Michael Vlahos_ La dinamica di rivoluzione e guerra civile_A cura di Roberto Negri

La tesi espressa da Michael Vlahos non è certamente una novità per i lettori e gli ascoltatori di www.Italiaeilmondo.com Da circa dieci anni Gianfranco Campa, con decine di articoli, podcast e videoconversazioni, ci sta accompagnando lungo le vicende che stanno progressivamente facendo scivolare gli Stati Uniti verso una qualche forma di guerra civile, anch’essa in qualche modo delineata negli aspetti probabili. L’intervento di Vlahos illustra chiaramente il nesso stretto esistente tra una élite e un ceto politico decadente ed autoreferenziale e il processo di disgregazione e polarizzazione di una società tale da condurre al conflitto civile e al rivoluzionamento dell’ordine sociale. Un nesso che alcuni brillanti storici statunitensi, tra essi Theda Skocpol, hanno illustrato già alcuni decenni fa, ma che Vlahos riesce a farci toccare con mano nella attuale contingenza statunitense in questo intervento sottotitolato in italiano grazie al contributo di Roberto Negri. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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OPPENHEIMER, recensione teppistica_di Roberto Buffagni

OPPENHEIMER, recensione teppistica
Ieri pomeriggio ho visto “Oppenheimer”, un brutto film. Anticipo che mi sono perso gli ultimi venti minuti perché mi sono addormentato, come al solito mi ero svegliato molto presto e non avevo potuto fare il solito pisolino pomeridiano.
Prima di vedere il film, di Robert Oppenheimer non sapevo niente tranne quel che sanno tutti, che era stato il direttore del “Manhattan Project”, che dopo la bomba aveva citato le Baghavad-Gita, che aveva avuto qualche problema con il maccartismo, che portava un caratteristico cappello. Dopo il film, non ho imparato niente di più tranne un aspetto interessante e preoccupante della sua vita di cui parlerò dopo.
“Oppenheimer” è un brutto film perché un film incentrato sulla vita di un uomo che non ce ne mostra l’interiorità, con le sue motivazioni, il suo percorso e il suo cambiamento è un brutto film, a meno che l’uomo non sia Conan il Barbaro.
Dal film si evince quanto segue (che non so in che misura corrisponda alla realtà biografica):
Oppenheimer è un fisico brillante. Quanto brillante non si sa. L’impressione che si ricava è che fosse un brillante fisico di second’ordine (essere di second’ordine quando di prim’ordine sono Heisenberg, Bohr, Einstein è ovviamente un risultato notevolissimo). Pare invece che fosse un organizzatore e un venditore di primissimo ordine; anzitutto, venditore di se stesso, della sua immagine e della sua superiorità, tant’è vero che riesce a radunare menti brillantissime e a coordinarle nel progetto che dirige.
Non ha opinioni solide in merito alla politica o alla società. È genericamente “di sinistra” perché in quegli anni, praticamente tutti gli intellettuali che lo circondano lo sono. Il momento della verità coincide con la guerra di Spagna, che con la creazione della Legione internazionale a sostegno del governo repubblicano fornisce l’occasione per dimostrare quanto si fa sul serio a tutti gli intellettuali.
Ovviamente si può fare sul serio per davvero, ovvero prendere parte alla guerra anzitutto per sostenere le proprie idee e la causa repubblicana e antifascista, come fanno Orwell, che poi scrive il bel libro “Homage to Catalunia”, e Simone Weil, l’improbabile guerriera che appena giunta in Spagna si rovescia sui piedi un pentolone d’acqua bollente e deve tornare a casa, e poi, letto il meraviglioso “Les Grands Cimetières sous la lune”, scrive una lettera indimenticabile a Bernanos, un uomo di destra che militava dall’altra parte; oppure si può fare sul serio per finta, cioè per far vedere a tutti quanto siamo più fighi e valorosi di voi, come Hemingway, che fa un giro in Spagna e poi scrive uno dei libri più farlocchi della letteratura universale, “For Whom the Bell Tolls”, un sogno bagnato adolescenziale che pensando all’età in cui lo scrisse risulta seriamente imbarazzante.
Oppenheimer non fa nessuna delle due cose perché, a quanto risulta dal film, è abbastanza astuto e lungimirante da non compromettersi politicamente e così bruciarsi la possibilità di accedere all’ufficialità che desidera ardentemente. Si limita insomma a sostenere le cause di sinistra a parole.
Allo stesso modo non ha opinioni solide in merito alla bomba atomica. È persuaso che bisogna arrivarci prima dei tedeschi, e ovviamente ci sta. Dopo Hiroshima e Nagasaki ha qualche perplessità, che si manifesta nei seguenti modi: citazione dalla Baghavad-Gita (“Io sono morte, il distruttore di mondi”) e contrarietà alla ricerca per la bomba all’idrogeno, come se un aumento quantitativo della potenza distruttiva fosse il punto chiave. Non firma la petizione contro la bomba atomica promossa da Leo Szilard. Butta lì qualche auspicio inconcludente su una trattativa mondiale per la rinuncia generale agli armamenti atomici, non cogliendo il punto della questione: l’atomica non si può disinventare, le ipotesi possibili sono solo a) gli USA finché ne hanno il monopolio nuclearizzano l’URSS e creano un governo mondiale, come suggerito da Bertrand Russell al Segretario alla Difesa statunitense b) si entra nella meccanica avventurosa della deterrenza.
Ci sarebbe poi il tema della mutazione ontologica inaugurata dalla bomba atomica, ossia il fatto nuovo che l’uomo, uscito dalla minorità con l’Illuminismo come dice Kant, è diventato capace di distruggere sul serio se stesso, ma a questo tema Oppenheimer pare non dedicare pensiero alcuno.
Nel dopoguerra, con l’inizio della Guerra Fredda, il sostegno a parole alle cause di sinistra lo frega perché essendo molto vanitoso ha pestato i piedi a personalità importanti che si vendicano.
L’unica cosa nuova che ho imparato su Oppenheimer è che a un certo punto sbologna il figlio piccolo a una coppia di amici, perché sia lui sia la moglie non hanno voglia di occuparsene. Gli amici accettano, forse (è una mia inferenza, non c’è nel film) perché sono entrambi comunisti e sperano che Oppenheimer ricambi il grosso favore con informazioni sulla ricerca atomica da passare all’URSS.
Al momento della consegna del piccolo sventurato, Oppenheimer dice più o meno: “Siamo due persone orrende, insensibili ed egocentriche” e l’amico comunista ribatte “Le persone orrende, insensibili ed egocentriche non sanno di esserlo”, una affermazione totalmente falsa, come ognun sa: sono i PAZZI che credono di essere Napoleone che non sanno di essere pazzi, gli egocentrici sanno benissimo di esserlo e salvo qualche eventuale rimorso, di solito a parole, gli va bene così, sennò non sarebbero egocentrici.
In effetti Oppenheimer e sua moglie, se hanno fatto quel che il film mostra, SONO due persone orrende, insensibili ed egocentriche, anche perché sono entrambi ricchi di famiglia e se proprio non ce la facevano a occuparsi del bambino potevano tranquillamente pagarsi una o più governanti. Il film non spiega come mai non gli sia venuta in mente questa soluzione più semplice e tradizionale del problema “bambino piccolo che dà noia”. Si evince, o almeno io evinco, che non gli è venuta in mente perché sono effettivamente due persone orrende, insensibili ed egocentriche che vogliono sbarazzarsi totalmente della povera creatura che hanno messo al mondo, e per farla fuori non hanno abbastanza pelo sullo stomaco.
Quanto al film come tale, il povero Cillian Murphy che interpreta Oppenheimer brancola nel buio sgranando gli occhi dal primo all’ultimo minuto (salvo errore per gli ultimi venti in cui ho dormito), perché nessun attore può interpretare bene un personaggio così, sfuggente come un’anguilla, che resta sempre identico a se stesso e inspiegato nelle sue motivazioni. Gli altri attori forniscono il minimo sindacale perché i loro personaggi – tutti di contorno anche quando sarebbero interessanti, come l’amante di O. – sono anch’essi costruiti sulla sabbia, figure di cartone.
Bella fotografia di paesaggi, di esplosioni, di manifestazioni dell’energia con tante righine ondulatorie luminose che ci rinviano alla fisica quantistica (di cui si capisce, ovviamente, zero).
Costo: sei euro grazie alla riduzione per vecchi over 65. That’s all folks.

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IL MONDO NON E’ COME VI APPARE, di Pierluigi Fagan

Il post è rivolto alle anime belle, quelle che la mattina si svegliano ignare del mondo, leggono alcune notizie terribili su ciò che accade nel mondo (altre no perché non vengono date) ma non distinguono notizie da giudizi, assumono entrambi come il cappuccino con la brioche.
Caricati di verità sul mondo, sono pronti a far lezione di etica e morale per la quale quelli della loro parte sono in bene e gli altri il male, hanno avuto la loro esaltazione urlante ed isterica le prime settimane del conflitto russo-ucraino. Sono loro che permettono le atrocità del mondo poiché illuminando gli angoli bui della politica internazionale e capendo almeno il minimo dovuto di ciò che succede nel mondo, il mondo sarebbe diverso, almeno un po’.
A questi ciechi chiacchieroni sentenziosi farebbe bene spendere pochi minuti per capire quanto il male del mondo dipende anche dalla loro ignoranza supponente. Ma figurati se ai pasdaran del Bene, interessa scoprire che invece militano a fianco delle file del Male.
Parliamo del breve conflitto o meglio dell’invasione manu militari della ragione Nagorno-Karabakh abitata e rivendicata dall’Armenia pur stando in territorio dell’Azerbaijan, da parte appunto degli azeri. Per ora si lamentano “solo” duecento morti ma si prospetta una pulizia etnica profonda visto che la regione è abitata per tre quarti da armeni che ne erano gli unici abitanti un secolo fa.
Impossibile qui risalire alla storia del conflitto che è complessissima e, come spesso accade, alla fine basata su ragioni di contesa valide da tutti i punti di vista e quindi priva di una verità unica, passibile solo di mediazione, aggiustamento, composizione. Ci provarono quelli dell’OSCE di Minsk (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa, istituzione multilaterale in condominio coi russi, ora bloccata dalle vicende ucraine), già noti per i due protocolli di pacificazione sulle questioni del Donbass tra ucraini e russi, benedetti dalla mediazione europea che un secondo dopo la firma si è disinteressata della loro applicazione. Motivo per il quale l’attuale conflitto ucraino si sarebbe potuto evitare, ma evidentemente non c’era alcun interesse ad evitarlo o meglio c’era interesse palese a lasciar andasse come è andata.
Sulla faccenda del N-G, si stabilì un accordo, poi venne rotto, poi si ridiscusse, poi si litigò di nuovo, poi -nei fatti- nessuno più, soprattutto gli azeri, hanno dato minima attenzione a questo ruolo mediatore esso stesso poco convinto di sé stesso.
I giornali di stamane, giubilano a riferire di manifestazioni armene contro il governo locale ma soprattutto contro i russi che dovevano esser loro protettori. Giorni fa giubilavano per esercitazioni armate congiunte tra armeni ed americani, un accenno di tradimento di allineamento poiché l’Armenia è parte del CSTO e della EEC russa (Lavrov, tra l’altro, è anche di origini armene).
Quindi, gli azeri invadono la regione contesa, tale ritenuta nel diritto internazionale, protetta da accordi, la colpa è dei russi che non l’hanno protetta. Se l’avessero protetta sarebbero stati accusati di imperialismo fuori dei loro confini e ne sarebbe nata una nuova guerra per il Bene. Duecento morti, accordi internazionali calpestati, pulizia etnica in arrivo? Nessun problema, il radicalismo etico spacciato a piene mani per farci sentire “giusti” oggi non si applica, si applica il “crudo realismo”, un altro fallimento russo. Vedi che tenerli sotto pressione in Ucraina li sta indebolendo?
L’Azerbaijan è la classica pedina ambigua piazzata nel fianco del nemico. Sciti amici di Erdogan, di antica origine iranico-caucasica (gli armeni sono invece cristiani indoeuropei caucasici) sono il nostro miglior amico della strategica regione, anche se ce ne vergogniamo un po’ e non diamo pubblicità al fatto. Decine i casi di violazione dei diritti umani, noti livelli stratosferici di corruzione politica e finanziaria, tortura attestata di prigionieri politici. L’Armenia è invece un paese civile e democratico (secondo i nostri standard di democrazia).
Viaggi, regali, soldi, sostanze e corpi disponibili pagati dal governo azero per la “diplomazia del caviale”, come venne denominata la loro disponibilità verso politici e funzionari occidentali. Ripagati anche dandogli l’improbabile Gran Premio di F1 che dal 2017 romba per le strade di Baku, oltreché chiudendo entrambi gli occhi su quelle effrazioni etico-morali che in altri casi valgono una guerra per “i diritti umani”. Ma ci sono umani ed umani, dipende da dove abitano per la nostra geo-etica.
L’Azerbaijan è il terminale di pompaggio e trasmissione dell’oleodotto promosso per darci una alternativa alle forniture russe, gestito da British Petroleum (ovviamente gli inglesi altrimenti irremovibili sui diritti umani e gli standard democratici, qui fanno eccezione, si sa il petrolio ed il gas rendono l’etica scivolosa ed aeriforme per contagio) e di cui noi italiani siamo i principali clienti. Noi diamo bei soldi a questa gente qua. Chissà se Mentana troverà tempo di farci una puntata del suo serial “qui c’è un aggredito ed un aggressore”, dubito. O forse Gramellini dirà che “no, non è la stessa cosa dell’Ucraina, qui la cosa è più “complessa”.
Ma sull’Azerbaijan ci sono anche progetti più ampi, come passaggio del gasdotto che partirebbe dal Turkmenistan, paese di area d’influenza russa corteggiato affinché defezioni e ci dia energia a basso costo. Così da un bel po’, con gli azeri ogni tanto ci facciamo colloqui per stabilire relazioni strette con l’UE anche se certo non possiamo farli entrare dalla porta principale perché impresentabili. Poiché la geografia li rende strategici, gli azeri ogni tanto fanno finta di avere buoni rapporti coi russi per farci sganciare qualcosa di più per trattenerli dalla nostra parte. Lo stesso fanno in tono minore con l’Iran. Ricattano, detto altrimenti. In Relazioni Internazionali, si dice “si bilanciano”.
L’Azerbaijan fu uno dei pochi paesi ad aprire lo spazio aereo per il transito dell’aviazione americana nella guerra contro Saddam, ma il loro ruolo più strategico e particolarmente scabroso è nella guerra in Afghanistan. Washington Post sosteneva in un articolo del 2016, che lì facevano tappa di trasferimento volumi di almeno un terzo di cibo, vestiti, attrezzature ed ovviamente armi, per le truppe americane in Afghanistan. Ma, come per l’Ucraina, un bel po’ di armi e non pochi soldi, hanno preso altre vie. Ultimamente, Zelensky, ha il suo bel da fare a licenziare capi amministrativi e militari che tramite oligarchi si rivendono le nostre armi inviate lì per la “resistenza”. Poi, tra un po’, ci accorgeremo a chi le hanno vendute, non certo alla camorra o la ndrangheta.
Mi interessai del caso a proposito della giornalista maltese saltata in aria una mattina mettendo in moto l’auto per andare al lavoro. Daphne Caruana aveva messo troppo il naso in un potente traffico d’armi che coinvolgeva banche maltesi (anglo-maltesi spesso), il locale potere politico ed armi che provenivano dall’Azerbaijan, armi NATO. Se ne era accorta anche una giovane giornalista bulgara che indagava in Siria, quando trovò in un covo ISIS appena conquistato e mostrato ai giornalisti, parecchie casse di armi con scritte in bulgaro, domandandosi cosa mai ci facessero lì e risalendo a quelli che ufficialmente dovevano esser flussi NATO per l’Afghanistan, via Azerbaijan. Sappiamo tutti che c’erano grossi flussi di armi NATO in favore dell’ISIS, ma guai a dirlo.
Sulla pagina wiki della Caruana trovate la lista di più di una cinquantina di “awards and honours” dati dagli europei per il suo indomito coraggio investigativo. Dopo che è morta e per altro senza definitiva verità su chi l’ha ammazzata e perché (del resto Malta è UE, UE è bene, quindi Malta è bene, siamo per la potenza delle deduzioni noi razionalisti). Siamo così, con una mano prendiamo, con l’altra diamo, la prima è invisibile, la seconda ci rassicura che siamo quelli dalla parte giusta della storia. Ci sarebbe da scrivere non un post ma un intero libro sulla faccenda dei traffici d’armi NATO via Azerbaijan, basta leggere il minimo e senza poi frequentare chissà quali fonti bizzarre, è tutto abbastanza a portata di onesto interesse, ad averci il tempo.
Ma le anime belle non hanno il tempo, hanno solo fretta di far vedere che sono informati sul mondo e sanno dare giudizi moralmente alti, cappuccino, brioche e che inizi un nuovo giorno nel dorato stile di vita occidentale, il modo giusto di stare al mondo, se non ti piace vai a vivere in Russia! Io vivo qui e ne sono contento per molti aspetti e molto meno per altri, solo, preferirei non doverlo fare accanto a loro.

Mali, si torna al punto di partenza…, di Bernard Lugan

Il punto di partenza dell’attuale guerra in Mali, Burkina Faso e Niger non è l’islamismo, ma l’irredentismo tuareg. Il conflitto è scoppiato nel gennaio 2012 nel nord del Mali, quando i combattenti tuareg hanno messo in fuga le forze armate maliane. Gli insorti hanno dichiarato di essere membri del MNLA (Mouvement national de libération de l’Azawad), fondato nell’ottobre 2011, due anni dopo la fine della quarta guerra tuareg. L’MNLA riuniva diversi movimenti tuareg e la sua spina dorsale era costituita da membri della tribù Ifora che avevano servito nell’esercito del colonnello Gheddafi.

Con l’MNLA, oltre al riemergere di un conflitto secolare tra Tuareg e sedentari del Sud, si stava formulando una nuova forma di rivendicazione. Durante le quattro guerre precedenti, i Tuareg avevano lottato per ottenere maggiore giustizia dallo Stato maliano guidato dal Sud. Nel gennaio 2012, chiedevano qualcosa di molto diverso, ovvero la divisione del Mali e la creazione di uno Stato tuareg, l’Azawad.

Tuttavia, per le classiche e più che consuete ragioni di rivalità tra sottoclan tuareg, Iyad Ag Ghali, anch’egli Ifora e leader delle precedenti rivolte, era stato tenuto fuori dalla fondazione dell’MNLA. Non potendo accettare questa situazione, ha dato vita a un movimento rivale i cui obiettivi etno-nazionali erano gli stessi dell’MNLA. Ma, per poter esistere, lo ha dichiarato islamista. All’inizio di gennaio 2013, Iyad Ag Ghali ha superato l’MNLA lanciando un’offensiva a sud, verso Mopti e poi Bamako. L’8 gennaio 2013 è stata presa la città di Konna e l’11 gennaio 2013 diverse colonne dirette a sud sono state “trattate” dagli elicotteri francesi. Il regime del sud a Bamako è stato quindi salvato da una sconfitta prevista, cosa che i membri dell’attuale giunta hanno ben dimenticato…

Da quel momento in poi, l’analisi francese era sbagliata. I “decisori” francesi non hanno visto – o si sono rifiutati di vedere – che l’islamismo non era altro che una copertura per le rivendicazioni dei tuareg, che in un certo senso non era altro che la superinfezione di una ferita etno-razziale millenaria. Questo significava che per l’Eliseo Iyad Ag Ghali era il nemico, mentre in realtà era la soluzione del problema e bisognava parlare con lui… Negli anni successivi, la Francia si è rifiutata di comprendere questa realtà, con il presidente Macron che ha persino ordinato l’eliminazione di Iyad ag Ghali, cosa che quest’ultimo non ha dimenticato…

Ora, con la partenza delle forze francesi e dell’ONU dal Mali, il vero problema, il cuore della questione, è riapparso alla luce del sole: non si tratta di islamismo, ma di irredentismo tuareg. Vorrei chiarire questo punto a coloro che si compiacciono di distorcere le mie parole: sto parlando solo del nord del Mali, non della regione transfrontaliera, dove la situazione è diversa perché l’islamismo e il problema dei Fulani sono sovrapposti o intrecciati.

Come scrivo da anni, e come ben sanno gli abbonati a L’Afrique Réelle, Iyad Ag Ghali, il leader storico dei combattenti tuareg, ha costantemente cercato di riunire i clan tuareg attorno alla sua leadership. E ci è riuscito! I gruppi armati tuareg si sono riuniti nel CSP-PSD (Quadro Strategico Permanente – Per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo), di cui fa parte anche la CMA (Coordination des mouvements de l’Azawad), per offrire un fronte comune contro l’esercito maliano che, con l’appoggio finora poco determinante del gruppo Wagner, sta cercando di riconquistare l’Azawad da cui era stato cacciato nel 2012.

Di conseguenza, il 12 settembre, le forze armate maliane hanno subito un attacco mortale a Bourem, proprio il luogo in cui, nel gennaio 2012, è iniziata la guerra che ha incendiato l’intera regione. La città di Timbuctù è praticamente circondata. E poiché questa volta le forze francesi non verranno a salvarli, i meridionali potrebbero presto pentirsi di aver chiesto la partenza di Barkhane…

La lunga storia è riemersa in modi che sono naturalmente ignorati da coloro che pretendono di definire la politica africana della Francia e che portano la terribile responsabilità dell’umiliazione che il nostro Paese sta attualmente subendo nel Sahel e, più in generale, in tutta l’Africa. Questa lunga storia è raccontata nel mio libro Histoire du Sahel des origines à nos jours (Storia del Sahel dalle origini ai giorni nostri).

https://bernardlugan.blogspot.com/

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Vogliono i negoziati, ora_di AURELIEN_a cura di Roberto Negri

Vogliono i negoziati, ora.
Hanno idea di cosa stanno parlando?

AURELIEN
20 SET 2023

Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta ora pubblicando anche alcune traduzioni in italiano. Grazie a tutti i traduttori.

Nel mio ultimo saggio ho parlato di come i politici occidentali stiano facendo un lavoro sempre peggiore come politici, e di come questo crescente dilettantismo sia assolutamente evidente nella loro risposta ad alcune crisi recenti, in particolare quella ucraina. Ho detto che sarei tornato su quell’esempio, e questo saggio riguarda i risultati del dilettantismo, dell’egoismo e dell’autoriferimento dell’Occidente in merito a qualsiasi tentativo di risoluzione della crisi ucraina.

Parlerò soprattutto dei negoziati, che sono improvvisamente diventati un tema del dibattito interno in corso in Occidente sul tipo di esito in Ucraina che il suo fragile ego politico collettivo potrebbe tollerare. Eppure non ho visto praticamente nessuna discussione informata su cosa possa significare in pratica “negoziazione” in questo caso, né tantomeno alcun segno che coloro che coraggiosamente hanno iniziato a usare questa parola abbiano la più remota nozione di ciò di cui stanno parlando. Vediamo quindi di aiutarli. Per alcuni, quanto segue potrà sembrare eccessivamente specialistico e dettagliato; posso solo rispondere che in questa partita i dettagli possono essere estremamente importanti. Al contrario, se fra i lettori ci sono diplomatici di carriera, in servizio o in pensione, probabilmente penseranno che ho semplificato troppo le cose. Quindi, scusandomi con entrambi, cominciamo con la domanda più elementare: perché negoziare? Qual è lo scopo?

La risposta più semplice è che si tratta di raggiungere un obiettivo di qualche tipo che non si può raggiungere da soli, e già qui si possono immediatamente notare una serie di sottigliezze e ulteriori domande contenute in questa semplice risposta. L’obiettivo è condiviso, o almeno compatibile, da entrambe le parti? Tutti hanno la stessa comprensione del significato dell’obiettivo e del modo in cui può essere raggiunto? Entrambe le parti sono ugualmente impegnate nella trattativa? E così via.

Per comodità, possiamo dividere i negoziati in tre grandi categorie. La prima è quella che probabilmente conosciamo tutti nella nostra vita privata. In linea di massima, io ho qualcosa che tu vuoi e tu hai qualcosa che io voglio, ed è nel nostro reciproco interesse cercare di scambiarli. L’esempio più semplice è quello della compravendita: dalla semplice bottega all’acquisto di un’auto, di una casa o di un’intera azienda, c’è un compratore disposto a pagare fino a una certa cifra e un venditore disposto a vendere per una certa cifra. A volte questo processo è molto rapido: ad esempio, un minuto per acquistare un’imitazione di una polo Lacoste da un venditore ambulante di Bangkok a un prezzo considerato equo da entrambe le parti. A volte ci vuole molto più tempo, come quando un’azienda ne acquisisce un’altra e c’è una grande quantità di dettagli da definire. Inoltre ci sono sempre complicazioni di contorno: il logo Lacoste, ad esempio, non sembra ben cucito. Sebbene questo modello non sia sconosciuto nelle relazioni internazionali, la maggior parte dei negoziati reali è molto più complessa e coinvolge molti più fattori.

Un secondo tipo di trattativa prevede tipicamente un obiettivo comune, a volte ben definito, a volte no, condiviso in misura diversa da diversi attori. L’idea è quindi quella di negoziare un accordo che soddisfi tutti in modo ragionevole, raggiungendo un’interpretazione dell’obiettivo che possa essere accettata da tutti. Tutti i trattati economici e politici europei, a partire dall’accordo sul Mercato Comune del 1958, sono stati di questa natura: un obiettivo ampiamente condiviso, accompagnato da una quantità di divergenze di dettaglio su singole questioni che dovevano essere ricomposte nel testo finale. Il classico esempio singolo di questo tipo di negoziato è probabilmente il Trattato di Washington del 1949, che non ha effettivamente “istituito la NATO” (quello è avvenuto diversi anni dopo), ma ha stabilito il principio dell’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza dell’Europa occidentale contro il potere e l’influenza sovietica. Mi soffermerò un attimo su questo esempio.

In questo caso le motivazioni delle parti si sovrapponevano, ma non erano identiche. Per gli europei, il problema era la massa di forze sovietiche a est e la possibilità che venissero usate per intimidire gli elettori e portare al potere i partiti comunisti (come era accaduto in Ungheria e in Cecoslovacchia) e minacciare gli stessi governi occidentali, esausti e in bancarotta dopo la guerra, inducendoli a fare concessioni politiche. Soprattutto, c’era la paura di un’altra futura guerra, alla quale l’Europa non sarebbe sopravvissuta, anche perché, come in Grecia e come era quasi accaduto in Francia e in Italia, la guerra sarebbe stata anche civile. Se da un lato gli europei non temevano un attacco militare deliberato, dall’altro cercavano un esplicito impegno di sicurezza da parte degli Stati Uniti, in modo che Mosca fosse più cauta nei suoi rapporti con gli Stati occidentali e nell’uso dei partiti comunisti europei. La prospettiva americana era piuttosto diversa. Il Paese era già in preda a un panico anticomunista che stava peggiorando, ma era diretto principalmente contro obiettivi interni. Un vero e proprio confronto militare con l’Unione Sovietica aveva pochissimo sostegno a Washington e, sebbene l’amministrazione Truman fosse determinata a non lasciare che l’Europa cadesse ulteriormente sotto l’influenza sovietica, c’era poca voglia di un’alleanza formale che impegnasse gli Stati Uniti a intervenire militarmente in Europa così presto dopo la fine della guerra e la smobilitazione su vasta scala che l’aveva seguita. Inoltre nel Congresso americano, che avrebbe dovuto ratificare qualsiasi trattato, era presente una significativa lobby isolazionista, che doveva essere rispettata.

Il risultato si vide soprattutto nel famoso articolo 5 del Trattato, una clausola che colmava il divario tra il minimo che gli europei potevano accettare e il massimo che gli americani potevano dare tramite una formula gnomica che entrambe le parti potevano interpretare come volevano. Sebbene la struttura militare istituita in seguito coinvolgesse gli Stati Uniti militarmente e assicurasse che le truppe statunitensi fossero tra le prime vittime di eventuali combattimenti, le tensioni di fondo non sono mai scomparse e, fino alla fine della Guerra Fredda, gli europei hanno temuto che gli Stati Uniti avrebbero cercato di imporre un accordo ai loro alleati piuttosto che combattere effettivamente al loro fianco.

Un terzo tipo di negoziato è quello che viene imposto a una parte, o che quest’ultima non può evitare. L’accordo tra gli Stati Uniti e i Talebani per il ritiro delle forze americane nel 2021 ne è un esempio. Anche tutti i negoziati di resa rientrano in questa tipologia: persino la resa incondizionata delle forze tedesche e giapponesi nel 1945 incluse una serie di dettagli pratici da definire tra le due parti. La ritirata delle forze serbe dal Kosovo nel 1999 non è stata una vera e propria resa (se ne sono andate in buon ordine e in gran parte intatte), ma è stata politicamente imposta ed era ineluttabile, e anche in questo caso c’era tutta una serie di dettagli pratici che dovevano essere negoziati. Il rischio, naturalmente, è che la potenza o le potenze vincitrici si lascino prendere la mano e cerchino di imporre condizioni pericolose o irrealistiche alla parte più debole. Finora i russi si sono comportati con moderazione, ma la guerra non è ancora finita.

Quindi, di queste tre grandi tipologie, a quale sembrano riferirsi i sostenitori dei “negoziati” sull’Ucraina? Beh, a nessuna di esse in realtà, per quanto posso vedere. Il dibattito sembra incentrato sulle condizioni che l’Occidente dovrebbe cercare di imporre alla Russia e sulle concessioni che gli ucraini potrebbero accettare di fare, almeno nel breve periodo. Le ragioni sono molteplici e riguardano soprattutto il delicato ego collettivo della comunità strategica occidentale, e tornerò su questo punto alla fine del saggio. Ma per ora il punto che voglio sottolineare è che anche i più audaci e arroganti pensatori radicali occidentali non solo tradiscono la completa mancanza di una visione realistica del mondo (ma questo lo sapevamo già), ma dimostrano anche una totale ignoranza di cosa siano i negoziati, del perché avvengano, di come vengano condotti e di cosa ci si possa ragionevolmente aspettare da essi.

Ora, una suggestione che circola tra le frange più audaci della comunità strategica occidentale è l’idea di un “congelamento” del conflitto, apparentemente sul modello di armistizio che ha congelato la guerra di Corea. Questo permetterebbe all’Occidente di ricostruire l’Ucraina e le sue forze armate per il prossimo round. Anche tralasciando l’ovvia considerazione che non esiste alcuna ragione al mondo per cui la Russia dovrebbe accettare un’idea del genere – che potrebbe funzionare solo se entrambe le parti cooperassero – questa ipotesi suggerisce che queste persone certamente sanno poco o nulla dell’esempio cui si riferiscono.

Per cominciare, l’armistizio di Corea fu un esempio della seconda categoria di negoziati sopra descritta. Ovvero, un numero sufficiente di attori chiave da entrambe le parti (di fatto i cinesi e le Nazioni Unite) ha accettato il fatto che una vittoria completa sarebbe stata costosa e difficile, e forse impossibile, e quindi aveva senso congelare i combattimenti. Dopo di che, sebbene formalmente esista ancora uno stato di guerra, non c’è mai stata alcuna seria possibilità che il conflitto ricominciasse. (Dubito che coloro che parlano di un conflitto “congelato” siano mai stati nella DMZ o abbiano un’idea delle guarnigioni che la circondano). È evidente che oggi una simile ipotesi sia da escludere. I russi non hanno alcun interesse a una stasi del conflitto poiché, se da un lato stanno pagando un prezzo per la guerra, dall’altro il prezzo che sta pagando l’Occidente è più alto, e sarà sempre più così. In ogni caso, una sospensione dei combattimenti (l’ipotesi di cui stiamo parlando) potrebbe in realtà destabilizzare internamente l’Ucraina stessa e creare una frattura tra il suo governo e quelli delle nazioni occidentali. Vale la pena ricordare che sono state le Nazioni Unite, e soprattutto gli Stati Uniti, i maggiori fautori di un armistizio: le leadership politiche di entrambe le fazioni coreane volevano combattere fino alla vittoria totale, e ci è voluto del tempo per convincerle a non farlo. Qualcosa di simile potrebbe accadere in Ucraina. C’è quindi un’idea dilettantesca e disinformata del quadro politico di base della situazione, e la presunzione che i “negoziati” del tipo che l’Occidente ipotizza possano avvenire quando l’Occidente desidera, senza tenere conto delle opinioni e degli obiettivi delle controparti.

In ogni caso, l’accordo di armistizio firmato nel luglio 1953 aveva una portata molto limitata. Aveva un contenuto puramente militare, fu firmato dalle Nazioni Unite, dai cinesi e da quella che sarebbe stata la Corea del Nord (la Corea del Sud non l’ha mai firmato) e riguardava questioni puramente militari di cessazione delle ostilità e di scambio di prigionieri di guerra. Avrebbe dovuto essere seguito da negoziati di pace e da uno o più trattati, ma ciò non è mai avvenuto, soprattutto a causa dell’opposizione degli Stati Uniti. È questo che gli opinionisti chiedono ora? Dopo tutto, qualcuno crede davvero che l’Occidente avrebbe mano libera in Ucraina dopo un ipotetico cessate il fuoco? E che senso avrebbe, anche nella ristretta prospettiva occidentale, un cessate il fuoco che lasciasse l’Ucraina di fatto ancora in guerra, tenuta in vita solo dagli aiuti occidentali, senza alcuna prospettiva di resistere a un serio attacco militare russo, con una popolazione in continua diminuzione e in perenne crisi politica, il tutto a fronte della promessa di un futuro invio di aiuti militari una volta ricostituite le scorte occidentali e aumentata la produzione? Questo approccio, per usare un eufemismo, contraddice uno dei principi fondamentali dei negoziati: decidere cosa si vuole dalle trattative e cosa si intende fare una volta ottenuto.

Eppure è strano che gli opinionisti (che presumibilmente riflettono almeno alcune posizioni ufficiali) abbiano scelto la Corea come esempio. Ce n’è uno molto più vicino a noi: l’Accordo di Minsk, o meglio gli Accordi, che avrebbero dovuto risolvere il problema che ha determinato la guerra. Poiché spesso ci si riferisce a quegli accordi, ma raramente vengono davvero citati, diamo un’occhiata al loro testo. Il primo degli accordi, datato 5 settembre 2014 (“Minsk 1”), è stato trasmesso dalla delegazione ucraina alle Nazioni Unite il 24 febbraio 2015 e vale la pena soffermarsi su di esso perché esemplifica una serie di questioni sollevate da questo tipo di accordi. In primo luogo, il documento stesso è costituito sia da un “Protocollo”, descritto come un'”Intesa”, sia da un “Memorandum” di accompagnamento che tratta alcuni aspetti della sua attuazione. In altre parole, i documenti non contengono impegni da parte di alcun Paese né specifici obblighi giuridici o politici. I documenti registrano semplicemente ciò che i partecipanti dicono di aver concordato. È previsto il monitoraggio, ma non l’applicazione di quanto concordato.

Il secondo punto riguarda i partecipanti e i firmatari. Il testo è firmato dai rappresentanti del Gruppo di contatto trilaterale (Ucraina, Russia e Oblast’ secessionisti, oltre che dall’OSCE, responsabile del monitoraggio). I leader di Francia e Germania hanno fatto da intermediari nei colloqui, ma non hanno firmato alcun documento. D’altra parte, gli ucraini (che non hanno riconosciuto le regioni secessioniste) hanno insistito affinché i loro leader di allora firmassero solo come singoli individui, non come rappresentanti di alcuna entità politica. Questa è la più semplice delle anticipazioni del tipo di problemi che si presenterà in qualsiasi “negoziato” che l’Occidente voglia prendere in considerazione.

Il terzo punto è il contenuto. Entrambi i documenti sono molto brevi, come ci si potrebbe aspettare da documenti che si occupano principalmente di stabilire dei principi. Detto questo, il Memorandum è estremamente dettagliato in una parte, e ovviamente redatto da specialisti militari, dal momento che contiene anche elenchi molto precisi di equipaggiamenti (soprattutto artiglieria) insieme alle distanze a cui dovrebbero essere arretrati dalla linea di contatto. Il documento è quindi uno strano miscuglio di vaghe aspirazioni future e misure pratiche molto dettagliate da adottare immediatamente.

Infine, la lingua. Quando si tratta di traduzioni le cose sono sempre complicate, ma possiamo dire che entrambi i documenti contengono in gran parte dichiarazioni di buone intenzioni, senza obiettivi o date associate. Qualcuno (presumibilmente il governo ucraino) “attuerà il decentramento amministrativo”, altri “promulgheranno una legge” per punire i crimini di guerra, qualcun altro ancora “adotterà un programma” per la rinascita economica del Donbas. I testi evitano accuratamente di dire chi sia responsabile di cosa, come e quando il “cosa” debba essere realizzato e tanto meno valutato. Il documento evita palesemente qualsiasi accento che assomigli al linguaggio dei trattati (ad esempio, “raggiunta un’intesa” al posto di “concordato”). Ma questa di per sé non è una vera e propria critica: questo era quanto era possibile ottenere dalle parti in quel momento, e rifletteva la loro riluttanza a stipulare un accordo giuridicamente vincolante. D’altra parte, ciò che veramente conta è quello che le parti intendono fare a prescindere dai documenti che hanno firmato, e da ciò che è seguito è chiaro che nessuna delle due parti si fidava dell’altra. Qualsiasi “accordo”, che sia quest’anno o in seguito, sarà molto più complicato e difficile di questo.

A causa della mancanza di fiducia e di impegno sono ricominciati i combattimenti e, dopo ulteriori pressioni da parte di Francia e Germania e una riunione molto lunga e difficile, il 12 febbraio 2015 è stato finalmente concordato un “Pacchetto di misure” per attuare gli accordi di Minsk originali (diventato noto come “Minsk 2”). Si noti ancora una volta che anche questo non è un trattato o un documento esecutivo di alcun tipo, ma si tratta essenzialmente di una registrazione dei punti concordati durante l’incontro firmata dai membri del Gruppo di contatto trilaterale. In alcuni casi (ad esempio la riforma costituzionale) risulta chiaro che il governo ucraino ha promesso di fare qualcosa, in altri non è chiaro chi debba fare cosa. Anche in questo caso sono presenti alcune disposizioni dettagliate relative alle armi pesanti. Vale anche la pena sottolineare che alcune disposizioni vanno al di là dei normali limiti di un trattato, perché impegnano i non firmatari a fare delle cose: ad esempio, il Parlamento ucraino doveva adottare una risoluzione sulle aree a cui si sarebbe applicato un regime amministrativo speciale. Questo genere di cose non compare mai nei trattati per il semplice motivo che nessun governo può impegnare il proprio parlamento. In sostanza, quindi, si tratta di una raccolta di idee intelligenti che, se attuate, avrebbero dovuto contribuire all’attuazione dell’Accordo di Minsk. Anche in questo caso, non si tratta di una critica: è tutto ciò che è stato possibile ottenere dalle parti in quelle circostanze.

Questi risultati estremamente limitati sono stati l’esito di una notevole pressione esercitata dopo un piccolo e breve conflitto in un’area limitata di un Paese. Per questo motivo gli accordi sono venuti meno molto rapidamente, con le parti (comprese quelle non rappresentate) che si sono accusate a vicenda di malafede. (Non entrerò ora nel merito dei diritti e dei torti della questione, ciò che conta è la percezione). La realtà è che, se ci fosse stata la volontà di entrambe le parti di far funzionare gli accordi, in qualche modo avrebbero funzionato. È un errore costante degli esperti di relazioni internazionali (e non solo) supporre che solo perché è stato firmato un accordo di pace scritto ne seguiranno necessariamente dei risultati pratici. In realtà, come ho sostenuto altrove, in assenza di un genuino desiderio di fare dei progressi, gli accordi di pace possono essere pericolosi, e più sono complessi, più possono esserlo. Alcuni accordi di pace hanno scatenato guerre.

Al contrario, negoziati che sembrano impossibili possono in realtà diventare possibili molto rapidamente a causa di un cambiamento o di uno sviluppo della situazione politica. I negoziati per la Riduzione Reciproca ed Equilibrata delle Forze (Mutual and Balanced Force Reductions, MBFR) si sono svolti a Vienna dal 1973 al 1989 senza produrre alcun tipo di trattato perché mancava la volontà politica di fare qualcosa se non parlare. Nel 1989 sono stati sostituiti dai negoziati sulle forze armate convenzionali in Europa (CFE), che all’inizio sono stati accolti con un certo scetticismo. Ma divenne presto chiaro che sia l’Est che l’Ovest avevano deciso che la Guerra Fredda stava per finire e che i colloqui CFE erano il metodo scelto per darle una degna sepoltura. Così sono state stanziate importanti risorse, e in meno di due anni è stato negoziato un trattato enorme e complesso.

Quindi, al di là e prima dei dettagli, che affronteremo tra poco, il primo tema è la volontà politica. Nel sempre mutevole diagramma di Venn di ciò che gli Stati vogliono e sono disposti ad accettare, c’è un’area minima di sovrapposizione in cui si potrebbe raggiungere un accordo utile, e c’è la volontà di raggiungere tale accordo e farlo funzionare? Se sì, bene. In caso contrario, i negoziati potrebbero peggiorare la situazione anziché migliorarla. Per quanto ammiri la professione diplomatica, essa ha la tendenza a considerare tutti i negoziati come buoni e tutti gli accordi, anche i più banali e provvisori, come risultati. (Sebbene, come diceva Churchill, le trattative sono meglio della guerra, la storia dimostra che una trattativa troppo precoce può produrre comunque una guerra.

Quanto detto sopra spero dia un’idea del tipo di questioni che il termine vago e generico di “negoziati” dovrà affrontare. Esaminiamone ora alcune più nel dettaglio, sicuri che nessuno in nessuna capitale occidentale avrà dedicato riflessioni serie ai problemi in questione.

La prima domanda è semplice: negoziati a che scopo? Ammesso che gli opinionisti occidentali abbiano una qualche idea di ciò di cui stanno parlando, sembra che stiano pensando a un Minsk 3, ossia a un cessate il fuoco, al ritiro delle armi pesanti, a promesse di riforme politiche da parte dell’Ucraina e a uno scambio di prigionieri. Non si tratterebbe di un trattato (poiché tali documenti non lo sono per definizione), e sebbene possa essere monitorato ancora una volta dall’OSCE non ci sarebbero disposizioni per la sua applicazione. L’obiettivo sarebbe quello di fermare gli attacchi e le avanzate russe e ricostruire le forze armate ucraine per il prossimo round. Detto così, risulta ovvio che solo chi abbia perso completamente il contatto con la realtà, come il signor Blinken, potrebbe immaginare che un’idea del genere sia accettabile per la Russia.

D’altra parte, è abbastanza chiaro quale sarà l’obiettivo dei russi in qualsiasi negoziato, perché qualsiasi proposta sarà basata sulla bozza di trattato del dicembre 2021, che la NATO si è rifiutata di discutere. Il loro obiettivo sarà un trattato che allontani gli Stati Uniti dall’Europa e riporti la NATO al 1997, e la loro proposta iniziale potrebbe essere ancora più dura dopo diversi anni di combattimenti. Di conseguenza, al netto della parola “negoziati”, le due parti parleranno in realtà di cose completamente diverse.

Forse in questo caso è possibile una certa flessibilità. Ad esempio, l’Occidente non potrebbe presentare delle controproposte (come avrebbe dovuto fare nel 2021) per una futura architettura di sicurezza in Europa? Il problema è che il sistema esistente nel 2021 in realtà andava piuttosto bene per l’Occidente, quindi qualsiasi proposta avanzata ora non può che essere basata sull’accettazione di un sistema peggiore di quello precedente, anche come posizione negoziale di apertura. E chi farà esattamente queste concessioni sulla sicurezza? Chi deciderà? Dopo tutto, i parlamenti degli Stati partecipanti (ci arriveremo tra un attimo) dovrebbero ratificare qualsiasi trattato che alla fine dovesse riusltare. Naturalmente nulla impedisce all’Occidente di presentare proposte volte a far ritirare i russi da una parte o da tutta l’Ucraina, ma questo sarebbe semplice teatro. Il problema è che la NATO non ha nulla da offrire che sia accettabile per i propri elettori, che i russi non possano prendersi o far accadere comunque, e non può costringerli a dare qualcosa di importante in cambio. Questa quindi non è una buona base per i negoziati.

Ma c’è di peggio, a causa delle posizioni politiche estreme delle due parti. La versione ufficiale occidentale del 2021-22 sembra emergere ora, ad esempio dal recente discorso di Stoltenberg, il Segretario Generale della NATO. In questa rappresentazione la Russia, forte del suo massiccio rafforzamento militare, ha tentato di ricattare la NATO affinché rifiutasse l’adesione dell’Ucraina, per poi tornare ai confini del 1997. Quando la NATO ha rifiutato di farsi intimidire, Putin ha lanciato una guerra per invadere tutta l’Europa, ma è stato fermato dai coraggiosi ucraini con l’aiuto dell’Occidente. Ora, vista l’enorme quantità di denaro e di armi che le nazioni della NATO hanno fornito, come può un leader nazionale andare in parlamento e dire: “Bene, ragazzi, in realtà l’Ucraina alla fine non entrerà nella NATO e la Russia potrà prendersi i territori che vuole: lo dice la bozza di trattato che abbiamo presentato”? Dal canto suo, il governo russo sarà probabilmente soggetto alle medesime pressioni, al punto che la bozza di trattato del dicembre 2021 potrebbe ora sembrare troppo mite per gran parte della popolazione. E gli ucraini? Beh, a loro ci arriveremo tra un attimo.

Ora, non è impossibile che in qualche modo, da qualche parte, un gruppo di Stati si riunisca per scambiare opinioni, registrare richieste, rifiutare richieste e così via, e se fossimo di buon umore potremmo chiamare tutto questo “negoziati”. Ma non saranno negoziati, nel senso che non ci sarà né la volontà né la capacità di fare alcun progresso sostanziale.

Il che ovviamente solleva un’altra questione: chi parteciperà e, in questo contesto, chi firmerà e chi sarà vincolato da cosa? Gli accordi di Minsk sono stati (relativamente) facili. Da una parte il governo ucraino, dall’altra i ribelli e i russi, nel mezzo l’OSCE e, a intermediare fra le parti, i francesi e i tedeschi. Da allora la situazione è diventata incomparabilmente più complessa: i Paesi della NATO, in misura diversa, sono sostanzialmente ma non formalmente parti in causa nel conflitto. Gli oblast’ occupati fanno ora parte della Russia. Logicamente, qualsiasi negoziato dovrebbe avvenire tra Russia e Ucraina, ma questo pone due problemi evidenti. Il primo è che non è chiaro chi parli a nome dell'”Ucraina” anche sul fronte interno. Qualsiasi conclusione o anche solo una pausa dei combattimenti potrebbe scatenare forze politiche con obiettivi molto diversi, tanto che qualsiasi delegazione ucraina non sarebbe in grado di parlare a nome del Paese nel suo complesso. Cosa succede se a metà dei negoziati si verifica un colpo di stato militare? Cosa succede se diversi gruppi pretendono di rappresentare il governo e il popolo, con obiettivi diversi? E se altri gruppi non presenti ai negoziati cercassero di esercitare un controllo a distanza? (Questo è ciò che è accaduto ai negoziati di Rambouillet nel 1999, che hanno preceduto l’attacco alla Serbia. Secondo qualcuno che era presente ai negoziati il leader della delegazione kosovara albanese, un esponente politico, fu costretto a dire a Madeline Albright, la principale negoziatrice statunitense, che era impossibile per lui firmare la bozza di trattato preparata dagli Stati Uniti poiché in tal caso l’Esercito di liberazione del Kosovo lo avrebbe assassinato al suo ritorno a casa).

Il secondo problema è che l’Ego collettivo dell’Occidente non tollererebbe di essere escluso da tali negoziati, anche se è assai più incerto se essi sottoscriverebbero effettivamente degli obblighi, e ancor meno se i loro parlamenti accetterebbero di ratificarli. Eppure tutti sarebbero perfettamente consapevoli che l’Occidente sta manipolando la delegazione ucraina, o che almeno ci sta provando. Da parte loro, è chiaro che i russi non considerano gli ucraini come attori indipendenti, e quindi pretenderebbero che i negoziati fossero tra loro e la NATO, con l’Ucraina come semplice punto all’ordine del giorno.

Da quanto ho detto finora dovrebbe risultare evidente la necessità di abbandonare l’idea di “negoziati” in senso proprio, almeno finché la situazione non cambierà radicalmente. Ma ipotizziamo un’improvvisa esplosione di razionalità e moderazione nelle capitali occidentali, un cambio di governo, una crisi economica e politica o altro del genere. Cosa si potrebbe organizzare che assomigli a un negoziato e che possa portare a qualche risultato? Supponiamo che l’Occidente accetti un modello di accordo simile alla proposta russa: un nuovo assetto di sicurezza per l’Europa, con le questioni relative alla NATO in discussione e l’Ucraina da considerare come caso a sé. Benissimo. Ma come si potrebbe far funzionare tutto ciò?

Tanto per cominciare, chi parla a nome dell'”Occidente”? I negoziati si svolgono classicamente tra entità sovrane che possiedono la capacità giuridica di stipulare trattati. L’Unione Europea ce l’ha (ad esempio nel trattato di uscita dall’UE stipulato con il Regno Unito), ma la NATO no. Quindi, ad esempio, l’adesione della Finlandia alla NATO è stata registrata sotto forma di Protocollo al Trattato di Washington, stabilendo che “le Parti del Trattato Nord Atlantico” avevano concordato che la Finlandia avrebbe depositato uno strumento di adesione presso gli Stati Uniti (come Stato depositario) e che ogni membro della NATO avrebbe poi notificato la propria accettazione dello strumento. La ragione di questa procedura farraginosa è che la “NATO” non può concordare nulla, né i suoi Stati membri le permetterebbero di farlo. In qualsiasi futuro trattato teorico, la “NATO” non sarebbe firmataria, né sarebbe rappresentata al tavolo dei negoziati, né avrebbe obblighi e diritti in base al trattato. Tutto questo è di pertinenza dei singoli Stati. Qualcosa di simile è già accaduto in passato, con il già citato Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa del 1990. In quel caso è stato necessario un abile lavoro per conciliare il fatto che i negoziati fossero tra blocco e blocco, tra la NATO e il Patto di Varsavia, con il fatto che il trattato doveva essere firmato e attuato dalle singole nazioni. Allo stesso modo, all’interno della stessa NATO furono necessari infiniti, laboriosi e spesso difficili negoziati interni per cercare di stabilire una posizione comune.

Quindi, in pratica, un futuro “negoziato” intercorrerebbe con i membri ufficiali della NATO, che tratterebbero in modo indipendente ma cercando di mantenere una posizione comune, la Russia, l’Ucraina in una o più configurazioni e forse altri soggetti. L’Australia vorrebbe partecipare? E la Svizzera? Chi decide? E che status avrebbe, ad esempio, l’Australia in veste di fornitore di aiuti? Quali obblighi sottoscriverebbe Canberra? Sarebbe necessario un grado di concordia quasi sovrumano anche solo per definire il contenuto dei negoziati e le regole procedurali. Sebbene esistano numerosi esempi di trattati firmati tra un gran numero di Stati con diverse posizioni non esiste, per quanto ne so, alcun precedente di un negoziato effettivamente aperto che coinvolga un numero così elevato di partecipanti, su questioni così difficili e complesse, con la maggior parte dei partecipanti obbligati a coordinare i propri punti di vista nonostante le enormi differenze oggettive delle loro rispettive situazioni. Anche in questo caso, un altissimo grado di concordanza politica potrebbe teoricamente unire i governi occidentali e questo potrebbe accelerare le cose, ma il problema è che la posta in gioco è così importante e complessa, e le implicazioni strategiche per i diversi Paesi così diverse, che mantenere un tale consenso è davvero pura fantasia. Il risultato pratico è che, anche se un tale negoziato dovesse iniziare, potrebbe essere interrotto in qualsiasi momento da dispute tra gli Stati su un numero quasi infinito di questioni.

C’è un’intera lista di altre questioni di dettaglio ma comunque importanti, per le quali potrebbero servire mesi per trovare un accordo. Ad esempio, dove tenere i colloqui? Molte delle classiche sedi neutrali (Ginevra, Helsinki, Vienna) sembrano ora sconsigliabili. Ankara potrebbe andare bene, ma dopotutto si tratta di una nazione appartenente alla NATO anche se i turchi hanno fatto il doppio gioco. I russi potrebbero quindi proporre Minsk, e le discussioni cadrebbero subito. Senza dubbio gli ucraini indicherebbero Kiev o Washington. Questa situazione potrebbe andare avanti (e probabilmente lo farebbe) per mesi. E immaginate, ad esempio, le difficoltà logistiche di organizzare i negoziati tra, diciamo, trentacinque Paesi? Quaranta? Tenendo presente che la maggior parte del lavoro reale non si svolge in seduta plenaria ma in gruppi di lavoro e sessioni informali, quanti luoghi al mondo possiedono un’infrastruttura in grado di ospitare questo incubo logistico? E poi ci sono la traduzione e l’interpretazione. Quante lingue ufficiali ci sarebbero? Almeno tre (russo, inglese e francese) e probabilmente anche “ucraino”. Immaginate le discussioni su quale sia la lingua autentica di default per i documenti e sul reperimento degli interpreti e dei traduttori necessari.

Potrei continuare ancora. Ma alla fine quello che stiamo vedendo è la comunità strategica occidentale negoziare con sé stessa, dato che nessun altro negozierà con lei, e cercare di sondare i limiti estremi di ciò che il suo fragile ego è in grado di accettare senza crollare. Nulla di tutto ciò ha una grande attinenza con la vita reale. Una delle cose da tenere a mente per quanto riguarda il successo dei negoziati è che non si possono forzare le persone o le loro conclusioni. L’Occidente ha una lunga storia di forzature nei negoziati e negli accordi con altre nazioni, naturalmente per quelle che considera buone ragioni. Questi tentativi falliscono perché i partner non sono pronti o non si fidano l’uno dell’altro, o perché le circostanze sottostanti non sono favorevoli. Non ci sarà nulla di tutto ciò con i russi, che negozieranno quando ne avranno voglia, se mai ne avranno voglia. L’Occidente parla di una guerra infinita che non ha né le forze, né l’equipaggiamento, né la capacità, né la volontà politica di affrontare. Il risultato effettivo sarà una sorta di perenne ostilità e, alla fine, i sogni occidentali di trionfo tramite i negoziati si riveleranno un’illusione come i loro sogni di trionfo sul campo di battaglia.

 

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Il Terribile, Orribile, Non Buono, Molto Cattivo Festival di Zelensky a Washington, di SIMPLICIUS THE THINKER

La guerra di Zelensky sembra essere sull’orlo del baratro. Dopo una delusione all’assemblea delle Nazioni Unite a New York, è ora a Washington per l’ultima tappa del suo viaggio di supplica per assicurare la continuazione della guerra.

Purtroppo finora non sta andando molto bene. Il tanto sperato e decantato ATACMS sembra essere già fuori uso:

Uno dei punti chiave di questo viaggio, ci è stato detto per diverse settimane, era che Biden avrebbe annunciato il trasferimento dell’ATACMS in Ucraina di persona con Zelensky, il che avrebbe rappresentato un grande momento simbolico di solidarietà, dimostrando la continua determinazione e l’impegno degli Stati Uniti nella tanto chiacchierata prosecuzione a lungo termine della guerra. Anche Jihad Julian è sconfortato:

Foreign Policy afferma che tutte le agenzie statunitensi avrebbero accettato di inviare il missile, ma l’ultima decisione è stata lasciata a Biden:

Un collaboratore del Congresso, che ha parlato con Foreign Policy a condizione di anonimato, ha detto che tutte le agenzie statunitensi avevano accettato di inviare il sistema missilistico tattico dell’esercito americano. “Se non si farà, sarà perché lo stesso [presidente Joe] Biden ha detto di no”, ha detto la persona.
Invece, le cose si stanno inasprendo e nulla va come previsto per Zelensky. Ricordiamo che recentemente qualcuno aveva chiesto quali fossero le linee rosse dell’Ucraina nei confronti dei loro padroni negli Stati Uniti. Alcuni osservatori continuano ingenuamente a pensare che gli Stati Uniti siano una forza impenetrabile e intoccabile – come amano dipingersi – che non teme alcuna linea rossa russa. Al contrario, continuo a informare le persone che dietro le quinte esistono serie linee rosse che gli stessi Stati Uniti temono di oltrepassare. Questo perché rimangono molte leve di pressione che la Russia stessa non ha ancora esercitato e che potrebbero facilmente rendere la vita degli Stati Uniti molto più difficile, sia militarmente che economicamente e geopoliticamente in Europa.

Il Presidente della Camera McCarthy ha ora annullato l’auspicato discorso di Zelensky al Congresso:

Ora sono in corso una serie di furiosi negoziati, con i membri del Congresso che cercano disperatamente di ottenere da Zelensky una qualche garanzia. Tuttavia, un ampio contingente di repubblicani sta cercando di rovinare le cose:

Per non essere messo in ombra, il più grande sviluppo di tutti è stato che un’improvvisa e inaspettata spaccatura tra Ucraina e Polonia ha minacciato di far fallire completamente la guerra. Stufa delle buffonate dell’Ucraina sulla vicenda del grano, il premier polacco ha dichiarato in modo inusuale che la Polonia non fornirà più armi all’Ucraina:

Per essere chiaro, ha anche aggiunto un’ulteriore minaccia:

Morawiecki ha poi proseguito con una dichiarazione televisiva che ha rappresentato un ulteriore inasprimento della frattura apparentemente crescente. “Metto in guardia le autorità ucraine”, ha dichiarato, “perché se dovessero inasprire il conflitto in questo modo, aggiungeremo altri prodotti al divieto di importazione in Polonia”. “Le autorità ucraine non capiscono fino a che punto l’industria agricola polacca sia stata destabilizzata. Stiamo proteggendo gli agricoltori polacchi”.
E questo dopo che lo stesso presidente polacco ha scioccamente definito l’Ucraina un “uomo che sta annegando” e che può trascinarvi a fondo insieme a lui:

A ciò è seguita una serie di rapidi “interventi di pulizia”, che hanno visto il portavoce polacco Piotr Müller massaggiare la dichiarazione di Morawiecki in: “Le autorità polacche stanno fornendo all’Ucraina le armi concordate in precedenza” – il che suona come se stesse dicendo solo quelle concordate in precedenza, ma non altre nuove.

Nel frattempo, l’ex premier polacco Szydlo ha rivelato la verità dicendo la parte silenziosa ad alta voce:

Il deputato polacco Kaczyński ha dichiarato: “La Polonia continuerà a sostenere l’Ucraina nella sua lotta contro la Russia, ma nel nostro accordo non c’era alcuna clausola che prevedeva la liquidazione dell’agricoltura polacca a causa della protezione dell’Ucraina”.

Un membro del “Partito della Confederazione” polacco ha persino presentato una finta fattura all’Ucraina, mostrando tutto ciò che la Polonia ha fornito:

Il conto che il partito polacco “Confederazione” ha presentato ieri all’Ucraina per il pagamento, dopo il brillante discorso di Zelensky all’ONU (in zloty):Aiuti militari – 14 miliardiAiuti umanitari – 4,3 miliardiAssistenza finanziaria – 1,6 miliardiAssistenza ai rifugiati ucraini – 71,4 miliardiAssistenza privata da parte dei polacchi – 10 miliardiTOtale: 101,3 miliardi di zloty, o 23,5 miliardi di dollariStiamo aspettando che Zelensky firmi un assegno?
AsiaTimes scrive:

 

Zelensky potrebbe convincere il Congresso degli Stati Uniti a stanziare più soldi per i combattimenti. Ma questa potrebbe essere la sua ultima vittoria. Potrebbe ricevere un pacchetto ridotto ed essere mandato via. Non c’è stata una vera svolta durante la controffensiva e l’Ucraina ha consumato la maggior parte delle sue riserve strategiche. I rapporti dicono che l’Ucraina sta perdendo più di mille persone al giorno, a volte circa duemila, e questo non è un granché. Gli Stati Uniti e alcuni dei loro partner della NATO hanno chiarito che non approvano le tattiche militari dell’Ucraina, anche se gran parte di esse sono state guidate da modelli informatici della NATO e da un forte supporto di intelligence“.
Ma la delegazione ucraina persiste. Comicamente, il portavoce Yuri Ignat guarda già oltre gli F-16 e parla di ricevere gli F-35:

“Dobbiamo anche pensare al futuro, non a un solo F-16. Ci sono gli F-35 e ci sarà anche un nuovo modello di Gripen”. Ci sono aerei F-35, ci sarà anche un nuovo modello di Gripen”, ha detto durante un briefing presso il centro media ucraino, che è stato trasmesso su YouTube.Ignat ha detto che al momento l’Ucraina considera una priorità ricevere i caccia di quarta generazione F-16 dagli Stati Uniti, al secondo posto nella lista delle priorità – i caccia della stessa generazione JAS 39 Gripen in servizio in Svezia.

Detto questo, credo che la maggior parte delle questioni sarà risolta per ora, ma rappresentano una chiara direzione del conflitto. Ad esempio, il conflitto con la Polonia ha probabilmente a che fare con la postura in vista delle prossime elezioni polacche di ottobre. Il premier Morawiecki deve apparire forte e dimostrare che sta difendendo valorosamente gli interessi polacchi, in modo da poter essere riconfermato.

Allo stesso modo, i membri del Congresso degli Stati Uniti stanno probabilmente recitando un po’ per mostrare al popolo americano che stanno facendo la loro “due diligence” nell’assicurarsi che ogni dollaro americano sia contabilizzato in Ucraina, ma alla fine l’accordo per ulteriori finanziamenti probabilmente andrà in porto.

Ma, come ho detto, questi sviluppi rappresentano ancora una chiara tendenza al ribasso per la traiettoria dell’Ucraina. E poiché questo è solo il risultato di una stagione offensiva fallita, il procedimento è indicativo e portentoso di ciò che accadrà nel corso del prossimo anno, quando l’Ucraina si troverà ancora più in difficoltà.

Nonostante i finanziamenti siano stati messi a punto per il momento, è probabile che rappresentino comunque una cifra molto inferiore, e il completo rinnegamento delle sperate armi “wunderwaffen” rappresenta un importante cambiamento di realtà.

Per quanto riguarda il budget, il bilancio federale annuale dell’Ucraina richiede circa 50 miliardi di dollari solo per far funzionare i servizi governativi. Ora che l’Ucraina è in stato di guerra e che decine di milioni di persone sono fuggite, le entrate fiscali sono catastroficamente diminuite. Negli anni precedenti, credo che l’Ucraina stesse già operando con un pesante deficit, in cui il governo riceveva solo circa 20-25 miliardi di dollari, con un enorme ammanco di 20-25 miliardi di dollari.

Ora la situazione è ancora peggiore. E si tenga presente che questo non conta nemmeno le spese militari/di guerra, che si aggirano tra i 60 e i 100 miliardi di dollari. Ciò significa che l’Ucraina ha bisogno di un totale di oltre 100 miliardi di dollari all’anno per far funzionare il suo Stato e continuare a portare avanti la guerra. Ecco perché le iniezioni di 25 miliardi di dollari attualmente in discussione a Washington sono sostanzialmente trimestrali.

Come ho detto, la pressione sta iniziando a diventare evidente dopo solo pochi mesi di tentativi falliti di controffensiva. Entro la prossima primavera, l’Ucraina avrà trascorso 6 mesi da oggi, probabilmente, ad essere schiacciata nell’oblio senza più alcuna speranza all’orizzonte. Se i titoli dei giornali sono negativi ora, il sentimento prevalente tra 6 mesi sarà apocalittico.

L’articolo di Newsweek sopra citato, scritto dal tenente colonnello in pensione Daniel L. Davis, fa una delle più grandi ammissioni del conflitto fino ad ora:

Dice che l’Ucraina ha perso altri 50.000 morti solo durante la parte di quest’anno, presumibilmente tenendo conto di Bakhmut e della controffensiva. Ciò significa che anche le fonti occidentali ammettono che l’Ucraina ha perso decine di migliaia di persone in ognuna di esse. Non è ancora del tutto la realtà, dato che Prigozhin ha parlato di 60-70 mila morti dell’AFU solo a Bakhmut, ma stanno iniziando ad avvicinarsi alla verità. Un’ammissione di 50k morti – senza contare le decine di migliaia di mutilati e feriti irrecuperabili – solo da marzo o giù di lì (dato che ha detto che questo conteggio è di un anno dopo l’inizio dell’SMO, che sarebbe alla fine di febbraio 2023) di quest’anno significa 50k in 6 mesi, cioè 8.333 al mese o quasi 300 al giorno.

Quindi, stanno ammettendo che l’Ucraina ha una media di 300 morti al giorno per tutto l’anno, il che significa almeno altri 100-200 feriti irrecuperabili e altre centinaia di feriti regolari, per un totale potenziale di 1000 vittime e oltre al giorno, in media. Inoltre, per ammissione dei loro stessi numeri, stanno dicendo che l’Ucraina ha subito un aumento di circa il 400% delle perdite rispetto allo scorso anno. Questo perché 50.000 vittime in un periodo di 6 mesi quest’anno corrispondono a 100.000 vittime in 12 mesi. Ha dichiarato che l’anno precedente le vittime erano state 17k.

Anche se sappiamo che la cifra di 17k è falsa, il punto è che stanno ammettendo che l’Ucraina sta sperimentando un aumento di 5 volte delle vittime quest’anno rispetto all’anno scorso. Se si estrapola questo dato in cifre reali e si dice che nel 2022 si sono avute 100.000 vittime, allora quest’anno se ne prevedono 500.000, ecc. O 50k per il 2022 contro 250k per il 2023, ecc.

Tra l’altro, un deputato della Rada ucraina non solo ha detto che l’Ucraina dovrà fare una mobilitazione “molto più intensa”, ma è interessante notare che l’80% delle forze armate sono ora mobilitate che non hanno mai combattuto prima…

Secondo il deputato, l’Ucraina dovrà effettuare una mobilitazione “più intensa di quella attuale” se la Federazione Russa, come ha riferito in precedenza lo Stato Maggiore ucraino, richiamerà altre 700.000 reclute: “Ora ci stiamo mobilitando, reagendo alle forze e ai mezzi che hanno i russi. Per esempio, hanno circa 400.000 militari. Pertanto, stiamo rispondendo alla mobilitazione, rifornendo le nostre unità in prima linea, formandone di nuove. Naturalmente, se la mobilitazione in Russia avrà un ritmo tale, dovremo aumentare la mobilitazione per essere in grado di rispondere adeguatamente”, ha detto Kostenko. Secondo Kostenko, le Forze armate dell’Ucraina sono composte per l’80% “o anche di più” da persone mobilitate che in precedenza non erano militari professionisti.
Ricordiamo la rivelazione dell’ultima volta, in cui il commissario di Poltava ha detto che il tasso di vittime per la sua regione era dell’80-90% e abbiamo parlato di come questo potesse estendersi a tutte le forze armate. Sembra sempre più chiaro che l’80-90% dell’intera AFU sia stato effettivamente spazzato via. A seconda di quale sia il numero di partenza, se 200.000 o 1 milione, come ha sostenuto Zelensky, si possono trarre le proprie conclusioni sulle perdite totali. Sembra che quelle osservazioni “ironiche” sul fatto che l’Ucraina abbia spazzato via l’intero primo esercito e che ora stia operando con il secondo o il terzo esercito, forse non erano lontane dalla verità.

E se non credete ai numeri di cui sopra, ecco un soldato dell’AFU catturato di recente che afferma chiaramente che il 95% della sua unità era costituito da coscritti appena mobilitati:

Ma torniamo al tenente colonnello Davis, che conclude l’articolo di Newsweek con la triste constatazione che il potenziale offensivo dell’Ucraina è finito e che gli Stati Uniti dovrebbero ora non solo cedere le proprie responsabilità di finanziamento/armatura agli alleati, ma anche istruire l’Ucraina a passare a una strategia difensiva:

Non esiste quindi una base realistica per credere che l’Ucraina abbia la capacità di raggiungere l’obiettivo strategico dichiarato di recuperare tutto il suo territorio, compresa la Crimea. Ciò che è realistico è continuare a fornire a Kiev i mezzi militari per difendersi da ulteriori incursioni russe. Questo obiettivo dovrebbe essere combinato con lo spostamento di una percentuale crescente dell’onere per ulteriori armi e munizioni ai nostri ricchi amici europei. Gli Stati Uniti dovrebbero continuare a garantire che la guerra non si espanda oltre i confini dell’Ucraina e aumentare gli sforzi diplomatici con tutte le parti interessate per porre fine alla guerra alle migliori condizioni possibili per Kiev, il tutto a vantaggio degli interessi americani. Piuttosto che ripetere nel prossimo anno e mezzo ciò che non ha già funzionato – che potrebbe costare all’Ucraina altre centinaia di migliaia di perdite – è ora di provare qualcosa che abbia una possibilità di successo. In altre parole, è ora di riconoscere la realtà oggettiva e di adottare politiche che possano funzionare.
Sta dicendo che l’Ucraina dovrebbe semplicemente passare a difendersi da qualsiasi ulteriore avanzata russa e che gli Stati Uniti dovrebbero iniziare a cercare una via d’uscita da questa guerra. Che sorpresa.

E la nuova edizione dell’Economist, appena uscita dalla stampa, ha una copertina sgargiante con un messaggio leggermente diverso:

L’Economist ritiene che tutto debba essere riconfigurato per una lunga guerra, con l’Europa che intensifica la produzione e l’Ucraina che ripensa la propria economia per una piena produzione bellica. La pace non è un’opzione, secondo l’Economist di proprietà di Lynn Forester de Rothschild.

Nel frattempo, ieri sera la Russia ha iniziato il primo dei colpi debilitanti di questa stagione sulle infrastrutture ucraine. Le strutture energetiche sono state colpite con gravi perdite di energia elettrica in tutta una rete di città.

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Giovedì i missili russi hanno danneggiato le infrastrutture energetiche dell’Ucraina centrale e occidentale, ha dichiarato l’operatore della rete nazionale ucraina Ukrenergo. Sulla app di messaggistica Telegram ha dichiarato che gli attacchi hanno causato l’interruzione dell’elettricità in cinque regioni: Kiev, Zhytomyr, Dnipropetrovsk, Rivne e Kharkiv.
Decine di video mostrano impianti in fiamme a Kiev, Lvov e in molte altre città.

Come al solito, l’Ucraina ha affermato di aver abbattuto la maggior parte dei missili, una solita tattica per salvare la faccia:

La cosa importante è che le statistiche che ho visto sostengono che solo il 25% delle infrastrutture distrutte durante gli attacchi dello scorso inverno sono state riparate. Se fosse vero, ciò significherebbe che la Russia potrebbe dare un colpo mortale alla rete elettrica ucraina nel prossimo autunno e inverno. Con la diminuzione delle spedizioni di armi, dei finanziamenti occidentali e così via, ciò contribuirebbe notevolmente a creare la massa critica entro la prossima primavera che ho descritto in precedenza.La Russia girerà le viti di quelle pinze e continuerà a stringere il suo boa constrictor sull’Ucraina e su tutta l’Europa fino a quando il dissenso, i disordini e gli attriti interni non saranno arrivati al culmine. Basta guardare il video che ho postato prima, in cui Schumer cita Zelensky: “Se non otteniamo questi aiuti, perderemo la guerra”.Questo è il motivo per cui non credo che la Russia abbia una particolare fretta di effettuare presto una qualsiasi improvvisa “offensiva delle grandi frecce”. L’attuale tattica attrattiva sta già facendo il suo lavoro da manuale, con solo piccoli intoppi che la guastano, come gli occasionali successi dell’Ucraina con le Ombre della Tempesta. A parte questo, l’Ucraina si è impalata sui pali della linea di Zaporozhye di Vlad, così come l’Europa ha ritenuto opportuno impalarsi sul dito medio economico alzato della Russia.

Più antico dell’Edda: “La risorsa più preziosa in guerra, che sempre manca, non sono le armi, le munizioni, i trasporti e nemmeno il personale. La risorsa più preziosa è il tempo, perché se lo si possiede si possono trovare armi, piazzare munizioni, mettere in ordine i trasporti e persino risolvere in qualche modo il problema della mancanza di personale. Ma se non c’è tempo e le vostre decisioni vengono ritardate a causa delle rapide azioni del nemico, allora anche avere a disposizione tutto ciò che abbiamo detto potrebbe non salvarvi.Il tempo è esattamente ciò che abbiamo ora, grazie al fatto che l’offensiva di Khokhl sta andando come sta andando. Il lento rosicchiamento in “assalti di carne” ci permette di rafforzare le nostre difese, di mettere ulteriori campi minati, di trasferire le riserve da aree meno stressate e di pensare in generale a cosa dobbiamo fare dopo”.
Indipendentemente dall’angolazione da cui gli eurocrati con gli occhi a muro affrontano le prospettive per il prossimo anno, non sembrano favorevoli.

Gli Stati Uniti hanno annunciato di voler espandere la produzione di artiglieria un po’ prima del previsto, con 100.000 proiettili mensili entro il 2025 invece degli 80.000 previsti. Ora ne produce 25k, quasi il doppio rispetto ai 14k mensili dell’anteguerra. Entro il 2024, si prevede di sfornare 65.000 granate al mese. Ma questi numeri, anche nel 2025, non sono affatto sufficienti e i problemi sono infiniti:

I prezzi delle attrezzature e delle munizioni stanno aumentando. In questo momento, stiamo pagando sempre di più esattamente per le stesse cose”, ha detto sabato l’ammiraglio olandese Rob Bauer, presidente del comitato militare della NATO, dopo una riunione dei capi della difesa dell’alleanza a Oslo. “Questo significa che non possiamo assicurarci che l’aumento della spesa per la difesa porti effettivamente a una maggiore sicurezza“.
I 100.000 proiettili mensili degli Stati Uniti entro il 2025 significherebbero una produzione di 1,2 milioni all’anno. Un nuovo articolo del NYTimes afferma che la Russia sta già producendo 2 milioni di proiettili. Anche se le mie stime mostrano che questo dato è probabilmente molto più basso della realtà, ma almeno sono sulla strada giusta.

Senza contare che:

 

I costi di produzione della Russia sono anche molto più bassi di quelli occidentali, in parte perché Mosca sta sacrificando la sicurezza e la qualità nel suo sforzo di costruire armi più economiche, ha detto Salm. Per esempio, la produzione di un proiettile d’artiglieria da 155 millimetri costa a un Paese occidentale dai 5.000 ai 6.000 dollari, mentre alla Russia costa circa 600 dollari produrre un proiettile d’artiglieria da 152 millimetri.
Certo, “sicurezza e qualità” sono le ragioni per cui i proiettili russi sono più economici. La quantità di piviale per salvare la faccia in Occidente è semplicemente mozzafiato. Si tratta di un aumento di quasi il 1000% sui proiettili russi. I proiettili magici della NATO sono del 1000% più “sicuri” ed efficaci di quelli russi? I filmati sul campo di battaglia suggeriscono un clamoroso no.

 

Come se non bastasse, sembra che gli Stati Uniti stiano affrontando un grave sabotaggio o semplicemente il tipico lento declino di una civiltà decadente ed esasperata. Due giorni fa un F-35 si è schiantato nella Carolina del Sud e le autorità militari hanno dovuto lanciare un imbarazzante appello pubblico per aiutare a trovare l’aereo.

Ma il retroscena più allarmante riguarda le voci di un insabbiamento di ciò che è realmente accaduto. L’incidente presenta molte incongruenze e un esperto di sicurezza informatica sostiene che l’intera suite di sicurezza software dell’F-35 sia stata compromessa:

Green Hills Software produce il sistema operativo Integrity 178B che alimenta gli F-35, F-22, F-16 e B-2. Inoltre, alimenta l’Airbus A380. È anche possibile che sia trapelato. Ora capite perché l’intera flotta aerea dell’USMC è stata messa a terra. Curiosità: l’amministratore delegato di Green Hills Software non è altro che il famigerato odiatore di Elon Musk Dan O’Dowd.
La fuga di notizie sull’audio del controllo del traffico aereo sembra suggerire che l’aereo “zombie” abbia continuato a volare da solo dopo che il pilota si è espulso, il che ha fatto sì che non avessero idea di dove si fosse effettivamente schiantato:

E perché mai un pilota dovrebbe espellersi da un aereo che è ancora in grado di volare a lungo da solo? Sembrerebbe quasi che qualcuno abbia preso il controllo remoto dell’aereo e abbia premuto il pulsante di espulsione.

Le riprese del “campo di detriti” non mostrano alcun segno chiaro, o addirittura poco chiaro, di detriti, e ciò fa pensare alla strana scomparsa dei jumbo jet dell’11 settembre. Sembra anche strano che tutta l’aviazione sia stata bloccata, indicando una potenziale compromissione che riguarda ogni piattaforma:

Lunedì, il Corpo dei Marines avrebbe emesso una sospensione di due giorni per tutte le unità aeree a causa della scomparsa dell’F-35 militare, scomparso dopo che il suo pilota si è espulso in sicurezza a causa di un “incidente”.
Naturalmente potrebbero essere solo speculazioni, ma sembra che ci sia qualcosa di marcio in Danimarca. Se c’è anche solo un briciolo di verità in tutto questo, suggerisce che le forze armate statunitensi hanno cose molto più importanti di cui preoccuparsi rispetto alla loro campagna ucraina in crisi.

E questo è l’aereo che Zelensky sta chiedendo a gran voce?


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INTERVENTO NIGERIANO IN NIGER: PERCHÉ POTREBBE ACCADERE, di CHIMA

Riprendiamo dalla prima parte l’analisi di Chima già pubblicata dal suo ultimo capitolo. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

INTERVENTO NIGERIANO IN NIGER: PERCHÉ POTREBBE ACCADERE

5 AGO 2023

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La Nigeria ha una storia di interventi militari nella subregione dell’Africa occidentale. Se non fosse per l’attuale clima geopolitico, l’ultimo intervento della Nigeria sarebbe passato in gran parte inosservato da molti commentatori al di fuori della subregione, proprio come è accaduto quando la Nigeria è intervenuta in Liberia (1990, 2003), Sierra Leone (1997), Guinea-Bissau (1999, 2012, 2022) e Gambia (2017).

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PREAMBOLO:

Uno dei maggiori punti deboli di alcuni commentatori “antimperialisti” nello spazio dei media alternativi è l’assoluta mancanza di sfumature quando si parla di questioni africane.

Gli Stati africani sono spesso visti solo come vascelli sfortunati, soggetti passivi di continue lotte tra potenze straniere per l’influenza – Francia, Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito. Gli africani devono sempre scegliere da che parte stare. O stanno con i “buoni” (Cina e Russia) o con i “cattivi” (USA, Francia, Regno Unito).

Non si cerca mai di capire che anche all’interno dell’Africa alcuni Stati sono più grandi e più avanzati di altri. E questi Stati avanzati hanno enormi interessi regionali da proteggere.

Nel 1998, il Sudafrica è intervenuto militarmente nel vicino Regno del Lesotho per ristabilire l’ordine dopo lo scoppio di rivolte di massa e l’ammutinamento delle forze armate del piccolo regno. Nel 2014, nello stesso Lesotho si è verificato un colpo di Stato. Il Sudafrica ha minacciato di intervenire, ma alla fine non l’ha fatto perché i golpisti sono fuggiti prima dell’intervento previsto, lasciando alla polizia sudafricana il compito di scortare i funzionari esiliati del governo reale rovesciato nel loro Paese per reclamare il potere politico. Perché il Sudafrica ha agito in questo modo? La risposta è: la sicurezza regionale nella più ampia regione dell’Africa meridionale è un interesse nazionale fondamentale del Sudafrica post-apartheid.

I. L’ESEMPIO DELLA TANZANIA:

La Tanzania invase l’Uganda nel 1978, scatenando la guerra Uganda-Tanzania (1978-1979) che eliminò il regime di Idi Amin e riportò al potere il presidente ugandese rovesciato Milton Obote.

Idi Amin era un nemico del Regno Unito e quindi si potrebbe essere tentati di concludere che la Tanzania stesse facendo gli interessi degli inglesi. Ma questa sarebbe la conclusione di una persona che non conosce la situazione della subregione dell’Africa orientale all’epoca.

A quel tempo, c’era un flusso costante di rifugiati ugandesi in fuga dalla crudele dittatura di Idi Amin. Questi rifugiati si riversarono nella vicina Tanzania, creando una crisi umanitaria. Come se non bastasse, il dittatore militare ugandese Idi Amin aveva invaso e occupato il Kagera, una regione di confine con la Tanzania, che secondo Idi Amin era territorio ugandese.

A prescindere da come la si voglia tagliare, la Tanzania ha agito nel suo interesse nazionale, non in quello di Stati Uniti, Israele o Regno Unito. Il socialista Julius Nyerere non era nemmeno vicino al Regno Unito. In realtà aveva trascorso gran parte della sua vita adulta nella lotta anticoloniale nell’Africa orientale sotto il controllo britannico.

Naturalmente, questo non ha impedito al regime di Idi Amin di dipingere Giulio Nyerere come un fantoccio britannico, convincendo così un giovane colonnello Gheddafi a inviare truppe di spedizione libiche in Uganda. Yasser Arafat inviò persino dei combattenti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) in Uganda per difendersi dall’invasione dell’esercito tanzaniano.

II. CREAZIONE NIGERIANA DELL’ECOWAS:

La Nigeria è il centro di potere regionale dell’Africa occidentale. È una delle poche in Africa a disporre di un esercito, di un’aeronautica e di una marina formidabili. Nonostante si affidi pesantemente alla Russia e alla Cina per le attrezzature militari, l’esercito nigeriano produce alcuni veicoli blindati leggeri. L’aeronautica nigeriana produce piccoli droni. E la Marina nigeriana produce alcune delle proprie motovedette.

Su questa piattaforma ho pubblicato un video che parla della costruzione di navi militari in Nigeria, un paio di mesi fa:

SHIP BUILDING IN NIGERIA

·
2 MAG
SHIP BUILDING IN NIGERIA

Watch now (4 min) |


Dalla fine della guerra civile (1967-1970), durante la quale la Nigeria orientale ha tentato, senza riuscirci, di separarsi dalla Repubblica del Biafra, lo Stato federale nigeriano, vittorioso nel dopoguerra, ha goduto di una grande quantità di profitti petroliferi. Questo ha finanziato il boom edilizio degli anni ’70 in Nigeria e parte del denaro è stato distribuito ai Paesi più poveri della subregione dell’Africa occidentale per acquistare buona volontà. Non ci volle molto perché la Nigeria creasse l’ECOWAS nel 1975 per consolidare la sua posizione egemonica nella subregione.

Durante la guerra fredda, la Nigeria puntò ancora più in alto. Ha concesso borse di studio e documenti diplomatici ai neri sudafricani in fuga dal regime dell’apartheid. Il regime dell’apartheid non riconosceva i sudafricani neri come cittadini e quindi rifiutava loro i passaporti. La Nigeria, insieme ad altri Stati africani, ha rilasciato documenti di viaggio e, a volte, ha concesso cittadinanze e passaporti.

La Nigeria ha anche fornito armi ai namibiani e agli zimbabwesi, anche se non su scala gigantesca come Cina e URSS. L’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki ha vissuto a Lagos City negli anni ’70 come attivista anti-apartheid in esilio a spese del governo nigeriano. Gli attivisti dell’ANC in esilio in Nigeria godevano di simili vantaggi e i loro figli non pagavano le tasse scolastiche, mentre i cittadini nigeriani dovevano pagare l’istruzione dei loro figli.

Nel frattempo, in Africa occidentale, sotto la guida nigeriana, l’ECOWAS si è evoluta da un’organizzazione puramente economica a un’organizzazione con una missione di maggiore integrazione regionale nella sfera politica, educativa e culturale.

Ad esempio, ora esiste un esame regionale standardizzato per il conseguimento del diploma di scuola superiore dell’Africa occidentale (WASSCE) per i giovani che si diplomano alle scuole superiori. Sia che si provenga dalla Costa d’Avorio francofona o dal Ghana anglofono, si sostiene lo stesso esame – anche se in una lingua diversa – e si ottiene lo stesso certificato riconosciuto a livello internazionale come requisito d’ingresso valido per proseguire gli studi in tutto il mondo.

Da allora è stata istituita la libera circolazione e la possibilità di ottenere la residenza in tutti gli Stati membri dell’ECOWAS. Così un ghanese può entrare in Nigeria senza visto e viceversa. Esiste una rete di gasdotti che fornisce gas naturale nigeriano ad alcuni Stati dell’ECOWAS. Esistono anche reti stradali internazionali che collegano questi Stati membri tra loro, per gentile concessione delle imprese di costruzione cinesi.

L’ECOWAS ha addirittura in programma di sostituire il franco CFA, utilizzato da alcuni Stati membri francofoni, con una nuova valuta regionale che si chiamerà Eco.

III LA NIGERIA E LA SICUREZZA REGIONALE

L’establishment militare e di sicurezza nigeriano si è sempre preoccupato della sicurezza delle frontiere fin dagli anni Settanta e Ottanta. Allora si temeva che i combattenti secessionisti tuareg della Repubblica del Niger violassero il confine internazionale di 1.600 chilometri condiviso con la Nigeria. La Nigeria nutriva preoccupazioni simili anche per una serie di guerre civili che si sono susseguite in Ciad e che avrebbero potuto riversarsi in Nigeria. Anche il coinvolgimento delle truppe libiche di Gheddafi in alcune di queste guerre civili ciadiane era una costante fonte di preoccupazione per la Nigeria.

Anche lontano dai suoi confini, la Nigeria si è sempre preoccupata della sicurezza regionale in Africa Occidentale e questo l’ha portata a intervenire in diversi conflitti: Liberia (1990, 2003); Sierra Leone (1997); Guinea-Bissau (1999, 2012, 2022); Gambia (2017).

L’insurrezione jihadista è diventata per la prima volta un serio problema regionale alla fine degli anni ’90, come conseguenza della guerra civile algerina (1992-2002). Gli insorti jihadisti cacciati dall’Algeria si sono semplicemente trasferiti nelle zone settentrionali del Mali e vi hanno operato.

French Intelligence Services classify “Belmokhtar” as most dangerous terrorist in the world
Prima della sua morte nel 2016, il terrorista algerino di Al-Qaeda Mokhtar Belmokhtar ha terrorizzato sia l’Algeria che il Mali. È stato uno dei numerosi jihadisti che hanno beneficiato della bonanza di armi che la NATO ha sganciato ai jihadisti libici che combattono contro Gheddafi nel 2011.
Ma ciò che ha davvero messo il turbo all’insurrezione è stata la distruzione della statualità libica da parte della NATO. Le armi della NATO sganciate ai jihadisti libici hanno contribuito alla sconfitta e al rovesciamento del governo di Gheddafi nell’ottobre 2011. Una volta ottenuto questo risultato, le armi si sono mosse in due direzioni. Un flusso direzionale ha visto queste armi spostarsi dalla Libia all’Algeria e poi al Mali e al Burkina Faso. L’altro flusso ha visto alcune armi passare in Niger e poi nella parte nord-orientale della Nigeria, dove ha rianimato un Boko Haram morente. La potenza di fuoco di Boko Haram è cresciuta a tal punto che la polizia nigeriana non era più in grado di combattere il gruppo terroristico. Così, le forze armate nigeriane sono state chiamate a sostituirle.
La mappa raffigura in arancione i Paesi della cintura del Sahel. Le armi provenienti dalla Libia sono entrate in Algeria e poi in Mali e Burkina Faso. Alcune armi dalla Libia sono andate direttamente nella Repubblica del Niger e poi nella periferia settentrionale della Nigeria.
Lo scenario da incubo per i servizi di sicurezza e l’esercito nigeriano è che i jihadisti superino il lunghissimo confine tra Niger e Nigeria e penetrino in profondità nel Paese di 200 milioni di cittadini. A causa di questo timore, la Nigeria ha usato spudoratamente diverse organizzazioni che ha creato o co-fondato come strumenti per i suoi interessi di sicurezza nazionale.(a) Multinational Joint Task Force (MJTF):Nel 1994, la Nigeria ha creato una task force composta esclusivamente dal proprio esercito per affrontare i problemi di sicurezza transfrontaliera. Nel 1998, la Nigeria ha invitato i vicini Niger, Benin, Camerun e Ciad a unirsi a questa task force di sicurezza e così è nata la forza militare multinazionale.

La Nigeria ha istituito la Multinational Joint Task Force negli anni ’90 per affrontare i terroristi e i banditi che operano nelle zone di confine.
(b) Commissione del bacino del lago Ciad (LCBC):La distruzione della Libia ha scatenato un’ondata di insurrezione jihadista in tutta la parte dell’Africa occidentale della fascia del Sahel e nella zona del bacino del Lago Ciad che si sovrappone. Ciò ha indotto la Nigeria a ricorrere alla Commissione del Bacino del Lago Ciad, che finanzia e controlla, per sollecitare un’applicazione più rigorosa della sicurezza delle frontiere.
Mappa che mostra tutti gli otto Paesi che si affacciano sul bacino del Lago Ciad. Il bacino è l’area della mappa delimitata dalla linea marrone.
Algeria, Libia, Camerun, Ciad, Niger, Repubblica Centrafricana, Sudan e Nigeria sono gli 8 membri della Commissione del Bacino del Lago Ciad.L’anno scorso ho scritto un articolo in cui parlavo di una riunione della Commissione del bacino del lago Ciad convocata dal presidente nigeriano Buhari (ora in pensione) per discutere un rapporto di intelligence di tre agenzie di sicurezza nigeriane (NIA, SSS, DIA) che analizzava la prospettiva che le armi della NATO in Ucraina potessero arrivare nell’area del bacino del lago Ciad.

Anche il quotidiano nigeriano Punch, molto letto, ha riferito della riunione della Commissione del bacino del lago Ciad nel novembre 2022.

(c) Relazioni bilaterali tra Nigeria e Repubblica del Niger

La Nigeria utilizza l’ECOWAS, la Commissione del Bacino del Lago Ciad e la Multinational Joint Task Force come strumenti per garantire i propri interessi nazionali. Queste diverse organizzazioni offrono alla Nigeria un forum per discutere della sicurezza delle frontiere con 16 Stati dell’Africa occidentale, 2 Stati dell’Africa settentrionale e 4 Paesi dell’Africa centrale.

Ma la Nigeria utilizza anche le relazioni bilaterali individuali come strumento. Le relazioni bilaterali tra Nigeria e Niger ruotano attorno alla sicurezza.

Il Niger è estremamente povero, anche per gli standard regionali. Per questo la Nigeria fornisce al Niger camion di grano, sovvenzioni monetarie e un po’ di elettricità gratuita. Questa mossa è molto impopolare tra i nigeriani perché la Nigeria stessa non è autosufficiente nella produzione di cibo. Inoltre, i cittadini nigeriani sono obbligati a pagare le bollette elettriche anche durante i periodi di blackout.

Il Niger ricambia la buona volontà della Nigeria collaborando alla sicurezza delle frontiere come membro di tutte e tre le organizzazioni dominate dalla Nigeria: la Commissione del Bacino del Lago Ciad, la Multinational Joint Task Force e l’ECOWAS.

La task force ha fatto progressi nel corso degli anni. Ha respinto i terroristi jihadisti e li ha tenuti confinati nella periferia più settentrionale della Nigeria, nelle aree desertiche e scarsamente popolate del Paese, lontane dalle aree rurali e urbane ben popolate.

Ogni colpo di Stato nella Repubblica del Niger è trattato in Nigeria come un forte allarme antincendio. C’è una buona ragione per cui la Nigeria si è rifiutata di intervenire quando si sono verificati i colpi di stato militari in Mali e Burkina Faso, nonostante le pressioni degli Stati Uniti, ma ora è pronta a buttarsi a capofitto nella Repubblica del Niger e a invertire il colpo di stato prima che degeneri nel solito circolo vizioso di un colpo di stato dopo l’altro, come è tipico di quel povero Paese arido.

La Nigeria non può permettersi di diventare come la Repubblica Centrafricana (RCA), dove gli insorti islamici hanno conquistato il 75% del Paese e massacrato i cittadini, costringendo i suoi leader a implorare l’intervento del presidente francese Hollande nel gennaio 2013.

La Francia aveva chiuso la sua unica base militare in RCA nel 1998. Per questo motivo, non è stato facile intervenire. Prima che Hollande potesse mobilitare le truppe francesi dalla Francia metropolitana e dalle sue basi militari all’estero in Gabon, gli islamisti hanno saccheggiato la capitale Bangui, costringendo l’allora presidente della RCA Francois Bozize ad abbandonare il suo incarico e a fuggire dal Paese il 15 marzo 2013.

Le truppe interventiste francesi sono arrivate nel dicembre 2013, ma hanno ottenuto scarsi risultati. Nell’ottobre 2016, il presidente Hollande ha dichiarato la vittoria e ha ritirato le truppe, abbandonando la RCA al suo destino.

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Truppe francesi per le strade della città di Bangui il 22 dicembre 2013. Dopo tre anni di dispiegamento, la Francia ha posto volontariamente fine al suo intervento militare in C.A.R. il 30 ottobre 2016.
Il neoeletto presidente Faustin-Archange Toudera ha dovuto implorare Putin di aumentare l’allora misera squadra di cinque consiglieri militari provenienti dall’esercito regolare russo. Putin raccomandò allora Prigozhin e il governo della RCA firmò un contratto con lui. La Wagner è stata dispiegata nel marzo 2018 e rimane tuttora un’efficace forza di controinsurrezione.Per maggiori dettagli sulle operazioni di Wagner in Africa, leggere :

WAGNER GROUP, THE RUSSIAN STATE AND AFRICA: THE PAST, THE PRESENT AND THE (POSSIBLE) FUTURE

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WAGNER GROUP, THE RUSSIAN STATE AND AFRICA: THE PAST, THE PRESENT AND THE (POSSIBLE) FUTURE

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Nota importante per i nuovi lettori: Questo autore scrive sempre in inglese britannico (Commonwealth) e le sue grafie riflettono questo fatto.

Leggi la storia completa
A differenza della Repubblica Centrafricana, la Nigeria dispone di un esercito, di una marina e di un’aeronautica adeguati, ma ciò non impedisce loro di preoccuparsi dello scenario da incubo del caos politico nella Repubblica del Niger e del superamento del confine da parte delle orde jihadiste.

Oltre alle potenziali lotte intestine tra gli elementi della giunta militare post-golpe, la storia suggerisce che la rimozione del presidente nigerino Mohammed Bazoum potrebbe portare a una potenziale guerra civile.

Il presidente spodestato Mohammed Bazoum
Bazoum è un arabo di etnia Diffa (di ascendenza mista africana/araba), proveniente dalla regione settentrionale del Niger, storicamente molto attiva, che in passato ha combattuto un conflitto separatista a bassa intensità con il governo nigerino negli anni Ottanta e Novanta. Bazoum è la prima persona proveniente da questa minoranza etnica a essere eletta Presidente. L’uomo che lo ha rovesciato proviene dal Niger meridionale, che storicamente ha dominato il potere in quel Paese povero e arido. Noto che molti dei sostenitori del colpo di Stato provengono dal Sud. So che i nordisti hanno manifestato contro il colpo di Stato, ma la polizia li ha dispersi con i gas lacrimogeni.IV GEOPOLITICA DEL COLPO DI STATO IN NIGERHo già detto che l’ECOWAS non è intervenuta in Mali o in Burkina Faso quando sono avvenuti i loro colpi di Stato perché la Nigeria non sentiva in pericolo la propria sicurezza nazionale.

Né il Mali né il Burkina Faso confinano con la Nigeria. Quindi, non c’è dubbio che l’ECOWAS non avrebbe mai fatto nulla al di là della sospensione dei diritti di adesione, dell’applicazione di qualche magra sanzione e dell’emissione di una severa dichiarazione di condanna della “distruzione della democrazia”.

Le pressioni americane e quelle britanniche non hanno cambiato la posizione della Nigeria sulla questione dell’intervento militare in Mali e Burkina Faso.

Dire “no” ai potenti Stati stranieri non è una novità. Già nel 2012, il presidente statunitense Obama fece pressioni sulla Nigeria affinché inviasse truppe in Somalia per combattere i terroristi di Al Shabaab, ma il governo nigeriano rifiutò.

I leader nigeriani possono essere corrotti, ma non sono stupidi. Non parteciperanno ad avventure militari con rischi elevati, a meno che non ritengano che lo Stato federale nigeriano, da cui traggono profitto, stia affrontando minacce alla sicurezza.

Permettetemi di parlare dell’attuale disposizione di Algeria, Mali e Burkina Faso…

È falso che l’Algeria abbia giurato di combattere a favore del Niger. L’Algeria ha condannato il colpo di Stato nigerino, ma è favorevole a una soluzione pacifica della crisi invece che all’intervento militare di Nigeria/ECOWAS.

Il Mali e il Burkina Faso hanno “eserciti giocattolo” e quindi non possono dare seguito alle loro minacce di intervenire a fianco della giunta militare in Niger. Né il Mali né il Burkina Faso pattugliano i propri confini o hanno la capacità di farlo. In assenza di militari nazionali competenti, sono i mercenari di Wagner a tenere a bada l’assalto jihadista per conto di entrambi i Paesi. Di certo nessuno pensa che agli uomini di Prigozhin venga chiesto di affrontare le forze armate nigeriane. Il Cremlino probabilmente scioglierebbe il Wagner prima di permettere che ciò accada.

C’è una buona ragione per cui la Russia ha taciuto su questo particolare colpo di Stato e ha rilasciato solo una tiepida dichiarazione in cui afferma che “l’ordine costituzionale dovrebbe essere ripristinato in Niger”. Il Cremlino ha letto l’umore in Nigeria e l’ha capito bene.

Russian Ambassador to Nigeria, Alexey Shebarshin
Alexey Leonidovich Shebarshin is the Russian Ambassador to Nigeria

L’ambasciatore russo nella capitale nigeriana Abuja, Alexey Shebarshin, ha ribadito la linea del Cremlino secondo cui il colpo di Stato in Niger è “anticostituzionale”, ma ha aggiunto che la Russia vuole che la crisi nigerina si risolva pacificamente senza alcun intervento della Nigeria/ECOWAS. Inoltre, ha aggiunto che la Russia non ha intenzione di aiutare la nuova giunta militare in Niger.

Credo che questo sia in linea con la mia analisi secondo cui il Cremlino non ha alcun interesse a mettere la Russia in rotta di collisione diplomatica con la Nigeria.

Ora, permettetemi di parlare del ruolo dei Paesi della NATO…

Sì, Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea e Francia stanno spingendo la Nigeria a intervenire, ma stanno già predicando al coro. Anche se tutti e quattro fossero contrari all’intervento, la Nigeria potrebbe comunque farlo.

Non è nemmeno il neoeletto Tinubu a guidare questa vicenda. Sono i servizi di sicurezza e l’establishment militare nigeriano a fare pressione su Tinubu affinché intervenga. Gli Stati della NATO stanno semplicemente aggiungendo la loro voce di sostegno a qualcosa che è già una conclusione scontata.

Non sono riusciti a far intervenire la Nigeria in Mali e in Burkina Faso. Ma questa volta sono sicuri che la Nigeria interverrà in Niger. Gli Stati della NATO sono pienamente consapevoli della complessa rete di interessi che vede i loro desideri di portata globale convergere con l’ossessione della Nigeria per la sicurezza regionale, soprattutto ai suoi confini settentrionali a rischio jihadista.

Nonostante le pressioni degli Stati Uniti sulla Nigeria per un immediato intervento militare, il Presidente Bola Tinubu ha cercato di vedere se la questione potesse essere risolta pacificamente.

In primo luogo, ha inviato degli emissari per informare l’Algeria sulle intenzioni della Nigeria. L’Algeria collabora con la Nigeria per la sicurezza dei confini attraverso la Commissione del bacino del lago Ciad. Entrambi i Paesi stanno inoltre costruendo il gasdotto intercontinentale Nigeria-Algeria (Trans-Sahara), come ho riportato in un articolo del luglio 2022:


EU GOES TO NIGERIA FOR NATURAL GAS

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27 LUGLIO 2022
EU GOES TO NIGERIA FOR NATURAL GAS

Fin dagli anni ’70, i governi nigeriani che si sono succeduti hanno sempre nutrito l’ambizione di fornire gas all’Europa attraverso un gasdotto onshore-offshore che dalla città di Warri, nella Nigeria centro-occidentale, attraversasse la Repubblica del Niger e l’Algeria fino alla Spagna e all’Italia. Questo ambizioso progetto era noto come Gasdotto Trans-Sahariano (TSGP) o Gasdotto Nigeria-Algeria (NIGAL) e…

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In secondo luogo, per volere del presidente Tinubu, l’ex capo di Stato nigeriano Abdulsalami Abubakar e il sultano di Sokoto Muhammad Sa’ad Abubakar III sono stati inviati a tenere colloqui di pace con la nuova giunta militare in Niger. Il diplomatico gambiano Omar Alieu Touray, attuale presidente della Commissione ECOWAS, ha accompagnato i due emissari nigeriani all’incontro.

L’ex capo di Stato nigeriano Abdulsalami Abubakar, il sultano di Sokoto, Muhammad Sa’ad Abubakar III, e il presidente della Commissione ECOWAS, Omar Alieu Touray, hanno incontrato i membri della giunta militare nigerina per i colloqui di pace. Il fallimento dei colloqui significa che l’intervento nigeriano – sotto le spoglie dell’ECOWAS – è ormai inevitabile.
Perché Tinubu ha inviato i due nigeriani in Niger? Perché entrambi condividono la stessa etnia hausa della maggior parte dei leader del colpo di Stato in Niger.Il Sultano di Sokoto Muhammad Sa’ad Abubakar III è il sovrano tradizionale più rispettato nella Nigeria settentrionale di lingua hausa e nel Niger meridionale. In epoca precoloniale, i suoi antenati – in qualità di califfi – hanno governato uno Stato musulmano sunnita indipendente chiamato Califfato di Sokoto dal 1804 fino alla sua sottomissione e annessione nel 1903 da parte del regime coloniale britannico.Abdulsalami Abubakar è stato l’ultimo sovrano militare della Nigeria. Dopo l’improvvisa morte del crudelissimo dittatore nigeriano, il generale Sani Abacha, avvenuta l’8 giugno 1998, il mite generale Abdulsalami Abubakar è subentrato come capo di Stato provvisorio e ha organizzato le elezioni del 1999 che hanno riportato il governo costituzionale elettivo in Nigeria dopo oltre un decennio di assenza.

Da quando si è ritirato dall’esercito nigeriano, Abdulsalami è entrato nel mondo della risoluzione dei conflitti, recandosi in varie zone calde del continente africano come mediatore di pace per conto di varie organizzazioni: Unione Africana, ECOWAS, Nazioni Unite e Commonwealth delle Nazioni.

Proprio come il Sultano di Sokoto, il generale dell’esercito in pensione è in grado di comunicare direttamente con i leader della giunta militare della Repubblica del Niger nella loro lingua madre comune, l’hausa.

Quali sono dunque le possibilità che questo imbroglio si risolva pacificamente? Quasi nessuna.

Nigerian Senate Chambers
Il presidente Bola Tinubu ha presentato al Senato federale nigeriano una richiesta scritta di autorizzazione all’uso dell’esercito e dell’aviazione nigeriana per intervenire nella Repubblica del Niger.
Il tentativo della Nigeria di trovare una soluzione pacifica si è arenato perché la giunta militare nigerina ha appena bloccato i membri nigeriani della Multinational Joint Task Force dall’operare in alcune zone di confine in cui i territori dei due Paesi si sovrappongono. L’ambasciatore nigeriano in Niger è stato dichiarato persona non grata.E soprattutto, la giunta militare nigerina ha mancato di rispetto agli emissari nigeriani inviati per risolvere pacificamente la crisi. Pertanto, il presidente Tinubu si è rivolto al Senato nigerino per chiedere l’autorizzazione a iniziare l’intervento militare.Nel frattempo, l’aviazione nigeriana è stata autorizzata a prepararsi ad attraversare lo spazio aereo del Niger in qualsiasi momento. L’esercito nigeriano sta ammassando truppe al confine.

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La Polonia e l’Ucraina sono sprofondate in una vera e propria crisi politica senza fine, di ANDREW KORYBKO

La Polonia e l’Ucraina sono sprofondate in una vera e propria crisi politica senza fine

ANDREW KORYBKO
21 SET 2023

Entrambe le parti si trovano in un dilemma in base al quale ciascuna ritiene di avere più da guadagnare a livello di interessi nazionali e politici in un’escalation di tensioni piuttosto che essere la prima a smorzarle. Si sta quindi formando un ciclo che si autoalimenta e che rischia di portare a un deterioramento così drastico dei loro legami che l’attuale stato di degrado potrebbe presto essere guardato con affetto.

La rivelazione del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ai media locali, mercoledì scorso, che il suo Paese ha smesso di fornire armi all’Ucraina per armarsi da solo, ha dimostrato quanto siano precipitati i rapporti bilaterali nell’ultima settimana. Varsavia ha esteso unilateralmente le restrizioni sulle importazioni agricole del suo vicino orientale alla scadenza dell’accordo della Commissione europea il 15 settembre, al fine di proteggere i suoi agricoltori, il che ha spinto Kiev a presentare un reclamo all’OMC lunedì.

Più tardi, lo stesso giorno, il portavoce del governo polacco Piotr Muller ha suggerito che Varsavia potrebbe lasciare scadere gli aiuti ai rifugiati ucraini la prossima primavera invece di estenderli, lasciando intendere la volontà di espandere la loro disputa commerciale ad altre dimensioni. Se ciò accadesse, gli oltre un milione e mezzo di ucraini che risiedono temporaneamente in Polonia dovrebbero tornare a casa o andare altrove, ad esempio in Germania. Martedì tutto si è trasformato in una vera e propria crisi politica.

Il ministro polacco degli Affari europei Szymon Szynkowski vel Sek ha minacciosamente avvertito che:

“Le azioni dell’Ucraina non ci fanno impressione… ma fanno una certa impressione all’opinione pubblica polacca. Lo si può vedere nei sondaggi, nel livello di sostegno pubblico per il mantenimento del sostegno all’Ucraina. E questo danneggia l’Ucraina stessa. Vorremmo continuare a sostenere l’Ucraina, ma per farlo dobbiamo avere il sostegno dei polacchi. Se non lo avremo, sarà difficile per noi continuare a sostenere l’Ucraina come abbiamo fatto finora”.

Zelensky ha poi sfruttato il suo pulpito globale all’Assemblea generale dell’ONU per far credere quanto segue:

“Stiamo lavorando per garantire la stabilità alimentare. E spero che molti di voi si uniranno a noi in questi sforzi. Abbiamo lanciato un corridoio marittimo temporaneo per l’esportazione dai nostri porti. E stiamo lavorando duramente per preservare le rotte terrestri per le esportazioni di cereali. È allarmante vedere come alcuni in Europa, alcuni dei nostri amici in Europa, giochino alla solidarietà in un teatro politico – facendo un thriller del grano. Può sembrare che recitino il proprio ruolo, ma in realtà stanno aiutando a preparare il palcoscenico per un attore di Mosca”.

La risposta del presidente polacco Andrzej Duda, condivisa con i giornalisti, ha mostrato quanto fosse offeso:

“L’Ucraina si sta comportando come una persona che sta annegando e si aggrappa a tutto ciò che può… ma noi abbiamo il diritto di difenderci dai danni che ci vengono fatti. Una persona che sta annegando è estremamente pericolosa, può trascinarti negli abissi… semplicemente annegare il soccorritore. Dobbiamo agire per proteggerci dal male che ci viene fatto, perché se la persona che sta annegando… ci annega, non potrà ricevere aiuto. Dobbiamo quindi tutelare i nostri interessi e lo faremo in modo efficace e deciso”.

È in questo contesto che la Polonia ha convocato d’urgenza l’ambasciatore ucraino mercoledì, dopo che Morawiecki ha rivelato che la Polonia non invierà più armi a Kiev. Prima che l’Ucraina si lamentasse della Polonia presso l’OMC, il che ha messo in moto questa rapida sequenza di eventi, le tensioni erano già in ebollizione da tempo, a causa del fallimento della controffensiva che ha fatto passare la sbornia dalla reciproca illusione di una vittoria apparentemente inevitabile sulla Russia.

Queste nazioni vicine hanno quindi iniziato naturalmente a litigare tra loro, in quanto l’intera gamma delle loro differenze preesistenti è stata esacerbata e ha rapidamente rimodellato le relazioni bilaterali. La disputa commerciale era solo la punta dell’iceberg, ma dimostrava che ciascuna parte stava iniziando a dare priorità ai propri interessi nazionali contraddittori a scapito di quelli politici comuni. Questo ha segnalato alle loro società che era di nuovo accettabile prendere di mira l’altro con rabbia nazionalista, invece di concentrarsi esclusivamente sulla Russia.

Tutto questo sarebbe stato evitato, tuttavia, se solo l’Ucraina avesse mostrato un po’ di gratitudine alla Polonia per tutto ciò che Varsavia ha fatto per lei negli ultimi 19 mesi e non si fosse lamentata con l’OMC per la questione del grano. Ancora più grave è stato il fatto che Zelensky abbia infranto il tabù di accusare il suo omologo polacco, che guida uno degli Stati più russofobi della storia, di fare presumibilmente gli interessi geopolitici della Russia. Ha oltrepassato una linea rossa e ora non si può più tornare indietro alla loro illusoria fiducia reciproca.

I legami tra Polonia e Ucraina sono destinati a precipitare ulteriormente nelle prossime settimane, mentre la prima si avvicina alle prossime elezioni del 15 ottobre, che il partito di governo “Diritto e Giustizia” (PiS) spera di vincere facendo leva sulla sicurezza nazionale. Questo spiega perché hanno tagliato le spedizioni di armi all’Ucraina in risposta alle ridicole insinuazioni di Zelensky sul fatto che la Polonia sia un fantoccio russo, ed è possibile che presto seguano altre mosse significative per ricordare all’Ucraina che è in debito con la Polonia per la sua sopravvivenza.

Tenendo conto di questi calcoli, si può prevedere con sicurezza che i legami tra Polonia e Ucraina continueranno a precipitare non prima della metà di ottobre, dopodiché potrebbero riprendersi se l’ultima campagna mediatica dell’opposizione “Piattaforma Civica” (PO) riuscirà a mettere contro il PiS un numero sufficiente di elettori rurali. Sarà una battaglia in salita per loro, e il PiS potrebbe formare un governo di coalizione con il partito anti-establishment Confederazione se non sarà completamente sconfitto, quindi il ritorno al potere di PO non è garantito.

Stando così le cose, c’è una credibile possibilità che i legami tra Polonia e Ucraina possano precipitare ulteriormente nel corso del prossimo anno, soprattutto se il PiS sarà costretto a formare un governo di coalizione con la Confederazione. La prima ha iniziato a nutrire risentimento nei confronti di Zelensky negli ultimi mesi, mentre la seconda è sempre stata contraria al ruolo di primo piano della Polonia nel condurre la guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina, il che potrebbe portare a una combinazione devastante per Kiev. In una situazione del genere, tutto potrebbe peggiorare, e a un ritmo ancora più veloce.

In assenza di una vittoria del PO alle urne il mese prossimo, l’unica altra variabile che potrebbe realisticamente controbilanciare questo scenario è che Kiev faccia marcia indietro sulla sua minacciata causa all’OMC e che Zelensky mostri finalmente una sincera gratitudine in pubblico per tutto ciò che la Polonia ha fatto per l’Ucraina. Tuttavia, nessuno dovrebbe sperare in questo, poiché si prevede che Zelensky cercherà di essere rieletto la prossima primavera e potrebbe temere che il fatto di tornare indietro sulla sua politica recentemente assertiva nei confronti della Polonia possa fargli perdere il voto dei nazionalisti.

Entrambi i partiti si trovano quindi in un dilemma in cui ciascuno ritiene di avere più da guadagnare a livello di interessi nazionali e politici inasprendo le tensioni che non essendo il primo a smorzarle. Si sta quindi formando un ciclo che si autoalimenta e che rischia di portare a un deterioramento così drastico dei loro legami che l’attuale stato di degrado potrebbe presto essere guardato con affetto. Soprattutto se nel prossimo futuro la Polonia dovesse esercitare più apertamente la sua strisciante egemonia sull’Ucraina occidentale.

Per essere chiari, la sequenza di eventi di cui sopra è lo scenario peggiore in assoluto e di conseguenza non è così probabile, ma non può nemmeno essere esclusa, dato che pochi prevedevano quanto i loro legami sarebbero precipitati solo pochi mesi fa. È innegabile che le relazioni polacco-ucraine siano entrate in un periodo di incertezza che potrebbe durare ancora per un po’, per cui entrambi farebbero bene a preparare le loro società alla possibilità di continue tensioni, in modo da potersi adattare nel modo più efficace a questa realtà geostrategica emergente.

Giustizia e sviluppo, non “genocidio”, seguiranno la fine del conflitto in Karabakh

ANDREW KORYBKO
21 SET 2023

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Il Caucaso meridionale può ora consolidarsi in un polo geoeconomico indipendente nell’ordine mondiale emergente, nel quale l’Armenia farebbe bene a integrarsi senza indugio. A tal fine, deve estradare tutti i criminali di guerra, pagare i risarcimenti, sbloccare il corridoio Zangezur e fare pace con l’Azerbaigian.

L’operazione antiterrorismo dell’Azerbaigian all’inizio di questa settimana ha posto fine in modo decisivo al conflitto del Karabakh, durato tre decenni, che finora aveva permesso alle forze straniere di dividere e governare il Caucaso meridionale. L’Armenia, la sua potente lobby della diaspora e i suoi sostenitori online sono furiosi proprio perché speravano di perpetuare indefinitamente quel conflitto precedentemente congelato, ma ora sono costretti ad accettare questa nuova realtà. Lungi dal “genocidio” paventato, ecco cosa ci si può aspettare che accada:

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* Gli sfollati dell’Azerbaigian possono finalmente tornare alle loro case

Gli oltre 1,2 milioni di azeri che sono stati ripuliti etnicamente dalle forze di occupazione armene tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 possono finalmente tornare nelle terre dei loro antenati, dopo il ripristino del controllo di Baku sul Karabakh.

* La riconciliazione, non la vendetta, caratterizzerà gli atteggiamenti dei rimpatriati nei confronti degli armeni locali.

Gli azeri di ritorno sono disposti a riconciliarsi con gli armeni locali rimasti in Karabakh dopo aver accettato di seguire le leggi del governo nazionale, invece di cercare di vendicarsi contro di loro per l’occupazione, poiché sanno che atti di punizione non farebbero altro che macchiare la reputazione del loro Paese.

* Coloro che hanno commesso crimini violenti saranno portati davanti alla giustizia.

Nessuna riconciliazione è possibile con coloro che hanno le mani sporche di sangue, ed è per questo che l’Azerbaigian ha riferito di aver trasmesso una lista di criminali di guerra e simili che chiede di consegnare alla giustizia, il che presumibilmente include la loro estradizione dall’Armenia se sono già fuggiti lì.

* L’Armenia deve pagare i risarcimenti per l’occupazione illegale dell’Azerbaigian durata tre decenni.

A proposito di giustizia, è giusto che l’Armenia paghi i risarcimenti per l’occupazione illegale dell’Azerbaigian durata tre decenni, che ha portato alla completa distruzione di quasi un quinto del territorio di quest’ultimo, senza i quali sarà estremamente difficile e forse impossibile normalizzare veramente i loro legami.

* Ha anche bisogno di attuare pienamente il cessate il fuoco mediato da Mosca a partire dal novembre 2020

Il ripristino delle relazioni bilaterali richiederà anche la piena attuazione da parte dell’Armenia del cessate il fuoco mediato da Mosca a partire dal novembre 2020, in particolare l’ultimo paragrafo che obbliga l’Armenia a sbloccare i collegamenti economico-trasportistici regionali, compreso quello con il Nakhchivan che sarà protetto dalle guardie di frontiera russe.

* Il Corridoio Zangezur è la migliore speranza per il futuro economico dell’Armenia

L’ultimo collegamento economico-trasportistico citato è noto in Azerbaigian come Corridoio Zangezur ed è la migliore speranza per il futuro economico dell’Armenia, che potrà trarre profitto dal commercio azero-turco lungo questa rotta e ritagliarsi una propria nicchia di valore aggiunto tra i due, se sarà sufficientemente intraprendente.

* La Russia continuerà a incoraggiare l’Armenia a raggiungere un accordo di pace con l’Azerbaigian

Nell’ultima telefonata con il suo omologo azero Ilham Aliyev, il Presidente Putin ha confermato che la Russia continuerà a spingere per una pace formale nella regione e il comunicato stampa ufficiale del Cremlino ha specificamente menzionato che Mosca vuole lo sblocco dei collegamenti di trasporto regionali, cioè il Corridoio Zangezur.

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Come si può vedere, la giustizia e lo sviluppo seguiranno la fine del conflitto del Karabakh, non il “genocidio” come l’Armenia e i suoi agenti di guerra informativa hanno falsamente paventato per giustificare l’ingerenza americana. Il Caucaso meridionale può ora consolidarsi in un polo geoeconomico indipendente nell’ordine mondiale emergente, nel quale l’Armenia farebbe bene a integrarsi senza indugio. A tal fine, deve estradare tutti i criminali di guerra, pagare i risarcimenti, sbloccare il corridoio di Zangezur e fare pace con l’Azerbaigian.

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IL NUOVO PIVOT TO INDIA, di Pierluigi Fagan

IL NUOVO PIVOT TO INDIA. Al G20 appena tenutosi a Delhi, si è manifestato il sempre più nuovo assetto del mondo multipolare. Il protagonista assoluto è stato il padrone di casa Modi a capo del più popoloso paese del mondo, per ora quinta ma presto quarta economia del mondo in Pil assoluto.
La prima sorpresa è arrivata qualche giorno fa con l’invito spedito ai 19 altri leader a nome del Presidente della Repubblica di Bharat. Magari qualcuno si sarà domandato che affare fosse questo Bharat. Si tratta del vecchio termine sanscrito per più o meno quella che conosciamo tutti come India.
L’anno prossimo l’India va ad elezioni e, come qui segnalato, Modi si troverà contro una coalizione di ben 26 partiti con a capo l’ennesimo Gandhi, la coalizione si chiama Indian National Developmental Inclusive Alliance cioè I.N.D.I.A. Così, il furbo ultranazionalista, sta buttando lì il nuovo nome che fa nazione, tradizione e radici, dicendo che India è il nome coloniale che la nuova potenza rigetta. Bel colpo! Non è detto che il cambio di nome diventi definitivo, ma la mossa c’è ed è brillante e tradisce tutta la nuova ambizione del subcontinente.
A seguire, la rinuncia di Xi di recarsi al vertice che ovviamente segna anche l’assenza di Putin. Nel caso di Xi, motivi ignoti, speculazioni varie.
Si arriva così al vertice di sabato con non poche divergenze e tensioni dovute al fatto che l’India, come ha fatto per il vertice BRICS, non vuol sentir parlare di geopolitica ma solo di affari, sviluppo, cooperazione, clima e quant’altro dell’agenda mondo in senso multilaterale. Americani ed occidentali, invece, pretendevano l’esplicita condanna della Russia per la guerra in Ucraina. La stessa cosa s’era verificata al G20 di Bali in Indonesia e s’era rischiato, per la prima volta dalla nascita del formato nel 1999, di arrivare ad un passo dal chiudere il vertice senza dichiarazione congiunta, eventualità minacciata anche questa volta.
Nel frattempo, secondo impegno preso già alla riunione BRICS in allargamento, Modi ha invocato la cooptazione dell’Unione Africana nel formato, la seconda unione dopo l’UE, probabilmente non l’ultima. Adesione per acclamazione, il formato diventa G21, entusiasmo del presidente sudafricano lì già come G20 che aveva perorato la causa per l’intero continente, Modi s’è fatto un nuovo amico e sviluppa la sua strategia di diventare il paese leader del Global South.
Ma al vertice, Biden era arrivato anche con un bel pezzo di formaggio per il topo. Si tratta di una nuova linea intermodale che dovrebbe collegare via nave Mumbai con gli Emirati, qui si passa a ferrovia che poi va in Arabia Saudita, Giordania ed arriva in Israele ad Haifa pronti per risalire in nave e giungere ad Atene/Europa. Sette giorni risparmiati rispetto alla rotta marina, nonché i rischi di futuri problemi a Suez evitati per sempre. La cosa in realtà era nota da tempo, poiché s’è formato un nuovo format I2U2 (ovvero India e Israele e UAE ed USA) che già da un anno studiava il piano di una nuova amicizia euro-indo-abramitica. Nel progetto c’è anche l’UE e comprende energia, tlc, idrogeno, tecno-cooperazione varia. Colpo contro il monopolio strategico infrastrutturale della Via della Seta, normalizzazione americana delle relazioni con i sauditi dopo il grande freddo che aveva generato il grande caldo con i cinesi e gli iraniani (sauditi a cui si prometterà anche l’ok per lo sviluppo del nucleare civile), piattino da portare a Tel Aviv in cambio di altrettanta normalizzazione dei rapporti con i palestinesi, carta questa da giocarsi eventualmente l’anno prossimo per le elezioni americane.
Lo scaltro Modi deve aver chiuso Biden nello stanzino dicendogli: “amico, delle due l’una, o la pianti con sta lagna dei russi in Ucraina ed io ti firmo l’adesione al “chemin de fer” o se insisti chiudiamo senza accordi, senza dichiarazione, fai fallire il vertice a casa mia ed io lo segno nel quaderno -gravi sgarbi da vendicare-“. Poiché l’India o il Bharat, andrà avanti fino a che non ha ottenuto il seggio al Consiglio di Sicurezza e sta diventando perno di equilibrio del nuovo gioco multipolare, meglio prendere che lasciare.
Ne esce così la dichiarazione finale già sabato, accenno anche più vago di quello di Bali alla guerra in Ucraina, condannata, esecrata, citata per i gravi contraccolpi alle reti economiche planetarie, senza citare i russi (per altro Modi aveva rimbalzato la solita richiesta americana di ospitare capitan Ucraina già a monte), dichiarazione approvata all’unanimità, Mosca contenta, Kiev no. Dopo il papa filorusso ed i BRICS, ora a Kiev schifano pure il G20, chissà magari qualcuno dovrebbe realisticamente trarne delle conseguenze…
Ma a lato, anche accordo indo-abramitico con MBS e soci fatto. A Pechino, ovviamente, non l’hanno presa bene, dopo tutta la fatica fatta per pacificare la regione! Ci manda solo il nucleare civile a Riyad sì e Teheran no. Nonché il doppio-triplo gioco anche già all’interno dei BRICS appena allargati.
Occorre però sempre considerare che tra i dire ed i fare c’è sempre mare, magari ondulato. US che notoriamente quanto ad infrastrutture di questo tipo stanno a settanta anni fa, ci mette il peso geopolitico e forse spremerà un po’ di Banca mondiale. L’UE non ha un euro e comincerà con la solfa del contributo attivo delle imprese (soprattutto francesi, italiane, tedesche) perché non avendo stato c’è solo il privato. Sauditi ed emiratini dovrebbero esser effettivamente sia interessati che capienti. Gli indiani, capienti proprio no. A parte che sono impegnati in analogo progetto via Iran per arrivare in Russia e secondo me, presto, li vedremo oltreché sulla Luna in Africa orientale, l’India rimane il 144° paese per Pil pro-capite, tra Ghana e Pakistan. Ha una lista di investimenti interni necessari che va via di pagine e pagine.
In più, nel progetto c’è un doppio bug. Primo, se il progetto è condizionato a trovare la quadra coi palestinesi mi sa che il binario diventerà del tipo binario 9 e 3/4 del Hogwarts Express di Harry Potter. Ma c’è anche un problema già sollevato alla prima riunione dei I2U2 ovvero l’Egitto. Sauditi ed emiratini, specie se poi c’è Israele di mezzo, non faranno nulla se non c’è anche Il Cairo, questioni di equilibrio islamico inaggirabili. E l’Egitto sta nei nuovi BRICS su esplicito invito russo.
Tuttavia, nel nuovo mondo multipolare, anche il dire con poi un difficile fare, ha comunque un suo valore. Bisogna vedere difficile quanto, tutto entra in tavoli molto grandi in cui ci sono accordi bilaterali, multilaterali, nomine nelle grandi istituzioni globali, collaborazioni militari, tecnologiche, investimenti, stazioni spaziali, insomma partite lunghe e complicate. Il segnale a Pechino comunque è partito, chiaro e forte. Sebbene certo che a Pechino la cosa era diplomaticamente nota in anticipo e magari è proprio per evitare di guardare i cinque nuovi amici sorridenti alla foto opportunity, che Xi ha preferito rosicare a casa.
Comunque, il G21 con il suo 85% di Pil ed il 75% di global trade, si candida ad essere l’istituzione che media tra G7, BRICS e tutti gli altri principali nuovi attori. La prossima presidenza sarà brasiliana. Biden ora vola in Vietnam mentre il cinese Li Qiang, prima di Delhi ha fatto scalo a Jakarta (Indonesia) con cui i cinesi tessono tele molto fitte. Modi può sorridere.
Quanto all’India, c’è da dire che da una parte la posizione di perno mediano può esser molto fruttuosa, dall’altra espone molto e richiede doti strategico-diplomatiche molto fini. In patria, Modi ha fatto coalizzare dai dravidici ai musulmani ai marxisti leninisti, è un Paese pieno di contraddizioni. Modi deve allargare il raggio d’azione indiano per garantirsi anni di crescita sostenuta, altrimenti le contraddizioni interne potrebbero prendere il sopravvento.
Quanto al G20, pare che Modi abbia fatto esplicito fronte con Brasile, Sud Africa, Indonesia ed altri per ricondurre USA-UE a stare nel gioco degli equilibri planetari. Ad USA-UE si presenta, in prospettiva, un dilemma. Se pretenderanno troppo non otterranno nulla, se non staranno ben equilibrati nel G20, gli altri si butteranno nei BRICS. Ma la di là dei giochi societari e dei pesi di potenza, lo stato del mondo è chiaro, la stragrande maggioranza del mondo ha bisogno di pace, commercio ed investimenti, ha bisogno di crescita e sviluppo in modo necessario. Chi perturba troppo ed unilateralmente questa convenzione dell’interesse ultra-maggioritario, si mette contro quattro quinti del pianeta, decisamente un cattivo affare.
In effetti, com’è nella logica dei sistemi multipolari, sarebbe l’era del grande ritorno della diplomazia (vecchio pallino dell’acuto Kissinger) e della tessitura di intricate reti di accordi, legami, trame, idea che per altro piacerebbe molto anche agli europei. Si può competere, ma è meglio non confliggere.
Tuttavia, sull’intero ordine planetario incombe il problema da una parte degli indici asimmetrici di crescita (relativamente facile per i paesi in via di sviluppo, sempre più difficile per i paesi ipersviluppati) ad un certo punto le chiacchiere vanno a zero e contano i soldi che girano o meno (ultimamente ne girano meno), dall’altra il problema del travaso dei pesi di potenza conseguente, sul terzo lato i limiti eco-ambientali della casa comune.
Trovare soluzioni alla difficile quadra (che poi è un triangolo) ci darà un mondo nuovo che però cambierà molto le nostre vite occidentali, non trovarla potrebbe portare a più severe conseguenze. Vedremo nei prossimi anni e forse decenni.
[Su varia stampa occidentale, il vertice è stato commentato più per le ombre che per le luci. Chissà, forse avranno bisogno di un po’ di tempo per capire meglio dove va il grande gioco del mondo. Da quando hanno dismesso la funzione di pensiero autonomo per diventare l’Ufficio Stampa e Propaganda di Washington, la lucidità latita]
Qui sotto il file con il testo della dichiarazione tradotto in italiano

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Dal dilemma strategico al disastro strategico (I^ parte), di Gordon Hahn _ Traduzione a cura di Giuseppe Angiuli

Dal dilemma strategico al disastro strategico (I^ parte)

 di Gordon Hahn

 

(https://gordonhahn.com/2023/09/12/from-strategic-dilemma-to-strategic-disaster-part-1/

Traduzione a cura di Giuseppe Angiuli)

Introduzione.

 

I funzionari e gli analisti occidentali sono soliti osservare che “la guerra di Putin contro l’Ucraina” avrebbe danneggiato, piuttosto che rafforzato, la posizione strategica della Russia. Anziché neutralizzare la minaccia della NATO, l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin l’avrebbe aumentata, questo il senso del loro ragionamento analitico.

Mettendo da parte l’ovvia contraddizione con la posizione della maggior parte di questi osservatori, secondo cui né la NATO né la sua espansione rappresenterebbero una minaccia per la sicurezza della Russia, è necessario però guardare al rovescio della medaglia di tale ragionamento.

La sicurezza dell’Occidente, dei Paesi NATO, la stessa sicurezza nazionale americana sono state rafforzate dall’espansione della NATO, dal rifiuto di negoziare con Mosca una nuova architettura per la sicurezza del continente europeo nonché dalla guerra ucraina NATO-Russia e dalla sua escalation in corso?

Il fatto è che la relazione russo-occidentale in quanto dilemma di sicurezza è ora virtualmente un gioco a somma zero; quando un attore intraprende delle misure per garantire la propria sicurezza nei confronti di un altro attore, quest’ultimo solitamente risponde con delle misure che finiscono per risultare altrettanto deleterie per il primo attore quanto quelle di quest’ultimo lo sono state per la sua controparte.

Questa situazione si protrae ormai da decenni, a partire dal primo ciclo di espansione della NATO dopo la Guerra Fredda, sebbene la Russia sia stata inizialmente lenta nel rispondere a questa sfida, a causa della sua momentanea debolezza.

 

Nell’episodio più recente di questo dilemma di sicurezza reciproca – la guerra ucraina tra NATO e Russia – anche la posizione di sicurezza dell’Occidente si è indebolita, dato il rafforzamento delle forze armate russe attraverso l’aumento dei suoi numeri, delle sue risorse messe a bilancio, oltre che per l’esperienza acquisita in battaglia e per la generale mobilitazione del complesso militare-industriale russo. Lungi dall’essere “isolata a livello internazionale“, la Russia è stata in grado, insieme alla Cina, di forgiare un nuovo polo di potere nella struttura del sistema delle relazioni internazionali, assestando un colpo forse mortale all’egemonia globale occidentale, in particolare americana. Non è certo che questo rafforzi la sicurezza dell’Occidente e dell’America, soprattutto perché gran parte della formazione di poli alternativi sta assumendo toni sempre più antiamericani rispetto alla creazione di un polo o centro di potere globale alternativo, più o meno neutrale e semplice. Inoltre, il più recente alleato della NATO, membro potenziale e baluardo contro l'”espansionismo russo” – l’Ucraina di Maidan – rischia di essere svuotato quasi del tutto. Diamo uno sguardo al più ampio declino della sicurezza occidentale e poi a quello più locale dell’Ucraina, come prodotto della guerra tra NATO e Russia e dai fattori che l’hanno generata.

La crescente minaccia della NATO.

I funzionari della NATO e della Russia concordano sul fatto che la minaccia della NATO alla Russia è cresciuta. Come ha sottolineato il Ministro della Difesa russo Sergei Shoigu in un’intervista concessa alla testata Kommersant del 10 agosto, l'”Occidente collettivo” ha ora schierato nelle immediate vicinanze della Russia circa 360.000 truppe, 8.000 pezzi di armatura e 650 aerei ed elicotteri. Shoigu ha sottolineato che dal febbraio 2022 l’Ucraina ha ricevuto centinaia di carri armati, più di 4.000 veicoli corazzati da combattimento, più di 1.100 pezzi di artiglieria da campo e decine di sistemi di artiglieria e missili, per un totale di oltre 160 miliardi di dollari di assistenza militare. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ha osservato Shoigu, stanno aumentando il raggio d’azione e la brutalità delle armi che forniscono, come i missili britannici Storm Shadow e le munizioni a grappolo statunitensi. Tutto ciò “crea seri rischi di un’ulteriore escalation del conflitto“, secondo Shoigu.

 

Il ministro della Difesa russo ha inoltre definito “un fattore destabilizzante” l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO. L’ingresso della Finlandia, ha osservato, raddoppia quasi il confine terrestre della Russia con la NATO. Sul territorio finlandese, ha aggiunto, ci si può aspettare che “vengano dispiegati ulteriori contingenti militari e armi d’attacco della NATO in grado di distruggere oggetti critici importanti in profondità nelle regioni nord-occidentali della Russia“. Ulteriori rischi sono stati posti dalla “militarizzazione della Polonia” e dalla sua trasformazione nel “principale strumento della politica antirussa degli Stati Uniti“, con l’intenzione di Varsavia di creare l’esercito più potente d’Europa (lo stesso status di cui godeva l’Ucraina prima della guerra, si potrebbe aggiungere).

Shoigu ha anche sottolineato l’intenzione della Polonia di fondersi con l’Ucraina e di “occupare in sostanza” l’Ucraina occidentale, un tema sul quale cui ho già scritto molti mesi fa (Yurii Gavrilov, “Zapad vedet protiv Rossii oposredstvannuyu voinu“, Kommersant, 10 agosto 2023, p. 4).

In un articolo contiguo, Vladislav Shurygin ha sostenuto la necessità di una grande offensiva russa per prevenire l’arrivo degli ATACAM statunitensi e di altri Haimar, che consentirebbero di colpire in massa obiettivi sul territorio russo con 30-50 missili entro settembre e 100 entro novembre (Vladislav Shurygin, “Osen’ stanet reshayushchim spetsoperatsii“, Kommersant, 10 agosto 2023, pag. 4). A tutto ciò si possono aggiungere gli F-16 che sono stati promessi all’Ucraina e la notizia che Kiev, con l’aiuto della NATO, ha acquisito 17.000 droni e 10-20.000 operatori di droni da utilizzare nella sua controffensiva, finora fallita (www.ng.ru/armies/2023-08-01/1_8788_kiev.html). La guerra con i droni è un ulteriore fattore destabilizzante – come lo è l’impiego di massa di qualsiasi nuova tecnologia militare, soprattutto in tempo di guerra – che approfondisce il dilemma della sicurezza per entrambe le parti.

Ciò a cui Shoigu non ha fatto cenno è che la NATO è diventata un attore partecipante a tutti gli effetti alla guerra, fornendo a Kiev addestramento militare, supporto di intelligence, anche per colpire armi e uomini russi, oltre che consulenza e pianificazione tattica e strategica.

La Russia ha risposto e risponderà a questo intensificarsi della minaccia mentre si mobilita per portare a compimento l’esigenza di vittoria nella guerra ucraina tra NATO e Russia, e questo non potrà che portare a un deterioramento della posizione di sicurezza dell’Occidente.

Il declino della sicurezza occidentale a partire da febbraio 2022.

In termini più generali, la forza militare russa è stata quintuplicata: da 200.000 forze armate regolari prima della guerra a circa 1,2 milioni di oggi. Questo dato non include elementi come RosGvardia, Wagner, Ceceni, Ossetiani e altre forze militari irregolari organizzate dallo Stato. Con il quasi raddoppio del confine russo-NATO vista l’adesione di Helsinki alla NATO e l’imminente adesione della Svezia al blocco militare occidentale, è probabile un’ulteriore mobilitazione che potrebbe portare la forza militare russa a oltre 1,5 milioni di effettivi, se non a 2 milioni, con decine di migliaia di truppe da collocarsi al confine con la Finlandia e il potenziamento delle forze della Flotta navale del Mar Baltico.

Questo avviene mentre le forze armate russe stanno acquisendo una preziosa esperienza di combattimento avanzato grazie al sistema integrato di “intelligence, sorveglianza e ricognizione“, mai utilizzato prima. Né gli Stati Uniti né le altre forze della NATO sono in grado di acquisire un’esperienza così vasta come quella oggi in fase di acquisizione da parte della Russia, a causa della mancata adeguatezza e complementarità del personale ucraino rispetto alle potenziali capacità tecnologiche degli armamenti del sistema NATO.

 

Inoltre, la Russia sta aumentando massicciamente le risorse destinate allo sviluppo militare e dell’intelligence. Ad esempio, la Russia ha raddoppiato il suo budget militare per il 2023, portandolo a più di 100 miliardi di dollari – un terzo di tutta la spesa federale (www.reuters.com/world/europe/russia-doubles-2023-defence-spending-plan-war-costs-soar-document-2023-08-04/).

Al contrario, la Russia ha tagliato il suo budget per la difesa nel 2016 (https://www.rbth.com/defence/2016/11/01/russia-slashes-military-spending-as-revenues-shrink_644019#new_tab). Di conseguenza, la ricerca e la produzione nel complesso industriale della difesa si stanno espandendo. Ad esempio, la Lobaev Arms ha raddoppiato la produzione di fucili di precisione nel febbraio 2023 e da aprile l’ha raddoppiata ulteriormente (https://nvo.ng.ru/armament/2023-04-20/10_1233_armament.html).

Il colonnello dell’esercito americano, Darin Gaub, sostiene che gli Stati Uniti adesso avranno bisogno di 10-15 anni per rilanciare la loro produzione complessiva di armi e raggiungere i livelli necessari per eguagliare la produzione russa (https://vz.ru/news/2023/7/11/1220632.html?utm_campaign=vz&utm_medium=referral&utm_source=push). Basta ricordare l’ammissione del Segretario Generale della NATO, alcuni mesi fa, secondo cui i Paesi della NATO non sono in grado di tenere il passo con l’uso ucraino di proiettili d’artiglieria, che è dieci volte inferiore a quello russo. A questo proposito, le stime previsionali più basse per poter raggiungere una certa parità sono di tre anni, quando l’Ucraina potrebbe non avere più un esercito atto ad utilizzare le armi prodotte. Le stime indicano che “se il Pentagono raggiungesse l’obiettivo dichiarato di produrre 90.000 proiettili al mese entro l’anno fiscale 2025, sarebbe comunque solo la metà dell’attuale livello di produzione della Russia. Altri membri della NATO sono messi ancora peggio” (https://nationalinterest.org/feature/time-and-logistics-are-working-against-ukraine-206740).

 

Inoltre, i combattimenti sul campo stanno migliorando le armi russe attraverso la sperimentazione e l’elaborazione degli errori commessi in un contesto di combattimento reale. Ciò determina l’adattamento e l’innovazione nell’uso delle armi esistenti e favorisce lo sviluppo di nuove tecnologie militari, in particolare nell’ambito dei droni, dei sistemi missilistici a lancio multiplo, dei mortai con mirini intelligenti, dei kalashnikov aggiornati, dell’artiglieria guidata e a lungo raggio nonchè dei nuovi impieghi dei carri armati T-90M Proryv, dei sistemi missilistici tattici-operativi Iskander, di vari sistemi missilistici a lancio multiplo, degli elicotteri Ka-52 e Mi-28, degli aerei Su-35S e Su-57 e dei nuovi droni Kub e Lancet (https://nvo.ng.ru/armament/2023-04-20/10_1233_armament.html).

 

Più in generale, nel campo della tecnologia militare, dopo il febbraio 2022 è diventato evidente che un’industria russa di chip e semiconduttori avrebbe dovuto essere creata da zero, ponendo fine alla dipendenza dai produttori stranieri. Il governo russo ha cambiato strategia e ha ampliato il sostegno all’industria tagliando le tasse, aumentando i finanziamenti e incrementando i sussidi. Il piano aggiornato mira a reingegnerizzare la tecnologia straniera acquisita sul campo di battaglia, ad avviare la produzione sia in Russia che in Cina e a produrre ogni componente attualmente importato entro il 2024 (www.kommersant.ru/doc/5306920). Una simile sostituzione delle importazioni si sta verificando in tutta l’industria militare e civile russa. Il governo prevede di aumentare il numero dei centri di progettazione russi di oltre il 400%, passando da 70 a 300 entro il 2030, e di spendere 2,7 trilioni di rubli per sviluppare l’industria elettronica (www.kommersant.ru/doc/5355456 e https://warontherocks.com/2022/06/can-russia-rebuild-its-tech-sector-with-chinas-help/).

 

Inoltre, le forze armate russe, migliorate e più potenti rispetto a prima, sono oggi dispiegate in una posizione più avanzata a discapito della sicurezza nazionale dei paesi della NATO. Questo è il risultato in parte della guerra attuale e in parte della risposta alla mobilitazione della NATO e all’incessante espansione della NATO durante la guerra (Finlandia, Svezia e l’intenzione continua di portare l’Ucraina nell’alleanza, come rivelato dalle incessanti dichiarazioni occidentali in tal senso). In termini convenzionali e più ovvi, le forze regolari dispiegate in Ucraina si trovano molto più vicine alla NATO rispetto a quando erano situate entro i confini della Russia prima del 2014. Nell’ottobre 2022, Putin e il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko hanno concordato di formare un gruppo di forze congiunte in risposta alle “provocazioni” della NATO al confine con la Bielorussia, alla formazione da parte dell’Ucraina di unità di sabotaggio composte da fuoriusciti dell’opposizione bielorussa e ai presunti piani ucraini di attacco alla Bielorussia. Rimasto sulla carta fin dai primi anni 2000, il nucleo dell’unità sarà costituito da soldati bielorussi, con truppe russe di rinforzo. Nello stesso mese, 9.000 truppe russe, equipaggiamento e jet da combattimento MIG-31 hanno iniziato a dispiegarsi in Bielorussia il 15 ottobre (https://carnegieendowment.org/politika/88249). Inoltre, circa 20-30.000 truppe russe sono state dispiegate in Bielorussia. Inoltre, circa 10.000 famigerati combattenti della PMC Wagner sono stati trasferiti in Bielorussia dopo la fallita rivolta del loro capo Yevgenii Prigozhin di giugno scorso. In questo modo, è soprattutto la matrice di sicurezza della Polonia, membro NATO antagonista della Russia, ad aver subito il deterioramento più sostanziale.

Anche i membri della NATO Lituania e Lettonia, che hanno confini consistenti con la Bielorussia, si trovano adesso in una posizione molto meno sicura. In termini di potenza aerea, nell’agosto 2022 Mosca ha schierato tre intercettori pesanti MiG-31 nella regione russa di Kaliningrad, un’exclave a ovest della Lituania, nell’ambito di quella che il Ministero della Difesa russo ha definito una parte della “deterrenza strategica aggiuntiva“.

 

Le conquiste territoriali della Russia nell’Ucraina meridionale aprono la possibilità di creare un ponte terrestre verso la regione separatista moldava della Transnistria, popolata da russi, ucraini e la regione della Gagauzia, abitata da un’etnia turca filo-moscovita. Sullo sfondo della guerra e delle opinioni contrastanti al riguardo, crescono le tensioni tra la Transnistria, dominata dai russi, e la regione autonoma Gagauzia, da un lato, e la Moldavia, dall’altro. L’Occidente ha risposto sollecitando Kishinev a rendersi più compatibile con l’UE e la NATO, introducendo programmi per raggiungere tali obiettivi e polarizzando ulteriormente una dinamica politica interna già esplosiva. L’Ucraina ha inoltre esacerbato le tensioni tentando di istituire un blocco contro la Transnistria e compiendo un attacco a un deposito militare dell’esercito russo in Moldavia. Occasionalmente sono state riportate notizie di forze ucraine che si sono accumulate vicino al confine tra Transnistria e Ucraina con l’obiettivo di entrare nella repubblica separatista per impadronirsi dei depositi di armi russe. Inoltre, il movimento per unire la Moldavia alla Romania si è rianimato, aggravando ulteriormente l’angoscia russa e gaguziana.

 

In termini di armamenti nucleari, l’equilibrio e il controllo nucleare generale stanno crollando, il che potrebbe provocare escalation da entrambe le parti. In effetti, l’attuale guerra NATO-Russia in Ucraina è il prodotto non solo dell’espansione della NATO, ma anche dello squilibrio nucleare facilitato dall’espansione di Mosca. Nel 2014, dopo il putsch di Maidan che è la causa principale della guerra ucraina, l’amministrazione Obama ha approvato il dispiegamento, presso Paesi membri della NATO quali Romania e Polonia, di missili anti-balistici statunitensi a raggio intermedio in grado di essere convertiti in armi offensive e di colpire Mosca in 5-7 minuti. I missili di difesa aerea e anti-balistici “Aegis Ashore” possono essere equipaggiati sia con esplosivi convenzionali o nucleari offensivi sia con missili di difesa anti-missile. Così, nel luglio 2020 il comandante del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, l’ammiraglio Philip Davidson, ha dichiarato di essere favorevole al finanziamento per la costruzione di un sistema Aegis Ashore a Guam entro il 2026, sia per difendere le strutture militari statunitensi esistenti a Guam, sia per fornire una “capacità di attacco di precisione a lungo raggio nella Prima Catena Insulare controllata dalla Cina” (https://breakingdefense.com/2020/07/indopacom-wants-billions-to-build-as-pentagon-plans-cuts-to-overseas-presence/). Un sito Aegis Ashore è diventato operativo a Deveselu, in Romania, nel 2016, e un sito polacco a Redzikowo lo è stato mesi dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 (www.mda.mil/system/aegis_bmd.html).

 

Questi dispiegamenti hanno creato una minaccia esistenziale per la sicurezza della Russia sul suo stesso confine e quindi una minaccia non dissimile da quella rappresentata quando gli Stati Uniti piazzarono missili nucleari in Turchia per colpire l’URSS o quando, in risposta, l’URSS piazzò missili nucleari a Cuba. Questa pericolosa dinamica nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia e tra NATO e Russia è un’altra causa della guerra attuale. La questione dell’INF e dei missili a corto raggio era un punto chiave (articolo 6) delle proposte di Putin del dicembre 2021 sulle proposte di colloqui per la sicurezza da lui formulate in quella fase (https://mid.ru/ru/foreign_policy/rso/nato/1790818/?lang=en). La configurazione di questa minaccia destabilizzante per Mosca sarebbe stata impossibile senza l’espansione della NATO. La prospettiva di un’espansione della NATO verso l’Ucraina ha aperto la possibilità di un dispiegamento di questi missili in Ucraina, ed è proprio per questo che i russi si sono ripetutamente opposti all’espansione della NATO, soprattutto verso l’Ucraina, nel corso degli anni e hanno proposto una nuova architettura di sicurezza europea alla NATO e a Washington sia nel 2008 che nel dicembre 2021, in un tentativo di diplomazia coercitiva alla vigilia dell’invasione del 24 febbraio 2022. Questa minaccia rimane sullo sfondo dell’attuale guerra, giorni prima della quale il Presidente ucraino Volodomyr Zelenskiy ha minacciato di abrogare l’adesione dell’Ucraina al Memorandum di Budapest, che ha denuclearizzato le forze armate ucraine nel 1994.

 

La guerra minaccia anche di porre fine agli accordi sulla limitazione degli armamenti nucleari strategici tra le due maggiori potenze nucleari del mondo. Il New START scadrà nel febbraio 2026 e non potrà essere prorogato. Nel giugno 2021, Biden e Putin hanno avviato tra i loro due Paesi un “dialogo di stabilità strategica” per gettare le basi di ulteriori colloqui e di un nuovo accordo START (www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2021/06/16/u-s-russia-presidential-joint-statement-on-strategic-stability/). Ma dopo tre incontri, le già citate telefonate Putin-Biden e l’inizio dell’intensificazione delle operazioni belliche in Ucraina, il dialogo si è concluso e il New START ha iniziato la sua marcia verso l’estinzione. Nell’agosto del 2022, la Russia ha rifiutato un’ispezione degli Stati Uniti in una delle sue basi, come previsto dal trattato, e cinque mesi dopo il Dipartimento di Stato americano ha notificato al Congresso di non poter più valutare il comportamento della Russia come conforme ai dettati del trattato (www.state.gov/wp-content/uploads/2023/01/2022-New-START-Implementation-Report.pdf). Un anno dopo l’invasione dell’Ucraina, Mosca ha sospeso la sua partecipazione al New START, dichiarando che non avrebbe più fornito a Washington informazioni sulle sue forze nucleari. Allo stesso tempo, ha annunciato che la Russia avrebbe messo in funzione nuovi sistemi nucleari strategici e accelerato il dispiegamento dei suoi missili nucleari Sarmat, ha lanciato missili ipersonici e nuovi sottomarini nucleari e ha avvertito che potrebbe riprendere i test nucleari (https://news.yahoo.com/hard-times-now-ahead-us-194210721.html?fr=sycsrp_c).

Il Sarmat è un missile di 35 metri con una gittata di 18.000 km e può trasportare almeno 10 veicoli di rientro a bersaglio multiplo, ognuno dei quali ha una testata nucleare e attacca un bersaglio diverso. Può anche trasportare veicoli ipersonici Avangard. La Russia ha inoltre avviato la produzione di massa dei sistemi ipersonici Kinzhal su base aerea e dei missili ipersonici Zircon su base marittima (www.reuters.com/world/europe/putin-russia-pay-increased-attention-boosting-nuclear-forces-2023-02-22/).

 

Prima dell’arrivo a Kaliningrad, i MiG-31 di cui sopra sono stati adattati per il lancio di missili ipersonici Kh-47M2 Kinzhal, un tipo di missili balistici a corto raggio che, secondo quanto riferito, sono stati sviluppati a partire dal 9K720 Iskander, molto utilizzati in Ucraina. Il Kinzhal ha una velocità massima di Mach 10 o 12 – 10 o 12 volte la velocità del suono, può trasportare fino a 500 chilogrammi (1.100 libbre) di carico utile e consegnare testate convenzionali o nucleari. Il MiG-31 può lanciare il Kinzhal da una distanza massima di 2.000 chilometri e, a quanto pare, può anche lanciare piccoli carichi utili nell’orbita terrestre bassa, il che lo rende uno dei pochi jet da combattimento antisatellite esistenti (www.aerotime. aero/articles/31954-russia-deploys-hypersonic-armed-mig-31s-to-kaliningrad#:~:text=Three%20MiG-31%20heavy%20interceptors%2C%20adapted%20for%20carrying%20Kh-47M2,and%20will%20be%20placed%20on%20round-the-clock%20combat%20duty). Nel marzo 2023, la Russia ha annunciato il dispiegamento di armi tattiche a corto raggio in Bielorussia, a luglio il dispiegamento era iniziato e continua a tutt’oggi mentre leggete quest’articolo (www.defensenews.com/news/your-military/2023/08/22/poland-says-russias-moving-tactical-nuclear-weapons-to-belarus/).

 

Ma le tensioni strategiche e le nuove vulnerabilità dell’Occidente sono meglio rappresentate dal fatto che la Russia, la Cina, l’Iran e la Corea del Nord stanno già avviando apertamente una cooperazione militare e si armano a vicenda, per rafforzare le loro capacità individuali e forse collettive di sfidare gli interessi occidentali. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è diventata il nucleo di questa cooperazione tra gli “Stati canaglia“, mentre la guerra in Ucraina e le maldestre provocazioni dell’amministrazione Biden intorno a Taiwan ne hanno favorito lo sviluppo.

 

In termini di equilibrio economico tra le due parti, l’Occidente e la Russia, nonostante le aspettative occidentali di un collasso dell’economia e del sistema finanziario russo, le perdite economiche in Russia sono state limitate e gestibili, mentre le conseguenze delle sanzioni e delle contro-sanzioni russe hanno portato molte economie occidentali verso la recessione. L’Occidente si è dato la zappa sui piedi rifiutando le importazioni di petrolio e gas e distruggendo i gasdotti North Stream, privando le proprie economie di un significativo potenziale di crescita. Le sanzioni occidentali hanno avuto un effetto particolarmente negativo sul commercio degli Stati che dipendono dalla Russia. Così, la Germania, membro della NATO e Paese leader europeo, è caduta in recessione; la Russia no. Ma la situazione economia attuale è solo una parte di una più ampia dinamica commerciale e finanziaria internazionale delineatasi in risposta alla guerra e che non lascia presagire nulla di buono per l’Occidente. Infatti, le ripercussioni globali della guerra stanno riconfigurando il sistema politico, economico e finanziario a livello mondiale.

 

Il riallineamento globale sino-russo.

 

A livello globale, i rapporti di forza si sta modificando e, come ho scritto più volte, non a favore dell’Occidente.

Questo è il risultato dell’espansione della NATO, ma soprattutto della conseguente guerra NATO-Russia in Ucraina, delle relative sanzioni occidentali e delle minacce di sanzioni secondarie, nonché della lunga e sfortunata storia di egemonia e sfruttamento politico, economico e finanziario messo in atto dall’Occidente.

Il risultato più dannoso della guerra ucraina tra NATO e Russia per gli interessi occidentali è la solidificazione della “quasi alleanza” sino-russa e il rafforzamento degli sforzi per costruire un sistema globale alternativo a quello dominato dall’Occidente.

Ciò è stato sottolineato dal viaggio del presidente della RPC Jinping Xi a Mosca in primavera. Alla vigilia del vertice, Putin ha descritto la vicina alleanza o “partnership strategica” in un articolo diffuso su tutti i giornali cinesi. Tra le altre cose, il presidente russo ha osservato che: “Le relazioni Russia-Cina hanno raggiunto il livello più alto della loro storia e stanno acquistando ancora più forza; superano per qualità le alleanze politico-militari dell’epoca della Guerra Fredda” (http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/70743). Il vertice di Mosca ha portato a un’integrazione militare, politica ed economica ancora maggiore tra i due Paesi, ma la conseguenza diplomatica più importante è stato il sostegno di fatto della Cina alla resistenza della Russia all’espansione della NATO in Ucraina, sottolineato dalla condanna di Xi e di altri funzionari cinesi dell’espansione della NATO e della indicazione di tale espansione quale vera causa scatenante della guerra. Inoltre, sono stati firmati tra i due leader decine di documenti su tutte le forme di cooperazione in risposta alle sanzioni occidentali sulla Russia e alla minaccia di sanzioni secondarie su Pechino.

 

In effetti, le sanzioni occidentali hanno spinto il complesso militare-industriale russo a vendere nuove tecnologie all’Esercito Popolare di Liberazione e la fiducia di Mosca nella tecnologia cinese in rapido sviluppo ha accelerato il nascente sviluppo tecnologico congiunto e la realizzazione di comuni progetti con applicazioni militari. Ad esempio, Russia e Cina hanno successivamente avviato un progetto congiunto per la progettazione di una nuova generazione di sottomarini non nucleari, più economici da produrre e con vantaggi in termini di accesso alle acque poco profonde vicino alle coste (https://nvo.ng.ru/armament/2023-04-20/7_1233_submarine.html). Inoltre, la Cina ha inviato uniformi, altre forniture di base e forse munizioni e attrezzature per le comunicazioni. Lo sviluppo tecnologico di droni più avanzati è probabilmente alle porte.

 

La guerra ha anche rinvigorito il progetto sino-russa volto a costruire una comunità globale alternativa finalizzata a contrastare l’egemonia occidentale in tutti gli ambiti. Mentre le sanzioni occidentali hanno avuto un impatto limitato sulla Russia e hanno danneggiato le economie occidentali, la pressione dell’Occidente su altri Stati affinché aderissero al suo regime sanzionatorio ha ulteriormente energizzato la ricerca di un ordine alternativo da parte del Sud del mondo, che ha sposato gli sforzi simultanei di Russia e Cina per costruire una rete di blocchi internazionali anti-occidentali nel campo del commercio, della finanza, dei trasporti e persino semi-militari. In particolare, le due potenze hanno intensificato gli sforzi per costruire strutture globali alternative non occidentali, se non addirittura anti-occidentali, per aggirare il mondo americano. L’espansione dei BRICS e dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), la costruzione della rete cinese di trasporti e infrastrutture “One Belt One Road” (OBOR) e la de-dollarizzazione sono i meccanismi principali per raggiungere questo obiettivo, e tutti hanno subito un’accelerazione dall’inizio della guerra tra NATO e Russia in Ucraina.

 

L’espansione dei BRICS sta diventando l’elemento centrale di questa strategia di rete. Il suo vantaggio è la portata globale, mentre il progetto della nuova Via della Seta è limitato alla Grande Eurasia. Ventitré Paesi hanno espresso il desiderio di aderire ai BRICS e le prime sei richieste di adesione sono già state approvate al vertice di Johannesburg del mese scorso, che ha previsto l’operatività della loro adesione a partire dal 2024: Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Argentina ed Etiopia.

Inoltre, i BRICS hanno deciso di espandere la loro alternativa alla Banca Mondiale, la BRICS Bank (finanziatrice di 33 miliardi di dollari per 96 progetti infrastrutturali in tutto il mondo a partire da maggio 2023), coinvolgendo Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bangladesh e Uruguay. La cooptazione dell’Egitto e dell’Arabia Saudita, tradizionalmente alleati dell’Occidente, è un grande colpo per i BRICS, per la Cina e per la Russia e avvicina la potenza petrolifera saudita e l’OPEC all’Oriente.

In termini di de-dollarizzazione, dall’inizio della guerra Russia, Cina e India hanno interrotto o ridotto l’uso del dollaro negli scambi commerciali con numerosi Paesi, compresi gli acquisti di petrolio dell’Arabia Saudita, e tra di loro.

 

La globalizzazione della politica di sicurezza nazionale della Russia va oltre la crescente securizzazione della Shanghai Cooperation Oorganization (SCO). Questa accelerazione avverrà con la guerra ucraina tra NATO e Russia e con l’espansione dei BRICS, che a loro volta dovrebbero aumentare il numero di Paesi che cercano di aderire alla SCO. Sempre in Asia, le decisioni della NATO di formare l’AUKUS e di aprire un ufficio NATO in Giappone hanno spinto Mosca a rafforzare la cooperazione strategica con la Corea del Nord, che ha ricambiato le attenzioni. Si sospetta che Mosca abbia venduto a Pyongyang la tecnologia o un vero e proprio missile balistico intercontinentale Topol-M, vista l’improvvisa produzione del missile intercontinentale Hwasong-18, in grado di colpire gli Stati Uniti continentali (https://beyondparallel.csis.org/the-transfer-of-a-russian-icbm-to-north-korea/).

Ad agosto scorso, l’amministrazione Biden ha imposto sanzioni a tre società accusate di essere legate ad accordi di armi tra la Corea del Nord e la Russia e ha affermato che il presunto imminente viaggio di Kim Jong Il a Mosca includerà discussioni sulla vendita di armi a Mosca (www.theguardian.com/world/2023/sep/06/north-korea-will-pay-a-price-if-it-supplies-arms-to-russia-says-us). Al momento in cui scriviamo, Kim si trovava a Vladivostok per incontrare Putin.

 

La Russia si sta spingendo anche nell’emisfero occidentale americano, complicando ulteriormente la posizione geostrategica dell’America. Nel febbraio 2022 il vice primo ministro russo Yuri Borisov ha firmato un patto per aumentare la cooperazione militare con il Venezuela. Mosca ha quindi inviato in Venezuela attrezzature militari, truppe e mercenari e ha fornito assistenza tecnica. La Russia ha anche sostenuto le forze venezuelane inviate nello Stato di Apure, al confine con la Colombia. Mosca ha recentemente annunciato che una squadra di cecchini russi, insieme a squadre provenienti da Cina, Iran e altri sette Paesi, avrebbe partecipato a una competizione militare di cecchini in Venezuela (https://www.csis.org/analysis/russia-western-hemisphere-assessing-putins-malign-influence-latin-america-and-caribbean e https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/congressional_testimony/ts220720_Ellis.pdf?VersionId=nVUH7XPQ7U.22FQnIGJycXakubOycvpQ,  p. 1).

 

Nel giugno 2022 il Nicaragua ha rilasciato una nuova autorizzazione all’ingresso nel Paese di un numero limitato di truppe ed equipaggiamenti russi per missioni di addestramento e altre forme di supporto (https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/congressional_testimony/ts220720_Ellis.pdf?VersionId=nVUH7XPQ7U.22FQnIGJycXakubOycvpQ,  p. 1). L’autorizzazione ha ampliato una precedente autorizzazione e ha permesso a 180-230 truppe russe, nonché ad aerei, navi e armi russe di operare sul suolo nicaraguense da luglio a dicembre 2022 e di fornire supporto per la lotta al narcotraffico, le comunicazioni militari, l’addestramento e altre misure militari (https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/congressional_testimony/ts220720_Ellis.pdf?VersionId=nVUH7XPQ7U.22FQnIGJycXakubOycvpQ,  pp. 2-3).

 

La Russia ha fatto progressi diplomatici anche in America Latina, tra Paesi tipicamente non ben disposti nei confronti della Russia come Cuba, Nicaragua, Ecuador e Venezuela. A prescindere dall’appartenenza del Brasile ai BRICS e dall’astensione dei BRICS da qualsiasi critica alle azioni russe in Ucraina, i governi del Brasile e dell’Argentina hanno dato sostegno politico a Putin e hanno visitato Mosca mentre le truppe russe si preparavano a invadere l’Ucraina nell’inverno 2021-2022, nel caso in cui le proposte di Putin all’Occidente avessero avuto una risposta insoddisfacente, come alla fine è stato. Il presidente argentino Alberto Fernandez ha offerto il suo governo come “porta” per l’ingresso della Russia in America Latina. Il messicano Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO) ha definito “immorale” l’assistenza militare della NATO all’Ucraina nella guerra con la Russia (https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/congressional_testimony/ts220720_Ellis.pdf?VersionId=nVUH7XPQ7U.22FQnIGJycXakubOycvpQ,  pp. 4-5). L’avanzata della Russia nella regione è forse meglio rappresentata dal fatto che, come osserva un osservatore, “praticamente nessun governo della regione ha fornito sostegno militare agli ucraini che resistono all’invasione russa del loro Paese” (https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/congressional_testimony/ts220720_Ellis.pdf?VersionId=nVUH7XPQ7U.22FQnIGJycXakubOycvpQ,  p. 5). Sembra che la Russia sia più popolare tra i governi latinoamericani di quanto non lo siano gli Stati Uniti, e questa sconfitta strategica è stata consolidata dalla competizione diplomatica e militare russa con Washington, intensificatasi dall’inizio della guerra ucraina tra NATO e Russia.

 

Questa sconfitta strategica potrebbe adesso persistere, approfondirsi e si sta espandendo anche oltre l’America Latina.

Quasi tutti i paesi dell’America Latina sono in crisi, mentre la maggior parte di loro si sposteranno verso la posizione di “dissenso” moderato assunta da Brasile e Argentina ovvero assumeranno una posizione di dissenso radicale detenuta da paesi come Venezuela, Nicaragua e Cuba, la Russia (e la Cina) saranno ancora più vicine ad essere in grado di utilizzare i paesi della regione per scopi di escalation asimmetrica mentre la NATO e i suoi alleati promuovono escalation dentro e intorno all’Ucraina (https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/congressional_testimony/ts220720_Ellis.pdf?VersionId=nVUH7XPQ7U.22FQnIGJycXakubOycvpQ,  pag. 7).

 

Un simile scenario sembra delinearsi in Africa e in Asia, con numerosi Paesi che cercano cooperazione sia con la Russia che con la Cina, nonostante le tensioni di quest’ultime con l’Occidente, che chiede l’attuazione di sanzioni draconiane. Tra i più potenti Stati del Terzo mondo il sostegno alla Russia e ancor più alla Cina, è diventato ben chiaro alla riunione del G-20 di settembre, dove alcun tipo di critica alle azioni della Russia in Ucraina è stata più inserita nella risoluzione finale della riunione, nonostante la richiesta degli stati occidentali del G-20 di includere una condanna nel documento (https://news.yahoo.com/g20-consensus-declaration-calls-peace-144325325.html?fr=sycsrp_catchall).

Le battute d’arresto strategiche sono visibili in termini di sicurezza energetica dell’Occidente. Come già notato, Mosca e Pechino sono riuscite a trascinare il gigante petrolifero Arabia Saudita lontano dall’Occidente e nell’orbita ‘orientale’. La Russia e l’amichevole Algeria controllano i prezzi del gas naturale. La Russia ha sottratto l’Arabia Saudita e l’OPEC al sistema commerciale occidentale. Ciò consente a Mosca di manipolare e far salire i prezzi dell’energia e l’inflazione in Occidente, accentuandone difficoltà economiche, crisi e declino. Allo stesso tempo, l’Occidente è gravato da contro-sanzioni russe, dall’aumento dei prezzi del petrolio e del gas naturale e dal sostegno fornito all’economia, allo stato, alla società ed all’esercito dell’Ucraina, mentre questa è impegnata una terribile guerra di logoramento.

Inoltre, il principale alleato della NATO contro la Russia sta attraversando un periodo di difficoltà che si avvicina alla grande rovina della seconda metà del XVII secolo, durante la quale i cosacchi soffrirono il controllo polacco e russo e la guerra civile.

IN APPENDICE

Sessione plenaria dell’8° Forum economico orientale

Il discorso di Vladimir Putin alla sessione plenaria dell’8° Forum economico orientale.
12 settembre 2023
11:45
Isola Russkij, Territorio di Primorye
Prima della sessione plenaria dell’8° Forum economico orientale.
Sessione plenaria dell’8° Forum economico orientale.
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Sessione plenaria dell’8° Forum economico orientale.

Alla sessione plenaria ha partecipato anche il Vicepresidente della Repubblica Democratica Popolare del Laos Pany Yathotou.

Il moderatore della discussione è Ilya Doronov, amministratore delegato del canale televisivo RBC.

* * *

Ilya Doronov: Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera a tutti.

È bello che quest’anno ci sia più gente al nostro forum rispetto all’anno scorso. Credo che l’anno scorso in questa sala ci fosse più spazio tra le sedie. Oggi siamo seduti più vicini.

Benvenuti all’8° Forum economico orientale. Avevo previsto di iniziare in modo diverso, ma le notizie in arrivo hanno cambiato i miei piani. Come avrete letto, un volo Sochi-Omsk ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza in un campo nella regione di Novosibirsk. A bordo c’erano 159 persone, nessuna delle quali è rimasta ferita. Ho letto che solo una persona ha avuto un problema di pressione sanguigna. Applaudiamo i piloti.

(Applausi.)

C’è un altro problema con gli aerei, ma possiamo parlarne più tardi.

Quindi, questo forum e questa sessione non sono standard. Perché? Il motivo è che è stato annunciato esattamente 10 anni fa che l’Estremo Oriente e l’Artico sono una priorità per noi. Yury Trutnev è stato nominato inviato plenipotenziario presidenziale nel Distretto federale dell’Estremo Oriente 10 anni fa e il Presidente ha dichiarato nel suo discorso all’Assemblea federale che l’Estremo Oriente è stato dichiarato una priorità.

Do quindi la parola al Presidente della Russia e gli chiedo di raccontarci, come si usa dire, cosa è stato fatto in questi due quinquenni.

Presidente della Russia Vladimir Putin: Buon pomeriggio, amici, signora Yathotou,

Sono lieto di dare il benvenuto al nostro ospite e chiedo anche ai partecipanti di farlo.

Il nostro moderatore ha salutato il pubblico dicendo “buon pomeriggio, buongiorno, buonasera” – e in effetti, quando si arriva in Estremo Oriente, qui tutto diventa confuso e disorientante. Ma una cosa è chiara: l’Estremo Oriente è la priorità strategica della Russia per tutto il XXI secolo, e noi la rispetteremo.

Vorrei dare il benvenuto ai partecipanti e agli ospiti dell’8° Forum economico orientale, che tradizionalmente riunisce leader economici, esperti e alti funzionari del nostro Paese e di decine di altri Stati di tutto il mondo per discutere di aree promettenti e strategiche per lo sviluppo dell’Estremo Oriente russo, dell’Artico e dell’intera regione Asia-Pacifico. Nelle mie osservazioni di oggi, in un modo o nell’altro, citerò anche altre regioni russe, perché fanno parte di un unico complesso economico nazionale. Siamo qui riuniti per valutare le principali tendenze che determinano l’ulteriore sviluppo delle relazioni commerciali internazionali.

Siamo tutti consapevoli dei cambiamenti che l’economia globale ha sperimentato negli ultimi anni e continua a sperimentare ora, anche a causa di alcuni Paesi, in primo luogo quelli occidentali, ovviamente, che stanno distruggendo il sistema di relazioni finanziarie, commerciali ed economiche che avevano costruito con grande impegno.

È molto importante che in queste condizioni il mondo veda espandersi lo spazio per un’effettiva cooperazione commerciale tra Stati che non cedono alle pressioni esterne ma perseguono i propri interessi nazionali, con un numero crescente di Stati di questo tipo in diverse regioni del mondo.

Nelle loro attività e politiche, essi danno priorità agli sforzi per promuovere i propri progetti nei settori dei trasporti, dell’energia, dell’industria, della finanza e della sfera umanitaria, che portano benefici diretti a lungo termine alle loro nazioni, invece di essere guidati da questioni politiche correnti.

In sostanza, stiamo assistendo a un nuovo modello emergente di relazioni e di integrazione – e non per i modelli occidentali, per le élite, per il “miliardo d’oro” prescelto, ma per l’intera umanità e per l’intero mondo multipolare esistente e in via di sviluppo. Questo modello offre l’energia creativa, l’apertura e la concentrazione su un risultato specifico come un potente vantaggio competitivo della regione Asia-Pacifico, un fattore chiave che determina e sono sicuro determinerà per lungo tempo la sua leadership globale nella crescita economica.

In particolare, l’anno scorso il commercio della Russia con i Paesi dell’Asia-Pacifico è aumentato del 13,7% e nei primi sei mesi di quest’anno è aumentato di un altro 18,3%. L’anno scorso era aumentato del 13,7% e quest’anno è aumentato del 18,3% solo nei primi sei mesi.

Mi aspetto che il nostro commercio con i Paesi dell’APR e le relazioni economiche in generale si espandano ulteriormente, perché la Russia, il nostro Estremo Oriente, è aperta a rafforzare i legami commerciali e di cooperazione, e il potenziale di tale cooperazione non può essere sopravvalutato.

Il distretto federale dell’Estremo Oriente rappresenta il 40% del territorio russo. Qui si trova quasi la metà delle nostre foreste e delle riserve aurifere, più del 70% del pesce e dei diamanti e più del 30% del titanio, del rame e così via. Qui si trovano imprese strategiche di importanza cruciale, porti marittimi e ferrovie. In breve, il ruolo dell’Estremo Oriente per il nostro Paese e per il suo futuro, per la posizione della Russia in un mondo multipolare, è immenso. Ne siamo ben consapevoli. Per questo vorrei ripetere ciò che ho detto nel mio discorso all’Assemblea federale dieci anni fa, nel dicembre 2013, e ciò che ho detto all’inizio: lo sviluppo avanzato dell’Estremo Oriente è la nostra priorità assoluta per tutto il XXI secolo, la nostra responsabilità condivisa e il lavoro del Governo, delle regioni e delle principali aziende russe, sia statali che private.

Per organizzare questo lavoro, negli ultimi anni è stato creato un quadro normativo e giuridico serio e sono stati definiti approcci moderni allo sviluppo economico e sociale dell’Estremo Oriente e dell’Artico, che è un’altra priorità strategica.

Quali sono i risultati? Il moderatore ha chiesto quali risultati siamo riusciti a ottenere lavorando insieme in questa regione negli ultimi dieci anni. Il primo riguarda l’economia. Abbiamo creato speciali preferenze fiscali, amministrative e doganali in Estremo Oriente per promuovere lo sviluppo di siti industriali e di impianti di produzione ad alta tecnologia e per creare nuovi posti di lavoro, e ci siamo occupati della costruzione di infrastrutture e di portare servizi ai siti industriali. Questo sostegno alle imprese viene fornito nelle aree di sviluppo prioritario e nel porto franco di Vladivostok, sebbene siano stati aggiunti anche altri territori.

L’anno scorso è stato lanciato uno speciale regime preferenziale sulle Isole Curili, a condizioni ancora più favorevoli rispetto alle aree di sviluppo prioritario: la durata dei benefici è più lunga, gli sgravi fiscali sono maggiori, e così via. Non entrerò nei dettagli ora, per non perdere tempo.

Grazie al sostegno del Governo ai progetti dell’Estremo Oriente, sono stati firmati accordi di investimento per oltre 7.700 miliardi di rubli, di cui 3.400 miliardi già investiti. Sono stati creati 125.000 posti di lavoro e sono diventate operative circa 700 nuove imprese. Tra questi, progetti di riferimento come uno dei più grandi impianti di lavorazione del gas al mondo e un complesso chimico per il gas nella regione dell’Amur, l’impianto di fertilizzazione minerale di Nakhodka e il complesso navale Zvezda per la costruzione di navi di grande capacità, che si trova proprio qui accanto. Si stanno sviluppando giacimenti di rame e altri minerali, tra cui Udokan, Baimskoye e Malmyzhskoye.

Importanti progetti sono stati avviati anche nel settore agroalimentare. Tra questi, le aziende agricole in serra nella Regione di Sakhalin e nel Territorio di Primorye, la lavorazione del pesce in Kamchatka e Magadan, la produzione di carne suina nel bacino del fiume Amur e l’aumento della produzione di soia nella Regione di Amur. Tutte queste aree sono promettenti sia per l’approvvigionamento del mercato interno che per l’esportazione.

In generale, la dinamica degli investimenti in Estremo Oriente, e vorrei sottolinearlo, è tre volte più veloce di quella della Russia nel suo complesso. Mentre dal 2014 al 2022 la crescita degli investimenti in capitale fisso in tutto il Paese è stata del 13%, in Estremo Oriente è stata del 39%.

Ciò si riflette anche sulla produzione. I tassi di crescita industriale in Estremo Oriente superano anche la media russa.

Secondo i risultati degli ultimi cinque anni, la maggior parte delle nostre regioni orientali – le regioni di Magadan e Amur, il Territorio Trans-Baikal, la Regione Autonoma Ebraica, il bacino del fiume Amur, la Chukotka e la Kamchatka – sono tra le prime 20 entità costitutive della Federazione Russa in termini di tassi di crescita del prodotto regionale lordo, e la Regione di Magadan è in cima a questa classifica.

Ecco alcune cifre che parlano da sole. In 10 anni, il fatturato dei porti marittimi dell’Estremo Oriente è aumentato di 1,6 volte, la messa in funzione delle abitazioni di 1,3 volte, il consumo di elettricità di 1,2 volte, la produzione annuale di oro nell’est del Paese è aumentata di 1,6 volte e quella di carbone di 2,8 volte. Capite bene di cosa stiamo parlando: non si tratta dell’aumento percentuale della crescita, tutto sta crescendo in modo esponenziale.

Vorrei sottolineare che la percentuale media di risorse esplorate nel sottosuolo dell’Estremo Oriente è ora del 35%. Capite bene che solo il 35% del sottosuolo è stato esplorato. Cosa significa questo? Che le industrie minerarie hanno tutte le possibilità di crescere a dismisura, anche per quanto riguarda le materie prime strategiche che scarseggiano e che saranno richieste dall’economia del futuro.

Tutto ciò non è solo una garanzia della sovranità delle risorse del Paese, ma anche una base per la produzione di nuovi materiali, microelettronica e fonti energetiche promettenti, per la promozione di tecnologie e sviluppi scientifici nazionali a tutela dell’ambiente e della natura, per la creazione di buoni posti di lavoro e per lo sfruttamento dei vantaggi competitivi naturali dell’Estremo Oriente e di tutta la Russia a un nuovo livello.

Al fine di aumentare la portata dell’esplorazione geologica, abbiamo lanciato una strategia frontale, chiamata così in modo splendido: Geologia. La rinascita di una leggenda. Chiedo al Governo di inserirvi una sezione separata, dedicata allo studio del sottosuolo dell’Estremo Oriente e di iniziare a preparare una sezione simile per la Siberia.

Le prospettive per l’Estremo Oriente e l’Artico sono legate non solo allo sviluppo dei giacimenti minerari, che, senza dubbio, godono di un’elevata domanda sia nell’industria nazionale che a livello internazionale.

Per ribadire che la potente base di materie prime per lo sviluppo economico che stiamo creando ci permette di andare avanti, di aumentare la profondità della lavorazione delle risorse, come dicono gli esperti, di aumentare il valore aggiunto nelle imprese nazionali, anche e soprattutto, ovviamente, in Estremo Oriente. Questa è la cosa più importante.

Per poterlo fare, dobbiamo migliorare costantemente le condizioni per fare affari nella macroregione, mantenerle a un livello competitivo a livello globale e fornire finanziamenti a lungo termine e a basso costo per i progetti di investimento, accessibili sia alle piccole e medie imprese che alle grandi aziende di produzione in tutte le aree e settori, territori e distretti.

Come forse saprete, abbiamo lanciato una piattaforma federale per gli investimenti nei cluster. Questo meccanismo è destinato a finanziare grandi progetti di importanza sistemica, principalmente per la produzione di materiali, componenti e prodotti finiti nell’industria manifatturiera.

Quest’anno, nell’ambito di questa piattaforma di investimento, dovrebbero essere finanziati progetti per la produzione prioritaria del valore di almeno 2.000 miliardi di rubli. Vorrei che il Governo utilizzasse questo strumento per espandere l’economia dell’Estremo Oriente, in modo da creare qui impianti di produzione più sofisticati con posti di lavoro moderni e ben retribuiti. È necessario promuovere progetti che richiedono grandi investimenti multimiliardari che, a loro volta, diventano punti di attrazione per i settori collegati, l’industria delle costruzioni, le società di servizi e i produttori di attrezzature, ma anche per le piccole imprese.

Vorrei anche sottolineare che la petrolchimica e la conversione del gas naturale, la metallurgia, la costruzione di macchine e altri settori dell’industria manifatturiera sono tutte industrie ad alta intensità energetica. Tuttavia, è bene ricordarlo, la maggior parte delle regioni dell’Estremo Oriente, che, come ho detto prima, stanno costruendo abitazioni, aprendo nuovi impianti di produzione e siti industriali, devono ancora far fronte alla carenza di energia e questo, ovviamente, è un problema.

La portata dei progetti che stiamo realizzando in Estremo Oriente richiede un aggiornamento altrettanto radicale del sistema energetico dell’Estremo Oriente. Allo stesso tempo, esistono opportunità davvero uniche per lo sviluppo di energia idroelettrica, nucleare e rinnovabile rispettosa dell’ambiente.

Chiedo al Governo, insieme alle nostre principali compagnie energetiche e alla comunità imprenditoriale, di preparare un programma per lo sviluppo delle capacità energetiche in Estremo Oriente. Il programma dovrebbe coprire un periodo a lungo termine, fino al 2050, per espandere al massimo le capacità economiche dei nostri territori dell’Estremo Oriente. Chiedo inoltre al Governo di sviluppare meccanismi di finanziamento dei progetti per questo programma strategico.

I piani prevedono il collegamento dei gasdotti Sila Sibiri (Potenza della Siberia) e Sakhalin-Khabarovsk-Vladivostok e la loro inclusione nel sistema integrato di approvvigionamento di gas del Paese. Questo risolverà – oserei dire – un compito storico e globale per il nostro Paese: integrare le reti di distribuzione del gas russe occidentali e orientali in una sola.

Insieme alla costruzione di Sila Sibiri-2, ci consentirà non solo di operare in modo flessibile sui mercati energetici globali, cosa che oggi è rilevante, come sappiamo, ma anche di espandere in modo significativo il programma di collegamento delle comunità della Buriazia, del Territorio Trans-Baikal e di altre regioni dell’Estremo Oriente al sistema di distribuzione del gas, fornendo alle industrie locali dell’Estremo Oriente risorse aggiuntive e alle città e ai villaggi locali combustibile ecologicamente pulito. Le capacità del terminale GNL, già costruito da una delle nostre società, saranno utilizzate per collegare la Kamchatka alla rete di distribuzione del gas,

Questo settore si sta sviluppando attivamente, anche nell’Artico. Dopo il successo del progetto Yamal LNG, è stato avviato un nuovo importante progetto per la costruzione di un terminale GNL nell’Artico: la prima linea tecnologica del progetto Arctic LNG 2. La linea è già stata consegnata alla produzione di gas naturale. È già stata consegnata al sito di produzione e i lavori di avviamento sono in corso, giusto? È fantastico.

Voglio sottolineare che la linea è in realtà un impianto galleggiante per la liquefazione del gas naturale. Questo progetto è l’unico al mondo nel suo genere, è sicuro, ed è costruito con tecnologia e capacità russe. Il progetto viene realizzato dal Murmansk LNG Construction Centre, che produce treni di liquefazione GBS.

Entro il 2030, la produzione di GNL nella zona artica russa dovrebbe aumentare del 200%, fino a 64 milioni di tonnellate all’anno. A questo proposito, è stata presa la decisione di principio di costruire nuove linee di GNL presso il centro di Murmansk per operare nei giacimenti artici. Naturalmente, ciò darà un grande contributo allo sviluppo delle nostre regioni settentrionali e migliorerà la sovranità tecnologica della Russia.

Nella regione di Murmansk verrà costruito un centro di produzione di GNL ad alta capacità. La questione non è direttamente collegata all’Estremo Oriente, ma a tal fine sarà costruito un gasdotto Volkhov-Murmansk-Belokamenka.

Non entrerò nei dettagli, ma spero vivamente che le nostre aziende, con l’aiuto del Governo, trovino un accordo tra loro su chi e come sarà impegnato nella costruzione di questa importante infrastruttura. È molto importante per Murmansk e per le comunità locali, oltre che per la Carelia.

I progetti di trasporto sono importanti come strumento di sostegno alle iniziative imprenditoriali e in generale all’economia dell’Artico e dell’Estremo Oriente e ai residenti locali. È necessario ampliare le rotte logistiche esistenti e aprire nuovi corridoi per le operazioni di carico.

Tra questi progetti, lo sviluppo della Northern Sea Route ha certamente una priorità speciale. L’anno scorso sono stati trasportati su questa rotta trentaquattro milioni di tonnellate di merci. Nei prossimi anni, il traffico merci su questo corridoio di trasporto globale non potrà che crescere, il che richiede la priorità della costruzione di una moderna flotta di rompighiaccio, nonché il potenziamento dei porti artici e delle loro infrastrutture.

Entro il 2030, prevediamo che la capacità generale dei porti marittimi nelle acque artiche raddoppierà. Se l’anno scorso questa capacità era di 123 milioni di tonnellate, entro la fine del decennio dovrebbe raggiungere i 252 milioni di tonnellate, grazie anche alla costruzione di nuovi terminal e all’espansione dell’accesso ferroviario. Entro il 2027, prevediamo di aumentare sostanzialmente la capacità del porto di Murmansk, da 56 a 110 milioni di tonnellate all’anno.

Continueremo a modernizzare la linea principale Baikal-Amur e la ferrovia transiberiana. Certamente, il ritmo deve essere accelerato, anche attraverso concessioni e attirando capitali privati per la costruzione di ponti, gallerie e cavalcavia. Ne abbiamo appena discusso con i moderatori delle rispettive sessioni.

A questo proposito, vorrei sottolineare che, grazie all’iniziativa di investitori privati, stiamo costruendo la Ferrovia del Pacifico e un nuovo porto sul Mare di Okhotsk, che ci permetterà di utilizzare le risorse della Yakutia e delle regioni settentrionali del Territorio di Khabarovsk, e di assicurarci un accesso diretto ai mercati dell’Asia-Pacifico.

Le nostre principali aziende stanno attualmente costruendo un nuovo porto a Taimyr e modernizzando la ferrovia Pangody-Nadym a Yamal. Sono molti gli esempi di imprese che effettuano investimenti a lungo termine in logistica, trasporti, progetti energetici, costruzione di ferrovie e autostrade, terminali marittimi e aeroporti.

Vorrei chiedere al Governo e ai nostri colleghi delle regioni di fare affidamento su questa risorsa e di fare in modo che gli investimenti statali e privati creino un effetto sinergico per il rinnovo delle infrastrutture e delle strutture sociali e per lo sviluppo territoriale delle regioni e del Paese in generale.

Ho già detto agli imprenditori russi, molti dei quali stanno subendo pressioni da parte di alcuni dei nostri partner, e voglio ribadire oggi che è sicuramente meglio e più affidabile investire in Russia, sia in grandi e ambiziosi progetti infrastrutturali che in progetti locali ma importanti legati allo sviluppo urbano e al turismo. Abbiamo visto cosa succede con i capitali e come e dove vanno a finire. Non commettete lo stesso errore due volte.

Proprio di recente abbiamo aperto un tratto dell’autostrada ad alta velocità da Mosca ad Arzamas. Entro la fine di quest’anno, la strada raggiungerà Kazan, e poi Ekaterinburg e Tyumen. Voglio dire che continueremo sicuramente questo grande progetto e costruiremo strade ad alta velocità attraverso la Siberia e l’Estremo Oriente fino a raggiungere l’Oceano Pacifico. Il corridoio di trasporto integrato Rossiya sarà creato da San Pietroburgo a Vladivostok. Contribuirà allo sviluppo del turismo, collegherà i centri logistici, agricoli e produttivi, darà impulso all’imprenditoria e alla rinascita di città e villaggi.

Una questione a parte è lo sviluppo del trasporto aereo tra l’Estremo Oriente e la parte europea della Russia, nonché il miglioramento dell’interconnessione diretta delle regioni dell’Estremo Oriente, in modo che le persone non debbano volare verso le regioni vicine attraverso gli aeroporti di Mosca o della Siberia.

A tal fine, come sapete, abbiamo creato una compagnia aerea integrata dell’Estremo Oriente. Le sue rotte più importanti sono sovvenzionate dallo Stato, in modo che i biglietti aerei diventino più accessibili, e ci sono ulteriori opportunità di creare nuove rotte, anche locali.

Suggerisco di continuare questo importante lavoro e di renderlo di sistema. Chiedo al Governo di mettere a punto un piano completo di misure per lo sviluppo del trasporto aereo nella regione dell’Estremo Oriente entro il 1° marzo 2024. Il piano dovrebbe riguardare la costruzione di nuovi aeroporti e l’ammodernamento di quelli esistenti, il miglioramento degli standard dell’aviazione generale, la fornitura di aerei ed elicotteri di fabbricazione russa e, naturalmente, l’aumento dell’accessibilità economica dei viaggi aerei, riducendo le spese delle compagnie aeree per il leasing degli aeromobili.

I parametri e gli obiettivi esatti sono ancora da definire, ma credo che sarebbe opportuno pianificare che entro il 2030 il flusso di passeggeri sui voli interni dell’Estremo Oriente dovrebbe crescere fino a raggiungere almeno 4 milioni di persone all’anno.

Colleghi,

L’obiettivo più importante e integrale dei nostri piani, che stiamo attuando nell’economia, nei trasporti e nelle infrastrutture dell’Estremo Oriente, è quello di migliorare la qualità della vita, di creare condizioni confortevoli e moderne per lo studio e il lavoro, il tempo libero e la crescita dei figli, e di ottenere una crescita demografica sostenibile nelle regioni russe dell’Estremo Oriente.

A tal fine, sono stati lanciati diversi meccanismi, tra cui il programma Far Eastern Hectare. Più di 119.000 persone hanno ricevuto appezzamenti di terreno per fare affari, aprire strutture produttive e turistiche o costruire le proprie case.

Vorrei ricordarvi il compito che ci attende: quest’autunno dobbiamo creare un quadro normativo per sostenere la costruzione di abitazioni individuali in tutto il Paese. Mi riferisco ai conti vincolati utilizzati per la costruzione di condomini. Questi conti proteggeranno ulteriormente i risparmi dei cittadini e creeranno l’opportunità di ottenere prestiti ipotecari per costruire le proprie case.

Richiamo l’attenzione dei colleghi del Governo sul fatto che questi meccanismi devono essere sviluppati entro la fine di quest’anno e, per ribadire, in tutto il Paese, comprese le regioni dell’Estremo Oriente.

In particolare, nell’Estremo Oriente sono disponibili condizioni ipotecarie speciali, con un importo del prestito fino a sei milioni di rubli, una durata fino a 20 anni e un tasso di interesse del 2%. Con l’aiuto di questo strumento, più di 78.000 famiglie hanno acquistato o costruito nuovi alloggi.

Propongo di adeguare i parametri del programma di prestiti ipotecari dell’Estremo Oriente e di renderlo più attraente. Ieri io e i miei colleghi ne abbiamo discusso. Si tratta di innalzare il limite massimo del prestito a nove milioni di rubli per coloro che vogliono acquistare un alloggio di proprietà con una superficie superiore ai 60 metri quadrati. In questo modo, le famiglie avranno più opportunità di scegliere un appartamento sul mercato primario o di costruire la propria casa.

Inizialmente il programma di prestiti ipotecari per l’Estremo Oriente era pensato solo per le giovani famiglie, ma dall’anno scorso anche gli insegnanti e i medici che lavorano in Estremo Oriente possono accedere a questo tipo di prestito.

Propongo di fare un passo avanti e di ampliare ancora una volta la copertura di questo programma, rendendo disponibili i mutui al due per cento anche ai dipendenti delle imprese dell’industria della difesa dell’Estremo Oriente. Per ribadire, per tutti i dipendenti dell’industria della difesa dell’Estremo Oriente, indipendentemente dall’età o dallo stato civile, proprio come abbiamo fatto per i medici e gli insegnanti.

Poi. Abbiamo suggerito meccanismi speciali per lo sviluppo dell’edilizia abitativa, tra cui il cosiddetto progetto del quartiere dell’Estremo Oriente, in cui le aziende impegnate nello sviluppo globale ricevono i benefici disponibili per le aziende residenti nelle aree di sviluppo prioritario. Di conseguenza, la fase di progettazione comprende abitazioni, un ambiente urbano confortevole e infrastrutture sociali, come asili, ambulatori, centri sportivi e altro ancora.

Sostenuta dai meccanismi del Quartiere dell’Estremo Oriente, è in costruzione una città satellite vicino a Vladivostok. Ospiterà circa 80.000 persone in un ambiente di vita all’avanguardia.

Vorrei aggiungere che il cosiddetto sussidio presidenziale è stato introdotto per contribuire allo sviluppo globale delle infrastrutture sociali in Estremo Oriente. Nell’ambito di questo programma, sono state costruite, riparate e attrezzate oltre 1.500 strutture in tutte le regioni dell’Estremo Oriente. Si tratta di scuole, ospedali, palestre, centri per il fitness e la salute, case della cultura, ecc.

Ecco alcune strutture inaugurate di recente: un centro cardiovascolare a Yakutsk, un centro di medicina nucleare a Ulan-Ude, un centro per gli sport di squadra e le arti marziali a Komsomolsk-on-Amur. In Chukotka sono stati costruiti alloggi per i lavoratori del settore sociale. È stato inaugurato il Parco Mayak sulla costa del Mare di Okhotsk a Magadan.

Un’area di lavoro separata e importante che abbiamo lanciato è la rinascita di 25 agglomerati e città dell’Estremo Oriente. Non le elencherò ora; ne abbiamo discusso pubblicamente ieri. Le città dovrebbero avere un nuovo look grazie allo sviluppo di piani regolatori qualitativi basati sui problemi e sui vantaggi di ciascuna città. I piani regolatori sono più o meno pronti, ne abbiamo parlato ieri. È necessario finalizzarli, delineare le fonti di finanziamento e procedere con i lavori il più rapidamente possibile.

Durante la ristrutturazione delle città, è necessario utilizzare il meccanismo delle concessioni dell’Estremo Oriente. Suggerisco inoltre di stanziare risorse aggiuntive per i piani regolatori prioritari nei prossimi tre anni; ieri ho incaricato il Governo di mettere a punto questi meccanismi. In seguito, valuteremo la possibilità di aumentare i finanziamenti per il periodo fino al 2030.

E, naturalmente, è necessario prestare particolare attenzione alle entità municipali, comprese quelle piccole. Per esempio, nell’ambito del programma Mille cortili, l’anno scorso sono stati migliorati 1.245 spazi pubblici; altri 562 saranno migliorati quest’anno. Naturalmente, questo lavoro deve essere continuato.

Vorrei sottolineare che qualche tempo fa abbiamo deciso che tutti i nostri principali programmi di sviluppo avrebbero dovuto includere una sezione speciale sull’Estremo Oriente. Questo ci ha permesso di ottenere una discreta crescita degli investimenti governativi nei progetti realizzati in Estremo Oriente. Dovremmo mantenere questi livelli e queste dinamiche e continuare a dare priorità all’Estremo Oriente per quanto riguarda gli investimenti statali.

Un’altra cosa: l’Estremo Oriente russo non deve essere solo un territorio in cui l’economia, il settore sociale e l’ambiente urbano si stanno sviluppando rapidamente. Nel perseguire questi piani e progetti, non dovremmo trascurare gli sforzi per prenderci cura di ecosistemi unici e preservare centinaia di specie animali e vegetali rare. Tra l’altro, il forum internazionale Falcon Day si è tenuto per la prima volta nell’ambito dell’attuale Eastern Economic Forum, con l’obiettivo di discutere la conservazione e la crescita della popolazione di specie di uccelli predatori e rari.

Vorrei ringraziare i nostri amici e colleghi del Medio Oriente, che stanno prestando particolare attenzione a questo tema. E ovviamente lavoreremo con voi, colleghi, su questa questione umanitaria ma molto coinvolgente.

L’Estremo Oriente russo possiede più di 60 aree naturali protette di importanza federale, molte delle quali incluse nell’elenco dei siti del Patrimonio Naturale dell’Umanità, come il Lago Baikal, il Parco Naturale dei Pilastri della Lena, la Riserva dell’Isola di Wrangel, i vulcani della Kamchatka e altri. Tutto questo è la nostra principale ricchezza nazionale e, allo stesso tempo, è patrimonio globale; siamo obbligati a preservarlo, offrendo al contempo opportunità per la ricerca scientifica, per l’educazione e la ricreazione dei bambini e dei giovani, e per i turisti e i visitatori russi e stranieri di conoscere la meravigliosa natura del nostro Estremo Oriente.

Ho detto che l’Estremo Oriente russo dovrebbe diventare una piattaforma per nuovi settori economici, tra cui lo sviluppo del turismo nei parchi nazionali dei territori di Primorye e Khabarovsk, della Yakutia, della Buryatia, della Kamchatka, delle Isole Curili e di altre regioni.

Il 1° settembre è entrata in vigore una legge per fornire condizioni adeguate e un quadro legislativo per l’ecoturismo e creare le basi per liberare il potenziale scientifico e turistico delle aree protette. È importante dotarle di infrastrutture adeguate.

A questo proposito, propongo che l’anno prossimo vengano stanziati ulteriori fondi per i parchi nazionali dell’Estremo Oriente, e non attraverso la ridistribuzione dei fondi destinati ad altri siti naturali, ma fornendo fondi aggiuntivi rispetto al finanziamento previsto.

E qualche parola sullo sviluppo di nuove industrie in Estremo Oriente. La mostra Sviluppo dell’economia creativa in Russia, che si è svolta a fine maggio, ha incluso una discussione approfondita in cui i giovani imprenditori, compresi quelli delle regioni dell’Estremo Oriente, hanno avanzato proposte interessanti.

Ad esempio, la Yakutia vanta una delle migliori pratiche di promozione delle industrie creative, come la programmazione informatica, l’architettura, il design industriale e simili, grazie agli sforzi delle autorità regionali e all’iniziativa dei suoi imprenditori. Questa esperienza costituirà la base per lo sviluppo di uno standard regionale per le industrie creative, che sarà poi esteso ad altre entità costitutive della Federazione. Il compito più importante è quello di migliorare il riconoscimento del marchio russo.

Ho incontrato i nostri colleghi moderatori – ho accennato a questo incontro in precedenza – e hanno condiviso con me la buona notizia che questo processo sta procedendo a un ritmo abbastanza veloce con buoni risultati.

È importante sostenere la domanda di prodotti e servizi nazionali, ad esempio attraverso mostre, fiere e così via. Continueremo sicuramente a portare avanti questo processo.

La prima fiera delle industrie creative si è tenuta a Novosibirsk in agosto. Vi hanno partecipato 70 produttori russi e 17.000 persone l’hanno visitata in tre giorni.

La seconda fiera è stata ospitata di recente a Vladivostok e l’evento è stato inserito nel programma culturale del nostro forum. Penso che queste iniziative saranno riprese da altre regioni.

Parlando dell’Estremo Oriente in particolare, è stata presa un’altra decisione che riguarda lo sviluppo di nuove industrie nell’economia, nella cultura e nello sport. Abbiamo deciso che ogni anno nel Distretto Federale dell’Estremo Oriente si terrà un torneo di cyber sport.

Questa tendenza è molto popolare in tutto il mondo e i nostri atleti cibernetici sono in testa alla classifica. Sono certo che organizzare competizioni di alto livello in Russia contribuirà a promuovere gli sport informatici nel nostro Paese e a livello internazionale.

Il primo torneo si terrà nel corso dell’anno. Vorrei che le aziende informatiche nazionali e quelle a partecipazione statale prestassero attenzione a questo sport e lo sostenessero.

Colleghi,

Negli ultimi dieci anni è stato fatto molto per l’Estremo Oriente e l’Artico. È stato dato un forte impulso allo sviluppo dell’economia, della sfera sociale e delle infrastrutture, e l’ambiente per fare affari che è stato creato non ha eguali nel nostro Paese. Non ho paura di usare questa parola: è un ambiente senza precedenti. Abbiamo lanciato grandi progetti di riferimento nella produzione di risorse naturali e nell’industria manifatturiera, nella costruzione di abitazioni e nel potenziamento della rete dei trasporti. Sono stati elaborati e sono in corso di attuazione piani di modernizzazione delle città e dei paesi.

Un ruolo fondamentale nel raggiungimento di questi risultati spetta agli abitanti dell’Estremo Oriente, le cui famiglie vivono qui da molte generazioni e a coloro che sono arrivati di recente da altre regioni per lavorare, studiare o gestire le proprie attività.

Vorrei ringraziare tutti coloro che credono nel futuro dell’Estremo Oriente, nelle sue vaste opportunità e potenzialità, e che contribuiscono al suo sviluppo.

Per ribadire che l’Estremo Oriente rimane la nostra priorità strategica per il resto del XXI secolo. Vorrei concludere le mie osservazioni con le righe iniziali. Sono certo che il suo ruolo, così come il ruolo e l’importanza del nostro Paese nel mondo, non potranno che crescere.

Grazie.

Ilya Doronov: Signora Vicepresidente, le darò la parola un po’ più tardi, se possibile.

Ora vorrei porre al Presidente della Russia alcune domande sul suo discorso.

Signor Presidente, è molto positivo che lei abbia menzionato l’importanza prioritaria dell’Estremo Oriente, perché molti potrebbero pensare che la nostra priorità sia nell’altra parte del mondo, in Occidente, e che tutti i nostri sforzi siano concentrati su di essa.

Vladimir Putin: Abbiamo molte priorità, ma l’Estremo Oriente è una delle priorità principali.

Ilya Doronov: È la terza volta che lo dice, e ora sapremo che è davvero così.

Lei ha parlato dell’autostrada M-12. Vorrei ringraziare lei e il signor Khusnullin, che è qui con noi oggi, per questo. Io sono di Vladimir, che si trova a 180 chilometri da Mosca, ma ci volevano sei o sette ore di macchina per percorrerla, ad esempio, durante le vacanze di maggio. Era un vero mal di testa. Ora useremo la nuova autostrada e vedremo se è meglio.

Ho diverse domande correlate.

Nel suo discorso, lei ha detto – ho preso nota delle sue parole – “un compito storico e globale” per quanto riguarda l’Estremo Oriente. Questo mi ha fatto pensare a un’analogia, cioè che i piani che avete reso pubblici possono essere paragonati a ciò che Stolypin fece per lo sviluppo della Siberia, o al piano di industrializzazione sovietico.

Ecco la mia domanda: Pensa che questi piani nazionali globali sarebbero stati realizzati e attuati se non fossero state adottate sanzioni [contro la Russia], prima nel 2014 e poi nel 2022, se non fossero state chiuse le frontiere e se non ci fosse stato impedito di depositare capitali [all’estero]?

Ecco le statistiche che dimostrano quanto ho affermato nella mia domanda. Riguardano il distretto amministrativo speciale dell’Isola Russkij, dove il numero di residenti è aumentato da 43 a 60, una crescita a valanga che ha avuto luogo dopo l’adozione delle sanzioni.

Vladimir Putin: Innanzitutto, abbiamo lanciato questo progetto 10 anni fa. Mi avete chiesto di parlarne e vi ho risposto che abbiamo iniziato a farlo molto prima degli eventi che si sono verificati negli ultimi anni, nel 2014, e lo abbiamo fatto perché abbiamo visto le tendenze dello sviluppo economico globale. Abbiamo visto l’ascesa di nuovi centri di influenza e di sviluppo economico. Credo di non dover fare i nomi di questi Paesi, che tutti conoscono. Abbiamo visto cosa stava cambiando e come, e oggi possiamo vedere che queste tendenze non sono rallentate, ma stanno prendendo slancio.

Ma cosa è successo dopo il 2014, dopo che i Paesi occidentali hanno sostenuto un colpo di Stato in Ucraina e hanno iniziato la guerra nel Donbass: molti processi hanno iniziato ad accelerare. A questo proposito, possiamo solo rammaricarci di non aver attuato per tempo i piani di sviluppo delle infrastrutture, compresa la rete ferroviaria verso l’Estremo Oriente.

Perché, onestamente, il Governo ha sbagliato in parte i calcoli e ha creduto che il volume delle spedizioni di merci non sarebbe stato così elevato; anche negli ultimi anni è stato molto più grande di quanto si potesse immaginare. Ma va bene così, stiamo facendo in modo che funzioni, ci sono piani che sono stati sviluppati in precedenza e di conseguenza sarà più facile per noi attuarli anche in tempi brevi.

Proprio ora, insieme ai moderatori e ai nostri colleghi, abbiamo discusso i piani di sviluppo del Dominio Operativo Orientale. I soldi ci sono, gli investitori sono interessati perché c’è un mercato e sono pronti a investire il proprio denaro perché possono vedere i profitti di un così grande giro di merci. Un buon ritorno sull’investimento è garantito. Ecco perché questo lavoro è iniziato molto tempo fa, e gli eventi dell’economia globale degli ultimi anni hanno dato un impulso al nostro lavoro in Estremo Oriente.

Ilya Doronov: Anche oggi è stata pronunciata due volte la frase “non commettere due volte lo stesso errore”. Non si è accorta di questo tutti, o no?

Vladimir Putin: Se vi interessa, e probabilmente interessa a molti uomini d’affari, c’è una tendenza: prima molti dei nostri uomini d’affari hanno creato delle piattaforme per se stessi e poi hanno visto che il loro denaro guadagnato legalmente è stato confiscato. Sapete, non si tratta del mio denaro, ma di quello delle nostre aziende e dei nostri imprenditori, ed è semplicemente oltre il limite. Le persone che hanno agito in questo modo non capiscono che ci saranno conseguenze negative per loro, sembra che ancora non lo capiscano.

Prendiamo, ad esempio, le restrizioni sulle transazioni in dollari. A cosa porterà? A una situazione in cui tutti i Paesi stanno valutando la possibilità di creare strumenti propri, nuovi sistemi di regolamento e stanno valutando se tenere i propri risparmi negli Stati Uniti o in Europa, e se sia conveniente investire nei titoli di questi Paesi.

Posso assicurarvi che so che questo sta accadendo. Naturalmente, tutti ci penseranno. Le nostre riserve di oro e di forex sono state congelate, ma abbiamo già guadagnato il doppio. Non si tratta di questi 300 miliardi, ma della fiducia infranta in coloro che lo stanno facendo. Stanno minando la fiducia nei loro confronti. Lo stesso sta accadendo nel commercio e nelle restrizioni al commercio.

Quindi, Dio solo sa, è colpa loro se inevitabilmente andranno incontro a conseguenze negative, sta già accadendo. Non è quello che volevamo, ma è un processo oggettivo legato al numero crescente di centri economici in rapido sviluppo.

Ilya Doronov: E coloro che vengono qui, che tornano in Russia…

Vladimir Putin: Ora parlerò di calpestare un rastrello.

Tuttavia, possiamo constatare che le catene logistiche e le consegne di merci sono state praticamente ripristinate e tutto si è normalizzato. Vediamo che questo è legato anche al tasso di cambio della valuta nazionale, compreso il ritorno limitato delle entrate in valuta estera, per usare un eufemismo, e il desiderio di depositare di nuovo qualcosa all’estero… Lo vediamo e capiamo tutto. Dobbiamo raggiungere un accordo con la comunità imprenditoriale, che dovrebbe capire e procedere partendo dalla premessa che è più affidabile operare qui. Di conseguenza, non dovrebbero calpestare lo stesso rastrello. Sono certo che coloro ai quali mi rivolgo mi capiscono.

Ilya Doronov: In realtà, la mia prossima domanda riguarda i rapporti tra lo Stato e la comunità imprenditoriale, compresi coloro che stanno tornando qui, che stanno arrivando sull’Isola Russa, ecc.

Ho intervistato Andrei Belousov prima del Forum economico internazionale di San Pietroburgo e gli ho chiesto come dovrebbero interagire lo Stato e la comunità imprenditoriale. Mi ha risposto che dovrebbero collaborare come partner, con lo Stato come senior partner e la comunità imprenditoriale come junior partner.

Vladimir Putin: Ha detto questo?

Ilya Doronov: Sì, ha detto questo.

Vladimir Putin: Parla come un ex funzionario del Comitato di pianificazione statale. Dovremmo essere partner alla pari.

Ilya Doronov: Dovrò chiedere la sua opinione dopo la sua dichiarazione.

Vladimir Putin: Sa che scherzo sempre in questo modo. È una battuta.

Ilya Doronov: Tuttavia, lei ha già detto che dovrebbero essere partner paritari. In linea di principio, ha l’impressione che la presenza dello Stato nell’economia e negli affari stia diventando eccessiva?

Vladimir Putin: Lo sentiamo dire e ne parlano in continuazione. Sì, abbiamo grandi aziende, soprattutto nel settore energetico; tuttavia, le aziende private si stanno sviluppando rapidamente e noi le sosteniamo, anche qui in Estremo Oriente.

Per tutti gli investimenti in Estremo Oriente forniamo investimenti infrastrutturali sostenuti dallo Stato. Negli ultimi tre anni circa, abbiamo investito circa 15 miliardi in infrastrutture di supporto alle imprese, non ricordo la cifra esatta. Inoltre, solo dall’inizio del 2023 abbiamo investito 8,5 miliardi. Per quanto ne so, investiremo altri 33 miliardi nei prossimi tre anni. Questo riguarda anche molti altri settori. Stiamo incentivando il lavoro delle nostre aziende e creando privilegi per loro, soprattutto qui, nella regione dell’Estremo Oriente. Restiamo qui, su questo territorio.

Prima ho citato le aree di sviluppo prioritario. Esse godono di molti benefici relativi al pagamento dei contributi sociali, dell’imposta sugli utili o dell’imposta sulla proprietà. Se prendiamo le isole Curili, esse godono di un numero doppio di benefici rispetto alle aree di sviluppo prioritario. Quindi, la cooperazione tra Stato e imprese porta buoni risultati. Continueremo a farlo.

Sa cos’altro è di fondamentale importanza? Credo che sia importante che negli ultimi dieci anni, o forse anche un paio di decenni, si sia sviluppato un ottimo dialogo tra il Governo e la comunità imprenditoriale. Il Governo non prende quasi mai decisioni economiche senza consultare preventivamente le associazioni imprenditoriali. Ci sforziamo sempre di prendere in considerazione le opinioni dei nostri partner commerciali e dei sindacati.

Ilya Doronov: Lei ha parlato di aree di sviluppo prioritarie e di preferenze fiscali. Tutto ciò suona bene. Ma ho parlato con esperti del settore e mi hanno detto che è necessario fare di più. Ad esempio, è necessario costruire infrastrutture – gas, elettricità e tutto il resto – in queste aree. Questo non è sufficiente.

Vladimir Putin: Ecco perché l’ho detto.

A proposito, mi è venuta in mente la cifra di 25 miliardi. È quanto abbiamo speso per le infrastrutture negli ultimi anni. Nei primi sei mesi di quest’anno abbiamo speso 8,5 miliardi e altri 33 miliardi sono stati accantonati. È così che stiamo facendo e continueremo a farlo. Ci rendiamo conto che investire nelle infrastrutture dovrebbe essere il nostro modo di sostenere le imprese. Quindi, lo stiamo facendo e continueremo a farlo in futuro.

Ilya Doronov: Ho una domanda sul tasso di cambio del rublo.

Un anno fa, quando eravamo su questo palco, il dollaro era a circa 60 rubli. Quest’estate è salito a 100, o anche di più. Ho controllato prima della sessione e ora è a 93 rubli per il dollaro. La volatilità è estremamente elevata e, alla fine del 2022, la valuta russa era la più volatile del mondo.

Come si possono fare proiezioni in una situazione in cui non si ha idea di cosa accadrà alla valuta nazionale?

Vladimir Putin: Sì, questa è ovviamente una domanda che richiede una ricerca approfondita come quella della Banca Centrale o del Governo, cioè delle autorità finanziarie. Nel complesso, non credo che ci siano problemi o difficoltà che non possano essere superati.

Questo è legato a molti fattori, tra cui il fatto che i nostri principali esportatori debbano o meno rimpatriare parte dei loro proventi in valuta estera. È legato al fatto che durante la prima fase, che lei ha citato, quando il dollaro era a 60 rubli, le catene logistiche per le importazioni non erano ancora state create. Ora le importazioni arrivano sul nostro mercato in volumi maggiori, il che significa che la valuta estera è più richiesta. Ci sono altri fattori, ma sono gestibili. Li vediamo e li capiamo, e li vede anche la Banca Centrale.

Naturalmente, la Banca Centrale ha dovuto aumentare il tasso di interesse di riferimento al 12%. Tra l’altro, ha dovuto farlo perché l’inflazione era aumentata un po’. Dove si trova ora? È al 5,4% o al 5,2%? Non ricordo il numero esatto, ma si aggira intorno al 5,2% in termini annuali. Quindi, la Banca Centrale non poteva non rispondere a questi sviluppi. Credo che la sua decisione sia stata corretta e anche tempestiva. Questo significherà che ci saranno meno opportunità di contrarre prestiti, limiterà l’economia e ne inibirà lo sviluppo in una certa misura. Tuttavia, questo fattore ha un peso importante nel mitigare i rischi inflazionistici. Tutto deve arrivare al momento giusto.

Ciò significa che manteniamo il controllo della situazione, e non entrerò troppo nei dettagli perché si tratta di un argomento piuttosto delicato. Ma nel complesso abbiamo tutte le carte in regola per mitigare questi rischi.

Ilya Doronov: Tuttavia, a quanto vedo, lo Stato intende svolgere il suo ruolo di regolamentazione. Ci saranno delle restrizioni? Faccio questa domanda perché l’ultima volta che il rublo ha iniziato a perdere valore, l’assistente del Presidente Maxim Oreshkin ha dovuto scrivere un articolo e il rublo è salito il giorno stesso. Anche il presidente della VTB Bank, Andrei Kostin, ha dichiarato ieri in un’intervista alla RBC che ci sono scappatoie per portare il denaro fuori dal Paese.

Vladimir Putin: Cosa stanno facendo? Stanno solo cercando di spaventare le persone proponendo loro di cooperare in termini pacifici e di intraprendere azioni specifiche, altrimenti, dicono, imporremo restrizioni e vi obbligheremo a rimpatriare le vostre entrate, ecc. Tuttavia, nessuno farà mosse improvvise in questo senso.

Ilya Doronov: Parliamo della Banca Centrale e del tasso di interesse del 12%. Venerdì ci sarà un’altra riunione e può darsi che il tasso salga ancora di più, rendendo i prestiti ancora più costosi. Come si fa a espandere la produzione e a contrarre nuovi prestiti in questo contesto? I finanziamenti stanno diventando sempre più costosi.

Vladimir Putin: Ho già detto che il tasso di interesse di riferimento influisce sui costi di finanziamento e sui tassi applicati dalle banche private, che a loro volta limitano i prestiti e soffocano la crescita economica. Nel complesso, vediamo che i prestiti sono stati abbastanza attivi. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, vediamo che i prestiti al consumo sono cresciuti ancora più rapidamente. Anche in questo settore abbiamo gli strumenti per mitigare questi rischi. Non mi dilungherò troppo su questo punto, parlate pure con [il governatore della Banca di Russia] Nabiullina, ve lo dirà lei.

Certo, dobbiamo influenzare le cose, ma se non riusciamo a trovare una situazione che porti a una crescita incontrollabile dell’inflazione, alla fine sarà ancora peggio per l’economia, perché è quasi impossibile fare piani aziendali in un contesto di inflazione elevata. Non ci sono decisioni buone o ottime in questo caso; ci sono solo decisioni difficili, che devono essere adottate tempestivamente. Finora, sia la Banca Centrale che il Governo lo hanno fatto, e in modo piuttosto efficace.

Ilya Doronov: Vorrei anche fare una domanda sui prestiti ipotecari…

Vladimir Putin: Mi scusi se la interrompo, volevo solo aggiungere qualche parola.

A fronte dell’aumento dei costi dei mutui, abbiamo creato un’intera serie di strumenti per le grandi industrie e i più grandi progetti che servono gli interessi dell’intera economia nazionale. Abbiamo una serie di misure di sostegno per l’ottenimento di prestiti, con alcune condizioni preferenziali e una serie di strumenti per sostenere le aziende che effettuano investimenti significativi, e questo viene attuato insieme al governo. Ho già parlato di piattaforme industriali e così via. Le imprese ne sono a conoscenza e continueranno a farlo.

Il fatto è che se i costi dei prestiti aumentano, il Governo dovrà probabilmente considerare di aumentare i fondi per questi strumenti. Questo significherebbe spese aggiuntive, e c’è l’altra faccia della medaglia, ovvero la sostenibilità e l’equilibrio del bilancio, e così via. Ma tutto questo può essere risolto.

Ilya Doronov: Per quanto riguarda i mutui, ho iniziato a fare la mia domanda e lei ha menzionato il programma di espansione dei mutui agevolati qui in Estremo Oriente. I dirigenti della Banca Centrale probabilmente hanno fatto una smorfia, perché hanno ripetutamente espresso la loro opinione che i mutui agevolati sono gonfiati in Russia, e vedono dei rischi. Lei vede dei rischi qui?

Vladimir Putin: Sì, ci sono alcuni rischi, ma li vediamo e li affrontiamo.

Per quanto riguarda l’Estremo Oriente, abbiamo solo 12,5 milioni di persone che vivono al di là degli Urali; questo non è un peso per l’intero Paese e la sua economia.

Ilya Doronov: E l’ultima domanda di questa sezione prima di dare la parola al Vicepresidente. È una domanda che riguarda le imprese: le tasse saranno aumentate o non è necessario?

Vladimir Putin: Per ora il governo non ne vede la necessità.

Ilya Doronov: Questa risposta è importante per l’intera comunità imprenditoriale.

(Rivolgendosi alla signora Pany Yathotou) Ora le darò la parola, ma prima vorrei citare alcuni fatti interessanti sul Laos per il pubblico. Credo sia importante.

Innanzitutto, le relazioni diplomatiche tra l’Unione Sovietica e il Laos sono state stabilite il 7 ottobre 1960. Abbiamo trovato un altro motivo per celebrare questo giorno, non è vero?

Vladimir Putin: Festeggeremo insieme.

Ilya Doronov: D’accordo.

Nel 2011, la Russia e il Laos hanno stabilito un partenariato strategico nella regione Asia-Pacifico.

Il secondo dato che ho scoperto è che il Laos è il Paese più bombardato al mondo. Gli Stati Uniti hanno sganciato oltre 200 milioni di bombe sul Laos durante la guerra del Vietnam, e 350.000 laotiani sono stati uccisi in questi bombardamenti.

Terzo. Il Partito Rivoluzionario del Popolo del Laos al potere rimane impegnato nel socialismo.

Quarto. Il Laos ha un movimento di pionieri. Francamente, non ne sapevo nulla. L’ho scoperto durante la preparazione di questa sessione.

Quinto. I laotiani amano ancora le baguette e il pane bianco. È un’ottima eredità della Francia.

Il caffè laotiano è considerato uno dei migliori al mondo, se ho capito bene.

Infine, per noi russi è importante poter soggiornare in Laos per 30 giorni senza visto, quindi benvenuti in Laos e benvenuti sul pulpito.

Prego, signora Vicepresidente, a lei la parola.

Vicepresidente del Laos Pany Yathotou (ritradotto): Grazie mille.

Sono lieto di partecipare all’8° Forum economico orientale. È un privilegio per me.

Il Laos è un membro dell’ASEAN. È un Paese con una popolazione di soli 7 milioni di abitanti.

Il nostro Paese è ricco di risorse naturali, risorse idriche, risorse energetiche, minerali, legname. Abbiamo anche molte destinazioni turistiche attraenti.

Per quanto riguarda il significato della Russia per il Laos e le relazioni con la Russia per noi. Sin dall’era sovietica, abbiamo mantenuto relazioni tradizionali forti che hanno poi raggiunto il livello di un partenariato strategico in materia di sicurezza nella regione Asia-Pacifico.

Stiamo cooperando in molti settori, tra cui l’economia, il turismo, lo sviluppo del capitale umano, inoltre entrambi i Paesi condividono informazioni e competenze acquisite in molte altre aree di interesse reciproco.

La cooperazione tra Laos e Russia ci permette di sostenerci e aiutarci a vicenda. Costruiamo la nostra cooperazione sulla base dell’interesse reciproco.

Allo stesso tempo, il Laos è un Paese in via di sviluppo e il nostro governo attribuisce grande importanza allo sviluppo socioeconomico. A tal fine, stiamo attirando investimenti da molti altri Paesi, tra cui la Russia. I nostri Paesi stanno investendo in settori importanti come l’energia, le risorse idriche e le risorse di idrocarburi.

La Russia ci ha aiutato a smantellare il nostro territorio. L’aiuto è stato fornito senza alcun vincolo; abbiamo ancora a che fare con mine e ordigni inesplosi che incidono sulla vita della nostra gente.

Con il sostegno della Russia, siamo riusciti a liberare dalle mine più di 20.000 ettari del nostro territorio. Dopo lo sminamento, abbiamo restituito questi 20.000 ettari alla nostra gente. In questo modo, bonificando il nostro territorio dagli ordigni inesplosi, stiamo affrontando il compito più importante per noi, ovvero eliminare il pericolo rappresentato dagli ordigni inesplosi.

Ilya Doronov: La parola laotiana per “grazie” è “khob chai”.

Signor Presidente, questa domanda è per lei. (Rivolgendosi a Pany Yathotou) Anche io le farò una domanda più tardi.

Negli anni ’90 abbiamo smesso di essere amici e di sostenere molti altri Paesi, ad esempio Cuba e il Laos. Pensa che sarebbe difficile ricostruire ora queste relazioni e migliorarle al livello che abbiamo mantenuto durante l’era sovietica?

Vladimir Putin: Negli anni ’90 abbiamo guadagnato molte cose, tra cui soprattutto l’emancipazione e la libertà, ma purtroppo abbiamo anche perso molto, sprecando e addirittura dilapidando ciò che avevamo ottenuto nei decenni precedenti durante l’era sovietica.

Ma, come sapete, la memoria storica delle nazioni con cui siamo stati amici, abbiamo collaborato e aiutato nel loro sviluppo è stata conservata. Non sarà difficile ripristinare le nostre relazioni sulla base dei nuovi principi, perché la gente di questi Paesi lo vuole. Mi riferisco al Laos, dove vediamo molti amici, alla regione Asia-Pacifico nel suo complesso e all’Africa.

Di recente si è svolto il vertice Russia-Africa. Francamente, sono rimasto ancora una volta sorpreso dall’apertura degli africani e dal loro desiderio di lavorare con noi. Ho riflettuto anche su questo. Vedete, il punto non è solo che abbiamo fatto qualcosa per l’Africa, aiutando il loro popolo a riconquistare la libertà e l’indipendenza e a lottare contro il colonialismo, sebbene anche questo sia importante. Si ricordano di questo, ma anche di altre cose.

Qual è, a mio avviso, il punto principale? Il punto principale è che non abbiamo mai agito da colonizzatori in nessun luogo. La nostra cooperazione si è sempre basata sull’uguaglianza o sul desiderio di fornire aiuto e sostegno. I Paesi che cercano di competere con noi, anche adesso, hanno avuto una politica completamente diversa. Quando si guarda a ciò che è accaduto in passato durante la cooperazione con la Russia, o l’Unione Sovietica come si chiamava allora, e con altri Paesi, la bilancia pende a favore della Russia, cosa che oggi dobbiamo certamente tenere in considerazione e ricordare.

Se guardiamo all’Africa e alla nostra cooperazione, vediamo che l’abbiamo aiutata. Cosa hanno fatto gli ex colonizzatori? Nel 1957 – di recente mi è stata mostrata una fotografia – hanno portato persone dall’Africa in gabbia nei Paesi europei, ad esempio in Belgio. È uno spettacolo orribile, bambini messi in mostra in gabbie.

Ilya Doronov: Sì, c’era una mostra speciale, con un intero villaggio esposto.

Vladimir Putin: Sì, portavano le persone in gabbia e le esponevano, intere famiglie e bambini in gabbie separate. Come si può dimenticare questo? Nessuno in Africa lo dimenticherà mai.

E ora stanno cercando di impartire ordini e di portare avanti la loro politica neocoloniale. Hanno indebitato tutti i Paesi africani per migliaia di miliardi di dollari. In altre parole, hanno creato un sistema di credito finanziario per l’Africa in base al quale i Paesi africani non potranno mai ripagare i loro prestiti. Non si tratta affatto di un sistema di credito, ma di una forma di contributo, se capite cosa intendo.

Abbiamo usato e usiamo tuttora un approccio completamente diverso, che ci dà alcuni vantaggi quando lavoriamo con i nostri partner, compresi quelli con cui avevamo relazioni speciali durante l’era sovietica e quelli con cui stiamo rilanciando le relazioni ora. Anche i nostri amici ne sono consapevoli.

Pertanto, non prevedo grandi difficoltà, anche per quanto riguarda la riconquista delle nostre precedenti posizioni.

Ilya Doronov: Visto che abbiamo comunque toccato questo argomento, posso farle una domanda: Cosa farete con coloro che non la pensano così? Per esempio, che dire degli Stati baltici, della Repubblica Ceca o dell’Ungheria, che dicono che la Russia ha agito come una potenza colonizzatrice quando ha ordinato ai suoi carri armati di invadere Praga o Budapest?

Vladimir Putin: Abbiamo riconosciuto da tempo che questa parte della politica dell’Unione Sovietica è stata un errore e non ha fatto altro che aumentare le tensioni. La politica estera di un Paese non deve contraddire direttamente gli interessi di altre nazioni. Questo è quanto.

Tuttavia, se parliamo di calpestare i rastrelli, questo è il caso oggi delle principali potenze occidentali, in primis gli Stati Uniti. Hanno esercitato pressioni sui loro alleati e sui loro cosiddetti partner – dopo tutto, non hanno amici, ma solo interessi. Si tratta di un’estensione di una nota formula britannica.

Ilya Doronov: Grazie.

Signora Vicepresidente, ho una domanda per lei. Che cosa ci guadagna la Repubblica Democratica del Laos dalla collaborazione con la Russia? Ad esempio, perché avete deciso di rilanciare i corsi di lingua russa nel vostro Paese? Il fatto che il Presidente del Laos parli russo non è stato il motivo, vero?

Pany Yathotou (ritradotto): Il Presidente Putin ha già detto che la Repubblica Democratica Popolare del Laos ha effettivamente mantenuto relazioni molto buone e affidabili con l’URSS e la Federazione Russa, e io concordo con questa valutazione. Intendiamo basarci sui nostri successi passati e sulla nostra fruttuosa cooperazione per andare avanti.

Naturalmente, questo include gli aiuti umanitari che riceviamo. Gli scambi commerciali tra i nostri Paesi sono aumentati e anche gli investimenti sono cresciuti in una certa misura. Ci aspettiamo anche che un maggior numero di turisti russi visiti il nostro Paese.

Naturalmente, apprezziamo molto tutti i vantaggi che queste relazioni ci hanno offerto. È anche ovvio che la cooperazione che abbiamo avuto nell’era sovietica per lo sviluppo delle capacità e delle risorse umane è stata uno dei nostri maggiori successi, che merita una menzione speciale. Lei ha giustamente notato che molti dei leader che hanno guidato la Repubblica Democratica Popolare del Laos hanno studiato in un modo o nell’altro in Unione Sovietica.

Forse sapete anche che abbiamo costruito una ferrovia che collega il Laos alla Cina. Si tratta di un progetto strategico e volevamo usarlo per espandere questa rotta fino all’Australia. Siamo convinti che l’estensione di questa ferrovia al territorio della Federazione Russa avrebbe un impatto positivo sui flussi commerciali e di investimento tra i nostri due Paesi.

Ciò aumenterebbe anche il flusso di passeggeri dalla RDP del Laos verso la Cina attraverso il territorio russo. Vorremmo discutere la questione in modo più approfondito per poter sfruttare questo potenziale nelle nostre relazioni commerciali e di investimento. Spero che i nostri Paesi esplorino questa opportunità in modo da ottenere risultati tangibili.

Vladimir Putin: Lei ha appena parlato dei Giovani Pionieri che operano in Laos come organizzazione. La signora Vicepresidente ha recentemente visitato il nostro campo per bambini di Okean e ha notato con piacere che i bambini del Laos trascorrono le loro vacanze lì. Le condizioni a cui sono sottoposti sono ottime e hanno stretto grandi amicizie con i loro coetanei russi.

Ma posso anche aggiungere che i bambini laotiani non solo frequentano il campo Okean, ma studiano anche nelle scuole Suvorov della Federazione Russa.

Ilya Doronov: Cadetti laotiani delle scuole Suvorov.

Vladimir Putin: Sì. Lo spiegherò ai nostri ospiti stranieri: sono scuole militari per bambini dove studiano e si sentono molto a loro agio.

Ilya Doronov: Grazie.

Visto che abbiamo parlato di…

Vladimir Putin: Quindi, stiamo facendo tutto questo a un ritmo facile e continueremo a ripristinare le relazioni con i nostri amici.

Ilya Doronov: È meraviglioso.

Visto che abbiamo parlato di logistica: Belt and Road, l’iniziativa cinese, compie quest’anno il suo decimo anniversario. Abbiamo il progetto del Grande partenariato eurasiatico. Ma dopo il Vertice del G20 è stato annunciato che – specificherò i Paesi – gli Stati Uniti, l’Unione Europea, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, Israele, la Giordania e l’India hanno concluso i lavori per un accordo storico, come è stato detto, su un nuovo corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. La Russia non è inclusa, così come la Cina. Pensa che questa iniziativa influenzerà la realizzazione dei nostri progetti e di quelli cinesi e cosa significa per noi in generale?

Vladimir Putin: Penso che sia un bene per noi; ci aiuterà a sviluppare la logistica.

Innanzitutto, questo progetto è stato discusso a lungo, forse da diversi anni. A dire il vero, gli americani vi hanno aderito all’ultimo momento. Ma non vedo perché dovrebbero volerne far parte, se non forse per qualche interesse commerciale.

Nel frattempo, il traffico aggiuntivo di merci lungo questo corridoio sarà di fatto un’aggiunta al nostro progetto Nord-Sud. Non vediamo nulla che possa danneggiarci in alcun modo.

Il corridoio Nord-Sud va verso il Golfo Persico e poi verso l’India. Se c’è un’altra rotta, credo che includa Israele, potremo raggiungere il Mediterraneo attraverso il Mar Nero e utilizzare questo corridoio.

Non lo so, i colleghi che hanno presentato questo progetto devono valutarlo attentamente. Per ora si tratta solo di un memorandum di intenti.

Ilya Doronov: Sì.

Vladimir Putin: Ma dovremmo vedere l’economia di questo progetto, perché il carico dovrebbe raggiungere il mare su rotaia, per poi essere caricato su navi marittime e quindi viaggiare verso gli Emirati Arabi o l’Arabia Saudita, per poi essere nuovamente caricato su rotaia. Occorre calcolare questo doppio trasbordo e il suo impatto economico.

Il capo della nostra azienda leader, le Ferrovie russe, Oleg Belozyorov, sta annuendo, quindi sembra che io abbia colto nel segno e che si tratti davvero di una questione economica, che dovrebbe essere accuratamente calcolata.

In termini di tempo, se andiamo dal Nord Europa, da San Pietroburgo a Mumbai, impiegheremo lo stesso tempo che con la rotta Nord-Sud. Ribadisco che bisogna considerare l’aspetto economico. Penso che la nostra rotta possa essere più efficiente.

Inoltre, l’interesse per l’utilizzo del Canale di Suez non andrà da nessuna parte. Non credo che questo avrebbe un impatto negativo sul Canale di Suez. Non credo che ciò accadrà.

E, infine, l’ultima cosa. I volumi delle spedizioni di merci crescono ogni anno e penso che più rotte di questo tipo ci sono, meglio è.

Ilya Doronov: Grazie.

Le prossime domande ci riporteranno nel nostro Paese. Siamo a Vladivostok, dove molte persone hanno la guida a destra. Spiegherò l’essenza della mia domanda, e molto probabilmente il pubblico si dividerà in due parti uguali o disuguali. Una penserà a cosa fare, l’altra sorriderà perché questo non la riguarda.

Prima di tutto, lei è fortunato ad avere un Aurus, una Niva e una Volga. Molti altri funzionari russi non sono così fortunati, se si considera quanto lei ha detto a proposito della guida di auto di fabbricazione russa.

Il primo tentativo in tal senso è stato fatto negli anni ’90, ma è fallito. Chi può garantire che questa volta ci riusciremo? E quali auto dovrebbero guidare?

Vladimir Putin: Sa, allora non avevamo auto di produzione nazionale, ma ora sì. È vero che hanno un aspetto più modesto rispetto alle Mercedes o alle Audi, che abbiamo acquistato in grandi quantità negli anni ’90, ma questo non è un problema. Penso che dovremmo emulare molti dei nostri partner, ad esempio l’India. Loro si concentrano sulla produzione e sull’utilizzo di veicoli di fabbricazione indiana. Penso che il Primo Ministro Modi stia facendo la cosa giusta nel promuovere il programma Make in India. Ha ragione.

Abbiamo automobili [di produzione russa] e dobbiamo usarle; questo va assolutamente bene. Questo non comporterà alcuna violazione dei nostri obblighi nell’ambito dell’OMC, assolutamente no. Riguarda gli acquisti di Stato. Dobbiamo creare una certa catena per quanto riguarda le auto che le diverse classi di funzionari possono guidare, in modo che utilizzino auto di produzione nazionale.

Probabilmente conoscete le proposte di continuare ad acquistare queste auto. Sarebbe facile da fare, perché la logistica è snella.

Ilya Doronov: Intende l’acquisto di auto straniere?

Vladimir Putin: Sì, è così. Ma ho anche detto che ho dei dubbi sul fatto di continuare questa pratica, per usare un eufemismo.

Il Governo e la Direzione della gestione delle proprietà presidenziali hanno coordinato un sistema che indica la classe di auto che i funzionari possono guidare. Che usino auto di fabbricazione russa.

Ilya Doronov: Quando vedremo il primo funzionario farlo?

Vladimir Putin: Inizieranno a farlo ora. Le acquisizioni inizieranno a breve.

Si tratta di questioni pratiche. Le acquisizioni inizieranno a breve. Franky, non so quando esattamente, ma inizieranno presto.

Ilya Doronov: Vorrei fare una domanda sulle auto cinesi.

Quest’anno le importazioni di auto cinesi sono aumentate del 543%. Secondo le previsioni, quest’anno verranno importati quasi mezzo milione di auto cinesi. C’è il rischio che dominino il nostro mercato e che diventiamo dipendenti dall’industria automobilistica cinese?

Vladimir Putin: No, stiamo lavorando a questo progetto insieme.

Prendiamo le auto della Grande Muraglia, che hanno iniziato a essere assemblate vicino a Mosca.

Ilya Doronov: La Haval viene assemblata a Tula.

Vladimir Putin: Sì, a Tula. Il governatore me ne ha presentata una.

È una buona auto. Stiamo sviluppando la nostra industria automobilistica. Per fortuna, lo stiamo facendo sempre più su basi proprie e stiamo aumentando la localizzazione. Presto verranno prodotte anche auto di Moskvich. Il sindaco di Mosca mi ha detto di recente come sta procedendo il progetto. E le nostre auto Lada saranno migliorate. Dobbiamo farlo sulla nostra base.

Certo, quando assemblavamo le auto quasi al 100% con componenti stranieri, com’era la nostra produzione? Aumenteremo i livelli di localizzazione. Certo, ci vuole tempo, ma è la cosa giusta da fare dal punto di vista dello sviluppo dell’industria automobilistica del nostro Paese sulle nostre basi.

Non abbiamo intenzione di chiudere completamente, né di dedicarci al fai-da-te.

Abbiamo prodotto Aurus? Sì, l’abbiamo fatto.

Ilya Doronov: Ma quanto costa?

Vladimir Putin: Sì. Il prezzo è alto perché non ne producono abbastanza. Quando entrerà in produzione di serie, il prezzo si dimezzerà. Certo, ci vuole tempo, ma sarà il nostro stesso sviluppo. Si tratta di acquisire e ripristinare competenze, di tasse e di posti di lavoro. Non c’è bisogno che ve lo dica. Tutti sanno cosa c’è dietro. Ma allo stesso tempo, collaboreremo con chi vuole lavorare con noi.

Ilya Doronov: Chiederò…

Vladimir Putin: I funzionari devono certamente guidare auto nazionali.

Ilya Doronov: Anche i prezzi del carburante sono legati alle auto. Lei se ne è occupato personalmente, ma il diesel ha già superato i 61 rubli e anche la benzina sta diventando più cara. Vedo che molte persone hanno una domanda negli occhi: cosa sta succedendo? E lo vedo in ogni tipo di conversazione a tavola, dove si discute del prezzo del carburante.

Perché sta succedendo? Riusciremo a risolvere il problema?

Vladimir Putin: Sì, certo, il governo ci sta lavorando. Credo che i nostri produttori di prodotti petroliferi abbiano ragione. Il Governo avrebbe dovuto reagire tempestivamente. Sono state prese decisioni appropriate, ma non molto tempo fa, per mantenere la parità tra i prezzi del mercato esterno e quelli del mercato interno. Poi, questi meccanismi sono stati cancellati. Il Governo non ha reagito tempestivamente ai cambiamenti del mercato globale dovuti all’aumento del prezzo del petrolio.

Tuttavia, questa è una posizione regolamentata, e proprio ieri ho parlato con il signor Sechin, che ha una sua posizione. Ma in generale, i produttori e il Governo si sono accordati tra loro sulle azioni da intraprendere nel prossimo futuro.

Per noi è molto importante fornire ai produttori agricoli il gasolio.

Ilya Doronov: Sì, il Ministero dell’Agricoltura ha già lanciato l’allarme.

Vladimir Putin: Sì. C’era una carenza fisica di gasolio. Ma ora è fisicamente disponibile, e il problema è la regolazione dei prezzi.

Prima c’erano diversi meccanismi. Nel 2009, quando ero a capo del Governo, è stata presa una decisione – un intero faldone – sulla nostra interazione con le compagnie di carburante e di energia, e tutto è stato definito nei dettagli.

Tra l’altro, questa risoluzione è ancora in vigore, ma non viene applicata. Vengono utilizzati altri strumenti, il cosiddetto ammortizzatore. Vi ho già detto che si tratta di trovare un equilibrio tra prezzi esterni e interni. Ma è stato dimezzato e ha perso la sua efficacia precedente.

Gli strumenti sono noti e gli accordi sono in vigore. Spero che questo faccia la differenza nella situazione attuale.

Ilya Doronov: Ho una domanda sulla Camera dei Conti: è senza capo dal novembre dello scorso anno. Qual è il motivo? Alexei Kudrin era così bravo che non riescono a trovare un sostituto? Se è così, perché lo hanno lasciato andare a Yandex?

Vladimir Putin: Prima di tutto, la Russia non ha un sistema di schiavi: se voleva andare a lavorare nel mondo degli affari, non potevamo costringerlo a restare. Anche se era davvero il più adatto per quel lavoro; era stato anche un buon ministro delle Finanze.

La Camera dei Conti sta lavorando ed è abbastanza efficace. Ha effettuato circa 1.000 audit. Non sono sicuro della cifra, ma credo che abbiano rivelato violazioni per 1.600 miliardi di rubli.

La Camera dei Conti ha un presidente ad interim, ma questo non influisce sulla qualità del suo lavoro. Credo che la questione del personale sarà risolta al momento opportuno, quando il Parlamento e il Governo selezioneranno i candidati adatti. Non è un problema che ostacola il lavoro dell’agenzia.

Ilya Doronov: Ho citato Yandex per un motivo. Recentemente, Arkady Volozh ha creato il suo sito web ufficiale, dove dice – cito testualmente – di essere “un imprenditore tecnologico israeliano nato in Kazakistan” che “ha co-fondato Yandex N.V., quotata al NASDAQ, una delle più grandi società internet in Europa”. Vi ricordo che Volozh è nato nel 1964, quando il Kazakistan faceva parte dell’Unione Sovietica, ma nella sua pagina biografica non c’è alcun riferimento all’Unione Sovietica.

Ci sono altri uomini d’affari che esprimono pubblicamente la loro opinione, compresa quella sull’operazione militare speciale.

Qual è, secondo lei, il limite da non superare? Una linea che anche coloro che hanno contribuito al valore della nazione come Yandex non dovrebbero oltrepassare?

Vladimir Putin: Non sta a me tracciare questa linea. Dovrebbe essere nella mente e nella coscienza di chi fa certe affermazioni.

Vorrei sottolineare che nella maggior parte dei casi le persone fanno queste dichiarazioni perché vogliono preservare i loro affari, preservare i loro beni, soprattutto se si sono trasferiti e hanno deciso di legare la loro vita a un altro Paese.

Lui vive in Israele e posso immaginare che, per vivere una vita buona e prospera lì e avere buoni rapporti con le autorità, debba fare certe dichiarazioni. È rimasto in silenzio per molto tempo prima di decidere di fare una dichiarazione. Dio gli conceda la salute e che possa vivere bene lì. Francamente, non siamo particolarmente infastiditi da ciò che ha detto.

Ma in generale, se una persona è cresciuta su questo suolo, ha ricevuto un’istruzione e ha avuto successo, dovrebbe avere un certo rispetto per il Paese che gli ha dato tutto. Non mi riferisco a Volozh – è una persona di talento che ha creato un’ottima azienda e ha selezionato un team – ma in generale.

Sì, si può immaginare che una persona non sia d’accordo con l’operato delle autorità attuali. Ha il diritto di esprimere le sue opinioni? Certamente. Ma qui ci sono alcuni punti fermi.

Possiamo schierarci con i nostri avversari geopolitici e stare al loro fianco, danneggiando così gli interessi del nostro Paese, oppure possiamo agire diversamente. Le sfumature sono molte. Le persone decidono da sole chi sono. Hanno un senso di identità nazionale? O preferisce imitare e sentirsi un’altra persona, non un russo nato nell’Unione Sovietica? Una persona fa le sue scelte.

Siate certi che i cittadini comuni della Russia, il nostro popolo, capiscono tutto perfettamente e non c’è modo di ingannare nessuno. Se qualcuno ha scelto un nuovo destino, che provi a farsi conoscere lì, a mettersi alla prova e a ottenere risultati. Perché chiunque sia, qualsiasi risultato abbia ottenuto, l’ha ottenuto qui e non è garantito che otterrà lo stesso risultato in un altro luogo. Questa è la loro scelta.

Ilya Doronov: Un’altra domanda sul tema dei nuovi destini: a luglio è stato pubblicato sulla rivista russa Voprosy Ekonomiki un articolo di un esperto indipendente di Glasgow. Glasgow è la Scozia.

Vladimir Putin: Ne sono consapevole.

Ilya Doronov: Lo dico per il pubblico. Non ho dubbi che lei ne sia a conoscenza.

L’articolo si intitola “I mancati pagamenti nell’economia russa degli anni Novanta: Un’istituzione imprevista”. Sapete chi l’ha scritto? Anatoly Chubais. In questo articolo viene presentato come un ricercatore britannico indipendente.

Ho una domanda: lei si fida dei ricercatori britannici?

Vladimir Putin: Sa, mi fido dei ricercatori indipendentemente dalla loro nazionalità. Se sono persone serie, ricercatori seri, non solo mi fido di loro, ma ammiro il loro lavoro, la loro vita e i risultati del loro lavoro, perché un vero scienziato è immerso nell’argomento su cui sta lavorando. Queste persone mettono tutta la loro vita nella causa a cui si dedicano, anche a costo della loro stessa vita. Gli esempi nel nostro Paese e all’estero abbondano.

Se si divertono, non sono certo scienziati, ma piuttosto quasi-scienziati che intrattengono il pubblico. Non è nemmeno una cosa negativa, lasciateli divertire. Anche se una scelta migliore sarebbe quella di andare al circo e assistere a uno spettacolo.

Il fatto che il signor Chubais si stia nascondendo per qualche motivo… Mi è stata mostrata una foto online in cui non è più Anatoly Borisovich Chubais, ma un certo Moshe Israelievich che vive da qualche parte… Non sono sicuro del motivo per cui lo sta facendo e del motivo per cui è scappato.

Vedete, potrebbe anche avere a che fare con il fatto che ci sono processi complessi in corso nell’industria delle nanotecnologie che lui ha diretto per molti anni. C’è un grosso buco lì, un enorme buco finanziario, davvero. Non vi dirò nemmeno le cifre, grandi cifre. Per fortuna, non ci sono casi penali o procedimenti giudiziari in corso. Forse è collegato a questo, e teme che alla fine si arrivi a un caso penale e per questo si è dato alla clandestinità in Israele. Francamente, non ho idea del perché l’abbia fatto.

Ilya Doronov: L’opinione di un uomo che ha lavorato a Dresda, giusto?

Vladimir Putin: Beh, è un’assurdità. Scrive anche… Non è uno sciocco. Non ho letto questo articolo, forse ha scritto qualcosa di utile. Ma, a quanto pare, ha fallito nel suo compito di capo di una grande azienda creata per sviluppare le nanotecnologie. Almeno dal punto di vista economico e finanziario ha fallito.

Ilya Doronov: La domanda riguarda la privatizzazione e, stranamente, la deprivazione. La nuova privatizzazione in Russia è un’idea ampiamente discussa, ma la deprivatizzazione – il processo con cui lo Stato si appropria dei beni – è oggi una preoccupazione molto più grande per le imprese. Se ne discute sia qui, a margine dell’EEF, sia a Mosca. Ci sono diversi precedenti.

Gli imprenditori dicono di non essere sicuri che alcune regole siano cambiate e di essere incerti sul futuro. La questione è critica. Come commenterebbe la questione?

Vladimir Putin: No, non è prevista alcuna privazione, non ci sarà alcuna privazione, posso dirlo con certezza.

L’ufficio del procuratore sta indagando su alcuni casi, su alcune aziende, ma è un’altra cosa: le forze dell’ordine sono autorizzate a indagare su ciò che accade nell’economia in casi specifici, ma questo non ha nulla a che fare con una politica di privatizzazione. Questo non accadrà, e Igor Krasnov [Procuratore generale] conosce il mio approccio. Signor Krasnov?

Ilya Doronov: Sì, è in questa sala e sta annuendo.

Vladimir Putin: Sta facendo cenno di saperlo.

Ilya Doronov: Quindi, le imprese possono essere sicure che nessuno renderà la loro vita un incubo, come lei ha detto più volte?

Vladimir Putin: Nessuno renderà la vita di nessuno un incubo, ma tutti devono rispettare le leggi della Federazione Russa. E se non lo fanno, devono essere pronti ad affrontare le indagini della Procura, del Comitato Investigativo e della Camera dei Conti su ciò che sta accadendo, anche nella sfera economica, ed esortare tutti a rispettare la legge russa. Ma nessuno sarà perseguito semplicemente per aver fatto affari.

Inoltre, vorrei sottolineare ancora una volta, soprattutto nelle condizioni attuali: in generale, le aziende russe si comportano in modo altamente responsabile – cercano di mantenere i loro team, di creare nuove catene logistiche e di essere attive. Certo, in molti casi le imprese hanno bisogno di una nuova classe, una classe giovane di imprenditori – anche questo è vero. Ma nessuno sta dicendo che abbiamo bisogno di una privazione o di una ridistribuzione. No, questo non succederà.

Ilya Doronov: Anche il capo dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori Alexander Shokhin è stato intervistato dalla RBC. L’intervista è stata rilasciata oggi. Cito: “Ci sono domande sui nuovi proprietari dei beni nazionalizzati. Se un bene diventa proprietà dello Stato, dove va a finire?”. Questa è una grande preoccupazione per le imprese.

Vladimir Putin: Se un bene diventa di proprietà dello Stato, viene sottoposto alle procedure previste dalla legge. Se il bene viene affidato alla gestione di agenzie statali, queste lo gestiscono in conformità alla legge, che prevede gare d’appalto pubbliche.

Ilya Doronov: Il prossimo tema è quello delle imprese e dell’iniziativa privata. Oggi, guarda caso, è la data – chiedo anche a voi di applaudire – in cui il 12 settembre 1959 l’Unione Sovietica ha lanciato la stazione interplanetaria Luna-2. È stato il primo veicolo della storia ad aver lanciato la stazione interplanetaria. Fu il primo veicolo della storia a raggiungere la superficie della Luna. Ringraziamo coloro che hanno costruito quella stazione.

E come sappiamo, Luna-25 non è riuscita nell’intento.

Quindi, la domanda è: non è forse giunto il momento di pensare di introdurre l’iniziativa privata anche nell’esplorazione spaziale? Elon Musk sta lanciando con successo veicoli spaziali. Non è turbato dal fatto che abbiamo iniziato a perdere la nostra posizione di leader nell’esplorazione spaziale?

Vladimir Putin: No. L’esplorazione spaziale è un’impresa complessa e responsabile, legata all’alta tecnologia. Qui non abbiamo solo esperienza pratica, ma anche competenze eccellenti.

Per quanto riguarda l’atterraggio in un sito dove nessuno è mai atterrato prima, sì, è un lavoro difficile, ovviamente, e sarà analizzato di conseguenza, e il lavoro continuerà. È un peccato, naturalmente, che l’allunaggio non abbia avuto luogo, ma questo non significa che intendiamo porre fine al programma. Continueremo a lavorarci. Non si sono verificati incidenti di questo tipo in altri Paesi, anche più gravi e con gravi conseguenze? Certo, si tratta sempre di affrontare l’incertezza. Quindi, non c’è nulla di strano in questo caso, anche se vorremmo che la prossima volta tutto riuscisse.

Ma continueremo questo lavoro e ne rafforzeremo alcune aree.

Per quanto riguarda gli affari privati, Elon Musk è certamente una persona eccezionale, va riconosciuto, credo che questo sia riconosciuto in tutto il mondo. È un uomo d’affari energico e di talento e sta realizzando molte cose, anche con il sostegno dello Stato americano. Da parte nostra, anche noi abbiamo intenzione di sviluppare questo settore. Roscosmos ha portato avanti progetti sostenuti dal governo per attirare investitori privati in questo settore di attività, e li stiamo già attirando con successo.

Ilya Doronov: È giunta notizia che lei visiterà il [cosmodromo] di Vostochny. Cosa dobbiamo aspettarci da questa visita?

Vladimir Putin: Ho un programma per la mia visita, e scoprirete tutto quando sarò lì.

Ilya Doronov: Bene, d’accordo.

Il problema della demografia riguarda sia la Russia che l’Estremo Oriente. Lei ha appena detto che 12 milioni di persone vivono al di là degli Urali. Ci sono statistiche ufficiali: secondo Rosstat, nell’ultimo anno la popolazione russa è diminuita di 555.000 persone.

Perché secondo lei, nonostante tutte le misure adottate dallo Stato, non riusciamo a invertire la situazione demografica?

Vladimir Putin: In generale, penso che si stia fallendo ovunque: se c’è una tendenza al ribasso, è molto difficile da superare. Questo è dovuto all’enorme numero di input che sono difficili da comprendere per i non addetti ai lavori.

Ciò è dovuto al tenore di vita e alle molte priorità che hanno le famiglie e le donne in età fertile e riproduttiva. Perché è necessaria un’istruzione, poi è necessario iniziare una carriera, quindi il primo figlio arriva a 30 anni, non c’è tempo per il secondo e così via. Ci sono molti fattori.

Per quanto riguarda la Russia, ne ho già parlato molte volte, gli esperti lo sanno: abbiamo avuto due grandi cali, che ci hanno dato un numero relativamente basso di persone in grado di riprodurre nuova prole: negli anni 1943-1944, quando c’è stato un forte calo del tasso di natalità, e nei primi anni ’90, purtroppo.

I primi anni ’90 sono anche il periodo in cui Anatoly Chubais e il suo team erano attivi. Possiamo ridere, ma hanno fatto molto per compiere passi verso una netta transizione verso l’economia di mercato in Russia. È difficile dire chi avrebbe potuto fare meglio e come. È sempre più facile criticare.

In ogni caso, hanno adottato misure dure, che hanno portato, tra l’altro, al collasso quasi totale del sistema sociale, all’impoverimento di massa e al forte calo del tasso di natalità: come durante la Grande Guerra Patriottica, nel 1943-1944.

Quindi, questi due grandi cali si susseguono a ondate, di volta in volta, e così ci troviamo di nuovo di fronte a questa insidia demografica dopo qualche anno – credo dopo 10 o 15 anni: le persone raggiungono l’età fertile, ma sempre meno per definizione, e ora ci troviamo in questa fase.

Tuttavia, molto è stato fatto per questo. C’è stato un momento in cui il nostro tasso di natalità è aumentato e ha raggiunto numeri positivi.

Ciò a cui dobbiamo prestare attenzione è l’aspettativa di vita, che in Russia sta crescendo. Nel 2021, l’aspettativa di vita media era di 71 anni, mentre ora è di oltre 73, credo addirittura di 73,6 anni. C’è stato un momento, credo a giugno, in cui ha superato di poco i 74 anni, se si calcola anno per anno.

In secondo luogo, è necessario, ovviamente, ridurre il tasso di mortalità e aumentare il tasso di natalità. C’è un altro modo: un afflusso migratorio. Quindi, dobbiamo lavorare su tutti i fattori.

Lei ha accennato al fatto che stiamo attuando tutta una serie di misure a sostegno delle famiglie con bambini, della maternità e dell’infanzia; non mi dilungherò ora, perché si tratta di un’intera grande raccolta. Abbiamo introdotto il capitale di maternità, che stiamo aumentando; abbiamo introdotto il capitale di maternità per il primo figlio, e così via. Dobbiamo intensificare queste misure e lavorare nel settore sanitario per sostenere la maternità e l’infanzia. Faremo tutto questo.

Solo di recente abbiamo registrato una crescita naturale della popolazione. Purtroppo non siamo riusciti a mantenere questa tendenza. Dobbiamo lavorare sodo in tutti i settori, compreso, tra l’altro, quello dell’informazione, aumentando il prestigio della maternità e della paternità con il sostegno dell’opinione pubblica e dei media, per…

Ilya Doronov: Per ispirare.

Vladimir Putin: Ispirare le persone ad avere una buona famiglia sana, promuovere i valori tradizionali, compresi quelli religiosi. Si tratta di una serie di azioni. Ci lavoreremo, ma questo deve essere fatto dall’intera società.

Ilya Doronov: Ho una nonna di 96 anni che era la decima figlia della famiglia. Oggi non si vedono praticamente più famiglie di questo tipo.

Vladimir Putin: Perché, esistono. Cerchiamo di sostenere le famiglie numerose, dove ci sono dieci o più figli.

Ilya Doronov: Una domanda che va oltre il tema della demografia.

I demografi della Scuola Superiore di Economia hanno calcolato che per mantenere la popolazione russa a 146 milioni di persone, ogni anno per 80 anni dovranno entrare 390.000 migranti. Nello scenario negativo, saranno necessari 1,1 milioni di migranti all’anno.

Non riuscite a vedere il pericolo che c’è in tutto questo? Non diventeremo come alcune zone degli Stati Uniti o del Belgio? Ad esempio, ad Anversa sta accadendo qualcosa con i migranti e la polizia non può entrare nell’area.

Vladimir Putin: Sì, certo, dobbiamo tenerlo presente e non permettere in nessun caso che ciò accada in Russia. Questo è un momento molto delicato nella vita dello Stato russo. L’economia, ovviamente, richiede l’impiego di lavoratori immigrati in alcuni settori, soprattutto in quello delle costruzioni. Credo che lì lavori il 33% di tutti gli immigrati.

In generale, non abbiamo così tanti migranti che lavorano nel mercato del lavoro: solo il 3,7% del numero totale di lavoratori. Si tratta di una questione molto delicata, legata all’economia, alla sfera sociale e alla condizione morale della società.

Tra l’altro, per noi è più facile che per i Paesi europei o gli Stati Uniti, perché abbiamo un afflusso di lavoratori dalle ex repubbliche sovietiche. Per noi è più facile lavorare con loro; i leader di questi Paesi comprendono la situazione e sono pronti a collaborare.

Stiamo offrendo programmi di formazione pre-immigrazione con molti Paesi. A cosa servono? Aiutano le persone che intendono lavorare in Russia a imparare la lingua russa e le leggi della Federazione Russa. Abbiamo bisogno che queste persone capiscano che se si trasferiscono in un altro Paese devono rispettare le nostre tradizioni, la nostra cultura e così via. C’è molto lavoro da fare. Dobbiamo continuare a lavorare con loro.

Tra l’altro, questo è importante anche per i nostri cittadini, i cittadini della Federazione Russa, affinché gli immigrati non rappresentino un fattore di disturbo per loro. Questa è la nostra priorità. Dobbiamo certamente pensare prima agli interessi dei cittadini russi.

Quindi, se accettiamo gli immigrati, dobbiamo certamente scegliere quelli che contribuiranno a migliorare lo sviluppo economico della Russia.

C’è un’altra alternativa, semplice e complicata allo stesso tempo. La parte semplice è che potremmo non aver bisogno di una forza lavoro così grande di immigrati se introduciamo una nuova tecnologia che elimina molta manodopera.

Questo ci porta a risolvere un altro problema: lo sviluppo della tecnologia, l’aggiornamento delle strutture e delle attrezzature e così via. Questa è la parte difficile, perché non si può fare da un giorno all’altro. Richiede investimenti consistenti, azioni sicure e duro lavoro. Ci sono molti modi per affrontare questo difficile problema: dobbiamo solo lavorarci. E lo faremo.

Ilya Doronov: Ora farò una domanda che diventa ogni giorno più rilevante e pressante.

Inizierò con le elezioni regionali che si sono appena concluse. Diverse regioni del Distretto Federale dell’Estremo Oriente hanno votato nel giorno delle elezioni nazionali – di fatto, quest’anno i russi hanno potuto votare nell’arco di tre giorni. Congratuliamoci con i candidati vincitori.

Tre anni fa, quando le è stato chiesto se avrebbe cercato la rielezione, ha risposto che non aveva ancora deciso. Ora mancano sei mesi alla campagna presidenziale. È ancora indeciso se candidarsi?

Vladimir Putin: La legge dice che il Parlamento deve designare le prossime elezioni alla fine dell’anno. Quando la decisione sarà presa, le elezioni saranno annunciate, la data sarà stabilita e poi ne parleremo.

Ilya Doronov: Ok, allora possiamo chiederle.

Ho una domanda sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Quali sono le sue aspettative in merito? Si svolgeranno l’anno prossimo e stanno accadendo cose strane; sappiamo che Trump potrebbe essere arrestato in qualsiasi momento.

Vladimir Putin: Perché dovremmo preoccuparci? Credo che non ci saranno cambiamenti fondamentali nella politica estera degli Stati Uniti nei confronti della Russia, indipendentemente da chi diventerà Presidente.

È vero che sentiamo il signor Trump dire che può risolvere molti problemi gravi, tra cui la crisi ucraina, in pochi giorni. Beh, c’è di che essere contenti. Sarebbe un bene. Ma, nel grande schema delle cose, noi… tra l’altro, nonostante le accuse di avere legami speciali con la Russia, che sono un’assurdità assoluta, ha imposto il maggior numero di sanzioni alla Russia durante la sua presidenza. Quindi, è difficile dire cosa aspettarsi da un nuovo Presidente, chiunque esso sia. È improbabile, tuttavia, che si verifichi un cambiamento cruciale, perché le autorità attuali hanno condizionato la società americana a essere anti-Russia per natura e spirito; le cose stanno così. L’hanno fatto e ora sarà molto difficile per loro invertire la rotta. Questo è il primo punto.

In secondo luogo, considerano la Russia come un avversario esistenziale e costante o addirittura un nemico e impiantano questa idea nella testa degli americani comuni. Questo non è positivo perché favorisce l’ostilità. Ciononostante, in America ci sono molte persone che desiderano costruire relazioni commerciali buone e amichevoli con noi e, inoltre, condividono molte delle nostre posizioni, soprattutto dal punto di vista della conservazione dei valori tradizionali. Abbiamo molti amici e persone che la pensano come noi. Ma, ovviamente, vengono soppressi.

Non abbiamo quindi modo di sapere chi sarà eletto, ma chiunque sia, è improbabile che la politica antirussa degli Stati Uniti cambi.

Per quanto riguarda la persecuzione di Trump, beh, nelle condizioni attuali, a mio avviso, è una buona cosa.

Ilya Doronov: Perché?

Vladimir Putin: Perché rivela il marcio sistema politico americano, che non dovrebbe pretendere di insegnare agli altri la democrazia.

Tutto ciò che sta accadendo a Trump è la persecuzione politica di un rivale politico. Ecco cos’è. E sta avvenendo sotto gli occhi dell’opinione pubblica statunitense e del mondo intero. Hanno esposto i loro problemi interni. In questo senso, se stanno cercando di combatterci, è un bene perché mostra, come si diceva in epoca sovietica, l’aspetto bestiale dell’imperialismo americano, la sua smorfia bestiale e ringhiosa.

Ilya Doronov: Sì, me lo ricordo.

Visto che ha sollevato questo argomento, mi permetta di condividere con lei un’altra citazione, ma questa volta non le dirò a chi appartiene, e lo faccio di proposito. “Quando si studia la storia e la cultura della Cina, o della Thailandia, o di un qualsiasi Paese africano, si ritiene essenziale provare un certo rispetto per i tratti distintivi di quella cultura. Ma quando si parla dei mille anni di cristianesimo orientale in Russia, i ricercatori occidentali provano per lo più solo stupore e disprezzo: perché mai questo strano mondo, un intero continente, si è ostinato a rifiutare la visione occidentale delle cose? Perché si è rifiutato di seguire il percorso manifestamente superiore della società occidentale? La Russia è categoricamente condannata per ogni caratteristica che la distingue dall’Occidente”.

Lei ha appena parlato di un nemico esistenziale. Questa citazione, tra l’altro, appartiene a Solzhenitsyn, che ha lasciato il Paese, ha vissuto in Occidente e poi è tornato.

Da dove deriva, secondo lei, questo atteggiamento nei nostri confronti?

Vladimir Putin: Innanzitutto, vorrei dire che le conversazioni che ho avuto con Alexander Solzhenitsyn mi hanno convinto che era onesto e sincero nei suoi sentimenti patriottici verso la Russia. In un certo senso, era un nazionalista, ma nel senso positivo e civile del termine. Per questo motivo, non mi sorprende che questa citazione gli appartenga. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, tutto ciò che riguarda le relazioni della Russia con l’Occidente ruota attorno agli interessi geopolitici dei Paesi occidentali. Questo vale per tutti questi attacchi, anche in ambito spirituale: sono tutti un’estensione di questo confronto geopolitico. Naturalmente, l’Occidente ha cercato a lungo di convertire la Russia al cattolicesimo e di portarla sotto il dominio della Santa Sede. E quando ciò è fallito, si è cominciato a cercare il modo di presentare il nostro Paese come l’Impero del Male. È stato Reagan a coniare questa frase, ma in realtà lo vediamo fin dal Medioevo, o forse anche prima.

Ogni volta che la Russia ha alzato la testa ed è emersa come un vero concorrente geopolitico, e sto parlando di concorrenza e nient’altro, la Russia si è immediatamente scontrata con le politiche di contenimento di qualcuno. Allo stesso modo, l’Occidente sta cercando di contenere la Cina nel suo sviluppo, visto che sotto la guida del Partito Comunista Cinese e con il nostro amico Presidente della Repubblica Popolare Cinese al timone, il Paese ha fatto grandi passi avanti nel suo sviluppo. Per loro questo è uno shock e stanno facendo di tutto per rallentare lo sviluppo della Cina. Ma non sono stati in grado di farlo, sono in ritardo. È un’occasione persa per loro, ed è già troppo tardi. Questo è un processo oggettivo.

Non si tratta solo della Cina. C’è anche l’India e l’Indonesia. Emergeranno nuovi centri di potere e nel tentativo di contenere questi processi alcuni Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, non faranno altro che farsi del male.

Ilya Doronov: Possiamo chiederle di condividere con noi un segreto?

Ricorda la visita di Xi Jinping…

Vladimir Putin: Non condivido mai informazioni segrete. Come potete pensare il contrario? Dopotutto, lavoravo per il KGB.

Ilya Doronov: Capisco. In questo caso, se possibile, può condividere con noi un’intuizione.

Xi Jinping ha visitato la Russia, e ricordiamo il video in cui lo avete visto partire, e ha detto: abbiamo avviato un cambiamento che non si vedeva da 100 anni. Cosa intendeva dire?

Vladimir Putin: Sa, ci siamo parlati a tu per tu per quattro ore. C’erano così tante sfumature e dettagli.

Posso solo dire che negli ultimi anni abbiamo raggiunto un livello senza precedenti nelle nostre relazioni. Questo vale per le nostre interazioni in tutti i loro aspetti.

Oggi abbiamo avuto un incontro con la delegazione cinese. Rispetto alle nostre statistiche, quelle cinesi mostrano un volume di scambi commerciali ancora maggiore tra i nostri Paesi. Abbiamo tutte le possibilità di raggiungere forse i 200 miliardi di dollari di scambi commerciali quest’anno, anche se non posso essere sicuro che ci riusciremo perché dipende da vari fattori mutevoli come le fluttuazioni dei prezzi o i tassi di cambio delle valute, quindi dovremo aspettare e vedere come influiscono. Ma ciò che conta è che siamo proattivi nel promuovere la nostra cooperazione, piuttosto che le cifre specifiche.

In effetti, abbiamo raggiunto un livello notevole nelle nostre relazioni sulle questioni di sicurezza internazionale e in termini di coordinamento delle nostre posizioni. Agiamo nel reciproco interesse e cerchiamo di ascoltarci su molte questioni importanti. Ciò significa sia ascoltare e sentire, sia rispondere a livello governativo, a livello di capi di Stato, a livello ministeriale, nonché nei contatti tra le agenzie e le istituzioni militari e di sicurezza. Abbiamo migliorato la nostra cooperazione e raggiunto livelli senza precedenti in questo senso.

Ma c’è un fatto interessante: non stiamo creando alcuna alleanza militare o cercando di usare la nostra amicizia contro qualcuno. La nostra amicizia è pensata per servire il nostro popolo. Questo è il modo in cui possiamo andare avanti.

Ilya Doronov: Tutto sembra perfetto per quanto riguarda le nostre relazioni con la Cina, ma ci sono anche dei problemi. Ho parlato con i dirigenti d’azienda e cosa mi hanno detto? Per esempio, la Cina non ha fretta di portare la sua produzione in Russia e cerca soprattutto di esportare qui più prodotti finiti. E non possiamo dire che il mercato interno cinese sia completamente aperto ai nostri prodotti non di base. Inoltre, non vediamo molta voglia da parte degli investitori cinesi di utilizzare gli strumenti offerti dal mercato azionario russo.

Qual è il problema?

Vladimir Putin: La Cina è un Paese indipendente e dà priorità ai propri interessi. Lo stesso vale per la Russia, che persegue i propri interessi.

Sarebbe sbagliato sostenere che non rispondiamo alle richieste dell’altro. Permettetemi di citare una questione delicata che riguarda l’apertura del mercato cinese alle nostre compagnie carbonifere e minerarie. Anche la Cina deve affrontare alcune sfide nell’industria del carbone e vuole che i suoi minatori forniscano i loro prodotti al mercato interno, ma ha comunque aperto il suo mercato ai nostri produttori di carbone, e questo è stato uno sforzo notevole. In effetti, non abbiamo ancora raggiunto un accordo sulla carne di maiale, ma loro hanno i loro contratti e il governo è stato riluttante a interferire in questi affari, dato che queste aziende hanno legami di lunga data. Dobbiamo risolvere il problema della peste suina africana. Dobbiamo affrontare queste sfide? Sì, le affrontiamo. E dobbiamo affrontarle.

Sono tutte questioni attuali e in corso, e dobbiamo affrontarle al livello corrispondente. Stiamo facendo progressi su tutti questi fronti e non ho dubbi che riusciremo a risolvere le questioni da lei citate.

Tuttavia, dobbiamo fare la nostra parte e dimostrare i vantaggi che abbiamo da offrire. I nostri partner cinesi si sono dimostrati piuttosto ricettivi nei confronti delle nostre iniziative. Lei ha detto che si astengono dall’avviare attività produttive in Russia, ma non lo hanno fatto anche a Tula?

Ilya Doronov: Uno stabilimento automobilistico.

Vladimir Putin: Una fabbrica di automobili. Come fa a dire che non aprono impianti di produzione qui? In effetti lo fanno.

Ma devono esplorare il mercato, valutare l’investimento che sono disposti a offrire e i potenziali ritorni, giusto? Ciò significa che dobbiamo affrontare alcune questioni da parte nostra per offrire agli investitori condizioni favorevoli.

Siamo stati abbastanza bravi nell’alta tecnologia, e il progetto di costruire centrali nucleari in Cina va avanti, e in effetti ce ne sono parecchie. Naturalmente, la Russia è un fornitore leader in questo settore con prestazioni eccellenti, sia a livello nazionale che internazionale. I nostri partner cinesi lo riconoscono e ci offrono questi progetti e ci permettono di utilizzare questi siti, nonostante il fatto che anche loro stiano sviluppando il loro settore nucleare. Tuttavia, sono stati disposti a venirci incontro perché le nostre proposte presentano vantaggi competitivi.

Per esempio, dobbiamo trovare un terreno comune sul progetto degli aerei a fusoliera larga. Si tratta di un compito impegnativo, ma stiamo facendo progressi, anche se i colloqui vanno avanti da tempo, ma dobbiamo comunque ottenere risultati. Per fare un altro esempio, nella produzione di elicotteri abbiamo un chiaro vantaggio competitivo sul mercato internazionale, ma questo non ci ha impedito di lavorare con la Cina. Produrremo elicotteri per il trasporto pesante – c’è un accordo anche in questo senso. Abbiamo lavorato insieme nel settore spaziale e, nonostante alcune sfide, anche in questo caso abbiamo dei vantaggi competitivi. Sono abbastanza disposti a lavorare con noi.

Ancora una volta, dobbiamo riconoscere che la Repubblica Popolare Cinese ha raggiunto molti risultati nell’alta tecnologia sotto la guida del suo attuale leader. È nostro dovere parlarne con loro, e questo lavoro è in corso. Dobbiamo capire in che modo possono trarre vantaggio dalla collaborazione con noi, per offrire loro condizioni favorevoli. È una normale prassi commerciale. Il fatto che poggi su una solida base di fiducia reciproca non può essere sottovalutato. Sono certo che andremo avanti.

Ilya Doronov: Lei ha parlato di alta tecnologia. Probabilmente non sa che i cinesi hanno sconvolto gli Stati Uniti quando hanno prodotto da soli un chip a 7 nanometri e lo hanno utilizzato nei loro nuovi smartphone.

Vladimir Putin: Non è questo che ha spaventato gli americani. Gli Stati Uniti hanno paura della Cina perché qui vivono 1,5 miliardi di persone e questa economia sta facendo passi da gigante nel suo sviluppo. È questo che spaventa gli Stati Uniti. È una sfida per gli Stati Uniti, questo è certo. Anche i chip sono importanti, naturalmente, ma sono solo una parte della storia.

Ilya Doronov: Bene.

Alcune domande sulla questione di Solzhenitsyn.

A luglio, il corrispondente speciale del quotidiano Kommersant, Andrei Kolesnikov, che domani scriverà su Kommersant un bellissimo articolo su questa sessione plenaria che leggeremo, ha parlato con lei e ha fatto dei paralleli tra oggi e il 1937. Lei ha risposto dicendo che oggi siamo nel 2023.

Non sono d’accordo con Andrei in questo senso; quello che mi viene in mente è il 1922, il “piroscafo dei filosofi”, in realtà ce n’erano più di uno, e le persone venivano mandate fuori dal Paese non solo sui piroscafi; i bolscevichi facevano lasciare il Paese sovietico.

Oggi i dissidenti se ne vanno di loro spontanea volontà e nessuno li obbliga a farlo, ma il Paese sta nuovamente perdendo persone di talento. Come pensa che questa perdita influirà sulla Russia?

Vladimir Putin: Sa, ogni persona fa la sua scelta, e ne abbiamo già parlato. Secondo varie stime condotte da giornalisti, circa 160-170 personalità della cultura hanno lasciato l’estero perché in disaccordo con le politiche dello Stato russo.

Si può essere in disaccordo con le politiche dello Stato russo e continuare a stare qui e a parlarne; nessuno lo vieta. Ma alcuni hanno scelto di andarsene. Questo non è solo legato alla posizione delle persone del mondo dell’arte che non sono d’accordo con l’operato della leadership russa, ma ha anche a che fare con considerazioni materiali.

Negli ultimi anni, molti hanno comprato case o appartamenti all’estero e hanno aperto conti bancari lì. Vogliono tenerseli stretti, hanno paura di perderli. Questa è una delle ragioni, e non dico che sia l’unica. Partono per preservare i loro beni. Sono tenuti – è risaputo – a rilasciare dichiarazioni, a criticare e a denunciare. Quindi, criticano e denunciano.

Per ribadire che ci sono persone che sono sinceramente in disaccordo con ciò che lo Stato russo e le autorità russe stanno facendo. Ma, ripeto, nessuno impedisce loro di criticare mentre sono qui, eppure hanno scelto di andarsene. Così sia, è una loro scelta.

La cultura russa ne ha risentito? Probabilmente sì. Se se n’è andata una persona di talento che avrebbe potuto fare qualcosa qui, probabilmente abbiamo perso qualcosa.

D’altra parte, francamente, forse è meglio che servano gli interessi del Paese che vogliono servire all’estero, piuttosto che qui, dove influenzerebbero milioni di nostri cittadini e promuoverebbero valori non tradizionali. È una questione complessa, ma alla fine ognuno è padrone del proprio destino. Se hanno deciso di andarsene, così sia.

Per fortuna qui tutto funziona, compresi i teatri, le sale da concerto e le sedi espositive. Molti artisti si recano nella zona di operazioni militari speciali per sostenere i nostri eroi in prima linea. Hanno fatto questa scelta. E senza dubbio stanno facendo tutto nell’interesse del popolo russo.

Ilya Doronov: Molto probabilmente, domani o oggi, i membri della nuova ondata di emigrazione guarderanno o leggeranno di questa sessione plenaria sui media occidentali. È importante che sappiano: la strada del ritorno in Russia è aperta per tutti loro, oppure no?

Vladimir Putin: Nessuno l’ha chiusa; ci sono andati da soli. Chi ha detto loro di non tornare? Non possiamo farlo. Di cosa stiamo parlando? La questione è che, secondo la legge russa, un cittadino russo può vivere dove vuole, ma nessuno può revocargli la cittadinanza o negargli l’ingresso nella Federazione Russa.

Ilya Doronov: Ho un’altra domanda.

Riguarda la cosiddetta trasformazione della pena. Ci ricordiamo, o meglio, ne abbiamo letto, che nella Russia zarista c’erano i trasporti penali (esilio) e i katorga (lavori forzati); poi nell’Unione Sovietica c’è stato il Terrore Rosso, le rappresaglie e poi gli ospedali psichiatrici. E ora, nella Russia moderna, abbiamo gli agenti stranieri.

Facendo i conti, ho scoperto che nel nostro Paese il numero di persone e organizzazioni che portano questa denominazione ha superato le 400 unità. Ogni venerdì si aggiungono nuovi nomi e nuovi volti all’elenco.

Non credete che stiamo tirando dentro tutti quelli che ci ostacolano? C’è un meccanismo in atto? Ok, qualcuno è diventato un agente straniero, ma come può smettere di esserlo? Cosa devono fare?

Vladimir Putin: Non stiamo tirando dentro nessuno. Chi stiamo tirando dentro? Questa legge è in vigore negli Stati Uniti dal 1937 o 1938. La nostra legge è quasi una copia, solo che è molto più liberale, e continuiamo a parlarne. Negli Stati Uniti, la legge prevede l’azione penale e la reclusione per determinate azioni.

Chi è un agente straniero in Russia? È una persona che si impegna in attività pubbliche per denaro di uno Stato straniero. E questa legge non vieta loro di continuare a svolgere questa attività, ma impone solo di rivelare le fonti di finanziamento. Sappiamo bene che chi paga il pifferaio chiama la musica. Se sono pagati qui, all’interno del Paese, per svolgere attività pubbliche, dovrebbero almeno mostrare la fonte dei loro finanziamenti. Non c’è nulla di strano in questo.

Tuttavia, ci sono molte sfumature e gli attivisti per i diritti umani me le hanno ripetutamente segnalate. Alcune persone che non sono realmente coinvolte in attività pubbliche, ma che si impegnano nel lavoro ambientale e in altre cose, si ritrovano in questa legge. Sì, la stiamo modificando. Continuo a chiedere alle forze dell’ordine, alla procura e agli organi investigativi di proporre modi per migliorare questa procedura.

Ma se mi sta chiedendo se è possibile revocare questo status, sì, è possibile, e ci sono stati dei precedenti attraverso le sentenze dei tribunali.

Ilya Doronov: Ho una domanda relativa all’Ucraina.

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha recentemente visitato l’Ucraina e poi ha rilasciato un’intervista alla ABC, in cui ha affermato che l’Ucraina è pronta a colloqui con la Russia, aggiungendo che i termini e i futuri confini dipenderanno dall’opinione dell’Ucraina. Tuttavia, ha anche affermato che i colloqui di pace non sono attualmente un’opzione, poiché, cito testualmente, “Bisogna essere in due per ballare il tango”, sottintendendo che la Russia non è disposta a impegnarsi in questi colloqui. Ho due domande. Può commentare questo fatto? E secondo, secondo lei, cosa c’è dietro la posizione del Segretario di Stato americano? L’ha sentita dire a Sochi che la controffensiva è fallita ed è ora di iniziare a parlare?

E la terza domanda: perché il Segretario di Stato americano fa queste dichiarazioni a nome dell’Ucraina?

Vladimir Putin: Dovreste chiedergli perché fa dichiarazioni a nome dell’Ucraina; non ho modo di saperlo.

Per quanto riguarda il processo negoziale: se gli Stati Uniti ritengono che l’Ucraina sia pronta a parlare, allora comincino a revocare l’ordine esecutivo del Presidente ucraino che vieta i colloqui. Esiste un ordine esecutivo presidenziale in cui egli vieta a se stesso e a chiunque altro di tenere colloqui. Blinken dice di essere pronto. Bene, che inizino cancellando questo decreto o ordine esecutivo, o come lo chiamano; questo sarebbe il primo passo.

Ora, per quanto riguarda la situazione generale. Molte persone, me compreso, lo capiscono: L’Ucraina sta conducendo quella che chiamano una controffensiva. Non ci sono risultati, ovviamente. Evitiamo di definirla un fallimento o meno. Non ci sono risultati. Ci sono state perdite significative. Dall’inizio della controffensiva, hanno perso 71.500 uomini. E vogliono ottenere risultati ad ogni costo, come si suol dire. A volte sembra che non siano nemmeno i loro uomini quelli che stanno lanciando in questa controffensiva; è come se non fossero i loro uomini. Francamente… questo è ciò che mi dicono i comandanti in prima linea. È incredibile.

Ilya Doronov: Parla con loro al telefono?

Vladimir Putin: Sempre.

Hanno subito perdite significative, tra cui 543 carri armati e quasi 18.000 veicoli blindati di varie classi, e così via. Sembra quindi che vogliano, come dicono i loro curatori occidentali, azzannare quanto più territorio possibile, scusate il linguaggio. E poi, quando tutte le risorse, sia di personale che di equipaggiamento e munizioni, saranno prossime allo zero, cercheranno di fermare le ostilità, dicendo di volere i negoziati da molto tempo ormai, ma useranno questi colloqui solo per guadagnare tempo e per rifornirsi di risorse e ripristinare le capacità di combattimento delle loro forze armate.

Questa tattica è possibile. In ogni caso, è una possibilità. Ancora una volta, se c’è un sincero desiderio di ottenere qualcosa attraverso i colloqui, allora che lo facciano. Ma perché Blinken dice questo?! Lasciamo che siano gli ucraini stessi a dire che stanno revocando l’ordine esecutivo che ho citato e a dirlo.

Hanno dichiarato pubblicamente che non si impegneranno in colloqui. Ora lasciamo che dichiarino pubblicamente di volerlo fare. Non vedo nulla che possa danneggiare la loro immagine.

Ilya Doronov: Quale potrebbe essere il primo passo da parte loro, dopo il quale saremmo pronti ad avviare i negoziati?

Vladimir Putin: Ascoltate, da tutte le parti le persone con cui comunichiamo, che vorrebbero agire come intermediari, ci chiedono: siete pronti per un cessate il fuoco? Come possiamo cessare le ostilità se l’altra parte sta conducendo una controffensiva? Cosa dovremmo fare? Loro continueranno la loro controffensiva e noi diremo che ci fermiamo? Non siamo dei trotzkisti che dicevano che il movimento è tutto e l’obiettivo finale è niente. È una teoria sbagliata.

Ilya Doronov: Quindi, significa che prima Kiev dovrebbe fermare le ostilità, dimostrarlo, e poi saremmo pronti a parlare?

Vladimir Putin: Ascoltate, vi ho già detto che per prima cosa dovrebbero revocare l’ordine esecutivo che vieta i colloqui e annunciare di volersi impegnare in negoziati, e questo è tutto. Poi vedremo cosa succederà.

Ilya Doronov: Chiederò delle forniture di armi e poi farò una domanda al Vicepresidente perché è un argomento delicato anche per lei; ne ha parlato brevemente. È stata presa la decisione di inviare proiettili all’uranio impoverito. Ora si dice che l’Ucraina potrebbe ricevere anche missili a lungo raggio, con una gittata fino a 300 chilometri.

Innanzitutto, come pensa che questo possa influenzare la situazione sul fronte? E in secondo luogo, come risponderemo a questa eventualità?

Vladimir Putin: Ne abbiamo già parlato, ma devo ripeterlo. Non molto tempo fa, l’amministrazione statunitense considerava l’uso delle munizioni a grappolo un crimine di guerra, lo ha detto pubblicamente. Ora stanno inviando munizioni a grappolo nell’area di combattimento in Ucraina.

Ilya Doronov: Tuttavia, dicono che né gli Stati Uniti né noi abbiamo firmato un trattato che le vieta.

Vladimir Putin: Ora sto parlando di una questione diversa. Hanno annunciato pubblicamente che si tratta di un crimine, ma lo fanno lo stesso. In generale, non si preoccupano di ciò che la gente pensa di loro; fanno sempre tutto solo nel loro interesse. Hanno fatto delle stime e, poiché le munizioni da 155 mm si stanno esaurendo ed è difficile produrle in Europa o negli Stati Uniti, stanno fornendo ciò che hanno nei loro arsenali. Beh, hanno le bombe a grappolo, quindi ci sono. Lo stesso vale per l’uranio impoverito. Usarlo è un crimine, hanno detto, non io, hanno detto che è un crimine. Ma ora lo stanno facendo lo stesso.

Non c’è niente che funzioni. Naturalmente, ci sta costando un pedaggio. Lo stesso vale per l’uranio impoverito. Contamina il terreno. È un male? È molto grave.

Ilya Doronov: A proposito, il capo dell’AIEA [Rafael Mariano] Grossi ha detto: “No, non succederà nulla del genere”.

Vladimir Putin: Sappiamo di cosa si tratta. Il terreno sarà comunque contaminato.

E che dire? Ha modificato la situazione? Gli inglesi inviano queste granate da molto tempo. È cambiato qualcosa sul campo di battaglia? No. Ora stanno per mandare gli F-16. Cambierà qualcosa? No. Sta solo prolungando il conflitto.

Il loro processo elettorale inizia a novembre e hanno bisogno di mostrare qualche risultato ad ogni costo. Stanno spingendo l’Ucraina a continuare le ostilità, indipendentemente da ciò che dicono pubblicamente, perché non si preoccupano degli ucraini. Sorprendentemente, nemmeno l’attuale leadership ucraina sembra preoccuparsi del proprio popolo; lo getta come legna da ardere in una stufa, semplicemente.

Cambierà qualcosa? Io penso di no. Sono sicuro che non cambierà. Trascinerà il conflitto? Sì, lo farà.

Ma ciò che ci preoccupa è il fatto che non hanno freni. Permettetemi di raccontare una storia.

Non molto tempo fa, sul nostro territorio, il Servizio di Sicurezza Federale, durante uno scontro armato, ha eliminato diverse truppe e catturato le altre. Si è scoperto che si trattava di un gruppo di sabotatori dei servizi speciali ucraini. Sono in corso gli interrogatori. Quali erano i loro obiettivi? La loro missione era danneggiare una delle nostre centrali nucleari, facendo saltare una linea elettrica, una linea di trasmissione ad alta tensione, con l’obiettivo di interrompere il funzionamento della centrale. Non era il loro primo tentativo in questo senso. Durante l’interrogatorio, hanno detto di essere stati addestrati da istruttori britannici. Si rendono conto di cosa stanno giocando? Stanno cercando di provocarci per indurci a intraprendere azioni di ritorsione contro gli impianti nucleari ucraini?

Il governo britannico e il Primo Ministro sanno cosa stanno facendo le loro agenzie di intelligence in Ucraina, o sono all’oscuro di tutto? Prendo addirittura in considerazione la possibilità che le agenzie di intelligence britanniche agiscano sotto le istruzioni degli americani, e sappiamo chi è il beneficiario finale. Capiscono con cosa hanno a che fare o no? Credo che stiano semplicemente sottovalutando la situazione.

Ilya Doronov: Non hanno vissuto Chernobyl.

Vladimir Putin: Sapete che sono consapevole che una volta detto questo, inizieranno a gridare che si tratta di un’altra minaccia, di un ricatto nucleare e così via. Vi assicuro che quello che ho appena detto è la verità completa e non adulterata.

Questi individui sono sotto la nostra custodia e stanno collaborando. Conosco la probabile reazione: “Diranno tutto quello che volete sotto la minaccia delle armi”. No, non è così e i vertici delle agenzie di intelligence britanniche sanno che sto dicendo la verità. Ma non sono sicuro che i leader britannici capiscano veramente cosa sta succedendo.

Queste cose ci preoccupano molto perché non sanno dove fermarsi e questo potrebbe portare a gravi conseguenze.

Ilya Doronov: Ma sappiamo che non prenderemo di mira le infrastrutture nucleari.

Vladimir Putin: Le ho detto che potrebbero provocarci a intraprendere tali azioni.

Ilya Doronov: Signora Vicepresidente, una domanda per lei. Lei ha menzionato la questione delle munizioni a grappolo. Se non ricordo male, la guerra in Vietnam è finita nel 1975. Quanto hanno influito i bombardamenti in Laos sulla vita dei civili, e continuano a influire sulla loro vita ancora oggi?

Pany Yathotou (ritradotto): Per quanto riguarda le munizioni a grappolo e le granate inesplose, queste vestigia della guerra, credo che il numero rimanente sia ancora molto elevato. Non le abbiamo ancora disarmate tutte. Naturalmente, queste munizioni inesplose ci creano seri problemi. Riceviamo assistenza umanitaria e tecnica dalla Russia e dalle organizzazioni internazionali, ma finora non siamo riusciti a bonificare il nostro territorio.

Le conseguenze più devastanti per la nostra popolazione sono varie ferite e, ovviamente, molte vite sono andate perse. Per questo motivo, nella Repubblica Democratica Popolare del Laos ci sono molti orfani i cui genitori sono stati uccisi da munizioni inesplose.

Inoltre, queste munizioni stanno ostacolando lo sviluppo della nostra agricoltura perché molti terreni agricoli sono stati gravemente danneggiati dalle munizioni a grappolo. A questo proposito, il governo del Laos sta lavorando duramente per affrontare questa sfida umanitaria, in particolare in collaborazione con la Russia e le organizzazioni internazionali.

Ilya Doronov: Il governo del Laos può dire quanti anni ci vorranno ancora per smantellare completamente il Paese?

Pany Yathotou (ritradotto): La guerra in Laos è durata oltre 30 anni. È stata una delle guerre più lunghe della storia.

L’uso di munizioni a grappolo faceva parte delle tattiche utilizzate in quella guerra. Non possiamo dire quanti anni ancora ci vorranno per disinnescare le vestigia inesplose della guerra. Non c’è dubbio che il governo laotiano continuerà a lavorare in stretta collaborazione con i Paesi amici e le organizzazioni internazionali per risolvere la questione il prima possibile.

Ilya Doronov: Grazie.

Vuole fare un commento?

Vladimir Putin: No. Vorrei solo aggiungere che noi – i nostri esperti – non solo aiutiamo a disinnescare le mine, ma stiamo anche formando il personale locale. Abbiamo già formato 150 professionisti locali dello sminamento.

Ilya Doronov: Signor Presidente, ora le chiederò dell’Armenia. Un anno fa, Nikol Pashinyan era su questo palco e l’ho vista parlare in disparte. Sembrava che steste avendo una conversazione perfettamente normale.

Ora leggiamo delle esercitazioni armeno-statunitensi che sono iniziate ieri, credo. La moglie di Pashinyan si è recata a Kiev. Il presidente del parlamento armeno ha fatto commenti molto sfavorevoli sul nostro ministero degli Esteri.

Da dove deriva questa svolta nella politica armena? Come influirà sulla situazione al confine con l’Azerbaigian? E dove potrebbe portare l’Armenia?

Vladimir Putin: Non credo che ci sia stata alcuna svolta. Vediamo e capiamo cosa sta succedendo. Posso dire molte cose su questo argomento. Abbiamo proposto una serie di soluzioni di accordo.

Francamente – e credo sia un fatto noto – l’Armenia controllava sette distretti che ha ottenuto dopo il conflitto armeno-azero in questione. Abbiamo proposto di raggiungere un accordo con l’Azerbaigian in modo che due distretti – Kalbajar e Lachin – restino sotto la giurisdizione dell’Armenia, così come l’intero Karabakh. Tuttavia, la leadership armena non ha accettato, anche se abbiamo cercato di convincerli a farlo per 10 o addirittura 15 anni. C’erano diverse opzioni, ma tutte si riducevano a questo. Alla domanda su cosa avrebbero fatto, hanno risposto che avrebbero combattuto. Bene, d’accordo.

Alla fine, tutto si è risolto nello stato di cose che vediamo oggi. Ma non si tratta solo degli esiti del recente conflitto; si tratta anche del fatto che la leadership armena ha sostanzialmente – beh, non sostanzialmente, ma effettivamente – riconosciuto la sovranità dell’Azerbaigian sul Karabakh e lo ha documentato nella dichiarazione di Praga.

A dire il vero, ne siamo consapevoli. Ora, il Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ci dice: siete consapevoli che l’Armenia ha riconosciuto il fatto che il Karabakh è il nostro territorio e che lo status del Karabakh non è più una questione rilevante. È stata risolta. I leader armeni lo hanno dichiarato pubblicamente e hanno riconosciuto che il territorio antecedente al 1991 che include il Karabakh – hanno fornito le cifre – fa parte dell’Azerbaigian. Questo è effettivamente avvenuto, e non è stata una nostra decisione; è una decisione presa dall’attuale leadership armena. E se così fosse, ci dicono, dovreste risolvere con noi ogni questione in sospeso relativa al Karabakh su base bilaterale. Ebbene, cosa possiamo dire? Non possiamo dire nulla. Se l’Armenia stessa ha riconosciuto il Karabakh come parte dell’Azerbaigian, cosa possiamo fare?

Certo, ci sono altre questioni legate all’aspetto umanitario e al mandato delle nostre forze di pace. Questo è vero. Il mandato è ancora in vigore. Le questioni umanitarie, compresa la prevenzione della pulizia etnica, sono rimaste irrisolte, e su questo sono pienamente d’accordo. Spero che la leadership azera – ce lo ha sempre detto e continua a dirlo – non sia interessata alla pulizia etnica. Anzi, al contrario, sono interessati a che questo processo si svolga senza intoppi.

Ilya Doronov: Quanto sono giustificate, secondo lei, le affermazioni di Erevan secondo cui la Russia e la CSTO non hanno aiutato, e non è stato nemmeno tolto l’assedio al Nagorno-Karabakh, che ha portato a un disastro umanitario?

Vladimir Putin: Dal momento che l’Armenia ha riconosciuto il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbaigian, cosa c’è da discutere? Questo è l’aspetto chiave della questione. L’Armenia ha determinato lo status del Karabakh stesso. Non c’è altro da dire.

Ilya Doronov: Una domanda personale, se posso. Il signor Pashinyan ha parlato con lei di recente? Glielo chiedo perché ha parlato con il Presidente della Francia Emmanuel Macron e con il Presidente dell’Iran.

Vladimir Putin: Mi ha inviato un messaggio dettagliato. Manteniamo la comunicazione. Non abbiamo problemi con l’Armenia o con il Primo Ministro Pashinyan a questo proposito; rimaniamo sempre in contatto.

Ilya Doronov: C’è un’altra domanda importante sugli sviluppi in Ucraina. Si dice che sia possibile una nuova mobilitazione in Russia.

Cosa può dire a coloro che ci stanno osservando?

Vladimir Putin: Guardi, in Ucraina è in corso una mobilitazione forzata. Arriva a ondate, una dopo l’altra, e non so se ci sia ancora qualcuno da chiamare.

Abbiamo effettuato una mobilitazione parziale. Come sapete, abbiamo richiamato 300.000 persone. Negli ultimi sei o sette mesi, 270.000 persone si sono offerte per il servizio a contratto nelle Forze Armate e nelle unità di volontariato.

Ilya Doronov: Questo si aggiunge alla mobilitazione parziale?

Vladimir Putin: Sì, certo, si sono arruolati negli ultimi sei o sette mesi. Le persone si recano negli uffici di reclutamento militare e firmano i contratti. Ben 270.000 lo hanno fatto. Inoltre, il processo continua. Ogni giorno, tra le 1.000 e le 1.500 persone vengono a firmare, ogni giorno.

Lei sa che questo è il tratto distintivo del popolo russo, della società russa. Non so se questo sia possibile in qualsiasi altro Paese, perché la nostra gente si arruola consapevolmente nella situazione attuale, sapendo che alla fine sarà mandata in prima linea. I nostri uomini, i nostri uomini russi, rendendosi pienamente conto di ciò che li aspetta e comprendendo che potrebbero morire per difendere la loro Madrepatria o essere gravemente feriti, fanno comunque questa scelta, volontariamente e consapevolmente, per proteggere gli interessi del loro Paese.

Lei ha parlato di elezioni. Si sono tenute ovunque, anche nelle regioni di Zaporozhye e Kherson e nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk. Si sono svolte in condizioni difficili e ammiro il coraggio del personale dei seggi elettorali. Quando sono iniziati i bombardamenti – il nemico ha preso di mira anche i seggi elettorali – la gente si è rifugiata negli scantinati, per poi riprendere il lavoro una volta terminati i raid. La gente si è recata ai seggi e si è messa in fila nonostante la possibilità che venissero attaccati.

Perché dico questo? Perché i nostri soldati, i nostri uomini, i nostri eroi che combattono in prima linea sanno che ci sono persone che devono proteggere, e questo è il punto chiave. Stiamo proteggendo il nostro popolo.

Ilya Doronov: Tra poco finiremo. Ma ho ancora diverse domande.

Il 1° settembre è stato consegnato alle scuole un nuovo testo di storia. Non ne parlerò nel dettaglio perché abbiamo intervistato il suo aiutante, Vladimir Medinsky, che ha specificato la posizione ufficiale.

Ma contiene la seguente frase. Cito: “Sapete, la vita è sempre più complicata di qualsiasi stereotipo ideologico o giornalistico. Passerà un decennio e il nostro tempo sarà sottoposto a un esame rigoroso. Gli storici si chiederanno quali passi compiuti dai leader mondiali, compresa la leadership del nostro Paese, siano stati giusti e tempestivi, e in quali casi si sarebbe dovuto intraprendere un diverso corso d’azione”.

Se possibile, volevo chiederle di non aspettare gli storici del futuro. Dal suo punto di vista, cosa è stato fatto correttamente e dove sono stati commessi errori in questo periodo?

Vladimir Putin: No, aspettiamo gli storici del futuro. Solo le generazioni future saranno in grado di valutare in modo obiettivo ciò che abbiamo fatto per questo Paese.

Ricordo quello che il principe Potyomkin scrisse a Caterina la Grande sull’annessione della Crimea. Non sarò in grado di riprodurre la citazione esatta, ma posso trasmetterne il significato. Egli scrisse quanto segue: Il tempo passerà e le generazioni future vi rimprovereranno per non aver annesso la Crimea nonostante foste in grado di farlo, e voi vi vergognerete. Gli interessi dello Stato vengono prima di tutto. Noi siamo guidati proprio da queste considerazioni, diamo loro la massima priorità, e di certo non ce ne vergogniamo.

Ilya Doronov: Ho una domanda relativa allo sport. Mi riferisco ai Giochi Olimpici che si terranno in Francia l’anno prossimo.

Prima di porre la mia domanda, vorrei che tutti noi applaudissimo il nostro tennista, Daniil Medvedev, che si è battuto nella finale degli US Open a New York. È stata una bella finale, con un russo e un serbo, due credenti ortodossi, che hanno giocato.

Ringraziamo Daniil per questo. È vero, non c’era nessuna bandiera – ho visto la trasmissione – né alcun riferimento al fatto che è russo.

Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che ai Giochi Olimpici che il suo Paese ospiterà l’anno prossimo non ci saranno bandiere russe o bielorusse – niente.

Cosa dire ai nostri atleti, per i quali le Olimpiadi sono davvero l’obiettivo della loro vita? Stanno aspettando e dovranno mancare.

Vladimir Putin: Dirò questo. Data la situazione, dovremmo innanzitutto farci guidare dagli interessi degli atleti. Ognuno di loro, che si è allenato per anni o addirittura decenni in vista di queste competizioni cruciali, dovrebbe prendere una decisione autonoma.

Per quanto riguarda il Movimento Olimpico stesso, vorrei dire questo. Credo che l’attuale gestione delle federazioni internazionali e del Comitato Olimpico Internazionale stia distorcendo l’idea originale di Pierre de Coubertin, secondo cui lo sport deve essere al di là della politica, non deve disunire le persone, ma unirle.

Cosa è successo negli ultimi decenni? Il Movimento Olimpico è stato preso nella trappola degli interessi finanziari. Lo sport internazionale e il Movimento Olimpico internazionale sono stati commercializzati, il che è inaccettabile, e questa commercializzazione ha portato a… Di cosa sto parlando? Gli sponsor, le trasmissioni commerciali, le principali aziende occidentali, che in ultima analisi forniscono la base per il funzionamento del Comitato Olimpico Internazionale e del movimento nel suo complesso, dipendono direttamente dalle organizzazioni politiche e dai governi dei loro Paesi.

Questa combinazione ha creato una situazione in cui lo sport internazionale e il Movimento Olimpico sono in declino e non svolgono più le loro funzioni principali. L’idea principale [dello sport] non è solo quella di battere i record, ma di unire le persone, ma il Movimento olimpico internazionale non sta più facendo questo. Questo è deplorevole per il Movimento Olimpico stesso, perché si creeranno movimenti alternativi, in un modo o nell’altro, e non si può fare nulla al riguardo perché è un processo oggettivo.

L’anno prossimo si terranno i Giochi Mondiali dell’Amicizia; si terranno competizioni nell’ambito dei BRICS, e coloro che sono depoliticizzati vi parteciperanno volentieri. Questo avrà un effetto distruttivo sulle attuali organizzazioni internazionali. Devono essere ringiovanite, anche in termini di personale.

È deplorevole che ciò stia accadendo, ma proteggeremo gli interessi dei nostri atleti. Questo è il primo punto. In secondo luogo, creeremo possibilità alternative per loro, anche in termini di risultati finanziari dei loro successi.

Ilya Doronov: Il Ministero dello Sport ha fornito le statistiche relative all’EEF o a prima dell’EEF, secondo le quali 55 atleti olimpici russi hanno cambiato la loro cittadinanza, e il numero comprendente anche gli atleti non olimpici è di oltre 100. Lei comprende queste persone?

Vladimir Putin: Ho detto all’inizio della mia risposta che le persone hanno lavorato per decenni per raggiungere i loro obiettivi, ma sono state impedite per motivi politici.

Sa, c’è un altro elemento in tutto questo. Non so se posso dirlo, ma alcuni dicono che lo sport e le competizioni internazionali sono diventate la sublimazione della guerra. C’è qualcosa in questo.

Non giudico nessuno, ma è importante che gli atleti, soprattutto quelli di alto livello, sentano l’inno e vedano la bandiera del loro Paese quando salgono sul podio. Ma alla fine ognuno fa la sua scelta. Questo è ciò che credo.

Ilya Doronov: Le farò un’ultima domanda.

Abbiamo aperto la sessione plenaria di oggi affermando che dieci anni fa abbiamo proclamato l’Estremo Oriente, la Siberia e l’Artico come nostre priorità.

Vorrei dare uno sguardo al futuro e parlare di come potrebbero essere l’Estremo Oriente, la Siberia e la Russia tra dieci anni.

In questo momento stiamo assistendo a una sorta di reincarnazione in una nuova fase, forse paragonabile a quella dell’Unione Sovietica, quando c’era un movimento di giovani pionieri, e ora abbiamo il Movimento dei Primi. Qualche tempo fa abbiamo riportato in auge la musica dell’inno sovietico. Alla VDNKh si sta preparando una mostra intitolata Russia, che ci ricorda anche il passato.

L’immagine futura dell’Ucraina, ad esempio, è chiara e comprende l’adesione alla NATO e all’UE. Anche in Occidente l’immagine del futuro appare, per così dire, rosea.

Qual è l’immagine del futuro per la Russia?

Vladimir Putin: Lei ha appena detto che per alcuni Paesi l’immagine del loro futuro comprende l’appartenenza a organizzazioni come la NATO o l’UE. Si rende conto di ciò che ha appena detto? In altre parole, il loro futuro è legato non solo all’interazione con gli altri, ma alla loro completa dipendenza dagli altri.

Nella sfera della difesa, hanno bisogno di qualcuno che li copra, altrimenti falliranno. Nella sfera economica, hanno bisogno di qualcuno che invii loro fondi, altrimenti non saranno in grado di sollevare la loro economia. Tra l’altro, nessuno vuole la pace in Ucraina perché, se la guerra finirà, dovranno rispondere al loro popolo degli aspetti economici e sociali, e non c’è molto da dimostrare. Dubito che, una volta terminate le ostilità, si assisterà a una ripresa dell’economia ucraina. Chi li sfamerà? Ne dubito.

Siamo noi gli artefici del nostro futuro. Di recente ho incontrato dei giovani scienziati a Sarov. Anche loro mi hanno fatto delle domande, almeno abbiamo parlato di questo. Di che cosa? Voglio dire questo, forse in un formato diverso, ma l’idea di fondo sarà la stessa. Gli scienziati si occupano di ricerca e sviluppo. Gli industriali lavorano nella sfera della produzione materiale, nell’agricoltura, nel settore industriale, ecc. Le figure culturali creano immagini per preservare i nostri valori, che danno forma alla vita interiore di ogni persona e di ogni cittadino della Russia. Tutto questo insieme darà sicuramente un risultato. Tutto questo dovrebbe concretizzarsi nell’autosufficienza del nostro Paese, anche nei settori della sicurezza e della difesa. Ma questo non significa che il Paese si autoisoli. Significa che svilupperemo il nostro Paese e lo renderemo ancora più forte in collaborazione con i nostri partner e amici e in integrazione con la stragrande maggioranza dei Paesi che rappresentano la maggior parte della popolazione mondiale.

Ho già parlato di industria, scienza e così via. Ma nel farlo, dobbiamo in ogni caso preservare l’anima della Russia, l’anima della nostra nazione multietnica e multiconfessionale. Questa componente umanitaria, insieme alla scienza, all’istruzione e alla produzione reale, sarà la base su cui questo Paese avanzerà, sentendosi e considerandosi uno Stato sovrano e pienamente indipendente con buone prospettive di sviluppo. Sarà così.

Guardate, nonostante tutte le restrizioni imposte alla Russia… Cosa speravano? Si aspettavano che il nostro sistema finanziario andasse in pezzi, che l’economia crollasse, che gli impianti industriali si fermassero e che migliaia di persone rimanessero senza lavoro. Ma non è successo nulla di tutto ciò. La performance dello scorso anno ha collocato la Russia tra le prime cinque grandi economie mondiali in termini di parità di potere d’acquisto e di volume dell’economia. È molto probabile che continueremo su questa strada. Ho detto che l’inflazione in Russia è cresciuta un po’, ma è nei limiti degli indicatori rilevanti. La disoccupazione è al minimo storico del 3%. Si tratta di un dato senza precedenti: un tasso di disoccupazione nazionale del tre per cento.

Naturalmente, a questo proposito, emergono altre questioni legate alla forza lavoro, ma anche queste vengono affrontate. I redditi reali stanno aumentando per la prima volta da diversi anni. Certo, si tratta di redditi modesti, come ho detto, ma la tendenza è nella giusta direzione. Anche i redditi reali disponibili e i salari reali stanno crescendo. Nel complesso, tutto questo ci dà ragione di pensare che la Russia non solo ha un futuro sostenibile e positivo, ma anche che questo futuro è assicurato dagli sforzi di tutto il nostro popolo multietnico.

Ilya Doronov: In conclusione, ci si sente di dire che questo sembra un programma elettorale. Ma non possiamo parlarne fino a dicembre.

Grazie. Concludiamo la sessione plenaria. Abbiamo parlato per quasi tre ore e abbiamo cercato di rispondere a molte domande, ma non si può abbracciare l’infinito.

Signora Vicepresidente del Laos, grazie per essere venuta. Signor Presidente, grazie per aver risposto a tutte le mie domande.

Grazie a lei. Buona serata a tutti.

http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/72259

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