Strategie e capisaldi, di Fabio Falchi

Condivido molto ma non ritengo che la Lega dando vita ad un governo giallo-verde abbia commesso un errore strategico. L’errore della Lega, a mio giudizio, è stato un altro, ossia ritenere che l’alleanza giallo-verde fosse una alleanza strategica anziché tattica.

Mi spiego meglio: La Lega doveva necessariamente risolvere due problemi prima di sfidare l’UE (sfida peraltro difficilissima e che non si può vincere con un “sovranismo” e un anti-europeismo da fiera paesana): strutturarsi come autentico partito nazionale (ossia non più “(macro)regionale”) e conquistare il maggior numero possibile delle casematte dell’apparato dello Stato italiano, quasi tutte controllate dal PD. Quindi era necessario fare una alleanza con “il nemico del suo nemico”, sapendo però che la natura “impolitica” del M5S (che pure , almeno in teoria , l’esperienza di governo poteva trasformare in una forza politica non più “impolitica”) poteva giocare dei brutti scherzi, e che il nemico da sconfiggere non era in primo luogo il più pericoloso (ossia il partito del PdR legato a doppio filo con l’UE) ma il più debole anche se ancora assai pericoloso per la Lega, ossia il PD (che la stessa UE non considerava più come il proprio “agente italiano”, per la sua debolezza e le sue divisioni interne, ).

Per la Lega quindi il conflitto , più che probabile, all’interno del governo giallo-verde (composto da tre attori politici: partito del PdR – che potendo contare pure su Conte si andava sempre più rafforzando, attirando di conseguenza pericolosamente dalla propria parte pure il M5S proprio per la sua “natura impolitica” -, M5S e Lega) andava combattuto cercando di non arrivare alla “rottura” prima di avere almeno nominato il Commissario europeo, i vertici delle aziende strategiche italiane nonché delle forze armate, di quelle dell’ordine e via dicendo, e al tempo stesso adoperandosi seriamente per trasformare la vecchia struttura della Lega Nord in una struttura adeguata ad un partito nazionale di massa.

Di fatto la Lega non solo non è riuscita a risolvere né l’uno né l’altro di questi problemi, ma volendo prima combattere il “padrone” anziché il suo “malconcio” maggiordomo le ha prese dall’uno e dall’altro e ora si trova a dover ricominciare tutto da capo, da una posizione che non si può certo definire una posizione vantaggiosa. In pratica, la Lega ha messo il carro (l’economia) davanti ai buoi (la strategia politica).

In questo contesto, per i leghisti è assai più facile regredire che progredire, pensando che con un grande successo elettorale (peraltro non affatto scontato) possa risolvere qualsiasi problema.

Comunque sia, l’analisi di Roberto merita davvero di essere letta perché impiega categorie strategico-politiche anziché categorie ideologiche e/o retoriche fuorvianti e incapacitanti.

 

Sinistri, destri, pentastellati e il declino del nostro Paese

Fabio Falchi

Che la sinistra sia parte costitutiva dei gruppi dominanti globalisti è un dato acquisito, così come ormai è un dato acquisito che pure il M5S sia finito nella cloaca globalista. Tuttavia, la questione politica del nostro Paese non è solo questa, che riguarda, sia pure in forma e misura diverse, tutti i Paesi occidentali.

Invero, anche la crisi del governo giallo-verde ha confermato che il problema dei destri è altrettanto grave di quello dei sinistri.

Ammettiamo pure che la premessa da cui partono i destri sia corretta, giacché è innegabile che la Lega, ostacolata com’era dalla UE e dal partito del PdR (in particolare da Conte e Tria che ormai potevano contare sull’appoggio del M5S), avesse scarsi margini riguardo alla manovra in deficit che voleva fare.

Basta però questo per affermare che il “Capitano” sarebbe stato vittima di un complotto o comunque sarebbe stato obbligato (da chi? e qui i complottisti si scatenano) ad aprire la crisi? Ovvero basta per affermare che il “Capitano” non avrebbe alcuna responsabilità riguardo alla caduta del governo giallo-verde o sostenerlo sarebbe come affermare che dato che l’Italia confina anche con la Francia, l’Austria e la Slovenia, non confina con la Svizzera?

Per i destri comunque il “Capitano” avrebbe fatto bene a chiedere elezioni anticipate (costringendo il M5S a scegliere tra una disfatta certa o ad allearsi con il PD per cercare di sopravvivere) e, non essendo riuscito ad ottenerle, avrebbe fatto bene ad andare all’opposizione (ma se davvero il M5S voleva mettere fine al governo giallo-verde entro quest’anno, vi era forse occasione migliore del voto sul decreto sicurezza bis o sul TAV per farlo?).

Comunque sia, anche se il “Capitano” avesse fatto bene a mollare tutto (dando così la possibilità al PD di condurre di nuovo la politica italiana e di nominare i vertici delle partecipate, vera locomotiva strategica della economia italiana – altro che PMI e flat tax!) e ad aspettare di prendersi una netta rivincita nelle urne (ma la pelle dell’orso non si vende prima di averlo ucciso) la questione da porsi è un’altra.

Difatti, non si deve ignorare che la manovra espansiva difesa dalla Lega in pratica consiste nel tagliare le tasse, in specie ai ricchi e alle PMI, senza considerare che i ceti più abbienti in questi anni hanno accumulato un enorme risparmio (e con “affari” peraltro in buona parte tutt’altro che “puliti” oltre che grazie ad un lavoro sottopagato) che alimenta i flussi finanziari e la rendita, non certo i settori produttivi, ma che i destri vogliono difendere a qualunque costo.

Del resto, è noto che le PMI non sono in grado di investire i miliardi di euro necessari per competere con i colossi internazionali (e senza la locomotiva strategica le PMI possono rivelarsi perfino una palla al piede!). Ciononostante, i destri ritengono che l’Italia da sola possa cavarsela nell’epoca dei grandi spazi e della sfida tra potenze continentali con un “sovranismo d’accatto” (che non si deve confondere con una equilibrata e necessaria difesa della sovranità nazionale) , come se il nostro Paese non fosse caratterizzato da un apparato statale obsoleto, da una burocrazia tra le più inefficienti del mondo, dallo sfascio del settore educativo, dal degrado del territorio, da disservizi di varia natura, da gravi ritardi tecnologici e via dicendo.

Punti deboli che i potentati stranieri com’è ovvio sfruttano a loro vantaggio, ma di cui chiaramente non sono i maggiori responsabili. Le “colpe” però per i destri sarebbero sempre solo degli “altri” e bisognerebbe quindi lasciare che il “genio italico” potesse esprimersi per risolverli (di conseguenza per la maggior parte dei destri preparazione, ordine mentale e studio sarebbero solo una perdita di tempo!).

Come se non bastasse, i destri oscillano tra un americanismo grottesco e un antiamericanismo da baraccone, l’uno e l’altro resi ancor più dannosi da una mancanza di un’autentica cultura (geo)politica che induce i destri a leggere la realtà geopolitica con lenti deformanti e ad accusare i sinistri di essere “comunisti” e “statalisti” e il governo Conte bis di essere giallo-rosso! (Non a caso, non pochi destri attribuiscono ai badogliani – oggi identificati soprattutto con i pentastellati – la responsabilità di tutti i disastri dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, dimenticandosi che era stato il regime fascista a portare il nostro Paese allo sfacelo e che l’8 settembre 1943 fu solo il frutto amaro, anzi amarissimo di quello sfacelo. E fu tale non perché i badogliani tradirono i tedeschi, ma perché tradirono il loro Paese, vale a dire perché, anziché difendere Roma com’era loro preciso dovere, preferirono svignarsela lasciando il Paese e l’esercito senza ordini).

In definitiva, è inutile prendersela solo con i pentastellati e i sinistri (che sono criminali in giacca e cravatta ma coerenti e capaci di guadagnarsi il concreto sostegno di potentati stranieri e ora pure di incassare qualche sì dalla UE preoccupata per la crisi della Germania e disposta a dare una mano al “Conte bis” pur di indebolire i populisti), perché la destra italiana è in buona misura una destra di buffoni, ciarlatani e complottisti come anche questa vicenda tragicomica di fine estate ha dimostrato.

Si obietterà che i sinistri e i pentastellati sono peggiori. Sì lo sono, ma né loro né i potentati stranieri, europei o americani, sono gli unici responsabili del declino del nostro Paese.

ALEA IACTA EST!, di Fabio Falchi

ALEA IACTA EST!

Ormai non resta che attendere che l’accordo tra il PD e il M5S conduca alla formazione di un governo giallo-rosa, salvo improbabili colpi di scena all’ultimo momento.
Vale tuttavia la pena rammentare quel che si rischia per la mancanza in Italia di una forza politica con una visione (geo)politica organica e capace di rappresentare una seria alternativa alla politica dei giallo-rosa.
Difatti, la struttura della Lega è in pratica ancora quella della Lega Nord, presente sì in diversi enti locali, ma non “radicata” nelle istituzioni che davvero contano, sia nazionali che europee, priva del sostegno dei media e connotata da scarsissima cultura (geo)politica. Si tratta di lacune che la leadership della Lega e in particolare il suo “Capitano” cercano di colmare con l’attiva presenza sui social, avvalendosi della collaborazione di “pubblicitari”, ossia mediante degli slogan particolarmente “efficaci” e un linguaggio diretto e semplicistico.
In sostanza, la Lega punta pressoché tutte le proprie carte sulla lotta contro l’immigrazione clandestina e la (micro)criminalità, ovverosia su “law and order”, e sullo scontro con l’UE, secondo una prospettiva geopolitica che si suole definire “trumpista” e che consiste nello schiacciarsi “acriticamente” sulle posizioni della Casa Bianca, anche a costo di sacrificare cospicui interessi economici del nostro Paese (basti pensare all’Iran o alla Cina) e secondo una prospettiva economicistica che mira a ridurre il carico fiscale, in specie ai ceti più abbienti, per far crescere l’economia. Peraltro, gli economisti più noti della Lega sono “no euro”, di modo che, una volta che si sono resi conto della enorme difficoltà di uscire da Eurolandia senza un accordo con la Germania e la Francia, non sono stati in grado di elaborare una strategia economica alternativa al “no euro”, tranne la flat tax, ritenuta dai leghisti una specie di “bacchetta magica”.
D’altronde, la “strategia”, se così si può definire, che aveva adottato la Lega per raggiungere i suoi obiettivi è nota: costringere alla resa l’UE sia con le elezioni europee del maggio scorso che con l’appoggio incondizionato della Casa Bianca.
Le elezioni europee, com’era del resto prevedibile, hanno visto crescere enormemente la Lega sotto il profilo elettorale in Italia, ma hanno anche confermato che, il “peso politico” della Lega nell’UE a trazione franco-tedesca è insignificante (come ha chiaramente dimostrato la stessa elezione della von del Leyen al posto di Juncker).
I leghisti hanno però puntato pure sull’appoggio incondizionato della Casa Bianca, che nessuno comunque sa bene in che cosa precisamente dovrebbe consistere, mentre, anche senza considerare il tweet di Trump (che secondo alcuni pare avere messo addirittura la corona di ferro sulla testa di Conte), vi è casomai il rischio di farsi utilizzare dalla Casa Bianca o da alcuni suoi “agenti” come uno strumento esclusivamente in funzione degli interessi americani, diversi da quelli del nostro Paese (si pensi ancora, ad esempio, all’Iran e alla Cina).
Di fatto la Lega ha dimostrato di non possedere l’organizzazione e la capacità (e probabilmente nemmeno la determinazione) necessarie per condurre con successo la lotta politica all’interno delle istituzioni (premessa necessaria pure per potere organizzare una mobilitazione popolare capace di incidere significativamente sugli equilibri politici del nostro Paese).
Per di più, la Lega rimane tagliata fuori dai giochi nazionali ed europei proprio quando il vento in Europa sta cambiando. Non vi è solo, infatti, da prendere in esame la spinosa questione della Brexit ma quella ancora più spinosa della crisi economica che penalizza la stessa Germania, tanto che probabilmente nei prossimi mesi sarà sempre meno difficile difendere l’austerity, e il governo giallo-rosa potrebbe quindi giocare con discreto successo questa carta per ottenere qualche vantaggio per il nostro Paese.
Certo, dal PD, ossia da un partito che ha sempre difeso, sia pure con coerenza, gli interessi della UE a scapito di quelli dell’Italia e per il quale gli unici diritti da tutelare sono quelli LGBTQ e dei cosiddetti “migranti”, si sa quel che ci si può aspettare. E il discorso vale ormai pure per il M5S nonostante che, a differenza del PD, abbia mutato rotta di 180 gradi solo per “rimanere in sella”.
Si deve comunque riconoscere che, anche se si tratta di un mutamento di rotta analogo a quello che avrebbe compiuto la Lega se (di punto in bianco) avesse difeso l’austerity e l’immigrazione clandestina, la svolta del M5S non si può definire “sorprendente”, sia perché (anche grazie alla “mediazione” di Conte, rivelatosi, forse per mera ambizione personale, una pedina della UE) da tempo dei 5S erano “in contatto” con il PD e con i vertici della UE, sia per la totale mancanza di cultura (geo)politica dei 5S – che li porta a privilegiare categorie affatto “impolitiche” e a difendere misure per lo più meramente assistenziali e demagogiche -, sia per le molteplici anime di questo “movimento”, che ormai appare del tutto screditato agli occhi della maggioranza degli italiani. In effetti, l’ignominiosa (come altrimenti definirla?) alleanza con il suo acerrimo nemico, ossia il PD, scredita del tutto il M5S agli occhi di molti italiani e lo priva di ogni seria ragione di esistere.
Tuttavia, non si deve neppure trascurare che il PD, sebbene sia lacerato da conflitti interni e lotte intestine, gode di appoggi e sostegni sufficienti per opporsi alla Lega, di modo che anche un governo giallo-rosa potrà contare su questi appoggi e sostegni, tanto più che presto si dovranno nominare i nuovi comandanti delle forze dell’ordine nonché i vertici di ENI, ENEL, Leonardo, Poste, MPS e altre aziende strategiche (per un totale di circa quaranta consigli di amministrazione da rinnovare), e nel 2022 si dovrà eleggere anche il nuovo Presidente della Repubblica. Viceversa la Lega sembra ignorare che perfino una vittoria elettorale segna non la fine ma l’inizio della lotta politica.
In definitiva, la Lega, per le sue diverse e gravi lacune di carattere metapolitico e culturale (che peraltro non si possono colmare nel giro di pochi mesi, dacché per poterle colmare ci vorrebbe un lungo, intenso e rigoroso lavoro di preparazione e formazione politico-culturale, mentre la Lega, proprio come il M5S, non si pone neppure questo problema), si è dimostrata incapace di trasformare il consenso in autentica “potenza politica” e di conseguenza di combattere quelle forme di guerra ibrida che caratterizzano sempre più la lotta per l’egemonia, sia sotto il profilo geopolitico che sotto il profilo politico-economico e sociale.
Certo, che la nave giallo-verde, in specie dopo le recenti elezioni europee, navigasse in cattive acque si sapeva, ma comunque navigava. Perché allora far cadere il governo giallo-verde proprio ora? Vi è chi ritiene che la Lega desse per scontato il “ribaltone” e abbia voluto anticipare “i tempi”, forse anche per produrre una “frattura” nel M5S e in qualche modo costringerlo ad appoggiare una manovra economica imperniata sulla flat tax oppure ad accettare di andare alle elezioni politiche il prossimo ottobre. Ma se davvero il M5S aveva già deciso di fare ad ogni costo il “ribaltone” quest’estate, quale occasione migliore per farlo del voto sul TAV (peraltro nemmeno elencato nei cosiddetti “dieci punti” di Di Maio) o sul decreto sicurezza bis? Inoltre, i 5S potevano sì ostacolare la Lega in mille modi, ma difficilmente potevano prendere l’iniziativa di “staccare la spina” al governo giallo-verde per fare il “ribaltone”, che invece la decisione di Salvini ha reso possibile e consente pure al M5S di giustificarlo accusando la Lega di avere “silurato” il governo di Conte .
D’altronde, la nave giallo-verde adesso avrebbe potuto pure sfruttare il nuovo vento che soffia in Europa. Si sarebbe dovuto soffrire, litigare e lottare ma nelle istituzioni. Rinunciando invece all’iniziativa strategica, la Lega ha solo ceduto il comando della nave Italia ai propri avversari e nessun frutto ha dato l’offerta della Lega di rinnovare la disponibilità ad aprire un confronto con i 5S per salvare il governo giallo-verde e arrivare a un “accordo di legislatura”.
Ovviamente, nessuno può negare che il governo giallo-rosa ben difficilmente sarà un governo stabile e che quindi già nella prossima primavera vi potrebbero essere nuove elezioni politiche, e allora la Lega avrebbe buone probabilità di infliggere un colpo letale al M5S e pure al PD. Ma è indubbio che le sorti della Lega ormai dipendano soprattutto dagli errori del PD e del M5S, né si può escludere a priori che il governo giallo-rosa possa durare per l’intera legislatura (chiaramente l’obiettivo del PD e degli “eurocrati” è impedire alla Lega di nominare i vertici delle aziende strategiche e adoperarsi perché il governo giallo-rosa duri perlomeno fino alla elezione del nuovo presidente della Repubblica).
Comunque sia, la sorte della Lega deve essere nettamente distinta da quella dell’Italia, perché se non si vuole che la nave Italia affondi si deve tener conto non solo della questione che concerne il “capitano” della nave, ma pure di quella dell’equipaggio e della stessa nave, in una fase storica contrassegnata da una crisi della civiltà europeo-occidentale e dal multipolarismo sul piano geopolitico (il che è tanto più rilevante se si tiene presente che gli equilibri politici italiani dipendono anche da attori geopolitici stranieri)
Basarsi dunque solo sulle lacerazioni e sulle lotte intestine presenti nel PD o nel M5S e sugli errori che questi due partiti possono commettere, non può risolvere i problemi di fondo della politica italiana, ma tutt’al più può permettere di tornare ai “nastri di partenza”. Si sa che per molti italiani questa sarebbe la soluzione migliore. Ciononostante, si dovrebbe essere consapevoli che non sarebbe sufficiente ad eliminare il rischio che l’Italia scompaia dalle mappe geopolitiche del nostro pianeta o perlomeno da quelle che contano veramente.

GUERRA IBRIDA

In pratica questo governo (giallo-marrone o giallo-rosa o giallo fucsia) nasce con la benedizione di tutti o quasi tutti: di Ursula von der Leyen, degli “eurocrati”, di Macron, della Germania über Alles, di Trump, del Vaticano, dei media mainstream (nazionali e internazionali), delle ONG, dello “Stato profondo” italiano, di Magistratura Democratica, dei rappresentanti della Industria Decotta e della Grande Finanza, dei sindacati, delle “star” di Hollywood e di quelle made in Italy, degli “arcobalenati” LGBTQ, dei travet e dei loro dirigenti, degli assistenti sociali, dei ruffiani, delle puttane e dei loro clienti, ma pure di quella degli stessi “strateghi” leghisti (perché “era ora che venisse a galla questa schifezza giallo-marrone!”), degli zombi rossi e neri (“tanto peggio, tanto meglio!”), degli “eurasiatici per Macron” , degli islamisti, sunniti e sciiti, e secondo alcuni si sarebbe fatto festa perfino nella lontana Pechino!
Insomma, tranne la maggioranza degli italiani e pochi altri, sarebbero contenti tutti. Un consenso pressoché universale! Com’è possibile questo? Leggere la stampa internazionale può aiutare a capirlo. L’immagine di un governo fascista o addirittura nazista, che sterminava i migranti e odiava i musulmani, pronto ad usare il manganello per reprimere il dissenso e minacciava di scatenare una guerra in Europa è quella che è prevalsa pure all’estero e quindi l’infezione andava eliminata al più presto.
Già, la guerra ibrida, questa sconosciuta!

RIPENSAMENTI

“Interessanti” i dubbi che Di Maio ha espresso a Conte. Dubbi probabilmente causati dalla pressione sui vertici del M5S da una parte della “base” del M5S (che non può facilmente ingoiare un simile rospo), dal rischio che i pentastellati vengano più o meno lentamente fagocitati dal PD o che il M5S sia un mero strumento degli eurocrati.

crisi di governo. Impressioni a caldo, di Fabio Falchi-politiche da salumiere, di Augusto Sinagra

Impressione a caldo sui discorsi di Conte, Salvini, ecc.
Prevedibili le dimissioni di Conte e la “tiepida” apertura di Salvini al M5S. Nemmeno da prendere in considerazione le fesserie dei piddini, forzisti, ecc., che peraltro hanno confermato l’infimo livello intellettuale e culturale della stragrande maggioranza dei parlamentari. In pratica, solo Salvini, sia pure in modo confuso e abborracciato, ha trattato le questioni di fondo: manovra economica, rapporti con la UE, immigrazione, riforma della giustizia ecc. Gli altri, incluso Conte, hanno preferito parlare soprattutto di Salvini o del governo giallo-verde, per difenderlo o per attaccarlo.
Comunque, si è capito che tra il M5S e il PD vi sono già “forti contatti” e quindi è probabile che i giochi siano già fatti – o, se si preferisce, il “pasticciaccio ormai è fatto” – e che ora la questione non sia quella di un governo giallo-rosa ma riguardi “chi” ne dovrebbe fare parte e quale programma dovrebbe svolgere.
Tuttavia, benché ora l’iniziativa strategica sia nelle mani del PD e del M5S (ovvero il Paese dipenda dalle loro mosse), si è avuta pure la conferma che ben difficilmente un governo giallo-rosa potrà durare. Ed è proprio su questo che si dovrebbe puntare se, come è assai probabile, si formerà un governo sostenuto dal M5S e dal PD, benché vi sia anche il pericolo che nei prossimi mesi la Lega regredisca verso posizioni demagogiche e di tipo “berlusconiano”, soggiacendo al richiamo della foresta “nordista e neoliberista”. La Lega adesso dovrebbe invece, basandosi sul forte consenso popolare di cui attualmente gode, dotarsi degli strumenti politico-culturali necessari per difendere il ruolo “strategico” del Politico (e quindi dello Stato che del Politico è, per così dire, il “braccio armato”) nella economia e non solo nell’economia.
Solo vincendo questa sfida – che, sotto il profilo economico, implica che il mercato sia non certo abolito ma messo al servizio dell’interesse dell’intera collettività (in pratica, sarebbe necessaria, sia pure mutatis mutandis, una sorta di New Deal) – sarà possibile combattere efficacemente i nemici , interni ed esterni , del nostro Paese.

POLITICA DI GOVERNO O GESTIONE DI UNA SALUMERIA?, di Augusto Sinagra
Giuseppe Conte fortunoso Presidente del Consiglio dei Ministri per autorevole indicazione fatta dall’ex dj di Mazara del Vallo (il noto Alfonso Bonafede) ha concluso il suo discorso al Senato, e senza attendere il voto conclusivo e dunque offendendo la maestà della volontà popolare, è corso come una lepre pugliese dal figlio di Bernardo Mattarella per rassegnare le dimissioni.
Che il giovane pugliese ritorni nell’anonimato è cosa positiva.
Qualche riflessione comunque si impone.
E’ evidente che le questioni sollevate dal Ministro Matteo Salvini sono questioni molto serie che hanno condotto al risultato positivo di costringere Conte e i suoi amici 5S ed altri a togliersi la maschera.
A parte i disonesti e i traditori di professione, era già da tempo noto a tutti che il governo agiva contro gli interessi nazionali in piena sintonia con le “dritte” del figlio di Bernardo Mattarella. Mi riferisco ai Ministri voluti dai 5S e dal figlio di Bernardo. L’unico che ha difeso gli interessi nazionali è stato ed è il Ministro Matteo Salvini reo per questo di colpe imperdonabili e dunque la canea dei traditori al governo e fuori dal governo si è concentrata contro di lui.
Il problema dunque non è la cura degli interessi nazionali ma la guerra a Salvini e il brivido che provocano agli altri Partiti le previsioni di voto per la Lega tra il 34 e il 38% dell’elettorato.
Tutto sarà fatto perché non si vada a votare fino a che non sarà possibile ai traditori eleggere un altro figlio di Bernardo Mattarella (non in senso parentale anche se c’è sempre Nino Mattarella, fratello di Sergio e anche lui figlio di Bernardo, con un c.v. di tutto rispetto).
Questo spiega gli insulti da basso fondo rivolti dal parvenu pugliese a Matteo Salvini. Si sa, quando non si hanno argomenti e la paura provoca contrazioni sfinteriche, si ricorre all’insulto e al falso.
Ma quello che è stato più ignobile nel discorso di Conte Avv. Giuseppe è stato quando ha rivendicato il merito della elezioni alla presidenza della Commissione UE della nota Ursula nel senso che in questo modo si sarebbero evitate la “procedura di infrazione”. Quale procedura e quale infrazione non si sa.
Dunque, l’azione del governo calibrata non per la cura degli interessi nazionali ma per evitare un esborso (comunque inesistente).
Questa non è l’azione di un governo ma un calcolo da salumiere, e anche da salumiere incompetente.
Il figlio di Bernardo Mattarella continui a disattendere la volontà popolare che richiede il voto subito, dia l’incarico per la formazione di una oscena maggioranza PD, 5S, più Europa, LEU, Soros, Goldman Sachs, JP Morgan, ecc., ma tenga presente che si andrà a votare prima del suo rinnovo. Saranno mesi di lacrime e sangue cui gli italiani sono ben abituati da troppo tempo, saranno giorni di invasioni africane di dimensioni inimmaginabili, ma poi arriverà il giorno del giudizio e chi deve pagare pagherà.
L’Italia sarà sempre capace di sopravvivere a sé stessa e ai suoi governi traditori.

QUELLO CHE CONTA, di Fabio Falchi

Dopo avere rimosso alcuni miei contatti che, al posto del cervello evidentemente devono avere un sasso o un disco incantato, ripeto, a scanso di equivoci, che adesso concentrarsi sulla persona del “Capitano” (che certo non è né Epaminonda né Federico II Hohenstaufen), per esaltarlo o denigrarlo , è di scarso interesse e rischia di occultare la questione essenziale..
Quel che adesso conta è sapere se ci sarà o no un governo (tecnico?) giallo-rosa e, se ci sarà, che cosa farà e quanto potrà durare.
Nel caso (più che probabile) ci fosse un governo giallo-rosa, la questione del “Capitano” in pratica conterebbe solo in funzione della strategia che l’opposizione, ossia fondamentalmente la Lega, adotterà per contrastare il governo giallo-rosa, cioè se continuerà con la navigazione a vista, confidando soprattutto nella capacità del “Capitano” di comunicare direttamente con il “popolo” sui social e nelle piazze, o se si strutturerà per trasformare il consenso in effettiva “potenza politica” ed essere in grado di combattere con successo la guerra ibrida che diversi centri di potere, nazionali e non, stanno conducendo contro il nostro Paese.
Pensare però, come affermano alcuni (tra cui qualche mio contatto che pare avere perso la bussola), che sarebbe ora di passare alle” maniere forti” scatenando la piazza contro un governo giallo-rosa, sarebbe suicida, perché l’uso della forza, per non ritorcersi contro chi la usa, presuppone il controllo “effettivo” (perlomeno) di parti consistenti e significative degli apparati di coercizione dello Stato (forze dell’ordine, forze armate e servizi segreti).
Come sempre, del resto, una guerra, ibrida o no, richiede solida preparazione tecnica e materiale, motivazione morale (e quindi il forte e radicato sentimento ostile di cui parla von Clausewitz in Della Guerra) e soprattutto una intelligente e decisa azione di comando.
Inutile dire che, rebus sic stantibus, la guerra ibrida che si sta conducendo contro l’Italia piuttosto che contro la Lega – o, se si preferisce, contro la Lega per colpire l’Italia – è una guerra che il nostro Paese ben difficilmente può vincere.

L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA, di Fabio Falchi

L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA

Il nuovo scontro tra Stati Uniti e Germania sulla missione marittima nello Stretto di Hormuz (missione pianificata da Washington per impedire che gli iraniani possano minacciare la libera navigazione in quello Stretto, attaccando o sequestrando delle petroliere come ritorsione per il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano del luglio 2015 – ossia dal Joint Comprehensive Plan of Action – nonché per le sanzioni adottate dagli americani contro l’Iran), è certamente un altro segno del deterioramento dei rapporti tra l’America e Unione Europea. Anche se Berlino afferma che questa missione (cui, se ci sarà, non è escluso che anche la Germania possa parteciparvi) non farebbe altro che gettare benzina sul fuoco, in realtà questo scontro tra la Germania e gli Stati Uniti ha un significato che va ben oltre la questione del nucleare iraniano. In gioco, infatti, vi sono interessi economici e questioni geopolitiche più importanti che la divergenza di opinioni sulla strategia da adottare nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran. Per capirlo però occorre fare “qualche passo indietro”.
È noto che l’Unione Europea (e in particolare l’euro) avrebbe dovuto essere lo “strumento” politico-economico mediante il quale ancorare saldamente la Germania all’Atlantico dopo il crollo del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione Sovietica. Invero, la Germania, ottenendo che l’Unione Europea fosse una “unione competitiva europea” anziché una vera “unione politica europea”, ha saputo usare questo “strumento” per diventare una grande potenza economica, caratterizzata da un enorme surplus della propria bilancia commerciale. Si tratta però di una mera crescita economica che, oltre a creare ogni genere di squilibri all’interno della stessa Unione Europea, ha danneggiato non solo i Paesi dell’area mediterranea ma pure l’economia degli Stati Uniti. In pratica, il cosiddetto “neomercantilismo” della Germania ha contribuito a trasformare l’Unione Europea in un mero “aggregato di Stati nazionali” in lotta tra di loro e al tempo stesso ha reso più tesi i rapporti tra l’UE e l’America. Una situazione resa ancora più complicata dalla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del novembre 2016, tanto che perfino l’attuale “attrito” tra l’Unione Europea e l’America è – almeno in parte – un “semplice riflesso” del durissimo scontro ai vertici del potere pubblico della grande potenza d’Oltreoceano (peraltro, anch’esso, come l’abnorme espansione della finanza rispetto alle forze produttive, un “segnale dell’autunno” della potenza egemone e indice di quella crisi di “sovraesposizione imperiale” dell’America già ben analizzata, sia pure nei suoi aspetti essenziali, dallo storico Paul Kennedy nel suo famoso libro “Ascesa e declino delle grandi potenze” pubblicato negli Ottanta del secolo scorso).
D’altra parte, è innegabile che sia ancora la NATO, ossia l’America, a garantire la sicurezza dei Paesi europei e che se l’UE è una nullità geopolitica e militare anche la Germania è pur sempre un nano geopolitico e militare. Insomma, se sotto il profilo economico l’UE è “egemonizzata” dalla Germania, sotto il profilo geopolitico e militare è ancora l’America che “detta legge” in Europa (né il direttorio franco-tedesco può cambiare granché al riguardo, nonostante la megalomania dell’inquilino dell’Eliseo che si illude che la Francia da sola possa controbilanciare la potenza economica della Germania, dato che la Francia è solo una media potenza, non certo una grande potenza, né militare né economica, da circa un secolo – d’altronde, la stessa force de frappe non è che una forza di “dissuasione nucleare”). Facile quindi capire perché Washington non sia disposta a tollerare una politica economica tedesca che danneggi l’America e che non perda occasione per rammentare alla Germania la sua condizione di “Stato vassallo”.
Invero, è la questione dell’atlantismo che è mutata di senso in questi ultimi anni. I dirigenti americani si rendono conto, infatti, che gli Stati Uniti non hanno i mezzi e le risorse per dominare l’intera scacchiera globale ovverosia per dominare l’America Latina, il continente africano, l’area del Pacifico, il Medio Oriente e l’Europa, allo scopo di contrastare l’ascesa della Russia e la Cina (ritenuta ormai anche dai “dem”, ossia i “circoli democratici” del deep State americano, una “potenza maligna”). In questo senso, il neoatlantismo (o neoimperialismo) di Trump si differenzia dall’euro-atlantismo, che è incentrato sul rapporto privilegiato tra America ed UE soprattutto in funzione antirussa. Tuttavia anche Trump, che verosimilmente non è ostile per principio nei confronti della Russia di Putin, sembra “prigioniero” dei falchi del gigantesco Warfare State americano che, come i “dem, ritengono ancora la Russia il nemico principale dell’America e quindi considerano i Paesi dell’UE alleati di fondamentale importanza. In effetti, uno degli scopi principali della NATO è quello di garantire che la Germania non possa varcare la “linea rossa” che separa l’UE dalla Russia. Il rischio, pertanto, secondo i “dem” e gran parte degli “strateghi” americani, è che la politica di Trump possa indebolire la posizione geostrategica dell’America in Europa e al tempo stesso impedire agli Stati Uniti di potere giocare la carta della “pax americana” in Medio Oriente (non si deve dimenticare che sono stati proprio “dem” a volere l’accordo sul nucleare iraniano), creando così una situazione di “caos geopolitico” di cui si potrebbe avvantaggiare solo la Russia.
In questo contesto, però è ovvio che il neoatlantismo di Trump costituisca pure una minaccia per la Germania, che grazie all’euro-atlantismo ha potuto conquistare la supremazia economica in Europa ma che non ha certo la “stazza” per confrontarsi direttamente con le grandi potenze (Stati Uniti, Russia, e Cina) e nemmeno la potenza militare per difendere i suoi interessi economici nel caso di un conflitto internazionale “ad alta intensità”. La strategia economica della Germania, imperniata non sulla crescita economica e geopolitica dell’Europa ma solo sulla crescita economica della Germania e sull’espansione ad Est della NATO, si sta pertanto imbattendo nei propri limiti, tanto che la Germania rischia di finire in una “trappola strategica”. Difatti, la stessa espansione ad Est della NATO rende praticamente impossibile la formazione di un asse geopolitico russo-tedesco, mentre la russofobia che caratterizza l’euro-atlantismo ha favorito la formazione di un asse russo-cinese. In sostanza, la Germania sembra ritenere di potere da un lato “inglobare” la Russia nello spazio geo-economico egemonizzato dai tedeschi (che si può definire il loro Lebensraum) e dall’altro “condizionare” la politica di Mosca mediante la NATO. Un disegno geopolitico che per realizzarsi esigerebbe non solo che la Russia cedesse alla pre-potenza della NATO ma che la potenza militare dell’America fosse “al servizio” degli interessi della Germania.
Ovviamente, sebbene non si possa certo affermare che i tedeschi dopo Bismarck si siano distinti per acume politico-strategico, anche i dirigenti tedeschi sono consapevoli dei rischi che corre la Germania per la sua debolezza geopolitica e militare. Tuttavia, questo non significa affatto che la Germania sia pronta a “smarcarsi” dagli Stati Uniti per trasformare l’Unione Europea in una grande potenza economica e militare. Questo è solo il “sogno” di coloro che pensano che le lancette della storia si siano fermate nell’agosto del 1939, cioè allorché fu firmato il patto Molotov-Ribbentrop. Di fatto, la Germania in questi anni si è solo limitata  a trarre il maggior profitto possibile dal declino relativo della grande potenza d’Oltreoceano, cercando sì di fare “affari” anche con la Russia, ma nel contempo adoperandosi in ogni modo per rafforzare l’area baltica, notoriamente la più russofoba d’Europa, a scapito di quella mediterranea (tanto da osteggiare il gasdotto South Stream per potere raddoppiare il gasdotto Nord Stream e diventare così l’unico Paese europeo in cui possa arrivare il gas russo). D’altro canto, non è certo un segreto che Berlino non ne vuole nemmeno sapere di una “visione geopolitica” europea, proprio come non ne vuole sapere di unico debito pubblico europeo (presupposto essenziale per una unione politica europea). Non a caso, perfino per quanto concerne l’accordo sul nucleare iraniano la Germania ha voluto ad ogni costo distinguere nettamente la sua posizione non solo da quella della Francia ma da quella della stessa UE. Ed è anche noto che la Germania vorrebbe, per sé non certo per l’UE, un posto tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Pare lecito dunque affermare che il neoatlantsimo di Trump o, meglio, l’inizio di una fase geopolitica multipolare ha messo in luce la miopia politico-strategica della Germania che in questi anni ha buttato al vento l’occasione per diventare davvero egemone in Europa. Vale a dire che la Germania pare incapace di distinguere tra mero dominio (o supremazia) ed egemonia (nel senso forte del termine, ossia “gramsciano”), mentre la storia dell’Europa prova che nessuna potenza europea è in grado di “dominare” l’Europa (e si badi che senza il rafforzamento dell’area mediterranea non è possibile neppure creare uno spazio geopolitico “eurasiatico”, sia pure multipolare e in sé differenziato), mentre i conflitti o, se si preferisce, la “competizione” tra i vari Paesi europei non può che avvantaggiare una potenza non europea, ovvero gli Stati Uniti. Le conseguenze del fallimento politico-strategico della Germania (che sarebbe il terzo nel giro di un secolo!) potrebbero quindi avere conseguenze disastrose anche per gli altri Paesi europei.
Ciononostante, bisogna vedere anche l’altro lato della medaglia, dato che, se il declino relativo degli Stati Uniti sul piano geopolitico ha già portato alla formazione di nuovi centri di potenza sia a livello mondiale (Russia e Cina) che a livello regionale (India, Israele Turchia, Iran, ecc.), la crisi del sistema neoliberale occidentale ha portato alla nascita di forze politiche “populiste” (giacché il “populismo” non è che un effetto della crisi di un sistema politico che non sa risolvere i problemi che esso stesso genera), che hanno già messo forti radici in America e in Europa, benché non si possano definire, a differenza della Russia  e della Cina che sono centri di potenza anti-egemonici, delle forze politiche “anti-egemoniche”. In altri termini, si è in presenza di una fase di transizione egemonica, che è appena cominciata e che, anche se nessuno sa come finirà, probabilmente sarà di lunga durata e contrassegnata da aspri conflitti e perfino da nuove forme di guerra.
In definitiva, si può ritenere che anche la questione tedesca sia solo un aspetto di una questione ben più grande, ossia quella della civiltà europea, che verosimilmente si deciderà in questa fase di transizione egemonica. Non si deve ignorare, infatti, che geo-politica non è sinonimo di politica estera o di relazioni internazionali ma che in primo luogo designa il fatto che l’uomo non può che “abitare politicamente la terra”, ragion per cui non vi è transizione egemonica che non sia contraddistinta dalla nascita di nuovi “paradigmi” culturali e dalla scomparsa di altri. Del resto, che la crisi geopolitica dell’Europa sia anche una crisi della civiltà europea è ormai sotto gli occhi di chiunque, ad eccezione di coloro che non vogliono vedere o che pensano che i problemi si possano risolvere negando la realtà.

Distruzione creatrice, a cura di Giuseppe Germinario

● Olivier Costa: «Au niveau européen, c’est un effondrement pour les deux groupes historiques» [ ● Olivier Costa: ‘A livello europeo, è un crollo per i due gruppi storici’] da http://www.lefigaro.fr/politique/elections-europeennes-des-victoires-et-des-defaites-en-trompe-l-oeil-l-avis-des-experts-20190527

«À l’échelle européenne, Il est difficile de tirer une conclusion générale. [ ‘Su scala europea, è difficile trarre una conclusione generale.] Les campagnes ont été, une fois de plus, fortement focalisées sur des enjeux domestiques et les résultats sont contrastés de pays en pays, selon les configurations politiques propres à chacun. [ Le campagne sono state, ancora una volta, fortemente incentrate sulle questioni interne e i risultati sono contrastati da paese a paese, in base alle specifiche configurazioni politiche di ciascuno.] On note toutefois un recul global des partis de gouvernement, une montée des écologistes et l’absence d’un raz-de-marée souverainiste. [ C’è, tuttavia, un arretramento generale dei partiti governativi, un aumento di ambientalisti e l’assenza di uno tsunami da parte del sovrano.] Au Parlement européen, les socialistes (S&D) et les démocrates-chrétiens (PPE) ne cumulent plus que 43% des voix (contre 54% en 2014 et 66% en 1999). [ Nel Parlamento europeo, i socialisti (S & D) e i cristiano-democratici (PPE) accumulano solo il 43% dei voti (contro il 54% nel 2014 e il 66% nel 1999).] Plus que la continuation d’une tendance, c’est un véritable effondrement. [ Più che la continuazione di una tendenza, è un vero collasso.] Concrètement, ces deux groupes ne pèsent plus assez lourd pour faire passer des textes. [ Concretamente, questi due gruppi non hanno abbastanza peso per passare i testi.] Et, pour commencer, ils ne seront pas en situation d’assurer l’élection du futur président de la Commission européenne, qui doit être ‘élu’ à la majorité des membres du Parlement. [ E, per cominciare, non saranno in grado di assicurare l’elezione del futuro presidente della Commissione europea, che deve essere ‘eletto’ dalla maggioranza dei membri del Parlamento.] En 2014, déjà, ils avaient dû nouer une alliance avec les libéraux du groupe ALDE – qui devraient être rejoints par les députés LREM. [ Nel 2014, già, hanno dovuto formare un’alleanza con i liberali del gruppo ALDE – a cui dovrebbero far parte i deputati LREM.] Le renouvellement de cet accord est désormais incontournable. [ Il rinnovo di questo accordo è ormai inevitabile.] En outre, le groupe des Verts saura sans doute monnayer chèrement son appui.» [ Inoltre, il gruppo di Verdi probabilmente salverà caro per il suo sostegno ‘.]

 

DOVE VA L’UE?, di Pierluigi FAGAN  

Lettori e lettrici sanno che qui si rimane attaccati possibilmente ai fatti e poi si liberano le opinioni. La premessa è per dire che con post del 15 aprile, informavo sulle stime dei sondaggi europei. Alcuni opinavano che i sondaggi valgono quello che valgono ma rispondevo che la struttura delle elezioni europee, ripartite tra diversi gruppi e tra parecchi stati, annullava di molto i possibili margini di errore.

Nel post si dava conto di tre fatti: 1) popolari e socialdemocratici non avrebbero sicuramente più avuto la maggioranza ed avrebbero dovuto cooptare i liberali (confermato), 2) la somma dei due gruppi che è improprio etichettare entrambi come sovranisti (EFD M5S e Farage + ENF ovvero Salvini-Le Pen), avrebbero raggiunto circa 116 deputati complessivi (pare ne avranno 114); 3) la partita politica più interessante poiché indecisa e potenzialmente quasi clamorosa, sarebbe stato il voto francese dove le previsioni non sapevano dire se la vittoria sarebbe andata a Le Pen o Macron (ha poi vinto Le Pen). Il post ebbe 14, miseri, like.

Nel frattempo, siamo stati intrattenuti da una montante paranoia opinionista sul rischio che Salvini e Le Pen avrebbero dominato Bruxelles. Ma la loro Europa delle nazioni e delle libertà, era stimata a 55 deputati su 751 (ne ha poi ottenuti, pare 58), siamo a meno dell’8%, cosa si domina con l’8%? Certo il peso politico delle due formazioni, l’una francese, l’altra italiana, è significativo in ragione del peso politico dei sue Paesi ma insomma mi pareva un po’ esagerato questo ingiustificato allarme su cui s’è detto più del necessario e del giustificato. Siamo stati intrattenuti da un meccanismo psico-politico che prima ci ha impaurito (o resi speranzosi) senza ragione del trionfo sovranista per poi annunciare sollevati (o delusi) dello scampato pericolo. Una specie di “meccanismo matrimonio Pamela Prati”. E’ che in Europa più che i fatti, si discutono le altrui opinioni, opinioni contro altre opinioni entrambe slegate dai fatti. Questo è sintomo di nevrosi e il fatto che la nobile arte della “politica”, sia oggi qui nel sub-continente ammalata di nevrosi, preoccupa anche se -purtroppo- non da oggi.

Insomma, dove va l’UE? La nuova maggioranza è peggio della precedente poiché i “liberali” sposteranno ulteriormente l’asse politico verso il meno Stato e più mercato. Per commentare il suicidio non assistito della socialdemocrazia ormai non ci sono più parole e la convivenza tra loro e liberali, farà perdere loro ulteriore consenso. La nuova maggioranza a tre, vale un 58% mentre la precedente a due, valeva il 64%. Gente sensata, notata questa frana continua di consensi che per altro va avanti da molti anni, si darebbe una regolata ma tanto il parlamento conta poco o niente e gente sensata, in Europa, pare soggetta al principio di scarsità crescente.

In ordine sparso si nota un vero e proprio crollo della Sinistra che quasi dimezza i suoi consensi (Syriza, Podemos) con crollo relativo anche in Francia (Mélenchon) dove era arrivata al 20% al primo turno delle presidenziali, ripiegando oggi ad un misero 6%.

Ovviamente la novità apparente sono i Verdi, una sorta di partito rifugio per tutti i progressisti che non si sentivano di votare socialdemocratico o sinistra. Ho molto rispetto per le questioni ambientali, ma votare così tanto i Verdi in una UE stretta tra neo-ordo-liberismo e imbarazzo geopolitico, appare più effetto di uno smarrimento che di un convincimento. E’ un po’ come mettersi a parlare del tempo che fa in una discussione imbarazzante.

Considerevole invece l’affermazione dei liberali anche se lo scarto rispetto al 2014 è in buona parte dato da En Marche che nel 2014 non esisteva. Ciononostante, i soli liberali sommano più o meno quanto i due gruppi euro-scettici-sovranisti messi insieme, tanto per dire quali sono i rapporti di forza nell’opinione pubblica europea.

Il piccante di questa pietanza europoide sbiadita, lo danno i sempre significativi britannici con i conservatori quinti a livello percentuale di Forza Italia o giù di lì.

Ma un risultato merita il posto al centro della scena: la Francia. Qui il botto non è da poco, almeno simbolicamente. La giovane speranza europoide arriva secondo dopo i nazionalisti e questo non è fatto di poco conto. Macron però è tipo da fregarsene alla grande, l’hanno eletto per cinque anni con maggioranza bulgara e quindi andrà avanti. A livello di legittimità politica se Merkel in patria perde ulteriore 1,5% rispetto alle politiche e Macron perde a sua volta 1,6% rispetto al primo turno delle sue politiche, sembra che l’asse di Aquisgrana non abbia infiammato gli elettori. Di contro, oltre al fatto simbolico, non è che a puri numeri sia poi questa grande tragedia per i due piloni eurocratici, quindi avanti con giudizio cooptando i liberali nei giochi che contano, si spartiranno le cariche che contano, assediando sempre più strettamente i pavidi socialdemocratici in una sorta di cannibalismo delle élite per cui i giovani arrivati si nutrono della carogna dell’anziano che ha fatto il suo tempo.

In breve, l’UE che ne esce è più insipida della precedente, più di destra ed al contempo più liberale, con una spruzzata di ecologismo superficiale. A questo punto la palla passa al novembre del prossimo anno quando si terranno le elezioni americane. Se vincerà Biden, l’eurocrazia avrà un supplemento di ossigeno, se vince Trump, forse questa lunga agonia avrà la sua fine, forse.

Scenari, di Piero Visani dahttps://derteufel50.blogspot.com/2019/05/scenari.html?spref=fb&fbclid=IwAR1N3BEHnFygSz_9fpSygLzOGfeYcmOQJ34BCNX4ekdwh2RFls_hdmeyKS8

       Grande assente dell’ennesimo – e fastidioso – “ludo cartaceo”: che fare del futuro di un “gigante economico, nano politico e verme militare”? L’unico problema dell’Europa odierna paiono essere i muri ai confini e l’ambiente à la Greta, più ovviamente la conservazione dell’esistente da parte di chi ha ancora i denari per poterselo godere e di chi ha un’età anagrafica per cui “la sua sicura sorte sarà certo la morte”, per cui conservare è preferibile a marcire…
       Silenzio assoluto, per contro, sui problemi strategici, geopolitici, politici e di “massa critica” di un continente uscito ormai fuori dalla Storia e da tutto, che ambisce solo ad una serena pensione (per chi ancora l’avrà) e a una sempiterna vacanza, nel significato originale latino di “assenza”, magari per fare un po’ a botte in qualche località pseudo-trendy, ma al massimo in risse da strada, l’unico livello di conflittualità etilico-“pasticchico” che ancora conosca. Finis Europae.
 
Distruzione creatrice, di Fabio Falchi 
Non c’è dubbio che il partito che ha vinto queste elezioni sia la Lega, che ha ottenuto quasi il 35% dei voti.
Al Nord la Lega ha preso addirittura il 40%, assai meno al Sud . In buon numero gli elettori meridionali hanno disertato le urne e questo è un brutto segno per il nostro Meridione, sempre più dipendente da politiche assistenziali, nonostante abbia notevoli potenzialità di sviluppo, sia per l’indubbia intelligenza della sua “gente” che per la sua eccezionale posizione geopolitica e geo-economica.
In definitiva, il M5S, come prova il buon risultato che ha conquistato al Sud nonostante il crollo a livello nazionale, è vittima della sua stessa insipienza politica e del suo disordine mentale che lo hanno portato a difendere una politica da Terzo Mondo, perfettamente funzionale agli interessi del capitalismo predatore euro-atlantista, e a sostenere le posizioni del PD.
Il risultato del PD comunque non sorprende, ottenuto anche grazie alla insipienza del M5S. Il PD, del resto, è il partito del grande capitale nazionale, in sostanza, tranne poche eccezioni, parassitario e dei ceti medi inefficienti e parassitari (soprattutto dirigenti della PA , insegnanti semicolti, la “pretaglia”, ecc.) che hanno tutto da perdere da una politica imperniata sulla innovazione e sul potenziamento dei settori strategici della nostra economia.
I ceti medi e popolari produttivi ormai sono rappresentati soprattutto dalla Lega, il cui successo dipende da vari fattori: l’immigrazione clandestina, la crisi economica, l’austerity imposta degli “eurocrati”, l’indebolimento del legame comunitario e via dicendo.
Tuttavia, adesso vi è da temere che il M5S faccia l’inciucio con il PD. Il braccio di ferro con l’UE comunque è appena cominciato e sarà questo probabilmente a decidere anche la sorte del governo giallo-verde.
Al riguardo si deve tener conto che l’Italia ha avanzi primari dagli anni Novanta, ovvero spende meno di quanto incassa al netto della spesa degli interessi sul debito. In pratica, i ceti produttivi da alcuni decenni lavorano per pagare le imposte e gli interessi sul debito, ossia per mantenere i ceti sociali parassitari. Non a caso il risparmio nazionale in questi anni è cresciuto a dismisura – quasi 4.500 mld , ovvero quasi il doppio del debito pubblico! – a scapito delle forze produttive.
Da questa trappola si deve uscire ad ogni costo e non è certo la flat tax da sola che può risolvere questo problema. Occorre essere disposti ad adottare nuovi strumenti finanziari e attingere al risparmio nazionale per finanziare un piano di sviluppo su base nazionale (in particolare, per potenziare i settori strategici – sistemi d’arma, robotica, nuove tecnologie, telecomunicazioni, energia, ecc.- e le infrastrutture ).
Non vi è comunque solo la questione economica, ma pure quella, perfino più importante, dello Stato e della difesa del legame comunitario. Difatti, occorre sapere “trascinare le masse” per cambiare il Paese e per questo ci vuole una “ideologia” (nel senso migliore del termine), che non può ignorare la questione dei grandi spazi e le sfide del multipolarismo. Al finto europeismo si dovrebbe quindi contrapporre una nuova idea di Europa, ossia una “Lega europea” basata su principi e valori comunitari, una “Lega” intesa cioè come una Nuova Alleanza per un’Europa basata su Stati e popoli sovrani.
Ovviamente, attualmente la Lega non pare né volere né sapere intraprendere questa strada, “ancorata” com’è ai principi e ai valori dei suoi stessi “nemici”. Ma il nuovo corso (geo)politico che essa stessa ha contribuito a creare è solo all’inizio e nulla esclude che possa essere l’inizio di una “distruzione creatrice” come tante volte è accaduto nella storia.

Considerazioni disincantate, di Fabio Falchi

Brevissima considerazione sul comizio di Salvini a Milano.
Il “Capitano del Popolo”, consapevole della forte ostilità della chiesa nei suoi confronti, ha chiaramente cercato il consenso dei cattolici. Insomma, ha cercato di guadagnare voti rivolgendosi a quella parte dell’elettorato che può avere dei dubbi sulla Lega solo per la posizione della chiesa verso la Lega. Sorvoliamo sull’affondo contro l’islam (eppure bastava distinguere tra l’Islam moderato e gli islamisti, per ottenere lo stesso effetto). Altro punto saliente è che ha evitato di polemizzare con il M5S ma non ha risparmiato critiche durissime all’UE e ha ribadito che sull’immigrazione non ha intenzione di cedere. Il problema adesso è ovviamente il rapporto con il M5S. Difficile fare previsioni ma il nuovo corso politico del M5S non garantisce che il governo giallo-verde possa essere capace di sfruttare una vittoria dei “sovranisti” per aumentare il peso dell’Italia in Europa.

Ancora sul comizio di Salvini a Milano.
Inutile negarlo, a Milano sono emerse tutte le lacune politico-culturali della Lega (e il fatto che gli altri siano messi perfino peggio non è che sia confortante). A parte il linguaggio da oratorio, in pratica Salvini ha proposto lo “scontro di civiltà”:
da un lato l’Europa (giudaico) cristiana (che è scomparsa da qualche secolo…), dall’altro l’Islam.
Nessuna distinzione quindi tra islamismo e Islam, come nessuna distinzione tra comunismo (che è “storia passata” ma importante) e sinistra progressista (che con il comunismo, in specie quello “orientale” , non ha proprio nulla a che fare).
Di positivo, la critica durissima dell’UE neoliberale, ma impossibile capire quale dovrebbe essere la strategia politica ed economica per mutare questa Europa. La stessa flat tax proposta come soluzione di tutti i problemi economici dell’Italia, senza un piano economico per rilanciare i settori produttivi e l’ammodernamento delle infrastrutture, è tutt’altro che convincente.
Un altro fattore positivo, tuttavia, è lo scontro tra “sovranisti” e neoliberali. Il punto da capire è che i neoliberali temono non tanto il numero di seggi che i “sovranisti” possono conquistare al P. E. (forse il 20%), quanto piuttosto, tenendo conto delle procedure della elezione dei commissari europei, che i “sovranisti” possano mutare l’indirizzo politico della commissione europea.
Inoltre, lo scontro tra neoliberali e “sovranisti” (che qualche bischero semicolto definisce sciovinisti dimostrando di non conoscere neppure il significato dei termini che usa) ha anche portato alla luce il disordine mentale – o la malafede – di vari gruppi politici che di fatto si sono schierati con il PD , con Macron e con la Clinton.
In definitiva, si conferma che anche il “sovranismo” della Lega è l’effetto della crisi del sistema neoliberale (in quanto del tutto incapace di risolvere i problemi che esso stesso genera) , ma di per sé non è in grado di costruire una “reale alternativa” al sistema neoliberale.
E’ questa differenza dunque che dovrebbe costituire il punto di partenza di una analisi politico-culturale, sapendo che in questa particolare fase storica si può solo cercare di “usare” tutto ciò che può portare il sistema neoliberale al collasso e favorire, sia pure indirettamente, l’inizio di un nuovo corso (geo)politico.

Svolte

Che i cosiddetti “sovranisti” possano conquistare la maggioranza nel Parlamento europeo è estremamente difficile. Tuttavia, i commissari (per la nomina del Presidente della Commissione la procedura è diversa) sono scelti dal Consiglio ossia dai singoli Stati, mentre le commissioni parlamentari valutano se i candidati hanno le competenze necessarie per svolgere il proprio incarico. Infine l’intera Commissione deve essere approvata dal P. E. con una sola votazione.
In pratica, un Paese “sovranista” può scegliere un commissario “sovranista”. Questo significa che un’Italia “sovranista” avrebbe un certo peso nella Commissione europea.
Capite allora perché la svolta politica “antisovranista” del M5S è così importante per gli eurocrati?

NB Tratti da facebook

rebus da decifrare, a cura di Giuseppe Germinario

 

DALLA FINZIONE ALLA FARSA di Piero Visani

Siamo nel pieno delle “Tempeste d’acciaio” di Juengeriana memoria: “Avanti, ragazzi!: INCLUSIONEEE…!!!”

Dalla battaglia di Farsalo a quella di Farsaccia. Suggerirei un aggiornamento dei portati “teorici” del M5S: da “uno vale uno” a “a zero vale zero”. Un aggiornamento necessario e più consono, specie se autoriferito…
Ma chiudere per manifesto fallimento, anche ideologico, non sarebbe opportuno, risparmiando paccate di miliardi?

 

SMOTTAMENTI, di Fabio Falchi

In relazione al post precedente (in cui ho indicato i difetti della Lega e degli altri partiti), vorrei precisare che le elezioni del prossimo 26 maggio sono elezioni europee. Invece il M5S che fa? Parla di UE, di trattati da rivedere, di una politica europea funzionale agli interessi della Germania e della Francia o dell’austerity?
Nulla di tutto questo e perfino i “gilet gialli” sono scomparsi dall’agenda politica del M5S, che invece fa solo politica contro Salvini e la Lega. E si badi non in una stanza chiusa, come si conviene tra alleati, ma alla luce del sole.
All’inizio si poteva pensare che fosse solo politica di “bassa lega” per guadagnare un po’ di voti, ma adesso è chiaro che Di Maio, che non è che un burattino nelle mani di Grillo e Casaleggio, ha cambiato strategia e mira a far cadere il governo. La questione del sindaco di Legnano è solo un pretesto (se è corrotto ovviamente pagherà). Difatti, l’attacco contro l’alleato è a 360 gradi e l’importante è non parlare di Europa. Evidentemente l’UE “paga” bene. Che altro aggiungere?

Il difetto peggiore della Lega è certo quello di condividere gli stessi principi e valori di quelli che vorrebbe combattere. Incapace, per mancanza di cultura politica e di senso dello Stato, da un lato di fare una critica seria del neoimperialismo americano e pure di una critica seria ed equilibrata della politica di Israele , dall’altro di proporre una alternativa al neoliberismo, non si distingue dai suoi nemici o avversari che siano. Ma è proprio questo il problema ossia che i suoi avversari o nemici, oltre a questi gravi difetti, ne hanno di peggiori!

 

CON I PIEDI NEL PIATTO, di Vincenzo Cucinotta

Ma a voi sembra normale che il magistrato competente convochi una conferenza stampa per illustrare il procedimento che ha aperto proprio a ridosso delle elezioni (tralasciando di soffermarsi sulla mise apparentemente più adatta a una sfilata di moda)?
Poichè tale conferenza non ha funzioni processuali, è inevitabile dedurne che il fine sia politico.
Anche su questo aspetto, non trovo tuttavia nessun appunto, ma ormai siamo abituati a questa forma sofisticata di censura.

 

REGOLE AUREE, di Giuseppe Masala

  • Premesso che la Regola Aurea per vaticinare sul governo è la seguente: il governo dura fino a quando ha l’appoggio degli USA. Quando manca questo il governo finisce in un’ora di orologio.

Siamo arrivati alla fase delle litigate. Semplice campagna elettorale o c’è di più?

Fino ad ora i momenti salienti sono stati

(1) L’uscita di scena di Paolo Savona dalla compagine governativa che sostanzialmente significa accettazione della dottrina Monti. Certo con qualche possibile aggiustamento per non perdere consenso ma questo è quanto.

(2) La firma del Trattato sulla Via della Seta con Pechino. Anche questo trattato ci avvicina molto a Berlino stante la politica di sganciamento di Berlino da Washington.

Dunque questo governo nasce ostile a Berlino e filoamericano ma cammin facendo si ritrova molto vicino a Berlino e un po’ si allontana da Washington. Comunque siano andate le cose tra i due contraenti questo è quanto.

Dunque c’è molta sostanza nei litigi di questi giorni: i due contraenti devono scegliere il da farsi.

Le cose sono molto complesse per come la vedo io anche in relazione al fatto che c’è un tentativo di riavvicinamento tra Washington e Parigi. E dunque forse c’è una frizione tra la Francia e la Germania.

Comunque in questo difficile puzzle si gioca la durata del Governo. Chi rischia di più è Salvini. Parere mio. Piddi non pervenuto: a parole sono filo europoidi (il che vuol dire filo tedeschi) ma quando erano al governo pure loro hanno subito schiaffi ingiusti da Berlino e hanno sempre tentato di riequilibrare con gli USA (all’epoca guidati da Obama solo che ora c’è Trump con il quale non sono ideologicamente affini). Berlusconi? Lui è al sic transit gloria mundi.

Dietro le scintille degli ultimi giorni c’è un rebus difficilmente leggibile.

  • Può esistere un’Europa sostenibile? Certo che può esistere:

– Mercato comune;
– Libera circolazione delle persone e delle merci;
– Moneta Unica (tanto ormai c’è se non ci fosse stata sarebbe stato meglio) + Emissione di Eurobond
– Sanatoria dei disequilibri di Partite Correnti tramite spostamento di aziende produttive dai paesi il surplus verso quelli in deficit
– Progressiva costruzione di un Welfare Unico Europeo
– Costruzione di una Scuola Europea
– Uniformazione dei sistemi tributari (no al dumping fiscale)
– Salario Minimo orario europeo
– Politica estera Unica solo sui diritti umani e sulla cooperazione transfrontaliera (per il resto ognuno per sé e Dio per tutti)

NO ALL’ESERCITO UNICO EUROPEO.

Praticamente stanno facendo quello che non andrebbe fatto perché è impossibile fare ciò che andrebbe fatto per salvare l’Europa. Io dico che sono in un vicolo cieco: difficilissimo tornare indietro e difficilissimo andare avanti. Traete voi le conclusioni su come andrà a finire.

 

RITORNANO, di Gianfranco La Grassa

Stiamo andando di nuovo verso la piena politicizzazione della “giustizia” come già in altra epoca che ben ricordiamo e che ha avviato il paese ad una netta decadenza. Queste operazioni si accentuano nel momento in cui i “5 stelle” stanno riaprendo quello che fu il “primo forno”, fatto fallire da Renzi a “Porta a Porta”, favorendo così la formazione dell’attuale coalizione governativa. All’improvviso Di Maio si mette a dire cretinate (come il Pd) sullo spread provocato per riportare in auge pienamente l’austerità della UE (soprattutto nei nostri confronti). Ripeto che siamo in mano a prekeynesiani, seguaci del più balordo e fallimentare liberismo (diciamo “alla Pigou”). Sempre più è chiaro che sarebbe necessaria una definitiva resa dei conti con queste forze reazionarie. Se si continua a ricercare il compromesso, si arriva solo alle decisioni ormai “di parte” del premier Conte, infine smascheratosi per quello che è; adesso si capisce perché è stato scelto. La Lega forse sperava di riuscire a condizionare finti alleati e il premier nominato in seguito all’opposizione fin troppo brusca del presdelarep ad un Savona, decisione che suscitava infatti una serie di sospetti. Anche l’improvvida e sgangherata richiesta di impeachment di detto presdelarep da parte del leader pentastellato – d’altra parte ritirata subito in modo altrettanto inconsulto – suscita adesso domande. Era forse una copertura di certi rapporti che intercorrono tra ambienti veteroeuropeisti e questi “ultramoderni” grillini con l’intenzione di ingannare e quindi paralizzare gli ambienti che si dicono sovranisti? PD e “5 stelle” si affannano a dichiarare che mai potrebbero mettersi insieme, che si odiano o giù di lì. Intanto, però, stanno progressivamente rendendo paralleli i loro piani e le loro dichiarazioni sempre più balorde e reazionarie, del più piatto e vetusto liberismo. Si sta ormai giocando sporchissimo come all’epoca della liquidazione della prima Repubblica e del rapido indebolimento del nostro paese.

SOVRANISMO EUROPEISTA O “INTER-NAZIONALISMO” EUROPEO? UNA BREVE REPLICA A FRANCO CARDINI, di Fabio Falchi

SOVRANISMO EUROPEISTA O “INTER-NAZIONALISMO” EUROPEO? UNA BREVE REPLICA A FRANCO CARDINI

il link di riferimento http://italiaeilmondo.com/2019/02/18/per-un-sovranismo-europeista-di-franco-cardini-tratto-da-https-www-vision-gt-eu-wp-content-uploads-2019-02-ad_6_2019-pdf/
“Per un sovranismo europeista”* di Franco Cardini (uno degli intellettuali italiani più lucidi e capaci)  è certo un articolo che merita di essere letto, giacché, oltre ad evidenziare i gravi limiti di un “sovranismo” che rischia di configurarsi come una forma di nazionalismo “incapacitante” nell’attuale fase multipolare**, offre l’occasione per una riflessione critica sulla questione della costruzione di un autentico polo geopolitico europeo. Infatti, pure a Cardini si possono – e si devono – rivolgere diverse critiche. Vediamone brevemente alcune1) Cardini (ma non è il solo) pare non tener conto che civiltà e cultura si collocano su un piano distinto (benché non irrelato) da quello geopolitico. Ad esempio, la civiltà e la cultura greca erano imperniate sulle poleis che continuarono a farsi la guerra pure dopo la guerra del Peloponneso, finché le poleis dovettero riconoscere la supremazia del regno macedone.
Insomma, civiltà e cultura (europea) non bastano per dar vita ad un soggetto geopolitico (europeo).2) Cardini difende un sovranismo europeo, ma nulla dice del debito sovrano dei singoli Stati europei. Dovrebbe allora esserci un unico debito pubblico europeo? E la Germania che non ha voluto nemmeno gli eurobond accetterebbe? Quello che le banche tedesche e francesi hanno fatto alla Grecia non ha nulla da insegnare? Inoltre, è davvero possibile che un generale greco o italiano possa comandare la difesa europea, inclusa la force de frappe? E quale dovrebbe essere la politica estera dell’Europa? In altri termini chi deciderebbe? La Germania vuole un seggio all’Onu (e non ne vuole sapere di un seggio europeo) e la Francia non è certo disposta a rinunciare al suo. Come la mettiamo allora con il sovranismo europeo?
3) Cardini da un lato sostiene che l’Europa dovrebbe smarcarsi dai potentati economici e finanziari, che ritiene dei poteri “transnazionali”, dall’altro però pensa che per riuscirvi l’Europa si dovrebbe sganciare dall’America, ossia da uno Stato nazionale. La contraddizione è palese, perché in pratica questo equivale a riconoscere che i potentati economici e finanziari sono e non sono “transnazionali” in quanto di necessità “agganciati” a precisi centri di potenza (geo)politici, ossia in quanto non possono non agire in sinergia con uno Stato nazionale egemone o con più Stati nazionali (anti-egemonici o sub-dominanti), che del resto sono ancora i principali attori geopolitici sulla scacchiera globale. Difatti, solo gli Stati possiedono i mezzi di coercizione (satelliti, missili, aerei, navi da guerra, forze corazzate, servizi, polizia, tribunali, prigioni, ecc.) per “regolare” i rapporti internazionali. D’altronde, è forse possibile spiegare la guerra in Siria o il conflitto israelo-palestinese o lo scontro tra Israele e l’Iran o la questione dell’Ucraina o la guerra dell’Arabia Saudita nello Yemen o il terrorismo islamista e via dicendo “solo” con il potere della finanza o la geoeconomia? Ovviamente no. Qualunque riflessione sulla questione di uno spazio geopolitico europeo e della “sovranità nazionale” quindi dovrebbe perlomeno tener presente che per comprendere la realtà geopolitica occorrono non solo categorie economiche o “ideologiche” ma anche e soprattutto categorie politico-strategiche.D’altronde è noto che terminata la Seconda guerra mondale gli americani erano disposti ad appoggiare i vari movimenti nazionalisti del Terzo Mondo. Tuttavia dovettero riconoscere che pure i comunisti erano nazionalisti. Come allora giustificare la lotta contro il comunismo? Il problema lo risolsero sostenendo che i comunisti non erano veri nazionalisti.
In realtà, era vero l’opposto. Ho Chi Minh, ad esempio, era comunista ma pure nazionalista dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli, per così dire. Il fatto che i vietnamiti comunisti fossero nazionalisti  rappresentava la regola non l’eccezione per quanto concerne le varie lotte di liberazione dopo la Seconda guerra mondiale.
In questa prospettiva, si dovrebbe allora comprendere che oggi più che di un sovranismo europeista vi sarebbe bisogno di una lotta di liberazione nazionale dei popoli europei, ossia di una “Internazionale” dei popoli europei. In definitiva oggi essere “inter-nazionalisti” significa sia difendere il “senso di appartenenza” che opporsi al capitalismo predatore neoliberale ovvero opporsi tanto all’euro-atlantismo (mascherato da europeismo) degli eurocrati quanto all’imperialismo neoatlantista di Trump e Bannon.
*Vedi https://www.vision-gt.eu/platform-europe/per-un-sovranismo-europeista/?fbclid=IwAR3IuoODDScZH4zjsiWOZQ_P-Z5TEQBngxxQvY9hW4-rkPDEmVocx2lQD6g
** Tuttavia, si deve distinguere tra diverse forme di nazionalismo. Un conto è lo sciovinismo, che genera intolleranza e xenofobia, un altro il patriottismo, ovverosia la difesa del “senso di appartenenza” ad una terra, ad una cultura, ad un popolo. In quest’ultimo caso non si può certo parlare di nazionalismo ottuso, basti pensare alle lotte di liberazione nazionale.

Salvini e Maduro, di Fabio Falchi

tratto da https://www.facebook.com/fabio.falchi1

La posizione di Salvini sul Venezuela è molto più grave del suo sostegno a Bibi o a Bolsonaro.
Io non sono un fan di Maduro, che del resto ho criticato anche nel mio libro “Geo-politicamente abita l’uomo” ( precisamente nel capitolo intitolato “Intermezzo storico-politico. Il socialismo bolivariano”) , sia pure mettendo in evidenza che il Venezuela è in pratica sotto assedio da anni e distinguendo il governo di Maduro da quello di Chávez.
Ma un conto è la critica un altro la criminalizzazione di Maduro e soprattutto del socialismo bolivariano. E un altro ancora la giustificazione dell’ingerenza pesante negli affari interni di uno Stato sovrano da parte di chi ciancia di “sovranismo”. E un altro ancora non tener conto della posizione della Russia da parte di chi ritiene essenziale avere buoni rapporti con la Russia.
La politica di un Paese non può dipendere solo dalla questione della immigrazione irregolare (peraltro contrastata con l’appoggio determinante del M5S, che invece non pochi leghisti fino a qualche mese fa ritenevano che avrebbe ostacolato la Lega su questa spinosa questione).
Gli è che Salvini &C si sono messi in testa di fare i portaborse di Trump in Europa – il che è ben diverso dal cercare di sfruttare con intelligenza strategica lo scontro ai vertici degli Usa e quello tra l’America di Trump e l’Ue -, illudendosi così di risolvere i problemi dell’Italia , che per i leghisti dovrebbe addirittura diventare il principale alleato degli Usa in Europa al posto della Gran Bretagna.
In definitiva, rebus sic stantibus, si perderà un’altra buona occasione per cambiare in meglio questo Paese.

I NEMICI DELL’EUROPA, di Fabio Falchi_SINTESI DEL MATCH di Roberto Buffagni

I NEMICI DELL’EUROPA

https://fabiofalchicultura.blogspot.com/2018/12/le-improvvide-e-gravi-dichiarazioni-del.html?fbclid=IwAR1lbQ1kqs1rRZo_1QDe14vkea9RFTXBTyMa7zRgQ67Wjb-61rja4UnrlKo

Le improvvide e gravi dichiarazioni del ministro Salvini su Hezbollah e la politica di Israele hanno suscitato il più che comprensibile sdegno di molti italiani (tra cui non pochi sostenitori del “capitano del popolo” leghista), che non sono disposti a tollerare la pre-potenza di Israele (anche se detestano i pregiudizi antisemiti di non pochi che si definiscono  antisionisti), ma hanno pure offerto l’occasione agli “europeisti antiamericani” di sferrare un attacco durissimo contro i populisti e i cosiddetti “sovranisti”. Invero, è particolarmente significativa sotto il profilo geopolitico la posizione di coloro che considerano i “sovranisti” dei nemici dell’Europa (e della stessa Eurasia) più pericolosi dei neoliberali euro-atlantisti. Questa critica del populismo e del “sovranismo” si caratterizza  per la contrapposizione della politica degli Usa a quella della Ue, senza che sia preso in seria considerazione lo scontro in atto ai vertici della potenza d’oltreoceano.

In pratica, gli “europeisti antiamericani” prendono in esame solo un aspetto che contraddistingue oggi lo scenario geopolitico occidentale, ossia il “sovranismo”, sostenuto soprattutto da Trump e Bannon, in quanto si contrappone all’eurocrazia. In questo modo è facile dimostrare che i populisti (compresi i gilet gialli) o i “sovranisti” sono solo dei burattini della Casa Bianca, il cui scopo è mantenere l’Europa “sotto il tallone americano”, facendo a pezzi l’Ue e privilegiando i rapporti bilaterali tra gli Usa e i singoli Paesi europei.

Ovviamente costoro si guardano bene dal prendere in esame la politica degli eurocrati che ha permesso alla Nato di piantare saldamente le tende in Europa orientale o le conseguenze disastrose per l’Europa mediterranea del neomercantilismo (e del nazionalismo!) della Germania o il ruolo della Ue nel golpe neofascista di piazza Maidan, né prendono in esame la politica marcatamente “russofoba” di Bruxelles.

Agli “europeisti antiamericani” è bastato che Macron dichiarasse che per difendersi dall’America (di Trump, non della Clinton o di Robert Kagan!), dalla Russia e dalla Cina (ma senza che egli precisasse come dovrebbe essere questo esercito, chi dovrebbe comandarlo e in funzione di quali interessi dovrebbe essere costituito), per considerare Macron una sorta di “campione” dell’Europa antiamericana, come se il presidente francese (noto idolo dei “bobos” e dei “venusiani” europei per la sua difesa dei “mercati” e del peggiore melting pot) non avesse esplicitamente menzionato la Russia e la Cina tra i nemici della Ue, né fosse il “rappresentante” europeo di quel deep State americano che è così ferocemente ostile a Trump da accusare esplicitamente (Robert Kagan, Madeleine Albright, ecc.) il cowboy della Casa Bianca di essere “fascista” e amico di Putin (“peccato” imperdonabile per i neoliberali).

Non a caso l’Europa che buona parte di costoro hanno in mente è una specie di IV Reich. L’egemonia americana sul Vecchio Continente viene quindi sì criticata ma appunto in un’ottica geopolitica in sostanza non diversa da quella del III Reich. Si capisce quindi che essi vedano nell’Ue “egemonizzata” dalla Germania la possibilità di dar vita ad un nuovo Reich, dopo la catastrofica sconfitta della Germania nella Seconda guerra mondiale, che di fatto portò l’Europa occidentale ad essere dominata dall’America e quella orientale dall’Unione Sovietica. Ma è proprio la “condizione di vassallaggio” rispetto agli Stati Uniti  in cui si trova ancora l’Europa (occidentale e orientale) che impone ai gruppi (sub)dominanti europei (che sono tali in quanto non hanno intenzione di smarcarsi dall’America) di schierarsi dalla parte di Trump o di quella degli americani contro Trump, e che prova che le affermazioni di Macron sulla necessità di un esercito europeo sono mera propaganda euro-atlantista.

Nondimeno, secondo questi “europeisti” (che evidentemente non comprendono bene che cosa implichi la “condizione di vassallaggio” dell’Europa rispetto agli Stati Uniti) pure Macron può essere utile “alla causa”, dato che pare “riprendere” quel progetto di difesa europea (la Ced) che fallì (all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso) proprio per l’opposizione della Francia. Ci si “dimentica” però che la Ced era sostenuta dagli americani, i quali, una volta preso atto del fallimento del progetto di difesa europea (in funzione antisovietica), si adoperarono per far entrare la Germania federale nella Nato (il che portò pure alla nascita del Patto di Varsavia). Ben diversa era la politica di De Gaulle, che aveva compreso che l’europeismo in realtà non era altro che euro-atlantismo (proprio come l’europeismo di Macron). Certo anche la politica di De Gaulle non era esente da gravi difetti (a cominciare da uno sciovinismo anacronistico). Comunque sia, il generale francese non solo riconobbe la repubblica popolare cinese, allacciò rapporti con l’Unione Sovietica, fece uscire la Francia dal comando militare della Nato, si oppose all’intervento americano in Vietnam, criticò la politica di pre-potenza di Israele e contestò l’egemonia del dollaro, ma mirava a creare un’Europa delle patrie, ossia una Confederazione europea, rispettosa della sovranità nazionale dei diversi Paesi europei nonché delle molteplici espressioni culturali che caratterizzano il Vecchio Continente. In altri termini, De Gaulle mirava a smarcare l’Europa non dalla politica di un presidente americano ma dall’America, senza però che l’Europa tornasse ad essere minacciata dalla pre-potenza della Germania.

Questo significa allora che i “sovranisti” hanno ragione? Certamente no, né si possono ignorare i pericoli del “trumpismo”. Ma nella misura in cui la politica di Trump (benché sia detestabile soprattutto, ma non solo, per quel che riguarda il Medio Oriente) manda all’aria i disegni egemonici dell’euro-atlantismo, creando dis-ordine a livello geopolitico e indebolendo i centri di comando della Ue, “apre” nuovi scenari geopolitici, che rendono possibile una ridefinizione della politica dei singoli Paesi europei sia sotto il profilo economico che sotto quello geopolitico.

Tuttavia, il fatto che i populisti non sappiano o non vogliano approfittarne, ma preferiscano svolgere il ruolo di lacchè della Casa Bianca, privilegiando una forma di ottuso nazionalismo (senza comprendere che il multipolarismo rende necessaria una politica imperniata sui grandi spazi) e difendendo l’estremismo sionista, non implica certo che si debba fare l’apologia di un europeismo che è funzionale solo agli interessi dell’oligarchia neoliberale occidentale (ossia a quelli del gruppo dominante d’oltreoceano – che si oppone a Trump – e dei cosiddetti “europeisti”), con buona pace di chi pensa che l’orologio della storia si sia fermato nel 1945. In definitiva, i nemici più pericolosi dell’Europa non sono solo i populisti filoamericani  ma pure gli “europeisti”, che siano o non siano filoamericani, perché sia gli uni che gli altri di fatto “sognano” un’Europa senza europei.

Infatti, essere europei significa in primo luogo non essere sudditi – né dell’impero americano (“trumpista” o non “trumpista”) né del IV Reich né di qualsiasi altro impero – ma essere cittadini di una qualsiasi polis europea.  E ciascuna polis europea è contraddistinta da una storia che non si può comprendere senza comprendere la storia e le civiltà dell’Eurasia. La possibilità che le diverse poleis europee, a differenza dalle poleis dell’antica Grecia, coesistano e cooperino in unico grande spazio, superando definitivamente divisioni e opposizioni “incapacitanti”, non è diversa quindi dalla possibilità che anche l’Europa e l’Asia coesistano e cooperino in un grande spazio eurasiatico.

ROBERTO BUFFAGNI

Sintesi partita: se la UE si complimenta con il governo e accetta il compromesso, segna un punto. Se cerca l’umiliazione, si apre al contropiede (non si sa se poi siamo in grado di giocarlo e farle gol). Allo stato, è una sconfitta simbolica, non decisiva benchè seria. Diventa scontro decisivo solo se lo cerca la UE. Il che la dice lunga sul problema di fondo del governo, che è la mancanza di strategia. Se non hai strategia, l’iniziativa ce l’ha sempre l’avversario, e tu reagisci più o meno ordinatamente. Importante evitare gesti disonoranti irreversibili; salvo quelli, niente è perduto. Ci sono voluti vent’anni per sprofondare, non bastano sei mesi per tornare a galla.

1 2 3