto l’egida statunitense, mia precisazione), il segretario di stato George C. Marshall […] parlò della necessità di elaborare un nuovo piano di aiuti per l’Europa […] comitati americani ed europei occidentali formularono un piano (l’ERP) a carattere quadriennale, sotto la direzione degli Stati Uniti, che prevedeva una serie di sovvenzioni e di prestiti gestiti da un nuovo organismo del governo americano denominato Amministrazione per la Cooperazione Economica (ECA). Con l’inclusione della Germania occidentale, ma senza la partecipazione dell’Unione Sovietica e degli altri paesi dell’Europa orientale, e al di fuori della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa (ECE), l’ERP contribuì non poco a creare la violenta rottura del periodo della guerra fredda. Tale situazione si aggravò poi per la maniera provocatoria con cui gli Stati Uniti, ignorando l’ECE, delinearono e presentarono il Piano Marshall ma anche per l’intransigenza dell’URSS, che interpretò l’ERP come un’aggressiva iniziativa antisovietica. Secondo un commentatore, “con il Piano Marshall la guerra fredda assume il carattere di una guerra di posizione. Entrambe le parti si cristallizzarono su posizioni di ostilità reciproca”. Sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti cercarono reciprocamente di creare piani di ricostruzione per le loro sfere di influenze; il confronto sembrò istituzionalizzarsi con i Piani Marshall e Molotov >> (5); sia con la forza attraverso la NATO (1949) << Lo strumento principale al servizio della strategia di Washington è la Nato, il che spiega il suo sopravvivere al crollo dell’avversario contro il quale era stata creata. La Nato oggi parla in nome della “comunità internazionale”, esprimendo anche con questo il suo disprezzo per il principio democratico che governa questa comunità per mezzo dell’Onu. […] L’obiettivo ben confessato di questa strategia è di non tollerare l’esistenza di alcuna potenza capace di resistere ai comandi di Washington, e cercare quindi di smantellare tutti i paesi giudicati “troppo grandi” per creare il massimo numero di stati satelliti, prede facili per stabilire basi americane destinate alla loro “protezione”. Uno stato solo ha il diritto di essere “grande”: gli Stati Uniti […] >> (6).

 

 

 

La metamorfosi della Nato e il declino degli USA

 

Ho già accennato alla metamorfosi della Nato in precedenti scritti (7). Un cambiamento di ruolo che non è solo quello militare ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento dell’area di influenza in funzione del conflitto con le potenze mondiali emergenti (pensiamo, per esempio, alla guerra economica sulle fonti energetiche russe e sulle nuove vie della seta cinesi).

Qui voglio evidenziare soltanto il ruolo della Nato come strumento diretto di controllo per le nuove strategie statunitensi che la fase multicentrica impone, dell’Europa (8).

La Nato diventa una organizzazione che tiene insieme l’Europa, attraverso una centralizzazione della filiera del comando con una sfera decisiva militare e istituzionale-territoriale (9), per l’approntamento di opere infrastrutturali funzionali allargamento delle sfere di influenza e di contrasto alle due potenze mondiali protagoniste dell’attuale fase multicentrica (10). Inoltre gli Usa prediligono in maniera più strutturale i rapporti bilaterali con gli Stati europei (non dimentichiamo che l’Europa non è un soggetto politico) per realizzare a) le strategie del divide et impera, b) l’utilizzo delle basi militari presenti in tutta Europa soprattutto in Germania e in Italia, c) le linee guida dello sviluppo, degli Stati o di macro regioni, finalizzato alle esigenze delle proprie strategie. Una sorta di sistemi di valori territoriali (11) embedded nelle strategie statunitensi che mantengono l’unità europea con il controllo militare (le basi militari che occupano il continente Europa vorranno dire pure qualcosa!!!) ed economico (si pensi, per esempio, all’Italia e ai suoi territori e città Nato; alla spesa militare italiana integrata ed al servizio della politica militare Nato) (12).

Fabio Mini coglie parzialmente, nella misura in cui non dà il peso determinante egemonico agli Stati Uniti, la questione del rapporto Europa-Nato:<< […] Senza una vera e propria autonomia nella politica estera e di sicurezza l’Unione Europea ha dovuto affidarsi alla Nato che così ha potuto affiancare gli Stati Uniti nel loro intento d’impedire la nascita di una entità sovranazionale autonoma e indipendente. […] L’organizzazione politico-militare dell’Unione prevede una serie di duplicati di quella Nato che consentono soltanto equilibrismi, giochi di cappello e di ruolo. La stessa struttura di comando e controllo politico-militare è ridondante nel numero e inefficace nei risultati. La responsabilità di tutti i paesi membri e in particolare dell’Italia è grave non tanto per ciò che hanno combinato ma per ciò che non hanno fatto. Non hanno preteso la costituzione di un vero collante giuridico e politico fra i paesi membri, non hanno promosso la costituzione di un esercito comune, anzi tramite la politica industriale della difesa hanno incrementato la dipendenza dagli americani (corsivo mio). Non hanno resistito alle pressioni esterne e hanno permesso che l’Europa fosse di nuovo divisa in blocchi e che l’Unione Europea fosse divisa in fazioni. […] La Nato al servizio degli Stati Uniti dovrebbe essere un assetto importante. In realtà quello che conta per loro è la capacità della Nato di tenere sotto controllo tutti gli altri paesi, volenti o nolenti. Lo scopo principale della stessa alleanza è quello di mantenere la coesione dei membri. Nel momento in cui tale coesione scricchiola, l’alleanza non è più utile e le pressioni americane si spostano sui singoli Stati membri (corsivo mio). La stessa Nato diventa un tramite e una vittima consapevole e contenta di tali pressioni dirette ad aumentare i bilanci militari. Le pressioni sono esercitate anche con l’apertura di nuove missioni all’esterno o all’interno della stessa alleanza. Spesso crisi e salassi avvengono contemporaneamente e i paesi della Nato devono subirle mentre l’organizzazione della Nato, controllata dai neo-filoamericani dell’Europa orientale e settentrionale, si adopera per eliminare le eventuali e sempre deboli resistenze: un compito complementare e marginale che non conta molto nemmeno per gli stessi americani >> (13).

Sergio Romano, invece, non coglie il problema del rapporto Europa-Nato quando afferma, riprendendo la risposta di Donald Trump a Emmanuel Macron che parlava di sicurezza europea avanzando il disegno della Comunità Europea di Difesa (Sic!), << […] Ma l’organizzazione militare del Patto Atlantico, soprattutto all’epoca di Trump, non sembra essere in grado di dare una risposta convincente al problema della sicurezza europea. E’ stata usata dagli americani per guerre che si sono dimostrate sbagliate e ha avuto l’effetto, dopo la sua estensione al di là della vecchia cortina di ferro, di peggiorare i nostri rapporti con la Russia >> (14).

Il problema che non si vuole vedere per tante ragioni è che gli Usa comandano la Nato e attraverso di essa realizzano le loro strategie di conflitto strategico nell’attuale fase multicentrica. L’Europa è subordinata tramite la Nato agli Usa; pertanto, la questione da porre è: come uscire dalla sudditanza europea statunitense e quale progetto-processo di uscita dalla Nato per ri-costruire una Europa indipendente e autonoma che sappia dialogare con l’Oriente, la cui visione multicentrica delle potenze può bloccare la sciagurata fase policentrica che significa il conflitto militare (15).

Gli Usa non hanno una nuova visione del mondo per fermare il proprio declino, relativo o accentuato che sia, (16) e ri-lanciare la sfida egemonica della fase multicentrica, nè Donald Trump e i centri strategici che rappresenta sono nelle condizioni di costruire una nuova visione. Gli Usa sono una potenza in declino e non hanno la forza economica, scientifica, culturale e politica per rilanciare e costruire un nuovo modello di egemonia capace di sconfiggere le potenze mondiali che si stanno organizzando per mettere in discussione l’ordine monocentrico e affermare l’ordine mondiale multicentrico (17).

Nella fase multicentrica (a maggior ragione nella fase policentrica) la sfera militare assume un particolare peso nella formazione del blocco degli agenti strategici egemonici che delineano le linee del conflitto tra le potenze mondiali (è da approfondire la teoria, la pratica e la pratica teorica della relazione tra gli agenti strategici delle sfere sociali che configurano il blocco egemone strategico).

Nella presidenza Trump sta prevalendo la sfera militare (non è un caso la forte presenza politica di provenienza militare) che basa la sua strategia di contrasto al declino e di rilancio della egemonia solo sulla forza, avendo scelto, per la peculiare storia statunitense, la strada dell’accumulazione distruttiva (18).

 

 

Dal progetto UE della fase monocentrica al progetto Nato della fase multicentrica

 

La Nato diventa lo strumento di coordinamento dell’Europa per le strategie Usa nell’arginare le potenze mondiali della fase multicentrica, al contrario del recente passato dove era l’Unione Europea, con i suoi luoghi istituzionali e i suoi agenti strategici esecutori e gestionali, lo strumento di coordinamento.

Il progetto UE degli Usa, creato nel secondo dopoguerra, cessa la sua funzione e viene sostituito dal progetto Nato: dalla guerra di posizione della fase monocentrica alla guerra di movimento della fase multicentrica.

Con la fine del progetto UE finirà anche l’euro (19) che è un sistema monetario dipendente da quello basato sul dollaro (il denaro è un simbolo delle relazioni sociali e dei rapporti di forza nonché strumento di lotta tra dominanti): saranno i tempi delle strategie statunitensi a eliminare l’euro e le sue gerarchie di valori territoriali nazionali [si pensi al ruolo primario della Germania e a quello secondario della Francia (20)].

Una volta eliminato il sistema basato sull’euro, sostituito con quello basato sulla Nato, il vassallo tedesco e il valvassore francese dovranno trovare altri campi economico-finanziari per difendere il loro sviluppo nazionale in competizione con altre economie nazionali (valvassini); i predominanti statunitensi con il nuovo sistema monetario e le nuove architetture istituzionali (costruzione di nuove gerarchie) imporranno sia relazioni dirette con le nazioni europee, sia il loro coordinamento per la realizzazione delle loro strategie.

I valvassini liberati dal sistema dell’euro possono competere e valorizzare le loro qualità sociali e le loro peculiari risorse storiche e possono scardinare e comporre nuove gerarchie basate su nuovi sistemi territoriali di valore.

Per l’Italia e la Germania la situazione è particolare, come racconta Marco Della Luna << […] l’Italia è collocata, per ragioni storiche di sconfitte militari, in una posizione di sudditanza rispetto a certe potenze straniere e ai loro interessi (lo dimostra il fatto che, a 73 anni dalla II Guerra Mondiale, è ancora occupata da circa 130 basi militari statunitensi), cioè si trova in posizione subordinata entro la gerarchia degli Stati, e deve obbedire entro un foedus iniquum (patto di alleanza asimmetrico, mia precisazione), per dirla nel latino giuridico. Si sa che, per Italia e Germania, esistono in tal senso protocolli aggiunti al trattato di pace con gli Alleati, il cui contenuto non è pubblico, e che vengono fatti sottoscrivere ai capi del governo. I suoi presidenti della Repubblica e i predetti magistrati sono garanti di questa obbedienza agli interessi stranieri e non fanno altro che impedire che i governi vadano contro tale condizione di sottomissione esponendo il Paese a ritorsioni che sarebbero peggiori della sottomissione stessa. […] In ogni caso, bisogna anche fare un’opera di divulgazione-ufficializzazione dei trattati e dei protocolli riservati che vincolano e sottomettono l’Italia a comandi e interessi stranieri, altrimenti ogni ragionamento politico ed economico rimane minato dalla grande incognita costituita da tali obblighi, e di importanti atti politici contrari agli interessi nazionali rimarrà sempre il dubbio se siano stati compiuti per costrizione, per tradimento o per incompetenza. >> (21).

L’attuale Europa è finita. E’ stata ridotta ad una espressione geografica (22) a servizio delle strategie statunitensi e, per la prima volta nella sua storia, non sarà protagonista del conflitto tra le potenze mondiali che si formeranno nella fase multicentrica e in quella policentrica. Sarà, ahinoi, solo un campo di battaglia del conflitto mondiale.

All’interno di questo cambiamento europeo che resta, comunque, subordinato alle strategie dei pre-dominanti (gli agenti strategici principali) statunitensi, mancano dei decisori che vogliono attuare un processo di sviluppo nazionale autodeterminato, a partire dalla creazione di uno spazio della resistenza, capace di incunearsi nei giochi che si aprono nella fase multicentrica per proporre un progetto e una strategia di uscita dalla servitù volontaria verso gli USA e guardare a Oriente per le possibili costruzioni di nuove relazioni, di nuove idee di sviluppo, di nuove idee di società, di una Europa diversa (23). Purtroppo, ahinoi, questi decisori non si vedono in giro per l’Europa né si vedranno nel breve-medio periodo, considerata la situazione di degrado culturale, politico e sociale. I dominanti possono fare ancora sonni tranquilli.

Resta un problema storico da affrontare e riguarda i soggetti che si formano nelle varie fasi oggettive della storia nazionale, europea e mondiale. La domanda che si pone è: come i soggetti (sessuati) di trasformazione arrivano, sono pronti alle aperture delle finestre, delle crepe che le fasi multicentrica e policentrica necessariamente apriranno?

Oggi soffriamo la mancanza di una teoria adeguata che ci orienti nella pratica e nella pratica teorica per pensare un progetto-processo di autonomia e di autodeterminazione nazionale ed europeo. Siamo ridotti a scoprire, con le elezioni statunitensi, europee e nazionali (sic), l’esistenza di stati profondi (i luoghi istituzionali dove gli agenti strategici principali, esecutivi e gestionali realizzano il dominio) e a riscoprire l’illusione ideologica che con la vittoria elettorale, cioè la presa del potere non del dominio, gli obiettivi indicati (a prescindere dalle finalità reali, ripeto reali) nel programma elettorale minimamente squilibranti del sistema sono irrealizzabili.

Concludo riportando un interessante, a mio avviso, passo del Lenin interpretato da Gyorgy Lukacs << L’onnipotenza dominante della prassi è dunque realizzabile soltanto sulla base di una teoria orientata in senso onnicomprensivo. Ma la totalità oggettivamente dispiegata dell’essere è infinita, come Lenin sa bene, e quindi non può mai essere compresa adeguatamente. Così qui l’infinità della conoscenza e l’imperativo sempre attuale del giusto agire immediato sembrano dare origine a un circulus vitiosus. Ma ciò che non ha soluzione teorico-astratta, in pratica può essere tagliato come il nodo gordiano. L’unica spada adatta per farlo è ancora una volta un comportamento umano che anche qui possiamo opportunamente definire solo con parole shakespeariane: «L’essere pronti è tutto». Uno dei tratti più fecondi e caratteristici di Lenin è che egli non cessò mai d’imparare teoricamente dalla realtà e che in pari tempo era sempre pronto ad agire. Da ciò derivava una qualità singolare, in apparenza paradossale, del suo atteggiamento teorico: non ritenne mai di avere finito d’imparare dalla realtà, ma in pari tempo la conoscenza così acquisita era in lui sempre così ordinata e orientata da permettergli di agire in qualsiasi momento.>> (24).

 

 

 

 

 

 

 

 

Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da:

 

*Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pag.6.

**Costanzo Preve, Il bombardamento etico, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000, pag. 163.

 

 

NOTE

 

  1. Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR Rizzoli, 2013, pp.7-8.
  2. Sulla fase multicentrica si veda Gianfranco La Grassa, Crisi, multipolarismo e gruppi sociali in conflittiestrategie.it, 16/11/2018; Francisco La Manna, Intervista esclusiva a Gianfranco La Grassa: crisi economica, mutamenti geopolitici,conflitto strategico in www.scenarieconomici.it, 21/11/2018.
  3. Noam Chomsky, Chi sono i padroni del mondo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018, pag.59.
  4. A rilanciare questa narrazione, già oggetto nel 2000 di un breve articolo del Telegraph di un giovane Ambrose Evans-Pritchard, è stato soprattutto un libro inglese, divenuto un best seller, di Christopher Brooker, Richard North, The Great Deception. A Secret History of the European Union, Continuum International Publishing Group Ltd, 2003 in Maria Grazia Ardizzone, L’UE dalle origini al TTIP. Le operazioni segrete Usa per dar vita a uno Stato Federale Europeo in ariannaeditrice.it, 3 giugno 2016 (già riportato nel mio scritto del 2016 su La fase multipolare e l’accentramento dei poteri apparso sui blog Conflittiestrategie e Italiaeilmondo).
  5. Thomas G. Paterson, Il piano Marshall in Elena Aga Rossi, a cura di, Gli Stati Uniti e le origini della guerra fredda, il Mulino, Bologna, 1984, pag. 222; si veda anche Giovanni Arrighi, Il lungo xx secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano, 1996, pp.385-387 e David Harvey, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Feltrinelli, Milano, 2014, pp.150-166. Giovanni Arrighi e David Harvey hanno proposto nelle loro ricerche, con saperi diversi, un paradigma sociale territoriale fondato sul potere territoriale e l’accumulazione del capitale. Il paradigma, a mio modo di vedere, ha un orientamento economico-sociale-territoriale e non afferra la totalità del rapporto sociale perché fondamentalmente tiene separato il potere territoriale (lo Stato) e l’accumulazione del capitale. Credo che la questione possa essere interessante con un confronto con il paradigma del conflitto strategico lagrassiano che può superare questa separazione, caratteristica di tutte le teorie economiche e sociali, con la costruzione di un diverso paradigma multidisciplinare.
  6. Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pp. 32-33. Per una ricostruzione storica della nascita della Nato si rimanda, con una lettura critica, a Marco Clementi, La Nato, il Mulino, Bologna, 2002.
  7. Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e Usa. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico; americanizzazione del territorio; gli Stati Uniti e lo spettro della Russia; le infrastrutture militari nella fase multicentrica. I primi due scritti sono stati pubblicati sui siti conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com; gli altri due sul sito www.italiaeilmondo.com.
  8. Manlio Dinucci, La Nato espandibile e sempre più costosa si allarga sull’Europa in ilmanifesto.it, 11/7/2018.
  9. Luigi Longo, La fase multipolare e l’accentramento dei poteri in conflittiestrategie.it, 13/6/2016.
  10. La Cina, e non la Russia, potrebbe essere la potenza mondiale che nel lungo periodo sarà in grado di contendere la egemonia mondiale agli Usa perché a) ha la capacità di sviluppare tutti i settori decisivi di una potenza egemonica (politico, economico, scientifico – tecnologico e culturale), b) svolge un ruolo fondamentale nella creazione di nuove istituzioni internazionali di coordinamento [ la Asian Infrastructure Bank (AIIB), la Shangai Cooperation Organition, il Brics, il Silk Road Fund e la Belt and Road Iniziative (BRI) ] c) instaura diverse forme di relazioni internazionali che non sono nè la forma coloniale né la forma neocoloniale, ma sono relazioni di integrazione, di innervamento che danno ampi strumenti e possibilità di sviluppo, per dirla con David Harvey, per una costruzione di valore territoriale. Si veda, Nicola Tanno, intervista a Diego Angelo Bertozzi sulla Belt and Road Iniziative in materialismostorico.blogspot.com, 11/07/2018; Vladimiro Giacchè, La UE e la BRI: un rapporto complicato in www.marx21.it, 2/11/2018.
  11. Sul significato dei valori territoriali si rimanda a David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, 2018, pp.131-172.
  12. Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, in millennium.org, 29/01/2014; sull’importanza della Nato si rimanda, con una lettura critica, a Eric R. Terzuolo, Perché alla Nato non rinunceremo mai in Limes n.4/2018, pp.51-58; sul ruolo sempre marginale dell’Europa si consiglia Manlio Dinucci, Usa e Nato soppiantano la UE in crisi in www.retevoltairenet.org, 3/7/2018; sull’integrazione dei sistemi militari industriali degli Stati europei con quello statunitense si suggerisce Manlio Dinucci, Il potere politico delle armi in www.voltairenet.org, 2/10/2018 e Gianandrea Gaiani, Missioni, Finanze, Industria: le ambiguità (a)strategiche della difesa italiana in Limes n.5/2018, pp.89-97.
  13. Fabio Mini, Siamo servi di serie B e non serviamo a niente in Limes5/2018, pp.75-87.
  14. Sergio Romano, Macron e l’esercito europeo, la chance di correggere De Gaulle in corriere.it, 17/11/2018.
  15. Si veda la imbarazzante (per la servitù intellettuale e politica espressa in difesa di questa Europa ancorata agli Stati Uniti) e apologetica lettera aperta di sei pensatori tedeschi Siamo seriamente preoccupati della crisi dell’Europa e della Germania per il riaffacciarsi della brutta testa del nazionalismo (I primi firmatari: Hans Eichel ex ministro delle finanze, Jürgen Habermas filosofo e sociologo, Roland Koch ex premier statale dell’Assia, Friedrich Merz avvocato e politico della CDU, Bert Rürup è l’economista capo di Handelsblatt, Brigitte Zypries è un ex ministro della giustizia e ministro dell’economia) in https://global.handelsblatt.com/opinion/europe-unity-future-habermas-koch-merz-zypries-975335?fbclid=IwAR1EIvJGxWOgdIg9HwKpiNZxZ6UR, 25/10/2018; sulla stessa scia Massimo Cacciari ed altri si veda Marco Damilano, Ora il PD si sciolga per far nascere la nuova Europa. L’appello di Massimo Cacciari in l’Espresso del 9/11/2018; sulla considerazione di una Europa occupata dalle basi Usa-Nato e il recupero della tradizione di territori europei con una pluralità di valori finalizzati alla costruzione di una coscienza e di una costituzione europea si pone in maniera problematica Franco Cardini, Europeisti traditi: perché questa Europa ha deluso in byoblu.com, video del 5/11/2018.
  16. Sul declino Usa rimando a Noam Chomsky, Chi sono i Padroni del mondo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018, pp.74-105; Gianfranco La Grassa, Un sommario excursus storico per capire, conflittiestrategie.it, video del 11/11/2018.
  17. Sulla incapacità statunitense di una nuova visione del mondo come conseguenza della fine di una idea di sviluppo della modernità rinvio a Aleksandr Dugin, L’Occidente e la sua sfida (I e II parte) in ariannaeditrice.it, 18/10/2018; sulla mancanza di una ferma determinazione politica, propria della dottrina di Monroe del 1823, dovuta alla divisione tra gli agenti strategici statunitensi si veda Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli; sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i “groupthink”, si rimanda all’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.
  18. E’ emblematica la risposta degli agenti strategici statunitensi (a prescindere dal loro insanabile conflitto interno) alla << […] proposta cinese di razionalizzare e potenziare Transiberiana e Suez in forma cooperativa [che] è finora la maggiore iniziativa finanziaria e infrastrutturale del XXI secolo e inverte la direzione secolare delle influenze. La leadership americana sembra aver finora replicato alla cieca, con interventi inefficaci e controproducenti di guerra ibrida, cinetica o economica lungo la Loc terrestre (Intermarium, Mena, Asia centrale, Corea) e marittima (il Mar Cinese Meridionale e i due passaggi artici) che minano la coesione occidentale e spingono tutte le potenze eurasiatiche emergenti (che sentono di aver il futuro dalla loro) verso una pericolosa coalizione di necessità contro il vecchio ordine che si ostina ottusamente a respingerli >> in Virgilio Ilari, L’Italia è un’espressione geografica. Capiamola in Limes4/2018, pag.152.
  19. Luigi Longo, L’uscita dall’euro non è un problema prioritario. Prioritaria e la sovranità nazionale ed europea in conflittiestrategie.it, 16/1/2015.
  20. Marco Della Luna, Deficit di bilancio e deficit di efficienza in marcodellaluna.info, 30/9/2018.
  21. Marco Della Luna, L’Italia e il nemico carolingio in marcodellaluna.info, 28/10/2018; Sulla questione di uscita dalla Nato e sul ruolo dei Trattati si veda anche Fabio Mini, Siamo servi di serie B…, op.cit.; Fabio Mini, USA-Italia, comunicazione di servizio in Limes n.4/2017.
  22. Per un significato storico del concetto di espressione geografica si invia all’interessante articolo di Virgilio Ilari, L’Italia…, op. cit., pp. 149-154.
  23. Costanzo Preve, Il marxismo e la tradizione culturale europea, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2009, pp.101-115; Samir Amin, Fermare la Nato…, op.cit., pp.64-75.
  24. Gyorgy Lukacs, Unità e coerenza del suo pensiero. Postilla all’edizione italiana 1967 in www.gyorgylukacs.wordpress.com, 27/10/2018. Originariamente apparso in italiano in Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, Einaudi, Torino 1970, ora in L’uomo e la rivoluzione, Edizioni Punto Rosso, Milano 2013.

 

 

Ilva, la solitudine operaia _ a cura di Luigi Longo

Ilva, la solitudine operaia

a cura di Luigi Longo

 

 

Malarazza                                                               Cattiva razza

 

[…]                                                                            […]

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?                               Tu ti lamenti, ma che ti lamenti

Pigghja nu bastuni e tira fori li denti.                        Prendi un bastone e tira fuori i denti.

Un servo, tempu fa, dintra a na                                 Un servo, tempo fa, in una piazza,

piazza, prigava Cristu in cruci e ci ricia:                   pregava Cristo in croce e gli diceva:

«Cristu, lu me padruni mi trapazza,                          <<Cristo, il mio padrone mi strapazza,

mi tratta comu n’ cani pi la via.                                 Mi tratta come un cane per la via.

Si pigghja tuttu cu la sua manazza,                           Si prende tutto con la sua manaccia,

mancu la vita mia dici ch’è mia.                               Nemmeno la mia vita, dice che è mia.

Distruggila, Gesù, sta malarazza!                              Distruggila, Gesù, ‘sta cattiva razza!

Distruggila, Gesù, fallu pi mia! Fallu pi                   Distruggila, Gesù, fallo per me! Fallo

mia!»                                                                          per me!>>

[…]                                                                            […]

E Cristu m’arrispunni dalla cruci:                             E Cristo mi risponde dalla croce:

‹Picchì, si so spizzati li to vrazza?                            <<Perché, ti si sono spezzate le bracce?

Chi vuoli la giustizia, si la fazza.                              Chi vuole la giustizia, se la faccia.

Nisciuno ormai chiù la farà pi tia.                             Nessuno ormai la farà più per te.

Si tu si n’omu e nun si testa pazza,                           Se tu sei un uomo e non sei una testa pazza

ascolta beni sta sintenzia mia,                                   ascolta bene questa mia sentenza,

ca iu ’nchiudatu in cruci nun saria                            chè io non sarei inchiodato in croce

s’avissi fattu ciò ca dicu a tia,                                   se avessi fatto ciò che dico a te,

ca iu ’nchiudatu in cruci nun saria.›                          chè io non sarei inchiodato in croce>>

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?                               Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?

Pigghja nu bastuni e tira fori li denti.                        Prendi un bastone e tira fuori i denti.

[…]                                                                            […]

Domenico Modugno*

 

 

Propongo la lettura dell’intervista dell’operaio Massimo Solito dell’Ilva di Taranto rilasciata a Lucia Portolano ed apparsa su la Repubblica del 12 ottobre scorso.

Io ho già scritto sull’Ilva e l’ho fatto andando oltre il rapporto capitale-lavoro, capitale-ambiente, capitale-salute, proponendo una lettura basata sul lagrassiano conflitto strategico (supportato dal sapere geopolitico) che mi ha fatto ipotizzare la chiusura dell’Ilva perché incompatibile con la base Nato e con le strategie mondiali degli Usa.

Tutto questo a prescindere sia dall’esito del conflitto interno tra gli agenti strategici statunitensi, sia dal ruolo di Arcelor Mittal.

Qui mi interessa sottolineare lo stato di degrado nazionale e di incapacità dei decisori nostrani (la svendita di una industria strategica come l’Ilva è indicatore della mancanza di una idea di sviluppo del Paese) di contrastare la perdita di sovranità, di autonomia, di autodeterminazione in tutti i campi del legame sociale della Nazione.

L’ideologia della globalizzazione (nell’accezione negativa del termine) ha condizionato le nazioni, subordinate alle strategie delle potenze mondiali storicamente determinate, costringendole a svendere le loro peculiari qualità sociali, economiche, territoriali e facendo rientrare nella normalità la perdita della storia di un popolo, di un territorio. In nome delle costruzioni di reti e nodi globali del capitale (qui inteso come cosa e come rapporto sociale) le potenze mondiali tessono le trame di potere e di dominio costruendo l’ideologia della fine delle nazioni (sic); così facendo viene occultata l’incidenza della squilibrante dinamica mondiale dello sviluppo capitalistico e delle relazioni tra potenze mondiali, potenze regionali e nazioni. Con questo non voglio negare la necessità di una ri-organizzazione spaziale delle nazioni per contare nel conflitto mondiale soprattutto nella fase multicentrica e, ahinoi, nella fase policentrica. Però un conto è costruire una nuova area, regione con un patto, un accordo, una unione tra nazioni, valorizzando la loro peculiare storia nel reciproco rispetto; altro è, invece, annullare la propria storia in nome di una ideologia basata solo sulla circolazione del capitale come se i capitali non avessero storia, nazioni, rapporti sociali (si veda l’esempio eclatante dell’Unione Europea come creazione del progetto Usa per l’egemonia mondiale a partire dalla seconda guerra mondiale).

L’intervista dell’operaio Massimo Solito oltre a denunciare la reale drammatica situazione dell’Ilva e della città di Taranto (basta saper leggere oltre le righe della denuncia), evidenzia la solitudine e lo sbandamento degli operai nonché la rinuncia dei decisori a pensare una strategia di sviluppo del Paese sacrificandola alle esigenze dei pre-dominanti Usa e sub-dominanti europei. Svendere una industria strategica del peso dell’Ilva ad una multinazionale come Arcelor Mittal significa rinunciare a rilanciare lo sviluppo del Paese e forse, considerato le modalità di esecuzione complessiva del passaggio di proprietà ancora non ultimato, significa una ulteriore fase di gestione della chiusura dell’Ilva: non è facile liquidare una massa di lavoratori e lavoratrici (oltre 24 mila tra diretti e indiretti) senza una idea di sviluppo dell’area che dovrà fare i conti sia con le strategie dei pre-dominanti Usa nella regione Puglia, sia con i programmi neoliberisti dei sub-dominanti europei [si può parlare della lucacciana solidarietà antitetico-polare, in opposizione e sostegno reciproco, tra il (neo) liberismo e il (neo) keynesismo che vengono usati nelle diverse fasi della storia mondiale del capitalismo: monocentrica, multicentrica e policentrica].

La solitudine e lo sbandamento operaio è il risultato storico della incapacità intermodale, cioè del passaggio-cambiamento dalla società a modo di produzione capitalistico alla società senza classi, della fu classe operaia (non marxianamente intesa).

E’ merito di Gianfranco La Grassa e di Costanzo Preve l’aver evidenziato questo limite storico.

I lavoratori e le lavoratrici, però (che non esprimono nessuna soggettività di classe), possono organizzarsi per la difesa legittima del posto di lavoro, della tutela della salute sui luoghi di lavoro, della salvaguardia dell’ambiente, della qualità della città e del territorio, cioè per un vivere dignitoso all’interno del sistema dato (una sorta di rivoluzione dentro il capitale), smettendo di lamentarsi, prendendo un bastone e tirando fuori i denti.

Può essere l’inizio di un percorso di cambiamento perché come ci ricorda Karl Marx << l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali >>.

 

 

* Il brano è tratto da un sonetto di un poeta siciliano anonimo,  pubblicato nel 1857 dal poeta di Acireale Lionardo Vigo Calanna, nella prima edizione della sua Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, con il titolo Lamento di un servo ad un Santo crocifisso. Negli anni ’70 del Novecento la versione originale del Lamento fu riscoperta da Dario Fo che l’aveva inserita nello spettacolo Ci ragiono e canto del 1973. Domenico Modugno ne trasse la sua versione nel 1977. Dario Fo citò il cantautore per plagio presso il Tribunale di Milano per aver utilizzato nella canzone “Malarazza” il testo da lui precedentemente rielaborato. Riportato in www.wikipedia.org/wiki/Malarazza

 

 

“Meglio l’incentivo che rischiare la vita nell’acciaieria” di Lucia Portolano*

 

Sono circa 500 al momento i dipendenti che hanno deciso di andare via dall’Ilva di Taranto in cambio di un incentivo. In questi giorni sono state attivate le procedure per gli esodi agevolati e anticipati previsti nell’accordo firmato al Mise il 6 settembre scorso fra sindacati, Ilva in amministrazione straordinaria e ArcelorMittal. L’accordo prevede un incentivo di 100 mila euro lorde e il pagamento dello stipendio per due anni, per un ammontare di circa 1.200 euro per primi tre mesi e decurtazioni nei periodi successivi. Fra questi lavoratori c’è Massimo Solito, operaio tarantino di 45 anni, 17 dei quali trascorsi nell’acciaieria. È arrivato nel siderurgico nel 2001 e da allora fa il turnista.

 

Perché ha deciso di lasciare il suo lavoro a 45 anni?

 

«Dal 2012, l’anno del sequestro e degli arresti, la situazione all’Ilva è precipitata. Da quel momento in poi ho avuto un totale rifiuto ad andare al lavoro. Io ero a contatto diretto con i fumi giallastri, quelli che la gente vede nei servizi televisivi. Ogni mese c’era qualche collega che moriva. Ogni mese una colletta da fare per qualche amico o un giovane operaio che non ce l’aveva fatta. E ancora, tanti dipendenti giovanissimi che si ammalano di tumore. Tutto questo mi ha fatto trovare il coraggio per dire basta. Io non ce la faccio più a lavorare in queste condizioni: gli impianti sono allo sfascio e senza manutenzione da anni, ogni giorno si rischia la vita.

Come delegato sindacale Uilm ho cercato di fare qualcosa, ma le cose restano sempre uguali».

 

L’accordo è conveniente?

 

«Prima la cassa integrazione e poi il disastro del 2012: è dal 2009 che all’Ilva i lavoratori non trovano pace. Da allora lavoriamo a singhiozzo, a volte ci chiamano per due mesi e altre volte per 20 giorni. La mia decisione arriva dopo una lunga odissea. In questi ultimi anni c’è stata soltanto tanta precarietà. Con una parte dell’incentivo che prenderò dovrò prima pagare i debiti accumulati in questi anni per portare avanti la mia famiglia. Poi potrò realizzare qualcosa».

 

A parte pagare i debiti, cosa farà con questi soldi?

 

«Si parla di 100 mila euro lordi, netti saranno all’incirca 70 mila.

Vorrei aprire un’attività. Sto cercando un locale, ma è ancora tutto campato in aria. Questi soldi non mi basteranno, chiederò aiuto ai miei suoceri. Lunedì i rappresentanti aziendali incontreranno il primo gruppo di lavoratori che si è prenotato per accettare la proposta, martedì invece sarà il mio turno. Qualcuno dice che Ilva alzerà l’offerta per mandare casa più persone possibile, ma io non intendo tornare indietro. Ormai ho preso la mia decisione: non voglio più tornare lì».

 

Come immagina il suo futuro?

 

«Devo ricominciare da zero, ho una moglie e un figlio di 17 anni.

Vivo tra l’angoscia di cosa farò domani e la gioia di sapere che non entrerò più lì dentro. Sono tra due fuochi. Non faccio controlli medici da anni perché ho paura di scoprire qualcosa di brutto. È questa è la paura che soffoca chi lavora all’Ilva».

 

 

* Le domande evidenziate in corsivo e il neretto nel testo sono miei.

la sovranità non è sostituzione di servitù, a cura di Luigi Longo

LA SOVRANITA’ NON E’ SOSTITUZIONE DI SERVITU’

a cura di Luigi Longo

 

 

Suggerisco, ad integrazione dell’interessante scritto di Pino Germinario su Sovranità, sovranismo e sovranismi http://italiaeilmondo.com/2018/09/23/sovranita-sovranismo-e-sovranismi-di-giuseppe-germinario/ apparso su questo blog in data 23 settembre 2018, la lettura dell’articolo di Manlio Dinucci su La strategia di demonizzazione della Russia pubblicato sul sito www.voltairenet.org il 25 settembre 2018.

Qui mi interessa evidenziare che il concetto di sovranità, di autonomia, di autodeterminazione, insomma la libertà di scegliere un modello sociale espressione della storia di un determinato popolo, per l’Italia sta nel proporre un progetto di sviluppo capace di fare uscire il Paese dalla servitù volontaria verso gli Stati Uniti che è la potenza mondiale in relativo declino che, incapace di rilanciare una nuova idea di sviluppo e di società egemonica a livello mondiale, si affida alla violenza con la forza delle armi, alla egemonia coercitiva nelle istituzioni internazionali e soprattutto al comando della NATO (uno strumento fondamentale del conflitto strategico).

Il problema, quindi, per l’Italia non è quello di sostituire la servitù politica (ad Obama) alla servitù (a Trump) più funzionale alle nuove contraddittorie (per il conflitto violento tra gli agenti strategici incapaci di una nuova sintesi nazionale sintomo ulteriore di declino) strategie dei predominanti statunitensi, quanto piuttosto quello di avere un ruolo autonomo per aiutare, in questa fase storica, l’avanzamento del multicentrismo e di allearsi con quelle potenze mondiali (per ora Russia e Cina) che mettono in discussione il dominio unipolare USA.

Una piccola digressione: il garante della servitù volontaria italiana è la Presidenza della repubblica italiana. Per dirla con Marco Della Luna, << […] La funzione reale del presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale –, è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive. Affinché possa svolgere cotale ruolo, il presidente, nella struttura costituzionale, è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche, analogamente a come, nelle monarchie, il re è protetto da esse, perché egli è la fonte ultima di legittimazione del potere costituito e degli interessi che esso serve. Solo che nelle vere monarchie il re era protetto nell’interesse del suo paese, mentre nel protettorato Italia il presidente è protetto nell’interesse del sovrano straniero […] >> (Il sovrano e il presidente in www.marcodellaluna.info, 13/5/2018).

E’ evidente che l’Italia, una nazione in crisi profonda a cui hanno tolto anche i settori economici del cosiddetto made in Italy (per non parlare delle industrie strategiche), deve eliminare la sua servitù volontaria verso gli Stati Uniti (occorrono ben altri decisori) costruendo alleanze con altre nazioni che mettano in discussione questa Europa espressione dell’egemonia statunitense e guardino ad Oriente per agevolare lo sviluppo della fase multicentrica, scongiurando la fase policentrica che avrebbe come esito inevitabile la guerra (forse l’ultima).

Occorrono un’Italia e un’Europa libere da servitù volontarie statunitensi (chiudendo le basi militari USA e USA-NATO ponendo all’ordine del giorno l’uscita dalla NATO) e un’Europa ri-costruita come soggetto politico (una federazione – o altra forma – espressione di nazioni autonome) per svolgere un ruolo di confronto e di scambio, rispettosi e democratici, tra Occidente e Oriente.

Per fare questo manca un Principe che si aggiri come uno spettro per l’Europa a turbare i sonni di questi sub-dominanti europei e predominanti statunitensi reazionari, manca lo spettro del cambiamento e della sovranità dei popoli.

LA STRATEGIA DI DEMONIZZAZIONE DELLA RUSSIA

di Manlio Dinucci

 

 

Il contratto di governo, stipulato lo scorso maggio dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, ribadisce che l’Italia considera gli Stati uniti suo «alleato privilegiato». Legame rafforzato dal premier Conte che, nell’incontro col presidente Trump in luglio, ha stabilito con gli Usa «una cooperazione strategica, quasi un gemellaggio, in virtù del quale l’Italia diventa interlocutore privilegiato degli Stati uniti per le principali sfide da affrontare». Allo stesso tempo però il nuovo governo si è impegnato nel contratto a «una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico» e addirittura quale «potenziale partner per la Nato».

È come conciliare il diavolo con l’acqua santa. Viene infatti ignorata, sia dal governo che dall’opposizione, la strategia Usa di demonizzazione della Russia, mirante a creare l’immagine del minaccioso nemico contro cui dobbiamo prepararci a combattere. Tale strategia è stata esposta, in una audizione al Senato, da Wess Mitchell, vice-segretario del Dipartimento di stato per gli Affari europei e eurasiatici: «Per fronteggiare la minaccia proveniente dalla Russia, la diplomazia Usa deve essere sostenuta da una potenza militare che non sia seconda a nessuna e pienamente integrata con i nostri alleati e tutti i nostri strumenti di potenza» [1].

Accrescendo il bilancio militare, gli Stati uniti hanno cominciato a «ricapitalizzare l’arsenale nucleare», comprese le nuove bombe nucleari B61-12 che dal 2020 verranno schierate contro la Russia in Italia e altri paesi europei. Gli Stati uniti – specifica il vice-segretario – hanno speso dal 2015 11 miliardi di dollari (che saliranno a oltre 16 nel 2019) per la «Iniziativa di deterrenza europea», ossia per potenziare la loro presenza militare in Europa contro la Russia. All’interno della Nato, sono riusciti a far aumentare di oltre 40 miliardi di dollari la spesa militare degli alleati europei e a stabilire due nuovi comandi, di cui quello per l’Atlantico contro «la minaccia dei sottomarini russi» situato negli Usa.

In Europa, gli Stati uniti sostengono in particolare «gli Stati sulla linea del fronte», come la Polonia e i paesi baltici, e hanno tolto le restrizioni per fornire armi a Georgia e Ucraina (ossia agli Stati che, con l’aggressione all’Ossezia del Sud e il putsch di Piazza Maidan, hanno innescato la escalation Usa/Nato contro la Russia). L’esponente del Dipartimento di stato accusa la Russia non solo di aggressione militare, ma di attuare negli Stati uniti e negli Stati europei «campagne psicologiche di massa contro la popolazione per destabilizzare la società e il governo». Per condurre tali operazioni, che rientrano nel «continuo sforzo del sistema putiniano per il dominio internazionale», il Cremlino usa «l’armamentario di politiche sovversive impiegato in passato dai Bolscevichi e dallo Stato sovietico, aggiornato all’era digitale».

Wess Mitchell accusa la Russia di ciò in cui gli Usa sono maestri: hanno 17 agenzie federali di spionaggio e sovversione, tra cui quella del Dipartimento di stato. Lo stesso che ha appena creato una nuova figura: «il Consigliere senior per le attività maligne della Russia», incaricato di sviluppare strategie inter-regionali.

Su tale base, tutte le 49 missioni diplomatiche Usa in Europa e Eurasia devono mettere in atto, nei rispettivi paesi, specifici piani d’azione contro l’influenza russa. Non sappiamo qual è il piano d’azione dell’ambasciata Usa in Italia. Lo saprà però, quale «interlocutore privilegiato degli Stati uniti», il premier Conte. Lo comunichi al parlamento e al paese, prima che le «attività maligne» della Russia destabilizzino l’Italia.

 

 

Gli USA e il Vaticano, di Luigi Longo

Italia e il mondo riproporrà in successione tre articoli di Luigi Longo già apparsi anni fa sul sito www.conflittiestrategie.it di analisi del ruolo del Vaticano nel contesto geopolitico. Contestualizzando gli eventi citati, offrono comunque importanti punti di riflessione. Qui sotto il terzo articolo. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Il Vaticano si adegua alla nuova strategia degli USA

a cura di Luigi Longo

 

1.Il Vaticano di papa Joseph Ratzinger con la guerra di aggressione alla Libia si è adeguato alla nuova strategia americana di Bill Clinton-Barack Obama che è, per quanto riguarda le relazioni con il Vaticano, la continuazione della strategia di George W.Bush.

Il Vaticano di papa Karol Wojtyla aveva avanzato una timida opposizione alla guerra contro il terrorismo della nuova strategia di George W. Bush (2001-2002) e assunto una posizione favorevole alla guerra giuridicamente camuffata dall’intervento umanitario nella ex Yugoslavia (24 marzo1999 guerra di aggressione NATO con comando USA e ruolo servile importante del Presidente del Consiglio Massimo D’Alema. E’ una grande maestrìa americana quella di far fare il lavoro sporco ai propri scherani: l’Italia nel 1999, Francia e Inghilterra nel 2011 contro la Libia) finalizzata all’accerchiamento territoriale con basi militari della ri-nascente potenza mondiale Russa ( geopolitica). In altre occasioni lo stesso Vaticano ha assunto la posizione di opporsi alla guerra di aggressione all’Iraq (1991 e 2003), le cui ragioni sono da ricercare nella georeligione del Vaticano (1), rompendo la convergenza e l’alleanza con la strategia di Ronald Reagan ( soprattutto nella metà degli anni ottanta del secolo scorso) nel combattere l’”impero del male” rappresentato dal cosiddetto comunismo dell’ex URSS.

Nella guerra di aggressione contro la Libia il vescovo di Tripoli, monsignor Giovanni Martinelli, è stato lasciato praticamente solo (2). Il Vaticano non si è opposto alla guerra di aggressione alla Libia, ma si è preoccupato soltanto dell’aspetto umanitario della crisi senza entrare nel merito della guerra stessa.

Il cambio di politica estera vaticana è iniziato con la morte del papa Karol Wojtyla e la data simbolica del cambiamento è stata proprio quella del suo funerale. Così scrive Massimo Franco:<< Dunque, il vero significato dell’omaggio collettivo reso dalle personalità statunitense a Roma ( ai funerali del papa erano presenti tre presidenti George Bush, George W. Bush e Bill Clinton, precisazione mia) è stato quello di un investimento dell’America di Bush sull’alleanza con la Santa Sede; di più, di un salto di qualità nelle relazioni politico-diplomatiche, impensabile prima del papato wojtyliano. Forse perché l’Amministrazione repubblicana scommette su una sintonia che riguarda tutto lo spettro di questioni che << la chiesa considera sinonimo  di “santità di vita”, dalla ricerca sulle cellule staminali all’aborto e all’eutanasia >>; confida e forse un po’ si illude, che si riducano le resistenze vaticane sulle teorie unilateraliste della Casa Bianca e del Pentagono. Ma dietro si avvertiva il vago timore che la convergenza fra i due “imperi paralleli” orfani di Giovanni Paolo II potesse essere, se non rimessa in discussione, allentata >>.

Il cardinale Camillo Ruini, allora presidente della CEI e grande elettore di Benedetto XVI, così conferma << Esiste nel mondo, e in particolare negli Stati Uniti >> ha spiegato a proposito dell’alleanza tra Benedetto XVI e i neoconservatori USA << un movimento di rinascita cristiana che va al di là delle frontiere delle Chiese, e che sottolinea un afflato cristiano del quale non si può non tenere conto >>.

L’influente teologo americano Michael Novak sull’”Herald Tribune” così dichiarava << …Benedetto XVI sarà l’uomo della guerra dei valori del nuovo millennio, che indicherà “la cultura necessaria a preservare le società libere dai pericoli che le minacciavano dall’interno…”: un alleato di fatto della crociata Bush. La presenza della nomenklatura statunitense a piazza San Pietro era dunque una novità ad occhi esterni, non a quelli smaliziati della Curia >>.

Infine <<Esponenti dell’establishment vicini al Pentagono come Luttwak tendono a rimuover Giovanni Paolo II come una parentesi irripetibile e tutto sommato fuorviante; e a sottolineare preventivamente il profilo di Ratzinger come pontefice del “ritorno alla realtà” di una Santa Sede confinata in un ruolo non politico; e soprattutto innocua, non concorrenziale rispetto alle strategie di Washington ( corsivo mio) >> (3).

2.Riprendendo l’analogia storica dei cotonieri del Sud degli USA nell’800 in combutta con la potenza predominante di allora ( Gran Bretagna) avanzata da Gianfranco La Grassa per leggere, oggi, il ruolo dei nostri decisori subordinati agli interessi del paese predominante (USA), definiti da Gianfranco La Grassa come GF e ID (Grande Finanza parassitaria e Industria Decotta delle passate ondate della rivoluzione industriale) (4), riporto alcuni stralci di due libri sul ruolo del Vaticano nella guerra di secessione degli Stati Uniti d’America (1861-1865).

3.Una precisazione. La religione ha un ruolo importante nel legame sociale della produzione e riproduzione della formazione sociale data. Le sue istituzioni svolgono un ruolo significativo nelle varie strategie degli agenti strategici dominanti in tutte le sfere sociali ( soprattutto economiche-finanziarie). Gli stralci dei racconti riportati vanno letti sia nella logica gramsciana della religione e cioè il ruolo della religione e delle sue istituzioni vanno visti tenendo conto della logica dell’insieme della società:<< Nello sviluppo di una classe nazionale, accanto al processo della sua formazione nel terreno economico, occorre tener conto del parallelo sviluppo nei terreni ideologico, giuridico, religioso, intellettuale, filosofico, ecc.: si deve dire anzi che non c’è sviluppo sul terreno economico, senza questi altri sviluppi paralleli. >> (5); sia nella logica lagrassiana del tutto torna ma in maniera diversa :<< Il gioco del conflitto capitalistico ha sue regole generali, ma è condotto da giocatori “individuali” ( gruppi sociali) che le interpretano e le modificano, venendosi così a trovare in un “nuovo mondo”, di cui si ha in genere una comprensione alla fine del periodo storico di trapasso. Da qui nasce l’esigenza della memoria storica, della comprensione del nostro passato ( “il tutto torna”), servendoci però d’essa al fine di apprestare nuovi orientamenti utili nella presente epoca, in cui tutto si manifesta in forme differenti>> (6).

4.Primo libro. Massimo Franco, Imperi paralleli. Vaticano e Stati Uniti: due secoli di alleanza e conflitto 1788-2005, Mondadori, Milano,2005.

 

Capitolo III. QUANTE GAFFES, SANTITA’.

 

Paragrafo: Quando Pio IX sposò la causa sudista ( pp.36-37).

 

…Tutto sembrava congiurare per il fallimento dei rapporti diplomatici fra i due stati ( Stato pontificio e Stati Uniti, precisazione mia), in quel periodo. In una fase di transizione traumatica, qualunque atto assumeva caratteri che risvegliavano risentimenti, diffidenze, incomprensioni. Proprio nel 1863, con la guerra civile americana all’apice dell’incertezza, Pio IX pensò bene di scrivere ai cardinali di New York e New Orleans, uno geograficamente “nordista” e l’altro “sudista”, per rivolgere loro un appello teoricamente ecumenico affinché si adoperassero per la pace. Era la tipica impostazione vaticana, tesa a non prendere posizione rispetto ai due contendenti. Ma l’iniziativa coincideva con un atteggiamento della Chiesa cattolica americana, di prudenza estrema nella controversia sull’abolizione della schiavitù. Monsignor Spalding, che in seguito sarebbe diventato arcivescovo di Baltimora, fra l’aprile e il maggio di quell’anno aveva scritto una relazione a Propaganda Fide, proponendo la neutralità rispetto allo schiavismo dei neri del Sud. A suo avviso, gli abolizionisti avrebbero portato gli Stati sudisti alla rovina economica e gli schiavi alla rovina morale, perché secondo i vertici ecclesiastici erano impreparati alla libertà. << Spalding definiva “atroce proclama” l’atto di emancipazione del presidente Lincoln”.

Ma pesavano altre ragioni, a cominciare dall’ostilità degli immigrati irlandesi in USA

Nei confronti dei neri, visti come pericolosi concorrenti sul mercato del lavoro; e ancora, l’alleanza fra gli abrogazionisti e i protestanti, soprattutto quei nativi pronti ad attaccare qualsiasi simulacro di ingerenza vaticana. E poi, al fondo c’era la realtà di una gerarchia americana conservatrice; spaventata da qualunque sovvertimento dell’ordine costituito e dunque dalla prospettiva che la fine della schiavitù aprisse le porte a una rivoluzione. Per questo quando il presidente sudista Jefferson Davis rispose alla lettera di Pio IX, si intuì una larvata scelta di campo da parte del pontefice: soprattutto perché il papa replicò con un’altra missiva rivolta “ All’illustre e onorabile Jefferson Davis, presidente degli Stati confederati d’America”. Per i nordisti era una scelta di campo, sebbene il segretario di Stato Giacomo Antonelli si sforzasse di negare qualunque intento politico. La situazione americana era così tesa, e la posizione dei vescovi locali così ambiguamente neutrale, da offrire spazio a tutti i sospetti. E il guaio, per la Santa Sede, era che quella lettera sembrava schierare Pio IX dalla parte più retriva della società americana; e soprattutto, di quella perdente. Il risultato fu di mantenere unito il clero americano; ma al prezzo di connotarsi come chiesa conservatrice, lasciando ai protestanti la bandiera del progresso e dell’emancipazione degli ex schiavi. Non era una macchia da poco. Si sarebbe rivelata di lì a quattro anni uno dei motivi inconfessati della rottura di fatto delle relazioni diplomatiche tra Washington e la Roma papalina.

 

Paragrafo:Il killer di Lincoln è una guardia papalina! (pp.37-39).

 

In fondo, anche l’incidente successivo va inquadrato in questa cornice di ostilità contro il Vaticano, per reazione ai sospetti di aver larvatamente appoggiato la causa sudista durante la Guerra di secessione. D’altronde, Roma offrì un nuovo pretesto a dir poco ghiotto. Si scoprì infatti che nel 1865 un americano di nome John Surrat si era arruolato nell’esercito papalino. E’ vero che quell’armata era una sorta di pia “legione straniera”, nella quale affluivano soldati da un po’ tutta Europa e anche da altre parti del mondo. Ma si presumeva che ci fosse un qualche controllo sull’origine dei soldati pontifici. Si può indovinare quale fu la reazione dell’opinione pubblica d’oltre Atlantico quando filtrò la notizia che Surrat, accusato insieme con John Wilkes Booth e altri dell’assassinio del presidente Abraham Lincoln, era uno dei soldati zuavi della guardia papalina: una fotografia della Biblioteca del Congresso USA lo ritrae con la divisa, il volto affilato e un paio di baffi lunghi e sottili. In qualche misura, il suo arruolamento improvvido, del quale il Vaticano giurava di non sapere nulla, faceva quadrare il cerchio dei sospetti e dei pregiudizi. La Santa Sede prosudista veniva scoperta mentre non solo sembrava proteggere uno degli assassini di Lincoln, uomo-simbolo degli Stati Uniti democratici, antischiavisti e vincenti del Nord; ma addirittura lo arruolava nelle proprie file. Uno dei killer del “Great Emancipator”, il Grande Emancipatore, aveva trovato rifugio, protezione, salario e armi alla corte di Pio IX.

…per Pio IX si trattava di un incidente che rischiava di mandare all’aria decenni di faticosi tentativi di legittimazione; e di moltiplicare le difficoltà delle gerarchie cattoliche americane. In più, Surrat era protetto dall’assenza di un qualsiasi trattato di estradizione fra Vaticano e Stati Uniti; dunque, formalmente non poteva essere processato in America.

…Rufus King, “ministro” USA a Roma, capiva che le relazioni fra i due Stati si stavano rapidamente deteriorando…Così cercò di spiegare a Washington che la reazione del Vaticano indicava la volontà di non lasciare andare in malora i rapporti con l’Amministrazione. Il fatto che Surrat fosse stato bloccato a Roma aveva << il solo scopo di mostrare la pronta disponibilità delle autorità pontificie ad accondiscendere all’attesa richiesta del governo americano >>, scrisse King al segretario di Stato William Steward. Ma dietro rimaneva l’ipoteca pesante della politica vaticana negli anni della guerra civile americana. E i nemici della prospettiva di un Paese infettato dal gesuitismo e dalle manovre papaline, insidiato nel sacro principio della divisione fra Stato e Chiesa, ripreso una forza alla quale era difficile resistere (corsivo mio).

 

Secondo libro. Eric Frattini, L’Entità. La clamorosa scoperta del servizio segreto vaticano: intrighi, omicidi, complotti degli ultimi cinquecento anni, Fazi editore, Roma, 2008.

 

Capitolo: IL TEMPO DELLE SPIE ( 1823-1878) [ pp. 181-185].

 

A causa della situazione di smantellamento che viveva lo Stato della Chiesa, le comunicazioni tra l’Entità (7) a Roma e i suoi uomini sparsi per il mondo erano quasi inesistenti, per cui lo spionaggio pontifico fu incapace di prevedere la guerra che si avvicinava negli Stati Uniti.

Nel 1861, gli Stati Uniti d’America, che erano “uniti” da poco più di ottant’anni, furono scossi da una guerra civile. Era una nazione in cui si sviluppavano due società, ognuna con un proprio modello sociale, politico ed economico; in quattro decenni aveva visto ampliato il suo territorio in più occasioni grazie all’acquisto della Louisiana dalla Francia, della Florida dalla Spagna, all’annessione del Texas e alla guerra con il Messico, svoltasi tra il 1846 e il 1848.

La politica statunitense era condizionata da una parte dall’interesse dei sudisti per le loro piantagioni di tabacco, zucchero e cotone, e dalla loro volontà di mantenere a tutti i costi i quasi tre milioni e mezzo di schiavi; dall’altra dall’orientamento degli unionisti, inclini al commercio e alla navigazione, più interessati alle questioni finanziarie e ai dazi doganali. Da un lato stavano i capitalisti del Nord, creditori, e dall’altro gli agricoltori del Sud, debitori.

… Durante la guerra civile, dal 1861 al 1865, l’Entità contò su Louis Binsse, console papale a New York. I suoi rapporti come spia erano, in realtà, piuttosto curiosi e per niente interessanti.

…Se si studiano i rapporti di Binsse, si nota che l’agente dell’Entità si focalizzava sull’informazione politica del momento, ricavandola soprattutto dai giornali, piuttosto che dedicarsi al complesso lavoro di spia. Tuttavia la sua attitudine non gli impedì di ottenere informazioni importanti. Una di queste fu quella scoperta nel giugno del 1861, quasi per caso.

Louis Binsse era stato inviato a New York a un ricevimento di politici e militari organizzato per raccogliere fondi per la causa unionista. Durante la festa, alcune signore gli si avvicinarono ignorando che fosse in realtà un agente dello spionaggio papale, e gli chiesero cosa pensasse di Giuseppe Garibaldi. Di certo le signore non sapevano che Garibaldi era un nemico di papa Pio IX e, per tanto, anche del suo console a New York. L’agente dell’Entità, utilizzando tutto il suo charme, riuscì a sapere dalla moglie di un generale dell’Unione che il presidente Abraham Lincoln aveva invitato Giuseppe Garibaldi per istruire i suoi generali sulle tattiche di guerra.

L’agente Binsse comunicò all’Entità a Roma e al segretario di Stato Giacomo Antonelli le intenzioni del presidente unionista. La notizia scatenò presso la Santa Sede uno scandalo di grandezza tale che Lincoln fu costretto a ritirare la sua offerta a Garibaldi e a presentare scuse formali a papa Pio IX.

…Altra cosa fu la posizione del Vaticano e dell’Entità a favore di una delle due fazioni in conflitto. Le prime pressioni arrivarono al papa e al segretario di Stato arcivescovo di New York, John Hughes, dieci mesi dopo l’attacco a Fort Sumter. Hughes disse a Pio IX e al cardinale Antonelli che il suo compito era servire la Chiesa e non gli interessi particolare di una nazione, ma in realtà l’arcivescovo di New York era un agente sotto copertura e un propagandista di Washington. Il suo stipendio era pagato dal governo di Lincoln e i suoi rapporti venivano letti dal segretario di Stato William Seward.

La missione affidata all’arcivescovo John Hughes consisteva nell’andare a Roma per ottenere pubblicamente l’appoggio di papa Pio IX alla causa unionista. Perciò, Hughes si presentò a sorpresa presso la Santa Sede, affermando che durante il suo lavoro per l’Entità aveva scoperto che la Confederazione aveva pianificato di attaccare il Messico e le isole cattoliche dei Caraibi.

Ma le simpatie di Pio IX e del suo segretario di Stato per il Nord cominciarono a diminuire quando l’Entità dal maggio del 1863 iniziò a ricevere rapporti da un’altra fonte. Si trattava di Martin Spalding, arcivescovo di Louisville, nello Stato confederato del Kentuchy, favorevole alla secessione. Spalding, come Hughes dal governo Lincoln, riceveva in segreto dal governo di Jefferson Davis somme di denaro per ottenere l’appoggio del papa alla causa della Confederazione. Il principale interlocutore di Spalding era Judah Benjamin, segretario di Stato della Confederazione.

L’arcivescovo Spalding nel suo rapporto all’Entità assicurava che l’emancipazione degli schiavi neri era in realtà un movimento politico guidato da protestanti abolizionisti e che la gente del Sud rappresentava il vero cattolicesimo. Monsignor Martin Spalding affermava in un rapporto che << i neri erano per natura troppo inclini alla vita licenziosa e non erano pronti per la libertà. Inoltre, la loro emancipazione poteva provocare disordini sociali che avrebbero compromesso il lavoro missionario della Chiesa >>.

I rapporti di John Hughes e Martin Spalding per l’Entità dimostrarono che i vescovi non erano immuni alla causa politica  e che a volte la loro lealtà verso l’Unione o la Confederazione era superiore a quella verso il papa e la Santa Sede. Le cattive informazioni ricevute dagli agenti del servizio di spionaggio pontificio durante il conflitto mise in evidenza una seria debolezza delle relazioni tra Roma e Washington, sede dell’Unione, e tra Roma e Richmond, sede della Confederazione.

Pio IX manifestò prima le proprie simpatie alla causa del Nord, poi a quella del Sud e infine di nuovo a favore degli unionisti. Fu probabilmente a partire dal 1865, quando la guerra si concluse con la vittoria del Nord, che i responsabili dello spionaggio vaticano capirono che bisognava formare degli agenti professionisti, se l’Entità del futuro voleva diventare uno strumento capace di aiutare il pontefice a prendere la decisione migliore di fronte a una specifica situazione politica.

 

 

NOTE

 

  1. Lo storico Andrea Riccardi ha osservato:<< la Chiesa cattolica, per istinto profondo, non ha mai amato l’impero unico…In fondo, si considera un impero. Ma, come spiegò Pio XII in un discorso del 1946, non un impero nel senso di imperialismo ma in quello di essere a casa fra tutte le genti, di non essere assorbita da nessuna civiltà >>, citato da Massimo Franco, Imperi paralleli. Vaticano e Stati Uniti: due secoli di alleanza e conflitto 1788-2005, Mondadori, Milano,2005, p.199.
  2. Si rimanda fra le tante interviste al vescovo Giovanni Martinelli a Alberto Bobbio, Libia i dubbi del vescovo di Tripoli in famiglicristiana.it (20/3/2011); Bernardo Cervellera, Vescovo di Tripoli: spero ancora in una riconciliazione in www.asianew.it (23/8/2011).
  3. Massimo Franco, Imperi paralleli, op. cit., 199, 201, 203, 211.
  4. Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008, pp. 25-39.
  5. Antonio Gramsci, Il Vaticano e l’Italia, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 58.
  6. Gianfranco La Grassa, Tutto torna ma diverso. Capitalismo o capitalismi?, Mimesis edizioni, Milano, 2009.
  7. Nell’anno del Signore 1566, papa Pio V decise di dar vita al primo servizio di intelligence in forma ufficiale e organizzata, con la finalità di lottare contro il protestantesimo rappresentato dall’erede al trono d’Inghilterra Elisabetta I. Il nuovo servizio segreto pontificio venne battezzato col nome di Santa Alleanza.

Nei seguenti 387 anni, la Santa Alleanza visse momenti di luce e di ombra sotto il nome che gli dette Pio V. Nel 1953, durante il pontificato di Pio XII, l’allora direttore dell’appena nata CIA, Allen W. Dulles, decise di rinominare in via ufficiosa la Santa Alleanza con l’appellativo di “Entità”, nome con cui ora è conosciuto il servizio segreto di spionaggio vaticano nella comunità internazionale dei servizi segreti di intelligence in Eric Frattini, L’Entità. La clamorosa scoperta del servizio segreto vaticano: intrighi, omicidi, complotti degli ultimi cinquecento anni, Fazi editore, Roma, 2008, p. VIII ( Nota dell’editore).

 

 

Due papi, due misure_ di Luigi Longo

Italia e il mondo riproporrà in successione tre articoli di Luigi Longo già apparsi anni fa sul sito www.conflittiestrategie.it di analisi del ruolo del Vaticano nel contesto geopolitico. Contestualizzando gli eventi citati, offrono comunque importanti punti di riflessione. Qui sotto il secondo brano. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Papa emerito Benedetto XVI e Papa Francesco, un

 riallineamento della Chiesa nella fase multipolare?

di Luigi Longo

 

 

*Non lascio la croce, resto in modo nuovo

                                                                                                   Papa Benedetto XVI

Il potere è presente. La santità è postuma.

Thomas Stearns Eliot

 

 

1.Le dimissioni del papa Benedetto XVI hanno provocato un terremoto epocale nella Chiesa ( intesa come comunità cristiana) e nello Stato della Città del Vaticano ( inteso come governo della istituzione con le sue ramificazioni territoriali a livello nazionale e mondiale). Avanzerò, per interpretare la rinunzia del papa, due ipotesi di ragionamento che tengono in subordine le questioni storiche di grande importanza per la Chiesa: la soggettività della donna, la questione interna della pedofilia, il ruolo dello IOR e dell’Opus Dei, il suo ruolo nelle diverse sfere ( solo per astrazione ) della società, soprattutto in quella economico – finanziaria, le attività dei servizi segreti, il ruolo dei movimenti ( Comunione e Liberazione, Comunità) e delle congregazioni ( gesuiti, salesiani e francescani). Le due ipotesi, che cercano di capire la profondità delle vibrazioni rapide e più o meno potenti del sisma, sono: a) una rottura storica nella Chiesa e nello Stato della Città del Vaticano (1), b) la ricerca di un nuovo sistema di ri-equilibrio della Chiesa, nella fase multipolare che sta avendo una certa accelerazione ( sia pure imperfetta), considerando le cose che accadono nelle varie aree del mondo(2) dove tutti gli Stati- potenza, quello “egemonico”, in declino ( USA ) e, quelli emergenti in ascesa ( Cina, Russia, India ), sono in movimento [ è utile ricordare, come insegnano Giovanni Arrighi e Gianfranco La Grassa, che le transizioni egemoniche non sono processi lineari, fluidi e uniformi] (3).

 

2.La rottura storica. Il ritiro del Papa riguarda la messa in discussione della sacralità, dell’infallibilità e dell’insostituibilità del << sovrano assoluto vicario di Cristo in terra, cioè il sostituto dell’al di qua della Seconda Persona della Santissima Trinità che regna nell’aldilà >> (4). Per dirla con Massimo Franco :<< […] il Vaticano comincia ad apparire un sistema di governo come gli altri; e dunque il Papa, capo della Chiesa cattolica, a uscire dalla nicchia teocratica nella quale lo poneva la sua carica a vita, inserendolo nella lista di presidenti, primi ministri e dirigenti. E’ questo che colpisce di più. Rispecchia il dramma di un’istituzione che dovrà ricalibrare molti dei suoi principi sulla base di una novità prevista ma mai verificatasi negli ultimi seicento anni. >> (5).

La rottura storica del Papa può avviare un processo di rinnovamento del potere religioso temporale che svela il conflitto esistente, un conflitto strategico tra diversi blocchi di potere che si contendono l’egemonia, all’interno della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano, tra visioni diverse del ruolo della religione, della fede, degli strumenti del potere (istituzionali e non), del dialogo con la modernità (6) nella società a modo di produzione capitalistico. Una sorta di disvelamento dell’uso che il potere religioso temporale fa del potere religioso spirituale (7). Una nuova sintesi e una nuova evangelizzazione mondiale che si proietta nella nuova fase intrinseca ai mutamenti storici ( la fase multipolare) e che va oltre la storica opposizione tra conciliaristi e conservatori << il suo modo [ del papa] particolare di essere rivoluzionario ha soprattutto contribuito a superare lo schema attraverso il quale, fin dall’Ottocento, veniva letta anche storicamente la vita interna della Chiesa, e cioè la contrapposizione fra conservatori e riformisti >> (8). In questo senso non è convincente, a mio avviso, la scelta della via conciliarista auspicata da Franco Cardini e Luisa Muraro ( una delle madri del pensiero della differenza sessuale), che resta comunque all’interno della contrapposizione tra monarchia papale e governo conciliarista, quando il primo afferma :<< Un rinnovamento che, in termini ecclesiali, equivale a una parola chiara, ma complessa, costosa, rischiosa: concilio[corsivo mio]. >> (9); e la seconda, indirettamente, indica: << “Santità… Lei prenda come esempio e modello il migliore dei papi che abbiamo avuto nel secolo ventesimo, Giovanni XXIII, che si dimostrò umile, affettuoso, coraggioso e politicamente intelligente” >> (10). La Chiesa a monarchia papale e la Chiesa conciliare, che storicamente si intrecciano e si sorreggono a vicenda, condividono, con le proprie istituzioni e le proprie strutture, il legame sociale dato, l’ordine simbolico della società a modo di produzione capitalistico. Il loro potere religioso spirituale ( la santità è postuma ) alimenta e giustifica il potere religioso temporale (il potere è presente ) che è espressione di una realtà che esiste in superficie come fenomeno , ma che non ha niente a che fare con la sostanza del mondo materiale e spirituale. E’ una Chiesa che non ha niente a che fare né con l’ecumenismo popolare né con l’ecumenismo istituzionale, intendendo con essi quanto scriveva Giulio Girardi: << Per “ecumenismo istituzionale” intenderei il rapporto di rispetto, stima e collaborazione tra le diverse istituzioni religiose, promosso dalle rispettive gerarchie. Per “ecumenismo popolare” intenderei invece un rapporto promosso dal “popolo di Dio”, indipendentemente dalla gerarchia e spesso in contrasto con essa. Il contrasto si riferisce specialmente alla natura della relazione, che in questo ecumenismo è di uguaglianza e reciprocità tra  tutte le religioni, compresa la cattolica.[ corsivo mio] >> (11). E’ una Chiesa in cui il Gesù di Nazaret ( Gesù storico ) non si riconoscerebbe, farebbe una ben più profonda cacciata dalla città-tempio di Gerusalemme dei decisori strategici del potere: << Il regno di Dio, nell’accezione originaria di Gesù, porta la distruzione, non la pace, ai reggitori e ai beneficiari di un ordine ingiusto [ corsivo mio] >> (12); mentre, il Paolo di Tarso ( il vero fondatore della Chiesa cristiana) la apprezzerebbe << le distinzioni sociali fra ricchi e poveri, schiavi e padroni erano accettate, ma dovevano essere mitigate da donazioni generose e da condotte gentili >> (13).

Le dimissioni del Papa denunciano che il mondo è cambiato. Non c’è più il <<comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991) >> ( utilizzo qui la definizione di Costanzo Preve). Le potenze mondiali si stanno delineando. Una fase multipolare incalza. La Chiesa come si pone, sia all’interno che all’esterno, in questi cambiamenti epocali? Non può rimanere prigioniera della logica conservatrice o progressista: è una nuova sintesi e un nuovo ruolo che bisogna ricercare. Ricercare una nuova grammatica e un nuovo linguaggio che serva a costruire un nuovo ordine simbolico della Chiesa cristiana la cui relazione con la realtà sia sempre più corrispondente << La grammatica è “storia” o “documento storico”: essa è la “fotografia” di una fase determinata di un linguaggio nazionale (collettivo) [ formatosi storicamente in continuo sviluppo ], o i tratti fondamentali di una fotografia. La quistione pratica può essere: a che fine tale fotografia? Per fare la storia di un aspetto della civiltà o per modificare un aspetto della civiltà? >> (14).

La scelta di Papa Benedetto XVI pone all’ordine del giorno la temporalità del mandato. Temporalità legata all’equilibrio dinamico degli attori strategici sia esso espressione della nuova sintesi ( per modificare un aspetto delle civiltà ), sia esso espressione della suddetta storica opposizione ( per fare la storia di un aspetto della civiltà). E in questa fase di nuova sintesi e di un nuovo riallineamento il Papa emerito ci vuole stare con tutto il suo potere per indirizzare in << modo nuovo >>.

 

3.Il riallineamento della Chiesa. L’abdicazione del Papa può prospettare un nuovo riallineamento che tenga conto della nuova configurazione mondiale che si va delineando con la sempre più avanzata fase multipolare.

Ieri, nella fase policentrica, attraversata da ben due guerre mondiali, la Chiesa si schierò con l’occidente sotto l’egida americana, in contrapposizione al blocco rappresentato dal cosiddetto comunismo dell’ex URSS. La fase policentrica, preceduta da una lunga fase multipolare, segnò il passaggio, come centro coordinatore egemonico di un equilibrio dinamico prevalentemente occidentale, dall’impero britannico a quello americano.

Francesco Cossiga ricorda che << Negli anni cinquanta la scelta atlantica era obbligata[ dalla sfera di influenza americana, corsivo e precisazione mia]. Su di essa convergevano l’interesse nazionale italiano e l’interesse ecclesiastico vaticano: non solo non eravamo in grado di garantire la nostra indipendenza senza l’ombrello atlantico, ma esso era necessario anche a proteggere la sicurezza della Santa Sede, l’organo centrale della Chiesa cattolica incastonato nel nostro territorio >> (15).

La Chiesa fu un << baluardo >> contro l’espansione del socialismo. Non cercò un gramsciano << sistema di equilibrio >> (16) un confronto non più con i vecchi Stati capitalistici, bensì con i nuovi Stati socialisti (17 ) per il conseguimento delle intese tra i popoli e tra le loro religioni.

Oggi, nella fase multipolare, la Chiesa dovrebbe essere universale ( a partire da questo insegnamento della storia, ma superandolo, considerata l’attuale fase storica), e dovrebbe, in maniera autonoma, intrecciare relazioni con tutte le religioni ( pluralismo religioso) di tutti i popoli ( intesi come le parti maggioritarie e sfavorite delle popolazioni), di tutti i Paesi ( pluralismo culturale) per favorire il loro sviluppo nel rispetto della sovranità, dell’autodeterminazione e della maggioranza del popolo.

Il nuovo gruppo di decisori strategici che si andrà a costituire intorno al nuovo Papa [ed al Papa emerito?] dovrà intrecciare relazioni con tutte le altre religioni; dovrà, quindi, necessariamente allearsi con i decisori strategici di quei Paesi che hanno funzioni importanti per rafforzare le sovranità nazionali, le identità storiche, culturali, sociali, economiche e politiche; questo costituirà il legare tra l’ecumenismo istituzionale e la sovranità nazionale. Un primo passo importante in questa direzione sarà quello di cercare << un nuovo equilibrio >> non più guardando all’impero “egemonico” USA bensì a quei nuovi stati-potenza che si stanno delineando ( Cina, Russia, India). Da una Chiesa universale americanista a una Chiesa universale multipolare.

Non ho parlato di una collocazione della Chiesa fatta di alleanze strategiche, nella fase multipolare, per una società mondiale fatta di popoli e nazioni liberi e autodeterminati ( un ecumenismo popolare), perché l’ecumenismo popolare presuppone un processo che << porta il popolo al potere >>, un popolo ( con le sue articolazioni sociali) che progetta, che sogna e che realizza una costruzione reale di un mondo ideale. Il popolo, in questa fase storica determinata, non c’è più. Da tempo ha smesso di informarsi, di partecipare, di indagare, di conoscere, di analizzare, di pensare e di darsi gli strumenti di decisione per una prassi reale di cambiamento. E quando un popolo non si informa << è plebe, ed una plebe disinformata non ha né sovranità né potere >> (18).Ne è un esempio il popolo italiano giusto per rimanere in Italia, la nazione dove vivo.

 

4.Mentre scrivevo questa riflessione è stato nominato il nuovo Papa. Il cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, è il Papa Francesco. L’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio non si presenta bene. << La storia lo condanna >>, ha detto Fortunato Mallimacci, ex preside della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Buenos Aires. Bergoglio << si è sempre opposto a tutte le innovazioni all’interno della Chiesa e, soprattutto, durante gli anni della dittatura, ha dimostrato di essere molto vicino al governo militare >>. Nel 2007 le mamme di plaza de Mayo scrissero in un comunicato che Bergoglio era << complice della dittatura >> (19). Non sostenne la Teologia della Liberazione che, come sostiene Gustavo Gutierrez (teologo peruviano), è fondata sulle lotte di liberazione che << sono il luogo di un nuovo modo di essere uomo e donna in America latina, e perciò stesso di un nuovo modo di vivere la fede [ corsivo mio]>> (20).

Credo che la nomina del Papa Francesco, un papa che guarderà all’America latina, sia una scelta che aiuti gli USA a rallentare la fase multipolare e a contrastare il loro declino ( la Chiesa, si sa, subisce il forte fascino degli imperi). La storia non insegna e come sosteneva Thomas Stearns Eliot << Gli uomini non imparano molto dall’esperienza degli altri >>.

Avanzo questa ipotesi, provvisoria, per le seguenti ragioni: a) una scelta geopolitica, per rompere l’intesa di quei paesi (Brasile e Argentina, due grandi paesi dell’America latina e membri dominanti del Mercosur; il primo fa parte del BRICS) che ragionano in termini di autodeterminazione e di sovranità nazionale,oltre ad allontanarsi dalla sfera di influenza americana; b) una scelta georeligiosa, il cattolicesimo nell’America del nord e nell’America latina ( dove vivono il 42% dei fedeli cattolici mondiali: mezzo miliardo su un totale di 1,2 miliardi ) perde terreno a favore delle chiese e delle sette protestanti (21); c) una scelta di nuova evangelizzazione, che riparte dal fallimento della strategia di Giovanni Paolo II (22).

Per le cose dette credo che il nome Francesco si addica, come riferimento, più a Francesco Saverio, co-fondatore della Compagnia di Gesù, uno dei primi missionari ad aver tentato di evangelizzare terre nuove (23), che a Francesco d’Assisi che non ha niente a che vedere con questa Chiesa (24).

Parafrasando Giorgio Gaber, posso dire che Papa Francesco è un uomo ricco e potente che ama i poveri. E’una cultura storica che viene dal IV e V secolo come ci ricorda lo storico Peter Brown<< […] i rapporti fra l’imperatore e i suoi sudditi, e fra le differenti classi della società, vennero a permearsi di un nuovo pathos generatosi all’interno della Chiesa cristiana. Le relazioni fra credenti e Dio, fra suddito e imperatore e fra debole e potente vennero a essere permeate di un’unica immagine elementare: l’immagine di un legame fra quanti erano poveri e quanti erano ricchi e potenti, verso i quali i poveri “levavano le loro grida” in cerca non solo di elemosine bensì di giustizia e protezione[…]. Era dovere dei potenti (e, invero, era considerato uno speciale ornamento del loro potere ) ascoltare il “grido” dei poveri >> (25).

Nell’anno 1939, annota nei suoi diari monsignor Domenico Tarditi, uno dei più acuti segretari di Stato che il Vaticano abbia mai avuto :<< A chi la guarda da fuori la Santa Sede sembra un albero frondoso, ma chi la conosce sa che le sue radici sono piene di vermi >>.

<< Né più né meno delle “radici” di qualsiasi altra organizzazione di potere >> (26).

 

 

 

 

NOTE

 

*

Le epigrafi sono tratte da:Ultima udienza del Papa Benedetto XVI a San Pietro del 27 febbraio 2013 e da Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, Rizzoli, Milano, 2010, pag.35.

 

  1. Nove sono stati i Papi dimissionari nella storia della Chiesa. Alcuni di essi furono barbaramente uccisi. Per una ricostruzione della storia dei Papi si veda Mario Guarino, Vaticano proibito. Duemila anni di soldi, sangue e sesso. Un potere che si sgretola sempre più, Koinè edizioni, Roma, 2011; Eric Frattini, L’entità. La clamorosa scoperta del servizio segreto vaticano: intrighi, omicidi, complotti degli ultimi cinquecento anni, Fazi editore, Rom, 2008.
  2. Guerre in corso e in preparazione, metamorfosi della Nato, confronto USA-Cina nella regione Asia- Pacifico, confronto Usa-Russia nei Balcani e nel Medio Oriente, aumento degli armamenti in USA, Cina, Russia e India, aggressione USA in Africa, conflitto per le risorse dell’Artico, costruzione di un’area di libero scambio fra Usa-Europa,
  3. Giovanni Arrighi, Capitalismo e (Dis)ordine mondiale, a cura di, Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010; Gianfranco La Grassa, Oltre l’orizzonte. Verso una nuova teoria dei capitalismi, Besa editrice, Lecce, 2011.
  4. Su questi temi si rimanda a Christian Carvalho da Cruz, Il papa emerito e il marchio della Chiesa. Intervista a Paolo Flores d’Arcais, 2013, in repubblica.it/micromega-online; Franco Cardini, Morte del papa, esposizione mediatica. Considerazioni comparative nell’orizzonte delle grandi religioni monoteiste in “Religioni e Società” n.53/2005, pp.20-25.
  5. Massimo Franco, Verso il conclave in “Corriere della Sera” del 1 marzo 2013.
  6. Riporto la definizione di modernità, da me condivisa, di Marshall Berman:<< Esiste una forma dell’esperienza vitale – esperienza di spazio e di tempo, di se stessi e degli altri, delle possibilità e dei pericoli di vita – condivisa oggigiorno dagli uomini e dalle donne di tutto il mondo. Definirò questo nucleo d’esperienza col termine di “modernità”. Essere moderni vuol dire trovarsi in un ambiente che ci promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo; e che al contempo, minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che siamo. Gli ambienti e le esperienze moderne superano tutti i confini etnici e geografici, di classe e nazionalità, di religione e di ideologia: in tal senso, si può davvero affermare che la modernità accomuna tutto il genere umano. Si tratta, dunque, di un’unità paradossale, di un’unità della separatezza, che ci catapulta in un vortice di disgregazione e rinnovamento perpetui, di conflitto e contraddizione, d’angoscia e ambiguità. Essere moderni vuol dire essere parte di un universo in cui, come ha affermato Marx, “ tutto ciò che è solido di dissolve nell’area” >> in L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985, pag.25.
  7. Sull’intreccio tra potere temporale e potere spirituale si rimanda a Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, Rizzoli, Milano, 2010.
  8. Lucetta Scaraffia, La via della fede, in “L’osservatore romano” del 3 marzo 2013.
  9. Franco Cardini, Il concilio necessario in “Il Manifesto” del 15 febbraio 2013. Si legga anche Franco Cardini, Luisa Muraro, Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli, Lindau, Torino, 2012.
  10. Luisa Muraro, Le dimissioni del papa: bravo e avanti in questa direzione, 20 febbraio 2013, libreriadelledonne.it
  11. Giulio Girardi, La teologia della liberazione nell’epoca di Ratzinger, 2005, puntorosso.it
  12. Massimo Bontempelli, Costanzo Preve, Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero, Editrice CRT, Pistoia, 1997, pag.178.
  13. Peter Brown, Povertà e leadership nel tardo impero romano, Laterza, Roma-Bari, 2003, pag.29.
  14. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, quaderno 29, paragrafo 1, pp. 2341-2342. Francesco Aqueci, Espressività ed egemonia in Gramsci. Note sul quaderno 29, in “Critica marxista” n. 6/2012.
  15. Lucio Caracciolo, Perché contiamo poco, colloquio con Francesco Cossiga, “Limes” n.3/1995. Si veda anche Francesco Cossiga, Fotti il potere. Gli arcana della politica e della umana natura, Alberti editore, Roma, 2010, pp.191.219.
  16. Antonio Gramsci, L’Ordine nuovo 1919-1920, Einaudi, Torino, 1975, pag.426.
  17. Si veda la prefazione alla prima e seconda edizione di Alberto Cecchi ad Antonio Gramsci, Il Vaticano e l’Italia, Editori Riuniti, Roma, 1972.
  18. Costanzo Preve, Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici, Arianna editrice, Casalecchio (BO), 2006.
  19. Tratto da Redazione, Bergoglio, luci e ombre sul nuovo papa, “corriere della sera”, 13 marzo 2013. Si veda anche Gennaro Carotenuto, Il papa argentino. Francesco I, il conservatore popolare nei torbidi della dittatura, 14 marzo 2013, gennarocarotenuto.it ; Horacio Verbitsky, Francesco I, successore di Benedetto XVI. Un Ersatz, “il Manifesto”, 15 marzo 2013.
  20. Gustavo Gutierrez, La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia, 1981, pag 242; Josè Ramos Regidor, Il “popolo di Dio” soggetto della chiesa e della teologia in Giulio Girardi, a cura di, Le rose non sono borghesi…popolo e cultura del nuovo Nicaragua, Borla,Roma, 1986,pp.382-429.
  21. Stefano Velotti, a cura di, Protestanti e cattolici nelle due americhe, tavola rotonda con Bruno Cartosio, Mario Miegge, Alessandro Portelli e Mario Perniola, “ Lo straniero” n.150/151, dicembre 2012/ gennaio 2013.
  22. Sulle cause del fallimento della nuova evangelizzazione di papa Giovanni Paolo II, si rinvia a Alain de Benoist, La “nuova evangelizzazione” dell’Europa. La strategia di Giovanni paolo II, Arianna editrice, Casalecchio (BO), 2002.
  23. Giulia Belardelli, Papa Bergoglio, il primo gesuita a salire sul soglio di Pietro. Intervista a Padre Giovanni La Manna, “L’Huffington Post” del 14 marzo 2013.
  24. Per una introduzione alla vita di Francesco d’Assisi si rimanda a Jacques Le Goff, San Francesco d’Assisi, Laterza, Roma-Bari, 2006.
  25. Peter Brown, Povertà e leadership nel tardo impero romano, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 119.120.
  26. Francesco Cossiga, Fotti il potere. Gli arcana della politica e della umana natura, Alberti editore, Roma, 2010, pp.219.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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