Considerazioni disincantate, di Fabio Falchi

Brevissima considerazione sul comizio di Salvini a Milano.
Il “Capitano del Popolo”, consapevole della forte ostilità della chiesa nei suoi confronti, ha chiaramente cercato il consenso dei cattolici. Insomma, ha cercato di guadagnare voti rivolgendosi a quella parte dell’elettorato che può avere dei dubbi sulla Lega solo per la posizione della chiesa verso la Lega. Sorvoliamo sull’affondo contro l’islam (eppure bastava distinguere tra l’Islam moderato e gli islamisti, per ottenere lo stesso effetto). Altro punto saliente è che ha evitato di polemizzare con il M5S ma non ha risparmiato critiche durissime all’UE e ha ribadito che sull’immigrazione non ha intenzione di cedere. Il problema adesso è ovviamente il rapporto con il M5S. Difficile fare previsioni ma il nuovo corso politico del M5S non garantisce che il governo giallo-verde possa essere capace di sfruttare una vittoria dei “sovranisti” per aumentare il peso dell’Italia in Europa.

Ancora sul comizio di Salvini a Milano.
Inutile negarlo, a Milano sono emerse tutte le lacune politico-culturali della Lega (e il fatto che gli altri siano messi perfino peggio non è che sia confortante). A parte il linguaggio da oratorio, in pratica Salvini ha proposto lo “scontro di civiltà”:
da un lato l’Europa (giudaico) cristiana (che è scomparsa da qualche secolo…), dall’altro l’Islam.
Nessuna distinzione quindi tra islamismo e Islam, come nessuna distinzione tra comunismo (che è “storia passata” ma importante) e sinistra progressista (che con il comunismo, in specie quello “orientale” , non ha proprio nulla a che fare).
Di positivo, la critica durissima dell’UE neoliberale, ma impossibile capire quale dovrebbe essere la strategia politica ed economica per mutare questa Europa. La stessa flat tax proposta come soluzione di tutti i problemi economici dell’Italia, senza un piano economico per rilanciare i settori produttivi e l’ammodernamento delle infrastrutture, è tutt’altro che convincente.
Un altro fattore positivo, tuttavia, è lo scontro tra “sovranisti” e neoliberali. Il punto da capire è che i neoliberali temono non tanto il numero di seggi che i “sovranisti” possono conquistare al P. E. (forse il 20%), quanto piuttosto, tenendo conto delle procedure della elezione dei commissari europei, che i “sovranisti” possano mutare l’indirizzo politico della commissione europea.
Inoltre, lo scontro tra neoliberali e “sovranisti” (che qualche bischero semicolto definisce sciovinisti dimostrando di non conoscere neppure il significato dei termini che usa) ha anche portato alla luce il disordine mentale – o la malafede – di vari gruppi politici che di fatto si sono schierati con il PD , con Macron e con la Clinton.
In definitiva, si conferma che anche il “sovranismo” della Lega è l’effetto della crisi del sistema neoliberale (in quanto del tutto incapace di risolvere i problemi che esso stesso genera) , ma di per sé non è in grado di costruire una “reale alternativa” al sistema neoliberale.
E’ questa differenza dunque che dovrebbe costituire il punto di partenza di una analisi politico-culturale, sapendo che in questa particolare fase storica si può solo cercare di “usare” tutto ciò che può portare il sistema neoliberale al collasso e favorire, sia pure indirettamente, l’inizio di un nuovo corso (geo)politico.

Svolte

Che i cosiddetti “sovranisti” possano conquistare la maggioranza nel Parlamento europeo è estremamente difficile. Tuttavia, i commissari (per la nomina del Presidente della Commissione la procedura è diversa) sono scelti dal Consiglio ossia dai singoli Stati, mentre le commissioni parlamentari valutano se i candidati hanno le competenze necessarie per svolgere il proprio incarico. Infine l’intera Commissione deve essere approvata dal P. E. con una sola votazione.
In pratica, un Paese “sovranista” può scegliere un commissario “sovranista”. Questo significa che un’Italia “sovranista” avrebbe un certo peso nella Commissione europea.
Capite allora perché la svolta politica “antisovranista” del M5S è così importante per gli eurocrati?

NB Tratti da facebook

rebus da decifrare, a cura di Giuseppe Germinario

 

DALLA FINZIONE ALLA FARSA di Piero Visani

Siamo nel pieno delle “Tempeste d’acciaio” di Juengeriana memoria: “Avanti, ragazzi!: INCLUSIONEEE…!!!”

Dalla battaglia di Farsalo a quella di Farsaccia. Suggerirei un aggiornamento dei portati “teorici” del M5S: da “uno vale uno” a “a zero vale zero”. Un aggiornamento necessario e più consono, specie se autoriferito…
Ma chiudere per manifesto fallimento, anche ideologico, non sarebbe opportuno, risparmiando paccate di miliardi?

 

SMOTTAMENTI, di Fabio Falchi

In relazione al post precedente (in cui ho indicato i difetti della Lega e degli altri partiti), vorrei precisare che le elezioni del prossimo 26 maggio sono elezioni europee. Invece il M5S che fa? Parla di UE, di trattati da rivedere, di una politica europea funzionale agli interessi della Germania e della Francia o dell’austerity?
Nulla di tutto questo e perfino i “gilet gialli” sono scomparsi dall’agenda politica del M5S, che invece fa solo politica contro Salvini e la Lega. E si badi non in una stanza chiusa, come si conviene tra alleati, ma alla luce del sole.
All’inizio si poteva pensare che fosse solo politica di “bassa lega” per guadagnare un po’ di voti, ma adesso è chiaro che Di Maio, che non è che un burattino nelle mani di Grillo e Casaleggio, ha cambiato strategia e mira a far cadere il governo. La questione del sindaco di Legnano è solo un pretesto (se è corrotto ovviamente pagherà). Difatti, l’attacco contro l’alleato è a 360 gradi e l’importante è non parlare di Europa. Evidentemente l’UE “paga” bene. Che altro aggiungere?

Il difetto peggiore della Lega è certo quello di condividere gli stessi principi e valori di quelli che vorrebbe combattere. Incapace, per mancanza di cultura politica e di senso dello Stato, da un lato di fare una critica seria del neoimperialismo americano e pure di una critica seria ed equilibrata della politica di Israele , dall’altro di proporre una alternativa al neoliberismo, non si distingue dai suoi nemici o avversari che siano. Ma è proprio questo il problema ossia che i suoi avversari o nemici, oltre a questi gravi difetti, ne hanno di peggiori!

 

CON I PIEDI NEL PIATTO, di Vincenzo Cucinotta

Ma a voi sembra normale che il magistrato competente convochi una conferenza stampa per illustrare il procedimento che ha aperto proprio a ridosso delle elezioni (tralasciando di soffermarsi sulla mise apparentemente più adatta a una sfilata di moda)?
Poichè tale conferenza non ha funzioni processuali, è inevitabile dedurne che il fine sia politico.
Anche su questo aspetto, non trovo tuttavia nessun appunto, ma ormai siamo abituati a questa forma sofisticata di censura.

 

REGOLE AUREE, di Giuseppe Masala

  • Premesso che la Regola Aurea per vaticinare sul governo è la seguente: il governo dura fino a quando ha l’appoggio degli USA. Quando manca questo il governo finisce in un’ora di orologio.

Siamo arrivati alla fase delle litigate. Semplice campagna elettorale o c’è di più?

Fino ad ora i momenti salienti sono stati

(1) L’uscita di scena di Paolo Savona dalla compagine governativa che sostanzialmente significa accettazione della dottrina Monti. Certo con qualche possibile aggiustamento per non perdere consenso ma questo è quanto.

(2) La firma del Trattato sulla Via della Seta con Pechino. Anche questo trattato ci avvicina molto a Berlino stante la politica di sganciamento di Berlino da Washington.

Dunque questo governo nasce ostile a Berlino e filoamericano ma cammin facendo si ritrova molto vicino a Berlino e un po’ si allontana da Washington. Comunque siano andate le cose tra i due contraenti questo è quanto.

Dunque c’è molta sostanza nei litigi di questi giorni: i due contraenti devono scegliere il da farsi.

Le cose sono molto complesse per come la vedo io anche in relazione al fatto che c’è un tentativo di riavvicinamento tra Washington e Parigi. E dunque forse c’è una frizione tra la Francia e la Germania.

Comunque in questo difficile puzzle si gioca la durata del Governo. Chi rischia di più è Salvini. Parere mio. Piddi non pervenuto: a parole sono filo europoidi (il che vuol dire filo tedeschi) ma quando erano al governo pure loro hanno subito schiaffi ingiusti da Berlino e hanno sempre tentato di riequilibrare con gli USA (all’epoca guidati da Obama solo che ora c’è Trump con il quale non sono ideologicamente affini). Berlusconi? Lui è al sic transit gloria mundi.

Dietro le scintille degli ultimi giorni c’è un rebus difficilmente leggibile.

  • Può esistere un’Europa sostenibile? Certo che può esistere:

– Mercato comune;
– Libera circolazione delle persone e delle merci;
– Moneta Unica (tanto ormai c’è se non ci fosse stata sarebbe stato meglio) + Emissione di Eurobond
– Sanatoria dei disequilibri di Partite Correnti tramite spostamento di aziende produttive dai paesi il surplus verso quelli in deficit
– Progressiva costruzione di un Welfare Unico Europeo
– Costruzione di una Scuola Europea
– Uniformazione dei sistemi tributari (no al dumping fiscale)
– Salario Minimo orario europeo
– Politica estera Unica solo sui diritti umani e sulla cooperazione transfrontaliera (per il resto ognuno per sé e Dio per tutti)

NO ALL’ESERCITO UNICO EUROPEO.

Praticamente stanno facendo quello che non andrebbe fatto perché è impossibile fare ciò che andrebbe fatto per salvare l’Europa. Io dico che sono in un vicolo cieco: difficilissimo tornare indietro e difficilissimo andare avanti. Traete voi le conclusioni su come andrà a finire.

 

RITORNANO, di Gianfranco La Grassa

Stiamo andando di nuovo verso la piena politicizzazione della “giustizia” come già in altra epoca che ben ricordiamo e che ha avviato il paese ad una netta decadenza. Queste operazioni si accentuano nel momento in cui i “5 stelle” stanno riaprendo quello che fu il “primo forno”, fatto fallire da Renzi a “Porta a Porta”, favorendo così la formazione dell’attuale coalizione governativa. All’improvviso Di Maio si mette a dire cretinate (come il Pd) sullo spread provocato per riportare in auge pienamente l’austerità della UE (soprattutto nei nostri confronti). Ripeto che siamo in mano a prekeynesiani, seguaci del più balordo e fallimentare liberismo (diciamo “alla Pigou”). Sempre più è chiaro che sarebbe necessaria una definitiva resa dei conti con queste forze reazionarie. Se si continua a ricercare il compromesso, si arriva solo alle decisioni ormai “di parte” del premier Conte, infine smascheratosi per quello che è; adesso si capisce perché è stato scelto. La Lega forse sperava di riuscire a condizionare finti alleati e il premier nominato in seguito all’opposizione fin troppo brusca del presdelarep ad un Savona, decisione che suscitava infatti una serie di sospetti. Anche l’improvvida e sgangherata richiesta di impeachment di detto presdelarep da parte del leader pentastellato – d’altra parte ritirata subito in modo altrettanto inconsulto – suscita adesso domande. Era forse una copertura di certi rapporti che intercorrono tra ambienti veteroeuropeisti e questi “ultramoderni” grillini con l’intenzione di ingannare e quindi paralizzare gli ambienti che si dicono sovranisti? PD e “5 stelle” si affannano a dichiarare che mai potrebbero mettersi insieme, che si odiano o giù di lì. Intanto, però, stanno progressivamente rendendo paralleli i loro piani e le loro dichiarazioni sempre più balorde e reazionarie, del più piatto e vetusto liberismo. Si sta ormai giocando sporchissimo come all’epoca della liquidazione della prima Repubblica e del rapido indebolimento del nostro paese.

Salvini, Di Maio e il Terzo_di Giuseppe Germinario

La conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con oggetto il caso Armando Siri è stata un piccolo capolavoro di sottili argomentazioni tese a giustificare la decisione di dimissionamento del sottosegretario. http://www.governo.it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-conte/11474La prevedibile accalorata reazione dei due esponenti politici maggiormente interessati alle implicazioni dell’affare, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non ha colto e centrato il punto focale di quella prolusione. Nella costruzione logica del discorso l’effetto scatenante sono state ovviamente le indagini giudiziarie, ma il motivo della defenestrazione riguarda il comportamento politico di un esponente di governo impegnato a difendere retroattivamente, consapevolmente o meno che fosse, interessi particolari piuttosto che l’interesse generale, non tanto il suo coinvolgimento giudiziario.

Il merito degli argomenti è però tanto efficace nella rappresentazione mediatica, quanto debole nella consistenza.

La gestione degli incentivi e delle agevolazioni ai consumi, atori e soprattutto alle imprese impegnate nel settore delle energie alternative, in particolare eolica e solare, è il frutto avvelenato del fondamentalismo ambientalista delle politiche energetiche perpetuate negli ultimi due decenni soprattutto dai governi di centrosinistra, parallelamente alla liberalizzazione del settore e bruscamente interrotte da un paio di anni.

Una mole spropositata di incentivi, introdotti repentinamente che hanno indotto enormi investimenti su tecnologie ancora poco efficienti, suscettibili solo nel tempo di migliorie significative; un ambito nel quale era del tutto assente sia l’industria di produzione degli utensili che l’artigianato competente nell’installazione e manutenzione. Il risultato ottenuto fu un notevole incremento della quota di energia verde prodotta al prezzo però di massicce importazioni di pannelli e tecnologie dalla Cina e installatori dalla Spagna. In poco tempo si assistette alla fioritura di numerose aziende di produzione e distribuzione nonché di intermediari nell’acquisizione di terreni per i parchi di produzione; attività rese profittevoli esclusivamente dall’entità degli incentivi, ma entrate immediatamente in crisi con l’altrettanto repentino scemare degli stessi. Attività di tipo speculativo nelle quali sono implicate, oltre alle scontate cosche mafiose, figure imprenditoriali ben più importanti dei tal Arata, ben ammanicate con il vecchio establishment.

Deve essere stato evidentemente uno dei servizi resi al paese e all’umanità, tra i tanti, del verde Pecoraro Scanio; servizi che gli hanno garantito un posto in prima fila alle europee in quota M5S; ma anche una scelta che ha creato l’humus adatto alla proliferazione di corruzione, parassitismo ed assistenzialismo da una parte e a interventi riparatori dall’altro.

Con questa puntualizzazione l’intervento di Conte assume ben altra caratteristica e ben altra durezza, se non proditorietà, stando almeno allo stato attuale delle indagini e della posizione giudiziaria di Siri.

Giuseppe Conte è diventato Presidente del Consiglio in quota 5Stelle, ma in virtù del contratto di governo e del protagonismo dei due vice ha potuto assumere, almeno in apparenza, la figura di terzo.

Come Schmitt, Freund e pochi altri hanno insegnato, quella del terzo è una posizione fondamentale ed indispensabile nel gioco politico. Può assumere di volta in volta la veste di mediatore, di arbitro e giudice pur essendo il più delle volte parte in causa.

Nella fattispecie Giuseppe Conte ha assunto, nell’ordinaria amministrazione, la funzione di mediatore. Nella ripartizione dei beni disponibili, quindi, l’onore della prima fila spetta ai beneficiari Salvini e Di Maio. In almeno un paio di occasioni, in questi dieci mesi, la figura di Conte si è però elevata al rango di arbitro: la gestione delle trattative con la Commissione Europea sulla Finanziaria e la gestione della conferenza internazionale sulla Libia. Si tratta però ancora di una funzione il cui esercizio è possibile grazie al riconoscimento delle parti in causa. Quando esso manca, lo vediamo nelle partite di calcio, all’arbitro non resta che la fuga e il riparo in luogo sicuro.

Con il caso Siri si è verificato il salto di qualità. Non ostante le esortazioni salomoniche alla calma rivolta ai due contendenti l’avvocato Giuseppe Conte ha assunto la veste di giudice. Di fatto un intervento a gamba tesa col fine di ripristinare e mantenere un equilibrio, un rapporto di forze in via di alterazione.

Il Presidente rischia di cadere nella tentazione ricorrente al quale cede il terzo. Quella di diventare esplicitamente parte in causa del conflitto e di trarne il massimo vantaggio specie nel momento di debolezza di entrambe i contendenti. Per il momento il bersaglio designato è Salvini. Il varco che si è cercato invano di aprire con il caso Diciotti, potrà determinarsi sfruttando la crepa del caso Siri entro la quale ancora una volta potrà agire la magistratura, parti di essa, per delimitare l’agone politico. Il moltiplicarsi delle azioni giudiziarie lasciano intravedere che sarà ancora una volta questa la modalità per tentare di ridisegnare e ripristinare lo scenario politico. Per il resto, ad alimentare i dissidi e il senso di impotenza, ci penserà la risicatezza del bottino disponibile grazie ai vincoli-capestro sottoscritti da tutti in sede comunitaria.

A Giuseppe Conte, però, manca una referenza fondamentale per esercitare compiutamente questa ultima funzione di terzo: la disponibilità delle leve di potere e di una forza propria, giacché la forza è un atout imprescindibile in politica. Lo ha dimostrato nel prosieguo delle due occasioni nelle quali ha potuto emergere: in Libia con il chiaro ridimensionamento della funzione mediatrice del Governo Italiano, in Europa con l’intangibilità dei parametri che regolano le politiche economiche degli stati europei.

L’ambiguità e la opacità di questo suo ruolo deriva dalla discrepanza netta tra la rappresentazione del conflitto e delle divisioni sullo scenario pubblico e le divisioni e i contrasti effettivi che agiscono nell’ombra e dietro le quinte. Lo scenario ci offre la contrapposizione tra Salvini e Dimaio, la Lega e i Cinque stelle.

Il Governo in realtà è composto da tre attori, una delle quali, la componente “tecnica”, rappresenta il vero giudice. Una componente composta in parte da figure autonome, in parte da figure cooptate nel seno dei due partiti, specie dai 5Stelle, per mancanza di una propria classe dirigente. È pervaso, altresì, da due anime, queste sì in fondamentale conflitto tra di esse. Una apertamente europeista, pedissequamente atlantista, ben disposta verso l’umanitarismo e il politicamente corretto; ben salda nel controllo delle leve di potere, ma incapace di offrire una prospettiva accettabile per quanto ingannevole. L’altra con aspirazioni di indipendenza politica, incapace però di tradurle in strategie e tattiche politiche adeguate con il risultato di ricadere continuamente nel trasformismo più becero. Due anime che attraversano entrambe i partiti al governo anche se sotto mentite spoglie di diversa foggia. Quella restauratrice in uno si manifesta con il progressismo dei diritti, nell’altro con quello della persistenza di una classe dirigente più preparata e navigata, addestrata da venti anni di esperienza amministrativa, ma legata ad una visione localistica e regionalista sostanzialmente compatibile con le attuali opzioni europeiste e con la attuale insignificanza nell’agone geopolitico. Una mistura particolarmente deleteria e mistificante per il paese. Il resto, comprese le migrazioni incontrollate di adepti nei partiti, di fatto nel partito, è un corollario per quanto rischioso

In questo contesto e con queste dinamiche la funzione di Giuseppe Conte rischia di apparire inesorabilmente più che di Terzo per “conto terzi”. Una funzione che potrà portare al drastico ridimensionamento, se non al dissolvimento di uno, dell’ultimo arrivato quindi tra i partiti e al pieno rientro nei ranghi dell’altro. Gli osanna mediatici a Mario Draghi e la posizione di attesa del PD lasciano intendere questi propositi. Tra il dire e il fare, fortunatamente, c’è di mezzo un vecchio ceto politico troppo screditato ed incapace e un contesto geopolitico, compreso il presunto asse franco-tedesco, sempre più mutevole e meno stabile nella stessa Europa. Per ora può essere ancora una opportunità; tra non molto potrà rivelarsi, se procrastinata, una vera e propria iattura e catastrofe per l’intera Europa e soprattutto per l’Italia; senza nemmeno il palliativo del declino languido conosciuto dall’Italia postrinascimentale.

 

i primi sette mesi di governo visti dal professor Antonio Maria Rinaldi

Sono passati ormai sette mesi dal varo del nuovo inatteso Governo. Una esperienza rappresentata perennemente in bilico, in realtà fondato su un equilibrio frutto di continui aggiustamenti ma non per questo sull’orlo perenne di una crisi. Una crisi (di nervi) che per altro sembra investire inesorabilmente il fronte variegato dell’opposizione vittima di un atteggiamento di ripicca e ritorsione tipico di gruppi dirigenti privi di una qualsiasi bussola. Smarrito il proprio vate sull’altra sponda dell’Atlantico, smarriti i principali ventriloqui sul continente, nella fattispecie Macron e Merkel, in piena discrasia tra il loro afflato universalistico e i loro indirizzi politici sempre più gretti e particolaristici, privi di autorevolezza e credibilità, non ostante i generosi sforzi di adulazione di stampa e tv, sembrano vivere una fase di regressione infantile fatta di ripicche e ritorsioni subalterne tipiche dei movimenti contestatari di qualche decennio or sono. Una parodia senza creatività. Il professor Rinaldi ci offre il suo vivace punto di vista su alcuni punti cruciali dell’azione politica. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

LA PEGGIORE DI TUTTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA PEGGIORE DI TUTTE

È implicito (sempre) ed esplicito (molto spesso) che, quando le èlite del centrosinistra italiano si lagnano del governo del cambiamento, sono persuase che il loro modo di governare era il migliore e che il popolo italiano è stato irriconoscente a dar loro il benservito.

In realtà tale convinzione desta stupore, dati i risultati economici più che mediocri della classe dirigente della seconda repubblica, centrodestra compreso (anche se responsabile minore); e il perché lo spieghiamo.

Devo premettere di non essere convinto che la struttura economica determini le sovrastrutture (non sono marxista); e, di conseguenza non ritengo che il progresso o il regresso di una comunità si misuri (solo) in termini economici piuttosto che politici, culturali, morali, tecnici. Ritengo il dato economico non determinante ed esclusivo, ma comunque molto importante, e che abbia quanto meno il vantaggio di potersi esprimere in numeri, meno soggetti a manipolazioni e valutazioni soggettive (se i conti sono fatti onestamente).

Fatta questa premessa possiamo dividere le classi dirigenti, ovvero le èlite, la classe politica, (e anche la formula politica) dall’unità in poi in quattro “fasi”: la monarchia liberale (1861-1911), il regime fascista (1922-1943); la “prima repubblica” (1946-1994); la “seconda repubblica” (1994-2018), e  vedere quanto in ciascun periodo si sia incrementato il PIL individuale, indice privilegiato del benessere.

Orbene nella monarchia liberale l’incremento del PIL pro-capite fu dello 0,6% annuo, più modesto nell’ ‘800, molto più deciso nel periodo giolittiano (1,6% annuo).

Nel periodo fascista l’incremento continuò; anche se fu abbassato dalla depressione del 29-32 (-7,2%) e dalle guerre, soprattutto quella d’Etiopia (-4,3%) il  risultato, fino al 1939 fu di un aumento di circa il 50% rispetto al 1919. Con la seconda guerra mondiale si ridusse di quasi la metà.

L’età d’oro del PIL pro-capite fu quella della “prima repubblica”: l’aumento nel periodo fino al 1973 si attestò sul 5,3% annuo; dal 1973 al 1994 in un più modesto – ma rispettabile – 2.5% annuo.

Nella seconda repubblica la musica purtroppo cambiava: ad un modestissimo aumento dello 0,3% annuo, faceva riscontro un incremento del prelievo fiscale, anche in brevi periodi di PIL pro-capite in picchiata, come nella crisi del 2008-2014 in cui il calo è stato del 12,8%.

Resta il fatto che durante la “Seconda repubblica” i risultati, in termini di benessere, sono stati i peggiori di tutti i periodi politici in cui abbiamo suddiviso la storia dell’Italia unita.

Pertanto, non si capisce perché l’elettorato italiano non avrebbe dovuto concludere che i cattivi risultati non dovessero dipendere (se non totalmente, in buona parte) dalla mediocrità – politica e culturale – della classe dirigente. Semmai desta stupore la pazienza e la mansuetudine di un popolo che sopporta per un quarto di secolo l’inconsistenza di élite gàrrule e autoreferenziali.

Certo queste rispondono: noi siamo stati i più buoni. Abbiamo aiutato banche straniere e italiane, migranti africani e mediorientali, e soprattutto i tax-consommers, ossia la corte dei miracoli che prospera sul bilancio pubblico. Bilancio che Giustino Fortunato, oltre un secolo fa, definiva “la lista civile della borghesia parassitaria”, e che tale è – in larga parte – rimasto.

Buonismo, angelisme, legalitarismo sono le derivazioni odierne che servono ad occultare i risultati della classe dirigente in via di detronizzazione (il vertice – in gran parte – già licenziato, l’aiutantato no), sotto il profilo economico la peggiore, sia nel tempo che nello spazio, tenuto conto che nello stesso periodo 1994-2018 i risultati economici dell’Italia sono stati i peggiori sia dell’UE che dell’eurozona.

Onde spiegare ad un italiano indigente, a un “esodato”, ad un creditore della P.A. (e così via) che i sacrifici sopportati sono stati disposti per bontà d’animo verso migranti ecc. ecc., è assai difficile perché non si giudica sul criterio gnoseologico vero/falso o con quello etico (già più “vicino”) buono/cattivo ed è quindi irrilevante (o poco rilevante). Perché funzione della politica è proteggere la comunità e il di essa benessere e così gli interessi (pubblici) di questa e dei cittadini, come sostenuto da secoli di pensiero politico realista, da Machiavelli e Hobbes a Meinecke e Schmitt, passando per Richelieu e Federico il Grande (tra i tanti).

Fare della politica una litania di buone intenzioni è funzionale soprattutto ad individuare l’avversario in colui che non manifesta altrettanta devozione; al momento, soprattutto Salvini, che “devoto” non è ed è soddisfatto di non esserlo: ma, piuttosto, ricorda ogni giorno di difendere gli interessi degli italiani.

Speriamo che lui e Di Maio li perseguano con la stessa coerenza ed efficacia di altri governi europei, non di quelli italiani che li hanno preceduti.

Teodoro Kltsche de la Grange

PASTICCIO COSMICO-STORICO, di Teodoro Klitsche de la Grange

PASTICCIO COSMICO-STORICO

Se accadrà, come Di Maio e Salvini prevedono, che alle prossime elezioni europee gli equilibri politici saranno ribaltati, soprattutto per la prevedibile, drastica riduzione dei socialisti e per l’aumento – altrettanto notevole – dei populisti il contributo decisivo a tale risultato sarà dato dagli italiani. E ciò non solo perché i partiti sovran-popul-identitari, si attestano ormai, a seguire i sondaggi post 4 marzo, a circa due terzi dell’elettorato complessivo, nè perché il nostro è l’unico paese euroccidentale ad aver un governo populista “puro”, ma perché la crescita di tali partiti sovran-popul-identitari è stata (inconsuetamente) veloce e tumultuosa.

Al contrario di altri paesi (come la Francia e l’Austria) dove l’incremento fino alle ragguardevoli – ma non maggioritarie – percentuali elettorali si è “spalmato” in un ventennio (e anche qualche anno in più), il nostro si è realizzato in pochi anni; ad essere più precisi dai sette (al minimo) ai 10 (al massimo).

In effetti, come ci è già capitato di notare, nel 2008 i 5 Stelle, e la Lega “sovranista” (cioè salviniana) non erano presenti in Parlamento; lo era la Lega bossiano-secessionista, peraltro in percentuali ridotte.

C’è da interrogarsi quindi sulle cause di un incremento così rapido e travolgente, e su quello che sia successo in quei 7-10 anni per convincere gli italiani a un rapido cambio di regime politico – o più modestamente – di sistema partitico, con il “pensionamento” della vecchia coppia centrosinistra-centrodestra.

Non è sufficiente al riguardo dare la risposta che mi è capitata di sostenere più volte: che la vecchia scriminante del politico, ossia borghese/proletario è finita da quasi trent’anni (col crollo del comunismo) e ne è in corso la sostituzione con la nuova, cioè identità/globalizzazione, perché questo non da conto della differenza italiana, essendo comune a tutti i popoli dell’ “occidente”.

Neppure l’obiezione più calzante, ossia che dal 2008 è iniziata la crisi, spiega la differenza italiana per la stessa ragione: la crisi è comune a tutta la parte più sviluppata del pianeta (che include l’occidente). Anche se in Italia ha morso (forse) più che altrove.

La spiegazione (principale) della differenza è un’altra, o meglio altre. La prima è che l’Italia stagna da venticinque anni – esattamente la durata della seconda repubblica: è l’ultima per tasso di crescita sia nell’area euro che nell’area UE. Non è solo la crisi ad averci ridotto così, ma quel che l’ha preceduta.

La seconda è l’inconsistenza e la modestia del governo Monti, non riparata ma, in larga parte condivisa da quelli che gli sono succeduti, peraltro con un centrodestra che, anche quando collocato all’opposizione, non riusciva a distinguersi adeguatamente dai governi. Anche nei tempi il grande balzo dei 5 Stelle (dallo 0 al 25%) coincide con le elezioni del 2013 il cui risultato consisteva essenzialmente in un giudizio negativo sul governo “tecnico” e su chi l’aveva sostenuto (in Parlamento) e propiziato (anche da fuori).

A tale proposito sul “golpe” del 2011 c’è ormai una vasta letteratura; anche se discordante sul punto di chi fossero i mandanti della detronizzazione di Berlusconi  e dell’intronizzazione del governo tecnico.

Chi, al riguardo sostiene l’insieme Francia-Germania-Ue, altri i poteri forti – finanziari soprattutto – non solo europei e così via. Probabilmente tutte le spiegazioni hanno qualcosa di vero (nel senso di essere concause); interessa a questo punto vedere se, almeno per la classe dirigente europea e nazionale il tutto non si risolva e si risolverà in un caso esemplare di eterogenesi dei fini.

Con tale espressione è stato chiamato il fatto che molto spesso gli effetti delle azioni degli individui e delle comunità umane non sono quelli che gli agenti si propongono, ma altri, diversi e spesso opposti. Osservazione già contenuta in S. Agostino e ripetuta, modificata, integrata e secolarizzata da tanti, da Vico a Wundt, da Hegel a Max Weber e Freund. In particolare Hegel scriveva che «dalle azioni degli uomini risulti qualcosa d’altro, in generale, da ciò che essi si propongono e … immediatamente sanno e vogliono …(essi) recano in atto quel che a loro interessa, , ma da ciò vien portato alla luce anche altro, che vi è pure implicito, ma che non è nella loro coscienza e intenzione». A seguire tale concezione  – e quella, prossima, dell’ “astuzia della ragione” – causa, non esclusiva, ma principale della débacle annunciata potrebbe essere il golpe del 2011 con la catena di eventi che ha provocato.

La considerazione su esposta induce ad una riflessione “post-hegeliana”. Scrive Hegel che gli individui cosmico-storici sono coloro che eseguono nella storia il “piano” dello spirito del mondo (Weltgeist).

In questo caso ai vari complottisti del 2011 andrebbe conferita la medaglia al merito del Weltgeist, per aver favorito l’emergere della nuova fase storico-politica, anche se (speriamo) a spese delle loro fortune personali.

Ho però seri dubbi che quanto scrive il filosofo sia da condividere sic et simpliciter. A mio avviso i governanti vanno più utilmente divisi in due categorie: quelli che hanno la capacità di vedere a lungo termine (di pre-vedere) e coloro che riescono a percepire solo nei tempi brevi. I primi costruiscono gli Stati e le loro principali istituzioni; i secondi le coalizioni di potere (partiti compresi) destinate a durare qualche anno. Nella classe dirigente italiana ed europea vedo tanti che appartengono alla seconda, nessuno alla prima. Al contrario De Gaulle e Deng-Tsiao-Ping facevano parte, e la Costituzione della V Repubblica è sopravvissuta mezzo secolo al suo fondatore, come il nuovo corso del PC cinese voluto da Deng ha salvaguardato l’unità della Cina e ne ha promosso la potenza.

Sarà, ma ho la netta impressione che le élite nazionali ed europee, in lista di sbarco, potranno essere ricordate nella storia come quelle che affossarono inconsapevolmente la costruzione dei vecchi europeisti, da Adenauer a Martino.

In questo, ma solo in questo esecutori di un disegno (forse) superiore. Magra consolazione.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

CONSIGLIO AI ROSICONI, di Teodoro Klitsche de la Grange

CONSIGLIO AI ROSICONI

Prima del 4 marzo l’establishment politico e culturale di sinistra stigmatizzava l’ “incultura, l’inesperienza e la rozzezza” dei populisti, in specie dei grillini.

Il tormentone è aumentato a dismisura con la vittoria elettorale e il varo del governo pentaleghista; anche la carriera accademica di un mite premier come Conte è stata passata al setaccio e così sono stati svelati alcuni peccatucci (veniali), ricorrenti in ogni percorso accademico. Allo stesso è stata poi addebitata l’inesperienza, considerato che, praticamente era rimasto sempre fuori dai giri che contano; e probabilmente questa è stata la principale ragione che ha indotto a nominarlo. Una compromissione plurilustre col potere, che è a giudizio dell’establishment capalbino, un titolo comporta, cosa di cui i suddetti non si rendono conto, anche quella con lo sfascio della seconda repubblica: pessima presentazione per l’elettorato pentaleghista. Tant’è. I rosiconi hanno forse rimosso, ma più probabilmente rimpiangono, i bei tempi in cui trovavano comode e confortevoli nicchie nei bilanci pubblici. E per gente che spesso ha fatto dell’interesse individuale (proprio) la regola dell’agire universale, il venir meno di queste, ovviamente addolora.

Così il movimento cinque stelle appare, nell’immaginario di Capalbio – ed in parte lo è – come un’armata Brancaleone: un insieme disordinato di emarginati dal potere e dalla cultura, rozzi, ignoranti (e opportunisti), guidati da un comico.Inadatti a governare, come a discutere e brillare nei salotti.

Come detto qualcosa di vero c’è, ma occorre non trascurare come, in primo luogo, il livello della classe dirigente negli ultimi trent’anni ha avuto uno scadimento geometrico (nel senso della radice quadrata): un Di Maio steward, è stato preceduto da una Fedeli, ministro dell’istruzione, la quale in comune con Benedetto Croce, aveva di non essere laureata. Purtroppo per lei, i connotati comuni col filosofo si riducevano a quello. Quanto poi abbia contribuito al declino di qualità dei parlamentari, il tentativo ricorrente (e “vincente”) delle diverse leggi elettorali, di farli nominare dai vertici dei partiti più che scegliere dalla base elettorale è sicuramente influente e da valutare nel senso che non sempre è il popolo a sbagliare.

Ma quel che più importa è notare come sia in politica che in quel mezzo della politica che è la guerra, è la qualità del nemico a determinare quella del combattente.

Facciamo un esempio.

Pareto ironizzava su Napoleone III°, perché incerto e (addirittura) ingenuo, tuttavia all’immagine dell’Imperatore (per i postumi) ha contribuito d’esser stato sconfitto – ed aver perso il trono – da un genio della politica come Bismarck e da una perfetta macchina da guerra come l’esercito prussiano. Che giudizio avrebbero formulato i posteri se a sconfiggerlo e detronizzarlo fosse stato un politico di mezza tacca alla guida dell’esercito del Lussemburgo? Anche a Francesco Giuseppe che perse quasi tutti i domini italiani dell’Impero in pochi anni, contribuì non poco di aver avuto come avversario un altro genio come Cavour: e morì circondato dall’affetto e dalla considerazione dei sudditi. Lo stesso avviene per la guerra: il nome di Scipione è noto a tutti perché sconfisse Annibale – il più grande condottiero dell’antichità – a Zama; nessun ricorda il nome dei consoli (Salinatore e Nerone) che qualche anno prima avevano vinto Asdrubale (il fratello meno dotato di Annibale) al Metauro, battaglia non meno decisiva di Zama. Sconosciuti come i consoli suddetti sono i nomi di quei generali delle potenze europee che nel XIX secolo conquistarono tutta l’Africa, debellando le orde tribali autoctone.

Pertanto la spocchia della sinistra conferma, non volendo, due circostanze.

La prima che se l’armata Brancaleone dei grillini  (oltretutto poco “aiutata” e dotata di mezzi) ha vinto la “gioiosa macchina da guerra”, ciò significa che gli italiani ne avevano così piene le scatole di questa da preferire un insieme di ….sfigati a tanto brillante accademia. Chi è ridotto male spera nei salvatori meno probabili, che preferisce a coloro in gran parte responsabili di averlo rovinato.

La seconda che se tale armata Brancaleone, povera di mezzi e appoggi, li ha ridotti così a mal partito vuol dire che non erano poi così bravi, intelligenti ed efficienti. Non sono Bismarck né Scipioni, ma dei Dumford o Baratieri (sconfitti il primo dagli Zulu, il secondo dagli abissini). E per la loro immagine sarebbe bene ne tenessero conto.

Teodoro Klitsche de la Grange

Giuseppe Conte, Avvocato degli Italiani? Badi a Vincere a Genova_ di Piero Laporta

tratto da http://www.pierolaporta.it/giuseppe-conte-avvocato-degli-italiani-badi-a-vincere-a-genova/

Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio stanno compiendo errori strategici gravi, tuttavia ancora rimediabili, a patto di dare un’immediata sterzata al modo di fronteggiare il crollo del ponte di Genova.

La politica e il potere si reggono su due pilastri: le risorse e il consenso. Quest’ultimo è più fragile del ponte genovese e, come si sa,  mutevole di suo. Esiste tuttavia un elemento che – ben più d’ogni altro – determina repentini mutamenti del consenso: il sangue, la morte di innocenti. Tutte le rivoluzioni cominciarono a causa di guerre con spargimento di sangue innocente, per stragi  di popolazioni inermi o altre analoghe sconcezze.

Da mezzogiorno del 14 agosto, quando crollò il ponte Benetton a Genova, il sangue di 43 innocenti, schiacciati dal calcestruzzo malato è stato come un cannoneggiamento di gente inerme: chiunque sia in buona fede s’è reso conto che negli ultimi venti anni sono state svendute non solo le ricchezze dell’Italia ma anche le vite dei cittadini. Quel crollo è tuttora in grado di scatenare uno tsunami da travolgere e distruggere definitivamente, cancellarli dalla scena politica, il Partito Democratico e Forza Italia, primi responsabili dello sfascio e del crollo dell’Italia. Ebbene, questo governo è stato deviato, frenato prima che lo tsunami si scatenasse.

Mercoledì 15 agosto – il giorno successivo alla catastrofe genovese – 170 migranti erano nelle acque maltesi. Alle 3.40 della notte qualcuno – senza consultare il governo – ha dato uno strano ordine a due unità della Guardia Costiera italiana, affinché intervenisse a 17 miglia nautiche da Lampedusa per caricare i migranti. Circa cinque ore dopo, alle 8.20, è intervenuta nave Diciotti che ha imbarcato 177 migranti, all’insaputa del governo.

Se le due motovedette si fossero dirette – come è stato sempre fatto in casi analoghi – verso Lampedusa in condizioni di sicurezza, si poteva accendere il solito contenzioso con Malta e attendere la composizione da parte dell’Unione Europea. È arrivato invece l’ordine di trasferire i migranti sulla Diciotti e questa, portandosi a Catania, si è messa sotto l’occhio delle telecamere del mondo. È giunta a Catania, senza entrare nei porti di Pozzallo e Augusta, sui quali vige la competenza delle procure di Ragusa e Siracusa, note in passato per posizioni tolleranti verso l’immigrazione. Chi ha consigliato di andare a Catania sapeva che Luigi Patronaggio, procuratore capo di Agrigento, aveva pianificato di recarsi nel capoluogo etneo, per un’ispezione a bordo della Diciotti? All’ispezione è conseguita l’indagine per sequestro di persona, sostenibile proprio dalla procura di Agrigento.

In altri termini, dal giorno successivo al disastro di Genova, le prime pagine, invece di concentrarsi sui 43 morti ammazzati dal ponte crollato, sono state condivise con la Diciotti e Patronaggio. A  partire dal 18 agosto, dopo quattro giorni dal crollo, sfumate le cronache dei funerali, la Diciotti ha cancellato il crollo di Genova.

Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, questo è dilettantismo grottesco, neppure scusabile con l’inesperienza di governo.

Si dirà che il governo non vuole esporsi ad accuse di sciacallaggio. Le accuse di sciacallaggio sono arrivate comunque, intanto però il governo – mettendo in ombra il disastro genovese, a vantaggio della Diciotti – trascura l’interesse dello Stato, trascura l’interesse delle 700 famiglie di sfollati, trascura l’interesse delle famiglie dei 43 morti ammazzati.

Il governo, smetta di autocompiacersi per gli applausi ai funerali. Il governo smetta di lamentarsi per l’indagine a carico d’un suo ministro, mentre nessun indagato risulta dopo il crollo del ponte. Vogliamo scoprire oggi che certa magistratura fa politica? Questo non toglie che si debba agire con la risolutezza imposta dalla situazione e consentita dal potere governativo e politico, più vasto di quanto sia stato dispiegato sinora. Se Patronaggio prevale è solo responsabilità dell’autorità politica, in quanto controparte inerte. Il governo smetta di porre in cima alla sua agenda vicende artefatte come quelle della Diciotti; vicende artefatte a dodici ore dal crollo, facendosi prendere per i fondelli in modo elementare. Il governo proceda piuttosto e senza indugio a nominare un collegio di difensori, costituendosi parte civile e invitando ad associarsi come parti civili le famiglie degli sfollati, quelle dei morti, il comune di Genova e tutti i cittadini e le imprese in qualche modo coinvolti nel disastro.

Solo un gruppo di pressione siffatto può ottenere il risultato di controllare l’operato della magistratura genovese, risalendo alle responsabilità, per esigere risarcimenti non solo da Autostrade, ma da tutti i ministri delle infrastrutture, dai capi di governo e dalle burocrazie corresponsabili del disastro.

La concessione ad Autostrade è uno degli aspetti del problema, ma non è “il problema” nella fase di indagine sulle responsabilità. Alla magistratura genovese l’onere di stabilire se il disastro sia colposo o doloso. Il disastro tuttavia rimane: è un dato di fatto incancellabile, qualunque cosa dicano e facciano i ministri delle Infrastrutture da Antonio Di Pietro a Graziano Del Rio. Il governo ha il dovere verso se stesso, verso lo Stato e verso tutte le vittime, sopravvissute e non, di fare tutto il possibile perché, sotto l’occhio d’un collegio di esperti difensori, il diritto e la giustizia coincidano e siano salvaguardati. Di certo tale salvaguardia non ci sarà se si rimane inerti mentre si fanno affiorare documenti come la lettera – pubblicata da L’Espresso e sequestrata(!) dalla procura – datata 28 febbraio 2018, con la quale la Autostrade avvertiva il ministero delle Infrastrutture e il Provveditorato alle opere pubbliche di Genova sullo stato critico del viadotto. Deve essere chiaro che tale documento non alleggerisce la posizione di alcuna delle parti in causa, tutt’altro.

Il consenso, come s’è detto, può essere cancellato repentinamente dal sangue, dalla morte di innocenti. Questo può accadere, anzi accadrà senz’altro, per quanti abdichino al dovere di difendere efficacemente quel sangue e quegli innocenti. L’unica vittoria efficace sarà l’individuazione dei responsabili e il risarcimento a loro carico di tutte le vittime del viadotto di Genova. Altro che profughi, Diciotti e Patronaggio. Se ne ricordi chi entrò a palazzo Chigi autonominandosi “avvocato degli italiani”. www.pierolaporta.it

L’ANNO CHE VERRA’ E’ UN DEJA VU, di Antonio de Martini

Qui sotto un frizzante testo di Antonio de Martini. Alcune domande. Il quadro prospettato è del tutto verosimile; la trama tessuta dalla vecchia classe dirigente, sconfitta elettoralmente, ma predominante negli apparati istituzionali è adeguata al nuovo contesto politico?_Giuseppe Germinario

L’ANNO CHE VERRA’ E’ UN DEJA VU

Ispirato dalla atmosfera campagnola in cui vivo, mi sono chiesto quali siano o saranno i frutti di questo strambo governo.

I soli risultati certi sono la distruzione sicura di ogni ipotesi di un governo moderato di centro destra in grado di vincere le elezion e la contemporanea nascita di un forte partito di destra estrema.

In questo disegno c’è un elemento di bene e uno di male. Il bene è la distruzione di Berlusconi come personaggio politico e di conseguenza di “Forza Italia” che tornerà ad essere uno slogan sportivo.

Il male è che i governi moderati orientati a una politica di destra moderata saranno impossibili per lungo tempo. A destra si sta sostanziando l’ipotesi di un robusto partito di destra estrema cui il buon senso degli italiani non affiderà mai le redini del governo. A sinistra si sta predicando una ” strategia dell’attenzione” verso i 5 stelle.

Si tratta , a mio avviso, di un disegno preordinato cui sono tutti attivamente coinvolti, interessati e consapevoli.

I SEGNALI

a) Il movimento 5 stelle e la Lega stanno lasciando tranquillo il PD che sta riprendendo alla mano i suoi iscritti e simpatizzanti, così come la lamentela opposta che ” l’opposizione non esiste” significa che il PD – che sappiamo tutti esistere eccome- non attacca il governo, ma il solo Salvini, fortificando così la sua immagine di estremista di destra. ( si noti che nella Lega giovanile aveva creato il “gruppo comunista”). Da destra, al massimo si attacca il LEU, un piccolo lebrosario creato in laboratorio. La sinistra ha appaltato l’opposizione al venerando Cassese che mostra un attivismo notevole per l’età.

b) Di Maio, sta compiendo una serie di gesti ” di sinistra” come l’essersi scusato com Mattarella, aver privilegiato ” i lavoratori”, e aver reintrodotto il discorso “nazionalizzazioni”, aver scavalcato i sindacati sulla vicenda ILVA ecc. Tutti temi che ” suscitano l’attenzione della sinistra”. Si stanno creando le premesse di un connubio tra i 5 stelle e il PD.?

c) nessuno si è mai chiesto come mai la Lega si sia trasformata da movimento secessionista in movimento nazionalista senza nemmeno un dibattito sulla Padania o altro fogliaccio e senza un commento nemmeno dei giubilati interni.

d) nessuno si è mai posto il quesito di come mai Lusetti ( tesoriere della Margherita) si è appropriato di 50 milioni e ha transato per una ventina , mentre la magistratura ha posto una ipoteca di 50 milioni sulla Lega intera. Gli sceneggiatori non si fidano e hanno trasformato un reato individuale in reato di partito a garanzia del rispetto degli accordi?

Considererei io stesso questo post una farneticazione dietrologica se non avessi visto coi miei occhi la lettera , firmata dal generale de Lorenzo attestante che , per ordine dell’on Taviani, ministro dell’interno, aveva consegnato 250 milioni di lire all’on Almirante per consentire a lui di fare la parte dell’ “uomo nero” e agli altri di unirsi contro il “pericolo fascista”.

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