30° podcast_Primarie elezioni americane 2020_Il partito repubblicano, di Gianfranco Campa

Nel podcast precedente Gianfranco Campa ha prospettato la situazione nel Partito Democratico in vista delle elezioni presidenziali del 2020. In questo podcast ci offre qualche aggiornamento su una situazione già così fluida per poi passare a qualche rapido cenno sulle dinamiche nel versante politico opposto, il Partito Repubblicano. Non c’è ancora molto da dire. Tutto dipende dall’eventuale ricandidatura di Donald Trump. Nel caso dovesse farlo, eventuali candidature alternative serviranno probabilmente a comprendere la forza della fronda al Presidente interna a quel partito. I guai verranno fuori prepotentemente in caso di rinuncia di Donald Trump. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-30

Venezuela! Apparenze e realtà_intervista a Giuseppe Angiuli

Le informazioni che ci arrivano dal Venezuela devono attraversare un filtro molto selettivo costituito dai partigiani del regime di Maduro e dai suoi più feroci avversari. Comprensibile nel clima di scontro aperto ormai generatosi per la contrapposizione durissima all’interno del paese e per il gioco geopolitico cruciale in atto in una area, l’America Meridionale, sino a poco tempo fa considerata il cortile di casa esclusivo degli Stati Uniti. Quel continente ha conosciuto innumerevoli tentativi di emancipazione quasi tutti naufragati, con l’eccezione di Cuba, in pochi anni. Il Venezuela proseguirà su questa falsariga? Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Giuseppe Angiuli aderisce al  Centro Studi per la promozione del Patriottismo Costituzionale. E’ una associazione politica che si pone quale obiettivo fondante il recupero della piena sovranità per l’Italia nell’auspicabile contesto di un nuovo mondo a carattere multipolare. 

Il Centro Studi organizza e promuove dibattiti, convegni e riflessioni prevalentemente sulle seguenti tematiche: critica al modello di  finanz-capitalismo globalista, liberazione dell’Italia dai Trattati ultra-liberisti dell’€urozona, adozione di misure ed interventi di tipo keynesiano in economia, rilancio del ruolo dirigista dello Stato nel campo della programmazione economica, rafforzamento di un sistema di welfare moderno ed inclusivo, ripristino di un modello solidale e garantista delle relazioni di lavoro.

Migranti e portatori di pace, a cura di Giuseppe Germinario

 

MIGRANTI

qui sotto un testo tradotto dell’analista africanista Bernard Lugan. Coglie un aspetto importante dei processi migratori. Ve ne sono ormai aggiunti altri. A migrare non è nemmeno la componente più povera di quel continente; questa non se lo può permettere. E’ presente inoltre una componente sempre più importante legata all’esportazione e al radicamento di organizzazioni mafiose in particolare dell’Africa del Nord-Ovest. Numerose inchieste in varie città italiane, riportate sui giornali locali, molto meno su quelli nazionali, stanno iniziando ad offrire barlumi di verità_Giuseppe Germinario

Nel 2017 (i dati completi per 2018 non sono noti), il jihadismo, nella sua accezione più ampia ha causato 10.376 morti in Africa (Fonte:Centro di studi strategici per l’Africa). Per quanto drammatiche siano, queste cifre non giustificano che centinaia di milioni di africani debbano essere ospitati. Siamo infatti non in presenza di una vera e propria condizione di pericolo di persone tale da giustificare l’applicazione di un “diritto d’asilo”, diventato la filiera ufficiale dell’immigrazione. Non è infatti il jihadismo a spingere i “migranti” africani a forzare le porte di un’Europa paralizzata dalla tunica di Nessus etno-masochista, ma la miseria. I migranti economici, quindi non hanno diritto di restare nei paesi europei. Non se ne dispiacciano contrabbandieri ideologici e papa.

Per avere una chiara idea del vero tributo umano del jihadismo africano, passeremo in rassegna le sue aree di attività, vale a dire la Somalia, Egitto, Libia, Nigeria e la regione del Sahel-Sahara.

1) Somalia: delle 10376 morti causate dal jihadismo africano nell’accezione più ampia, 4557 – ovvero il 44% del totale – sono stati uccisi dal Shabaab della Somalia, anche se non sappiamo se si tratta di puro jihadismo , guerra civile o entrambi.

2) l’Egitto e il Sinai: 391 morti nel 2017 (contro 223 nel 2016) causate dallo Stato islamico e da Al Mourabitun.

3) Libia: 239 morti, la maggior parte delle quali membri dello Stato Islamico uccisi dalle milizie che lo combattono.

4) Nigeria (Boko Haram): dopo il picco di 11 519 morti nel 2015, nel 2017, il numero totale di morti è raggiunto la cifra di 3329.

5) La regione del Sahel sahariana (Mali, Niger, Burkina Faso): Il bilancio delle vittime è purtroppo quasi raddoppiato in un anno, da 223 nel 2016-391 nel 2017. Dei 391 morti, 253 sono attribuibili al gruppo Jama ‘ ha Nusrat al-Islam wal Muslimeen.

 

Se togliamo dalle 10.376 vittime del jihadismo globale i 4557 decessi somali, nel 2017, per il resto della loro azione terra africana, i jihadisti hanno provocato 5819 morti. Alla scala delle vaste zone colpite, e in relazione a una popolazione di circa 400 milioni di persone che vivono lì, non siamo ovviamente in presenza di popolazioni in pericolo tale da provocare un esodo che giustifichi la domanda di asilo.

Tuttavia, in passato, l’Africa ha sperimentato uccisioni di massa veri, in particolare tra il 1991 e il 2002, quando la guerra civile algerina ha causato la morte di più di 60 000 persone (e anche più di 100 000 secondo alcune ONG), circa 6000 l’anno. Allo stesso modo, nel decennio 1980-1990 la guerra civile in Liberia ha provocato più di 150.000 morti, pari a circa 15 000 l’anno; o tra il 1991 e il 2002 quella della Sierra Leone ha causato più di 120 000 morti, circa 12 000 l’anno. Per non parlare delle guerre di Ituri e Kasai ecc

 

Ma in quei momenti non abbiamo conosciuto un’ondata di “rifugiati” a immagine di ciò che l’Europa sta soffrendo attualmente.

Questa non è la guerra dalla quale fuggono questi “migranti” africani forzando le porte dell’Europa, con l’aiuto dei contrabbandieri professionali o ideologici. In Africa, il jihadismo in realtà provoca tre volte meno vittime dei morsi di serpente. Mamba, vipere di sabbia e altri naja  nel 2017, ucciso tra i 25.000 e i 30.000 poveri e reso molte vite storpie (Slate fonte Africa).

Queste persone non sono “rifugiati” che temono per la loro vita e ai quali noi “dovremmo” dare il benvenuto e proteggere mentre cercano di entrare nel “Eldorado” europeo; sono clandestini. Attratti dal nostro “benessere” e dalle nostre leggi sociali generose, questi squatters (occupanti abusivi) si introducono per effrazione in un’Europa a lasciarli entrare, come diceva Chesterton; l’attuale Papa lo rovela nel suo discorso in nome di “antiche virtù cristiane impazzite.”

Bernard Lugan

2019/01/27

 

 

PORTATORI DI PACE

La maggioranza del Congresso Americano, democratici e buona parte dei repubblicani, ha bocciato la decisione di Trump del ritiro delle forze militari americane da Siria ed Afghanistan. Il Presidente Trump sarà pure paralizzato nella sua azione politica; sta di fatto che la sua pura e semplice esistenza sta costringendo le forze politiche a mettere da parte ogni ipocrisia e a manifestarsi apertamente. Sarà sempre più difficile una operazione di mera restaurazione e di recupero in tempi rapidi di credibilità ed autorevolezza; come pura di una riproposizione dello schema classico destra/sinistra-democratici/conservatori.

qui sotto il link e la traduzione di una nota

In this Jan. 29, 2019, photo, Senate Majority Leader Mitch McConnell, R-Ky., speaks to reporters at the Capitol in Washington. In a rebuke to President Donald Trump, the Senate has voted 68-23 to advance an amendment that would oppose withdrawal of U.S. troops from Syria and Afghanistan. The amendment from McConnell says Islamic State and al-Qaida militants still pose a serious threat to the United States and warns that “a precipitous withdrawal” of U.S. forces from Syria and Afghanistan could allow the groups to regroup and destabilize the countries.

29° podcast_Stati Uniti 2020; il prossimo firmamento democratico, di Gianfranco Campa

I prossimi due anni si prospettano incerti ed avvincenti, decisivi. Sia nello scenario geopolitico mondiale che nell’agone interno agli Stati Uniti. A prescindere dall’esito delle elezioni presidenziali americane del 2020, ogni velleità meramente restauratrice dello status quo ante è destinata a rivelarsi una pura suggestione. Peggio! Se dovesse avere successo non farebbe che accelerare il processo di decomposizione e frammentazione sociale e politica di quel paese sino a trascinarlo inesorabilmente verso un distruttivo ed imprevedibile conflitto interno o ad una implosione. Trump è il rappresentante di una versione originale di una componente “isolazionista” da sempre presente negli Stati Uniti, molto militante, ma costantemente minoritaria. Lo è ancora adesso; nel suo momento di massimo fulgore, l’attuale, non riesce a superare un 20/25% dell’elettorato; uno zoccolo duro autenticamente sostenitore del Presidente ma scarsamente radicato negli apparati di potere. Da qui la tattica di infiltrazione all’interno del Partito Repubblicano e i continui compromessi al ribasso di Trump, sino al sacrificio dei suoi uomini migliori e più fedeli. L’indole e la propensione di “the Donald” è rimasta e riaffiora comunque, estemporanea, come un sussulto, ogni qualvolta appare un qualche margine di autonomia nelle proprie scelte. Più o meno consapevolmente Trump con la sua azione ha comunque eroso ogni residuo spazio effettivo di conduzione unipolare del gioco geopolitico e sancito l’esistenza politica di forze avverse e concorrenti pur con le sue azioni più dure e apparentemente discriminatorie. Ha determinato la crisi e lo stallo delle élite politiche europee globaliste ed europeiste, ha ridicolizzato e privato di autorevolezza la quasi totalità del ceto politico americano a lui avverso o apparentemente amico. Le primarie del Partito Democratico annunciano un rinnovamento radicale della leadership e il tramonto definitivo, con l’eccezione di Obama, dei vecchi santoni. Molto più precaria e incerta la situazione nel Partito Repubblicano. Una fase di transizione che sembra offrire margini di azioni a personalità più o meno “indipendenti” esterni agli schieramenti classici. Gianfranco Campa, da par suo, ci offrirà un affresco esauriente e documentato di queste dinamiche così influenti anche in casa nostra. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-29

 

Dalla mia palla di cristallo: colpo di Stato in USA?!, di Roberto Buffagni

Dalla mia palla di cristallo: colpo di Stato in USA?!

 

Cari Amici vicini & lontani, ieri la mia palla di cristallo è stata hackerata da qualcuno o Qualcuno, non so. O è stato Putin, o è stata un’Entità Non Identificata,  o è stato un dodicenne smanettone, fatto sta che quando l’ho accesa a) la trasmissione non era come al solito a colori, ma in bianco e nero b) i protagonisti della vicenda che mi ha presentato esistono, esistono eccome: sono il Presidente Trump e la Speaker del Congresso USA Nancy Pelosi; ma gli eventi che ho visto dipanarsi non, ripeto NON sono accaduti nella realtà.

Perlomeno, non sono accaduti nella nostra realtà, anche se ci sono coincidenze e sovrapposizioni tra la nostra realtà, la realtà a colori, e la realtà in bianco e nero che mi ha raccontato la palla di cristallo. Cercando una spiegazione, mi sono detto: “E se questi eventi si fossero effettivamente svolti in una realtà parallela? In un universo che esiste, invisibile e impercettibile, accanto al nostro?”

Va be’, la smetto con la fantascienza filosofica e vi racconto.

Vi ricordate che qualche giorno fa, nella nostra realtà a colori, il Presidente Trump ha fatto un dispetto alla Speaker del Congresso, la democrat Nancy Pelosi? No? Ve lo ricordo io.

La Pelosi programma un viaggio in due tappe, con un’ottantina di persone al seguito: Europa, sede Nato di Bruxelles, per un incontro con Macron, Merkel e rappresentanti delle FFAA americane ed europee; destinazione finale, Afghanistan. Ma Trump blocca il viaggio d’autorità, le manda una letterina provocatoria “In Afghanistan non ci vai, spendi troppo

e diffonde la foto del cumulo di bagagli di Nancy abbandonato su un carrello in corridoio, davanti al suo ufficio presidenziale.

Fin qui, tutto normale: la mia palla di cristallo me lo racconta in bianco e nero, ma è successo anche nella nostra realtà, la realtà a colori. 

Nella realtà parallela in bianco e nero, però, il dispetto di Trump non è un dispetto, e non è un viaggio qualsiasi il viaggio di Nancy in Europa e in Afghanistan. Nella realtà parallela in bianco e nero, la Pelosi se ne va in Afghanistan per crearsi un alibi mentre accade un evento che è qualcosa di più di un dispetto: e fa tappa alla sede NATO di Bruxelles per preparare il terreno alle conseguenze di quell’evento.

A proposito! Che ci fa la Pelosi con quella dozzina di bagagli per un viaggio di pochi giorni?

L’evento che racconta in bianco e nero la mia palla di cristallo – l’evento che si svolge nella realtà parallela – è un attentato alla vita del Presidente Trump e del Vicepresidente Pence. Un giovane estremista islamico uccide Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti, e dunque fa accedere alla Presidenza la terza carica dello Stato nordamericano: la Speaker del Congresso Nancy Pelosi.

Anche nella nostra realtà a colori era previsto che proprio nei giorni in cui Nancy programmava di trovarsi in Afghanistan, Trump e Pence comparissero insieme in un evento pubblico. Poi però, annullato da Trump il viaggio di Nancy, all’evento pubblico ha partecipato di persona il solo Vicepresidente Pence. Trump si è limitato a una partecipazione in videoconferenza. C’è di più. Sempre nella nostra realtà a colori, il 18 gennaio scorso Donna Brazile[1], personalità al vertice dei Democrats USA, ha twittato: “Madam Speaker today/President Pelosi shortly thereafter/MLK weekend is underway”. Traduzione: “Oggi Signora Speaker/Fra poco Presidente Pelosi/il fine settimana dedicato alla memoria di Martin Luther King sta arrivando”. Il Martin Luther King Day 2019 è stato lunedì 21 gennaio, e dunque il MLK weekend era sabato 19 e domenica 20. Ma..maledetta palla! Il messaggio è scomparso. Cos’è? Censura ai tempi di Merlino, dai posteri conosciuto come Zuck er Berg? Ops! Un momento! Sono riuscito a fissare il messaggio nei miei occhi. Eccolo!

 

In quei giorni era previsto che la Pelosi fosse in viaggio.

E qui finisce la trasmissione della mia palla di cristallo. Grazie al Cielo, il terribile evento che mi ha raccontato in bianco e nero  non è accaduto a colori, nella nostra realtà.  Se davvero la trasmissione in bianco e nero della mia palla di cristallo proviene da un universo parallelo, non posso che compiangerne gli abitanti: l’assassinio di Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti non solo è un colpo di Stato che sovverte le istituzioni e la società nordamericana, ma destabilizza il mondo intero, e rischia di provocare un conflitto militare tra le grandi potenze. Che il loro Dio Parallelo li aiuti.

Cari amici, ripeto! Attenzione e cautela. La palla di cristallo può essere veritiera, ma è una lente che ingrandisce, deforma, scopre altri mondi ad occhi che sanno e vogliono leggere. Nel nostro mondo dobbiamo accontentarci di tastare nell’ombra e scorgere, attraverso un spiraglio di luce caravaggesco, Nancy Pelosi che nel frattempo presiede alla firma della fine dello shut down con un corredo rituale di otto penne.

 

 

Negli Stati Uniti una prerogativa da Presidente piuttosto che da portavoce della Camera. Cosa vorrà dire?

 

 

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Donna_Brazile

BRACCATI E BRACCONIERI, di Giuseppe Germinario

BRACCATI E BRACCONIERI

Si sono presentati in 29, al riparo delle tenebre, alle 6 di mattina, armati fino ai denti. Una operazione degna di un incursione militare nella casa di un pericoloso terrorista. L’irruzione dei nostri eroi ha goduto degli onori della diretta, sotto le telecamere della più famosa agenzia di stampa, la regina per eccellenza delle Fake News; la CNN (Clinton News Network).

Si sono presentati alla porta di un mite sessantaseienne, senza nessun precedente penale, terrorizzando un uomo in pigiama e pantofole, sua moglie, sofferente di problemi fisici e il cane. Roger Jason Stone, Jr., di Fort Lauderdale, in Florida, è stato arrestato nella propria abitazione a seguito di una mandato di arresto spiccato dal grand jury federale del distretto della Colombia, impegnato in stretta collaborazione con il procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate. Ora, grazie ai nostri eroi, le strade degli Stati Uniti sono libere da questo pericoloso criminale.

https://twitter.com/BrianEntin/status/1089001187872030721

Quanti sono i capi di imputazioni contro Stone? In totale sette, tra i quali ostruzione, falsa testimonianza, manomissione delle prove, in particolare durante la testimonianza al Senato Americano nel corso della quale aveva negato il tentativo di impossessarsi di email considerate rubate, hackerate, dal server del Comitato Nazionale del Partito Democratico (DNC) e poi pubblicate da wikileaks.

I capi di accusa contro Stone, ripropongono il modus operandi del procuratore speciale Mueller cui siamo ormai da tempo abituati. Il suo team di magistrati ha usato le stesse tattiche anche contro altri ex associati allo staff di Trump: Il generale Michael Flynn, Paul Manofort, Michael Cohen, George Papadopoulos  e ora Roger Stone. I soggetti vengono prima sottoposti a interrogatori “amichevoli” poi vengono accusati di crimini che non hanno niente a che vedere con l’inchiesta del Russiagate, della quale è stato specificatamente incaricato il Procuratore. Infatti dovete sapere che tutti i crimini fino ad ora “smascherati” da Mueller ai danni di ex collaboratori di Trump riguardano reati generati e indotti dall’inchiesta stessa di Mueller. In altre parole del presunto Russiagate, di cui Mueller era stato incaricato di indagare, fino ad ora, dopo quasi due anni di indagini, non risulta che il nulla assoluto. Tutti i crimini riguardano fatti avvenuti da quando Mueller è stato nominato procuratore speciale, crimini per lo più instigati, come ho detto prima, dalle sue stesse “tecniche” investigative.

Roger Stone, dopo l’arresto è stato rilasciato su cauzione di duecentocinquantamila dollari, in attesa di un processo di cui ovviamente non conosciamo ancora la data.

Alcuni aspetti curiosi, quasi comici, emergono leggendo i capi di accusa contro Stone. Secondo Mueller, Stone avrebbe minacciato il cane di un certo Randy Credico. Per chi lo non lo conoscesse Credico “un eterno candidato politico e commediante” sarebbe stato il canale di collegamento tra Wikileaks e Roger Stone. Una cosa questa che Credico ha sempre negato. Fra l’altro Julian Assange ha sempre detto che non esisteva nessuno rapporto diretto tra Wikileaks e Roger Stone, affermando di essere disponibile ad incontrare il procuratore Mueller per chiarire non solo la posizione riguardante i rapporti Wikileaks-collaboratori di Trump, ma lo stesso presunto coinvolgimento del Cremlino sull’affare delle email sottratte al DNC. Mueller in questo senso non ci ha mai sentito e ha sempre  ignorato la volontà di Assange di sottoporre direttamente a Muller la propria verità sulle email del DNC. Mueller sa che la Russia non c’entra nulla con le email del DNC! Ecco perché non è interessato a interrogare Assange.

Di Mueller e la sua caccia alle streghe ne abbiamo esaurientemente narrato in molti dei nostri precedenti podcast. Tutta la farsa del Russiagate altro non è che la costruzione di una narrativa mirata a creare una nube di sospetti sulla attuale presidenza limitando e sviando l’efficacia dell’impegno a governare dell’amministrazione Trump.  Gli atti di accusa contro Roger Stone sono solo l’ultima dimostrazione del fatto che l’ufficio del procuratore speciale Robert Mueller, il Dipartimento di Giustizia e l’FBI sanno che non esiste nessuna collusione Trump-Cremlino. Il fondamento logico dell’indagine Trump-Russia, ovvero l’idea che la campagna elettorale di Trump fosse “coordinata” da e all’ombra del Cremlino in un’operazione di spionaggio informatico tesa a interferire nella campagna del 2016, non è stata altro che una certosina e ostinata operazione di depistaggio, coordinata da forze politiche, forze dell’ordine, e funzionari dell’intelligence ferocemente avversi a Donald Trump.

Una domanda sorge spontanea: chi ha informato la CNN dell’irruzione a casa di Stone?

La CNN ha affermato che si trovavano intorno alla casa di Stone, alle 6 di mattina, per puro spirito di intuizione giornalistica…Potrebbe essere invece che qualcuno dell’ufficio di Mueller abbia soffiato l’informazione alla CNN facendo trapelare in anticipo i dettagli dell’operazione sull’arresto di Stone. Anche perché, guarda caso, un ex agente dell’FBI e assistente di James Comey, di nome Josh Campbell, attualmente lavora per la CNN come reporter: “In precedenza, Josh Campbell è stato Agente speciale di vigilanza dello stesso Ufficio federale investigativo statunitense che conduceva indagini di sicurezza nazionale e criminali. Tra I suoi incarichi quello di Assistente speciale dell’ex direttore dell’FBI James Comey” (Wikipedia). Non si esclude che lo stesso Campbell fosse presente con gli altri giornalisti della CNN al momento dello “scoop”.

https://twitter.com/joshscampbell?lang=en

https://www.cnn.com/profiles/josh-campbell#about

Qui trovate il testo dei capi di accusa contro Roger Stone

https://www.justice.gov/file/1124706/download

L’arresto di Roger Stone segue i numerosi eventi, proditori e di straordinaria violenza i quali hanno contraddistinto la battaglia politica interna agli Stati Uniti in questi ultimi tre anni. Ne abbiamo parlato ormai in decine di articoli e podcast. Dal punto di vista umano è uno dei più spietati e vili, dal punto di vista politico ci sono fatti probabilmente ancora più gravi che non hanno ancora goduto degli onori della cronaca di una stampa sempre più partigiana. Uno di questi, il più recente e inquietante, ricco di gustosi particolari, potrebbe essere proprio il mancato viaggio dello speaker della Camera Nancy Pelosi, con al seguito famiglia e ottanta personalità di area democratica, in Afghanistan con breve sosta in Europa al cospetto di Macron, Merkel e importanti ufficiali americani.

Ovviamente le aperte violazioni di legge e i gravi abusi della Clinton, emersi appunto da quelle mail, ai distratti partigiani del diritto e alla magistratura americani non sembrano interessare più di tanto. Non è da escludere che nel prossimo futuro le premure dei custodi si concentrino direttamente sulla famiglia del Presidente.

Una modalità di conduzione della battaglia politica che contribuisce a scavare all’interno di quel paese un solco talmente profondo da rendere irreversibile la frattura che ormai divide le sue classi dirigenti e la sua popolazione. Se ne vedranno ancora sempre più delle belle. Non è detto che alla fine, in un futuro nemmeno troppo lontano, un ceto politico e una classe dirigente, tanto arroganti quanto ormai talmente compromessi e sempre meno autorevoli, non risultino troppo scomodi persino ai loro stessi potenti mentori.

Ridislocamenti nel Vicino Oriente_traduzione di Roberto Buffagni

I documenti mostrano che gli  Stati Uniti stanno espandendo in modo massiccio la loro presenza presso la base aerea della Giordania tra screzi Turchia e Iraq

 

Era stato annunciato un ritiro, in realtà è una ridislocazione dello schieramento militare americano nel Vicino Oriente. Non riguarda solo la Siria, ma l’insieme delle relazioni con i paesi di quell’area, in particolare la Turchia e l’Iraq. Se poi si aggiunge che per la prima volta una portaerei a propulsione nucleare di prima classe, con tutta la sua squadra, si è avventurata nel Golfo Persico, nelle immediate vicinanze dell’Iran il quadro comincia a definirsi meglio. Ancora una volta gli alti e bassi nello scontro politico interno alla classe dirigente americana determinano involontariamente il solco profondo entro il quale si muove la politica estera americana_Giuseppe Germinario

http://www.thedrive.com/the-war-zone/25955/docs-show-us-to-massively-expand-footprint-at-jordanian-air-base-amid-spats-with-turkey-iraq?fbclid=IwAR3zI3kGt38ssi7CDAA-gW7OsGq_vouy7lXathP3CV-743SSvz7Zr4V–3w

Decine di milioni di dollari trasformeranno questa base in Giordania in un nuovo importante hub regionale per jet da combattimento, droni, aerei cargo e altro.

di Joseph Trevithick, gennaio 14, 2019

Le forze armate statunitensi stanno portando avanti piani per espandere notevolmente la propria presenza nella base aerea di Muwaffaq Salti in Giordania, per ospitare meglio un ampio mix di aerei da combattimento, aerei da attacco al suolo, droni armati, aerei da carico e altro ancora. Il progetto di costruzione da svariati milioni di dollari arriva quando l’amministrazione del presidente Donald Trump sta per ritirare le forze americane dalla vicina Siria. Ma mentre le nuove strutture della base giordana potrebbero aiutare a sostenere le operazioni siriane in via indiretta, serviranno uno scopo ben più importante nel fornire un’alternativa ad altre importanti sedi operative nella regione, specialmente in Turchia, dove dissidi politici potrebbero ostacolare l’accesso degli Stati Uniti in nel mezzo di una crisi.

 

Il Corpo dei Genieri dell’Esercito degli Stati Uniti, che sta supervisionando il lavoro a Muwaffaq Salti, ha rilasciato specifiche e disegni relativi ai nuovi piazzali, alle vie di rullaggio e ad altre strutture associate su FedBizOpps, il sito web principale delle opere pubbliche federali degli Stati Uniti, l’11 gennaio 2019. I documenti stessi risalgono all’autunno del 2018. Il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2018 includeva più di $ 140 milioni per gli ammodernamenti alla base della Royal Jordanian Air Force, che gli Stati Uniti hanno utilizzato attivamente per le operazioni regionali almeno dal 2013.

 

I documenti contrattuali non menzionano Muwaffaq Salti per nome, che le forze armate statunitensi descrivono generalmente come una “posizione segreta”, ma includono immagini satellitari annotate che mostrano chiaramente che si tratta della base in questione. Precedenti annunci contrattuali hanno indicato che il 407th Air Expeditionary Air della US Air Force attualmente supervisiona le operazioni di ordinaria amministrazione nella base.

 

Il nuovo incremento delle forze armate statunitensi sembra focalizzato sulla crescita della presenza dell’Air Force specificamente nella base; e la maggior parte dei miglioramenti sarà effettuata sulla pista meridionale della base. Questi includono un piazzale attrezzato per gli aerovelivoli, un piazzale attrezzato per l’addestramento delle forze speciali e la preparazione delle operazioni speciali, un piazzale attrezzato per l’appoggio aereo al suolo (CAS) per le operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

Google Earth

A satellite image of Muwaffaq Salti Air Base as of May 2017.

USACE

An annotated satellite image of Muwaffaq Salti Air Base, showing the locations of the various planned upgrades.

Il piazzale attrezzato per gli aerovelivoli di quasi 28.000 mq. con annesso spazio di carico e scarico di 3700 mq., sarà abbastanza grande da ospitare fino a due aerei da carico C-17 Globemaster III e uno C-5 Galaxy contemporaneamente. Ciò consentirà il movimento di grandi quantità di personale, munizioni, carburante e altri materiali all’interno e all’esterno della base, il che sarebbe fondamentale per le operazioni aeree di lunga durata.

 

Muwaffaq Salti potrebbe anche fungere da punto di trasbordo, con squadre che trasferiscono il carico su aeromobili più piccoli, come il C-130 Hercules, per spostarsi verso altre sedi operative in altre parti della regione. I C-17 hanno anche la capacità di operare da piste di atterraggio non rinforzate. Il piano di costruzione degli Stati Uniti a Muwaffaq Salt comprende anche un “hot point” di carico  di quasi 26.000 mq. sul lato nord della base per lo scarico rapido e il caricamento di materiale da aerei in transito.

USAF

C-17s at an undisclosed location supporting US operations against ISIS in Iraq and Syria in 2018.

Nella parte meridionale della base, gli Stati Uniti prevedono anche di aggiungere un piazzale attrezzato 41.000 mq. per il recupero del personale e le operazioni speciali. Questo avrà spazi di parcheggio dimensionati per l’airlifter C-130J-30 di della misura maggiore, ma molto probabilmente sarà la sede di distaccamenti di operazioni speciali MC-130. Ci sarà anche spazio per quattro rotori inclinabili Osprey CV-22B.

 

Gli MC-130 dell’Air Force possono fungere da navi cisterna per i CV-22, contribuendo a estendere la loro portata e dando alle forze operative speciali la capacità di spostare rapidamente piccole unità e carichi da e verso i siti dispersi nella regione, o di appoggiare attacchi aerei su specifici obiettivi . Inoltre, gli Ospreys hanno un vantaggio di velocità rispetto agli elicotteri tradizionali, nonché varie contromisure elettroniche e altri sistemi di autodifesa e capacità di volo a bassissima quota (NOE), che consentono all’aereo di raggiungere rapidamente l’area obiettivo e ridurre la sua vulnerabilità alle difese ostili.

 

Come tali, i CV-22 in Giordania potrebbero essere chiamati per inserire rinforzi, esfiltrare i feriti o le forze sotto il fuoco, eseguire missioni di ricerca e soccorso (CSAR) e altre funzioni di recupero del personale. Il CASR è una considerazione particolarmente importante per le operazioni aeree sostenute e una in cui gli Stati Uniti hanno opzioni storicamente limitate nella regione. Ad esempio, al momento, le forze armate statunitensi hanno reparti in Kuwait, Iraq e Turchia per fornire quel tipo di capacità in Iraq e in Siria.

USACE

A more detailed breakdown of the personnel recovery/special operations forces apron, showing the C-130J-30- and CV-22-sized parking spaces.

Il cosiddetto grembiule “CAS / ISR” sarà di gran lunga la più grande aggiunta singola, coprendo quasi 125.000 mq. Ciò consentirà agli Stati Uniti di costruire tre dozzine di spot con rivestimenti protettivi e tettoie, tutti dimensionati per caccia F-15 o F-16, nonché pere gli aerei d’ attacco terrestre A-10. Ci sarà un altro piazzale con quattro spot per MQ-9 Reapers, oltre a più shelter chiusi, ciascuno in grado di ospitare due dei droni, anch’essi collegati a quest’area.

Sebbene descritto come CAS / ISR focalizzato per scopi di pianificazione edilizia, ciò darebbe agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare Muwaffaq Salti per estese operazioni di combattimento aereo. L’aereo che questo piazzale  può ospitare può eseguire pattugliamenti aerei di combattimento, interdizione e varie altre missioni.

USACE

A closer look at the CAS/ISR apron with the MQ-9 shelters at the top and additional parking spaces for those drones to the right.

Il dimensionamento degli spazi di parcheggio potrebbe consentire lo spiegamento di altri jet da combattimento, anche da servizi diversi dall’aeronautica militare statunitense, a seconda delle necessità. Nel settembre 2018, l’Air Force ha condotto uno schieramento temporaneo di caccia stealth Raptor F-22 dalla base aerea di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti a Muwaffaq Salti, insieme al personale di supporto in un aereo cisterna KC-10 Extender.

Questo è qualcosa che potrebbe diventare più comune e richiedere meno supporto esterno, con gli aggiornamenti dell’infrastruttura. Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti gestisce anche una forza di risposta alle crisi terrestri con calabroni F / A-18C / D, tra gli altri velivoli, che potrebbero utilizzare le strutture ampliate.

The video below shows the F-22s from the Air Force’s 380th Air Expeditionary Wing deploying to an “undisclosed location” September 2018.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

USAF

A US Air Force F-16C Viper taxies at Muwaffaq Salti during the multi-national Falcon Air Meet in 2011.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

Sebbene l’Iraq sia stato citato come il paese più probabile per accogliere le unità che si ritirano dalla Siria, la Giordania potrebbe facilmente essere un’altra opzione, e già ospita una significativa presenza militare americana. Oltre a ciò, alcuni membri del parlamento iracheno erano irritati dal fatto che Donald Trump non si fosse incontrato personalmente con il primo ministro Adil Abdul-Mahdi durante la sua visita a sorpresa nel paese nel dicembre 2018.

 

I membri dell’attuale governo di coalizione in Iraq, che sta anche cercando di migliorare le relazioni con l’Iran, hanno richiesto un ritiro completo delle forze americane dal paese. Qualunque sia l’esito di questo particolare contrasto, esso potrebbe limitare la capacità delle forze armate statunitensi di utilizzare le basi in quel paese in futuro.

 

L’espansione di Muwaffaq Salti potrebbe ridurre la necessità di altre sedi operative regionali, che sono diventate negli ultimi anni sempre più politicamente insostenibili, in generale. Quando il piano generale divenne pubblico per la prima volta nel 2017, arrivò in un momento in cui c’erano anche preoccupazioni significative sulla continuità della base aerea di Al Udeid in Qatar, che è la più grande base aerea americana del Medio Oriente ed è stato un hub centrale per le operazioni nella regione e oltre per decenni. Puoi leggere di più su quanto sia vitale questa base per l’esercito americano qui.

Sfortunatamente, il Qatar rimane invischiato in un importante dissidio politico con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, tra gli altri, che hanno interrotto le relazioni diplomatiche e bloccato il paese economicamente. Tuttavia, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha firmato un memorandum d’intesa con i funzionari del Qatar per avviare piani per espandere significativamente Al Udeid, anche durante una visita nel paese il 13 gennaio 2019.

US Department of State

US Secretary of State Mike Pompeo, at center in suit, arrives in Qatar on Jan. 13, 2019.

“Siamo tutti piùforti quando lavoriamo insieme”, ha detto Pompeo in una conferenza stampa, in cui ha anche affermato che la disputa di quasi 20 mesi tra il Qatar e altri paesi della regione si è “trascinata troppo a lungo”. L’alto diplomatico è ora in Arabia Saudita e, tra le altre cose, probabilmente continuerà a sostenere una risoluzione della situazione.

 

Oltre a ciò, Muwaffaq Salti si trova a circa 1.000 miglia da Al Udeid, rendendolo mal posizionato per essere un sostituto di quella base. Sembra più probabile che la principale forza trainante dell’espansione in Giordania sia le tensioni a lungo latenti tra Stati Uniti e Turchia. Nonostante entrambi siano membri della NATO, entrambi i paesi si sono allontanati a causa di una serie di dispute, tra cui la decisione della Turchia di acquistare missili S-400 dalla Russia, i crescenti legami di Ankara con Mosca in generale, e il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi curdi in Siria, che le autorità turche considerano terroristi.

USAF

A-10 Warthog ground attack aircraft arrive at Incirlik Air Base in Turkey to support operations against ISIS in 2015.

 La Turchia e gli Stati Uniti sono anche coinvolti in una disputa su Fethullah Gülen, un ex alleato politico del sempre più dittatoriale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ora vive in esilio auto-imposto negli Stati Uniti. Le autorità turche accusano Gülen di aver architettato un tentato colpo di stato del 2016 contro Erdoğan, ma gli Stati Uniti hanno finora negato, adducendo l’insufficienza di prove.

 

La questione del sostegno americano ai curdi, in particolare, è stato un fattore importante nella decisione iniziale di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria e la sicurezza dei civili curdi in tutte le aree in cui le forze turche o turche potrebbero prendere il controllo della situazione. . Da allora le autorità statunitensi hanno chiesto assicurazioni dalla Turchia che non tenterà di attaccare i curdi e Trump stesso ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia” se Ankara non è d’accordo con queste condizioni.

 

Inizia il lungo ritiro della Siria colpendo duramente il poco rimanente califfato territoriale ISIS, e da molte direzioni. Attaccherà di nuovo dalla base vicina esistente se riformerà. Distruggerà economicamente la Turchia se colpiscono i curdi. Crea una zona sicura di 20 miglia ….

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

 

 

Il presidente ha anche insistito sul fatto che non voleva che i curdi “provocassero” la Turchia. Non è del tutto chiaro se i “curdi” in questo caso si riferisce a civili curdi, il gruppo di forze democratiche siriane a maggioranza curda appoggiato dagli Stati Uniti che sta combattendo contro l’ISIS, o entrambi. La Turchia ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di schiacciare i combattenti curdi, anche se sono allineati con l’SDF, attraverso la Siria settentrionale.

 

Vale anche la pena notare che gli Stati Uniti forniscono intelligence e altro supporto alle operazioni militari turche contro altri gruppi militanti curdi attivi in ​​Turchia. Quindi, come il governo turco potrebbe interpretare eventuali richieste da parte delle loro controparti americane e quanto gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a rispondere a qualsiasi apparente violazione di tali clausole resta da vedere.

 

…. Allo stesso modo, non voglio che i curdi provocino la Turchia. La Russia, l’Iran e la Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti di distruggere l’ISIS in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Fermate le GUERRE INFINITE!

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

Tutto ciò rappresenta un rischio permanente per l’accesso alla base aerea di Incirlik, un importante hub regionale per l’esercito americano che funge da base per i jet da combattimento che operano nella regione, un sito di stoccaggio di armi nucleari tattico e un importante punto di trasbordo , potrebbe finire in un momento critico. Muwaffaq Salti, a meno di 400 miglia a sud, è ben posizionato per soppiantare Incirlik, così come altre località operative in Turchia, per operazioni convenzionali se il governo turco dovesse fermare le operazioni americane da quelle basi.

 

Tutto sommato, gli aggiornamenti a Muwaffaq Salti aumenteranno la capacità dell’America di operare in quella parte del Medio Oriente al di fuori di qualsiasi operazione attualmente in corso, in Siria o altrove, per gli anni a venire e cementeranno ulteriormente le relazioni USA-Giordania. Con questo in mente, potremmo iniziare a vedere lavori in altri siti in Giordania oltre a Muwaffaq Salti nei prossimi anni. Se le stime del Corpo dei Genieri  sono accurate, ci saranno decine di milioni di dollari per progetti di costruzione nel paese.

 

 

28° podcast_Il patto è sciolto, di Gianfranco Campa

Con le dimissioni motivate pubblicamente dal generale Mattis, si può affermare che il sodalizio tra i vertici militari e il Presidente Trump si è definitivamente sciolto. E’ stato un matrimonio di pura convenienza. Buona parte dello Stato Maggiore aveva avvertito l’impasse cui aveva condotto la strategia prima di Bush e poi, soprattutto, quella di Obama. A furia di destabilizzazioni e di aperture di nuovi fronti di confronto con la Russia, la manovra di accerchiamento della tana dell’orso russo rischiava, grazie alla capacità di reazione e di tessitura diplomatica,  sempre più di impantanare gli Stati Uniti in qualche intervento diretto significativo in aggiunta a quelli in corso in Iraq ed Afghanistan. Il tentativo di avvicinamento all’Iran, memori degli smacchi di immagine delle due plateali prese di ostaggi, deve essere stata la goccia responsabile del travasamento di bile; la prospettiva di un asse sino-russo il campanello di allarme riguardante una strategia ormai in stallo. Lo stesso Obama, del resto, nella fase ultima del suo mandato, aveva dato qualche segnale di inversione. Nel momento di maggiore violenza dello scontro aperto con il fronte demo-neocon Trump ha trovato rifugio in questo sodalizio almeno per disinnescare una soluzione “definitiva” della sua presidenza.Il disegno nemmeno tanto occulto da parte dei militari era quello di isolare con un cordone sanitario sempre più stretto Trump dai suoi collaboratori della prima ora. Un obbiettivo in gran parte realizzato. il risultato di questo patto,se non contro natura quantomeno algido, è stata una conduzione schizofrenica con alcune costanti: il sodalizio israelo-americano-saudita, la definizione del fronte cinese. “L’amarcord impossibile” russo-americano e l’inquietudine crescente in seno all’allenza atlantica sono stati invece gli epicentri dove il confronto e le divergenze tra linee opposte si sono catalizzate. Lo ha detto lo stesso Mattis. Dallo scorso dicembre Trump sta tentando un ritorno alle origini. I motivi che potrebbero averlo spinto sono diversi. Campa li ha illustrati nel suo podcast. Non si tratta, comunque, di un tentativo di disimpegno generalizzato. La priorità nelle “attenzioni” verso l’Iran è più che confermata. Si tratta di contenere o spianare le ambizioni di una potenza regionale in crescita e di sbarrare una delle vie di fuga delle ambizioni cinesi più che russe. Sul fronte interno statunitense e nel cortile di casa centro-sudamericano la situazione è altrettanto dinamica. Assisteremo ad un biennio di fuoco, pieno di sorprese e di rovesciamenti. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-28

la fine di un ordine mondiale, la costruzione di uno nuovo_traduzione e commento di Giuseppe Germinario

Il saggio riprodotto qui in calce è particolarmente interessante per due motivi: la rilevanza dell’autore e gli argomenti addotti. Prende atto del declino di un mondo e di un sistema di relazioni e di dominio. Sembra illudere inizialmente in qualche maniera i lettori sulla possibilità di un sistema di relazioni basato sull’equilibrio di potenze. Conclude la propria analisi riproponendo un multilateralismo fondato ancora una volta sulla supremazia “benevola” degli Stati Uniti. Sul finale, in perfetta continuità, rovescia le responsabilità del disordine sulle ambizioni delle potenze emergenti glissando elegantemente sulle politiche predatorie degli USA operate ai danni della Russia, negli anni ’90 e sull’espansionismo e la destabilizzazione cosciente di intere regioni del globo. La constatazione più amara è che negli Stati Uniti si riesce a discutere di questi momenti di transizione e della posizione da assumere nel contesto. A discutere ben inteso all’interno di un confronto politico cruento di una violenza inaudita e inedita da un secolo e mezzo a questa parte. L’Italia al contrario sembra galleggiare con l’incoscienza di chi non vuol vedere il pericolo tra i flutti. Il merito di Trump e della sua amministrazione sgangherata è di aver saputo porre e imporre la questione nel teatro politico. Il paradosso è che l’individuazione in un senso o nell’altro delle scelte di quel paese comporterà molto probabilmente comunque la sua sconfitta personale ed l’eliminazione probabilmente traumatica. L’editoriale del Washington Post del 22 dicembre https://www.washingtonpost.com/politics/a-rogue-presidency-the-era-of-containing-trump-is-over/2018/12/22/26fc010e-055b-11e9-b5df-5d3874f1ac36_story.html?utm_term=.ed45953c9237 rappresenta un chiaro facinoroso e arrogante avvertimento da prendere maledettamente sul serio. Lo abbiamo detto più volte nei nostri articoli e podcast. Si tratterà di un epilogo che esigerà comunque un fìo particolarmente doloroso.

Una nota che forse vale più di decine di considerazioni. Nella sua recente visita natalizia alle truppe stanziate in Iraq abbiamo visto Trump e una raggiante Melania immersi calorosamente nella truppa.

Anche Bush e Obama hanno fatto questa mossa, ma hanno preteso il contatto con truppe disarmate ed hanno goduto di un atteggiamento molto meno caloroso.

L’ex ambasciatore americano a Damasco ha sostenuto la scelta del ritiro americano dalla Siria; segno che gli stessi apparati non sono poi così monolitici nella loro avversione e che lo scontro politico rischia di non risolversi con un semplice regolamento di conti interno al palazzo_Buona lettura_Giuseppe Germinario

https://www.foreignaffairs.com/articles/2018-12-11/how-world-order-ends?cid=int-nbb&pgtype=hpg

Come finisce un ordine mondiale

E ciò che viene nel suo risveglio

Di Richard Haass

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Un ordine mondiale stabile è una cosa rara. Quando uno emerge, tende a venire dopo una grande convulsione che crea sia le condizioni che il desiderio di qualcosa di nuovo. Richiede una distribuzione stabile del potere e un’ampia accettazione delle regole che regolano la condotta delle relazioni internazionali. Ha bisogno anche di abilità di governo , dal momento che un ordine è fatto, non nato. E non importa quanto siano mature le condizioni iniziali o il desiderio iniziale, il mantenimento richiede diplomazia creativa, istituzioni funzionanti e azioni efficaci per adattarlo quando le circostanze cambiano e lo rafforzano quando arrivano le sfide.

Alla fine, inevitabilmente, anche l’ordine meglio gestito finisce. L’equilibrio del potere su cui si basa tende a dissestarsi. Le istituzioni che lo sostengono non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni. Alcuni paesi cadono, e altri emergono, come risultato di mutevoli capacità, voleri vacillanti e crescenti ambizioni. I responsabili della difesa dell’ordine commettono errori sia in ciò che scelgono di fare che in ciò che scelgono di non fare.

Ma se la fine di ogni ordine è inevitabile, i suoi tempi e modi non lo sono. Né è ciò che viene nella sua scia. Gli ordini tendono a scadere in un prolungato deterioramento piuttosto che in un improvviso collasso. E così come il mantenimento dell’ordine dipende da una strategia efficace e da un’azione efficace, una buona politica e una diplomazia proattiva possono aiutare a determinare il modo in cui tale deterioramento si manifesta e ciò che comporta. Eppure, affinché ciò accada, qualcos’altro deve venire prima: riconoscere che il vecchio ordine non ritorna mai e che gli sforzi per resuscitarlo saranno vani. Come per ogni finale, l’accettazione deve venire prima che si possa andare avanti.

Nella ricerca di paralleli con il mondo di oggi, studiosi e professionisti hanno guardato molto lontano come all’ antica Grecia, dove l’ascesa di una nuova potenza ha portato in guerra Atene e Sparta; al periodo dopo la prima guerra mondiale, con gli Stati Uniti isolazionisti e gran parte dell’Europa seduta sulle proprie mani, come la Germania e il Giappone i quali hanno ignorato gli accordi e hanno invaso i loro vicini. Ma il parallelo più illuminante del presente è il Concerto dell’Europa nel diciannovesimo secolo, lo sforzo più importante e di successo per costruire e sostenere l’ordine mondiale fino al nostro tempo. Dal 1815 fino allo scoppio della prima guerra mondiale un secolo dopo, l’ordine stabilito in occasione del Congresso di Vienna ha definito molte relazioni internazionali e impostato (anche se spesso non è riuscito a far rispettare) le regole di base per la condotta internazionale. Fornisce un modello su come gestire collettivamente la sicurezza in un mondo multipolare.

La fine di quell’ordine e ciò che seguì offrì lezioni istruttive per oggi e un avvertimento urgente. Solo perché un ordine è in declino irreversibile non significa che il caos o la calamità siano inevitabili. Ma se il deterioramento è gestito male, la catastrofe potrebbe ben seguire.

FUORI Dalle CENERI

L’ordine globale della seconda metà del ventesimo secolo e la prima parte del ventunesimo nacquero dal naufragio di due guerre mondiali. L’ordine del diciannovesimo secolo seguì una precedente convulsione internazionale: le guerre napoleoniche che, dopo la rivoluzione francese e l’ascesa di Napoleone Bonaparte, devastarono l’Europa per oltre un decennio. Dopo aver sconfitto Napoleone e i suoi eserciti, gli alleati vittoriosi – Austria, Prussia, Russia e Regno Unito, le grandi potenze di quel tempo- si riunirono a Vienna nel 1814 e nel 1815. Al Congresso di Vienna, si impegnarono a garantire che gli eserciti di Francia non minacciassero mai più i loro stati e che i movimenti rivoluzionari non minacciassero mai più le loro monarchie. I poteri vittoriosi fecero anche la scelta saggia di integrare una Francia sconfitta, un percorso molto diverso da quello preso con la Germania dopo la prima guerra mondiale e un po’ differente da quello scelto con la Russia sulla scia della guerra fredda.

Il congresso ha prodotto un sistema noto come Concert of Europe. Pur essendo centrato in Europa, costituiva l’ordine internazionale del suo tempo data la posizione dominante dell’Europa e degli europei nel mondo. C’era una serie di intese condivise sui rapporti tra Stati, soprattutto un accordo per escludere l’invasione di un altro paese o il coinvolgimento negli affari interni di un altro senza il suo permesso. Un ruvido equilibrio militare dissuase qualsiasi Stato dalla tentazione di rovesciare l’ordine; dal tentare in primo luogo (e impedire a qualsiasi stato che provasse di avere successo). I ministri degli esteri si sono incontrati (in quello che è stato definito “congresso”) ogni volta che si è presentato un problema importante. Il concerto è stato conservatore in tutti i sensi. Il trattato di Vienna aveva apportato numerosi adeguamenti territoriali e poi bloccato i confini dell’Europa, permettendo modifiche solo con l’accordo di tutti i firmatari. Ha anche fatto il possibile per sostenere le monarchie e incoraggiare gli altri a venire in loro aiuto (come fece la Francia in Spagna nel 1823) quando furono minacciati dalla rivolta popolare.

JEAN-BAPTISTE ISABEY

Un’incisione del Congresso di Vienna, 1814.

Il concerto ha funzionato non perché ci fosse un accordo completo tra le grandi potenze su ogni punto, ma perché ogni stato aveva le proprie ragioni per sostenere il sistema generale. L’Austria era più preoccupata di resistere alle forze del liberalismo che minacciavano la monarchia dominante. Il Regno Unito si è concentrato sul respingere una nuova sfida dalla Francia, proteggendosi anche contro una potenziale minaccia dalla Russia (il che significava non indebolire la Francia così tanto da non poter aiutare a compensare la minaccia dalla Russia). Ma c’era abbastanza sovrapposizione di interessi e di consenso sulle domande di primo ordine da impedire la guerra tra le principali potenze dell’epoca.

Il concerto durò tecnicamente un secolo, fino alla vigilia della prima guerra mondiale. Ma aveva smesso di svolgere un ruolo significativo molto prima di allora. Le ondate rivoluzionarie che hanno travolto l’Europa nel 1830 e nel 1848 hanno rivelato i limiti di ciò che i membri potevano fare per mantenere l’ordine esistente all’interno degli stati di fronte alla pressione dell’opinione pubblica. Poi, più consequenzialmente, arrivò la guerra di Crimea. In apparenza si combatteva per il destino dei cristiani che vivevano all’interno dell’Impero ottomano, in realtà il confronto era molto più incentrato su chi avrebbe controllato il territorio di quell’impero decadente. Il conflitto ha contrapposto Francia, Regno Unito e Impero ottomano alla Russia. Durò due anni e mezzo, dal 1853 al 1856. Fu una guerra costosa che mise in evidenza i limiti della capacità del concerto di impedire una guerra di grande potenza; la grande potenza che aveva reso possibile il concerto non esisteva più. Le guerre successive tra Austria e Prussia e la Prussia e la Francia dimostrarono che il conflitto di grande potenza era tornato nel cuore dell’Europa dopo una lunga pausa. Le cose sembravano stabilizzarsi per un po’ di tempo, ma era un’illusione. Sotto la superficie, il potere tedesco stava montando e gli imperi stavano marcendo. La combinazione pose le basi per la prima guerra mondiale e la fine di quello che era stato il concerto.

CHE COSA METTONO L’ORDINE?

Quali lezioni si possono trarre da questa storia? Come qualsiasi altra cosa, l’ascesa e la caduta delle grandi potenze determinano la fattibilità dell’ordine prevalente, dal momento che i cambiamenti di forza economica, coesione politica e potere militare modellano ciò che gli stati possono e sono disposti a fare oltre i loro confini. Durante la seconda metà del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo, una potente e unificata Germania e un moderno Giappone sorsero, l’impero ottomano e la Russia zarista declinarono, e la Francia e il Regno Unito diventarono più forti ma non abbastanza forti. Quei cambiamenti hanno capovolto l’equilibrio di potere che era stato il fondamento del concerto. La Germania, in particolare, è arrivata a considerare lo status quo incoerente con i suoi interessi.

Anche i cambiamenti nel contesto tecnologico e politico hanno influito su questo equilibrio sottostante. Sotto il concerto, le richieste popolari di partecipazione democratica e le ondate di nazionalismo minacciavano lo status quo all’interno dei paesi, mentre nuove forme di trasporto, comunicazione e armamenti trasformavano la politica, l’economia e la guerra. Le condizioni che hanno contribuito a dare origine al concerto sono state gradualmente annullate.

Poiché gli ordini tendono a terminare con un piagnisteo piuttosto che con un botto, il processo di deterioramento spesso non è evidente ai responsabili delle decisioni finché non si è evoluto considerevolmente.

Tuttavia sarebbe eccessivamente deterministico attribuire la storia alle sole condizioni sottostanti. L’arte del governo conta ancora. Che il concerto sia nato e sia durato finché ha messo in evidenza che le persone fanno la differenza. I diplomatici che lo fabbricarono – Metternich d’Austria, Talleyrand di Francia, Castlereagh del Regno Unito – furono eccezionali. Il fatto che il concerto abbia preservato la pace nonostante il divario tra due paesi relativamente liberali, la Francia e il Regno Unito e i loro partner più conservatori mostrano che i paesi con diversi sistemi e preferenze politici possono lavorare insieme per mantenere l’ordine internazionale. Il piccolo che si rivela buono o cattivo nella storia è inevitabile. La guerra di Crimea avrebbe potuto essere evitata se sulla scena fossero stati presenti leader più capaci e attenti. Non è affatto chiaro che le azioni russe abbiano giustificato una risposta militare da parte della Francia e del Regno Unito sulla natura e sulla scala che ha avuto luogo. Il fatto che i paesi abbiano fatto ciò che hanno fatto sottolinea anche il potere e i pericoli del nazionalismo. La prima guerra mondiale è scoppiata in gran parte perché i successori del cancelliere tedesco Otto von Bismarck non sono stati in grado di disciplinare il potere del moderno stato tedesco che ha fatto così troppo da provocare.

Altre due lezioni si distinguono. Innanzitutto, non sono solo i problemi principali che possono causare il deterioramento di un ordine. Il sodalizio di grande potenza del concerto si è conclusa non a causa di disaccordi sull’ordine sociale e politico in Europa, ma a causa della competizione alla periferia. E in secondo luogo, poiché gli ordini tendono a finire con un gemito piuttosto che con un botto, il processo di deterioramento spesso non è evidente per i responsabili delle decisioni finché non è avanzato considerevolmente. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, quando divenne evidente che il Concerto dell’Europa non si svolgeva più, era troppo tardi per salvarlo o addirittura per gestire la sua dissoluzione.

UN RACCONTO DI DUE ORDINI

L’ordine globale costruito all’indomani della seconda guerra mondiale consisteva in due ordini paralleli per gran parte della sua storia. Uno è nato dalla guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Al suo centro c’era un equilibrio approssimativo della forza militare in Europa e in Asia, sostenuto dalla deterrenza nucleare. Le due parti hanno mostrato un certo grado di moderazione nella loro rivalità. Il “Rollback” – il linguaggio della Guerra Fredda per quello che oggi viene chiamato “cambio di regime” – è stato respinto sia come irrealizzabile sia perché imprudente. Entrambe le parti hanno seguito regole informali della strada che includevano un sano rispetto reciproco per i cortili altrui e gli alleati. Alla fine raggiunsero una comprensione dell’ordine politico in Europa, l’arena principale della competizione della Guerra Fredda, e nel 1975 codificarono quella comprensione reciproca negli Accordi di Helsinki. Anche in un mondo diviso, i due centri di potere concordavano su come si sarebbe condotta la competizione; il loro era un ordine basato su mezzi piuttosto che fini. L’esistenza di solo due centri di potere ha reso più agevole raggiungere un simile accordo.

L’altro ordine post-seconda guerra mondiale era l’ordine liberale che operava a fianco dell’ordine della guerra fredda. Le democrazie sono state le principali partecipanti a questo sforzo che ha usato gli aiuti e il commercio per rafforzare i legami e promuovere il rispetto dello stato di diritto all’interno e tra i paesi. La dimensione economica di questo ordine è stata progettata per creare un mondo (o, più esattamente, la metà non comunista) definito dal commercio, dallo sviluppo e da operazioni monetarie ben funzionanti. Il libero scambio sarebbe diventato un motore di crescita economica e vincolerebbe i paesi in modo che la guerra venisse giudicata troppo costosa per il salario; il dollaro è stato accettato come valuta globale de facto.

La dimensione diplomatica dell’ordine ha dato risalto all’ONU. L’idea era che un forum globale permanente potesse prevenire o risolvere le controversie internazionali. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, con cinque membri permanenti di grande potenza e posti aggiuntivi per un membro in rotazione, orchestrerebbe le relazioni internazionali. Eppure l’ordine dipendeva tanto dalla volontà del mondo non comunista (e degli alleati statunitensi in particolare) di accettare il primato americano. A quanto pare erano pronti a farlo, poiché gli Stati Uniti erano considerati il ​​più delle volte come un egemone relativamente benigno, uno ammirato tanto per quello che era a casa quanto per quello che faceva all’estero.

Entrambi questi ordini servivano gli interessi degli Stati Uniti. La pace di fondo è stata mantenuta in Europa e in Asia a un prezzo che una crescente economia americana avrebbe potuto facilmente permettersi. L’aumento del commercio internazionale e le opportunità di investimento hanno contribuito alla crescita economica degli Stati Uniti. Nel corso del tempo, più paesi si sono uniti ai ranghi delle democrazie. Né l’ordine riflette un perfetto consenso; piuttosto ognuno ha offerto un consenso sufficiente in modo che non fosse direttamente messo in discussione. Laddove la politica estera degli Stati Uniti si è messa nei guai, come in Vietnam e in Iraq, non è stato per impegni di alleanza o considerazioni di ordine, ma per decisioni sconsiderate di perseguire costose guerre di scelta.

SEGNI DI DECADIMENTO

Oggi, entrambi gli ordini si sono deteriorati. Anche se la Guerra Fredda si è conclusa molto tempo fa, l’ordine che ha creato si è frammentato in modo più polverizzato in parte perché gli sforzi occidentali di integrare la Russia nell’ordine mondiale liberale hanno ottenuto ben poco. Un segno del deterioramento dell’ordine della Guerra Fredda è stata l’invasione del Kuwait del 1990 da parte di Saddam Hussein, cosa che Mosca probabilmente avrebbe evitato negli anni precedenti con la motivazione che era troppo rischioso. Sebbene la deterrenza nucleare sia ancora valida, alcuni degli accordi per il controllo degli armamenti sono stati infranti e altri sono sfilacciati.

Sebbene la Russia abbia evitato qualsiasi sfida militare diretta alla NATO, ha comunque mostrato una crescente volontà di perturbare lo status quo: attraverso il suo uso della forza in Georgia nel 2008 e in Ucraina dal 2014, il suo intervento militare spesso indiscriminato in Siria e il suo uso aggressivo della guerra informatica per tentare di influenzare i risultati politici negli Stati Uniti e in Europa. Tutti questi rappresentano un rifiuto dei principali vincoli associati al vecchio ordine. Dal punto di vista russo, si potrebbe dire lo stesso dell’allargamento della NATO, un’iniziativa chiaramente in contrasto con il detto di Winston Churchill “In vittoria, magnanimità”. La Russia ha anche giudicato la guerra del 2003 in Iraq e l’intervento militare NATO del 2011 in Libia, intrapresa in nome dell’umanitarismo, ma evolutisi rapidamente in cambiamenti di regime.

L’ordine liberale mostra gli stessi segni di deterioramento. L’autoritarismo è in aumento non solo nei posti più ovvi, come la Cina e la Russia, ma anche nelle Filippine, in Turchia e nell’Europa orientale. Il commercio globale è cresciuto, ma recenti cicli di negoziati commerciali si sono conclusi senza accordo e l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) si è dimostrata incapace di affrontare le sfide più urgenti di oggi, comprese le barriere non miranti e il furto di proprietà intellettuale. Il risentimento nei confronti dello sfruttamento del dollaro da parte degli Stati Uniti per imporre sanzioni aumenta, così come la preoccupazione per l’accumulo di debito del paese.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU è di scarsa rilevanza per la maggior parte dei conflitti mondiali e gli accordi internazionali non sono riusciti in modo più ampio a far fronte alle sfide associate alla globalizzazione. La composizione del Consiglio di sicurezza ha sempre meno somiglianze con la reale distribuzione del potere. Il mondo si è messo a verbale, come contro il genocidio e ha affermato il diritto di intervenire quando i governi non riescono a mantenersi rispettando la “responsabilità di proteggere” i loro cittadini, ma il discorso non si è tradotto in azione. Il Trattato di non proliferazione nucleare consente solo a cinque stati di avere armi nucleari, ma ora ce ne sono nove (e molti altri che potrebbero seguirne l’esempio se decidessero di farlo). L’UE, l’accordo regionale di gran lunga più significativo, sta lottando con la Brexit e con le dispute sulla migrazione e la sovranità. E in tutto il mondo, i paesi sono tentati di resistere alla supremazia americana

BAZ RATNER / REUTERS

Soldati russi in corrieri militari corazzati su una strada vicino a Sebastopoli, Crimea, marzo 2014.

SPOSTAMENTI DI POTENZA

Perché sta succedendo tutto questo? È istruttivo guardare indietro alla graduale fine del concerto d’Europa. L’ordine mondiale di oggi ha faticato a far fronte all’avvicendamento di potere: l’ascesa della Cina, l’apparizione di diverse potenze medie (Iran e Corea del Nord, in particolare) che rifiutano importanti aspetti dell’ordine e l’emergere di attori non statali (dai cartelli della droga alle reti terroristiche ) che possono rappresentare una seria minaccia per l’ordine all’interno e tra gli stati.

Anche il contesto tecnologico e politico è cambiato in modo importante. La globalizzazione ha avuto effetti destabilizzanti che vanno dal cambiamento climatico alla diffusione della tecnologia in molte più mani che mai, incluso una serie di gruppi e persone intente a sconvolgere l’ordine. Il nazionalismo e il populismo sono aumentati – il risultato di una maggiore disuguaglianza all’interno dei paesi, la dislocazione associata alla crisi finanziaria del 2008, la perdita di posti di lavoro causata dal commercio e dalla tecnologia, l’aumento dei flussi di migranti e rifugiati e il potere dei social media di diffondere l’odio.

Nel frattempo, l’arte di governo efficace è carente. Le istituzioni non sono riuscite ad adattarsi. Nessuno oggi progetterebbe un Consiglio di sicurezza dell’ONU che assomiglia a quello attuale; ma una vera riforma è impossibile dal momento che chi perde l’influenza blocca qualsiasi cambiamento. Gli sforzi per costruire quadri efficaci per affrontare le sfide della globalizzazione, compresi i cambiamenti climatici e gli attacchi informatici, sono venuti meno. Gli errori all’interno dell’UE, ovvero le decisioni di stabilire una moneta comune senza creare una politica fiscale comune o un’unione bancaria e di consentire un’immigrazione quasi illimitata in Germania, hanno creato una forte reazione contro i governi esistenti, le frontiere aperte e la stessa UE.

Gli Stati Uniti, da parte sua, si sono impegnati con costosi sforzi per cercare di ricostruire l’Afghanistan, invadere l’Iraq e perseguire il cambio di regime in Libia. Ma ha anche fatto un passo indietro dal mantenere l’ordine globale e in alcuni casi si è reso colpevole di costose iniziative coperte. Nella maggior parte dei casi, la riluttanza degli Stati Uniti ad agire non ha riguardato le questioni centrali ma quelle periferiche che i leader hanno cancellato perché non valevano il costo, come il conflitto in Siria, dove gli Stati Uniti non hanno risposto significativamente quando la Siria ha usato per la prima volta armi chimiche o fare di più per aiutare i gruppi anti-regime. Questa riluttanza ha aumentato la propensione degli altri a ignorare le preoccupazioni degli Stati Uniti e ad agire in modo indipendente. L’intervento militare a guida saudita nello Yemen è un esempio calzante. Le azioni russe in Siria e in Ucraina dovrebbero essere viste anche in questa luce; è interessante notare che la Crimea ha segnato la fine effettiva del Concerto d’Europa e ha segnato una battuta d’arresto drammatica nell’ordine attuale. I dubbi circa l’affidabilità degli Stati Uniti si sono moltiplicati sotto l’amministrazione Trump, grazie al suo ritiro dai numerosi patti internazionali e il suo approccio condizionale verso gli inviolabili impegni di alleanza degli Stati Uniti in Europa e in Asia.

GESTIONE DEL DETERIORAMENTO

Dati questi cambiamenti, sarà impossibile far risorgere il vecchio ordine. Sarebbe anche insufficiente, grazie all’emergere di nuove sfide. Una volta riconosciuto, il lungo deterioramento del Concerto dell’Europa dovrebbe servire da lezione e da avvertimento.

Per gli Stati Uniti tenere a mente che l’avvertimento significherebbe rafforzare alcuni aspetti del vecchio ordine e integrarli con misure che spiegano il cambiamento delle dinamiche di potere e i nuovi problemi globali. Gli Stati Uniti dovrebbero imporre il controllo degli armamenti e gli accordi di non proliferazione; rafforzare le sue alleanze in Europa e in Asia; rafforzare gli stati deboli che non possono competere con terroristi, cartelli e bande; e contro l’interferenza dei poteri autoritari nel processo democratico. Tuttavia, non dovrebbe rinunciare a cercare di integrare Cina e Russia in aspetti regionali e globali dell’ordine. Tali sforzi implicheranno necessariamente un mix di compromessi, incentivi e pushback. Il giudizio che i tentativi di integrare la Cina e la Russia sono per lo più falliti non dovrebbe essere un motivo per respingere gli sforzi futuri.

Gli Stati Uniti devono anche rivolgersi ad altri per affrontare i problemi della globalizzazione, in particolare i cambiamenti climatici, il commercio e le operazioni informatiche. Questi richiederanno di non risuscitare il vecchio ordine ma di costruirne uno nuovo. Gli sforzi per limitare e adattarsi ai cambiamenti climatici devono essere più ambiziosi. L’OMC deve essere modificata per affrontare le questioni sollevate dall’appropriazione della tecnologia da parte della Cina, la fornitura di sussidi alle imprese nazionali e l’uso di ostacoli non chiari al commercio. Le regole della strada sono necessarie per regolare il cyberspazio. Insieme, questo equivale a un invito per un concerto dei nostri giorni. Tale chiamata è ambiziosa ma necessaria.

Gli Stati Uniti devono mostrare moderazione e riprendere un certo grado di rispetto per riconquistare la propria reputazione di attore benevolo. Ciò richiederà alcune nette distinzioni dal modo in cui la politica estera degli Stati Uniti è stata praticata negli ultimi anni: per cominciare, non invadere più incautamente altri paesi e non più armare la politica economica degli Stati Uniti attraverso l’uso eccessivo di sanzioni e tariffe. Ma più di ogni altra cosa, l’attuale e riflessiva opposizione al multilateralismo deve essere ripensata. È una cosa che un ordine mondiale può svelare lentamente; è tutt’altra cosa per il paese che ha avuto una grande mano nel costruirlo per prendere l’iniziativa per smantellarlo.

Tutto ciò richiede anche che gli Stati Uniti mettano la propria casa in ordine – riducendo il debito pubblico, ricostruendo le infrastrutture, migliorando l’istruzione pubblica, investendo di più nella rete di sicurezza sociale, adottando un sistema di immigrazione intelligente che permetta agli stranieri di talento di venire e rimanere, affrontando disfunzione politica rendendo meno difficile votare e rovinando il frangente. Gli Stati Uniti non possono promuovere efficacemente l’ordine all’estero se sono divisi in casa, distratti da problemi interni e privi di risorse.

Le alternative principali a un ordine mondiale modernizzato supportato dagli Stati Uniti appaiono improbabili, poco attraenti o entrambe. Un ordine guidato dalla Cina, ad esempio, sarebbe di natura illiberale, caratterizzato da sistemi politici interni autoritari e da economie stataliste che premiano il mantenimento della stabilità interna. Ci sarebbe un ritorno alle sfere di influenza, con la Cina che tentava di dominare la sua regione, probabilmente con il risultato di scontri con altre potenze regionali, come India, Giappone e Vietnam le quali probabilmente avrebbero costruito le loro forze convenzionali o addirittura nucleari.

Un nuovo ordine democratico, basato su regole, modellato e guidato da potenze medie in Europa e in Asia, così come il Canada, per quanto un concetto attraente, semplicemente mancherebbe della capacità militare e della volontà politica interna di arrivare molto lontano. Un’alternativa più probabile è un mondo con poco ordine, un mondo di più profondo disordine. Il protezionismo, il nazionalismo e il populismo guadagnerebbero e la democrazia perderebbe. Il conflitto all’interno e oltre i confini diventerebbe più comune e la rivalità tra grandi potenze aumenterebbe. La cooperazione sulle sfide globali sarebbe quasi del tutto esclusa. Se questa immagine sembra familiare, è perché corrisponde sempre più al mondo di oggi.

Il deterioramento di un ordine mondiale può innescare tendenze che provocano catastrofi. La prima guerra mondiale è scoppiata circa 60 anni dopo che il Concerto dell’Europa era stato demolito a tutti gli effetti in Crimea. Quello che vediamo oggi assomiglia alla metà del diciannovesimo secolo in modi importanti: l’ordine post guerra mondiale, post-guerra fredda non può essere ripristinato, ma il mondo non è ancora sull’orlo di una crisi sistemica. Ora è il momento di assicurarsi che non si concretizzi mai, che si tratti di un crollo delle relazioni USA-Cina, uno scontro con la Russia, una conflagrazione in Medio Oriente o gli effetti cumulativi dei cambiamenti climatici. La buona notizia è che è tutt’altro che inevitabile che il mondo alla fine arriverà a una catastrofe; la cattiva notizia è che è tutt’altro che certo che non lo farà.

 

GLI STATI UNITI NEL VICINO ORIENTE. ORDINI E CONTRORDINI_intervista ad Antonio de Martini

Trump ha annunciato il ritiro delle truppe dalla Siria e dall’Afghanistan. Putin ha sostenuto la scelta dell’amico Donald “sempre che riesca a darvi corso”. Un annuncio che ha innescato un ulteriore conflitto all’interno dello staff presidenziale, con le dimissioni del generale Mattis e certamente accelererà le dinamiche già convulse nel Vicino Oriente. Al provvedimento, sempre che abbia seguito, farà certamente da contrappeso qualche compensazione alle vittime designate di questa scelta: parte dei curdi sul campo di battaglia, l’Arabia Saudita di Ben Salman nel contesto geopolitico di quell’area. Non di meno la scelta assume un carattere dirompente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://www.youtube.com/watch?v=-BUnvgcHFR4&feature=youtu.be

 

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