IMMIGRAZIONE E GIUSTIZIA! DIVERGENZE APPARENTI, di Emilio Ricciardi

LA PROCURA DI AGRIGENTO ACCETTA REBUS SIC STANTIBUS IL TEOREMA DEL G.I.P. SULLA MANCANZA DI COLPEVOLEZZA DI CAROLA RACKETE.

  1. È del giorno di lunedì 15 luglio 2019 la notizia, diffusa con ampio risalto, secondo la quale la Procura di Agrigento sarebbe in procinto di presentare, “entro e non oltre mercoledì” 17 luglio p.v., il ricorso in Cassazione avverso il provvedimento del 2 luglio u.s. con cui il g.i.p. di Agrigento ha negato la convalida dell’arresto in flagranza di Carola Rackete[1].

Trova spazio, poi, in gran parte dei relativi articoli, l’affermazione secondo cui “Il ricorso alla Cassazione contro il provvedimento che ha scarcerato la Rackete serve per avere una pronuncia della Suprema corte in conformità alle leggi vigenti che diventi un punto di riferimento anche per le altre inchieste simili [grassetto dell’articolista n.d.r.]. In modo tale che le navi Ong indagate per aver violato il divieto di ingresso in acque territoriali disposto dal decreto Sicurezza bis subiscano un trattamento uniforme. Questo perché, secondo l’interpretazione della gip Alessandra Vella, il decreto non potrebbe essere applicato a navi che hanno soccorso immigrati e che dunque non possono essere considerate navi offensive per la sicurezza nazionale. E il comandante, da qui la scriminante applicata alla Rackete, ha il <dovere primario> di portarli subito nel porto sicuro più vicino che, a giudizio della gip, non possono essere considerati né quelli libici né quelli tunisini. In più per la Vella, le motovedette della Guardia di finanza a cui è attribuito il compito di intimare l’alt alle Ong non possono essere considerate navi da guerra. Ecco, per dirimere la questione sarà necessario attendere la pronuncia della Cassazione [grassetto mio]”[2].

  1. Il tenore degli articoli in questione, anzitutto, rende necessarie alcune puntualizzazioni riguardo l’oggetto del giudizio di convalida di un arresto e con ciò, di riflesso, il contenuto e la portata della sentenza che definisce il processo d’impugnazione avverso il provvedimento di diniego di tale convalida; inoltre, si presta ad una deduzione, che peraltro, anticipo, è quella che ha determinato il titolo di questa nota.
  2. Prendendo le mosse dalla questione relativa alla mancata convalida dell’arresto, comincerei da una considerazione preliminare, diretta a meglio inquadrare la valenza giuridica dell’ipotetica impugnazione del relativo provvedimento di diniego emesso dal g.i.p. di Agrigento.

 

Ora, un osservatore non esperto di questioni giuridiche, e segnatamente attinenti alla procedura penale, dalla notizia che la Procura di Agrigento avrebbe deciso di insorgere contro l’ordinanza di “scarcerazione” in discorso ricorrendo alla Corte di Cassazione, probabilmente ricaverà l’opinione secondo cui quell’ufficio giudiziario contesta in radice l’intera decisione del g.i.p. di Agrigento, e dunque il convincimento di quest’ultimo che Carola Rackete non sia colpevole dei reati ascrittile, sia perché avrebbe agito nell’adempimento del dovere di condurre gli emigranti nel più vicino “porto sicuro”, ossia quello di Lampedusa, sia perché il naviglio della Guardia di Finanza speronato da costei non sarebbe una nave da guerra.

Del resto, il sopra riportato passaggio di uno degli articoli giornalistici conforterebbe pienamente l’ipotetico osservatore in parola circa la correttezza della sua opinione.

Ma così non è.

Difatti, come forse già ampiamente noto, l’ordinanza in parola contiene due statuizioni ben distinte ed irriducibili l’una all’altra: una riguardante, appunto, il diniego di convalida dell’arresto, l’altra il rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora nella Provincia di Agrigento. Ciascuna delle quali, quindi, avente presupposti, natura, funzione e contenuto assolutamente non sovrapponibili.

Più in particolare, mentre nel decidere sulle misure de libertate, che è appunto quanto esige la richiesta di applicazione del divieto di dimora nella Provincia di Agrigento, il giudice, al fine di valutare l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza (indefettibile presupposto di applicabilità di qualsiasi misura cautelare), è tenuto a compiere un accertamento a largo spettro, per operare il quale il giudice può e deve utilizzare tutte quelle conoscenze che possono viceversa anche essere ignote all’autore dell’arresto, la decisione relativa all’arresto impone invece che il giudice si limiti a calarsi nell’angolo visuale dell’operatore di polizia giudiziaria che ha effettuato l’arresto, onde valutare se, in base alle circostanze del momento da egli ragionevolmente percepibili o comunque pacificamente da lui conosciute, la misura precautelare fosse legittima.

3.1.       Difatti, che il giudizio sulla convalida o meno dell’arresto comporti la necessità che il giudice si collochi esclusivamente nel punto d’osservazione dell’ufficiale o agente che lo ha effettuato e nel momento in cui vi ha proceduto, essendogli quindi precluso di prendere in considerazione circostanze sconosciute a quest’ultimo e che non poteva conoscere, è dimostrato dal tenore dell’art. 385 cod. proc. pen., che così recita: “L’arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità”.

E la Cassazione ha con chiarezza costantemente affermato che “Il giudice della convalida dell’arresto deve difatti operare un controllo di mera ragionevolezza, ponendosi nella stessa situazione di chi ha operato l’arresto, per verificare, sulla base degli elementi al momento conosciuti, se la valutazione di procedere all’arresto rimanga nei limiti della discrezionalità della polizia giudiziaria” (così, Cass., Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 7470; conformi, Cass., Sez. V, 18 gennaio 2016, n. 1814; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2015, n. 8341; Cass., Sez. VI, 4 dicembre 2013, n. 48471; Cass., Sez. VI, 2 luglio 2012, 25625; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2012, n. 10916).

Ciò sta a significare che oggetto del giudizio di convalida deve senz’altro essere anche il tema costituito dalla rilevabilità o meno, al momento dell’arresto, da parte della polizia giudiziaria di circostanze ritenute idonee ad integrare, ad es., la scriminante dell’adempimento del dovere, ma fatta avvertenza che questo non implica in alcun modo che il giudizio di convalida perda la sua natura di controllo rigorosamente circoscritto alla legalità dell’operato della polizia e quindi giammai esteso anche alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, la quale inerisce, come detto, alla tutt’affatto diversa decisione in materia di misure cautelari.

3.2.       Di conseguenza, per tornare alla vicenda di Carola Rackete, anche se la Cassazione accogliesse (esito effettivamente a mio avviso probabile) l’eventuale ricorso dei pubblici ministeri agrigentini, la relativa sentenza sancirebbe soltanto il fatto che gli operatori della Guardia di Finanza hanno correttamente operato l’arresto della prima poiché la situazione da costoro conosciuta e conoscibile li legittimava a ciò, ma non produrrebbe alcun’altra conseguenza giuridica in merito al profilo inerente i gravi indizi di colpevolezza, la cui insussistenza ha invece formato oggetto di quella valutazione, ripeto, tutt’affatto distinta, in ordine alla richiesta della misura cautelare.

È tanto vero quanto appena affermato che la Cassazione ha avuto modo di precisare che “L’annullamento, su ricorso del P.M., dell’ordinanza di non convalida dell’arresto va disposto senza rinvio [al giudice di merito che deve conformarsi al principio di diritto sancito dalla Cassazione n.d.r.], posto che il ricorso, avendo ad oggetto la rivisitazione di una fase ormai definitivamente perenta, è finalizzato esclusivamente alla definizione della correttezza dell’operato della polizia giudiziaria e l’eventuale rinvio solleciterebbe una pronuncia meramente formale, priva di ricadute quanto ad effetti giuridici” (così, Cass., Sez. V, 3 maggio 2017, n. 21183; v. anche, Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2015, n. 8341, cit.; conforme, Cass., Sez. II, 21 marzo 2014, n. 13287).

Insomma, l’accoglimento dell’ipotetico ricorso degli indaganti agrigentini da parte della Cassazione rappresenterebbe, ove mancasse l’appello avverso il rigetto dell’applicazione di misura cautelare e l’eventuale esito vittorioso di esso, un tipico esempio di vittoria di Pirro.

Dalle considerazioni che precedono, quindi, può constatarsi la totale erroneità dell’affermazione giornalistica sopra riportata, laddove attribuisce alla futuribile decisione della Cassazione in thesi adita dalla Procura di Agrigento la funzione di “dirimere la questione”, ossia di decidere non già, come si sarebbe dovuto asserire correttamente, se la polizia giudiziaria arrestando Rackete abbia operato legalmente (giacché questo e nient’altro costituisce l’oggetto di tale futuribile decisione della Cassazione), bensì se Rackete abbia agito o meno nell’adempimento di un dovere e se la motovedetta della Guardia di Finanza urtata dalla Sea Watch 3 sia da considerarsi nave da guerra, e quindi, in definitiva, se sussistano gravi indizi di colpevolezza a carico di Rackete.

Ed è, peraltro, affermazione giornalistica anche piuttosto mistificatrice, giacché lascia intendere al lettore medio che la Procura di Agrigento ritenga Rackete, in dissenso rispetto al g..i.p. di Agrigento, colpevole (per quanto allo stato degli atti, conformemente alla natura del giudizio cautelare) dei reati addebitatile.

Nella realtà, invece, le scelte investigative della Procura di Agrigento paiono denotare una sintonia di fondo tra l’orientamento di quest’ultima sulla vicenda e la tesi su cui s’impernia l’ordinanza del g.i.p. del 2 luglio u.s.

In particolare, sembra che i pubblici ministeri agrigentini non abbiano impugnato in appello il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare, e quindi si siano preclusi la possibilità di vedere confutata da un giudice superiore la tesi del g.i.p. di Agrigento in merito all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in capo a Rackete.

In effetti, è una semplice deduzione, che subito mi accingo ad illustrare, che mi conduce ad affermare ciò.

  1. Mi preme però anzitutto premettere che tale deduzione è formulata esclusivamente sulla base delle notizie di stampa apparse sull’argomento sino al momento di redazione del presente scritto (16 luglio 2019). Quindi, se nel frattempo, una volta licenziato il testo di questa nota, sopraggiungesse notizia certa di circostanze idonee a mutare il quadro conoscitivo sin qui delineatosi al riguardo, non esiterei, naturalmente, ad apportare tutte le conseguenziali doverose rettifiche.

Ciò premesso, traggo le mosse dalla seguente semplice inferenza: posto che la notizia relativa al presunto imminente ricorso in Cassazione dei pubblici ministeri titolari dell’indagine nei confronti di Carola Rackete è stata immediatamente diffusa dalla stampa, allo stesso modo avrebbe dovuto essere diffusa dalla stampa, con identica tempestività ed ampia evidenza, la notizia dell’avvenuta proposizione o comunque della decisione del promovimento dell’appello cautelare avanti al Tribunale di Palermo da parte dei pubblici ministeri agrigentini. Invece di una notizia di tal fatta non v’è traccia.

Di conseguenza, se si considera altresì che il termine per la proposizione del citato appello è ormai scaduto venerdì 12 luglio u.s. (come precisavo in chiusura del mio articolo pubblicato su questo sito il 9 luglio u.s.), ossia decorsi dieci giorni dalla data di deposito e comunicazione al pubblico ministero dell’ordinanza del g.i.p. di Agrigento (2 luglio u.s.), l’assoluta mancanza di notizie di stampa al riguardo sembra consentire di concludere che la Procura di Agrigento ha prestato acquiescenza a detta ordinanza per effetto della sua mancata impugnazione nel punto in cui essa ha disposto il rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare per l’asserita insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in capo a Rackete.

4.1.       Di conseguenza, se fosse confermata la mancata proposizione dell’appello cautelare, ne discenderebbe la formazione del c.d. giudicato cautelare in punto mancanza dei gravi indizi di colpevolezza di Rackete, avendo costei asseritamente agito nell’adempimento di un dovere ed opposto sì resistenza ad una nave della Guardia di Finanza, che tuttavia non andrebbe considerata nave da guerra.

Il c.d. giudicato cautelare, precisamente, comporta, che, allorquando esso si sia formato a seguito della mancata impugnazione dell’ordinanza reiettiva della domanda cautelare da parte del pubblico ministero, a quest’ultimo resta preclusa la riproposizione della domanda stessa laddove non sia fondata su elementi nuovi rispetto a quelli dedotti (esplicitamente od implicitamente) nella domanda ed a quelli posti a base (esplicitamente od implicitamente) dell’ordinanza reiettiva (v. Cass., Sez. V, 13 ottobre 2009, n. 43068; Cass., Sez. VI, 25 ottobre 2002, n. 5374).

Ciò sta a significare, nel caso che ci occupa, che la pronuncia resa dal g.i.p. di Agrigento circa la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza di Rackete per la scriminante dell’adempimento del dovere e dell’inesistenza di navi da guerra coinvolte nei fatti, non possa più essere messa in discussione sulla base dei medesimi elementi dedotti dai pubblici ministeri agrigentini e di quelli posti dal g.i.p. stesso alla base della propria ordinanza del 2 luglio u.s.

Ora, occorre prestare attenzione alla circostanza secondo cui gli elementi considerati dal g.i.p. per addivenire al rigetto della domanda cautelare risultano assai copiosi, in quanto riferentisi ad un arco temporale, in cui si è ritenuto doversi collocare la condotta di Rackete, sensibilmente ampio, e segnatamente compreso tra il 12 giugno 2019, giorno del recupero da parte della Sea Watch 3 dei presunti naufraghi nella zona SAR libica, ed il 29 giugno 2019, giorno del suo attracco al porto di Lampedusa.

Appare difficile immaginare, allora, stante – come appena visto – la considerazione tendenzialmente onnicomprensiva di ogni profilo della condotta di Carola Rackete così come operata dal g.i.p. di Agrigento nell’ordinanza del 2 luglio u.s., quali potrebbero essere elementi nuovi tali da poter giustificare una nuova eventuale richiesta di applicazione di misura cautelare da parte della Procura di Agrigento[3].

  1. Infine, non possono essere sottaciute le ripercussioni che l’ipotizzata acquiescenza della Procura di Agrigento all’ordinanza reiettiva della domanda cautelare può generare sotto il profilo di un netto indebolimento della funzione di deterrenza che il riconoscimento giurisdizionale, seppure in una fase incidentale del procedimento come quella dell’appello cautelare, della colpevolezza di Rackete avrebbe invece esercitato nei confronti di chi pretenda di entrare nel nostro mare territoriale in violazione del divieto interministeriale ex art. 2, comma 1°, d. l. n. 53/19 (c.d. decreto sicurezza bis) e commettendo i reati ex artt. 1100 cod. nav. e 337 cod. pen.

In effetti, a fronte di un ennesimo ingresso nel mare territoriale italiano da parte del comandante di una nave di una o.n.g. (magari della stessa Sea Watch) in violazione del divieto interministeriale d’ingresso, con quale coerenza la Procura di Agrigento potrebbe non limitarsi a richiedere la sola convalida dell’arresto del comandante eventualmente operato dalla polizia giudiziaria, domandando invece anche l’applicazione di una misura cautelare a suo carico, nonostante abbia (in thesi) omesso di impugnare l’ordinanza in materia cautelare del g.i.p. del 2 luglio u.s.?

Ed in presenza del c.d. giudicato cautelare ormai (in thesi) calato su tale ordinanza, anche ammesso che la Procura di Agrigento decidesse, in occasione di una vicenda analoga a quella di Carola Rackete, di richiedere l’applicazione di una misura cautelare a carico del comandante dell’ennesima nave dell’ennesima o.n.g., chi altro giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento – altro, intendo, rispetto al magistrato autore dell’ordinanza del 2 luglio u.s. – si sentirebbe realmente libero da condizionamenti nell’adozione della relativa decisione?

Ad ogni modo, l’acquiescenza della Procura di Agrigento, ove fosse confermata, sembrerebbe davvero inspiegabile.

O forse no.

In effetti, già avevo notato, nel già indicato mio articolo del 9 luglio u.s., come il fatto piuttosto anomalo che la Procura di Agrigento non avesse chiesto, in occasione di una precedente vicenda molto simile all’attuale e che ha visto sempre protagonista la nave Sea watch 3, il sequestro preventivo della stessa, limitandosi soltanto alla convalida del suo sequestro probatorio, per poi disporne puntualmente il dissequestro, sembrasse poter rivelare, alla luce del contenuto dell’ordinanza del 2 luglio u.s., una comunanza di vedute, un’omogeneità culturale o quantomeno un idem sentire tra Procura di Agrigento e “proprio” g.i.p.

Non avevo, tuttavia, prestato attenzione alle seguenti dichiarazioni rese dal Procuratore Capo di Agrigento, dottor Luigi Patronaggio, nel corso dell’audizione da egli tenuta avanti alla Commissione parlamentare c.d. antimafia il 2 luglio u.s. (peraltro sembra pressoché nello stesso torno di tempo in cui veniva depositata in cancelleria l’ordinanza del g.i.p.) in merito al c.d. decreto sicurezza bis: “Laddove il decreto vuole inasprire e rendere più efficaci le indagini contro i trafficanti di esseri umani [le misure] sono assolutamente condivisibili. Viceversa criticità devo registrare in ordine all’introduzione dell’illecito amministrativo. L’illecito amministrativo è stato introdotto per fronteggiare l’attività di salvataggio delle Ong. Prima dell’introduzione di tale norma, l’attività di salvataggio delle Ong e di recupero degli immigrati erano del tutto lecite e in perfetta linea con il diritto del mare e con le convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia[4].

Ora, pur tralasciando le enormi perplessità giuridiche che suscita un siffatto parere, desidero richiamare l’attenzione su altro, e cioè: posto che l’illecito amministrativo menzionato dal dottor Patronaggio sanziona la violazione del divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale perpetrata dal comandante della nave; e poiché egli sostiene che, in assenza di tale illecito, “l’attività di salvataggio delle Ong e di recupero degli immigrati erano del tutto lecite” in base al diritto internazionale del mare; ne deriva necessariamente che, ad avviso del dottor Patronaggio, in primo luogo, la detta attività di salvataggio includerebbe il diritto/dovere della nave di fare ingresso nel mare territoriale e financo di condurre gli immigrati nel relativo porto, e, in secondo luogo, nella misura in cui essa attività trarrebbe la sua liceità dal diritto internazionale del mare, il predetto illecito amministrativo si porrebbe in contrasto, appunto, con tale diritto.

Ma non è questa, forse, in buona sostanza, la tesi su cui si fonda l’ordinanza del g.i.p. di Agrigento del 2 luglio u.s.?

Perché se così fosse, allora non si comprenderebbe il motivo per il quale la Procura di Agrigento avrebbe dovuto impugnare un provvedimento di rigetto della domanda cautelare che, tutto sommato, il capo della Procura stessa condivide nella sua essenza.

Ed il cerchio quindi può chiudersi.

[1]     V., fra i tanti articoli sul punto, https://www.agrigentonotizie.it/cronaca/procura-agrigento-ricorso-contro-scarcerazione-carola-rackete.html.

[2]    In https://www.ilprimatonazionale.it/primo-piano/seawatch-procura-agrigento-ricorso-cassazione-contro-scarcerazione-capitana-124576/. Analogamente: https://www.grandangoloagrigento.it/apertura/agrigento-procura-ricorre-in-cassazione-contro-la-scarcerazione-di-carola-rackete#kD6eXheckmGcsdy6.99; https://www.repubblica.it/cronaca/2019/07/15/news/sea-watch_3_la_procura_ricorre_in_cassazione_contro_la_scarcerazione_di_carola-231208037/). V., anche, https://www.grandangoloagrigento.it/apertura/agrigento-procura-ricorre-in-cassazione-contro-la-scarcerazione-di-carola-rackete, ove può leggersi: “Il ricorso della Procura agrigentina, che sarà depositato entro mercoledì, ha l’obiettivo di ottenere un pronunciamento da parte della Suprema Corte che possa diventare un punto di riferimento nell’ambito delle inchieste sulle Ong e sull’eventuale divieto di ingresso nelle acque territoriali disposto dal decreto sicurezza Bis”.

[3]     In prima battuta, mi viene da pensare che elementi nuovi potrebbero essere considerati probabilmente quelli che scaturissero a carico di Rackete dall’ulteriore indagine pendente nei suoi confronti avanti alla Procura di Agrigento in ordine al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non appare azzardato supporre, in effetti, che il rinvenimento di elementi di prova che deponessero per la fondatezza di questo addebito, renderebbe difficilmente sostenibile la perdurante validità della tesi che si fonda sulla scriminante dell’adempimento del (presunto) dovere del comandante di una nave soccorritrice non solo di recupero dei naufraghi, ma di autonoma e discrezionale loro conduzione al “porto sicuro” più vicino: la configurabilità dell’esistenza di tale dovere, difatti, presuppone evidentemente l’estraneità dell’agente alla condotta che ha causato la situazione di pericolo generatrice del dovere di assistenza, tanto più ove tale condotta integri essa stessa un reato.

[4]     In https://www.fanpage.it/politica/migranti-il-procuratore-di-agrigento-patronaggio-mai-provato-rapporto-tra-trafficanti-e-ong/.