Il ‘complottismo’ nell’epoca del Covid come problema politico, di Andrea Zhok
Il ‘complottismo’ nell’epoca del Covid come problema politico
Alcuni contatti, della cui buona fede non ho ragione di dubitare, hanno manifestato un’evidente incomprensione rispetto alle critiche che ho mosso all’attuale crisi ‘complottistica’ in relazione alla pandemia di Covid-19.
Come ultimo tentativo di chiarimento – ma senza molta fiducia che possa funzionare – cerco di spiegare di che cosa ne va, per me.
Partiamo dal bersaglio polemico. Quali sarebbero i ‘complottisti’ da Covid che ho in mente? Di cosa constano questi frammenti di ‘teorie del complotto’? Cosa li caratterizza? Per dare un po’ di concretezza, partiamo da un elenco, non esaustivo, di classi di asserzioni che danno una buona rappresentanza di queste ‘istanze complottiste’.
Lo schema generale al fondo di queste asserzioni è sempre il medesimo: l’impatto della pandemia viene minimizzato in questo o quell’aspetto cruciale, e da ciò si trae spunto per proporre una ragione occulta dell’apparente discrasia tra una risposta pubblica massiccia e una minaccia reale ritenuta risibile.
Ad esempio:
1) “È assurdo preoccuparsi tanto per un virus la cui mortalità” (o letalità – spesso confuse) “è così bassa”.
Questa asserzione viene confortata di solito scegliendo un confronto numerico ad hoc, che esprima la piccolezza percentuale dei decessi da Covid.
Inutili sono le obiezioni che fanno notare che:
• I dati su mortalità/letalità si hanno alla fine, e prima sono scommesse.
• Quei dati non sono indici esclusivamente dalla serietà della malattia, ma almeno anche della risposta dei sistemi sanitari.
• Il numero dei decessi è solo uno dei parametri per valutare la gravità di una malattia, altri parametri cruciali essendo le conseguenze sulla salute di lungo periodo (in gran parte ignote) e l’impatto sulla funzionalità del sistema sanitario nel suo complesso (es.: saturazione delle terapie intensive).
• I morti da Covid vanno sommati, non sottratti, a quelli per altre cause. Non è che se i morti per altre cause sono elevati, aggiungerne altri li rende meno significativi. Peraltro, se il gioco è quello di minimizzare 32.000 morti, allora possiamo fare lo stesso gioco quotidianamente per gli incidenti sul lavoro o per quelli che restano sotto le macerie di un ponte. Dopo tutto rispetto a un qualche numero sono sempre inezie e ne sopravvivono comunque abbastanza, no?
2) “È assurdo avere reazioni eccessive, giacché la stragrande maggioranza dei deceduti avevano almeno una patologia pregressa.”
• Anche qui risulta inutile far loro notare, ad esempio, che la più frequente patologia pregressa riscontrata nei decessi per Covid è l’ipertensione, di cui soffrono 12 milioni di italiani (un quinto della popolazione). Dietro a quella contestazione sembra esserci l’idea che se uno ha già una patologia pregressa, beh, è praticamente con un piede nella tomba, e salvarlo è quasi accanimento terapeutico. Potrebbe essere utile sapere che le persone che soffrono di una patologia cronica in Italia sono 24 milioni.
3) “È assurdo avere reazioni eccessive, perché tanto uccide solo gli anziani.”
• A prescindere dal carattere nauseante di questa osservazione e dell’atteggiamento etico che implica, è comunque utile ricordare a quelli che ragionano in termini di ‘legittimità di scartare gli improduttivi, che l’età media in Italia è di 46,2 anni, che in molti settori (es. magistratura, università) l’età media dei ruoli apicali è di 60 anni, e che il 35% dei lavoratori in Italia ha più di 50 anni. Naturalmente ci si poteva aspettare che generazioni nate nell’atmosfera liberista del ‘mors tua vita mea’ ragionino in questo modo. Come molte altre deformità dell’anima del nostro tempo, anche questa è comprensibile. Ma resta repellente.
4) Nell’area delle critiche più circostanziate ve ne sono molte che meriterebbero una discussione a parte. Alcune sono anche critiche giuste, che possono essere usate per migliorare le tecniche di profilassi, ma c’è anche una grandissima quantità di pura melma. Un esempio all’ultimo grido è:
“Le mascherine che ci obbligano a portare non servono a nulla e anzi fanno ammalare (fanno venire anche il cancro!).”
• Che esistano numerosissimi studi medici che dimostrino l’utilità delle mascherine in certi contesti (ambienti chiusi, distanze brevi) per prevenire contagi con patogeni respiratori non viene ovviamente preso in considerazione. E peraltro, vista la conclamata inutilità, è noto che medici e infermieri portano le mascherine nelle sale operatorie o in altre situazioni perché amano i giochi di ruolo.
Qui, come in mille altri casi, si rilancia una verità parziale (l’inutilità delle mascherine per attività in solitaria, o la potenziale ipercapnia in caso di uso molto prolungato e/o sotto sforzo) per pervenire ad una tesi sufficientemente netta e brillante (“non servono a niente, ci fanno ammalare”) da suscitare sdegno e aprire ad una teoria del complotto (“se non servono a niente, perché insistono tanto a farcele mettere?”)
5) “L’allarme è assurdamente esagerato, perché la malattia colpirebbe solo certe aree, come la pianura padana; infatti nel resto del paese la mortalità è bassissima.”
• Qui far notare che ad impedire la diffusione del virus nel resto d’Italia è stato un blocco del paese di due mesi è una sottigliezza.
• Come è un’inutile sottigliezza chiedere perché mai sarebbe consolante se il virus colpisse gravemente “solo certe aree” (quelli della pianura padana sarebbero sottouomini sacrificabili per un bene superiore?).
• Ed è egualmente inutile chiedere da dove si trae la certezza (dalle implicazioni enormi) che ad essere sotto scacco sarebbero proprie “certe” aree con “certe” caratteristiche (quali?) e non altre; ecc.
6) Arriviamo poi a tesi più strutturate, che entrano nel quadro complessivo del complotto. Ad esempio:
“Il Covid rappresenta un attacco al tessuto industriale italiano, già sotto mira da tempo; e ciò è confermato dal fatto che ad essere maggiormente colpite sono state le aree con la maggior produzione industriale del paese.”
• Naturalmente far notare che le zone più industrializzate sono regolarmente anche quelle con maggiore circolazione internazionale, e quindi sempre più esposte al contagio, è usualmente inutile.
• E cercar di capire chi potrebbe avere interesse a provocare un danno mondiale di lungo periodo di questa entità per carpire a noi industrie che negli ultimi vent’anni abbiamo svenduto a mazzi, senza bisogno di nessuna epidemia, sarebbe porre domande troppo audaci.
7) Un’altra classe di argomenti che va per la maggiore è quella del tipo:
“La pandemia è una fiaba, una narrazione influente manipolata dai media per terrorizzarci, renderci malleabili e controllarci.”
• Anche qui risulta perennemente sterile far notare che deve trattarsi di una narrazione davvero incredibilmente complessa e ben costruita, se ha convinto a chiudere per Covid non solo Milano (noi, si sa, siamo boccaloni) ma anche New York, Londra o Parigi.
• E anche qui provare a comprendere quale sarebbe l’organizzazione in grado di orchestrare tale narrazione faziosa globale, e quali sarebbero i suoi interessi, trascende la dimensione in cui gli argomenti vengono spesi.
8) Un’ultima classe di argomenti complottistici è quella per cui:
“Gli errori dell’OMS sono in verità parte di un piano, dietro al quale ci sono le pressioni di Bill Gates” (per venderci software?), “o della Cina” (per governare il mondo?) “o di Big Pharma” (per venderci vaccini?).
• Per replicare a queste tesi, che peraltro si contraddicono a vicenda, bastano le considerazioni generali sulle teorie del complotto, di cui infra.
Una variante della critica all’OMS è la critica generalizzata alla scienza per cui dalle indecisioni di un organismo di politica sanitaria internazionale come l’OMS, o dalle contraddizioni tra medici in comparsate televisive, si trae la conclusione che accreditare resoconti scientifici sarebbe di per sé cieco scientismo.
• Questo punto purtroppo segnala come la pura e semplice ignoranza dei canali e delle forme accreditate dalla pratica scientifica (che sono studi pubblicati, e non battute nei talk show) si trasforma, nell’odierna atmosfera di relativismo individualistico, in equiparazione delle proprie opinioni tanto al chilo con i pareri scientifici.
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Dopo questa breve, non esaustiva, ma credo ampiamente rappresentativa sintesi di ricorrenti argomenti ‘complottistici’, veniamo ad alcune considerazioni d’insieme.
I) Complottismo e ‘pensiero critico’.
Spesso le tesi complottiste interpretano sé stesse come istanze di ‘pensiero critico’.
Ora, sarebbe sciocco ritenere che nella politica nazionale ed internazionale, nell’economia, nella finanza, ecc. le intenzioni esplicite corrispondano sempre alle intenzioni reali. Tutt’altro. Un certo grado di dissimulazione e distorsione è quasi ubiqua, così come sono frequenti omissioni e mosse svolte non alla luce del sole. Tuttavia non è questo sospetto verso le intenzioni (dichiarazioni) esplicite a caratterizzare il complottista. Questo sospetto è comune al pensiero critico e al complottismo, ma c’è qualcosa che li separa nettamente.
Ciò che accomuna tutte le disposizioni complottiste, per differenza dal pensiero critico, è la totale trascuratezza nei confronti di tre fattori, ovvero una definizione chiara di: chi sarebbero i soggetti agenti, quali ne sarebbero i moventi, e quali sarebbero i mezzi a loro disposizione(inclusa la capacità di superare l’opposizione di interessi contrapposti).
Così, se sospetto che il forte sostegno mediatico al finanziamento pubblico del gruppo FCA non sia accidentale, ma sia condizionato da FCA stessa, questo sospetto, anche se non pienamente dimostrabile, ha dalla sua parte potenti indizi: il gruppo FCA ha infatti sia i mezzi (proprietà di importanti testate giornalistiche), sia i moventi (il desiderio di accedere ad un’ingente liquidità) per muovere le proprie pedine in quella direzione. Questa è un’istanza di pensiero critico, per cui anche se un’intenzione non è espressa, e anche se la sua esistenza non è pienamente dimostrata, tuttavia esiste materiale indiziario essenziale per nutrire quel sospetto.
Nel complottismo invece spesso non c’è nemmeno il tentativo di identificare un soggetto agente, un ‘cospiratore’. Fioriscono nei resoconti complottisti le terze persone plurali in forma indefinita (“quelli fanno x”, “ci dicono y”, “vogliono da noi z”, ecc.), senza chiarire chi sarebbe questo agente. Quanto alla coppia moventi-mezzi, il complottista non si preoccupa mai di esaminare la loro sostenibilità (la componente narcisistica ha di norma la meglio e per ottenere l’attenzione è sufficiente enunciare una tesi radicale e ‘intrigante’).
II) Complottismo e ‘rottura degli schemi’.
Una frequente autogiustificazione promossa dal complottista consiste nel pensare che, dopo tutto, anche i grandi geni, i pensatori originali, gli innovatori scientifici hanno sempre ‘rotto gli schemi’. Dunque, se loro ‘rompono gli schemi’, rompere gli schemi sarebbe già un passo verso l’originalità, l’innovazione, chissà, magari anche il genio.
Purtroppo ‘rompere gli schemi’ è qualcosa che accomuna geni e cretini (o pazzi). Ogni inferenza razionale ha uno ‘schema’, in quanto segue regole non arbitrarie. Per ‘rompere uno schema’ basta dire una scemenza a caso.
Il mondo è pieno zeppo di persone che si sono costruite un’alta immagine di sé grazie al fatto che “anche Einstein non andava bene a scuola”. È una consolazione innocua, e magari anche utile, finché non approda all’idea che la propria incapacità di capire o seguire uno schema equivarrebbe al geniale superamento delle stantie vestigia di rigidità passate.
Un matematico può costruire un sistema logico in cui 2 + 2 non faccia 4 o in cui l’assioma delle parallele non funzioni, ma questo non ha se non una somiglianza esteriore con il bambino che sbaglia 2 + 2 o che non capisce l’assioma delle parallele.
Una nota a parte la merita qui la riflessione filosofica. La filosofia tocca costitutivamente modalità di pensiero in cui si mette in dubbio ciò che appare ovvio. Ma solo un’incomprensione di fondo può ritenere che dubitare di ciò che appare ovvio, acquisito od evidente sia di per sé già un atto di pensiero significativo. L’esercizio del dubbio filosofico è sorvegliato e mirato: parte da una conoscenza delle datità esperienziali e delle loro giustificazioni, e nel dubitare adotta metodologie di risposta selettive (es.: il rasoio di Ockham) per poter trarre inferenze interessanti dal dubbio. Io posso dubitare di tutto, anche che il mondo esista, ma le condizioni per l’esercizio del dubbio, e il senso da attribuire alle soluzioni, sono attentamente definiti.
Può essere utile notare come il ‘movimento dei liberi complottisti’ si distingua tipicamente nell’operare critiche ad alzo zero a processi e conclusioni di carattere scientifico (ahimé, spesso appellandosi a ciò che ritengono essere filosofia). Una tipica istanza, precedente al Covid, in cui l’atteggiamento complottista si è scatenato è stata quella nei confronti del tema del “riscaldamento globale”, dove i margini di incertezza reali dell’analisi scientifica sono stati convertiti senz’altro nella certezza opposta, che sia tutta una frode per fregarci.
III) Implicazioni etiche del complottismo nell’era del Covid
Sul piano etico tutte le formulazioni di indole ‘complottistica’ elencate sopra hanno un nucleo comune, facilmente identificabile. La sostanza di quelle posizioni è definita in termini come i seguenti: “L’evento Covid, con le sue conseguenze normative sulle nostre vite, non può essere un evento naturale. La sgradevolezza di tali conseguenze normative (divieti, prescrizioni) richiede un’origine intenzionale, cui sia possibile imputarla. Perciò qualunque argomento che mi consenta di esorcizzare o minimizzare questo evento, e di combatterne le conseguenze normative, sarà il benvenuto.”
La fermezza di questo desiderio sta alla radice della impermeabilità alle controargomentazioni che caratterizza l’ispirazione complottista. Siccome le conclusioni cui voglio giungere sono chiare in anticipo ( = rigetto della coazione normativa) gli argomenti che mi permettono di arrivarvi sono liberamente sostituibili: se uno fallisce ricorrerò alla bisogna ad un altro, e poi ad un altro ancora, magari tornando poi al primo.
Questa fondamentale malafede è un peccato originale insuperabile.
È importante capire che qui vanno distinti due atteggiamenti radicalmente diversi.
Le ragioni per mal sopportare i vincoli normativi cui siamo stati sottoposti possono essere ragioni concrete e giustificate. Un individuo può mal sopportare questi obblighi perché lo danneggiano personalmente, ad esempio nella sua attività lavorativa. Questa è naturalmente un’ottima ragione per mal sopportare i vincoli, chi ne soffre ha motivo per lamentarsene, e lo Stato dovrebbe fare tutto il possibile per fornire aiuto.
Ma questa comprensibile disposizione personale non ha niente a che vedere, con la costruzione di una teoria che rimpiazzi il carattere personale della difficoltà camuffandola con tratti ‘sistemici’. In verità, la maggior parte delle persone in concreta difficoltà tende a ragionare in maniera molto più concreta, e raramente si lancia in teorie del complotto per minimizzare gli eventi e alleviare il proprio disagio.
I costruttori di teoremi del complotto sono invece soggetti che incarnano, spesso a loro insaputa, l’essenza del dettato neoliberale, che hanno introiettato fino in fondo. Per loro allentare il grande circo della produzione e del consumo è destabilizzante e incomprensibile; per di più farlo per un “numero contenuto di morti”, per di più in buona parte improduttivi, è senz’altro una follia. “Fateci tornare al più presto a correre sulla nostra ruota, perché al di fuori non sapremmo cosa fare di noi stessi.”
Chi lamenta la propria sorte personale di fronte ad un evento epocale che lo ha danneggiato va ascoltato ed aiutato; ma chi camuffa i propri desideri e il proprio interesse privato travestendoli da disposizione etica generale (“la mia vita deve andare avanti, gli altri crepino se devono”) questi semplicemente non merita alcun rispetto.
IV) Implicazioni politiche del complottismo nell’era del Covid
La costruzione di questa batteria di argomenti fittizi e strumentali soddisfa due principali spinte: una spinta psicologica, con la ricerca di un capro espiatorio, e una spinta egoistico-egocentrica che dia una legittimazione al rifiuto di regole e restrizioni. Questo impianto generale ha tre principali conseguenze di natura sociopolitica.
1) La razionalità claudicante e strumentaledi questa famiglia di teorie produce una molteplicità di soluzioni immaginarie e mutuamente contraddittorie. Questo significa che questi ‘complottismi’ creano un terreno completamente sterile per ogni iniziativa politica che si voglia costruttiva. Venendo meno la capacità di analisi della realtà, che è asservita ad un fine predeterminato, queste interpretazioni condividono solo un meccanismo psicologico comune che le può rendere simpatetiche le une con le altre, ma creano anche divergenze insolubili nella lettura delle cause, e dunque anche delle soluzioni.
2) L’unico oggetto comune di odio finisce per essere l’erogatore prossimo di regole e divieti, dunque lo Stato. Lo Stato viene perciò percepito, secondo la chiave di lettura consolidata dal cinquantennio neoliberale, come un organismo estraneo, ostile, che cerca per natura di opprimere gli individui. Emerge così un anarcoindividualismo di fondo che, curiosamente, si presenta con pari frequenza nei liberisti-libertari tradizionali e in molti sedicenti ‘sovranisti’, di cui si rivela come movente fondamentale l’avversione alle istituzioni. Si separano qui le strade tra chi nutre l’appello alla sovranità di senso dello Stato e dell’interesse collettivo e chi lo nutre di semplice avversione alle istituzioni e ai loro vincoli. L’apparente comunanza è rappresentata dal fatto che l’Unione Europea è sia un’istituzione che ci vincola, sia un impedimento a coltivare l’interesse pubblico e il senso dello Stato. Ma le due motivazioni sono fondamentalmente divergenti. Per chi è mosso da avversione alle istituzioni e ai loro vincoli l’UE può essere facilmente sostituita come oggetto d’odio dallo Stato, o da qualunque altra istituzione sovraindividuale.
3) Nell’immediato, l’atteggiamento complottista nutre e giustifica comportamenti trascurati e indisciplinati, che si presentano come ‘violazioni giustificate’ se non addirittura nobilitate come ‘disobbedienza civile’ (un po’ come la ‘disobbedienza civile’ degli evasori fiscali). Questo atteggiamento contrasta con ogni idea di ‘compattarsi’ di fronte a un problema, di ‘fare squadra’ (idea che l’anarcoindividualismo di fondo recepisce come intrinsecamente inquietante). L’adozione di comportamenti irresponsabili è il corollario naturale di questo atteggiamento, che dunque crea le premesse per arrecare danni alla collettività – danni che il complottista poi prontamente ascriverà al fallimento dello Stato.