ARCHÉ E I PRINCIPI DI MONTESQUIEU, di Teodoro Klitsche de la Grange

ARCHÉ E I PRINCIPI DI MONTESQUIEU

 

E principio oriuntur omnia ( Cicerone De re publica)

 

  1. Nell’Esprit des lois Montesquieu scriveva “Dopo aver esaminato quali sono le leggi di ogni governo, vediamo ora quelle che sono relative al suo principio. Fra la natura del governo e il suo principio esiste questa differenza: che è la sua natura a farlo tale, ed il suo principio a farlo agire. L’una è la sua struttura particolare, l’altro le passioni umane che lo fanno muovere[1]. L’importanza che il President à mortier annetteva al “principio del governo” era anticipata nel libro I, quando nell’illustrare i fondamenti delle leggi di ciascun popolo scrive “Esse devono essere in armonia con la natura e col principio del governo costituito, o che si vuol costituire, sia che lo formino, come fanno le leggi politiche; oppure che lo mantengano, come fanno le leggi civili”[2].

Per trovare il principio di ciascun governo prende le mosse dalla natura di esso, e in particolare di chi “esercita la suprema potestà, e, in secondo luogo, di come lo possa fare”[3] e conclude il capitolo “Non mi occorre altro per trovare i tre principi dei governi suddetti; essi ne derivano naturalmente. Comincerò col governo repubblicano e prima parlerò del democratico” del quale indica come principio la virtù. Subito dopo spiega perché “Ad un governo monarchico o ad uno dispotico non occorre molta probità per mantenersi o sostenersi. La forza delle leggi nell’uno, il braccio del principe ognora levato nell’altro, regolano o reggono ogni cosa. Ma in uno Stato popolare occorre una molla in più, la quale non è altri che la virtù… infatti, in una monarchia, dove chi fa eseguire le leggi giudica se stesso al di sopra di esse, si ha bisogno della virtù in misura minore che non in un governo popolare, dove chi fa eseguire le leggi sente che lui stesso vi è sottomesso, e ne porterà il peso”[4].

E, nelle stesse repubbliche, alle democrazie ne occorre assai di più che ai governi aristocratici “i politici greci che vivevano in un governo popolare, riconoscevano nella virtù l’unica forza capace di sostenerlo”; mentre “la virtù è altresì necessaria nel governo aristocratico, sebbene non vi sia richiesta in modo altrettanto assoluto… Per natura della costituzione occorre dunque che quel corpo (l’aristocrazia n.d.r.) possegga virtù”. E questa virtù minore (perché limitata al corpo governante) è la moderazione: “La moderazione è quindi l’anima di questi governi: ma quella…  che è fondata sulla virtù, non sulla viltà o sulla pigrizia dell’animo”[5].

Invece nella monarchia “lo Stato vive indipendentemente dall’amor di patria, dal desiderio di vera gloria… da tutte quelle eroiche virtù che troviamo tra gli antichi… Le leggi prendono il posto di queste virtù, ormai inutili… non ignoro affatto che i principi virtuosi non sono rari, ma dico che è assai difficile che in una monarchia il popolo lo sia”[6]. Per cui nelle monarchie il principio, la “molla” che fa funzionare lo Stato, è l’onore, perché “l’ambizione è pericolosa, in una repubblica, ma ha buoni effetti in una monarchia: essa le da la vita, ed ha il vantaggio di non essere pericolosa”[7]. Infine in un governo dispotico “Come in una repubblica occorre la virtù, e nella monarchia l’onore, così nel governo dispotico ci vuole la paura: la virtù non vi è necessaria e l’onore sarebbe pericoloso. Il potere immenso del principe passa tutto intero nelle mani di coloro ai quali egli confida… quando in un governo dispotico il principe dimentica per un momento di levare il braccio, quando non può annientare in un batter d’occhio coloro i quali detengono i primi posti, tutto è perduto… Occorre dunque che il popolo sia giudicato dalle leggi, e i grandi dal capriccio del principe; che la testa dell’ultimo fra i suddtiti sia sicura, e quella dei pascià sempre in pericolo”[8].

  1. In conclusione secondo Montesquieu:

Il principio (della “forma”) di governo è la molla che lo fa agire.

Tale principio è, in misura diversa, la virtù; questa dev’essere posseduta da chi governa: nelle democrazie da tutti i cittadini, nelle aristocrazie dagli ottimati, nelle monarchie dal re. Non lo scrive, ma anche negli Stati dispotici un barlume di virtù (magari diversa) la deve avere il despota. Onore e timore sono sentimenti che competono ai sudditi. In particolare  ai collaboratori dei sovrani.

Il principio è necessario, perché un corpo politico è composto di uomini, è un’istituzione vitale e non può prescindere da ciò che è suscettibile di far agire gli uomini e quindi l’istituzione. Le leggi sono necessarie, ma non sufficienti all’esistenza e vitalità dell’insieme.

Il principio è ciò che  “unifica” governanti e governanti: incide sul rapporto comando/obbedienza, ed è a un tempo fattore d’integrazione e di legittimità.

Come i pensatori politici “classici”, Montesquieu vede istituzioni fatte di uomini, dove taluni comandano ed altri obbediscono: è lungi dal pensatore francese credere che basti una bella costituzione, con tanto di commoventi enunciazioni di principi, e miriadi di leggi di attuazione (altrettanto commoventi) per fare uno Stato vitale. Le leggi non bastano: per costituirlo e conservarlo occorre la molla che le fa vivere. Anzi tra le leggi e il principio (la molla) vi dev’essere coerenza: sarebbe da sprovveduti costituire un governo democratico senza un minimo di virtù, e ancor più un governo dispotico senza la paura[9].

In tale contesto un ruolo di estremo rilievo riveste la virtù, in primo luogo perché ricorre – anche se non necessaria in egual misura per tutti – nelle tre forme di governo non dispotiche; e in questo Montesquieu si riallaccia al pensiero politico antico, per il quale era naturale legare il destino e la fortuna delle polis alla virtù dei cittadini; e non alla sola “bontà” delle leggi[10]. Se come scrive Montesquieu in apertura dell’Esprit des lois  “Le leggi… sono i rapporti necessari derivanti dalla natura delle cose; e, in questo senso, tutti gli esseri hanno le proprie leggi: le divinità, gli animali, l’uomo” fin dall’inizio dell’opera fissa – per così dire – il rapporto tra esistente e normativo: in cui il primo determina il secondo assai più di quanto quello possa fare sul primo.

In questo senso i principi del governo sono la molla indispensabile per la comunità: la quale non vivendo di sole regole, anche le migliori possibili, deve fondarsi su un principio (generale) che la determini ad agire. Perché sul piano storico – e non solo – esistere significa agire: e l’agire chiede di mobilitare la/le volontà umane; vale la regola tomista omne agens agit propter finem che, oltre un secolo dopo Montesquieu un grande giurista come Jhering avrebbe individuato nel collegamento tra scopo ed interesse.

  1. Poco tempo dopo la morte di Montesquieu iniziò ad enfatizzarsi la figura del legislateur, di colui (coloro) che da (danno) regole certe alla comunità; e delle stesse regole – fissate in leggi – che, piuttosto d’essere scoperte studiando la “natura delle cose”, sono il prodotto (prevalente od esclusivo) della volontà umana. È questa a dare leggi alle cose, e non viceversa. Il rapporto tra l’esistente ed il normativo comincia a pendere a favore del secondo. Le costituzioni moderne frutto della ragione (dell’equità, della giustizia, ma in effetti della volontà) umana ne sono il frutto più evidente. Quella costituzione che non è tale se, come scriveva Thomas Paine, non la si può mettere in tasca: scritta, frutto di una deliberazione pubblica, a seguito (per lo più) di una discussione libera e razionale. Tuttavia per lungo tempo non andarono smarriti i collegamenti principali che ancoravano il normativo all’esistente, in particolare alla volontà e alla virtù nei cittadini. Anzi la rivoluzione francese, ed i giacobini in particolare, fecero della virtù un elemento necessario e primario del nuovo regime politico: segno che i collegamenti col reale erano ancora robusti.

Successivamente, come scrive Ernst Forsthoff “la dottrina dello Stato ha preso una via che l’allontanò dalle qualità umane, e per conseguenza anche dalla virtù. Nell’opera di Georg Jellinek, che ben rappresenta il periodo a cavallo dei due secoli, non se ne parla più”[11].

Per cui quella successiva “è divenuta una dottrina dello Stato senza virtù”. Probabilmente, anzi a seguire Forsthoff sicuramente, il tutto è stata una conseguenza del positivismo giuridico (inteso in senso lato), per cui la dottrina dello Stato è la dottrina del di esso sistema istituzionale e funzionale, e prescinde dalle qualità umane. In questo si può ravvisare anche un prevalere di aspetti “tecnici”, e, in particolare “tecnico-normativi”; Carl Schmitt scriveva che già nel pensiero di Machiavelli era chiaro l’aspetto tecnico di conquista e conservazione del potere: ma tale tecnica non prescindeva né dalle qualità né dai rapporti umani. Mentre la “tecnica” normativistica contemporanea sottintende di fare a meno – o di ridurre ai minimi termini . le une e gli altri.

Tuttavia, come scrive Forsthoff, il successo del positivismo è stato tale “che il diritto tedesco, né prima né dopo, ha mai più raggiunto o mantenuto, nella giurisdizione e nell’amministrazione, un livello così alto”; e questo è stato possibile in buona parte, grazie alle qualità (alle “virtù”) della burocrazia professionale tedesca, frutto, in particolare, dell’alleanza “tra un illuminismo di stampo storico e l’eredità della Riforma”; per cui “questo sistema giuridico, apparentemente spogliato da ogni riferimento etico e bloccato al piano puramente tecnico, aveva pur sempre una sua etica, in quanto si basava su specifiche virtù umane, senza le quali esso non potrebbe essere compreso”[12]. Per cui pensare che uno Stato possa reggersi solo in forza della bontà delle leggi, è fare un’affermazione parzialmente vera (e quindi in parte falsa). Nessuna “buona costituzione” può funzionare bene, se non è adatta alla situazione oggettiva e alle forze reali esistenti, in cui rientrano, in misura determinante, le qualità morali (le virtù) di chi governa, o meglio esercita funzioni pubbliche (a partire dal voto).

  1. Anche le constatazioni di Forsthoff dovrebbero essere aggiornate in base a quello che si pensa – per lo più – in questi anni, nel tardo dopoguerra, diventato un (terzo) dopoguerra (fredda).

Oggigiorno chi parlasse di virtù, muoverebbe al riso (o al sorriso), e  non solo per il non edificante spettacolo offerto dalle elites dirigenti, ma, ancor più, perché nessuno pensa più alle virtù come fattore di sostegno della comunità, e della democrazia in primo luogo. Gli si risponderebbe che bastano buone leggi, e lo si considererebbe un tipo bizzarro. Ma a chi scrive, e data la considerazione riconosciuta dal pensiero occidentale al necessario rapporto tra virtù e buona istituzione, appare bizzarro chi sostiene il contrario; e la prima replica che viene in mente è il tacitiano corruptissima res publica, plurimae leges, d’altra parte ampiamente confermato in Italia nell’ultimo mezzo secolo. In secondo luogo se tanti pensatori, da Platone ad Aristotele, da Cicerone a Machiavelli, da Montesquieu a Mably (per citarne una minima parte) hanno ritenuto il contrario, non si capisce perché si dovrebbe condividere l’idea che ad uno Stato bastino le buone leggi e, soprattutto, non abbisogni di una certa dose di virtù (e soprattutto quale esperienza di quale unità politica la corrobori).

In gran parte questo è l’esito della fase estrema della funzionalizzazione e tecnicizzazione del diritto, la concezione più coerente della quale è il neopositivismo giuridico. Presupposto (e condizione generale) del quale è concepire il mondo come universo di norme, dove non esistono persone (o soggetti di diritto), ma centri d’imputazione di rapporti giuridici; non esistono gerarchie di uomini ma gradazione di norme; non diritti soggettivi, ma norme da applicare; non il sovrano, ma la grundnorm, e così via in una coerente dis-umanizzazione (e de-concretizzazione) della visione del mondo. L’unico elemento umano rimane la “conoscenza del giurista”; nella quale tale concezione si rivela come ideologia di un gruppo sociale particolare, dei funzionari della fase decadente dello Stato borghese di diritto[13].

In tale concezione tutto ciò che è “extra-normativo” non è giuridico (e quindi irrilevante): al massimo si arriva al richiamo ai “valori costituzionali”.

Questo sembra abbia la funzione di soddisfare (al minimo) la necessità di fondare l’esistenza collettiva su qualcosa che è comunque non normativo, e così di “guadagnare il terreno di una legittimità riconosciuta” superando la mera legalità[14]. Cioè costituisce l’eccezione rispetto alla visione per lo più condivisa (dai giuristi).

  1. In realtà la concezione “classica” (all’interno della quale collocare la teoria dei principi di Montesquieu) era la risposta alla domanda: quand’è che l’ordinamento è vitale (in primo luogo) e giusto?

La risposta – data da oltre due millenni di riflessione politica coniuga fattori “esistenziali” e “fattuali” con altri di carattere più propriamente “normativo” e giuridico, con i primi che prevalgono sui secondi. Le qualità personali, le credenze, la legittimità, l’autorità ne costituiscono (ma non ne esauriscono) i capisaldi essenziali[15].

Se invece si chiede risposta alla domanda di come si deve interpretare correttamente (validamente) una norma giuridica, e più in generale come si atteggia la conoscenza  del giurista rispetto al sistema normativo – cioè una domanda diversa – e a contenuto ridotto, la risposta che danno i normativisti, coll’espungere dall’orizzonte del giurista (pratico) ogni elemento “fattuale” ha una sua correttezza. Per la quale tuttavia, come notato, in particolare per il carattere formale di tale teoria del diritto (e simili)[16], esiste (e si verifica) il rischio che “riducendo il diritto a proposizioni logiche prescindendo dal loro contenuto, se ne perda per strada, per così dire, qualche pezzo troppo importante per essere trascurato, o messo tra parentesi, proprio come una teoria fisica è esposta al rischio di trascurare qualche aspetto della realtà troppo importante per non dover essere spiegato. D’altra parte, chi mi assicura che il mio modello di conoscenza della realtà sia veramente coestensivo alla realtà che voglio spiegare? In altri termini: chi mi assicura che il mio ragionamento spieghi veramente tutto ciò che devo spiegare? La scienza rischia di essere un insieme di proposizioni che, paradossalmente, non fotografa il mondo, ma se stessa: lo scienziato rischia cioè di non vedere altro che il proprio ragionamento, e non la realtà che vuole spiegare. La «verità» significa così soltanto la coerenza ai presupposti di partenza, che peraltro non sono dimostrati, e scompare ogni riferimento alla realtà, per spiegare la quale lo scienziato «puro» ha iniziato a fare scienza. Siamo di fronte a una vera implosione del sistema[17].

E proprio questo è il punto: restringendo il problema dell’ordinamento a quello della corretta applicazione delle norme, si espungono dall’orizzonte giuridico gli elementi principali e determinanti, e comunque gran parte di ciò che ne fa necessariamente parte. Ovvero sia l’aspetto dell’unità, dell’azione e della coesione del gruppo sociale, sia quello dell’applicazione del diritto (attraverso la coazione organizzata e la violenza legittima); per cui il normativismo è stato da molti considerato come una gnoseologia giuridica, e lo è, perché, coerentemente, elimina dall’orizzonte giuridico tutto ciò che è “fattuale”.

Di converso e nella linea del pensiero politico classico, troviamo (tra gli altri) i giuristi istituzionisti, i quali ovviamente prendono in considerazione (massima) l’ordinamento e tutti quei fattori esistenziali che ne condizionano e determinano la forma e l’azione, con particolare riguardo alla situazione concreta.

Hauriou, il quale nel Précis de droit constitutionnel critica ripetutamente Kelsen, iniziando dall’errore, che stigmatizza, di assimilare “l’ordine oggettivo all’ordine statico” e subordinare “strettamente il dinamico allo statico”[18]. Mentre “ciò che gli uomini chiamano stabilità non è l’immobilità, ma il movimento coordinato (d’ensemble) lento ed uniforme che lascia sussistere una certa forma generale delle cose…”. A dare il senso e comprenderlo è del tutto inadatto il sistema di Kelsen essenzialmente statico, in cui non c’è posto per la libertà umana.

Santi Romano con la costante attenzione che ha dato dalla gioventù fino a poco prima di morire ai problemi del mutamento, della legittimazione e della crisi degli ordinamenti è, parimenti, esemplare di una concezione dinamica e vitalistica del diritto. Tornando a Montequieu, questi aveva ben chiaro che una comunità umana vive nella storia, nello spazio e (anche) nel tempo: lo stesso si può dire di Hauriou e Romano, che hanno il senso del diritto “bidimensionale”.

Un sistema statico è invece, per così dire, a parafrasare Marcuse, un diritto ad una dimensione, giacché non tiene conto del tempo – e conseguentemente della storia; (come di tante altre cose).

In questo senso la critica di Hauriou ai sistemi “statici”, che si convertono in una contemplazione delle regole è penetrante[19].

  1. Ciò stante occorre vedere quale fosse il concetto di virtù per Montesquieu e se è ancora necessaria oggigiorno:

“La virtù in una repubblica è cosa semplicissima. È l’amore della repubblica: è un sentimento e non una serie di nozioni…”[20]. Tuttavia data l’equivocità del termine, Montesquieu fin dall’avertissement all’Esprit des lois tiene a definirlo, delineandone il carattere pubblico e politico e non privato (cioè “non politico”) precisando:

“Ciò che chiamo virtù nella repubblica è l’amore della patria… Non è una virtù morale né cristiana, è la virtù politica; essa è la molla che fa agire (mouvoir) il governo repubblicano…”[21].

Coerentemente a quanto ritenuto già da Platone (la tesi di Callicle nel Gorgia) e da Aristotele, la virtù politica è connotato del cittadino (del civis), cioè dell’uomo pubblico, non del bonus paterfamilias, cioè dell’uomo privato: distinzione essenziale, mantenuta dal pensiero filosofico e in particolare dalla teologia cristiana, da Lutero a Bellarmino. E che, coerentemente alla generale confusione di pubblico e privato, oggigiorno spesso non viene più capita, al punto che, a sentire qualche rozzo demagogo, basterebbe un qualsiasi brav’uomo (purché privatamente onesto) a guidare uno Stato. Cosa che (non nuova, ma spesso ripetuta) suscitava il sarcasmo di Croce, come d’ “ideale che canta nell’animo di tutti gli imbecilli…”. Sicuramente di quel tipo di virtù privata non c’è necessità: non che guasti, ma sicuramente lo Stato può esistere ed agire anche se i costumi sessuali sono rilassati e quelli commerciali non proprio adamantini.

Invece dell’altra, di quella che Montesquieu chiamava virtù politica se ne sente il bisogno, in misura proporzionale a quanto si è ridotta da oltre cinquant’anni.

Come si sente la necessità della lezione di Montesquieu sui principi di governo come sentimenti e come molle per far agire l’istituzione statale. La contraria tesi, tanto ripetuta che siano sufficienti delle buone regole (leggi) è viziata di (almeno) tre errori.

Il primo dei quali è la riduzione del diritto a gnoseologia giuridica, come tecnica di applicazione delle norme al caso concreto. A questa concezione si addice la critica sopra riportata che così se ne perde “qualche pezzo troppo importante”. Mentre il diritto è essenzialmente un sistema di regolazione dell’azione. E’ l’orientamento che da alle azioni umane l’aspetto decisivo per comprendere l’essenza del diritto.

In secondo luogo, e conseguentemente che le regole non bastano: queste possono disciplinare, permettere, comandare le azioni, ma senza trascurare mai che l’“oggetto” ne è l’agire umano.

E soprattutto, infine, che per sostenere il fenomeno giuridico originario, cioè l’istituzione occorre far leva (anche) sul sentimento che fa “agire il governo”.

Uno Stato che non agisce, che non fa leva sul sentimento (cioè sul principio) è un’istituzione in cancrena: esistere, nella storia, significa agire. Agire non vuol dire (soltanto) applicare delle regole, ma soprattutto avere ciò che con termini diversi di concetti simili è stato chiamato virtù, amore della patria, senso dello Stato.

Senza il quale – o carente il quale – lo Stato cade o decade.

Certo si può rispondere come don Abbondio che la virtù è come il coraggio: se uno non ce l’ha non se lo può dare: ma occorre replicare che un primo passo per (tentare di ) averlo è pensare che sia necessario. Cioè il contrario degli idola correnti.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Lib. III, cap. I a cura di S. Cotta, Torino 1965, p. 83 (i corsivi sono nostri).

[2] Op. cit., p. 64.

[3] Op. cit., Lib. III, cap. 2 (i corsivi sono nostri).

[4] Op. cit., Lib. III, cap. 3.

[5] V. Lib. III, cap. 4. Si noti che in una nota, cancellata, Montesquieu prendeva ad esempio di aristocrazie non virtuose proprio quelle italiane, che languiscono e sembra che tutti ne ignorino l’esistenza, dovuta più che altro alla gelosia che susciterebbe la loro distruzione; del resto avvenuta circa mezzo secolo dopo, con la rivoluzione francese. Giudizio che si potrebbe adattare ad altre elites governanti italiane, anche contemporanee (i corsivi sono nostri).

[6] Lib. III, cap. 5 (i corsivi sono nostri).

[7] Lib. III, cap. 7 (i corsivi sono nostri).

[8] Lib. III, cap. 9 (i corsivi sono nostri).

[9] A tale proposito Montesquieu aveva in qualche misura previsto alcuni tratti del totalitarismo del XX secolo, il quale, come scriveva, tra gli altri, Wittvogel per il comunismo, presentava diverse analogie col dispotismo orientale ed il “modo di produzione asiatico”.

[10] V. per la riflessione filosofica sulla polis greca Gianfranco Lami, Socrate, Platone, Aristotele, Soveria Mannelli 2005.

[11] V. E. Forsthoff nella raccolta di saggi tradotti in italiano Stato di diritto in trasformazione, Milano 1973, p. 12.

[12] Op. cit., p. 18.

[13] Per uno sviluppo di questa tesi ci permettiamo di rinviare – dati i limiti di questa comunicazione – al nostro scritto Normativismo, funzionarismo, nichilismo in Behemoth n. 43 (gennaio-giugno 2008) e in Empresas politicas(n. 10-11 2008, p. 55 ss.).

[14] v. Carl Schmitt Die Tyrannei der Werte, trad. it. La tirannia dei valori, Roma 1987, Antonio Pellicani Editore, p. 38-39.

[15] In realtà nessun ordinamento è stato salvato (conservato) solo dalla propria superiore razionalità e giustizia. L’impero romano con la sua sapienza giuridica, la sua ars boni et equi, e il suo ordinamento razionale, fu travolto da popolazioni assai meno civili, ma tanto più decise a difendere la loro esistenza.

[16] Anche non condividendo i presupposti del neo-positivismo giuridico, teoria che enfatizzava il ruolo delle regole, il ruolo della c.d. ingegneria costituzionale, rischiano di cadere in errori e rischi simili.

[17] V. O. De Bertolis S.I., La metodologia giuridica di Norberto Bobbio in Civiltà Cattolica, quaderno 3687.

[18] Op. cit., p. 6.

[19] Mentre per gli ordinamenti umani vale l’aforisma di Eraclito “che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”.

[20] L’esprit des lois V, cap. 1.

[21] Avertissement (i corsivi sono nostri).

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Odio il mio lavoro e voglio piangere, di AURELIEN

Odio il mio lavoro e voglio piangere.
Hai provato a tagliare la legna e a trasportare l’acqua?

AURELIEN
10 GEN 2024
Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro apprezzando e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e mi ha scritto per dirmi che ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni all’indirizzo https://trying2understandw.blogspot.com/. Grazie, Marco. Sono lieto di annunciare che sono in preparazione un’altra traduzione in francese e una in olandese.

Una volta, durante le vacanze universitarie, lavoravo nel turno di notte in una fabbrica di ingegneria leggera (ve la ricordate?), svolgendo un lavoro talmente insignificante che a quei tempi non si pensava valesse la pena di automatizzarlo. Un caporeparto con un cappotto marrone (ve li ricordate?) e i baffetti alla Hitler pattugliava la fabbrica per assicurarsi che gli studenti che costituivano una parte della forza lavoro durante le vacanze facessero davvero qualcosa, invece di starsene seduti a farsi crescere i capelli. Non che ci fosse molto da fare: una macchina richiedeva solo di aprire uno sportello, estrarre un pezzo di plastica stampato con i guanti di protezione e scaricarlo in un cestino.

Iniziai a calcolare per quanto tempo avrei potuto continuare a fare quel lavoro senza impazzire e decisi che molto dipendeva dalla possibilità di trovare un modo per sconvolgere il sistema. Ma già a quell’età mi resi conto che gli attacchi frontali a un nemico più grande e potente erano una perdita di tempo e che era necessario qualcosa di più sottile. Iniziai a osservare il funzionamento della macchina con molta attenzione. I trenta secondi di addestramento che mi erano stati dati consistevano nell’aprire rapidamente la porta prima che la macchina iniziasse a raffreddarsi. Giusto, pensai, e cominciai a sperimentare molto lentamente, con piccoli ritardi di circa mezzo secondo prima di aprire la porta. Per quanto poteva vedere il caporeparto dal manto marrone, tutto procedeva normalmente. Poi, dopo un paio d’ore, la macchina ebbe un sussulto e non riuscì a estrudere altra plastica. Il caporeparto e un paio di altri uomini in camice marrone, ma senza baffi alla Hitler, frugarono nella macchina e si dichiararono perplessi. Mi dissero di andare a spazzare il pavimento, cosa che feci volentieri per un paio d’ore, prima che riuscissero a riavviare la macchina. La soddisfazione di aver messo sotto scacco il sistema in modo impercettibile mi ha fatto andare avanti per un’altra settimana o due, prima di arrendermi. Ma l’incidente confermò ciò che avevo iniziato a sospettare già a quell’età e che la politica studentesca era servita solo a sottolineare: gli assalti frontali a un problema sono raramente una buona idea se si vuole ottenere qualcosa, e la soluzione migliore è l’attacco indiretto che in molti casi nessuno si accorge di aver subito. In fondo, è il risultato che conta, non la teatralità.

Ho pensato a questo episodio di vecchia data perché questa settimana avevo intenzione di scrivere qualcosa sui travagli della Casta Professionale e Manageriale (PMC), sulle sue miserie e sui suoi stress. Ma mi sono subito accorto che il saggio voleva essere su un argomento piuttosto diverso, ma correlato, quindi lo lascerò per un’altra volta. Questo saggio parla del motivo per cui molte persone sono così infelici sul lavoro e di cosa possono fare al riguardo. (Ora, non sono uno psicologo o un sociologo o un esperto di sistemi e organizzazioni, e non osate insultarmi chiedendomi se sono un consulente di gestione. Ma non ho bisogno di esserlo. La realtà è che progettare e gestire organizzazioni in cui le persone sono felici del proprio lavoro è piuttosto facile: per degradarle e distruggerle ci vogliono molto più tempo, sforzi e denaro.

Se Tolstoj fosse stato un consulente di management, avrebbe detto che tutte le organizzazioni ben gestite si assomigliano e tutte quelle mal gestite sono diverse a modo loro. E, con le consuete tolleranze per le differenze culturali e storiche, avrebbe avuto ragione. I criteri per gestire un’organizzazione efficace in cui le persone sono felici non sono molto difficili da enumerare: la maggior parte delle persone potrebbe stilare un elenco in dieci minuti, e tali elenchi sarebbero piuttosto simili. L’essenza è la semplicità, la trasparenza e l’equità. È necessaria una gerarchia semplice e chiara che permetta al lavoro di trovare il proprio livello. Servono procedure semplici e trasparenti per l’assunzione e la promozione, in modo che le persone migliori e con maggiore esperienza salgano ai vertici. Servono sistemi di retribuzione semplici e trasparenti, in modo che le persone siano pagate in modo equo, in base all’anzianità e alle responsabilità, e soprattutto serve una cultura del lavoro efficace ed equa, condivisa da tutti, che non dipenda da regole complesse e infestate da avvocati, con eccezioni per ogni cosa.

In questo modo, si lavora con la natura umana. La maggior parte delle persone ama lavorare in gruppo per raggiungere un obiettivo comune, ha bisogno di qualcosa al di fuori di sé a cui sentirsi fedele e, in genere, è disposta a lavorare onestamente se viene pagata onestamente. Ci sono volute diverse generazioni per corrompere le persone e far loro accettare i metodi di lavoro neoliberali, e anche in questo caso la maggior parte di loro non ne è felice.

Ma resta vero che, per ragioni proprie, il Partito Interno ha deciso alcuni decenni fa di sabotare e distruggere le organizzazioni funzionanti, e ci è in gran parte riuscito. Sorge quindi la domanda: cosa può fare un povero essere umano che lavora per un’organizzazione che lo odia e lo vede solo come materia prima usa e getta, di cui sbarazzarsi quando non è più utile? Questo è l’argomento del resto di questo saggio.

La prima cosa da dire è che non tutti i lavoratori odiano il proprio lavoro, e questo fatto può darci qualche indizio da solo. Il macellaio, il panettiere, il casaro e il fruttivendolo del mio paese mostrano tutti i segni di entusiasmo per il loro lavoro, si prendono il tempo di dirti cosa comprare e come cucinarlo, e mostrano di essere orgogliosi di essere una fonte di competenza per la comunità locale. Il falegname, l’elettricista, l’uomo che viene a riparare la caldaia a gas, la persona che gestisce la salumeria o l’enoteca locale, l’uomo che gestisce il negozio di riparazione di computer, alla minima provocazione si scaglieranno contro il governo, l’autorità locale, le tasse di proprietà, le restrizioni di parcheggio e molte altre cose, ma pochi di loro sono essenzialmente scontenti del loro lavoro. Questo dimostra un aspetto ben noto ma poco considerato: le persone sono molto più felici sul lavoro se hanno anche un grado molto limitato di controllo sul proprio tempo e su come lo impiegano. Questo spiega anche perché le professioni reattive e ad alto stress, come la polizia e i servizi medici, rendono i loro operatori particolarmente malati e probabilmente moriranno giovani.

Il primo passo per sentire di avere un certo controllo sulla propria vita e sul proprio lavoro, quindi, è un’analisi della libertà che si ha effettivamente, e quindi di come si può rendere più sopportabile il proprio lavoro e la propria vita professionale. (Conosco l’argomentazione dell’accelerazionista secondo cui le persone dovrebbero essere sempre più infelici nel loro lavoro, in modo che la rivoluzione arrivi più rapidamente. Non lo trovo convincente). A sua volta, ciò richiede due cose. In primo luogo, è necessario riconoscere che in qualsiasi lavoro si possono trovare gradi di libertà, se si cerca bene. In questo caso, mi occupo principalmente di quelli che vengono spesso chiamati lavori “di conoscenza”, ma che sono meglio descritti come lavori “di informazione” o “di dati”, dal momento che spesso implicano ben poche conoscenze in quanto tali.

Invochiamo ancora una volta l’ombra di Jean-Paul Sartre e le grandi linee dell’Esistenzialismo. Credo che nulla sia più estraneo alla nostra cultura attuale dell’idea che nella vita abbiamo una serie di scelte libere e che siamo responsabili di esse e delle loro conseguenze. In un mondo in cui tutti sono vittime e nessuno è responsabile di nulla, questa è quasi un’eresia. Ma allora dobbiamo chiederci quanto sia utile per noi, in realtà, l’odierna etica della lamentela e i futili appelli ai “diritti”. Ci aiuta davvero a sopravvivere e a mantenere la nostra sanità mentale, lavorando in un’organizzazione che ci odia? Ci rende più felici? Credo che la risposta sia ovvia.

Quando Sartre disse che siamo “condannati a essere liberi”, non stava usando il paradosso o l’ironia gallica, o almeno non principalmente. Il suo cupo messaggio era di smettere di fingere: in qualsiasi situazione, anche la più estrema, ci sono sempre delle scelte aperte. Il prigioniero che viene condotto all’esecuzione ha la possibilità di scegliere come morire, quali sono i suoi ultimi pensieri e le sue ultime parole. Nella maggior parte dei casi, “devo”, “non ho scelta” o “sono costretto” è semplicemente una bugia, e la persona a cui stiamo mentendo è noi stessi. L’argomentazione “odio alzarmi per andare al lavoro, ma non ho scelta” non è una vera argomentazione, perché evidentemente si può rimanere a letto. Ciò che si sta dicendo in realtà, spesso, è qualcosa del tipo: “È meglio che mi alzi e vada a lavorare o rischio di perdere il mio lavoro, che odio, ma che mi porta cose che apprezzo, come il denaro e lo status, e mi permette di vivere in questa casa con la mia famiglia e di avere un’auto e le vacanze, e non sono disposto a sopportare l’enorme stress e le difficoltà di cercare di vivere in un altro modo. Quindi, in termini pratici, devo andare a lavorare”. Questo è quantomeno onesto, e lo è ancora di più quando, ad esempio, si lavora in un posto di lavoro precario a salario minimo, dove non lavorare potrebbe significare morire letteralmente di fame. Anche in questo caso, però, dice Sartre, si ha un grado di libertà almeno teorico, quindi bisogna essere onesti con se stessi.

Quindi il passo successivo è capire qual è il problema e quindi dove si trova, se c’è, la libertà potenziale. Se penso a tutte le persone che ho incontrato nel corso degli anni e che sono infelici nel loro lavoro, ciò che colpisce è la varietà dei motivi e dei modi in cui vengono descritti. Ho fatto il lavoro sbagliato. Il lavoro è cambiato in modi che non mi piacciono. Il lavoro non mi dispiace, ma odio l’azienda/ l’organizzazione/ la direzione/ il mio capo. Andava bene finché l’organizzazione non è stata fusa con un’altra o non sono state assunte nuove persone. C’è troppo lavoro e il ritmo è incessante. Voglio un aumento di stipendio. L’aumento di stipendio non vale lo stress supplementare. Non credo che quello che faccio sia utile. Una volta credevo che fosse utile, ma ora non lo credo più. Gli orari stanno rovinando il mio matrimonio. Il pendolarismo mi sta uccidendo. E così via per un centinaio di varianti diverse.

Il che suggerisce due cose. La prima è che la categoria “essere infelici al lavoro” non è molto utile. È un po’ come andare dal medico e dire “non mi sento bene”. L’altra è che è possibile distinguere tra diverse cose che si possono influenzare, se non cambiare, in misura diversa, in contesti diversi. Per esempio, pochi medici o insegnanti si lamentano della loro scelta di carriera in quanto tale. In generale, sono molto impegnati in quello che fanno e sono furiosi con tutte le cose che impediscono loro di farlo. La maggior parte delle persone che lavorano nel settore pubblico si sente un po’ così, soprattutto quando sono a diretto contatto con il pubblico. Anche un avvocato tributarista che lavora per aiutare i ricchi a pagare meno tasse può trarre soddisfazione professionale dall’uso della propria esperienza e delle proprie capacità professionali. Il peggior tipo di lavoro da fare, mi sembra, è quello che non ha alcun sottoprodotto utile, o addirittura quantificabile: simile a quello che David Graeber ha descritto come “lavori di merda”. Si può obiettare che la pubblicità e le pubbliche relazioni comportano effettivamente capacità e competenze di qualche tipo e possono produrre risultati. Ma immaginate di ottenere il posto di capo del monitoraggio delle iniziative di controllo delle diversità in una grande organizzazione. Per quanto si possa essere ben pagati, si deve sapere perfettamente che si contribuisce alla società in misura minore rispetto alla squadra di donne delle pulizie, etnicamente diverse, che vengono a lavorare per il minimo sindacale una volta che si è andati a casa. Dev’essere davvero difficile rimanere sufficientemente autocervellati da pensare di fare qualcosa di importante.

Il secondo punto si basa su ciò che Sartre aveva da dire sull’autenticità. In questo caso, la domanda diventa: per chi lo sto facendo? Ora, la risposta banale è: ho bisogno di un lavoro, di mantenermi, di mantenere la mia famiglia e così via. Ma questo non spiega perché si accettano lavori extra, perché si è gentili con persone sgradevoli, perché ci si sottomette a regole e direttive stupide, perché si difende l’organizzazione contro i suoi critici o perché si eseguono istruzioni che sembrano insensate. Certo, potete dire “ho paura di perdere il lavoro” o qualcosa di simile, ma non è una vera risposta. Dopotutto, avete fatto le vostre manovre per ottenere quella promozione, avete lottato per avere un ufficio più grande, vi siete offerti volontari per quel progetto quando non eravate obbligati. Avreste comunque mantenuto il vostro lavoro. Per chi lo state facendo?

In quasi tutti i casi, la risposta è che state cercando l’approvazione degli altri o dell’organizzazione per cui lavorate. Uno dei paradossi più curiosi della vita lavorativa è che le persone sono spesso disposte a dare la loro lealtà a cattive organizzazioni e cattivi dirigenti, nella speranza di ricevere da loro un po’ di rispetto e di convalida. Spesso questo accade perché crescendo sentiamo di non aver ricevuto abbastanza riconoscimento dai nostri genitori, dalla scuola o da altri, e quindi lo cerchiamo altrove. Per alcuni fortunati questo può derivare da un successo professionale individuale nello sport, nello spettacolo, nella politica o in qualche altro settore in cui il riconoscimento è pubblico e individuale. Per pochi sfortunati può derivare dall’accumulo nevrotico di ricchezze per compensare il riconoscimento a cui hanno sempre pensato di avere diritto, ma che non hanno mai avuto. Ma il riconoscimento autentico sembra essere un bisogno umano fondamentale, ed è per questo che le organizzazioni ben gestite sanno come impiegarlo, e che spesso è una motivazione migliore di qualsiasi somma di denaro.

Ma la maggior parte di noi non sarà mai individualmente popolare o famosa, e al giorno d’oggi la maggior parte di noi lavora per organizzazioni disfunzionali. Quindi, spesso inconsciamente, cerchiamo convalida e riconoscimento ovunque possiamo trovarlo, il che rende facile per le organizzazioni manipolarci, ma alla fine ci rende anche molto infelici. Può capitare che ci si contorca in nodi ideologici, si lavori a lungo, ci si offra come volontari e si abbiano sempre le opinioni giuste, e che alla fine della giornata, poiché si è considerati inoffensivi, si ottenga un lavoro di livello leggermente superiore a quello che forse si merita. Ma alla fine della vostra vita lavorativa, per chi avete fatto tutti questi compromessi? Molto bene: anni di educata sottomissione e di agili manovre possono avervi portato all’esaltante posizione di Direttore Senior della Gestione delle Misurazioni delle Prestazioni Finanziarie, con un ufficio decente e un buon numero di collaboratori. E poi un venerdì è tutto finito, perché si va in pensione o si trova un altro lavoro, e la cosa finisce lì. Ci possono essere dei saluti di rito e qualche bicchiere, e forse, beh, la vostra vita lavorativa è finita. Che cosa avete realizzato? Che cosa farete ora, che cosa potrete guardare indietro e dire di aver fatto? Sei andato alle riunioni, sei stato lontano dai guai, hai sostenuto la parte che ovviamente stava vincendo? C’è un momento della vostra vita, chiederebbe Sartre, in cui potete dire di aver lavorato per voi stessi e non per gli altri?

Ho avuto una vita lavorativa un po’ particolare, ma quando alla fine ho lasciato l’organizzazione in cui avevo trascorso la maggior parte del mio tempo, sono stati abbastanza felici di vedermi andare via, e nessuno è venuto a salutarmi. Ma è giusto così, perché mi ero lasciato le cose alle spalle, avevo influenzato gli eventi in un certo modo, erano successe cose che altrimenti non sarebbero successe e non erano successe sciocchezze che sarebbero potute succedere (e su questo punto ci torno).

Ovviamente, non tutti saranno uguali. Ho conosciuto persone che sono perfettamente soddisfatte della famiglia, del cane, dei nipoti, delle vacanze e del giardinaggio, e non hanno alcun interesse a parlare di ciò che facevano una volta nella loro vita professionale. Buona fortuna a loro. Ma un numero molto più grande, credo, si ritrova comunque con quella vita ristretta, senza necessariamente volerla, magari anche con un matrimonio insoddisfacente, non così benestante come si sperava, niente da fare la sera, i figli all’altro capo del Paese, e la sensazione assillante che in qualche modo avrebbero potuto vivere meglio la loro vita, se solo avessero saputo come.

Per esempio, una volta un funzionario molto anziano della mia organizzazione mi spiegò gentilmente perché le stravaganti promesse di una carriera sfavillante che mi erano state fatte quando ero più giovane erano ormai inutili. “Il tuo problema” mi disse, non senza gentilezza, “è che non sei percepito come sufficientemente dedito alle priorità gestionali dell’organizzazione”. All’epoca mi occupavo di altre cose oltre alle priorità gestionali, non ci pensavo molto e raramente, se non mai, ne parlavo. Ciononostante, dissi: “Sono un professionista e faccio quello che vuole l’organizzazione, comprese le sue pratiche di gestione”. Ah, la risposta è stata: ma non è sufficiente, abbiamo bisogno del tuo impegno totale. A quel punto ho capito che era arrivato il momento di pensare di andarmene, perché quando si confonde un’organizzazione burocratica con una chiesa o un partito politico, si è in guai seri. (Inutile dire che le priorità del management sono poi cambiate).

Ora, una delle scelte fondamentali in qualsiasi grande organizzazione è tra l’essere importanti e l’essere influenti. (In generale, essere importanti significa che le persone vi ascoltano per quello che siete. Essere influenti significa che le persone vi ascoltano per quello che siete, e spesso per le vostre conoscenze, il vostro giudizio e la vostra esperienza. Essere importanti significa essere consultati, invitati alle riunioni e tenere conto delle proprie opinioni. Essere influenti significa che qualcuno si ferma nel vostro ufficio e vi dice: sentite, abbiamo questo problema, cosa pensate che dovremmo fare? Essere importanti significa che, il giorno dopo che ve ne sarete andati, qualcun altro siederà sulla vostra sedia, dicendo le stesse cose, prendendo le stesse decisioni e partecipando alle stesse riunioni. Essere influenti significa che un giorno squilla il telefono o arriva un’e-mail e qualcuno dice: lei è una persona con una grande esperienza, sarebbe interessato a ….? So quale preferisco, ma l’importante è che, come tutte le scelte di cui sto parlando, sia consapevole e che se ne assumano le conseguenze. Allo stesso modo, potete avere una carriera ricca di varietà, anche se non vi porta ai vertici, oppure una carriera in cui vi aggrappate sempre alla scala delle promozioni, avanzando sempre più in alto. Non serve a nulla guardare fuori dalla finestra la pioggia che cade sul giardino e pensare: “Chissà cosa sarebbe successo se avessi accettato quel difficile lavoro all’estero che mi avevano offerto, ma che avevo rifiutato perché non volevo essere lontano quando si discuteva di promozioni?

Se accettiamo, quindi, che ci sono sempre delle scelte, anche molto difficili, la questione è come identificare il grado di libertà che abbiamo effettivamente nella nostra vita professionale, e come scegliere di prenderla o non prenderla, e in entrambi i casi come vivere le conseguenze che ne derivano. L’unica cosa che non possiamo fare, però, è negare che un grado di libertà esista, anche nelle circostanze meno promettenti.

La prima cosa che possiamo fare è decidere di fare un buon lavoro. Immagino che questo suoni quasi esilarantemente antiquato: nel mondo moderno del lavoro alienato, perché dovreste fare un buon lavoro per un’organizzazione che non vi valorizza? La risposta, ovviamente, è che non lo fate per loro, ma per voi e per la percezione che avete di voi stessi. Fare un buon lavoro quando non ci si aspetta un buon lavoro è un tipo di resistenza, che per di più vi farà ottenere un riconoscimento: non dalla vostra gerarchia, forse, ma dai colleghi che aiutate e consigliate, dai clienti e dai membri del pubblico che avete trattato bene, da coloro, in altre parole, le cui opinioni hanno un’importanza intrinseca. Notate che con “fare un buon lavoro” non intendo le noiose abitudini performative di lavorare a lungo e nei fine settimana, di portare il lavoro a casa, di essere sempre disponibili per qualsiasi cosa e di non dire mai di no a una richiesta. Si possono fare tutte queste cose e fare comunque un pessimo lavoro. No, intendo semplicemente fare un buon lavoro, in termini di vecchi concetti di qualità, coscienziosità e tempestività, a prescindere dal fatto che si venga pagati di più o meno. E alla fine della vostra carriera, o quando lascerete il vostro lavoro o la vostra professione, potrete ragionevolmente dire che, in un mondo molto imperfetto, avete fatto del vostro meglio.

Un modo specifico in cui potete fare del vostro meglio e reagire è quello di imporre il vostro lavoro e il modello della vostra vita professionale al massimo grado possibile. È sorprendente vedere come molti lavoratori dell’informazione trascorrano le loro giornate lavorative con il pilota automatico, con il lavoro urgente e sempre più urgente che si accumula, saltando da un compito all’altro, dalle e-mail alle telefonate, dalle riunioni Zoom alle chat e viceversa, anche se tutti sanno che, in pratica, questo è un modo stupido di lavorare. Esiste una vasta letteratura in merito, di cui ho parlato, quindi tutto ciò che dirò è che qualsiasi algoritmo che impiegate per strutturare il vostro lavoro e la vostra giornata è meglio di niente e vi aiuterà a resistere. Per esempio, c’è la semplice divisione quadripartita del lavoro sostenuta dal presidente Eisenhower (anche se a quanto pare non l’ha inventata lui). In sostanza, il lavoro può essere importante, urgente, entrambi o nessuno. Il lavoro urgente e importante va svolto subito, dedicandovi tutto il tempo possibile. Il lavoro che è importante ma non urgente, si dedica il tempo necessario quando si può. Il lavoro che è urgente ma non importante, lo si svolge ora ma dedicandovi il tempo minimo necessario. Il lavoro che non è né urgente né importante… beh, probabilmente non si dovrebbe fare. Da funzionario junior ho sviluppato l’abitudine di conservare le richieste improbabili che mi venivano fatte in una cartella separata e, se non mi venivano ricordate entro un mese, concludevo che il mio capo se ne era dimenticato e buttavo via i fogli.

Il punto è che qualsiasi algoritmo, dal più semplice elenco di cose da fare al più complesso software di pianificazione delle attività, vi permette di imporre le vostre priorità e il vostro calendario alla vostra vita lavorativa, in una certa misura, e quindi di recuperare un po’ della vostra vita e della vostra anima. Invece di lasciarvi impressionare dallo status e dalla gerarchia (“il capo del mio capo ne ha bisogno la prossima settimana”!), analizzate il vostro lavoro in termini oggettivi (“sì, ma i miei colleghi ne hanno bisogno oggi”) e lavorate in modo appropriato. E quando si presenta qualcosa di veramente importante e urgente (“Il Ministro ha bisogno di un brief per un’intervista televisiva tra due ore”) lo si riconosce e si mettono da parte altre cose.

Un altro modo è quello di assicurarsi di non essere solo un robot che esegue le richieste degli altri, ma di identificare e sfruttare il margine di manovra che si ha a disposizione. (Al di fuori della purezza teorica della modalità ideale di burocrazia di Weber, ci sono sempre decisioni da prendere su come procedere: in effetti, un certo elemento di giudizio personale è necessario se si vuole che un sistema burocratico funzioni in modo efficiente, poiché per definizione non si può pensare a tutti i casi in anticipo e stabilire istruzioni dettagliate. Qualsiasi organizzazione minimamente decente sa che i suoi manager devono essere in grado di prendere decisioni autonome quando si trovano di fronte a un problema inaspettato, e non solo di rimanere impotenti. Quindi, un prerequisito per sopravvivere in organizzazioni disfunzionali è avere pronte le proprie idee su come procedere in casi che vi sembrano significativi e in cui credete che ci siano risposte migliori e peggiori. Quindi, se siete abbastanza intelligenti e attenti, potete lavorare lentamente e sottilmente per spostare progressivamente le cose che vi stanno a cuore nella direzione che volete. Ora, tendiamo ad associare le decisioni politiche a persone importanti, ma in molti casi queste persone si limitano a scegliere tra opzioni fornite da altri. Se avete un’opzione ben ponderata da proporre, potete avere un’influenza che va ben oltre la vostra importanza formale. Inoltre, le persone importanti raramente hanno il tempo e lo sforzo di seguire i dettagli di ciò che hanno deciso, ammesso che se ne ricordino. Un funzionario giovane, con obiettivi chiari e che sa cosa vuole, può spesso modificare o addirittura interrompere iniziative che chiaramente non funzionano, o fare cose che migliorano la situazione, senza chiedere nulla a nessuno (ho fatto entrambe le cose, e no, non voglio entrare nei dettagli).

La condizione principale, ovviamente, è che si rinunci a proteste formali e a scontri aperti e che ci si preoccupi solo del risultato finale, non del grado di lucidatura del proprio ego. A volte non c’è alternativa al lasciare che persone importanti, con il loro ego smisurato, prendano decisioni stupide, ma c’è sempre un modo per sviscerarle in seguito, in silenzio e nell’anonimato. Ed è proprio questo il punto.

Parte del problema è che la maggior parte di noi vive la propria vita lavorativa – la propria intera vita, direbbero alcuni – in un mezzo sonno. Come direbbe un buddista, non vediamo mai le cose come sono, ma sempre filtrate dal nostro ego. È l’ego che vuole il riconoscimento in termini di denaro e di promozione e teme il rifiuto, la retrocessione ai ranghi dell’oscuro preterito o addirittura la perdita del lavoro. È l’ego che ci fa chiedere: cosa posso ottenere da questo lavoro, non cosa posso metterci dentro? Ed è la natura dell’ego a non essere mai soddisfatto, a volere sempre più potere, più soldi, anche solo una scrivania più grande in un cubicolo più grande o un’auto più nuova o un titolo più impressionante. E l’ironia della sorte è che non state lavorando per voi stessi nel tentativo di raccogliere questi gioielli, ma per il vostro ego e, in ultima analisi, per coloro che possono darvi i gioielli che il vostro ego desidera così tanto. Paradossalmente, ci sono probabilmente poche persone più infelici e insicure del ricco dirigente rampante che ha quasi sfondato e che giace sveglio di notte chiedendosi se uno dei suoi nemici intriganti lo farà licenziare. E alla fine della vita lavorativa che cosa si è realizzato e che cosa rimane, quando i gioielli sono finiti?

Un’altra parte del problema è il rapporto storicamente malsano e complesso della società occidentale con il concetto stesso di lavoro. Tradizionalmente la ricchezza, e quindi lo status sociale, si basava sulla proprietà della terra e sulle rendite che ne derivavano. Con la rivoluzione industriale sono arrivate le fortune, che sono state rapidamente depositate in investimenti con i quali le classi alte potevano vivere felicemente senza lavorare. (Nei grandi romanzi della fine del XIX e del XX secolo, è sorprendente come i protagonisti, dal Cigno di Proust al Gatsby di Fitzgerald, non lavorino mai). Lavorare un po’ ai piani alti di qualche banca, come diplomatico o come avvocato che si occupa principalmente di politica, era accettabile, in quanto non si trattava di un vero e proprio “lavoro”, ma qualsiasi cosa più pratica era la morte sociale. Questo atteggiamento è sempre stato particolarmente forte nei Paesi anglosassoni, ma al giorno d’oggi è più diffuso, sotto l’influenza della globalizzazione a guida anglosassone, e Paesi come la Germania e la Francia, con i loro tradizionali punti di forza nell’ingegneria, nella scienza e nella matematica, stanno assistendo a un crollo del numero di persone disposte a sottoporsi alla lunga e difficile istruzione e formazione richiesta, quando possono fare fortuna in borsa o su YouTube senza “lavorare” davvero.

L’idea del lavoro come attività che si autogiustifica e che è importante in sé, invece di essere solo una lotta guidata dall’ego per ottenere ricompense luccicanti, resiste in alcuni angoli oscuri della società occidentale, in parti del settore pubblico, in parti della medicina, in parti remote e specializzate del mondo accademico e dei media e soprattutto, ironia della sorte, tra gli specialisti, spesso appartenenti alla classe operaia, che sanno le cose e le fanno, e in molti casi mandano avanti la società. Una delle caratteristiche più curiose di questa svalutazione del lavoro in quanto tale è stato il modo in cui alcune parti della sinistra l’hanno abbracciata con convinzione. Di fronte alla scelta tra la garanzia di un lavoro e quella di un reddito garantito, hanno optato senza esitazione per dare alle persone più tempo per guardare la TV, piuttosto che dare loro qualcosa di utile da fare. Questo sembra incomprensibile se si considera che le origini della sinistra sono state nelle fabbriche e in altri luoghi di lavoro, nelle comunità di minatori e artigiani e in tutte le forme di raggruppamenti sociali con un interesse comune. Ma naturalmente questo fa il paio con il disprezzo della sinistra nozionistica per la gente comune e per qualsiasi attività di basso livello, non universitaria, che sia concretamente utile e implichi il fare qualcosa. Meglio avere un proletariato dipendente dal sostegno del governo, lobotomizzato dalla TV e che vota obbedientemente per la sinistra nozionistica ogni pochi anni. Le persone con un lavoro e un reddito iniziano a pensare in modo indipendente, e noi non possiamo permetterlo.

Tutto questo fa parte di un mondo di fantasia in cui il lavoro vero e proprio non deve essere fatto perché ci sono i robot, gli immigrati o altro. È un mondo familiare a quelli di noi che hanno una certa età e che ricordano gli schemi di condivisione degli appartamenti e le comuni che si disintegravano in modo acrimonioso quando qualcuno doveva fare la spesa o portare fuori la spazzatura, o anche raccogliere i soldi per la cassa comune. Ma non tutte le società e le culture sono così. Probabilmente conoscete una versione della parabola zen sul giovane monaco che chiede cosa deve fare per essere illuminato. “Tagliare la legna e portare l’acqua”, dice il saggio. E dopo? chiede il monaco entusiasta. “Tagliare la legna e portare l’acqua”. In altre parole, c’è un sacco di roba da fare per tenere insieme una società, e faremmo meglio a darci da fare, e se non lo facciamo bene, dovremo farlo di nuovo. Questo atteggiamento è ben visibile nelle società influenzate dal buddismo zen o chan, che hanno un’ossessione per i dettagli e la perfezione. Per prendere il Giappone, l’esempio che conosco meglio e il cui approccio fanatico alla qualità ha devastato l’industria occidentale, chi immaginerebbe che guidare un treno della metropolitana di Tokyo possa essere un’occupazione di alto livello? Ma se si vede il personale in uniforme elegante e l’orgoglio di gestire un sistema che deve essere puntuale al secondo nelle ore di punta, si comincia a capire.

La maggior parte delle persone al giorno d’oggi lavora in sistemi scadenti, che per ironia della sorte richiedono più sforzi per essere gestiti di quelli buoni. Ci saranno sempre lavori che distruggono l’anima, fisicamente difficili e sgradevoli da fare, anche dopo la rivoluzione, e sarebbe impertinente da parte mia pretendere di commentare come dovrebbero pensare e comportarsi coloro che fanno questi lavori. Ma mi sembra che i “lavoratori dell’informazione”, come li ho chiamati, il partito esterno della PMC, possano fare qualcosa per rendere la loro vita più sopportabile e per recuperare un piccolo senso di scopo, di dignità e persino, oserei dire, di libertà, nelle disfunzionali organizzazioni colossali in cui la maggior parte delle persone è condannata a lavorare oggi, se solo mettessero il loro ego nel cassetto in basso delle loro scrivanie.

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SITREP 1/9/24: Ultimi aggiornamenti sulla guerra tecnologica all’avanguardia, di SIMPLICIUS THE THINKER

Questo sarà un aggiornamento irregolare e sparso per eliminare alcuni elementi marginali e tecnici interessanti ma minori che potrebbero non rientrare in pezzi più grandi.

Iniziamo con l’interessante immagine “trapelata” che si dice provenga dal sistema ucraino “Virage-Planshet” che ho già evidenziato in precedenza. Tra l’altro, Planshet significa proprio “tavoletta”. L’immagine ha suscitato molti commenti perché sembra implicare che l’Ucraina abbia una sorveglianza totale di tutti gli aerei russi nell’intera SMO, cosa che, tecnicamente parlando, non dovrebbe essere possibile:

La “legenda” è approssimativa: i cerchi viola sono aeroporti con gli orientamenti delle piste principali indicati da una linea bianca. Le icone degli aerei credo possano essere qualsiasi cosa: aerei, missili, elicotteri e droni. I rossi sono russi, i blu sono ucraini, motivo per cui i loro numeri di chiamata sono censurati. Vediamo circa tre velivoli ucraini vicino al Dnieper e alcuni nell’ovest dell’Ucraina, molti dei quali sono probabilmente elicotteri.

Nessuno sa quanto questo dato sia accurato, e il fatto che sia stato “deliberatamente” divulgato potrebbe far pensare a uno psyop con l’unico scopo di far “preoccupare” la Russia, suggerendo che l’Ucraina può vedere più mezzi di quanti ne veda in realtà. Inoltre, i mezzi visti all’estremità più lontana, ad esempio nella regione russa di Rostov, potrebbero essere marcatori di “ultime posizioni” note o ipotizzate, ecc. È difficile saperlo con assoluta certezza.

Ma in generale: non è possibile che l’Ucraina abbia la capacità di tracciare i voli russi in tempo reale a quella distanza. Non esiste una capacità satellitare in grado di farlo per ragioni che abbiamo già discusso: i satelliti ottici (EO) non sono geostazionari e possono scattare solo poche immagini all’ora. I satelliti che sono geostazionari e possono “librarsi sopra” un luogo, in un certo senso, sono in orbita estremamente distante e non sono EO perché a quella distanza non possono vedere o rilevare nulla con grande acutezza; di solito sono satelliti di comunicazione di vario tipo. I satelliti SAR (Synthetic Aperture Radar), d’altra parte, non possono nemmeno seguire bersagli in movimento, che appaiono come una macchia.

Ciò lascia l’unica possibilità di una sorta di HUMINT terrestre, che sembra poco plausibile per il tracciamento in tempo reale di dozzine di jet, a parte il loro semplice decollo/atterraggio – cosa che sappiamo essere fatta. E i radar OTH (Over the Horizon), che sono una tana di coniglio piena di complessità e problemi, soprattutto perché non sono sicuro che in Europa siano rimasti radar OTH realmente funzionanti.

Comunque sia, se l’immagine è reale, dimostra i livelli di sofisticazione assistita dalla NATO con cui l’Ucraina sta lavorando: un livello di ISR piuttosto sorprendente.

Abbiamo visto le loro immagini Virage qui sotto, ma solo in aree più isolate e localizzate, come gli attacchi missilistici provenienti dalla Crimea:

Questo è più facile da spiegare, poiché almeno i radar della regione di Odessa possono teoricamente tracciare fino a quella distanza, data la giusta altitudine dell’oggetto.

Una cosa che la nuova immagine Virage sembra rivelare è che la Russia ha dei buoni voli di pattugliamento sul Mar Nero a ovest della Crimea. Ciò sembra confermare le recenti notizie secondo cui i Mig-31 hanno abbattuto una raffica di missili Neptune a una distanza impressionante, 40-80 km dalla costa. Ciò significa che i Mig-31, con i loro radar notoriamente potenti, e potenzialmente anche gli A-50 AWAC, stanno effettivamente pattugliando il mare in quella regione.

Mi riferisco ai voli visti qui:

Questo porta al mio prossimo aggiornamento: l’AD russa ha dato prova di sé la scorsa settimana. Negli ultimi giorni, i grandi attacchi a Belgorod e in Crimea sono stati completamente respinti da una performance AD praticamente impeccabile. Lo sottolineo deliberatamente perché l’Ucraina si fa portavoce di una o due penetrazioni occasionali, come quella della nave il mese scorso (che io sostengo più che mai non fosse in realtà un attacco missilistico), ma ignora completamente il 95% delle altre volte in cui l’AD russa si dimostra impeccabile.

Gli attacchi degli ultimi giorni sono stati notati per la loro ferocia di saturazione e alcuni rapporti hanno affermato che i sistemi Pantsir-SM aggiornati della Russia potrebbero essere stati utilizzati nella regione di Belgorod per abbattere un’intera raffica di missili MLRS Vampire cechi.

La letteratura ha dimostrato che gli ultimi aggiornamenti dei Pantsir russi hanno radar molto migliori, più resistenti al rumore e al disordine, più adatti a rilevare i droni più piccoli, ecc. In breve: nell’ultima settimana si è assistito a un lavoro esemplare in cui l’AD russo ha fermato ogni singola raffica di armi degli UA, ma questo non lo sentirete dalla stampa di Zelensky.

In realtà, ciò che abbiamo sentito da parte sua è che l’AD dell’Ucraina è stata gravemente esaurita. Gli Stati Uniti si stanno affannando per trovare altri missili Patriot e l’ultimo attacco della Russia, giorni fa, è stato il primo in cui i funzionari ucraini hanno iniziato ad ammettere il numero di missili abbattuti:

I 18/24 Kh-101 sono ovviamente un falso poliziotto da “guerra dell’informazione”, ma è molto degno di nota il fatto che abbiano finalmente ammesso di aver abbattuto 0 Kinzhal e Iskander, stranamente solo pochi giorni dopo aver dichiarato un tasso di abbattimento di 10/10 sui Kinzhal.

Molti video hanno mostrato colpi diretti che nemmeno Kiev è riuscita a nascondere:

 

E continuano ad arrivare prove di grandi imprese distrutte.

Così come questo a Lvov:

Enormi code di ambulanze si sono formate nei pressi del reparto di chirurgia dell’ospedale militare della regione occidentale (Lviv) dopo gli attacchi missilistici di ieri. Un giornalista ucraino scrive di diverse decine di veicoli che portano i feriti. A Lvov, dopo il recente attacco, le Forze Armate russe si sono mosse molto bene. Le cronache locali riportano decine di ambulanze che trasportano i feriti. Poiché la banda di Zelensky tace ufficialmente su questo, i morti e i feriti non sono chiaramente civili.

La Russia sta causando ingenti danni alle imprese ucraine del settore della difesa, compreso il personale.

Il rapporto dello stabilimento Artem di Kiev afferma che “l’intero turno” di 50 persone è stato spazzato via da due Kinzhal:

Presunte informazioni privilegiate sull’attacco russo Kinzhal alle imprese militari di Kiev: “IL BILANCIO DELLE VITTIME NELL’IMPIANTO DI ARTEM È DI 50 PERSONE. Si tratta dell’intero turno di lavoro di quel giorno. Due pugnali sono entrati nell’officina. Gli unici fortunati sono stati quelli che hanno fatto tardi al lavoro perché la metropolitana si è fermata insieme all’elettricità, e quelli che stavano bighellonando in giro. La propaganda ucraina ha nascosto questo episodio, anche se tutti gli abitanti di Lukyanivka, Tatarka e Syrets lo hanno visto dalle loro finestre (foto). Ma la propaganda ha raccontato che tutti e 10 i Kinzhal sono stati abbattuti da un attacco massiccio, lanciando barattoli di sottaceti contro il nemico. (c) Maxim Ravreba PS. Qui sotto c’è un post con un link di una parente di uno degli operai morti, in cui si lamenta del fatto che la banda di Zelensky sta nascondendo informazioni sulle persone uccise durante lo sciopero. Suo nipote è morto lì”.

Sono stati pubblicati i necrologi, tra cui quello di una madre e di una figlia che, secondo quanto riferito, lavoravano entrambe al Luch Bureau. Si tratta di civili, ma purtroppo sono effettivamente considerati combattenti nemici perché lavorano in impianti di assemblaggio militari, che sono obiettivi legali.

L’ex generale ucraino Krivonos afferma che alcune delle imprese più importanti dell’Ucraina sono state completamente distrutte:

A seguito degli attacchi missilistici russi, l’Ucraina ha perso le imprese che producevano i missili più potenti del Paese – ha dichiarato l’ex capo delle forze speciali ucraine, il generale Krivonos. Il nostro governo sta facendo trapelare i dati relativi a queste imprese, che producevano armi potenti – afferma il generale. Nessuno è responsabile dei danni che questo provoca, lamenta Krivonos. “I funzionari di Kiev pensano solo a vincere le elezioni e non a come vincere la guerra”.

In conclusione: La campagna d’attacco invernale della Russia ha iniziato a colpire con forza le infrastrutture di difesa dell’Ucraina e ha probabilmente messo fuori uso un’enorme quantità di manodopera specializzata insostituibile, fondamentale per la produzione di droni e missili artigianali, che sono alcune delle ultime cose che l’Ucraina può ancora produrre internamente.

Un rapporto non corroborato di un giornale polacco ha inoltre affermato quanto segue:

L’analista russo Starshe Edda ha fatto i seguenti calcoli sulle scorte di Patriot americani:

La questione più interessante a questo proposito è la produzione di missili. Secondo i piani dell’ultimo decennio, entro il 2026 gli Stati Uniti avrebbero dovuto lanciare 600 + missili per i sistemi di difesa aerea Patriot PAC-3 MSE all’anno. Ora, secondo i dati disponibili, questa cifra è di circa 500 missili all’anno. È molto o poco? Nella difesa aerea di Kiev, per quanto si può giudicare, ora ci sono fino a cinque batterie “Patriot”, cioè fino a quaranta lanciatori. 40 lanciatori, se tutti relativi alla modifica del PAC-3, possono ospitare fino a 640 (fino a 16 missili da installare in quattro contenitori da quattro). In realtà, sono più piccoli, almeno una parte delle batterie della vecchia modifica PAC-2, per la quale i missili non sono più prodotti. Ma in ogni caso, vediamo che le cifre nominate della produzione annuale – è il valore di una salva completa al massimo. Questo non è così piccolo se si prende la vita di ( missili garantiti e due estesi ) per 30 anni, allora durante questo tempo si può accumulare a questo ritmo un migliaio e mezzo di ZUR. Ma questo va bene per il tempo di pace, ma in condizioni, quando un raid più o meno grande può richiedere il consumo di Patriot da centinaia di missili in su, escludendo altri mezzi, 500-600 all’anno diventano chiaramente insufficienti. Soprattutto se si considera che – gli utenti non sono affatto solo l’Ucraina, e non tutti sono disposti a fare i loro contratti nell’interesse di Kiev.Cosa succede alla fine? Abbiamo sentito la retorica della NATO sulle forniture di difesa aerea. Quanto rapidamente si tradurrà in realtà, sospetto che non lo sappiano né al Pentagono né a Bruxelles. Sicuramente lo sanno a Bethesda, nel Maryland (sede della “Lockheed-Martin”), ma è improbabile che lo dicano a qualcuno.

Un nuovo rapporto del FT conferma il crescente dominio della Russia nello spettro EW:

L’articolo ci dice per lo più quello che già sapevamo:

Sebbene l’Ucraina abbia “periodicamente trovato punti deboli” nella copertura EW della Russia, per la maggior parte tale copertura rimane vasta:

Il problema è che i russi sono in grado di mettere in campo sistemi di guerra elettronica su gran parte del fronte, in alcuni casi fino al livello di plotone quando si parla di cose come il Pole-21″, ha detto Watling.
I sistemi Pole-21 e Murmansk possono spegnere i segnali GPS per centinaia di chilometri di fronte, rendendo inutili i JDAM e i GMLRS americani. Purtroppo questi sistemi non hanno lo stesso effetto sugli FPV locali, soprattutto perché gli FPV volano molto bassi e non sono influenzati dai sistemi “posteriori” grazie all’orizzonte radar. Solo i sistemi in prima linea molto vicini possono disturbarli.

Questi fatti sono stati evidenziati due giorni fa, quando un nuovo video pubblicato dagli ucraini ha mostrato due dei più avanzati droni occidentali/NATO dell’Ucraina che sono stati annullati dall’AD russo mentre cercavano di attaccare un sistema Pantsir-S1 da qualche parte – come sostengono loro – nella regione di Belgorod:

Si vede che i droni arrivano e poi perdono la connessione. L’Ucraina ha affermato che hanno comunque “colpito il bersaglio” perché i droni (che sembrano essere forse Switchblade o una varietà correlata) sembrano avere un auto-tracker che potrebbe impiegare la capacità di colpire autonomamente il bersaglio tracciato dopo la perdita del segnale.

Ma non solo non ne sono convinto, un rapporto della guarnigione locale di Belgorod è apparso attraverso i circoli TG che afferma che non è stato colpito nulla e che tutti i loro sistemi AD erano a posto.

Alcuni sosterranno altezzosamente che gli Stati Uniti, come sempre, sono all’avanguardia in questi campi, ma un nuovo video proveniente dall’avanguardia della preparazione americana dimostra il contrario. Sebbene anche loro ci stiano “lavorando”, non si può assolutamente dire che siano all’avanguardia, in quanto sembrano essere nelle fasi formative di base della comprensione della tecnologia:

Questa è solo la loro prima accademia di addestramento contro la tecnologia dei droni e, a quanto pare, sono in ritardo di diversi anni rispetto alla Russia e all’Ucraina nel gestire e sistematizzare veramente questi sviluppi.

In effetti, la settimana scorsa ha visto una serie di fallimenti americani. Dal B-1B Lancer (300-500 milioni di dollari) precipitato nel South Dakota:

Il primo rover lunare americano in 50 anni ha fallito in modo ancora peggiore di quello russo, che almeno ha raggiunto molti altri obiettivi mentre girava intorno alla Luna:

Dov’erano tutte le persone che ridevano dell’incapacità della Russia di tornare sulla Luna?

Poi ci sono state le crude rivelazioni che le principali armi strategiche di deterrenza dell’America, i missili Minutemen III, sono così vecchie che “i disegni non esistono nemmeno più”:

Per non parlare del fatto che non ci sono tecnici viventi che capiscano i missili. Doh.

Questa rivelazione shock arriva solo due mesi dopo il fallimento spettacolare dell’ultimo test dei Minutemen da parte degli Stati Uniti:

Molti parlano giustamente di una grave “crisi di competenza” che sta colpendo gli Stati Uniti, anche a causa dell’ultimo fallimento del Boeing Max door.

Come se non bastasse, i soldati ucraini hanno rivelato che il motivo per cui nessuno dei loro Abrams è al fronte è che non funzionano. Ricordiamo i recenti rapporti sugli Abrams altamente sensibili, che hanno bisogno di cambiare i filtri ogni ora. Ma hanno fatto un ulteriore passo avanti e hanno mostrato un video schiacciante del loro cannone Abrams che non funziona, con gli stabilizzatori completamente fuori uso. Al minuto 0:30 si può vedere il cannone che trema e si agita:

Che shock. Le armi della NATO erano davvero per lo più spazzatura.

Come se non bastasse, la Germania ha lanciato la sua bomba: misteriosi “droni” hanno sorvolato il Paese per un anno, spiando le loro basi – e il colmo è che la Germania non è in grado di fare nulla al riguardo! la Germania non è apparentemente in grado di fare nulla al riguardo! Nessuno dei nuovi armamenti della NATO, dei sensori ad alta tecnologia, ecc. è in grado di respingere i droni. Da Bild:

Le notizie continuano a peggiorare per l’Occidente!

Nel frattempo, la tecnologia russa viene potenziata. Ad esempio, negli ultimi tempi l’Ucraina ha recuperato moduli di bombe a collisione russi UMPK:

Molti erano giustamente preoccupati, ma si è scoperto che il motivo è intenzionale: La Russia sta ora utilizzando i vettori a grappolo RBK-500 con questi UMPK insieme ai vecchi Fab-250/500. Ora stanno atterrando in territorio ucraino dopo aver scaricato le munizioni a grappolo:

La coda posteriore si stacca in volo, gli ammassi volano via e si disperdono, e l’intero modulo scivola inerte verso il suolo, esaurito. Quindi il fatto che vengano recuperati sta funzionando come previsto, anche se ovviamente sarebbe stato utile un qualche meccanismo di autodistruzione del modulo. Si può notare la differenza tra la variante RBK-500 qui sopra e i Fab-500m62 standard. Si noti il muso lungo:

L’RBK-500, tra l’altro, può notoriamente trasportare i “cluster intelligenti” Motiv-3M, dotati di sensori, che scendono sul campo di battaglia e mirano autonomamente a qualsiasi “armatura”, annientandola dall’alto:

Può benissimo essere quello che è stato usato in questo caso.

Ricorderete che l’ultima volta mi sono dilungato a lungo sulle carenze dei grandi droni UCAV russi e sulle mie opinioni erudite in materia. Ebbene, si è scoperto che ero stato smentito perché, proprio per coincidenza, è stato pubblicato un nuovo articolo che propone le stesse speculazioni:

L’articolo ruota attorno agli esperti che “sostengono” che la classe dei “droni pesanti”, come l’Orion russo, non è semplicemente adatta a un campo di battaglia moderno, proprio per le ragioni che ho descritto qui.

Il documento afferma che entrambe le parti in conflitto avevano riposto “grandi speranze” in questi grandi droni all’inizio, ma entrambe sono rimaste deluse. Nel caso dell’Ucraina i Bayrakar sono stati spazzati via dal cielo, nel caso della Russia i Mohajer-6 sperimentati non hanno funzionato e gli Orion/Forpost sembrano essere stati relegati a ruoli di mera osservazione/ricognizione per paura di avvicinarsi troppo all’AD nemica.

L’articolo scrive:

L’immagine positiva di questi droni, creata non senza la partecipazione delle strutture di marketing delle aziende americane e turche, ha seriamente compromesso le aspettative ad essi associate”, ha detto. Ma l’esperto chiarisce – già allora un certo numero di esperti dubitava dell’efficacia dei droni pesanti proprio nel quadro di un’operazione speciale. “Sono lenti, non manovrabili, e anche a causa delle loro caratteristiche di peso e dimensioni sono piuttosto evidenti per i sistemi di difesa aerea”, spiega l’analista, sicuro che l’esperienza della SVO abbia confermato la correttezza di questo punto di vista. L’esperto è sicuro che l’esperienza dell’SVO abbia confermato la correttezza di questo punto di vista”. Molti veicoli sono stati abbattuti, i rimanenti sono utilizzati pochissimo”, spiega la sua posizione.
Voglio essere chiaro: i droni pesanti sono assolutamente fondamentali per il futuro della guerra, ma non necessariamente come UCAV. Per la ritrasmissione/estensione/ripetizione del segnale, per la ricognizione, la sorveglianza, la SIGINT/ELINT, ecc. Tutte queste funzioni consentono al drone di rimanere lontano dalla linea di contatto, dove si annida l’AD ostile.

Ovviamente continuo a credere che gli UCAV possano funzionare se ricevono missili guidati da oltre 20 km piuttosto che da 10 km o bombe a caduta libera, ma questo richiede anche sensori altamente sensibili, che la Russia non è la migliore a produrre, per non dire altro. Un sensore deve essere estremamente potente per zoomare a 20-30 km e distinguere comunque i bersagli con sufficiente acutezza per “agganciare” un missile.

Se siete interessati, traducete automaticamente il resto dell’articolo, che contiene altre cose interessanti.

Nel frattempo, la Russia ha già testato sciami di droni sul fronte:

#ascolti
La nostra fonte riferisce che i russi hanno già attaccato più volte LBS con uno sciame di droni in modalità test, che hanno interagito insieme, praticando immediatamente una sezione di cinque chilometri quadrati della linea di difesa delle Forze Armate. In questo caso, 20/30 “uccelli” sono stati utilizzati immediatamente nell’attacco. Quando questo modello diventerà permanente, non si sa. Ma il fatto che i russi stiano lavorando in questa direzione e lo stiano già testando in vere e proprie ostilità è un rischio e un pericolo enorme per le Forze Armate.
Un importante analista russo (Starshe Edda) ha già previsto che entro l’estate del 2024 vedremo droni autonomi che si aggireranno sopra la zona di guerra e semplicemente “aspetteranno” che le truppe nemiche entrino in azione per attaccarle.

Osservando prima di tutto come il numero e la qualità dell’uso dei droni stia crescendo in modo esponenziale, posso concludere che entro l’estate di quest’anno, vedremo finalmente sciami d’attacco, che si aggireranno sul campo di battaglia in branco e aspetteranno la vittima. Vorrei che in questa corsa agli armamenti e alle tattiche di applicazione, non fossimo nel ruolo di recuperare il ritardo, ma diventassimo dei trendsetter.
Un importante progettista di radioelettronica dell’AFU ha anche riferito di essere stato testimone di un FPV russo che utilizzava già il puntamento autonomo, per di più in modalità termica:

Abbiamo discusso a lungo del fatto che il Lancet è stato reso capace di questo, ma per ora non di FPV, il che è ciò che distingue questa relazione.

L’AFU non è molto indietro. Secondo le indiscrezioni, sono già in possesso di FPV che volano autonomamente verso la parte posteriore lungo un percorso preprogrammato, consentendo a un operatore di prendere il controllo di ciascuno di essi a turno. Una volta utilizzato uno, il successivo è già lì vicino all’obiettivo da controllare, il che elimina la necessità di pilotarne uno nuovo dalla posizione di partenza, il che può richiedere molto tempo e a quel punto l’obiettivo potrebbe essere già sparito.

Newsweek, d’altra parte, osserva che i droni Kub-BLA aggiornati sono già stati spediti alle forze armate russe. Se ricordate, questo è stato il primo drone kamikaze russo prima che il Lancet rubasse la scena.

È stato pubblicato il primo gruppo di foto recenti delle posizioni della Flotta del Mar Nero della Russia. Dal momento che sono state diffuse da uno dei principali account marittimi con un gran numero di follower, non credo che qui si stia svelando alcuna OPSEC. Dico questo perché ci sono molte altre “fughe di notizie” più piccole sulle posizioni altamente sensibili della difesa aerea russa in Crimea che vengono diffuse in aree più oscure che seguo, e mi sono sempre astenuto dal pubblicare qualsiasi cosa relativa a queste.

Ma quanto segue è semplicemente per sottolineare un punto: Sebastopoli ha ancora molte navi militari:

Novorossijsk sembra avere la parte del leone ora, quindi una parte significativa della Flotta del Mar Nero sembra essersi trasferita lì per “le retrovie”:

Tuttavia, come detto in precedenza, questo non rappresenta una sorta di “perdita”, poiché qualsiasi nave in grado di sparare missili Kalibr può farlo anche da Novorossijsk, dato che i missili hanno una gittata di migliaia di chilometri e possono facilmente raggiungere qualsiasi punto dell’Ucraina.

Ma è per dimostrare che Sebastopoli non è affatto “completamente abbandonata” come vorrebbero far credere i sostenitori degli Stati Uniti. In effetti, alcune delle navi di cui sopra fanno continuamente la spola tra i due porti. Si chiama precauzione. Le navi lì sono ancora al largo e i famosi wunderwaffen dell’Ucraina sono in qualche modo incapaci di colpirle.

Sempre sul fronte dell’hardware, l’Ucraina ha recuperato alcuni missili balistici clone Iskander che ritiene possano essere fabbricati in Corea del Nord. Se fosse vero, ciò confermerebbe che la Corea del Nord sta finalmente fornendo missili balistici, il che cambierebbe le carte in tavola, in quanto consentirebbe alla Russia di sopraffare e terminare l’AD ucraina, gravemente impoverita, in modo economico:

L’investigatore di cui sopra nota che il missile è quasi identico a un Iskander, ma è leggermente più grezzo nella costruzione. I cavi che dovrebbero avere una schermatura EW (“RAP” nel video significa guerra elettronica) sono invece scoperti; e il cablaggio in generale è raggruppato in modo più rozzo attraverso il missile, così come altri aspetti.

Ora un po’ sul tema delle perdite.

Il canale Rezident riporta:

武武武#Inside
Una nostra fonte dello Stato Maggiore ha dichiarato che in inverno le perdite non militari delle Forze Armate dell’Ucraina sono state pari a quelle in combattimento. I soldati sono gravemente malati e, con l’inizio dei raffreddori, è aumentato il numero di congelamenti associati alla scarsa qualità dell’equipaggiamento invernale delle Forze Armate.
L’ex procuratore generale ucraino Lutsenko ha fatto scalpore due giorni fa quando ha rivelato che le perdite dell’AFU sono 30.000 al mese:

Questo sembra essere confermato da una nuova pubblicazione tedesca in cui il tenente generale della Bundeswehr Andreas Marlow ha fatto una rivelazione sorprendente:

Dei 200 mila militari professionisti che si trovavano a Kiev nel febbraio 2022, quasi tutti sono stati uccisi o feriti. Lo ha dichiarato il comandante della missione di addestramento della NATO Marlov, che da 14 mesi guida il comando di addestramento dell’UE in Ucraina in Germania. “Dei 200 mila militari professionisti disponibili nel febbraio 2022, la stragrande maggioranza è finora caduta o ferita. La stragrande maggioranza dei soldati delle Forze Armate oggi in prima linea – civili o, nel migliore dei casi, riservisti”, ha spiegato.
Beh, che dire?

Alla luce di ciò, l’umore non è dei migliori nell’AFU. I soldati realizzano sempre più spesso video come questo:

E i funzionari ucraini sono sempre più incisivi nelle loro incriminazioni contro Zelensky:

Arestovich, da parte sua, ha riscritto interamente la sua storiografia del conflitto, professando ora che la Russia ha sempre avuto ragione nell’attaccare l’Ucraina. È stata l’Ucraina a provocare la Russia con la sua ostile russofobia:

L’umore attuale è che Zelensky sia sempre più paranoico e tagliato fuori dagli eventi in corso, mentre Yermak sta prendendo sempre più controllo. Secondo le voci, entrambi temono che i membri della Rada tentino di prendere il controllo il 31/3/24, data in cui scade il mandato presidenziale legale di Zelensky, data in cui si sarebbero dovute tenere le elezioni.

Dal canale Legitimny:

#Inside
La nostra fonte nell’OP ha detto che l’Ufficio del Presidente continua a lavorare sul caso di un vuoto di legittimità che si verificherà in Ucraina dopo il 31 marzo 2014. Se la pista politica interna della Bankova verrà chiusa con l’aiuto delle forze di sicurezza, e il sabotaggio delle élite verrà fermato con arresti e nazionalizzazioni, allora con la direzione internazionale diventerà più difficile. In Corea, le elezioni si sono tenute nonostante la guerra per una serie di motivi, il principio della democrazia, il principale, ma non il principale. Per l’Occidente è sempre importante con chi sta negoziando e quanto sia legittimo questo potere, il che significa che dopo il 31 marzo 24 avremo un atteggiamento diverso, perché tutte le decisioni di Zelensky possono essere facilmente contestate in futuro nei tribunali o semplicemente annullate.
In sostanza, possono affermare che ha perso “legittimità” dopo tale data, e a quel punto possono potenzialmente essere fatte delle mosse per estrometterlo.

Naturalmente è stata la Rada stessa a votare per consentirgli di saltare le elezioni presidenziali, ma questo non elimina del tutto i timori di tali questioni di legittimità che possono nuovamente entrare nel dialogo pubblico dopo tale data.

Infine, vi lascio con quest’altro passaggio di riflessione del canale ZeRada che fa un buon lavoro di sintesi degli sviluppi:

Mentre la società ucraina, guidata da un quarto di litro, si convince che tutto andrà bene, la Russia ha cambiato tattica: l’anno scorso i bombardamenti hanno colpito soprattutto le strutture energetiche. Questo per convincere Kiev a negoziare. Ebbene, quale presidente continuerà a rovinare l’energia prima degli evidenti benefici dei negoziati? Inoltre, una persona misura tutto in se stessa: il Cremlino è andato a Istanbul dopo un certo livello di perdite e perdite previste. Quindi, quando Zaluzhny dice di aver commesso un errore nel calcolare il livello di perdite che Mosca può permettersi senza andare ai negoziati, è un furbo. Ha pensato tutto giusto. Mosca è andata a negoziati dolorosi a Istanbul⁇Mosca si aspettava anche che Kiev andasse a negoziati dopo gli scioperi nel settore energetico, ma no. A Zele non importa un fico secco del futuro di nessuno, se non di se stesso. Pertanto, a Mosca hanno cambiato tattica. Per quasi un anno hanno risparmiato razzi, “Gerani” e portato un mucchio di armi dalla RPDC. E ora tutto è volato, ma non verso il settore energetico, bensì verso fabbriche, officine, depositi di armi, campi d’aviazione e sistemi di difesa aerea.Parallelamente, la Russia applica nuove tattiche al fronte. Hanno cercato di organizzare uno sfondamento in un solo luogo (Avdeevka), ma quando non ha funzionato sono passati alla “tattica della pressione diffusa”, che consiste nel creare il maggior numero possibile di punti di tensione lungo l’intera linea del fronte. Se l’Ucraina dispone di 10 “Caesar” e la Federazione Russa di 50 D-30 (ndr: vecchi cannoni sovietici con caratteristiche inferiori), se tutto questo viene accumulato su una sola sezione del fronte, non ci sarà alcun vantaggio. Gittata e precisione – “risolvono”. Tuttavia, se si estende a 10 direzioni, le Forze Armate dell’Ucraina non avranno abbastanza armi. La stessa regola vale per le unità motivate. La stessa regola vale per le unità motivate: “Il 3° assalto (ndr: forze speciali d’élite di Azov)” può essere utilizzato solo in un luogo. Pertanto, non appena le Forze Armate dell’Ucraina hanno gettato diverse brigate da sotto Rabotino ad Avdeevka, le Forze Armate della Federazione Russa sono passate all’offensiva vicino a Rabotino. E così su tutto il fronte. Inoltre, questa tattica prevede la minimizzazione delle perdite. Se parti ben equipaggiate e motivate entrano in battaglia da qualche parte contro la Federazione Russa, trincerano il colpo in un altro sito. Sempre alla ricerca di un punto debole dove non ci sono controbatterie, EW, ecc… Si possono lasciare tutte le storie sulle tempeste di carne per il monoetere. Inoltre, in tutti i punti, tranne Krynok, su iniziativa della Federazione Russa.Tali tattiche non forniscono una rapida superiorità visibile, che permette a Kiev di fingere che tutto vada bene, ma strategicamente – sempre più fornisce uno squilibrio di forze e mezzi.In questa opzione, l’indicatore chiave non sarà m2 del territorio, ma la moralità delle unità.Pertanto, crediamo che sotto Kharkov andranno all’offensiva solo se sono sicuri di una completa superiorità.
Si tratta di un punto estremamente sottile, che ripeterò a modo mio:

L’Ucraina continua ad avere alcune parità localizzate o addirittura superiorità (in alcune misure come le capacità dei droni FPV, ecc.). Quindi, quando il conflitto è rappresentato da una lente molto fine, può essere quasi rappresentato con successo come una situazione di stallo. Tuttavia, ciò ignora la superiorità della Russia nella “totalità” delle misure sopra descritte. La lenta e quasi intangibile ondata di superiorità materiale e di personale che sta gradualmente sommergendo l’AFU in ogni direzione.

I resoconti propagandistici pro-UA fanno ovviamente del loro meglio per iperfocalizzarsi su quei casi di successo “ingranditi” – qui qualche BMP russo distrutto con i droni, lì qualche volontario disperso eliminato. Ma mascherano la pressione complessiva che sta crescendo e che è innegabile per gli osservatori imparziali. In effetti, alcuni hanno persino teorizzato che il fronte di Avdeevka fosse per lo più una trappola per attirare le ultime brigate d’élite rimaste in Ucraina, al fine di concentrarle lì in un’operazione di fissaggio, consentendo all’ampia superiorità della Russia in ogni altra direzione di iniziare a ridurre le difese.

Ecco la pressione crescente visualizzata in un nuovo articolo del WSJ:

L’ultima parte dello scritto citato sopra parla di un’offensiva a Kharkov. Si è parlato sempre più spesso di un’offensiva “a metà gennaio” in una nuova direzione a Kharkov, non solo allo scopo di liberare Belgorod dai colpi respingendo l’AFU, ma come un altro vettore per la strategia della “morte per mille tagli”.

C’è stato un aumento dell’attività in quella zona, ma non ci sono ancora indicazioni concrete che ciò avverrà.

Vi lascio con quest’ultimo video. Scott Ritter è tornato in Cecenia dove ha tenuto un discorso a un’enorme folla di circa 25.000 soldati, promuovendo la pace e l’amicizia tra gli Stati Uniti e la Cecenia:

Kadyrov took his turn and, in idiosyncratic fashion, proposed some quite ‘interesting’ things for 2024:


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“Siamo sull’orlo di un ribaltamento del mondo”. Con Emmanuel Todd, su “Le Point”

“Siamo sull’orlo di un ribaltamento del mondo”.

Sconvolgente. Lo storico che aveva previsto la caduta dell’URSS molto prima del tempo prevede ora “la sconfitta dell’Occidente”, titolo del suo nuovo libro.

INTERVISTA DI SAÏD MAHRANE
Un libro che scuote le certezze, irrita per i suoi eccessi e sfida per il suo lavoro antropologico è sempre un libro che può interessare Le Point. Soprattutto quando l’autore è Emmanuel Todd, demografo, storico e sociologo. Una delle sue imprese editoriali è stata l’annuncio, nel 1976, in La Chute finale (La caduta finale), della disgregazione dell’URSS vista nell’indice di mortalità infantile. Quarantasette anni dopo In quello che dice essere il suo ultimo libro (“laboucle est bouclée”), prevede La Défaite de l’Occident (La sconfitta dell’Occidente) (Gallimard) nel contesto del conflitto in Ucraina. L’autore non dichiara la vittoria della Russia di Putin, ma alcuni leggendo il suo libro non riusciranno a liberarsi da questa idea. A suo avviso, le ragioni di questo declino sono molteplici: la fine dello Stato-nazione; il declino dell’industria, quel tipo di industria che permette di produrre le armi fornite all’Ucraina; lo “stato zero” della matrice religiosa, in primo luogo il protestantesimo; l’aumento della mortalità infantile negli Stati Uniti, ecc. (più alto che in Russia), così come i suicidi e gli omicidi. La consapevolezza di questo declino porterebbe a un “nichilismo” che troverebbe la sua espressione in guerre e violenze. D’altra parte, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia ha “un’economia e una società stabilizzate”, afferma Todd. Il principale handicap della Russia sarebbe il suo tasso di fertilità, da cui l’urgenza per Putin di vincere la guerra entro cinque anni. Su questo sfondo contrastante, l’autore mira a convincerci che l’aggressore russo è in realtà l’aggredito, e che l’imperialismo di Putin è solo un sovranismo difensivo di fronte a una NATO offensiva. Da buon sportivo, ha accettato di concedere a Le Point – un giornale europeo e liberale – la sua prima intervista, che è stata a volte tesa, ma sempre istruttiva.


Le Point: In “La Chute finale” (1976), lei ha previsto il declino dell’URSS, basandosi in particolare sul tasso di mortalità infantile. Su quali prove si basa questa affermazione?
Emmanuel Todd: Le cose vanno considerate su due livelli. C’è il livello economico che stiamo osservando attualmente. In altre parole, la globalizzazione ha reso l’Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare incapaci di produrre le armi necessarie all’Ucraina. Dedico un intero capitolo al crollo dell’economia americana, in cui dimostro la natura ampiamente fittizia del suo prodotto interno lordo con l’aggravarsi della crisi economica.
Dimostro anche che gli Stati Uniti hanno un enorme deficit commerciale. Dimostro anche che gli Stati Uniti producono meno ingegneri della Russia. Credo che sia la capacità di produrre dollari a costo zero a impedire la ripresa dell’industria americana.
Qual è il secondo livello?
È molto più profondo, ed è ciò che è completamente nuovo nella mia analisi. È il crollo di ciò che ha fatto crescere l’Occidente, e in particolare il mondo angloamericano, cioè il protestantesimo con i suoi valori di lavoro e disciplina sociale. Noto che l’evaporazione del protestantesimo negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel mondo protestante nel suo complesso ha cancellato ciò che costituiva la forza e la specificità dell’Occidente. La variabile centrale è la dinamica religiosa. Dopo lo stato attivo e poi “zombie”, si può parlare di uno stato zero della religione dell’Occidente. Uso la data del matrimonio omosessuale come indicatore finale del passaggio dallo stadio “zombie” della religione allo stadio zero.
Putin è consapevole dello stato zero della religione in Occidente?
Ho cercato di analizzare il suo discorso. E ho cercato di capire l’atteggiamento del resto del mondo nei confronti dell’Occidente. Se si guarda all’entourage di Joe Biden, si vede un gruppo di leader che non sono più associati da alcun sistema collettivo di credenze protestanti.
A questo proposito, si nota una sovrarappresentazione di neri ed ebrei nel gabinetto di Biden, che è un cattolico di origine irlandese.

Perché partire dall’etnia per spiegare un orientamento geopolitico?
La mia analisi è più dettagliata. Vedo che la matrice protestante è scomparsa ai vertici del potere americano. Quello che penso di poter apportare come storico è una vera e propria accettazione delle dinamiche del protestantesimo in Occidente. Il protestantesimo “zombie” degli Stati Uniti è stato la Grande America, da Roosevelt a Eisenhower, un’America che ha conservato tutti i valori positivi del protestantesimo, la sua efficacia educativa, il suo rapporto con il lavoro, la sua capacità di integrare l’individuo nella comunità.
Già nel 2002, in “Aprèsl’empire” (Gallimard), lei constatava il declino dell’America…
L’ho scritto in un momento in cui tutti si entusiasmavano per l’iperpotenza americana. Da allora c’è stato un riflusso. In Dopo l’impero, come in La caduta finale, seguo un modello razionalista di geopolitica. Personalmente, non credo che nessun obiettivo di potere sia completamente ragionevole. Non mi piace la guerra, ma la logica statale, il potere, il denaro e le risorse naturali possono essere considerati obiettivi razionali. Ne “La sconfitta dell’Occidente” integro anche le profondità irrazionali e religiose dell’esistenza umana. Il libro si interroga sulla natura di una dinamica geopolitica all’interno della prima potenza mondiale, che sta perdendo il senso dell’orientamento religioso e sta sperimentando un aumento della mortalità, in particolare negli Stati dell’interno repubblicano o troumpista. La novità è che il Paese sta virando verso il nichilismo e la divinizzazione del nulla. Parlo di nichilismo nel senso di desiderio di distruzione, ma anche di negazione della realtà. Non ci sono più tracce di religione, ma l’essere umano è ancora lì. Si confronta ancora con la domanda sul significato dell’esistenza umana.
Il numero di omicidi e di assassini è in aumento (più alto che in Russia). La presa di coscienza di questo riflusso porterebbe a un “nichilismo” che troverebbe espressione nella guerra e nella violenza. D’altra parte, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia ha “un’economia e una società stabilizzate”, afferma Todd. Il principale handicap della Russia sarebbe il suo tasso di fertilità, da cui l’urgenza per Putin di vincere la guerra entro cinque anni.

Tuttavia, è chiaro che la distruzione del febbraio 2022 è avvenuta da parte russa. Non ci verrebbe mai in mente di mettere sotto processo gli americani in prima istanza…
Sono molto consapevole del fatto che c’è lo shock della guerra. La Russia è entrata in guerra. Capisco che la gente veda solo questo, perché c’è una violenza nella guerra che rende impossibile porsi domande sulla dinamica generale dei sistemi. E la realtà di questa dinamica è che la mortalità infantile russa è ora molto più bassa di quella americana! È la società russa che sta progredendo, anche se l’aspettativa di vita – retaggio del regime sovietico – rimane bassa per gli uomini russi. Ho guardato l’intero campo e mi sono detto:
“No, l’instabilità del sistema non è dove si trova la guerra, ma nel cuore del sistema occidentale. Attenzione: la sconfitta dell’Occidente non è la vittoria della Russia. L’Occidente sta sconfiggendo se stesso.
Tuttavia, è difficile vedere un legame diretto tra questa crisi americana e il conflitto in Ucraina. È come se lei cercasse di mettere in relazione due argomenti nel suo libro…
Credo che la gente abbia una visione molto esagerata di ciò che sono gli Stati Uniti e di ciò che possono fare.
Penso che la gente abbia una visione molto esagerata di ciò che sono gli Stati Uniti e di ciò che è il pensiero geopolitico americano da un punto di vista intellettuale. Mi imbarazza dirlo, ma gli ideologi neoconservatori che circondano Biden e Trump sono mediocri. Nel mio libro, inizio la storia con il crollo dell’Unione Sovietica, che è stato male interpretato. Si è trattato di un processo endogeno legato allo sviluppo della Russia, che ho compreso dall’aumento della mortalità infantile e dal calo della fertilità. Il crollo dell’Unione Sovietica ha mascherato il fatto che nel 1965 gli Stati Uniti avevano intrapreso un declino industriale e intellettuale. È questo paradosso dell’espansione occidentale innescata dal crollo del pilastro sovietico che ha cercato di isolare la Russia, in un momento in cui il cuore del sistema sta crollando. Lo scopriamo oggi con gli americani intrappolati in Ucraina. La loro industria non riesce più a tenere il passo e li vediamo costretti ad andare alla ricerca di proiettili calibro 155.
Il divario fondamentale tra noi non è forse che lei vede Putin come un sovranista quando invece è un imperialista?
Ho letto i testi di Putin. So cosa interessa ai russi. Sono un demografo. È una materia che mi impedisce di dire sciocchezze. Quando vediamo che la popolazione della Russia è solo leggermente superiore a quella del Giappone, non possiamo cadere nel delirio generale. Questo Paese ha 17 milioni di chilometri quadrati! Come potrebbero i russi voler espandere il loro territorio?
La dinamica espansionistica vale anche per Xi ed Erdogan, in nome della nostalgia o della legittimità storica…
Bene, se questa paura fosse stata logica e sincera, avremmo dovuto cercare un accordo con la Russia. Il Paese che avrebbe potuto permettere all’Occidente di mantenere la sua preminenza è la Russia, se fosse stata integrata.
Schröder e Chirac hanno cercato di “ancorare” la Russia all’Europa negli anni 2000…
Sì, ma questo è stato spezzato dagli americani. Evitare il riavvicinamento tra Germania e Russia era uno degli obiettivi americani. Questo riavvicinamento avrebbe significato l’espulsione degli Stati Uniti dal sistema di potere europeo. Gli americani hanno preferito distruggere l’Europa piuttosto che salvare l’Occidente. La NATO sta già perdendo questa guerra. Credo che il gioco della Germania sia molto più sottile di quanto si pensi, perché le masse industriali, demografiche e sociologiche in Europa sono stabili. Alla fine, Russia e Germania troveranno un’intesa.
La pace sarà ristabilita. La storia dirà se sono l’erede di Marx e Webercombined o di Woody Allen – che già non è male.
Per Putin, essere russofoni significa essere russi. In base a questo principio, l’Ungheria potrebbe invadere parte della Serbia o della Romania con la motivazione di voler proteggere le minoranze di lingua magiara…
Questo è un dibattito morale. Non mi interessa. Quando leggo La Guerre des Gaules, non mi chiedo se Giulio Cesare sia un uomo buono o cattivo.
I russi stessi agiscono secondo un loro codice morale. Putin ha spiegato che la popolazione russofona del Donbass, che vive sotto il giogo dei “nazisti” di Kiev, deve essere riportata nell’ovile russo… È razionale?
Sto facendo un’analisi dettagliata della concezione russa della sovranità delle nazioni. I leader russi non avrebbero mai pensato che questa dottrina della sovranità si applicasse all’Ucraina. C’è un articolo di Putin, del luglio 2021, sui legami storici con l’Ucraina, la differenza tra la nuova Russia e la piccola Russia. Ma ciò che mi interessa, e che mi permette di spiegare la facile avanzata delle forze russe nel sud dell’Ucraina e quella più difficile nel nord del Paese, è il dualismo ucraino-russo. Quello che nessuno avrebbe potuto prevedere è la fuga della classe media russofona verso la Russia. L’Ucraina russofona ha perso la sua classe media, la sua spina dorsale organizzativa e strutturante. Queste persone hanno potuto scegliere tra i nazionalisti ucraini che volevano sradicare la loro lingua e una Russia in ripresa economica.
Riesce a sentire le argomentazioni giuridiche, cioè il diritto internazionale, a cui la Russia da tempo sostiene di essere legata?
La Russia e Putin sono considerati responsabili di questa guerra dal 99,99% dei commenti ufficiali in Occidente. Il lavoro è fatto. Non c’è bisogno che lo dica io.
Riconoscete che il diritto internazionale è stato violato.
Non sono tenuto a riconoscerlo o a non riconoscerlo. Ho la mia competenza, che è quella di uno storico. I giornali mi hanno accusato di essere un agente del Cremlino – che ne dite di un complimento? Mi batto per mantenere l’Occidente pluralista. Se si guarda ai miei valori, sono i valori della verità e del pluralismo. Siamo in un mondo completamente putinofobico e russofobico, dove si è capito fin dall’inizio che tutta la colpa è della Russia. Sto presentando una visione storica. Riconosco che essa è, senza essere morale, radicalmente diversa.
Leggendo le sue parole viene quasi voglia di andare a vivere in Russia… Lei descrive il Paese come una “democrazia autoritaria”, un’affermazione audace se si pensa alla sorte delle minoranze, in particolare delle persone LGBT, e a quella dell’oppositore Navalny, che langue in prigione…
Accetto di andare dove volete portarmi e dove non volevo andare. Cosa hanno guadagnato gli ucraini denunciando sconsideratamente i russi e rifiutandosi di considerare le loro motivazioni? La distruzione della loro nazione, che l’Occidente sta per abbandonare. Il mio approccio spassionato avrebbe permesso di negoziare soluzioni intermedie. I discorsi unanimi e le ingiunzioni ideologiche e morali portano al disastro. Attribuisco al concetto di “autoritario” lo stesso peso di quello di “democrazia”. Tutti i politologi in Russia concordano sul fatto che i russi sostengono Putin.

Barometri della popolarità– diamo loro il merito dell’onestà… –non fanno una democrazia…
È una democrazia autoritaria. La democrazia liberale aggiunge il rispetto per le minoranze. Il mondo è sull’orlo di un punto di svolta e ciò che sta accadendo in Ucraina è abominevole. Che senso ha quindi litigare sulle parole? Avevo bisogno di concetti. “Oligarchia liberale nichilista” per l’Occidente e “democrazia autoritaria” per la Russia. Non sto nascondendo nulla sulle elezioni ragionevolmente truccate in Russia. Mi riferisco all’antropologia del Paese e a un persistente temperamento comunitario.
Allo stesso modo, lei sottolinea giustamente l’esistenza dell’antisemitismo in Ucraina, ma aggiunge che in Russia è praticamente inesistente…
Cito Vladimir Shlapentokh, un ebreo nato a Kiev. È stato uno dei fondatori della sociologia empirica in lingua russa in epoca brezneviana.
Di fronte all’antisemitismo del regime sovietico, è emigrato negli Stati Uniti e spiega che una delle particolarità del regime di Putin consiste nell’essere il primo regime russo della storia a non usare l’antisemitismo per governare. Tuttavia, non sono in grado di dire come siano i russi nel dettaglio. In Israele c’era quasi un milione di persone di origine russa, 100.000 delle quali sono tornate in Russia.
L’avete visto, come l’abbiamo visto noi, Putin ricevere Hamas dopo il 7 ottobre e Lavrov, il suo ministro degli Esteri, dire di Zelensky: “Anche Hitler aveva sangue ebraico”.
Io sono di origine ebraica. Sto solo cercando di capire perché i russi stanno vincendo questa guerra. I fatti mi danno ragione, anche se lei sta cercando di farmi passare per un mostro.
Niente affatto, sembra solo che tu stia applicando alla Russia quello che attribuisci agli altri per aver analizzato il caso dell’Ucraina…
Per quanto riguarda Gaza, ho scritto un post scriptum nel mio libro per mostrare come gli americani stiano esprimendo il loro nichilismo anche lì, inasprendo i conflitti. Non parlo molto di Israele. I russi hanno un problema di sopravvivenza nazionale a causa della loro bassa demografia; in questi casi, non scelgono i loro alleati. Churchill disse dopo l’invasione dell’Unione Sovietica: “Se Hitler invadesse l’inferno, farei almeno un riferimento favorevole al diavolo nella Camera dei Comuni”. Gli Stati Uniti stanno regalando alla Russia il loro atteggiamento del tutto irresponsabile nei confronti di Gaza. Ma i russi sono in imbarazzo, perché ora ci sono un importante elemento umano tra la popolazione israeliana e la Russia.
Gli ucraini dovrebbero temere il ritorno di Trump anche se, non dimentichiamolo, è stato lui ad iniziare ad armare l’Ucraina nel 2017?
Se gli occidentali si prendessero la briga di leggere il sito web della Tass, vedrebbero che per i russi non fa alcuna differenza. Perché la Russia è in guerra con l’America e non tiene conto dei cambi di governo.
Lei spiega che i Paesi dell’ex blocco sovietico hanno un debito con la Russia. Secondo lei, ci sono benefici positivi per una classe media che è cresciuta grazie alla “meritocrazia comunista”. Si può davvero parlare di “meritocrazia” in URSS?
Ciò che il protestantesimo e il comunismo hanno in comune è l’ossessione per l’istruzione. Il comunismo in Europa orientale ha sviluppato nuove classi medie. E sono state queste classi medie a dichiarare di essere la democrazia liberale in azione e che i russi erano dei mostri. Mi permetto, con ironia, di diagnosticare una certa inautenticità nell’atteggiamento delle classi medie dell’Europa dell’Est, perché sono le meritocrazie fabbricate dal comunismo che hanno portato i loro paesi nella NATO e hanno messo il loro proletariato nelle mani del capitalismo occidentale, trasformando i loro paesi in una periferia dominata, come avvenne tra il XVI e il XIX secolo.
Infine, nel tuo libro si parla poco della Francia: esistiamo ancora?
Faccio geopolitica, quindi non vedo la Francia. Se voglio dimostrare che la mia anima è pura, ho riportato l’Inghilterra al livello della Francia! Ma direi che per l’Inghilterra la cosa è più grave. La polverizzazione delle élite inglesi è terribile. L’Inghilterra è ancora meno potente della Francia. Gli inglesi non hanno realmente armi nucleari. Non sono nemmeno capaci di farsi odiare in Africa, come noi. Le classi dirigenti inglesi furono un modello per le classi dirigenti americane. L’attuale follia guerrafondaia degli inglesi ha sicuramente avuto una pessima influenza sugli americani§

ESTRATTI
LA SORPRESA UCRAINA
I russi stessi sono stati i più sorpresi dalla resistenza militare ucraina.
Nella loro mente, come in quella della maggior parte degli occidentali informati, e in realtà nella realtà, l’Ucraina era quello che tecnicamente si chiama uno Stato fallito,
in realtà, l’Ucraina era quello che tecnicamente viene definito uno Stato fallito,
Nel 1991, l’Ucraina aveva perso circa 11 milioni di abitanti a causa dell’emigrazione e del calo del tasso di fertilità.
tasso di fertilità. […] Era stata certamente equipaggiata con missili anticarro Javelin dalla NATO, e aveva
Quello che nessuno poteva prevedere è che l’Ucraina avrebbe trovato nella guerra una ragione di vita, una giustificazione per la propria esistenza.
IL NUOVO ASSE EUROPEO
All’inizio, l’Europa era la coppia franco-tedesca che, dalla crisi di 20072008, aveva certamente assunto l’aspetto di un matrimonio patriarcale, con la Germania come marito dominante che non ascoltava più ciò che la moglie aveva da dire. [Si è tagliata fuori dal suo partner energetico e (più in generale) commerciale russo, punendosi sempre più severamente. […] Abbiamo anche visto la Francia di Emmanuel Macron evaporare sulla scena internazionale, mentre la Polonia è diventata il principale agente di Washington nell’Unione europea, subentrando al Regno Unito, ora fuori dall’Unione grazie alla Brexit. Nel continente nel suo complesso, l’asse Parigi-Berlino è stato sostituito da un asse Londra-Varsavia-Kiev guidato da Washington. Questa evanescenza dell’Europa come attore geopolitico autonomo lascia perplessi, visto che Appena vent’anni fa, l’opposizione congiunta di Germania e Francia alla guerra in Iraq portò a conferenze stampa congiunte del Cancelliere Schröder, del Presidente Chirac e del Presidente Putin.

IL DECLINO DELL’INDUSTRIA AMERICANA
L’industria militare americana è carente; la superpotenza mondiale non è in grado di assicurare la fornitura di granate al suo protetto ucraino.
– per il suo protetto ucraino. Si tratta di un fenomeno straordinario se si considera che alla vigilia della guerra, il prodotto interno lordo (PIL) combinato di Russia e Bielorussia rappresentava il 3,3% del PIL occidentale (Stati Uniti, Canada, Europa, Giappone, Corea). Questo 3,3%, capace di produrre più armi del mondo occidentale, poneva un duplice problema: in primo luogo, per l’esercito ucraino, che stava perdendo la guerra per mancanza di risorse materiali; in secondo luogo, per la scienza occidentale dell’economia politica, la cui natura – oseremmo dire – fasulla veniva così rivelata al mondo.

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Sotto il radar: Importanti rivelazioni della CIA svelano accordi e confini segreti in Ucraina, di SIMPLICIUS THE THINKER

Lo scorso luglio, uno degli articoli più significativi dell’intera guerra ucraina è passato sotto silenzio. L’ho avuto sulla mia scheda per settimane, ma non sono mai riuscito a inserire le informazioni. È così illuminante e sfata così tante narrazioni sull’Occidente che ho pensato che l’articolo meritasse un articolo tutto suo, soprattutto perché, per qualche motivo, è passato sotto il radar, facendo sì che la maggior parte delle persone si perdesse le molte rivelazioni che offriva.

L’articolo è il seguente, tratto da Newsweek:

La sua età non ne sminuisce l’importanza, poiché le informazioni in esso contenute sono più che mai pertinenti – ed è proprio per questo che ho scelto di esporle ora.

Il motivo è che, mentre la guerra ucraina sta entrando in una nuova fase spartiacque caratterizzata dalla lenta accettazione della posizione di sconfitta de facto dell’Ucraina, dalla parte pro-UA viene sfornato il proverbiale mulino a vento di narrazioni che cercano in qualche modo di riconciliare le varie dissonanze cognitive create dalla loro incapacità di capire come sia possibile che il potente blocco della NATO possa perdere contro la Russia.

Questo li porta a proporre teorie sempre più contorte sul perché gli Stati Uniti stiano “deliberatamente sabotando” la vittoria dell’Ucraina e cose del genere. Per esempio, una narrazione comune che si sente in questi giorni è che gli Stati Uniti “temono” che l’Ucraina ottenga una vittoria totale e “decisiva” sulla Russia, perché questo causerebbe la “frattura” della Russia in molti piccoli Stati feudali, che potrebbero precipitare in una crisi esistenziale, dato che i signori della guerra dei nuovi Stati si contenderebbero le armi nucleari, ora non più disponibili, ecc. È del tutto assurdo, naturalmente, ma questo è il tipo di cose che vengono fatte circolare negli spazi di pensiero pro-USA per cercare di spiegare la debolezza percepita e la “codardia” degli Stati Uniti di fronte all'”aggressione russa”.

Semplicemente non riescono a capire come sia possibile che gli Stati Uniti non si oppongano alla “debole” Russia. Nella loro mente, assuefatta da due anni di propaganda che caratterizza la Russia come uno Stato fallito totalmente disfunzionale con un esercito inimmaginabilmente debole, è semplicemente impossibile conciliare questi due quozienti. Quindi l’unica deduzione logica è che si tratta di un atto intenzionale da parte degli Stati Uniti – l’unica domanda che rimane è perché gli Stati Uniti dovrebbero intenzionalmente volere che l’Ucraina perda.

Ma l’articolo sfata queste fantasie e ci rivela alcune delle vere ragioni che stanno alla base della posizione apparentemente perplessa degli Stati Uniti.

In primo luogo, l’articolo ruota attorno – come al solito – alle dichiarazioni di un anonimo “alto funzionario dell’intelligence” dell’amministrazione Biden, che è “direttamente coinvolto nella pianificazione della politica ucraina”, e fa notare che gli argomenti discussi sono “questioni altamente riservate”.

La prima dichiarazione significativa è la seguente:

Che la guerra in Ucraina è una guerra clandestina, con un proprio insieme di regole clandestine, e che uno dei ruoli principali della CIA è quello di impedire che la guerra vada troppo fuori controllo. Questo aspetto entrerà in gioco più pesantemente in seguito.

L’alto funzionario chiarisce poi quest’ultima posizione:

Non sottovalutate la priorità dell’amministrazione Biden di tenere gli americani fuori pericolo e di rassicurare la Russia che non ha bisogno di un’escalation”, dice l’alto funzionario dell’intelligence. “La CIA è presente sul terreno in Ucraina?”, chiede retoricamente. “Sì, ma non è nemmeno nefasta“.
Ciò che rivela è altrettanto significativo: l’amministrazione Biden ha una priorità assoluta nel rassicurare la Russia per evitare che si inasprisca troppo. Perché? La risposta è il tema più ampio di tutto il mio articolo.

In effetti, Newsweek afferma che l’articolo è il culmine di tre lunghi mesi di intense ricerche e scavi sulle operazioni segrete della CIA in Ucraina.

Ancora una volta, si evidenziano i principali pilastri operativi:

Il secondo funzionario afferma che, sebbene alcuni all’interno dell’Agenzia vogliano parlare più apertamente della sua rinnovata importanza, è improbabile che ciò accada. “La CIA aziendale teme che un’eccessiva spavalderia sul suo ruolo possa provocare Putin”, afferma il funzionario dell’intelligence.

Si può notare il tema comune del costante e prudente avvicinamento alle linee rosse della Russia per non provocare troppo Putin.

L’articolo prosegue affermando che la CIA è intenzionata a prendere le distanze dalle azioni più provocatorie dell’Ucraina, come l’attacco al Nordstream o gli attacchi al territorio russo.

Ma la parte fondamentale dell’articolo, che viene dopo, è l’ammissione che Biden ha inviato il direttore della CIA Burns in Russia alla vigilia dell’invasione, alla fine del 2021. I due avevano osservato l’aumento delle truppe russe e, in sostanza, avevano inviato Burns per dare un ultimo avvertimento sulle conseguenze di un’eventuale invasione da parte della Russia. Sebbene Putin abbia finito per “snobbare” il capo della CIA soggiornando in un resort di Sochi e rifiutandosi di incontrarlo di persona, ha risposto alla sua telefonata sicura da Sochi.

Ciò che segue è il cuore dell’intero articolo ed è una delle ammissioni più significative e notevoli dell’intera guerra. È una lettura obbligata:

Leggetelo più volte per comprenderne la gravità, poiché questa sola affermazione spiega e racchiude l’intera dinamica della guerra.

Ancora una volta sono costretto a dare la notizia che non tutto è come sembra in superficie. La Russia non è il gigante di 3 metri che alcuni hanno costruito per essere, e nemmeno un nano. Allo stesso modo, gli Stati Uniti non sono un’entità onnipotente e intransigente che fa sempre ciò che vuole senza alcuna remora o preoccupazione per le ripercussioni.

Questo può essere un punto difficile da digerire per alcuni; dopo tutto, come è possibile nella pratica reale che gli Stati Uniti possano temere la rappresaglia della Russia? Dopo tutto, gli Stati Uniti hanno le loro vantate flotte che navigano incontrastate in tutti i mari; la sola ala aerea navale degli Stati Uniti, che ci crediate o no, costituisce la seconda forza aerea più grande del mondo. Esatto, solo la Marina, che di per sé impallidisce rispetto all’Aeronautica, ha più aerei dell’intera forza aerea russa. Cosa può temere una potenza così imponente dalla piccola Russia?

Il problema nasce dal fraintendimento delle reali sfumature logistiche delle capacità di proiezione di forza degli Stati Uniti nel teatro europeo. Le persone confuse da queste rivelazioni sono quelle che sono facilmente cadute preda di un’immagine molto generalizzata e caricaturale delle operazioni dell’esercito statunitense in quel teatro. Hanno sviluppato un’immagine generalizzata delle forze statunitensi che sono in grado di operare in tutta Europa, mettendo in campo istantaneamente infiniti velivoli stealth, missili illimitati e inarrestabili, centinaia di migliaia di truppe, ecc.

Ma questo è ben lontano dalla realtà. Gli Stati Uniti sono gravemente sovraccarichi; le loro basi più critiche in Europa, quelle effettivamente in grado di mettere in campo i tipi di piattaforme che potrebbero davvero fare qualcosa contro la Russia, sono altamente vulnerabili. Gli Stati Uniti hanno inoltre imparato dal conflitto ucraino che la loro difesa aerea più avanzata è praticamente impotente contro i missili di punta della Russia. La Reuters ci ha detto di recente che l’Ucraina da sola ha 1/3 di tutta la difesa aerea dell’intero continente europeo, eppure la Russia non ha problemi a penetrarla.

Non si tratta di far pendere il pendolo troppo dall’altra parte e di sostenere in modo irrealistico che la Russia sia in grado di spazzare via facilmente e istantaneamente tutta la NATO, ma semplicemente di temperare le idee su ciò che gli Stati Uniti e la NATO potrebbero realisticamente fare alla Russia. In fin dei conti, una guerra tra le due potrebbe benissimo essere una situazione di stallo, ma comporterebbe costi enormi per gli Stati Uniti e la NATO, ed è proprio questo il punto su cui i sostenitori degli Stati Uniti si sono resi ciechi.

Ma gli attori interni, la CIA e i politici, lo capiscono sicuramente. Ed è per questo che hanno apertamente chiarito nell’articolo sopra citato che sono state stabilite una serie di “regole del gioco” rigorose tra le controparti. La Russia ha ovviamente chiarito che è disposta a colpire i mezzi della NATO che assistono l’Ucraina se le cose si spingono troppo oltre. Anche gli Stati Uniti hanno capito che la Russia ha indiscutibilmente la capacità di farlo. Per questo si sono stretti la mano e hanno concordato di limitare il superamento delle rispettive linee rosse. La Russia consentirà agli Stati Uniti alcune operazioni clandestine nell’ambito dell’accordo tra gentiluomini e gli Stati Uniti, a loro volta, si impegneranno a tenere il loro cane rabbioso al guinzaglio corto ed entro gli stretti limiti del recinto.

Sappiamo e sospettiamo da tempo che tali regole vanno oltre, e potrebbero spiegare perché, ad esempio, la Russia ha limitato i suoi attacchi alle infrastrutture ferroviarie ucraine, ai ponti, ecc. Sappiamo da tempo che l’Occidente riceve ancora forniture critiche sia dalla Russia che dalla Cina – in particolare di metalli preziosi, terre rare, ecc – attraverso l’Ucraina. Si tratta semplicemente di realpolitik, e tutte le guerre della storia hanno operato secondo convenzioni più o meno simili.

Un ultimo esperimento di pensiero per far capire il punto a chi rimane scettico o non convinto. Non è tanto che la NATO – nel suo senso più “ideale” e puro – non possa sconfiggere la Russia. Se fossimo assolutamente certi che la NATO possa operare nelle circostanze più ideali, con piena solidarietà e un fronte unito, allora certo. Ma il problema è che il mondo reale non funziona sempre secondo gli “ideali”, o addirittura per la maggior parte del tempo. La NATO soffre di grandi dispute interne e attriti su punti critici. Il timore è il seguente: se la Russia dovesse effettivamente colpire il territorio della NATO, cosa accadrebbe se l’unità venisse meno e alcuni membri si rifiutassero di rischiare l’annientamento totale del proprio Stato e delle vite dei propri cittadini per proteggere un altro membro solo per qualcosa che razionalmente sanno essere colpa di quel membro. Per esempio, se venisse colpita Rzeszow, in Polonia, perché l’Ungheria e molti altri Stati rischierebbero di essere annientati quando sanno benissimo che la Polonia agisce come centro di aggressione contro la Russia, e che la Russia potrebbe chiaramente essere giustificata a proteggersi?

I favorevoli agli Stati Uniti si rendono conto delle conseguenze del coinvolgimento di uno Stato NATO più piccolo? Potrebbe significare il letterale annientamento nucleare di quello Stato, se si dovesse arrivare a un’escalation dell’articolo 5 e portare la NATO contro la Russia sull’orlo del baratro. Perché molti di questi Stati più piccoli vorrebbero rischiare la loro totale cancellazione dall’esistenza per il bene dello scenario sopra descritto? Un singolo Stato o due che si ribellano potrebbero creare una cascata che si ripercuoterebbe sull’intera alleanza. E indovinate quale sarebbe l’implicazione di ciò?

Potrebbe essere la totale dissoluzione della NATO come alleanza.

Perché una volta raggiunto il punto in cui l’articolo 5 è stato smascherato come un non-starter irrilevante, allora la NATO stessa cessa di essere – dato che l’articolo serve come cuore e anima esistenziale primaria della NATO.

Arestovich ha affrontato questo argomento proprio oggi:

Quindi, tornando indietro: sapendo quanto sopra, perché gli Stati Uniti dovrebbero rischiare un tale confronto che potrebbe potenzialmente far crollare tutta la NATO e annullare decenni di egemonia statunitense su tutta l’Europa? Un tale disastro porterebbe all’intera caduta degli Stati Uniti, alla perdita di ogni influenza e potere globale. Vale la pena rischiare così tanto per giocare a fare i salti mortali contro la Russia per meri motivi di vanto e di ego geopolitico?

No, ovviamente no. Le élite statunitensi sono più intelligenti di così. Il rischio calcolato è certamente operabile in molte circostanze, ma quando la posta in gioco è così alta, i pianificatori statunitensi sanno quando coprirsi e quando ripiegare. La perdita dell’Ucraina non vale il rischio di perdere l’intero ordine egemonico globale: è semplicemente troppo impero da perdere.

Ciò significa che gli Stati Uniti sono costretti a giocare entro i limiti di alcune regole stabilite dalla Russia. L’articolo prosegue sottolineando questo aspetto:

Zelensky ha certamente superato tutti gli altri nell’ottenere ciò che vuole, ma anche Kiev ha dovuto accettare di obbedire a certe linee invisibili”, afferma l’alto funzionario dell’intelligence della difesa. Con una diplomazia segreta guidata in gran parte dalla CIA, Kiev si è impegnata a non usare le armi per attaccare la Russia stessa. Zelensky ha dichiarato apertamente che l’Ucraina non attaccherà la Russia.
È interessante notare che non tutti erano d’accordo:

Dietro le quinte, è stato necessario convincere decine di Paesi ad accettare i limiti dell’amministrazione Biden. Alcuni di questi Paesi, tra cui la Gran Bretagna e la Polonia, sono disposti a correre più rischi di quanto la Casa Bianca sia disposta a fare. Altri, tra cui alcuni vicini dell’Ucraina, non condividono del tutto lo zelo americano e ucraino per il conflitto, non godono di un sostegno pubblico unanime nei loro sforzi anti-russi e non vogliono inimicarsi Putin.
Da quanto detto sopra emergono due punti importanti. In primo luogo, non sorprende che il Regno Unito e la Polonia siano aperti a “correre più rischi” degli stessi Stati Uniti. A prima vista, ciò sembra implicare che gli Stati Uniti siano i più timidi. Ma ho già trattato questo aspetto in precedenza: resta il fatto che gli Stati Uniti sono quelli che hanno più da perdere. Naturalmente, i deboli polacchi sarebbero pieni di spavalderia: sanno che se la merda colpisce il ventilatore, possono correre a nascondersi dietro le gonne degli Stati Uniti.

Anche il Regno Unito non ha molto da temere dalla Russia, perché non ha molti beni in Europa, almeno rispetto agli Stati Uniti. E si trova abbastanza lontano che, a differenza della Polonia, non deve temere molto dalla rappresaglia dei missili balistici a medio raggio. È difficile colpire la Gran Bretagna – e quindi danneggiarla in qualche modo – senza che si arrivi a un’escalation di conflitto su scala molto più ampia. La Polonia, invece, può essere colpita a piacimento senza nemmeno cambiare il ritmo della guerra in corso.

Quindi il fatto rimane: questi Paesi sono pieni di spavalderia proprio perché hanno un “papà” dietro cui nascondersi, e nessuno dei due ha tanto da perdere quanto gli Stati Uniti. Ma poiché “la responsabilità si ferma” agli Stati Uniti, il capo de facto della NATO non può permettersi il lusso di essere così entusiasta, perché sarebbero gli Stati Uniti a subire il peso della rappresaglia russa se le cose dovessero cambiare drasticamente a sinistra.

Il secondo punto conferma ciò che ho detto prima sulla disunità interna nascosta della NATO. Essi dichiarano apertamente che alcuni dei “vicini” dell’Ucraina – che possono riferirsi solo a Paesi come la Romania, l’Ungheria, la Slovacchia, ecc. che sono tutti della NATO – non condividono lo stesso “zelo” per il conflitto e non hanno il sostegno pubblico per esso. Ciò significa che se si sviluppasse uno scenario come quello che ho descritto in precedenza, finirebbe proprio come ho descritto: La disunione della NATO sull’articolo 5 rischierebbe di lacerare l’intera alleanza e di “smascherare” il suo pilastro centrale e fondante come fraudolento e inefficace nella pratica. È un rischio troppo grave perché gli Stati Uniti possano assumerlo a caso.

L’articolo aggiunge ulteriori dettagli:

La CIA ha operato all’interno dell’Ucraina, secondo regole severe e con un limite massimo di personale che può essere presente nel Paese in qualsiasi momento”, afferma un altro alto funzionario dell’intelligence militare. “Gli operatori speciali neri sono limitati a condurre missioni clandestine e, quando lo fanno, lo fanno in un ambito molto ristretto”. (Le operazioni speciali nere si riferiscono a quelle condotte clandestinamente). In poche parole, il personale della CIA può andare abitualmente – e può fare – ciò che il personale militare statunitense non può fare. Questo include l’Ucraina. I militari, invece, non possono entrare in Ucraina, se non in base a rigide linee guida che devono essere approvate dalla Casa Bianca. Questo limita il Pentagono a un piccolo numero di personale dell’Ambasciata a Kiev. Newsweek non è stato in grado di stabilire il numero esatto del personale della CIA in Ucraina, ma le fonti suggeriscono che sia inferiore a 100 in qualsiasi momento.
Si tratta di una serie di ammissioni interessanti, perché affermano che la CIA sta operando in Ucraina perché la presenza di forze militari statunitensi nominali costituirebbe “stivali sul terreno”, una situazione molto più spinosa. Tuttavia, il vero punto di vista è che permettere alla CIA di operare permette agli Stati Uniti di caratterizzare le operazioni con un’immagine di uomini dall’aspetto aziendale in giacca e cravatta, occhiali da sole neri, valigette, che si limitano a raccogliere informazioni e cose del genere.

In realtà, però, sappiamo che la CIA ha le sue forze di combattimento clandestine. Come il Centro per le attività speciali (SAC), all’interno del quale si trova il Gruppo per le operazioni speciali (SOG), considerato l’unità più segreta dell’intera struttura governativa statunitense. Il SOG ha le sue unità di combattimento diretto, da wiki:

Come braccio d’azione della Direzione delle Operazioni della CIA, il SAC/SOG conduce missioni di azione diretta come raid, imboscate, sabotaggi, omicidi mirati e guerra non convenzionale (ad esempio, addestrando e guidando in combattimento guerriglieri e unità militari di altri Paesi) come forza militare irregolare. Il SAC/SOG conduce anche ricognizioni speciali che possono essere sia militari che di intelligence e vengono effettuate da ufficiali paramilitari (chiamati anche operatori paramilitari o ufficiali operativi paramilitari) quando si trovano in “ambienti non permissivi”. Gli ufficiali delle operazioni paramilitari sono anche ufficiali di caso completamente addestrati (cioè, “gestori di spie”) e come tali conducono operazioni clandestine di intelligence umana (HUMINT) in tutto il mondo.
Tutto questo per dire che limitare burocraticamente il “personale sul campo” alla sola “CIA” e non agli “stivali sul campo” non significa nulla: la CIA ha i suoi “stivali” e li sta certamente utilizzando. È solo semantica amministrativa.

L’articolo prosegue descrivendo l’operazione logistica off-radar che rifornisce clandestinamente l’Ucraina:

Ora, a più di un anno dall’invasione, gli Stati Uniti sostengono due reti massicce, una pubblica e l’altra clandestina. Le navi consegnano le merci ai porti di Belgio, Paesi Bassi, Germania e Polonia, e queste forniture vengono trasferite via camion, treno e aereo in Ucraina. Clandestinamente, però, una flotta di aerei commerciali (la “flotta grigia”) attraversa l’Europa centrale e orientale, spostando armi e supportando le operazioni della CIA. La CIA ha chiesto a Newsweek di non identificare le basi specifiche in cui opera questa rete, né di fare il nome dell’appaltatore che gestisce gli aerei. L’alto funzionario dell’amministrazione ha dichiarato che gran parte della rete è stata tenuta nascosta con successo e che è sbagliato supporre che l’intelligence russa conosca i dettagli degli sforzi della CIA. Washington ritiene che se si conoscesse il percorso delle forniture, la Russia attaccherebbe gli hub e le rotte, ha detto il funzionario.
Un’altra piccola ammissione alla fine. I guerrieri in poltrona pro-USA su Twitter credono che gli Stati Uniti siano incapaci di essere sfidati e che la Russia sia debole; nel frattempo, le persone della CIA che lavorano sul conflitto capiscono la realtà in modo molto diverso.

Poi arriva un’altra grande ammissione delle capacità clandestine della Russia:

Il documento illustra poi il ruolo chiave assunto dalla Polonia, che ovviamente va a rafforzare l’idea che la Polonia diventerà la “nuova Ucraina” in futuro, dopo che quella attuale sarà esaurita e scartata:

Dalla fine della Guerra Fredda, la Polonia e gli Stati Uniti, attraverso la CIA, hanno stabilito relazioni particolarmente calorose. La Polonia ha ospitato un “sito nero” di tortura della CIA nel villaggio di Stare Kiejkuty nel 2002-2003. E dopo l’iniziale invasione russa del Donbas e della Crimea nel 2014, l’attività della CIA si è espansa fino a fare della Polonia la sua terza stazione in Europa.
In realtà, sono abbastanza sorpreso dal fatto che facciano così apertamente delle ammissioni di tale portata. La CIA di solito non parla della CIA a meno che non ci sia un’angolazione vantaggiosa.

E questa prospettiva potrebbe benissimo essere il tentativo della CIA di prendere le distanze da un’Ucraina sempre più irregolare e imprevedibile, che rifiuta sempre più di giocare secondo le regole stabilite in precedenza. L’articolo prosegue sottolineando questo aspetto:

Una crisi è stata evitata. Ma ne stava nascendo una nuova. Gli attacchi all’interno della Russia continuavano e addirittura aumentavano, contrariamente alla condizione fondamentale posta dagli Stati Uniti per sostenere l’Ucraina. C’era una misteriosa ondata di omicidi e atti di sabotaggio all’interno della Russia, alcuni dei quali avvenivano a Mosca e dintorni. Alcuni degli attacchi, ha concluso la CIA, erano di origine nazionale, intrapresi da una nascente opposizione russa. Ma altri erano opera dell’Ucraina, anche se gli analisti non erano sicuri della portata della direzione o del coinvolgimento di Zelensky.
Alla luce di quanto sopra, è possibile che la CIA abbia utilizzato tali pubblicazioni per assolvere se stessa? Questo si inserirebbe ulteriormente nel tema principale secondo cui la CIA sta cercando di segnalare le sue intenzioni “gentili” alla Russia, in modo che non si verifichino intese o escalation non pianificate.

L’articolo fa un salto negli attacchi al Nordstream in modo tale da far pensare che l’intero articolo sia stato scritto solo per assolvere la CIA da questi attacchi e attribuire la colpa interamente all’Ucraina.

In un chiaro segno che la CIA temeva le rappresaglie russe, secondo quanto riferito, si è “affannata” a scoprire le origini degli attacchi di Kerch e di altri attacchi dopo che il Consiglio di sicurezza russo ha iniziato a cambiare tono all’indomani di tali attacchi:

Riunito con il suo Consiglio di sicurezza, Putin ha dichiarato: “Se i tentativi continuano a compiere atti terroristici sul nostro territorio, le risposte della Russia saranno dure e la loro portata corrisponderà al livello di minaccia creato per la Federazione russa”. E in effetti la Russia ha risposto con attacchi multipli contro obiettivi nelle città ucraine. “Questi attacchi non fanno che rafforzare ulteriormente il nostro impegno a stare al fianco del popolo ucraino per tutto il tempo necessario”, ha dichiarato la Casa Bianca a proposito della rappresaglia russa. Dietro le quinte, però, la CIA si è data da fare per determinarne le origini.
Ancora una volta vediamo il filo conduttore: contrariamente allo sciovinismo esibizionista di BroSints, i veri responsabili sono abbastanza scrupolosi e intelligenti da temere l’ira della Russia.

Anche se non è il punto centrale, questa è stata una rivelazione che ha aperto gli occhi:

Con l’attacco al ponte di Crimea, la CIA ha capito che Zelensky non aveva il pieno controllo delle sue forze armate o non voleva sapere di certe azioni”, dice il funzionario dell’intelligence militare.
Dopo lo sconsiderato attacco con i droni al Cremlino nel centro di Mosca, l’articolo osserva che persino la Polonia aveva iniziato ad avvertire la CIA che l’Ucraina era, in sostanza, un cane pazzo refrattario:

Un alto funzionario del governo polacco ha dichiarato a Newsweek che potrebbe essere impossibile convincere Kiev a rispettare il non accordo fatto per mantenere la guerra limitata. “A mio modesto parere, la CIA non riesce a comprendere la natura dello Stato ucraino e delle fazioni sconsiderate che esistono al suo interno”, afferma il funzionario polacco, che ha chiesto l’anonimato per poter parlare con franchezza.
Questo dato è piuttosto interessante per i seguenti motivi. In primo luogo potrebbe spiegare la successiva presa di distanza della Polonia da Kiev, di cui stiamo vedendo i frutti. Persino la sfacciata Polonia potrebbe aver iniziato a raffreddarsi dopo aver capito che l’intero modus operandi dell’Ucraina sarebbe probabilmente ruotato attorno al tentativo di coinvolgere la Polonia nella Terza Guerra Mondiale. Non solo ci sono stati diversi attacchi missilistici in territorio polacco per i quali l’Ucraina ha cercato di incastrare la Russia, ma nelle ultime settimane ci sono state sempre più segnalazioni da parte di fonti di intelligence russe che l’Ucraina intendeva intensificare questo piano nel prossimo futuro.

È chiaro che di recente la Polonia è sembrata cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti dell’Ucraina: il punto di svolta è stato alcuni mesi fa, dopo il fallimento del vertice NATO e la successiva retorica irrispettosa di Zelensky. È stato allora che Duda ha apertamente definito l’Ucraina un “uomo che sta affogando e che trascinerebbe tutti a fondo con lui”. Da lì in poi la situazione è precipitata.

Ma questo potrebbe anche spiegare la nuova posizione fredda degli Stati Uniti e il loro apparente rifiuto nei confronti dell’Ucraina. Ad esempio, molti si lamentano del fatto che gli Stati Uniti hanno ancora 4 miliardi di dollari di fondi per il drawdown, ma hanno annunciato che non saranno stanziati altri fondi. Questo arriva misteriosamente sulla scia dei ripetuti attacchi ucraini a obiettivi sensibili in Crimea e degli attacchi insensati a Belgorod. È possibile che la CIA abbia finalmente visto la luce, predicata in precedenza dalla Polonia, e che abbia forse convinto l’amministrazione Biden che questo cane rabbioso sta diventando troppo folle per continuare a sostenerlo con sicurezza? Potrebbe almeno avere qualcosa a che fare con questo, se non essere interamente responsabile del cambio di posizione.

In effetti, ciò è suggerito dal paragrafo successivo dell’articolo:

In risposta, l’alto funzionario dell’intelligence della difesa statunitense ha sottolineato il delicato equilibrio che l’Agenzia deve mantenere nei suoi molteplici ruoli, affermando che: “Esito a dire che la CIA ha fallito”. Ma il funzionario ha detto che gli attacchi di sabotaggio e i combattimenti transfrontalieri hanno creato una complicazione del tutto nuova e che il proseguimento dei sabotaggi ucraini “potrebbe avere conseguenze disastrose”.
Come si vede, la recalcitrante violazione delle “regole non dette” da parte dell’Ucraina potrebbe aver finalmente contribuito a far capire agli Stati Uniti che era suicida continuare a sostenere un cane rabbioso così sfacciatamente litigioso, il cui unico intento è diventato chiaramente quello di coinvolgere il mondo nella Terza Guerra Mondiale come ultimo sforzo.

In un’ironia assolutamente dimostrativa, la sezione dei commenti sotto l’articolo è piena di persone con un cervello superficiale che hanno ispirato il mio articolo. Nonostante abbiano letto l’esatta confutazione delle loro stesse illusioni, hanno comunque trovato il coraggio di commentare cose come: “E cosa farebbe Putin se gli Stati Uniti violassero le sue “linee rosse”?” – sottintendendo ancora una volta che la Russia è in qualche modo debole, e gli Stati Uniti sono questa superpotenza inarrestabile caricaturizzata che non deve compromessi o concessioni a nessuno. A queste persone che hanno una comprensione delle relazioni internazionali e della geopolitica assolutamente superficiale e strampalata: Vi prego, lasciate i vostri scantinati, andate a leggere un libro. Imparate come funziona il mondo reale. Non è un fumetto monodimensionale come immaginate. Credetemi, nessuno in tutto il mondo che operi realmente all’interno delle sale del potere di un grande Paese crede che la Russia sia una sorta di debolezza da deridere e le cui linee rosse debbano essere ignorate. Questo tipo di caratterizzazione esiste solo nelle menti dodicenni dei drogati di videogiochi che lavorano come analisti militari su Twitter. A volte, inoltre, viene fatta come mera spavalderia o come esibizione di facciata da teppisti da due soldi come Lindsey Graham in TV, ma il tono “dietro le quinte” è molto diverso dal “personaggio” che ritraggono per il bene del loro pubblico della CNN.

In ultima analisi, però, l’articolo di Newsweek dovrebbe servire come ulteriore prova per i sostenitori pro-USA, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello, che si tratta davvero di una guerra per procura tra due giganti, con l’Ucraina che è solo una pedina al centro, i cui piccoli dispetti vengono ignorati a favore delle ben più considerevoli rivendicazioni della Russia. Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme per gli ucraini: siete solo usati come marionette usa e getta in un Grande Gioco geopolitico. E quando il gioco sarà finito, i giocatori effettivi si stringeranno la mano e passeranno alla gara successiva, mentre voi sarete lasciati come detriti da “spazzare”, come la spazzatura che ricopre il terreno dello stadio dopo una grande partita.

Per quanto vi sforziate, per quante centinaia di migliaia di vite del vostro stesso popolo gettiate via, non diventerete mai quel Grande Giocatore sul palcoscenico che siete stati indotti e illuminati a pensare di poter diventare. L’unica possibilità di sopravvivenza che avete è quella di unirvi all’unico dei due Grandi Giocatori che si prende davvero cura di voi e vi considera come un parente stretto, piuttosto che come uno straccio fradicio in cui soffiare il moccio e poi gettarlo via.

Come ultimo punto. In realtà avevo previsto molto tempo fa, all’inizio di quest’anno. In uno dei miei primi rapporti ho scritto che quando le cose avrebbero cominciato a precipitare per l’Ucraina, Zelensky avrebbe optato per azioni sempre più drammatiche che avrebbero rappresentato una minaccia più per i suoi gestori e sponsor che per la Russia. Questo perché sa che l’Ucraina è in equilibrio su un fulcro e ha il potere di far scoppiare una guerra globale più ampia tra i due blocchi. Per questo avevo proposto che, quando si sarebbe trovato con le spalle al muro, Zelensky si sarebbe inasprito in modo tale da avvicinare sempre più una guerra più ampia come minaccia: “Se non mi date ciò di cui ho bisogno – armi e denaro – vi trascinerò in guerra con me”.

Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui gli Stati Uniti hanno deciso di staccare la spina all’Ucraina. Non vedendo altre opzioni, potrebbero essere stati infastiditi da una certa retorica recente, sapendo dove potrebbe portare una tale sconsideratezza incontrollata. Per esempio, settimane fa, dopo l’uccisione di Ilya Kiva vicino a Mosca, il capo dell’SBU ucraino ha promesso grandi “sorprese” per il 2024, con il coronamento di un qualche tipo di attacco che, a suo dire, sarebbe stato un “ago nel cuore” della Russia:

Potrebbe trattarsi di una minaccia di assassinio come ultimo logico punto di escalation, sia di Putin che di qualche altra figura di spicco in Russia. La CIA potrebbe aver letto i segnali interni in questa direzione e aver deciso che il punto di non ritorno era finalmente arrivato nel sostenere questo “cane pazzo” e che se gli Stati Uniti non avessero messo un freno ora, sarebbero stati trascinati nella trappola esistenziale di Zelensky.

L’altro elefante nella stanza è che scoperte come quelle di questo articolo portano naturalmente a chiedersi se l’intero conflitto non sia solo una danza orchestrata e ben coreografata tra “due facce della stessa medaglia”. Ciò si ricollega alle vecchie teorie cospirazioniste secondo cui Russia e Stati Uniti sarebbero entrambi sotto un qualche tipo di “controllo globalista” e si starebbero semplicemente giocando l’uno con l’altro come pedine per ingannarci in qualche grande spettacolo.

Anche in questo caso si tratta di una lettura poco informata della situazione. In genere, tali opinioni nascono da persone che sono capaci solo di sfiorare la superficie, giudicando i conflitti e gli sviluppi attraverso lenti molto semplicistiche. Si tratta di persone che si nutrono di “o l’uno o l’altro” e di altre riduzioni binarie di tutto. Le loro menti di solito non sono in grado di cogliere le sfumature, o a volte stanno semplicemente raschiando la superficie perché le loro vite sono troppo impegnate per scavare davvero in situazioni molto complesse per comprenderle veramente.

In questo caso, le “strette di mano segrete” informali di Russia e Stati Uniti non significano certo che facciano parte di una grande farsa per frodare insieme il mondo, o che Putin sia una talpa segreta di [inserire qui il clan globalista]. Giungere a questa conclusione significa ammettere la propria ignoranza della storia e di come funzionano realmente queste cose. Questa è la procedura operativa standard per qualsiasi tipo di intreccio geopolitico sensibile ed è solo una caratteristica del vero dietro le quinte della politica che si nasconde dietro la patina superficiale che la maggior parte delle persone ingerisce attraverso la CNN e simili. Tali “strette di mano” rappresentano semplici regole diplomatiche di base, cortesia e precauzione sotto forma di scrupolosa copertura dei rischi e due diligence, niente di più.

Detto questo, ciò non preclude cospirazioni più ampie di collusione segreta tra grandi nazioni apparentemente avversarie: sto semplicemente affermando che questo specifico scenario non si qualifica come esemplare di ciò. Ci sono molti altri esempi reali, ma questo esula dallo scopo di questo articolo.

Ma come sempre, bisogna anche ricordare che in ogni organizzazione ci sono corridoi all’interno di corridoi, e ci sono gruppi all’interno della CIA che operano in modo indipendente – e persino antitetico – rispetto all’organizzazione madre, così come la CIA stessa può operare contro gli interessi più ampi degli Stati Uniti. Quindi, in ultima analisi, stiamo ancora ascoltando solo un lato della storia, che si dà il caso sia quello che vogliono farci sentire.


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Non si può fare, non si vuole fare!_di AURELIEN

Non si può fare, non si vuole fare!
Ma mettersi in posa è facile e divertente.

AURELIEN
3 GEN 2024
Stamattina ho visto un piccolo avviso che diceva “5000 abbonati dietro la prossima curva”. È molto di più di quanto mi sarei mai aspettato per dei saggi lunghi e complicati su argomenti difficili, quindi grazie a tutti voi, soprattutto per il fatto che c’è stato pochissimo ricambio e ho perso solo un piccolo numero di abbonati lungo la strada. E grazie soprattutto a coloro che continuano a lanciarmi qualche moneta e a offrirmi una tazza di caffè.

Vi ricordo che questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro apprezzando e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano. Sono lieto di annunciare che sono in preparazione un’altra traduzione in francese e una in olandese. E ora passiamo all’attrazione principale.

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Ho già scritto diverse volte sul declino galoppante delle capacità dello Stato moderno e del sistema politico, nonché delle organizzazioni esterne al governo e del settore privato. Questo sta diventando un tema: Yves Smith su Naked Capitalism ha scritto e ospitato una serie di articoli e discussioni sull’argomento, così come John Michael Greer sul suo blog Ecosophia. Ma anziché limitarmi a un’altra lamentela, voglio approfondire la questione, non solo del perché di questa incapacità, ma anche della sua origine e del perché sembra che le istituzioni non si preoccupino più della loro incapacità di fare qualcosa.

In termini storici, questo declino delle capacità, per non parlare della totale indifferenza con cui viene visto, sembra straordinario. La crescita della civiltà come la conosciamo è intimamente legata alla crescita della capacità dello Stato e delle sue istituzioni. E ancora oggi, gli stessi governi occidentali che sono sempre più incapaci di infilare un ago da soli, sono pieni di idee per “aumentare la capacità di governo” nel Terzo Mondo, promuovendo la “responsabilità”, la “trasparenza”, combattendo la “corruzione” e instaurando il “buon governo”, anche se dimostrano di non essere in grado di governare come un sacco di carta bagnato a casa loro. Che cosa sta succedendo?

Fino a poco tempo fa, la crescita del governo e delle capacità istituzionali era considerata essenziale e indispensabile: il mondo moderno era inconcepibile senza di essa. Come esercizio, consideriamo un operaio o un bracciante nato, per esempio, nel 1850. Provate a spiegare a questa persona che un suo lontano discendente, nato un secolo dopo, sarebbe cresciuto in un mondo in cui la stragrande maggioranza dei bambini sopravviveva fino all’età adulta, in cui le case avevano acqua corrente pulita e fognature adeguate, in cui il lavoro minorile era vietato, in cui la legislazione aveva ridotto in modo massiccio l’orario di lavoro e le morti e gli infortuni sul lavoro, in cui l’istruzione era gratuita a tutti i livelli se si avevano le capacità e tutti avevano il diritto di voto. Sareste stati immediatamente liquidati come fantasisti politici.

Si noti che questo non è un elenco di sviluppi ad alta tecnologia. Certo, le automobili, i servizi ferroviari, gli aerei, i telefoni, le televisioni e così via hanno fatto un’enorme differenza nella vita delle persone (e la maggior parte di essi ha richiesto il coinvolgimento del governo, anche se sono stati originati da altri), ma gli sviluppi veramente importanti sono nati essenzialmente dall’aumento della capacità istituzionale e della volontà politica. L’installazione di fognature non era tecnicamente complessa. L’istruzione universale è stata una questione di volontà politica e di creazione di istituzioni. La sanità pubblica è sempre stata un’attività a bassa tecnologia. Eppure, nella maggior parte dei Paesi occidentali, vediamo che le semplici basi della vita hanno smesso di migliorare qualche tempo fa, e ora stanno addirittura peggiorando. Tuttavia, le risorse non sono sempre il problema. Oggi i computer sono presenti ovunque nelle scuole, ma, nonostante i sogni di febbre dei sostenitori della tecnologia, gli scolari sono molto meno istruiti rispetto a cinquant’anni fa. Gli addetti ai lavori della maggior parte dei Paesi occidentali affermano che il problema dei servizi sanitari spesso non è la mancanza di denaro in quanto tale, ma la mancanza di competenze e capacità, nonché la mancanza delle persone e delle risorse giuste nei posti giusti. In parole povere, come è stato orribilmente dimostrato durante l’apice dell’epidemia di Covid, i governi occidentali non sanno più come fare le cose, e la tecnologia tende a peggiorare questo problema di capacità, non a migliorarlo.

Eppure i governi non danno alcun segno di averlo capito. Un fallimento catastrofico delle capacità viene affrontato negando che sia accaduto, istituendo un’inchiesta, relativizzando il problema, incolpando altri e costringendo a qualche dimissione. Una risposta tipica è quella del governo di Macron durante l’apice della crisi di Covid: Ok, non saremo un granché, ma guardate che molti altri Paesi sono peggio! Si potrebbe perdonare la sensazione che i governi di oggi siano incapaci di distinguere tra fantasia e realtà. In un certo senso, e come vedremo, forse lo sono.

Questo non significa, ovviamente, che i governi non facciano letteralmente nulla. In effetti, i politici e i loro sempre più numerosi seguaci non sono mai stati così attivi. La loro è un’esistenza di sette giorni su sette, 24 ore su 24, e la politica è ormai diventata uno stile di vita totalizzante, piuttosto che un lavoro. Sembra incredibile che, cinquant’anni fa, Ted Heath, in qualità di Primo Ministro britannico, potesse allontanarsi di tanto in tanto per dedicarsi al suo hobby delle regate oceaniche. Ora, i politici sembrano quasi non dormire: ma in questo caso, perché non fanno nulla di utile con il loro tempo?

Quello che fanno, ovviamente, è parlare: incessantemente, in modo vacuo e ripetitivo. La politica di questi tempi consiste nell’essere qualcuno, non nel fare qualcosa. Parlare di cose è come farle, anzi è più attraente perché è più facile. Ma perché?

È possibile indicare una serie di ragioni pratiche. La creazione di un sistema politico amorfo e unitario, che io chiamo il Partito, con le sue feroci faide interne, ma in definitiva con lo stesso ampio insieme di convinzioni, ha praticamente monopolizzato lo spazio politico. Sebbene possa essere bello vincere, non vale la pena di rischiare di sostenere, e tanto meno di perseguire, idee eterodosse e di essere bollati come “populisti” per aver indagato su ciò che l’elettorato effettivamente vuole. In una situazione del genere, nessuna fazione del Partito ha nulla da guadagnare nel fare promesse di cambiamento, tanto meno nel realizzarle. Come nel 1984, il Partito Interno cerca di convincere la gente, e anche i membri del Partito Esterno, che le cose non cambieranno mai e non miglioreranno mai. La protesta e l’agitazione sono quindi inutili.

Questa è una parte della risposta. È anche vero che Internet e i social media hanno incoraggiato il bombardamento infinito di lamentele e richieste che caratterizza la politica di oggi. Ma in realtà la stragrande maggioranza dell’elettorato occidentale usa i social media con parsimonia, se non addirittura per nulla, e in genere per motivi professionali, familiari o comunitari, per cui la sua influenza effettiva è minore di quanto si possa pensare. D’altra parte, la diffusa deregolamentazione della televisione a partire dagli anni ’80 ha progressivamente creato un mostro che richiedeva di essere alimentato con una dieta infinita di polemiche e scandali, trasformando la banalità e persino la pura immaginazione in notizie a sé stanti. E notate ancora una volta che questo è stato il risultato di decisioni politiche, non di un progresso ineluttabile della tecnologia.

E ancora, la stragrande maggioranza della Casta Professionale e Manageriale (PMC) fa parte del Partito Esterno e cerca disperatamente di entrare nel Partito Interno, con i suoi stipendi, la sua sicurezza e il suo status. Il modo per farlo non è la competenza – si può sempre assumere la competenza – ma la purezza ideologica. L’ultima cosa che volete fare è acquisire la reputazione di pensatore indipendente (per non dire “difficile”), quindi il miglior mezzo per fare carriera è quello di attaccarvi a iniziative che sono puramente ideologiche e che quindi non possono fallire nella pratica, perché non c’è pratica.

Ma c’è di più. Dopo tutto, oggi la politica è dominata dalla performance, piuttosto che dall’azione, in una misura impensabile in tempi passati. Ora “performance” e “discorso performativo” sono stati generalmente intesi come azioni o discorsi che portano da qualche parte. Così “Ti condanno all’ergastolo” detto da un giudice o “La Gran Bretagna è ora in guerra con la Germania” detto dal Primo Ministro nel 1939 sono discorsi performativi perché conducono ad azioni definite. Vorrei ampliare un po’ questo concetto per includere tutte le attività performative praticate oggi, tenendo conto del fatto che molti discorsi e attività sembrano comportare conseguenze reali, ma in realtà non lo fanno. Si tratta solo di un gioco sofisticato, di una performance che mostra quanto si è virtuosi e pensanti. È una dichiarazione di ciò che si è, non di ciò che si fa o si intende fare.

Ci vorrebbe un saggio lunghissimo solo per spiegare quest’ultimo paragrafo, e potrei fare decine di esempi. Ma permettetemi di citarne solo alcuni, in contrasto tra loro, per mostrare cosa intendo. Supponiamo che la vostra organizzazione decida di avere “tolleranza zero per il razzismo”. Bene, cosa significa? Beh, non significa altro che “siamo persone virtuose”. (È anche un modo per dire “siamo persone intolleranti”, che potrebbe non essere il messaggio che volete trasmettere, ma non importa). Non richiede di fare nulla di concreto. Poiché il “razzismo” è semplicemente un insulto ideologico e deve essere distinto, ad esempio, dalla discriminazione razziale, che è un fenomeno reale, si può sostenere che tutta una serie di dichiarazioni e azioni performative siano “lotta al razzismo”: affiggere manifesti, cancellare conferenze, bruciare libri, promuovere persone con il giusto colore della pelle, gridare contro i nemici politici. Tutto questo, ovviamente, invece di affrontare i problemi reali di discriminazione razziale che possono esistere. Ma ancora una volta, lo scopo è solo quello di dire “siamo brave persone”.

Quindi, quando i governi o i politici annunciano “iniziative”, chiedetevi cosa contengono in realtà e se è probabile che ne derivi un’azione concreta. Nella maggior parte dei casi, la risposta è no. Anche quando c’è la promessa di un’azione (ad esempio, il controllo dell’immigrazione), lo scopo è di solito quello di fare una dichiarazione sul tipo di governo. Le reali conseguenze pratiche non hanno molta importanza. È ancora più facile quando le figure politiche vogliono opporsi alle cose, perché l’opposizione non deve essere pratica: è sufficiente dire “X è contro le nostre norme e i nostri valori”. Negli anni ’80, quando l’immigrazione incontrollata cominciava a essere un problema, l’allora primo ministro francese Michel Rocard protestò perché la Francia non poteva occuparsi di “tutta la miseria del mondo”. Fu furiosamente maltrattato per questo, così come Emmanuel Macron quando ripeté l’osservazione nel 2017, non sulla base del fatto che ciò che avevano detto era pragmaticamente falso (poiché ovviamente era vero), ma piuttosto che avevano detto la cosa sbagliata, minando così la percezione dell’orgoglioso status della Francia come terra di rifugio per gli oppressi. Naturalmente sarebbe ragionevole far sedere questi oppositori di fronte a una giuria di esperti e chiedere loro come e con quali passi ritengono che un solo Paese possa affrontare tutti i problemi del mondo, ma probabilmente ciò sarebbe considerato ingiusto.

Questo è un buon esempio di “essere” un esempio per il resto del mondo, piuttosto che “fare” qualcosa. La distinzione fondamentale è che non è necessario fare nulla per rivendicare un certo status: esso esiste esistenzialmente, per così dire, e in modo affermativo. Non deve essere acquisito, è semplicemente così. Molti anni fa, un mio amico africano a una conferenza a Ottawa fu sorpreso di ricevere un pacchetto di documenti in una cartella con la scritta “Canada: una superpotenza morale”. Il motto è stato ripetuto altrove. Nonostante le diligenti ricerche, non riuscì a scoprire cosa il Canada avesse fatto o stesse facendo per meritarsi questo status, e nemmeno come si potesse dimostrare oggettivamente l’esistenza di tale status. Nello stesso periodo, il partito laburista di Blair salì al potere nel Regno Unito e divenne rapidamente il simbolo definitivo del passaggio generazionale da governi che fanno cose a governi che dicono cose, come esemplificato dal fatto che la seconda persona più importante del Paese era il capo delle comunicazioni di Blair, Alastair Campbell. In breve tempo, il governo ha iniziato a dire alla gente che voleva che la Gran Bretagna “fosse una forza per il bene nel mondo”. È chiaro che questo è meglio che essere una forza del male, ma si noti che la formulazione riguarda l'”essere” e non il “fare”. Si tratta, ancora una volta, di uno status esistenziale, derivato dall’asserita virtù delle azioni britanniche, non da alcun risultato pratico in quanto tale.

Ma questo tipo di dichiarazioni, avulse da qualsiasi azione pratica, sono ormai diventate la norma in politica. La realtà consiste ora in dichiarazioni ai media, conferenze stampa, tweet, discussioni in televisione, cerimonie e gesti vuoti. Ma poiché il pubblico implicito non sono gli elettori e i cittadini, ma i vostri rivali nel partito esterno e i vostri superiori nel partito interno, questa disconnessione non ha alcuna importanza. Pertanto, la via del successo nella Gran Bretagna di Blair, sia per i funzionari di governo che per i politici, è stata quella di capire e agire in base a “ciò che vuole Tony”, e quindi cercare opportunità per enfatizzare la propria purezza ideologica competitiva.

Ad esempio, si sostiene spesso che le comunità di minoranza sono più povere e hanno meno successo di quelle maggioritarie, e questo a causa di bla bla razzismo strutturale bla bla. Ma in realtà, la maggior parte di queste comunità sono povere perché composte in gran parte da immigrati recenti. In Francia, per esempio, c’è un gran numero di immigrati afghani e ceceni. In generale, arrivano senza parlare il francese (una grande percentuale è analfabeta), senza competenze spendibili sul mercato e spesso in grandi gruppi familiari segnati da conflitti. Un adolescente afghano di tredici anni che arriva in Francia riceverà un anno di formazione linguistica da un gruppo di insegnanti di lingue straniere sovraccarico di lavoro e sempre più disperato, con forse una dozzina di nazionalità da gestire, prima di essere rilasciato nel sistema scolastico per un paio d’anni, incapace di seguire le lezioni e senza alcuna competenza utile. Le possibilità professionali successive sono in gran parte limitate al lavoro non qualificato o alla piccola criminalità. (Ora, una politica sensata potrebbe prevedere uno o entrambi i tipi di controllo dell’immigrazione e l’impiego di risorse massicce per l’assimilazione alla società, alla lingua e alla cultura francesi. Non si fa nessuna delle due cose, perché i controlli sono “contro le nostre tradizioni” e l’assimilazione implica che pensiamo che gli immigrati siano culturalmente inferiori e non vogliamo che la gente creda questo di noi. In fondo, noi non facciamo il Fare, ma l’Essere.

Essere, ma non fare, non è solo una questione di capacità, ma anche di volontà o di semplice disinteresse. Non è che sia più facile mettersi in posa ed essere “ciò che siamo”, è anche quanto la nostra attuale classe politica è disposta a fare. Perché? Ecco alcune idee.

La classe politica occidentale è oggi composta per la maggior parte da laureati. Le cifre variano, ma nella maggior parte dei Paesi il 70-80% dei politici è laureato, e tra i politici più giovani la percentuale può arrivare quasi al 100%. Inoltre, molto spesso queste persone hanno conseguito titoli di studio superiori presso prestigiose istituzioni internazionali. Ciò significa che molti entrano in politica, dopo alcuni anni come assistenti di ricerca, tirapiedi di ONG o di partito, con l’esperienza della politica delle università e delle piccole organizzazioni. Sembra essere una regola di natura che in politica quanto meno importanti sono le questioni, tanto più violente, intolleranti e personalizzate sono le discussioni. (Inoltre, la politica in questi contesti è essenzialmente una questione di personalità, ego e ideologia. I giovani in questi ambienti raramente hanno un’importanza o una responsabilità reale, e in effetti gli aspiranti politici giovanili in genere evitano di essere eletti in posizioni che abbiano conseguenze reali, a favore di posizioni che permettano loro di essere visibili. Le organizzazioni politiche studentesche sono generalmente minuscole, elitarie e irrimediabilmente divise. In Francia, ad esempio, appena il 5% degli studenti è iscritto a tutti i Syndicats messi insieme, eppure i loro leader, che passano la maggior parte del tempo in aspre dispute ideologiche tra loro, sono solennemente richiesti dai media per pronunciarsi su questioni di istruzione, come se le loro opinioni contassero davvero. In queste organizzazioni si raggiunge il potere non grazie alla competenza (dato che in genere non si ha nulla di pratico da fare), ma grazie alla purezza ideologica, e convincendo i piccoli elettori che si è più puri ideologicamente degli altri candidati. Gli aspiranti politici iniziano, in altre parole, come intendono proseguire.

Una seconda influenza è il ruolo dello “studio” del commercio e del management, e in parte dell’economia, che gli aspiranti politici sentono di dover aggiungere al proprio curriculum. Così le scuole di economia proliferano in tutto il mondo, come un tempo le facoltà di teologia, per dare accesso a una carriera, ma senza il rigore intellettuale e l’utilità pratica che almeno le facoltà teologiche portavano. Ma ciò che forniscono sono formule che escludono la conoscenza e l’esperienza, metodologie precotte per affrontare qualsiasi domanda su qualsiasi argomento e un discorso internazionale, per lo più in inglese, vuoto di qualsiasi contenuto e valore reale. L’influenza di tutto ciò nella politica di oggi è sotto gli occhi di tutti. In passato, gli “uomini d’affari pratici” che cercavano di entrare in politica (spesso in modo disastroso) potevano almeno affermare di aver fondato e gestito aziende, di aver gestito un gran numero di persone e di aver assunto responsabilità. Al giorno d’oggi, le scuole di economia insegnano soprattutto a farsi strada attraverso il sapere cosa pensare e dire, e soprattutto a presentare se stessi e i risultati del proprio lavoro nella migliore luce possibile. Gran parte del lavoro dei manager oggi consiste, notoriamente, nella manipolazione dei numeri, di cui non sono mai chiamati a rendere conto. Tutto ciò che conta è l’effetto sul prezzo delle azioni e i loro bonus. Ciò che conta non è ciò che l’azienda è, e ancor meno ciò che fa, ma piuttosto ciò che sembra essere. (In questo clima, non sorprende che le statistiche governative su questioni importanti oggi abbiano raramente un rapporto con la realtà, e anzi spesso non sono destinate a essere prese sul serio). Ai manager in formazione viene insegnato come gestire la propria immagine, come attirare il patrocinio e come ottenere un avanzamento: tutto, in effetti, tranne che come fare un buon lavoro. Quando entrano in politica sono quindi ben preparati.

Il settore privato pratica da decenni la cosiddetta “pubblicità editoriale”, anche se in genere senza effetti misurabili sulle vendite o sui profitti. Ma le presentazioni patinate di “questo siamo noi” e “chi siamo” hanno gonfiato l’ego dei manager e fatto vincere premi alle agenzie pubblicitarie, quindi non è tutto da buttare. (Naturalmente, la stessa mania di parlare del proprio ego ha invaso la politica). In realtà, l’unica dichiarazione di missione di cui ha bisogno un’azienda privata è quella di fornire beni o servizi che la gente vuole comprare, a prezzi che è disposta a pagare. Ma una nuova generazione di manager, tutti di passaggio per ottenere un lavoro migliore, si sente in qualche modo obbligata a blaterare di diversità e responsabilità sociale, come se a qualcuno importasse. Questa tendenza è arrivata sempre più a dominare anche la politica, creando spesso quella che sembra una sorta di realtà parallela, in cui ciò che accade nei media e ciò che accade sul campo si sono irrimediabilmente allontanati. Ciò è stato evidente in molti episodi di cattiva gestione della crisi di Covid. Ad esempio, il riferimento al fatto (indiscusso) che l’epidemia è iniziata in Cina e le proposte di vietare i voli da quella parte del mondo sono stati accolti con un’isterica opposizione politica e della PMC, perché ciò avrebbe significato “stigmatizzare” i cinesi. Le questioni reali di vita e di morte sembravano appartenere a una realtà separata, messe da parte dall’orgoglioso desiderio di mostrare quanto la nostra società fosse tollerante e antirazzista. Nel mondo degli affari, queste disconnessioni spesso non hanno importanza: il fatto che un’azienda che predica la responsabilità sociale faccia uso di lavoro minorile può fare qualche paragrafo su un sito di media, e sarà presto dimenticato. Ma come abbiamo visto, fare politica allo stesso modo può essere letale.

Un’altra influenza, curiosamente, è la sopravvivenza di certi modi di pensare cristiani molto tempo dopo il declino dell’influenza formale della religione. (L’Occidente, checché se ne dica, è ancora fondamentalmente segnato dalla sua eredità cristiana, e lo sarà ancora per qualche tempo). Il cristianesimo primitivo era notoriamente dilaniato da aspre dispute dottrinali su ciò che era necessario credere per ottenere la salvezza. La visione dominante per molti secoli era che i poveri esseri umani, colpevoli del peccato originale e incapaci di compiere opere che avrebbero meritato la salvezza, dovevano affidarsi all’ineffabile grazia di Dio e alla salvezza per fede. (La Chiesa, a volte, ha fatto marcia indietro sostenendo l’idea della salvezza attraverso le opere, ma è rimasta dominante la severa dottrina secondo cui il cristianesimo consiste nell’essere, non nel fare. Pertanto, i peccati più gravi, gli unici veramente importanti, erano i peccati della mente, motivo per cui la superbia era in testa alla maggior parte degli elenchi di peccati che si trovano nelle opere di teologia medievale. Fu naturalmente la Riforma a trascinare definitivamente gran parte del mondo cristiano in questa direzione, poiché Lutero, Calvino e i loro seguaci sostenevano che la grazia di Dio, dispensata attraverso un rapporto personale con il divino e non soggetta all’intermediazione di una Chiesa corrotta, fosse il fondamento di tutta la religione. Inutile dire che questo modo di pensare era molto attraente per le classi medie in ascesa, che lo adottarono come in seguito adottarono le dottrine correlate del liberalismo politico ed economico.

Tuttavia, sorse rapidamente il paradosso (come era accaduto in precedenza con i movimenti millenaristi) che se sono già salvato, non c’è motivo per cui dovrei comportarmi bene, dato che nulla di ciò che faccio può influire sul mio stato di salvato. Questo paradosso fu risolto con l’ingiunzione che era necessario dimostrare quanto si era salvati con azioni pratiche, sicuri della consapevolezza del proprio status morale superiore. Fare, in questo contesto, significava semplicemente dimostrare questo status morale superiore agli altri, con azioni che non potevano essere messe in discussione o criticate: erano semplicemente giuste. (In pratica, ovviamente, una società del genere sarebbe stata completamente anarchica, per cui paradossalmente le comunità protestanti estreme come la Ginevra di Calvino arrivarono ad assomigliare a stati di polizia ideologica collettiva: un po’ come una moderna università americana senza le squadre sportive). Una volta che l’idea che ciò che contava davvero era nella tua testa e non nelle tue azioni ha preso piede, si è dimostrata immensamente persistente in tutti i modi. È stato sostenuto, ad esempio, che un buon marxista degli anni Trenta doveva accettare le purghe di Stalin, senza necessariamente sostenerle, perché la storia si stava svolgendo in un modo particolare e, finché si manteneva la fede nella destinazione finale, si dovevano accettare gli ostacoli lungo il percorso. L’importante era ciò che il comunismo era, non ciò che faceva.

Nel peggiore dei casi, sia nella sua veste religiosa che in quella laica successiva, questo modo di pensare produce un comportamento ristretto, moralista e intollerante, che premia soprattutto la purezza del credo e vede le azioni non tanto come cose buone da fare in sé, quanto piuttosto come prove di quanto si è virtuosi. Almeno si può dire che nel XIX secolo i ferventi evangelisti non solo sono riusciti a tenere sotto controllo i peggiori eccessi del liberalismo, ma hanno anche fatto una grande quantità di bene oggettivo, dall’abolizione della tratta degli schiavi al ritiro dei bambini di dieci anni dalle miniere. Ma i loro successori oggi seguono una sorta di calvinismo laico degenerato, in cui politici e opinionisti competono tra loro per dimostrare di essere persone migliori perché i loro cuori e le loro convinzioni sono più puri, e castigano gli altri le cui convinzioni sono in qualche modo difettose.

Infine, non si deve pensare che il trionfo dell’Essere sul Fare nella nostra società sia limitato ai politici e ai loro seguaci. È andato ben oltre. Diverse generazioni di opinionisti si sono guadagnati da vivere semplicemente assumendo pose di superiorità morale e condannando come moralmente carente chiunque non condivida le loro opinioni. È profondamente ironico, infatti, che la Chiesa non si senta più in grado di pronunciarsi su questioni morali importanti, mentre le persone che una volta andavano a una conferenza sull’etica di Kant non si sentono in obbligo di farlo, perché dopo tutto sono brave persone e dare lezioni agli altri li fa sentire superiori al resto di noi.

Queste persone, o almeno la loro fazione di opinionisti, sono come i calvinisti salvati di Ginevra: la loro legittimità non deve essere guadagnata, deriva da chi e cosa sono, non da quanto sanno o da cosa hanno sperimentato. Dalla comodità dei loro studi possono istruire i governi a fare la guerra, ad accettare i rifugiati, a votare in questo o quel modo, a sostenere questa o quella parte in un conflitto, giustificati non da qualcosa che hanno fatto, ma semplicemente da ciò che sono.

Si trovano esempi ovunque. Uno dei miei preferiti è la posa di chi mette in discussione la saggezza convenzionale. Queste persone, infatti, accettano quasi tutta la saggezza convenzionale e possono essere piuttosto aggressive quando vengono messe in discussione le parti di essa che sottoscrivono. Ma un modo sicuro per affermarsi come opinionista, o semplicemente come commentatore noto su un sito Internet, è quello di cantare la canzone “mettere in discussione solo la saggezza convenzionale”, che si tratti dell’Olocausto, dell’assassinio di JFK, dello sbarco sulla Luna dell’Apollo, della distruzione delle Torri Gemelle, delle ultime elezioni contestate da qualche parte o di qualsiasi altra cosa vi piaccia. Non è necessario che tu sappia nulla, che tu abbia fatto studi o ricerche, anzi, quello che sei, l’eroico contestatore della saggezza convenzionale, ti dà tutto lo status di cui pensi di aver bisogno.

Allo stesso modo, se avete un iPhone potete, da un giorno all’altro, “diventare” un Citizen Journalist. Ora, per quanto io sia spesso critico nei confronti dei giornalisti, quelli bravi che ho conosciuto possedevano una combinazione di formazione, esperienza, rigore analitico e competenze professionali banali ma importanti. Ma in realtà, mi fiderei di un giornalista cittadino quanto di un chirurgo cerebrale cittadino, solo che quest’ultimo probabilmente ucciderebbe meno persone. Crederò che i citizen journalist siano più che propagandisti quando pubblicheranno materiale accuratamente controllato e adeguatamente presentato che non aiuterà la parte che sostengono. Mi aspetto di dover aspettare a lungo: dopo tutto, è quello che sono che conta, non quello che fanno e quanto bene lo fanno.

Abbiamo quindi una classe politica, così come una PMC e i suoi seguaci, che non solo non sono in grado di fare molto, ma non ne sentono nemmeno il bisogno. Vivono in un mondo in cui non solo le ricompense tangibili, ma anche la soddisfazione interiore di essere una brava persona, non derivano da ciò che fai, ma da ciò che sei. E l’essere una brava persona, uno degli eletti, giustificato dalla fede e non dalle opere, dà quel senso di superiorità pazzesco e quella tendenza insopportabile a fare la morale agli altri, che deriva in ultima analisi da alcuni filoni del cristianesimo e dei suoi derivati secolari. Si noti in particolare che una persona del genere non vede alcun obbligo di fare qualcosa: è già salvata. Ma d’altra parte questo status dà loro il diritto di arringare e fare la morale ai malvagi e ai preteriti. Questo, ne sono convinto, è il motivo per cui le attuali élite politiche possono solo fare la morale e insultare la gente comune, piuttosto che cercare razionalmente di argomentare per i loro voti. Gesù avrebbe potuto insegnare loro una o due cose. (A questo proposito, ho sempre sostenuto che “noi” è una delle parole più pericolose e infide della politica: la prossima volta che qualcuno vi dice che “dobbiamo…” chiedetegli quale preciso contributo personale intende dare).

C’è una piccola difficoltà nel prendere un modello derivato dal bigottismo religioso e dalla certezza di una vita ultraterrena e applicarlo al disordinato mondo della politica elettorale occidentale moderna: le due cose non hanno assolutamente alcun punto di contatto tra loro. Gli elettori comuni che vivono vite comuni hanno preoccupazioni comuni, alle quali si aspettano ragionevolmente che i politici rispondano. Ma al giorno d’oggi le loro preoccupazioni vengono trattate come irragionevoli e persino stupide: possono pensare che l’economia stia peggiorando, che non riescano a sfamare le loro famiglie, che il loro tenore di vita si stia abbassando ogni anno, ma questo perché sono troppo stupidi per leggere e capire le statistiche ufficiali che mostrano quanto la vita stia migliorando. In altre parole, sono i preteriti, i non eletti, condannati alle tenebre esterne e al di là di ogni aiuto.

Per reprimere la critica popolare e le richieste di una vita dignitosa, niente è più efficace di una finta indignazione morale. Prendiamo un paio di esempi tratti da esperienze recenti. Vostra figlia quindicenne torna a casa da scuola in lacrime perché è stata inseguita nel cortile da gruppi di ragazzi che la chiamavano prostituta perché indossava la gonna. Le lamentele all’insegnante producono un’alzata di spalle rassegnata. Questo succede sempre più spesso e non si può fare nulla. Le lamentele al preside della scuola sono altrettanto inefficaci: alle scuole è stato detto di non “fare rumore” per questi incidenti, perché potrebbero essere sfruttati dagli islamofobici e contribuire a rafforzare l’estrema destra. In teoria, questo tipo di comportamento è un reato penale, ma il commissariato locale vi dirà che non indaga su queste denunce per razzismo. Siamo un Paese che combatte con orgoglio il razzismo e l’islamofobia. Questo è ciò che siamo e non dobbiamo fare nulla che metta in discussione questo status. Mandate vostra figlia a scuola con i jeans.

Allo stesso modo, in molte città europee, i centri cittadini sono deserti a tarda sera a causa della violenza delle bande e dell’accattonaggio aggressivo misto a furti. I ristoranti chiudono, i fornitori di cibo e bevande falliscono e i posti di lavoro scompaiono. Ma in realtà è colpa di persone stupide come voi e me, influenzate dalla paura del crimine (solo due persone sono state uccise fuori dai ristoranti questo mese!) e dall’estrema destra che diffonde bugie come parte della sua propaganda di odio anti-immigrati. Per reprimere questi crimini dovremmo comportarci in modi che non ci appartengono, quindi dovrete sopportarlo.

Anche preoccupazioni del tutto estranee possono essere in qualche modo assimilate a questa logica. Siete stufi delle grandi città? Volete vivere in una piccola comunità dove conoscete i vostri vicini? È solo un caso di razzismo mascherato! Volete vivere in un mondo di posti di lavoro e famiglie sicure? Sei un idiota che non capisce la Nuova Dispensazione! Nel dubbio, insulta.

Eppure una delle regole più tenaci, ma meno apprezzate, della politica è che nulla dura per sempre, e tutto alla fine produce una reazione. Più lunga ed estrema è l’oscillazione del pendolo in una direzione, più violenta è di solito la reazione. In circostanze normali, quindi, gruppi di politici mainstream in vari Paesi sarebbero già apparsi e avrebbero iniziato a sostenere la necessità di prendere in considerazione le preoccupazioni della gente comune. Il fatto che ciò non stia accadendo è il più inquietante sviluppo politico dei nostri tempi: persino il Partito Comunista Sovietico nei suoi ultimi anni ha mostrato una maggiore flessibilità rispetto agli attuali sistemi politici dell’Occidente. O forse, come a volte mi chiedo, il Partito stesso si è scoraggiato e disgustato di se stesso, forse la tensione dell’implacabile conformismo ideologico sta cominciando a essere eccessiva e forse sta per commettere un suicidio collettivo, lasciando il futuro ad altri. Questo va bene, ma chi sono gli altri e dove sono?

SITREP del primo dell’anno – Attacchi ipersonici, disastri, guerre e altre tendenze globali, di SIMPLICIUS THE THINKER

Il 2024 è esploso dai blocchi di partenza, in alcuni casi letteralmente.

Solo nei primi due giorni del nuovo anno, abbiamo avuto un enorme terremoto e tsunami in Giappone, con conseguenti allarmi di fuoriuscite radioattive nell’oceano, il principale politico sudcoreano filo-russo e cinese è stato pugnalato al collo in un tentativo di assassinio, aerei di linea che hanno preso fuoco – sempre in Giappone -, un massiccio lancio di missili russi sull’Ucraina e altro ancora. Si preannuncia un anno esplosivo.

Elon Musk ha previsto che il 2024 sarà “ancora più folle” del 2023. Sulla stessa linea, Medvedev ha fatto le sue previsioni per l’anno nuovo, molto divertenti da leggere:

L’anno sta per concludersi. È tempo di fare previsioni? Non c’è niente di più insensato e senza speranza di questo. Un anno fa ho scritto questo: Voglio contribuire alle più assurde e ridicole previsioni per il futuro. No, scrivono ancora con indignazione, ma perché non si fa nulla? Scholz non ha forse detto che la Germania paga il gas dieci volte di più di prima? Elon Musk non è forse diventato presidente degli Stati Uniti, se non per posizione, per influenza (nonostante non abbia il diritto di essere eletto alla presidenza, perché è nato in Africa)? La Polonia non si sta forse preparando a conquistare parte dell’Ucraina e l’Irlanda del Nord a staccarsi da Foggy Albion? E così via… In breve, tutto ciò che è assurdo nella nostra vita si è quasi avverato e continua ad avverarsi.Perciò, beccatevi una nuova parte di previsioni, già per il 2024 (e non sono le idee glamour della Saxo Bank):1. La creazione di due nuovi partiti in Russia – il Partito dei Ragazzi e il Partito dei Chushpan, che saranno poi banditi dal Ministero della Giustizia russo a causa di campagne elettorali illegali direttamente sull’asfalto.2. La nazionalizzazione delle forze armate-industriali-il Partito dei Bambini e il Partito dei Chushpan. Nazionalizzazione del complesso militare-industriale dei Paesi dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Canada, con l’obiettivo di donare successivamente tutta la produzione di difesa al regime offeso di Kiev per mantenere il suo potenziale militare. Assegnazione all’Ucraina di un prestito sindacato dai Paesi occidentali per un ammontare di 25,5 trilioni di dollari USA (corrispondente all’entità del PIL statunitense a PPA). Il furto di questo prestito entro 24 ore da parte del regime al potere a Kiev con la partecipazione di Hunter Biden.3. Scioglimento delle forze di polizia regolari in tutti i Paesi dell’UE con il trasferimento delle loro funzioni alla polizia tedesca e a quella ucraina, tenendo conto della loro esperienza storica comune.4. Mettere Joe Biden a capo della commissione per la sicurezza e l’ordine pubblico. Inserimento di Joe Biden nell’elenco dei ricercati internazionali in relazione alla sua incauta uscita di scena durante un discorso e al persistente smarrimento del Presidente degli Stati Uniti dietro le quinte da parte dei suoi assistenti.5. Condanna nelle cause penali intentate contro Donald Trump sotto forma di una pena detentiva di 99 anni, divieto di elezione di Trump in tutti gli Stati americani. La sua elezione a nuovo Presidente degli Stati Uniti al posto di Biden, perso dietro le quinte.6. Massiccio e sinistro risveglio delle mummie aliene nascoste nelle basi militari statunitensi, il loro ingresso nella politica americana con la conseguente acquisizione da parte degli alieni di oltre la metà dei seggi del Senato e della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti.7. La presa di potere di Godzilla in Giappone e la sua proclamazione come 天皇 (Imperatore del Giappone) ゴジラI (Godzilla I). L’inizio del regno della dinastia dei rettiliani in Giappone. Quindi, il nuovo anno 2024 ci porterà molte cose interessanti. Attendiamo con ansia!

È interessante notare che la predizione aliena del #6 si sta già per metà avverando, dato che il Congresso degli Stati Uniti sta preparando altri diversivi, con briefing segreti sugli “UAP”, come vengono ora chiamati, già programmati:

Ironia della sorte, l’agenda degli stranieri sembra essere più in alto nella lista delle priorità del Congresso rispetto all’Ucraina, dal momento che non si è ancora parlato di quando il Congresso potrebbe ricominciare a occuparsi di questo argomento.

Gli Stati Uniti entrano nel 2024 in uno stato di disordine storico senza precedenti. La tanto decantata – anche se involontariamente chiamata in modo umoristico – “Operazione Prosperity Guardian” è già andata in pezzi:

Gli alleati hanno preso strade diverse e la MAERSK ha nuovamente sospeso tutti i passaggi attraverso il Mar Rosso, ora “a tempo indeterminato”, dopo aver fatto finta di niente in precedenza, sperando che il problema sparisse. Questo rappresenta una perdita di prestigio senza precedenti per gli Stati Uniti.

Il Medio Oriente – per non parlare del mondo intero – sta cambiando drasticamente. Da ieri, 1° gennaio 2024, i BRICS inaugurano ufficialmente 5 nuovi membri: Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Arabia Saudita e Iran. Inoltre, quest’anno la Russia presiede i BRICS e ha già manifestato l’intenzione di accelerare alcune iniziative. Le cose si fanno sempre più oscure per l’Occidente ormai isolato.

Come se non bastasse, la guerra di Israele non sta andando affatto bene. Siamo stati testimoni di innumerevoli nuovi video che mostrano Merkavas, Namers e tutto ciò che sta in mezzo che viene spazzato via. Ci sono state continue fughe di notizie da parte israeliana che indicano che il numero delle vittime è molto più alto di quanto riportato. Per esempio:

Il tenente colonnello della riserva israeliana Aharon Masos ha raccontato alla Knesset del gran numero di corpi di soldati israeliani a Re’im e ha espresso il suo rimorso per aver raccolto e ammassato frettolosamente i corpi su un carro, nel timore che venissero rapiti.

Di fatto, Israele ha ora ritirato da Gaza diverse delle sue brigate di punta, tra cui la più elitaria Golani, affermando che i combattimenti “probabilmente dureranno fino al 2025”.

2025? Woah. Dove sono tutti quegli analisti che prevedevano arditamente una sconfitta rapida e decisiva dell’IDF? In realtà, non sembra esserci alcuna perdita apprezzabile di uomini di Hamas. E tutto questo mentre una potenziale guerra molto più grande contro Hezbollah si profila sempre più vicina.

In effetti, è stato riferito che gli Stati Uniti hanno inviato una tranche d’emergenza di alcune delle loro rimanenti scorte critiche di artiglieria, portando alcuni dei più brillanti analisti ucraini a mettere in discussione alcuni principi fondamentali del pensiero militare occidentale:

Il punto è che la comunità degli analisti militari occidentali ha sempre fondato la propria filosofia sul fatto che, finché si riesce a stabilire la superiorità aerea, l’esercito paradigmaticamente “occidentale” sconfiggerà facilmente qualsiasi nemico. Hanno usato questo argomento per spiegare perché la NATO avrebbe “schiacciato” così facilmente la Russia se fosse stata al posto dell’Ucraina. Tuttavia, negli ultimi anni la teoria ha avuto la sua prima vera prova. La forza aerea più potente dell’intero Medio Oriente si scontra con una forza minuscola e malandata, priva di una sola capacità antiaerea, e qual è il risultato?

Questo va contro la convinzione che la presunta superiorità della “forza aerea” della NATO si traduca istantaneamente in una qualche vittoria sul campo di battaglia contro la Russia: semplicemente non è così che funziona la guerra, soprattutto in un’epoca in cui la produzione in Occidente è diminuita al punto che non è possibile costruire sistemi di precisione in numero sufficiente per sostenere una campagna di lunga durata contro una vera minaccia di pari livello.

Per non parlare di ciò che questo comporta per l’Ucraina. Se il conflitto israeliano si sta davvero trasformando in una guerra di resistenza a lungo termine, in cui l’aviazione non può più risolvere i problemi e gran parte del carico deve essere trasferito all’artiglieria e ad altri mezzi convenzionali, ciò implica cattive notizie per l’Ucraina; anche se si riuscisse a trovare un accordo per un nuovo budget per gli aiuti, per l’Occidente sarà estremamente difficile rifornire entrambi i “primi figli” in egual misura.

L’allarme viene lanciato internamente in Israele. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha fatto eco alla mia visione esistenziale del conflitto quando oggi ha ammesso che Israele non sopravviverà se non riuscirà a ottenere una vittoria decisiva:

Anche la pressione economica sta aumentando, non solo per il blocco degli Houthi, ma anche per l’entità dei costi della guerra:

E come Netanyahu è in difficoltà, lo è anche la sua coorte europea, visto che ora si dice che il tedesco Scholz potrebbe essere in partenza:

Olaf Scholz potrebbe lasciare la carica di Cancelliere tedesco all’inizio del 2024, scrive la Bild. Secondo i giornalisti, Scholz potrebbe andare in pensione all’inizio del 2024 e sarà sostituito dal Ministro della Difesa Boris Pistorius, che di recente è stato in cima alla classifica dei politici tedeschi più popolari. “Il motivo delle dimissioni del Cancelliere potrebbe anche essere lo scandalo del 2020 legato a Wirecard e al suo capo Jan Marsalek (ora nascosto a Mosca). All’epoca, Scholz era a capo del Ministero federale dell’Economia e “non si accorse” del più grande schema fraudolento della storia tedesca dalla Seconda Guerra Mondiale”, si legge nell’articolo.

Nel frattempo, le cose continuano ad andare male – o a crollare – per l’Ucraina. Nell’ultimo rapporto ho raccontato come gran parte dell’equipaggiamento occidentale non funzioni più; gli stessi soldati ucraini si sono lamentati del fatto che i sistemi di artiglieria occidentali non sono costruiti per la guerra, le loro canne sono tutte consumate, ecc.

Ora abbiamo una nuova conferma da parte del deputato tedesco Sebastian Schafer che pochissimi dei Leopard consegnati funzionano ancora, perché si sono tutti “consumati” e l’Ucraina non ha modo di ripararli:

Pochissimi carri armati Leopard 2A6 donati dalla Germania all’Ucraina sono ancora in servizio, ha dichiarato il deputato dei Verdi Sebastian Schafer. Molti carri armati sono danneggiati in battaglia e i pezzi di ricambio scarseggiano, ha aggiunto. In Ucraina viene utilizzato solo un piccolo numero di carri armati Leopard 2 della moderna versione A6, poiché i tentativi indipendenti degli ucraini di ripararli si concludono con guasti ancora più gravi e le officine di riparazione lituane scarseggiano di pezzi di ricambio, ha dichiarato Sebastian Schäfer, membro del partito dei Verdi.

Mentre questi problemi aumentano, la Russia ha iniziato quella che sembra essere la sua tanto attesa stagione di disattivazione delle infrastrutture con una serie massiccia di attacchi in tutto il Paese, ieri, anche se principalmente a Kiev e Kharkov. Si dice che siano stati utilizzati oltre cento missili e molti altri droni.

Un funzionario ucraino ha recentemente dichiarato che Kiev è attualmente la città più protetta al mondo dagli attacchi aerei. Secondo lui, ha la più alta concentrazione di difesa aerea, in particolare di qualsiasi nazione europea. La seguente statistica ha sottolineato questo punto:

Secondo questa statistica, l’Ucraina ha ora la difesa aerea più potente di tutta l’Europa, e la Russia la penetra regolarmente. Quasi un terzo dei sistemi di difesa aerea europei sono concentrati in Ucraina. Secondo il Wall Street Journal, Kiev dispone oggi di circa 564 complessi, mentre il resto d’Europa ne ha circa 1,6 mila. Pertanto, i partner non hanno fretta di trasferirli in Ucraina, nonostante le continue e insistenti richieste di Zelensky. Ci potrebbero volere anni per crearne di nuovi, scrive il giornale.7200 missili lanciati, l’Ucraina ha una difesa aerea pari a 1/3 di quella europea, quindi si può paragonare a come gli Stati Uniti con i loro 4000 tomahawk se la caverebbero contro la Russia e la sua difesa aerea di gran lunga superiore a quella degli Emirati Arabi Uniti e dell’Europa messi insieme.
Eppure ieri abbiamo visto i missili russi penetrare in città con facilità, senza che quasi nulla venisse abbattuto. Naturalmente l’Ucraina ha rivendicato un tasso di abbattimento superiore al 90%, come al solito, ma ora sappiamo che si tratta di una barzelletta ridicola, in particolare a causa della loro affermazione che 10/10 Kinzhal ipersonici sono stati abbattuti.

Ma il mondo è rimasto sbalordito nel vedere quello che sembra essere il primo filmato autentico di un Kinzhal che si avvicina al bersaglio. Non sbattete le palpebre o ve lo perderete:

Come facciamo a sapere che era un Kinzhal? A parte la sua velocità che fa perdere la testa, il fermo immagine sembra molto simile a quello di un Iskander:

Si noti che l’Iskander sulla destra – ripreso da un video di prova – ha la metà anteriore carbonizzata a causa della combustione di rientro ad alto calore, ma non è incandescente come il Kinzhal. Si dice che l’Iskander raggiunga 6-7 Mach nella fase di burnout, mentre il Kinzhal supera i 10 Mach, il che potrebbe spiegare la disparità.

Tuttavia, è probabile che nessuno dei due raggiunga la velocità ipersonica nella fase terminale, quando colpiscono il bersaglio. Ho già spiegato tutto questo in un lungo e dettagliato articolo in fondo a questo articolo, che potete consultare se volete maggiori informazioni sul funzionamento dell’ipersonica:

Anatomy of MIM-104 Patriot Destruction + Primer on Kinzhal Hypersonic Missile

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MAY 18, 2023
Anatomy of MIM-104 Patriot Destruction + Primer on Kinzhal Hypersonic Missile
Analizziamo in dettaglio cosa è successo esattamente la notte dell’attacco Patriot e aggiorniamo i fatti noti e le speculazioni. Ecco cosa si sa finora: La Russia avrebbe condotto un attacco stratificato e multivettoriale proveniente da vari lati, tra cui nord, est e sud, che comprendeva sia i droni Geran come copertura di schermatura, sia i mi…
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Tuttavia, ecco un recente articolo di un “esperto” ucraino che riprende molto di ciò che ho detto nell’articolo precedente:

Riguardo ad alcuni aspetti degli attacchi aerei della feccia russa. Un Iskander-M impiega circa 5 minuti per volare a Kiev dalla BNR. Tenete presente che il missile vola in una parabola, guadagnando velocità all’inizio e poi rallentando al culmine.2. Il Kinzhal è una versione aviotrasportata dell’Iskander-M, che viene ulteriormente accelerata da un vettore (MiG-31K) e decolla alla massima velocità, dopo di che il missile rallenta e ha la velocità di un missile balistico classico (3-4 mila km/h) in avvicinamento. Ci vogliono 7-8 minuti per volare dalla zona di Savasley a Kiev. Ci vogliono circa 4-5 minuti per raggiungere il confine di Stato.3. Per gli obiettivi balistici (Iskander-M, missili superficie-superficie per l’S-400), abbiamo i sistemi Patriot (missili PAC-3) e S-300V. Inoltre, abbiamo ricevuto anche il SAMP/T.4. Per quanto riguarda i missili da crociera (Iskander-K, X-101/555, Kalibr), operiamo con S-300 convenzionali, Buk, Iris-T, Nasam e gruppi di fuoco mobili (MFG) con MANPADS. Sono in servizio anche i Cheetah.5. Contro lo Shahed operano Gepard, Skynex, Avenger, gruppi di fuoco mobile con mitragliatrici di grosso calibro e sistemi di difesa aerea trasportabili dall’uomo.6. Se apparirà una versione dello Shahed con un motore a reazione, avrà un raggio d’azione più ridotto e potrà essere abbattuto dagli MVG con MANPADS, che saranno un boccone prelibato per loro. Perché un motore a reazione lascia una grande scia di calore.7. In base al mezzo di distruzione, il nostro sistema di difesa aerea è differenziato. Non ha senso sprecare missili “dorati” per Patriot su “Shahed”, così come missili per Iris-T/Nasam su bersagli balistici. Tutti i mezzi di distruzione vengono utilizzati in base al tipo di bersaglio.8. Di conseguenza, è impossibile sovraccaricare l’intero sistema di difesa aerea con gli Shahedis. Per maggiori dettagli, si veda il paragrafo 7.9. Il nemico si affida ai missili balistici contro Kiev perché altri tipi di bersagli vengono abbattuti con successo.10. Il nemico non ha molti missili balistici Iskander-M e/o missili superficie-superficie per gli S-400. Il nemico ha capacità sufficienti per produrre missili X-101, Kalibr e Iskander-K (da crociera), ma non missili balistici.11. Poiché qualsiasi bersaglio sopra Kiev può essere abbattuto con successo nella sua interezza, l’obiettivo del nemico è più psicologico. Gli attacchi notturni con missili balistici, che vengono abbattuti in 30-40 secondi, non riguardano l’efficacia di un attacco aereo. Si tratta di intimidazione.12. Alla luce di quanto detto, non vedo l’utilità di annunciare un allarme nazionale a causa del decollo del MiG-31K. Se c’è il decollo di un missile, allora si dovrebbe dare l’allarme. Altrimenti, aspetteremo quel fottuto “momento” per 3 ore al giorno fino alla fine della guerra. Dovete ammettere che è meglio avere 5 minuti di tempo libero per correre in bagno o nel rifugio più vicino che aspettare 3 ore che scatti l’allarme. Questo è in ogni modo meglio delle operazioni di difesa aerea/arrivi prima che l’allarme sia suonato. Post ucraino
Secondo lui, gli Iskander e i Kinzhal non rappresentano un problema particolare per l’abbattimento dei loro potenti Patriot. In primo luogo, se è vero che i Kinzhal probabilmente colpiscono il bersaglio a Mach 3-5, più o meno, è chiaro dal video che sta andando molto più veloce di un Iskander a causa del suo bagliore rosso.

Gli Iskander – e presumibilmente anche i Kinzhal – sono dotati di contromisure che vengono rilasciate, se necessario, durante l’avvicinamento terminale. Si tratta di disturbatori che vengono espulsi dalla parte posteriore del missile. Se i missili fossero totalmente invincibili, non avrebbero bisogno di disturbatori che li aiutino. Quindi, anche se è concepibile che possano essere teoricamente abbattuti, ci sono una miriade di altre sfide del mondo reale che impediscono che sia un quoziente realistico e probabile.

Per esempio, i missili balistici utilizzano un arco parabolico elevato che va ben oltre l’arco di copertura standard dei radar di difesa aerea. Questo Patriot AN/MPQ-65, ad esempio, non può vedere direttamente “sopra” di sé:

Per coprire le tracce dei missili balistici sono necessari altri radar specializzati, posizionati in modo particolare, ma questo probabilmente precluderebbe a quel radar la possibilità di coprire qualsiasi oggetto volante basso. Se si dispone di un eccesso di radar di fascia alta è possibile farlo, ma non se ogni radar è fondamentale per coprire altre direzioni: non si vuole sprecarne uno puntando semplicemente verso il cielo quando la maggior parte delle minacce volerà a bassa quota da settori laterali.

Ci si potrebbe chiedere: ma se un radar Patriot puntasse semplicemente verso la Russia, non potrebbe tracciare un Iskander in decollo, per esempio, molto prima che il missile arrivi abbastanza in alto da essere “sopra” il radar, nella sua zona cieca? Un diagramma grossolano:

Il problema è che il radar del Patriot – che si vede in giallo – ha una portata massima di circa 150-200 km più o meno. L’Iskander e il Kinzhal hanno una portata dichiarata di oltre 500 km, se non di più. Ciò significa che tecnicamente possono arrivare molto in alto nel loro arco parabolico, al di sopra del raggio del radar, molto prima che il raggio del radar sia in grado di rilevarli.

Naturalmente, se sapete che i missili balistici stanno per colpire la vostra capitale, è probabile che abbiate alcuni radar puntati verso l’alto, ma come ho detto, se avete solo due o tre di questi sistemi da miliardi di dollari, ne avete appena bloccato uno in un vettore che mancherà la stragrande maggioranza delle minacce, che sono missili da crociera e droni che arrivano a bassa quota.

Per coloro che pensano che i raggi radar possano magicamente vedere dappertutto, ci sono alcuni dati pubblicamente disponibili sugli azimut e le altezze massime dei raggi di ogni sistema radar. Ecco un esempio per un radar a caso:

Tutto questo per dire che, sebbene sia teoricamente possibile che i Kinzhal vengano abbattuti, date le limitazioni dell’Ucraina è altamente improbabile che siano in grado di farlo. Senza contare che si dice che ieri un Patriot sia stato colpito e abbattuto da uno di questi Kinzhal, il che è molto più probabile.

Ricordiamo che il portavoce dell’aviazione russa, Yuri Ignat, ha dichiarato inequivocabilmente che negli oltre 300 missili Kh-22 lanciati dalla Russia dall’inizio della SMO, non è stato possibile abbatterne nemmeno uno, poiché questo missile viaggia a 4.000 km/h (Mach 3+):

Quindi la fonte più autorevole dell’Ucraina dice che non sono in grado di abbattere missili a Mach 3+, ma in qualche modo ottengono un rapporto di uccisione di 10/10 al 100% su un missile a 12.000km/h a Mach ~11. I conti non tornano, vero?

In ogni caso, i deputati della Rada, come quello che segue, stanno iniziando a chiarire il tipo di magazzini di produzione militare che sono stati colpiti negli attacchi della scorsa notte:

Per non parlare dell’ex vice-comandante dell’Aidar, Mosiychuk, che ha ammesso che le autorità stanno nascondendo il fatto che le principali imprese militari di Kiev sono state annichilite con enormi perdite:

E comunque, i vantati missili IRIS-T della NATO sono stati visti cadere dal cielo a Kiev, dopo aver fallito nell’intercettare gli attacchi russi:

Parlando di numero totale di missili, l’Ucraina trova consolazione nel fatto che, dopo gli attacchi di ieri, la Russia ha nuovamente esaurito gran parte delle sue scorte. Ma c’è bisogno di ricordare loro come le scorte russe abbiano continuato a crescere nonostante le continue affermazioni di volerle esaurire da un momento all’altro? A sinistra, la Russia ha “solo” 120 Iskanders e qualche “dozzina” di Kalibrs nel novembre 2022; a destra, questi numeri sono magicamente aumentati entro la fine del 2023:

Infatti, l’ex generale ucraino Krivonos ha denunciato pochi giorni fa che una singola società missilistica russa, secondo le sue fonti, ha prodotto ben 1.321 missili da crociera solo quest’anno:

L’ex generale delle Forze armate ucraine Krivonos invita le autorità di Kiev a dire la verità “Solo una società, la Tactical Missile Armament, nella città di Korolev, nella regione di Mosca, ha prodotto quest’anno 1.321 missili da crociera, nonostante ci avessero detto che non potevano più produrre nulla”, ha lamentato. Il nazionalista e russofobo si è reso conto che lui, come l’intera popolazione ucraina, è stato ingannato e che la Russia, a quanto pare, è professionalmente preparata e sa quando e come colpire.

E un’altra cosa: ricordiamo che gli Stati Uniti avrebbero una scorta totale di 3000-4000 Tomahawk, e che hanno sparato un totale di circa 2000 missili da crociera Tomahawk nell’intero arco di vita del missile, dagli anni ’80, attraverso Desert Storm, le guerre jugoslave, l’Iraq, fino ad oggi.

Il totale dei missili lanciati dalla Russia è stato nuovamente aggiornato alla fine del 2023 da MSM. Controllare le date di ogni post qui sotto per ottenere la cronologia completa:

La Russia ha sparato più missili da crociera di quanti tutta la NATO, compresi gli Stati Uniti, abbia probabilmente in inventario e abbia sparato nell’intera esistenza delle proprie forze armate. La rivelazione di cui sopra sembra corroborare i numeri della produzione del generale ucraino. E la Russia ha appena iniziato a scaldarsi; il capo di Rostec promette numeri molto più grandi nel 2024 rispetto ai due anni precedenti.

Non c’è da stupirsi se il Wall Street Journal saluta il nuovo anno con la solita solfa:

Ma non preoccupatevi, secondo il capo dell’ufficio presidenziale Podolyak, la Russia in realtà è già morta, solo che non lo sa ancora:

La nuova mobilitazione non sta andando meglio. Zelensky e co. continuano a trascinare la questione altamente controversa dei richiami della società:

Qui un deputato della Rada conferma che non è stato ancora approvato il disegno di legge sulla mobilitazione e che sarà necessario un “compromesso” di qualche tipo, in quanto le parti stanno cercando un modo per “fare bella figura” di fronte alla popolazione in vista dell’imminente tempesta che, come sanno, porterà i loro eventuali tribunali:

Arestovich continua a fare “full Monty” nel suo tentativo di ribattezzarsi come salvatore dell’Ucraina. Ora dice che gli ucraini intelligenti si stanno trasformando in russi:

Nel frattempo, continua la tendenza all’esasperazione dei militari ucraini. Nelle ultime settimane ho pubblicato una serie di video di soldati dell’AFU che sono stufi della società che minimizza la minaccia dell’esercito russo. I soldati ucraini sono stufi di essere percepiti come perdenti che non riescono nemmeno a battere le “orde di orchi totalmente inutili”.

Questo nuovo video è particolarmente emblematico, in quanto il soldato ne ha chiaramente abbastanza e procede a dissuadere il membro del pubblico ignorantemente sorridente in modo epico:

Un paio di ultime notizie per il viaggio:

Alla luce della marea di rivelazioni su quanto le attrezzature occidentali siano poco adatte al vero fronte di guerra, ecco un altro caso esemplare. Il decantato Stryker americano, chiaramente troppo pesante, sovraccarico e in generale mal progettato per questo tipo di teatro:

Voglio sottolineare chiaramente, per la cronaca, che non prendo in giro in modo generalizzato tutti gli apparecchi occidentali per principio. Penso che ci siano molti sistemi validi. In effetti, per quanto sia il figliastro rosso su cui tutti amano battere, penso che l’M2 Bradley sia di gran lunga uno dei più grandi mezzi che l’AFU abbia avuto a disposizione. Il Bradley si è dimostrato – per quello che ho visto personalmente finora – un ottimo veicolo, i cui vantaggi sembrano superare gli svantaggi.

Tuttavia, la sua filosofia progettuale è totalmente diversa da quella degli IFV/ICV russi, quindi non è del tutto paragonabile. Credo che il BMP-3 gli sia superiore sotto ogni punto di vista, ma il Bradley non è affatto una spazzatura totale, nonostante la sua lunga reputazione, anche all’interno dello stesso esercito statunitense, di essere un sacco da box o un parafulmine per le critiche.

Tuttavia, alcuni sistemi come lo Stryker sono chiaramente dei grotteschi totali, frutto dell’ego e dell’arroganza sfrenata del MIC. Una mostruosità gigantesca come quella, con un ridicolo sparapiselli come arma: non ci sono molte qualità da riscattare.

Infine, un’ultima considerazione sui “numeri” per coloro che sono interessati a tenere traccia delle perdite. È nato un nuovo progetto che pretende di contare tutte le perdite ucraine conosciute – quelle i cui nomi e/o informazioni sono effettivamente verificati. Hanno 400 pagine con 100 nomi, cognomi e così via, il che equivale a circa 45.000 confermati finora. Sono stati criticati per aver preso informazioni principalmente da fonti ufficiali ucraine, il che significa che questi dati rappresentano ovviamente una piccola frazione “gestita” delle perdite totali. Tuttavia, è comunque interessante vedere il loro grafico delle perdite UA sovrapposto a quello di MediaZona delle perdite russe “confermate”, almeno dal punto di vista delle dinamiche nel tempo:

Nel frattempo, ecco cosa ha comunicato il MOD russo per il conteggio delle vittime giornaliere dell’Ucraina per il mese di dicembre:

Inoltre, un ministro ucraino ha almeno ammesso in video che il conteggio ufficiale dei dispersi in Ucraina è di 16.000 soldati.

Infine, per dare un’idea della recente iniziativa offensiva della Russia e del suo lento ma costante movimento in avanti, ecco una mappa di tutti i guadagni territoriali fatti dall’esercito russo solo nell’ultimo mese di dicembre, mostrati in rosso qui sotto:

» nella direzione di Kupyansky, le Forze Armate russe hanno assunto nuove posizioni alla periferia di Sinkovka e a sud-ovest di Pershotravnevoy +1,6 (+13,8) km²” nella zona di Kremennaya, azioni offensive attive delle Forze Armate russe a nord della cengia di Torsky e nei boschi di Kremen +10,2 (+0) km²” Sezione Soledarsky del fronte – attacchi delle Forze Armate russe in direzione di Sporny e vicino a Vesyoly +4,39 (+0,8) km²” a nord di Artyomovsk, le Forze Armate russe sono avanzate fino a Bogdanovka e vicino ad Artyomovsky (Khromovo) +10. 3 (+0,37) km²” a sud di Artyomovsk, battaglie in corso lungo l’intera sezione del fronte +0,1 (-0,1) km²” vicino a Gorlovka, le Forze Armate russe hanno riportato sotto il loro controllo il cumulo di rifiuti della miniera che porta il nome di. Yu. Gagarin +0,23(-0,23) km²” a nord di Avdeevka numerosi attacchi delle Forze Armate russe in direzione di Petrovsky, Ocheretino, Novokalinovo e dell’impianto di trattamento AKHZ +4,26 (+6,19) km²” ad Avdeevka e nella copertura meridionale di Avdeevka, le Forze Armate RF hanno aumentato l’area di controllo nei pressi della Zona Industriale, in una cava vicino a Opytnoye, parte sinistra delle posizioni vicino a Nevelskoye -1. 39 (+0) km²” la città di Maryinka è passata completamente sotto il controllo delle Forze Armate RF con i territori adiacenti da nord e da sud +6,46 (+0) km²” vicino a Novomikhailovka, le Forze Armate russe hanno continuato le operazioni offensive a sud e a nord dell’insediamento +4. 43 (+1,26) km²” in direzione Orekhovsky, le Forze armate russe hanno effettuato diversi contrattacchi in direzione della posizione delle Forze armate ucraine a sud e a est della sacca di fuoco +2,73 (-4. 79) km²” area controllata dalle Forze Armate ucraine nella zona di Krynok (non inclusa nelle statistiche generali) circa -1,0 km²” in altri settori del fronte, la linea di contatto di combattimento è stata adattata sulla base di riferimenti da dati d’archivio, o i cambiamenti sono stati insignificanti” Cambiamenti territoriali generali per dicembre (novembre) 2023: +43,31 (+15,95) km²

Questo è tutto per il post inaugurale del primo dell’anno. Spero che tutti abbiate trascorso un buon anno e che vi siate preparati per la corsa selvaggia che vi aspetta, visto che quest’anno promette di essere uno di quelli da record.

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Alla prossima volta.


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L’ossatura del domani, di SIMPLICIUS THE THINKER

Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, vengo irrimediabilmente trascinato in una fantasticheria riflessiva. Anche se non è la fine del decennio, quando le cose assumono davvero una sfumatura retrospettiva, questi tempi di sconvolgimenti fanno sì che gli anni sembrino davvero passare come decenni.

Ho sempre sostenuto che un decennio in realtà non cambia solo alla sua cuspide nominale, quando trabocca nella sorgente in attesa di quello successivo, ma piuttosto a metà, il vero cuore ed epicentro. Forse è stato Andy Warhol, o qualcuno del suo calibro, a riassumere i decenni come momenti di rottura della loro vera crisalide stilistica durante i loro centri esatti; è quasi come se la prima metà fosse una sorta di maturazione, la ricerca a tentoni dell’identità mentre gli anni si accumulano in una lotta alla ricerca di se stessi, per poi emergere nella sua forma più vera a metà strada, seguita dalla fase di lento declino e burnout, il processo naturale di decadenza e rinnovamento.

E così, mentre ci avviciniamo alla metà degli anni 2020 – un decennio che molti di noi non avrebbero mai pensato di vedere – sono solito rapsodiare sulle incognite del futuro e su quelle pugnalate alla cieca del periodo del parto a cui siamo ora soggetti.

Ci sono decenni di cambiamenti, e poi ci sono intere epoche. Mentre rifletto su queste cose, mi capita di leggere Il mondo di ieri di Stefan Zweig, un’ode romantica all’Europa, in particolare all’Impero austro-ungarico e al suo ultimo lustro di dinastia asburgica, scritta alla vigilia di un cambiamento epocale durante la seconda guerra mondiale. Il libro ha una certa valenza mistica anche perché l’autore si uccise appena un giorno dopo aver consegnato il manoscritto al suo editore. Era distrutto dal peso schiacciante di un futuro incerto, mentre il passato idilliaco dei suoi ricordi veniva spazzato via dallo zolfo e dalle cannonate di una guerra incomprensibile.

Il libro stesso ruota attorno a quel rarefatto passaggio della guardia, un mondo che svanisce in un altro irriconoscibile. È un’elegia malinconica agli ideali dell’infanzia offuscati dall’oscurità sconcertante della modernità, l’attrazione spaventosa verso i sentieri incerti che si irradiano in un futuro privo di logica. Il libro abbaglia con le sontuose descrizioni della Parigi e della Vienna di un tempo come centri di espressione, amore, ordine e libertà, certamente eccessivamente idealizzati dall’autore, un po’ credulone e infantile, ma comunque rappresentativi del senso di qualcosa di perduto e mai più ritrovato, che tutti noi sopportiamo sempre più spesso al giorno d’oggi.

Un estratto dal capitolo Luminosità e ombre sull’Europa:

La generazione di oggi è cresciuta in mezzo a disastri, crisi e fallimenti di sistemi. I giovani vedono la guerra come una possibilità costante da aspettarsi quasi quotidianamente, e può essere difficile descrivere loro l’ottimismo e la fiducia nel mondo che provavamo quando noi stessi eravamo giovani all’inizio del secolo. Quarant’anni di pace avevano rafforzato le economie nazionali, la tecnologia aveva accelerato il ritmo della vita, le scoperte scientifiche erano state fonte di orgoglio per lo spirito della nostra generazione. La ripresa che stava iniziando poteva essere percepita quasi nella stessa misura in tutti i Paesi europei. Le città diventavano di anno in anno più attraenti e densamente popolate; la Berlino del 1905 non era come quella che avevo conosciuto nel 1901. Da capitale di uno Stato principesco era diventata una metropoli internazionale, che a sua volta impallidiva di fronte alla Berlino del 1910. Vienna, Milano, Parigi, Londra, Amsterdam: ogni volta che vi si tornava si rimaneva sorpresi e deliziati. Le strade erano più ampie e raffinate, gli edifici pubblici più imponenti, i negozi più eleganti. Tutto trasmetteva un senso di crescita e di maggiore distribuzione della ricchezza. Anche noi scrittori ce ne accorgemmo dalle edizioni dei nostri libri: nel giro di dieci anni il numero di copie stampate per ogni edizione triplicò, poi quintuplicò e decuplicò. Ovunque c’erano nuovi teatri, biblioteche e musei. I servizi domestici, come i bagni e i telefoni, che prima erano prerogativa di pochi ambienti selezionati, divennero disponibili per la classe medio-bassa e, ora che le ore di lavoro erano più brevi di prima, il proletariato aveva la sua parte almeno nei piccoli piaceri e nelle comodità della vita. C’era progresso ovunque. Chi osava, vinceva. Chi comprava una casa, un libro raro, un quadro, vedeva aumentare il suo valore; più audaci e ambiziose erano le idee alla base di un’impresa, più era certo il suo successo. All’estero si respirava un’atmosfera meravigliosamente spensierata: cosa avrebbe potuto interrompere questa crescita, cosa avrebbe potuto ostacolare il vigore che traeva sempre nuova forza dal suo stesso slancio? L’Europa non era mai stata più forte, più ricca o più bella, non aveva mai creduto con più fervore in un futuro ancora migliore e nessuno, a parte qualche vecchio rinsecchito, piangeva ancora la scomparsa dei “bei tempi andati”. E non solo le città erano più belle, anche i loro abitanti erano più attraenti e più sani, grazie alle attività sportive, a un’alimentazione migliore, a orari di lavoro più brevi e a un legame più stretto con la natura. La gente aveva scoperto che in montagna l’inverno, un tempo triste stagione da trascorrere giocando a carte nelle taverne o annoiandosi in stanze surriscaldate, era una fonte di luce solare filtrata, un nettare per i polmoni che faceva scorrere il sangue deliziosamente sotto la pelle. Le montagne, i laghi e il mare non sembravano più lontani. Le biciclette, le automobili, le ferrovie elettriche avevano ridotto le distanze e dato al mondo un nuovo senso dello spazio. La domenica migliaia e decine di migliaia di persone, vestite con abiti sportivi dai colori sgargianti, sfrecciavano sulle piste innevate con sci e slittini; centri sportivi e bagni erano stati costruiti ovunque. In quei bagni si vedeva chiaramente il cambiamento: mentre nella mia giovinezza una figura di uomo veramente bella spiccava tra tutti gli esemplari dal collo taurino, paffuti o con il petto di piccione, oggi i giovani agili e atletici, abbronzati dal sole e in forma grazie a tutte le loro attività sportive, gareggiavano allegramente tra loro come nell’antichità classica. Solo i più poveri rimanevano a casa la domenica; tutti i giovani andavano a passeggiare, ad arrampicarsi o a gareggiare in ogni tipo di sport, perché il mondo si muoveva a un ritmo diverso. Un anno… quante cose potevano accadere in un anno! Le invenzioni e le scoperte si susseguivano a ritmo incalzante, e ognuna di esse diventava rapidamente un bene comune. Mi dispiace per tutti coloro che non hanno vissuto questi ultimi anni di fiducia europea quando erano ancora giovani. Perché l’aria che ci circonda non è un vuoto e un’assenza, ma ha in sé il ritmo e la vibrazione del tempo. Li assorbiamo inconsciamente nel nostro flusso sanguigno, mentre l’aria li trasporta in profondità nei nostri cuori e nelle nostre menti. Forse, ingrati come sono gli esseri umani, non ci siamo resi conto in quel momento della forza e della sicurezza con cui l’onda ci portava in alto. Ma solo chi ha conosciuto quell’epoca di fiducia nel mondo sa che da allora tutto è stato regresso e oscurità.
Questo passaggio ha forse smosso qualcosa di profondo nelle vostre viscere? Un ricordo di un tempo lontano, che forse risuona in quei confini claustrali del vostro essere? Quand’è stata l’ultima volta che la nostra società attuale ha offerto una vera crescita, in qualsiasi forma o sapore, o qualsiasi cosa di valore? Quand’è che le invenzioni e i progressi scientifici sono stati fatti per avvantaggiare l’uomo comune piuttosto che, al contrario, per togliergli i mezzi di sussistenza, come tutti gli ultimi sviluppi dell’intelligenza artificiale? Quando vi siete trovati per l’ultima volta a camminare all’aperto e a guardare una scena come questa colorata del 1945, e vi siete sentiti involontariamente cadere a capofitto verso un destino indeterminato, ma eccitante, nato da un futuro che valeva la pena di essere vissuto?


È la quintessenza del joi de vivre, quella leggerezza quasi indescrivibile o galleggiamento dell’essere, che manca gravemente all’esperienza vissuta di oggi. Forse io sono solo un po’ morigerato, e molti di voi sono meravigliosamente appagati da un senso di promessa vitalizzante per il futuro. Forse questa nostalgia esistenziale vi sembra una nota stonata. Ma azzardo che sempre più spesso vi siete sentiti inciampare in un bosco crepuscolare negli ultimi tempi, con una cecità temporale che vi impedisce di vedere la luce che si affievolisce oltre gli alberi davanti a voi.

Per coincidenza, mi è capitato di leggere l’ultima opera del collega Substacker David Bentley Hart, che risuonava con lo stesso senso sincronico di ricordo perduto. Egli descrive magnificamente le magiche evocazioni della liminalità contenute nel classico romanzo francese Le Grande Meaulnes:

Per me, è qui che risiede il genio peculiare di entrambi gli uomini: nella loro capacità di evocare il senso di qualcosa che si trova sempre alle proprie spalle e che non si riesce a girare abbastanza velocemente per scorgere: il senso di un paese perduto al cui confine si può solo andare alla deriva, o di una memoria perduta di cui non si riesce ad afferrare il bordo tremulo. La loro è un’arte pervasa dal dolore dell’esilio, dalla sensazione di qualcosa di ormai scomparso che è sempre stato al tempo stesso pericolosamente fragile e profondamente amato: un’infanzia o una prima giovinezza svanite; un’innocenza scomparsa; la bellezza della Francia e dell’Inghilterra rurali, con i loro boschi e boschetti che presto saranno cancellati per lo sviluppo, e i loro campi e stradine di campagna che presto saranno coperti da autostrade asfaltate; un consenso sociale più antico, sostenuto da una serie di illusioni più rosee; un paese fatato che svanisce alla luce dell’alba; un paradiso sprecato e immemore; o qualsiasi altra cosa. Soprattutto, in una lunga retrospettiva, evoca le immagini di una generazione di bambini cresciuti nella lunga e serena primavera edoardiana, ma che non sarebbero diventati abbastanza grandi da avere figli propri.
La maggior parte delle culture ha un concetto vagamente legato a questo. Che si tratti del je ne sais quoi dei francesi, o del mono no aware dei giapponesi, o del portmanteau di vesperance, coniato da un altro scrittore di internet con l’aiuto di ChatGPT, che ho proposto prima:

Vesperanza (n.): L’emozione solitaria di un malinconico riconoscimento del presente come un’epoca in via di dissolvimento, che si tinge di anticipazione per un futuro irriconoscibile e trasformativo.
Colpisce il cuore del precipizio su cui ci troviamo oggi. L’America è l’esempio più viscerale: gli ultimi decenni sono stati segnati da un’esuberanza decadente che ha visto la cultura americana, pur con tutti i suoi eccessi, portare la fiaccola attraverso le tenebre strascicate della postmodernità, verso un futuro tangibile che potevamo anticipare con il morso dell’aria salmastra che preannuncia un mare. Nonostante la mancanza della capacità di dargli un nome o una forma, una sorta di determinazione speranzosa ci riempiva almeno di un cauto senso di ottimismo per le cose a venire.

Ma negli anni ’60 e ’70 un crescente disordine cominciò ad attanagliare il mondo. Vari shock e crisi legati al petrolio, alla politica monetaria e alla geopolitica spuntarono come cavallette. La guerra culturale iper-liberale ha abbattuto le barriere una dopo l’altra, propagandando alti livelli superficiali che smentivano i mali che si trovavano sotto la terra colpita alle radici della società. La malattia è stata sublimata attraverso i movimenti di controcultura e le scene indie in espansione, che hanno abbracciato il nichilismo e la dissoluzione, senza alcun esito felice. Mi viene in mente Ian Curtis, cantante dei Joy Division, che si uccise alla vigilia del loro primo tour nordamericano, un tema tristemente prevalente.

In tutto questo, il fervore per le promesse del domani continuava a brillare fiocamente, unendo le persone con un tocco affine non dichiarato. La società occidentale conservava la sua licenza morale di presiedere alla rubrica del bene e del male; l’Unione Sovietica offriva un facile antipodo mitologico, sfruttato a dovere dai potenti. Anche se il futuro lasciava presagire l’incertezza, rimanevano almeno alcuni elementi tangibili: la gente pianificava la propria vita perché le necessità materiali erano ancora a portata di mano: ci si poteva permettere una casa, un’auto, le vacanze, ecc. Il Paese portava la sua leadership mitizzata come una corona e il mondo si inchinava libidinosamente al suo percepito “primo diritto”.

Oggi l’America è avvolta da uno strano pantano. La cultura ha perso la sua lucentezza, il suo peso per muovere il mondo: le esche usate un tempo per intrappolarci in un mito comune di salvezza giacciono appassite come falsi idoli. Il fuoco che si sta affievolendo ha fatto sparire ogni senso di “magia” nell’Occidente che sta andando a rotoli, sostituendolo con i resti di un’incomprensibile inquietudine, un’accidia esistenziale. Le pietre miliari della cultura si sgretolano intorno a noi come edifici in decomposizione uno dopo l’altro, torri d’avorio che riscattano anni di abbandono spirituale. Marchi come Disney, che un tempo rappresentavano filoni inviolabilmente profondi della psiche americana, sono stati trasfigurati in motori di perversione – o più propriamente di conversione – con perdite miliardarie: sangue che sgorga dalla bocca di un gargoyle. L’America assomiglia ormai a un carcere di massima sicurezza, con ogni Stato che ha un blocco di celle separato, i cui residenti, in preda alla collera, si agitano con sospetto o con vera e propria ostilità l’uno verso l’altro. Il sole è tramontato sui bon vivants di un tempo e lo spettacolo dei pony è andato in malora.

La Cina, la Russia e l’Africa tracciano ora audacemente le proprie strade, ignorando le vermicolose ricadute culturali dell’America. I loro imperativi sociali sono concepiti per proteggere non solo la famiglia, ma anche la maggioranza della società; basti pensare al recente decreto di Putin secondo cui il 2024 sarà considerato “l’anno della famiglia“, con tutti gli investimenti sociali e governativi che ne conseguono; ad esempio, Putin ha già organizzato giorni fa una conferenza con il compito di delineare nuovi benefici sociali per le famiglie che hanno figli, bonus di maternità per le donne, ecc. Allo stesso modo, lo status del movimento LGBT è stato ancora una volta declassato a una regolamentazione più severa, al fine di proteggere la stragrande maggioranza dei cittadini da una propaganda dannosa e destabilizzante. Al contrario, in Occidente la maggioranza subisce i colpi e le frecce di una vera e propria nuova Inquisizione spagnola per amore di un’immaginaria minoranza vittimizzata. In realtà, questa minoranza è stata indotta e armata come mero guignol istituzionale contro coloro che rappresentano la più grande minaccia per gli ingegneri sociali dell’autorità. La società occidentale ha sempre più l’odore di una sfrenata lustrazione rituale.

A cosa ha portato tutto questo?

L’Occidente ha sbattuto contro un muro culturale; la sua visione del mondo è stata rifiutata dalla società in generale e con essa il mandato di dettare la direzione da seguire. Ci troviamo in una sorta di bardo nebuloso, una palude liminale, intrappolati tra le epoche senza una chiara via d’uscita, senza una visione soddisfacente del futuro che ci guidi o ci rassicuri. Di conseguenza, la cultura si è trasformata in un vortice stagnante: un ciclo temporale interrotto di ossessionante isolamento, solitudine e indescrivibile alienazione. Questi, i nostri nuovi idoli, sono diventati i tessuti sociali del nostro continuum dislocato, per essere occasionalmente interrotti dalle contorsioni stridenti di qualche “tecno-meraviglia” di breve durata – AI e ChatGPT come nuovi uscieri del nostro spossessamento.

Diversi pensatori hanno fatto carriera analizzando il fenomeno negli ultimi anni. Primo fra tutti il brillante Mark Fisher, che ha reso popolare il termine Hauntology, coniato da Derrida, per descrivere il modo in cui i nostri “futuri perduti” trapelano attraverso i pori del nostro presente collettivo, sintetizzandosi in un senso sempre più viscerale non solo di perdita per qualcosa che un tempo era stato promesso, ma anche di un’ineluttabile sensazione di vuoto sviscerale nei confronti del domani. In sostanza, in mancanza di un vero futuro, le figure di quello che ci è stato promesso continuano a esercitare la loro seduzione sulla nostra psiche come un ritmo ipnotico; spettri lampeggianti di ciò che è stato e sarà.

Fisher parla di “lento annullamento del tempo”, un concetto che riecheggia leggermente nel “deserto post-ideologico” di Zizek – l’idea che la modernità abbia soppiantato ogni sviluppo precedente con un paesaggio arido di non-idee, simile ai “non-luoghi” di Marc Augé, a cui Fisher fa riferimento. In breve: la post-modernità e la metamodernità come un terreno vuoto infestato dai fantasmi di un futuro che non c’è più.

Riuscite a indovinare il prevedibile destino di Fisher?

Una discendenza diretta può essere rintracciata non solo attraverso Derrida, ma anche attraverso il suo ex allievo Fukuyama, che ha notoriamente dichiarato la fine della storia, con il capitalismo neoliberale che è culminato in un apice del progresso umano, una vetta che guarda al mondo lillipuziano con un freddo sogghigno. Il conquistatore della montagna – in questo caso l’Occidente consacrato – unisce passato e futuro in un unico vessillo da apporre con orgoglio nell’eterno crepuscolo, dichiarando la Pax Liberalis.

Fukuyama potrebbe aver avuto ragione, ma non nel modo in cui immaginava. Invece il presente si è accartocciato su se stesso: quella promessa tonica della modernità, costruita sui sogni dissacrati di un futuro sventrato e reso sterile per tamponare i peccati del passato, è venuta meno.

La supremazia culturale dell’Occidente si è affievolita sotto la luce fioca del suo ingegno. Sotto la facciata seducente dell’innovazione, dell’espressione, della progressione e di tutte le altre vuote tangenti agitistiche che adornano i pannelli scintillanti delle pareti, abbiamo trovato le tracce ben nascoste di un elaborato stratagemma: una rete nascosta di corde e pulegge, l’astuta sovversione delle forze mercificanti globaliste. Una corsa di topi, una mitografia religiosa dei motori di sfruttamento dell’eccesso di capitale in fuga, il “mito del progresso” astorico. Senza la sottoscrizione del capitale predatorio globale, la locomotiva culturale si è trovata a fermarsi. Sotto l’impiallacciatura di gingilli e fronzoli non c’era altro che l’orpello sbiadito di una vuota sublimazione: la negazione dell’impulso moderatore della natura. Il punto in cui ci troviamo ora è quello in cui ci siamo sempre trovati: le sabbie mobili del tempo.

Quando Edward Bernays iniziò a progettare i copioni del moderno reality show, fu almeno abbastanza coscienzioso da mantenere le spinte comportamentali solo leggermente sfalsate rispetto ai nostri impulsi naturali. I costumi della società sono stati preservati, con solo un attento e periodico ritocco per soddisfare le esigenze degli showrunner di Big Business.

Ora i tecno-farisei eletti hanno alzato la posta in gioco. A causa dell’urgenza dell’imminente caduta della loro egemonia finanziaria, sono costretti a fistolizzarci la gola con megadosi di programmi confusi per assicurarsi che la nidiata sia abbastanza compiacente e disunita da non prendere in considerazione alcuna scomoda modalità di ricorso durante il periodo storico di declino del fariseo eletto. L’alleanza avvelenata deve durare a tutti i costi, per evitare che il tessuto della realtà imposta si disfi.

Il rumore incoerente ci intrappola in uno stato di limbo: sempre distanti, sempre alienati, sempre diffidenti gli uni verso gli altri. Questa distanza insopportabile ci lascia menestrelli spostati che scalciano sulla ghiaia sciolta del passato, rovistando alla ricerca di frammenti di quei futuri estranei, un tempo splendenti, come archeologi ribelli. Quali tesori possono nascondersi in questi campi abbandonati? Potremmo portare alla luce un significato per questi tempi fratturati?

Avendo trovato un frammento imperfetto, posizioniamo le nostre casse di risonanza in qualche angolo poco frequentato di questo vecchio fascio di fibre e portiamo avanti le nostre parole e canzoni di ricordo, sperando di accendere un ricordo o due in un compagno di viaggio. Forse qualcosa si smuoverà, per scoprire qualcosa di più di ciò che è andato perduto.

Vi va di cantare una canzone?


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Previsioni annuali 2024: L’America e la guerra, Di George Friedman

Previsioni annuali 2024: L’America e la guerra
Di George Friedman – 22 dicembre 2023Apri come PDF

Nelle nostre previsioni per il 2024 pubblicate la scorsa settimana, in cui abbiamo illustrato i problemi interni che gli Stati Uniti dovranno affrontare, abbiamo detto che non prevediamo una grande guerra per il prossimo anno. Secondo il nostro modello, una guerra importante si verifica all’incirca ogni 80 anni e inaugura un grande cambiamento istituzionale. La Rivoluzione americana, la Guerra Civile e la Seconda Guerra Mondiale – tutte avvenute a circa 80 anni di distanza l’una dall’altra – rientrano in questa casistica. Sembrerebbe quindi che il 2020 sarà testimone di un conflitto simile. Ma anche se ciò dovesse accadere nei prossimi anni, non crediamo che accadrà l’anno prossimo.

Per spiegare il nostro pensiero, dobbiamo innanzitutto definire cosa si intende per guerra grave. Non sorprende che le perdite giochino un ruolo importante. La Rivoluzione, la Guerra Civile e la Seconda Guerra Mondiale hanno tutte inflitto agli Stati Uniti ingenti perdite; solo nella Rivoluzione, il Paese ha perso circa l’1% della popolazione. Inoltre, l’esito di una grande guerra deve avere un effetto massiccio sugli Stati Uniti: le prime tre hanno definito rispettivamente l’indipendenza, l’unità e il ruolo globale del Paese. La guerra ispano-americana e quella del Vietnam no.

Si può giocare fino al 2024. Una rivoluzione contro la dominazione straniera non è probabile nel 2024. Anche una guerra civile è improbabile, nonostante alcune aspettative contrarie. Qualunque siano le tensioni che definiscono il momento attuale, un numero massiccio di americani non è disposto a morire per esse. Quindi, per realizzare il modello, dovrebbe essere qualcosa di simile alla Seconda Guerra Mondiale, un conflitto in cui molti Paesi e un gran numero di soldati e civili hanno combattuto e sono morti.

In particolare, una guerra contro una sola potenza non ha un effetto particolarmente trasformativo sugli Stati Uniti. Quindi, anche se gli Stati Uniti entrassero in guerra contro, ad esempio, la Cina, non si tratterebbe di un evento globale come la Seconda Guerra Mondiale, poiché la Cina non ha la necessaria schiera di alleati. La performance della Russia contro l’Ucraina dimostra che, per ora, non è pronta o in grado di combattere un conflitto globale. Quindi, anche se si verificheranno conflitti singoli, come sempre, non ci sarà una guerra sistemica. Gli Stati Uniti sono praticamente invulnerabili alle invasioni e hanno le risorse finanziarie per evitare la guerra dove possono. I suoi interessi si intersecano con la maggior parte del mondo semplicemente per la natura del suo potere. Per evitare guerre, gli Stati Uniti potrebbero rinunciare a questo potere solo rinunciando a gran parte della loro sicurezza. Tutti vorrebbero ricchezza e potere a costo zero, ma non funziona così. I benefici hanno dei costi.

Dico tutto questo ben sapendo che si discosta un po’ dal modello. Ma i modelli non sono sacrosanti, quindi mi affido al mio istinto. Ho conosciuto investitori che hanno creato modelli sofisticati ed efficaci e poi si sono fidati del loro istinto piuttosto che del loro lavoro di preparazione. A volte le loro intuizioni sono costate molto denaro, altre volte no. La geopolitica è molto simile. Dobbiamo mettere in discussione le nostre ipotesi, anche quando è scomodo.

Tra i previsori c’è la tendenza a ignorare le contraddizioni piuttosto che affrontarle. Ma questa serie di previsioni è importante per il nostro progetto, e ignorare una debolezza in una di esse è tanto immorale quanto ovvio. È meglio non nascondere ciò che non può essere nascosto. Cerchiamo di capire il futuro e vogliamo sapere cosa ci riserverà. Ci sono vari modi per farlo: i modelli e le semplici congetture sono solo alcuni. La disciplina è necessaria per mantenere il controllo. Ma continueremo ad approfondire questo tema e quando ne sapremo di più, lo saprete anche voi.

Previsioni annuali 2024: Stati Uniti
Di George Friedman – 15 dicembre 2023Apri come PDF

La previsione del comportamento nazionale si basa su un continuum. Un continuum è la storia di una nazione. Un altro è il nostro metodo analitico. Osservare semplicemente le nazioni non fornirà una previsione sistematica. Il metodo, per quanto testato in passato, non può produrne una. Solo una conoscenza della storia, filtrata da un metodo di previsione testato in modo costante e ripetuto, può produrre una previsione realistica. Non esaminiamo tutti i problemi di una nazione, ma ci concentriamo sulle questioni che rivelano modelli e indicano cambiamenti. Pertanto, le nostre previsioni guarderanno al passato prima di guardare al futuro.

Contesto storico

Gli Stati Uniti sono definiti da due cicli. Uno è un ciclo socio-economico, l’altro un ciclo istituzionale. Il primo cambia ogni 50 anni, e il cambiamento coincide invariabilmente con un nuovo presidente. Il cambiamento è innescato da un sistema sociale ed economico divenuto insostenibile. Il nuovo presidente viene spesso celebrato per il cambiamento e il vecchio presidente condannato, anche se non fanno altro che segnalare il cambiamento. Il ciclo istituzionale cambia ogni 80 anni, di solito in concomitanza con una guerra.

Quello di questo decennio è un evento importante e senza precedenti, in cui il ciclo istituzionale e il ciclo socio-economico stanno cambiando contemporaneamente. Possono neutralizzarsi o intensificarsi a vicenda, oppure possono trasparire indifferentemente l’uno dall’altro. Riteniamo che la seconda ipotesi sia più probabile, perché i due processi sono diversi.

Il nucleo del ciclo socio-economico comporta cambiamenti nelle visioni sociali e nell’economia. L’ultimo cambiamento è culminato con l’elezione di Ronald Reagan. L’epoca che ha preceduto la presidenza Reagan è stata caratterizzata da profonde divisioni razziali nel Paese, tanto che la Guardia Nazionale e le unità di paracadutisti dell’esercito sono state dispiegate a Detroit per far fronte a rivolte, incendi dolosi, saccheggi e colpi di cecchino. Ci furono molti morti. Il presidente, Richard Nixon, fu costretto a lasciare l’incarico per azioni criminali (non correlate). Le persone litigarono per profonde differenze di visione della sessualità. La guerra in Vietnam sembrava infinita – e sempre più polarizzante.

C’erano anche molte disfunzioni economiche. Nelle città, la deindustrializzazione aggravò le questioni razziali, poiché la perdita di posti di lavoro colpì coloro che già lottavano per mantenere una parvenza di vita di classe medio-bassa, gettandoli nella povertà estrema. A livello nazionale, la disoccupazione era a volte superiore al 10%, ma tra i neri americani di Detroit, ad esempio, si avvicinava al 20%. L’inflazione, già alta, salì a circa il 14% alla fine degli anni Settanta. Per combattere l’inflazione, Nixon tolse gli Stati Uniti dal gold standard e congelò tutti i prezzi negli Stati Uniti.

Il problema principale era la carenza di capitale, che soffocava lo sviluppo e la modernizzazione delle nuove tecnologie. Nel frattempo, le case automobilistiche giapponesi iniziarono a dominare il mercato statunitense. Il precedente modello proposto da Franklin Roosevelt, incentrato sull’aumento della domanda, aveva fatto il suo dovere ma era ormai obsoleto, e con esso il codice fiscale.

Le strutture istituzionali cambiano ogni 80 anni, l’ultima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando gli esperti della classe che aveva vinto la guerra fecero della competenza il fondamento delle nostre istituzioni. Questo ha sostituito la struttura emersa dopo la Guerra Civile, che aveva sostituito la struttura fondante. Anche in questo caso, i cambiamenti istituzionali fondamentali sono legati alle grandi guerre. Le guerre in cui gli Stati Uniti sono attualmente coinvolti non sono conflitti importanti e quindi non trasformeranno la struttura interna degli Stati Uniti.

Ciò non significa che non si verificheranno cambiamenti marginali, soprattutto quando l’idea di istituzioni si estende oltre il governo federale. Un importante cambiamento in corso riguarda la funzione delle università. L’istruzione universitaria è un’industria vasta e costosa la cui redditività economica e persino intellettuale è messa in discussione. Abbiamo visto la prima fase di questa crisi nel tentativo del governo di ridurre la pressione sui laureati assorbendo i prestiti e costruendo un sostegno politico.

Questo tipo di responsabilità piramidale non è raro nel governo e normalmente resiste fino a quando non fallisce. Non ci aspetteremmo un culmine fino alla prossima grande crisi bancaria, che non crediamo arriverà molto presto. Una grande crisi bancaria implica un crollo generale, non un piccolo numero di fallimenti. I fallimenti di ampia portata sono infrequenti, ma accadono, e la vasta struttura finanziaria delle università e dei prestiti agli studenti aggraverà i problemi.

Un altro esempio è la perdita di fiducia negli esperti, che si è manifestata in tutta la sua evidenza durante la pandemia di COVID-19. Dopo la seconda guerra mondiale, gli esperti sono stati empatici. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli esperti sono stati autorizzati non solo a consigliare ma anche ad agire. Il sistema ha funzionato, ma è diventato sempre meno utile. Poi, durante la pandemia, gli esperti medici hanno preso decisioni che andavano ben oltre la sfera della medicina. Gli esperti erano esperti solo nei loro campi e le loro decisioni avevano conseguenze su tutto ciò che andava dalle catene di approvvigionamento all’educazione infantile.

Ci aspettiamo che una crisi istituzionale si accentui nel corso del prossimo anno, anche in assenza di una grande guerra dirompente, poiché la rabbia politica di routine potrebbe concretizzarsi in qualcosa di più profondo.

Previsioni e conclusioni

Attualmente l’economia presenta pochi squilibri ed è probabile che quest’anno si stabilizzi a un livello relativamente forte. Rispetto alle performance economiche precedenti, soprattutto quelle dell’era pre-Reagan, l’economia odierna è più solida, con squilibri prevedibili che possono essere imposti istituzionalmente, anche dalla Federal Reserve. Il sentimento attuale del sistema politico e delle comunità finanziarie è in realtà positivo. La sfiducia non ha ancora costretto l’economia alla recessione. Sulla base dei precedenti, un crollo sarebbe improbabile. Tuttavia, è in gioco il consueto pessimismo che si genera durante un anno elettorale. Lo sfidante dell’attuale presidente tende a ingigantire i problemi. I sostenitori possono diffondere il pessimismo, sul quale possono avere poca influenza, e cercare di trasformarlo in una forza autogenerante. Ma la lunghezza del periodo di campagna elettorale, dalla selezione dei candidati al voto vero e proprio, pone seri limiti a questa strategia.

Tuttavia, le istituzioni degli Stati Uniti sono mature per essere sconvolte. Siamo a 80 anni dall’ultimo cambiamento istituzionale, quindi il momento è arrivato, anche se con una certa flessibilità. Saremmo più fiduciosi in una crisi incombente se gli Stati Uniti fossero coinvolti in una guerra più grande che comporti vittime americane. Tuttavia, ci aspettiamo che la guerra in Ucraina raggiunga una fine negoziata nel prossimo anno e non vediamo il conflitto tra Israele e Hamas avere un impatto significativo sugli Stati Uniti.

Siamo dello stesso parere sulle questioni sociali ed economiche. L’economia è molto più forte di quella degli anni ’70 e ’30, che nel nostro modello sono stati gli ultimi momenti di crisi economica. Non vediamo un crollo importante nel prossimo anno.

Non crediamo nemmeno che le elezioni del 2024 saranno il momento cruciale per l’esplosione della crisi socio-economica. Questo avverrà solo alle elezioni del 2028, quasi 50 anni dopo l’elezione del precedente marcatore, Ronald Reagan. Non sappiamo chi sarà il prossimo presidente, ma non vediamo il presidente come una figura molto potente. A parte il loro ruolo simbolico, i presidenti sono intrappolati da una serie di vincoli che sfuggono al loro controllo.

Sarà un anno rumoroso e ci sarà rabbia, ma il nostro modello mostra che non sarà l’anno dei grandi cambiamenti. L’ovvio avvertimento è se dovesse scoppiare una guerra molto più grande. Se ciò dovesse accadere, ovviamente le previsioni saranno diverse e le facce rosse, comuni nel nostro mestiere.

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Il saggio obbligatorio di fine anno. Ma fatemi un favore: leggetelo lo stesso, di AURELIEN

Il saggio obbligatorio di fine anno.
Ma fatemi un favore: leggetelo lo stesso.

AURELIEN
27 DIC 2023
Questo è l’ultimo saggio del 2023, e non solo i termini di servizio di Substack mi impongono di scrivere un pezzo di fine anno, credo, ma anche due delle ultime tre carte dei Tarocchi che ho consultato per la meditazione quotidiana sono state la n. XX, “Giudizio”, che incoraggia la riflessione e il bilancio. Ok ragazzi, posso accettare un suggerimento.

Non c’è molto da dire a livello pratico. Ho deciso di attivare i pagamenti qualche mese fa e sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla disponibilità delle persone a lanciarmi qualche moneta e a offrirmi un caffè. (Non ho intenzione di offrire un livello separato a pagamento, mai, e quindi continuerò a rendere tutto gratuito). In realtà sono stato ancora più piacevolmente sorpreso dai gentili messaggi di sostegno che ho ricevuto, ed è questo, alla fine, più che qualsiasi somma di denaro, che mi incoraggia a continuare. Se avete mai insegnato (e io l’ho fatto, saltuariamente per decenni, e a volte in posti davvero molto strani), sapete che il più grande complimento che possiate ricevere è che qualcuno vi dica: “Prima non capivo, ma ora capisco”. Da qui, in parte, il nome che ho dato a questo sito. E grazie anche ai molti di voi che hanno scritto commenti così lunghi e riflessivi.

Detto questo, ho intenzione di continuare a scrivere essenzialmente su ciò che so, e di privilegiare l’analisi e l’interpretazione rispetto alla polemica. C’è comunque troppa polemica in giro, e la trovo noiosa da leggere, difficile e poco gratificante da scrivere. Inoltre, richiede una fede nella propria superiorità morale che non sono sicuro di avere. Allo stesso modo, anche se scrivo molto sugli affari di sicurezza e ho trascorso molto tempo con le forze armate, non sono qualificato per analizzare le ultime battaglie in Ucraina, così come una certa quantità di tempo trascorso in Medio Oriente mi dà automaticamente il diritto di essere ascoltato come esperto di Gaza. D’altra parte, ho trascorso una vita nella sala macchine della politica e della sicurezza in vari Paesi, ho visto come si fa la salsiccia e a volte ho avuto un piccolo ruolo nel farla. Sono stato nei posti più economici per alcuni dei principali eventi degli ultimi quarant’anni, e in alcuni casi in quelli un po’ meno economici. Il mio punto di vista è quello di chi fa davvero il lavoro e fa accadere le cose, anche se non ho mai avuto un grande ufficio e un grande staff personale. Sono stato, come si diceva, a distanza di sicurezza dalla superficie del carbone per molto tempo. Le cose che credo di aver imparato, quelle che credo di aver capito e quelle su cui credo di avere qualcosa di utile da dire, continuerò a scriverle, oltre a dedicarmi di tanto in tanto ad altri argomenti che mi interessano. Per esempio, nel corso del prossimo anno avrò molto da dire sulla Francia, dove ho vissuto e lavorato a lungo, e sull’Europa e le sue manifestazioni istituzionali.

Bene, allora. (Ci sono scrittori molto organizzati, che hanno piani dettagliati di ciò che scriveranno e li rispettano. Io non ci riesco: Preferisco pensare che qualsiasi cosa io stia scrivendo, da un articolo breve o un racconto a un libro, esista già, completamente formata, e che se inizio a scrivere, arriverà. Di solito è così: ero a un quarto del primo libro che ho scritto, circa trent’anni fa, quando all’improvviso ho capito che il libro voleva parlare di qualcosa di un po’ diverso e mi stava segnalando di cambiare rotta, cosa che ho fatto. Così con questi saggi: raramente ho un’idea precisa di ciò che dirò prima di iniziare e, cosa forse più importante, di come i vari temi si svilupperanno e interagiranno tra loro nel corso delle settimane. Così, senza rendermene conto, mi accorgo di aver sviluppato una tesi coerente, soprattutto nell’ultimo anno.

Credo che si possa riassumere, sorpresa, sorpresa, in tre punti. Si può considerare una sorta di sillogismo, se si vuole, o un tipo di progressione dialettica.

Il mondo occidentale si trova di fronte a una serie di sfide pratiche, politiche, economiche ed esistenziali gravi come mai nella sua storia, che richiedono governi, Stati e settori privati altamente competenti per affrontarle con successo.

Ma la capacità di tutti i settori sopra menzionati è già insufficiente e sta peggiorando, e non c’è un modo evidente per correggerla.

Pertanto, le cose stanno andando verso sud.

Se si accettano le prime due proposizioni (e credo che siano indiscutibili), ne consegue inevitabilmente la terza. Naturalmente non vogliamo crederci, ed è per questo che le persone sono piene di “Se solo potessimo”, “Sicuramente possiamo”, “Questo nuovo aggeggio” e “Questa idea intelligente”. Ma, come ho sostenuto la scorsa settimana, non è possibile ricostruire strutture e capacità altamente complesse che hanno richiesto generazioni per essere create e che sono state lasciate marcire o addirittura deliberatamente distrutte. Per questo motivo, i miei scritti del prossimo anno si concentreranno su come sarà il prossimo crollo e su cosa possono fare gli individui e i gruppi per gestirlo ed evitare le conseguenze peggiori. Gran parte del lavoro pratico del governo in passato è consistito nel mettere il dito nella fossa e sperare di poter risolvere il problema del momento entro la fine della settimana. (Per quanto sia doloroso dirlo, credo che dovremo sempre più escludere i governi e le organizzazioni internazionali come attori utili per il futuro: il degrado è semplicemente andato troppo oltre e la diga si sta visibilmente sgretolando.

Piuttosto che accumulare il malinconico a questo punto dell’anno, ho pensato che sarebbe stato meglio esporre le argomentazioni di cui sopra in modo un po’ più esteso, rimandando a saggi che ho scritto nell’ultimo anno o giù di lì. In questo modo, il numero considerevole di persone che hanno scoperto questo sito di recente, e in molti casi si sono iscritte, avranno un link diretto ai saggi che espongono queste idee in modo più approfondito.

Non ho intenzione di affrontare in questa sede i temi del cambiamento climatico e delle malattie infettive, sui quali non sono un esperto e sui quali è già stato scritto molto. Ma ho discusso, ad esempio, gli effetti corrosivi di quarant’anni di neoliberismo sulle strutture e sulle fondamenta stesse della nostra società, compreso il concetto di cittadino, o sull’onestà di base, o sulle idee anacronistiche di “dovere” e “servizio”, da cui la Società di Me dipende di fatto, se solo se ne rendessero conto. Ho sostenuto che una società di questo tipo non sopravviverà ancora a lungo, a meno che non impari ad adattarsi, ma questo sembra molto improbabile, senza il tipo di strutture intermedie, come i partiti politici di massa e i sindacati che un tempo lavoravano per il cambiamento politico. In effetti, la presa del modello estrattivo sul nostro sistema è tale che il sistema potrebbe finire per mangiarsi da solo, mentre la nostra società cade vittima di una violenza che non ha alcuno scopo o ragione discernibile. Allo stesso modo, non è scontato che l'”Europa”, in qualsiasi senso istituzionale organizzato, sopravviva.

Naturalmente, uno dei problemi principali da affrontare sarà quello delle conseguenze a lungo termine della guerra in Ucraina. Ho suggerito che l’Occidente, e in particolare l’Europa, è ora vulnerabile militarmente in modi inediti e inaspettati. Ciò non sorprende, poiché la natura della guerra è cambiata, mentre nessuno guardava, e l’Occidente ha preso una serie di decisioni sbagliate su come spendere i propri soldi. Il risultato è che la capacità militare dell’Occidente è l’ombra di ciò che era un tempo e le possibilità che si riarmino per essere in condizioni di parità con la Russia non sono molte. Anche mantenere in vita l’Ucraina è di fatto impossibile. Ciò significa anche che l’Occidente sarà sempre più incapace di proiettare potenza al di fuori del proprio territorio. E a sua volta, la mancanza di hard power significa che i tentativi di usare il soft power saranno molto più difficili.

In teoria, alcuni di questi problemi sono recuperabili, se solo avessimo persone e istituzioni decenti. Eppure i leader e i funzionari occidentali credono abitualmente a cose stupide. Le nostre élite non solo sono incapaci, ma sono essenzialmente infantilizzate, vivono in un mondo di finzione infantile e reagiscono con odio isterico a chiunque, come quel cattivone di Putin, metta in discussione i loro luoghi comuni liberali semidigeriti. (Anche se questo odio è esso stesso, in parte, un’esternazione dell’odio che la nostra casta professionale e manageriale prova per il resto di noi e per gli altri). E questo include sia una completa ignoranza anche dei fatti più elementari sulla guerra moderna, sia un’abitudine generale a vedere il mondo intero come una proiezione del loro fragile ego.

Ma ho anche cercato di fornire qualche raggio di speranza, se non necessariamente di ottimismo. Penso (e questo sarà un argomento per il prossimo anno) che il fallimento a cascata delle istituzioni a cui assistiamo ora ci imporrà di trovare risorse per noi stessi, che dovranno essere tanto psicologiche, e persino spirituali, quanto pratiche. Qualche tempo fa ho sostenuto che l’integrità invernale dell’esistenzialismo, con la sua severa etica della responsabilità per le proprie azioni, è forse utile in questo momento, così come alcuni tipi di buddismo. Ho anche suggerito che il relativismo morale è solo un dato di fatto e che non c’è nulla da temere. Infine, ho suggerito alcuni libri che potrebbero aiutarci a capire meglio il mondo, nonché alcuni che forniscono indicazioni pratiche su ciò che potremmo fare.

Beh, credo che sia sufficiente da parte mia. Grazie a tutti e arrivederci all’anno prossimo.

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