L’OLOGRAMMA, LA CONTROFIGURA, L’UOMO IN CARNE ED OSSA_ di Giuseppe Germinario

Guardate i tre video qui sotto. La costruzione già dice tutto, per lo meno tantissimo.

  • La Von der Leyen trasmette l’assoluta neutralità, la totale indifferenza. Vuole convincerci che “siamo tutti italiani” compresa lei stessa. Si dimentica di dire la cosa più importante per un Presidente della Commissione Europea: “Siamo tutti Europei”. Evidentemente non ci crede nemmeno lei. Non conta niente. Il nulla del nulla. Sono altri a decidere.

  • Christine Lagarde pare parlare sotto dettatura senza capirci un granchè. Ha dovuto smentirsi all’istante, almeno a parole. Pur di realizzarsi si è dichiarata “lo zerbino di Sarkozy”. Macron, che pure è di bocca buona ma è ipocondriaco, l’ha eletta a tappetino ma evita attentamente di pulircisi i piedi. La sua figura di riferimento? Freddy Krueger

  • Il Primo Ministro Edi Rama esprime con convinzione e realismo la propria concreta solidarietà. Un uomo in carne e ossa, navigato quanto basta e forse più.

Campo di battaglia: Draghi, Consiglio Europeo, Coronavirus. Cronache del crollo, di Alessandro Visalli

Il Governo italiano ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio Europeo che si riunisce oggi, sottoscritta da Emmanuel Macron (Francia), Pedro Sanchez (Spagna), Sophie Wilmes (Belgio), Kyriakos Mitsotakis (Grecia), Leo Varadkar (Irlanda), Xavier Bettel (Lussemburgo), Antonio Costa (Portogallo), Janez Jansa (Slovenia).

Si parla di quasi la metà degli stati dell’eurozona (9 su 19), per un totale di 212 milioni di abitanti (64% dell’area) e 7.800 mila miliardi di Pil (il 57% di quello dell’eurozona).

E’ chiaro che se andassero fino in fondo, nel Consiglio Europeo di oggi (che include tutti i membri dell’Unione Europea, e quindi 442 milioni di abitanti e 17.000 miliardi di Pil, per cui in questo consesso si parla del 48% degli abitanti e 45% del Pil), sarebbe una forza imponente.

Rispetto all’attuale stato dell’epidemia i paesi firmatari sono “titolari” del 72% dei casi in Europa e del 77% dei casi nella sola eurozona. In rapporto agli abitanti il paese più colpito è il piccolo Lussemburgo (che ha 2,67 casi per 1000 abitanti), seguito dall’Italia (1,24), Spagna (1,04), Belgio (0,45), Irlanda (0,34), Francia (0,33), Portogallo (0,3), Slovenia (0,26), Grecia (0,07). Tra i paesi che non hanno firmato spicca la Germania, con 35.700 casi (0,44) e l’Olanda, con 6.400 (0,38), l’Austria con 5.500 (0,64), la Finlandia, con 900 (0,16), la Svezia, 2.500 (0,25), la Polonia, con 1.000 (0,03), Romania, 900 (0,05).

Jeremy Mann

 

Vediamo la lettera:

La lettera al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, del Presidente Conte e dei leader di Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna.

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Caro Presidente, caro Charles

la pandemia del Coronavirus è uno shock senza precedenti e richiede misure eccezionali per contenere la diffusione del contagio all’interno dei confini nazionali e tra Paesi, per rafforzare i nostri sistemi sanitari, per salvaguardare la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali e, non ultimo, per limitare gli effetti negativi che lo shock produce sulle economie europee.

Tutti i Paesi europei hanno adottato o stanno adottando misure per contenere la diffusione del virus. Il loro successo dipenderà dalla sincronizzazione, dall’estensione e dal coordinamento con cui i vari Governi attueranno le misure sanitarie di contenimento.

Abbiamo bisogno di allineare le prassi adottate in tutta Europa, basandoci su esperienze pregresse di successo, sulle analisi degli esperti, sul complessivo scambio di informazioni. È necessario ora, nella fase più acuta dell’epidemia. Il coordinamento che tu hai avviato, con Ursula von der Leyen, nelle video-conferenze tra i leader è d’aiuto in tal senso.

Sarà necessario anche in futuro, quando potremo ridurre gradualmente le severe misure adottate oggi, evitando sia un ritorno eccessivamente rapido alla normalità sia il contagio di ritorno da altri Paesi. Dobbiamo chiedere alla Commissione europea di elaborare linee guida condivise, una base comune per la raccolta e la condivisione di informazioni mediche ed epidemiologiche, e una strategia per affrontare nel prossimo futuro lo sviluppo non sincronizzato della pandemia.

Mentre attuiamo misure socio-economiche senza precedenti, che impongono un rallentamento dell’attività economica mai sperimentato prima, abbiamo comunque bisogno di garantire la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali, e la libera circolazione di dispositivi medici vitali all’interno dell’UE. Preservare il funzionamento del mercato unico è fondamentale per fornire a tutti i cittadini europei la migliore assistenza possibile e la più ampia garanzia che non ci saranno carenze di alcun tipo.

Siamo pertanto impegnati a tenere i nostri confini interni aperti al necessario scambio di beni, di informazioni e agli spostamenti essenziali dei nostri cittadini, in particolare quelli dei lavoratori transfrontalieri. Abbiamo anche bisogno di assicurare che le principali catene di valore possano funzionare appieno all’interno dei confini dell’UE e che nessuna produzione strategica sia preda di acquisizioni ostili in questa fase di difficoltà economica. I nostri sforzi saranno prioritariamente indirizzati a garantire la produzione e la distribuzione delle attrezzature mediche e dei dispositivi di protezione fondamentali, per renderli disponibili, a prezzi accessibili e in maniera tempestiva a chi ne ha maggiore necessità.

Le misure straordinarie che stiamo adottando per contenere il virus hanno ricadute negative sulle nostre economie nel breve termine. Abbiamo pertanto bisogno di intraprendere azioni straordinarie che limitino i danni economici e ci preparino a compiere i passi successivi. Questa crisi globale richiede una risposta coordinata a livello europeo. La BCE ha annunciato lo scorso giovedì 19 marzo una serie di misure senza precedenti che, unitamente alle decisioni prese la settimana prima, sosterranno l’Euro e argineranno le tensioni finanziarie.

La Commissione europea ha anche annunciato un’ampia serie di azioni per assicurare che le misure fiscali che gli Stati membri devono adottare non siano ostacolate dalle regole del Patto di Stabilità e Crescita e dalla normativa sugli aiuti di Stato. Inoltre, la Commissione e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) hanno annunciato un pacchetto di politiche che consentiranno agli Stati membri di utilizzare tutte le risorse disponibili del bilancio dell’UE e di beneficiare degli strumenti della BEI per combattere l’epidemia e le sue conseguenze.

Gli Stati membri dovranno fare la loro parte e garantire che il minor numero possibile di persone perda il proprio lavoro a causa della temporanea chiusura di interi settori dell’economia, che il minor numero di imprese fallisca, che la liquidità continui a giungere all’economia e che le banche continuino a concedere prestiti nonostante i ritardi nei pagamenti e l’aumento della rischiosità. Tutto questo richiede risorse senza precedenti e un approccio regolamentare che protegga il lavoro e la stabilità finanziaria.

Gli strumenti di politica monetaria della BCE dovranno pertanto essere affiancati da decisioni di politica fiscale di analoga audacia, come quelle che abbiamo iniziato ad assumere, col sostegno di messaggi chiari e risoluti da parte nostra, come leader nel Consiglio Europeo.

Dobbiamo riconoscere la gravità della situazione e la necessità di una ulteriore reazione per rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle migliori condizioni per una rapida ripartenza domani. Questo richiede l’attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell’Eurozona.

In particolare, dobbiamo lavorare su uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia.

Vi sono valide ragioni per sostenere tale strumento comune, poiché stiamo tutti affrontando uno shock simmetrico esogeno, di cui non è responsabile alcun Paese, ma le cui conseguenze negative gravano su tutti. E dobbiamo rendere conto collettivamente di una risposta europea efficace ed unita. Questo strumento di debito comune dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro.

I fondi raccolti saranno destinati a finanziare, in tutti gli Stati Membri, i necessari investimenti nei sistemi sanitari e le politiche temporanee volte a proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale.

Con lo stesso spirito di efficienza e solidarietà, potremo esplorare altri strumenti all’interno del bilancio UE, come un fondo specifico per spese legate alla lotta al Coronavirus, almeno per gli anni 2020 e 2021, al di là di quelli già annunciati dalla Commissione.

Dando un chiaro messaggio di voler affrontare tutti assieme questo shock unico, rafforzeremmo l’Unione Economica e Monetaria e, soprattutto, invieremmo un fortissimo segnale ai nostri cittadini circa la cooperazione determinata e risoluta con la quale l’Unione Europea è impegnata a fornire una risposta efficace ed unitaria.

Abbiamo inoltre bisogno di preparare assieme “il giorno dopo” e riflettere sul modo in cui organizziamo le nostre economie attraverso i nostri confini, le catene di valore globale, i settori strategici, i sistemi sanitari, gli investimenti comuni e i progetti europei.

Se vogliamo che l’Europa di domani sia all’altezza delle sue storiche aspirazioni, dobbiamo agire oggi e preparare il nostro futuro comune. Apriamo pertanto il dibattito ora e andiamo avanti, senza esitazione.

Firmato da

Sophie Wilmès, Primo Ministro del Belgio

Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese 

Kyriakos Mitsotakis, Primo Ministro of Greece

Leo Varadkar, Primo Ministro of Ireland

Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano

Xavier Bettel, Primo Ministro del Lussemburgo

António Costa, Primo Ministro del Portogallo

Janez Janša , Primo Ministro della Slovenia


Pedro Sánchez, Primo Ministro della Spagna

Un breve commento.

Cosa si sta dicendo qui? Che la crisi da coronavirus in corso è esterna e non è colpa di nessuno, che per affrontarla si interromperanno gli scambi e disgregheranno le “catene del valore” (ovvero la connessione di fornitori e clienti di ogni singola impresa), che nello sforzo di canalizzare le risorse contro l’aggressione virale ci sono aziende strategiche e non, che le prime vanno tenute in attività e protette dalle possibili aggressioni ostili, che i danni per i cittadini e l’economia vanno compensati da spesa pubblica, che per farla serve che ci sia un’emissione di titoli di debito comune, garantita in solido.

Nel luogo della lettera in cui si arriva al punto, e si chiede uno strumento di debito comune, alle medesime condizioni e per tutti, la frase successiva risponde all’obiezione luterana sempre ripetuta, che il debito è colpa e

Qui il caso è diverso, nessun paese è responsabile.

Quindi la lettera accende una piccola luce sul futuro e specifica che da ora bisognerà “organizzare le economie”, ovvero le catene del valore globali, i settori strategici, i sistemi sanitari e gli investimenti comuni.

Dunque nel campo di battaglia si è schierato un esercito, ed ha dichiarato le sue intenzioni.

Al contempo è sceso in campo un generale, Mario Draghi sul Financial Times, ha scritto un articolo di grande decisione e rilevanza.

Jeremy Mann

Leggiamolo:

“La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura della propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere supportati.  Ma queste azioni comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano una perdita di vite umane, molti altri affrontano una perdita di sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Le aziende affrontano una perdita di reddito nell’intera economia. Molti stanno già ridimensionando e licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile.  La sfida che affrontiamo è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una pletora di valori predefiniti che lasciano danni irreversibili. È già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare il divario – deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.  È il ruolo corretto dello stato utilizzare il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati l’hanno sempre fatto di fronte alle emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più rilevante – sono state finanziate da aumenti del debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in Italia e Germania tra il 6 e il 15% delle spese di guerra in termini reali fu finanziato dalle tasse. In Austria-Ungheria, Russia e Francia, nessuno dei costi continui della guerra furono pagati con le tasse. Ovunque, la base imponibile è stata erosa dai danni di guerra e dalla coscrizione. Oggi è a causa dell’angoscia umana della pandemia e della chiusura.  La domanda chiave non è se ma come lo Stato dovrebbe mettere a frutto il proprio bilancio. La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita del lavoro. In caso contrario, emergeremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità permanentemente inferiori, poiché le famiglie e le aziende lottano per riparare i propri bilanci e ricostruire le attività nette. I sussidi per l’occupazione e la disoccupazione e il rinvio delle tasse sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità. Ciò è essenziale per tutte le imprese per coprire le proprie spese operative durante la crisi, siano esse grandi aziende o ancora di più piccole e medie imprese e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto misure di benvenuto per incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà. Ma è necessario un approccio più completo.  Mentre diversi paesi europei hanno diverse strutture finanziarie e industriali, l’unico modo efficace per entrare immediatamente in ogni falla dell’economia è di mobilitare completamente i loro interi sistemi finanziari: mercati obbligazionari, principalmente per grandi società, sistemi bancari e in alcuni paesi anche le poste sistema per tutti gli altri. E deve essere fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici. Le banche in particolare si estendono in tutta l’economia e possono creare denaro istantaneamente consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito.  Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo modo stanno diventando un veicolo per le politiche pubbliche, il capitale necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie statali su tutti gli ulteriori scoperti o prestiti. Né la regolamentazione né le regole di garanzia dovrebbero ostacolare la creazione di tutto lo spazio necessario nei bilanci bancari a tale scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito della società che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente dal costo del finanziamento del governo che le emette.  Le aziende, tuttavia, non attingeranno al supporto di liquidità semplicemente perché il credito è economico. In alcuni casi, ad esempio le aziende con un portafoglio ordini, le loro perdite possono essere recuperabili e quindi ripagheranno il debito. In altri settori, probabilmente non sarà così. Tali società potrebbero essere ancora in grado di assorbire questa crisi per un breve periodo di tempo e aumentare il debito per mantenere il proprio personale al lavoro. Ma le loro perdite accumulate rischiano di compromettere la loro capacità di investire in seguito. E, se l’epidemia di virus e i blocchi associati dovessero durare, potrebbero realisticamente rimanere in attività solo se il debito raccolto per mantenere le persone impiegate in quel periodo fosse infine cancellato.  O i governi compensano i mutuatari per le loro spese, o quei mutuatari falliranno e la garanzia sarà resa valida dal governo. Se il rischio morale può essere contenuto, il primo è migliore per l’economia. Il secondo percorso sarà probabilmente meno costoso per il budget. Entrambi i casi porteranno i governi ad assorbire una grande parte della perdita di reddito causata dalla chiusura, se si vogliono proteggere posti di lavoro e capacità.  I livelli del debito pubblico saranno aumentati. Ma l’alternativa – una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e infine per il credito pubblico. Dobbiamo anche ricordare che, visti i livelli attuali e probabilmente futuri dei tassi di interesse, un tale aumento del debito pubblico non aumenterà i suoi costi di servizio.  Per alcuni aspetti, l’Europa è ben equipaggiata per affrontare questo straordinario shock. Ha una struttura finanziaria granulare in grado di incanalare i fondi verso ogni parte dell’economia che ne ha bisogno. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta politica rapida. La velocità è assolutamente essenziale per l’efficacia. Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono. Il costo dell’esitazione può essere irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni ’20 è abbastanza una storia di ammonimento.  La velocità del deterioramento dei bilanci privati ​​- causata da una chiusura economica che è sia inevitabile che desiderabile – deve essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici, mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nella ricerca di evidentemente una causa comune”.

Se i nove governi affermano che non è colpa di nessuno e che bisogna sia sostenere sia ristrutturare le economie europee, ma ragionano in termini di capitali da raccogliere sul mercato a condizioni di mercato, sia pure eguali per tutti, Draghi dice una cosa diversa.

Intanto ricolloca la crisi che nel paludato linguaggio delle segreterie era solo “senza precedenti”, come “tragedia di proporzioni bibliche”. Dichiara il costo economico essere al contempo “enorme ed inevitabile” e la recessione sia “profonda” sia “inevitabile”.

Abbiamo dunque al primo passaggio della sua stringente logica un costo economico “enorme” ed una recessione “profonda” (che potrebbe mutare in “depressione”[1]) entrambe inevitabili.

A ciò che è inevitabile bisogna rispondere inevitabilmente. E qui si diventa perentori, “la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico”.

E perché? La bomba arriva esattamente a questo passaggio. Anni di controinformazione, analisi condotte con il metodo dei saldi settoriali, insistenza sul debito privato e sulla eccessiva valutazione di quello pubblico ottengono improvvisamente piena legittimazione. A decine di servili ripetitori del senso comune economico devono essere scoppiate le orecchie: “la perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare il divario – deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici”.

Ripetiamo:

  • le perdite del settore privato ed i debiti accumulati, devono essere assorbiti dai bilanci pubblici.

E il “moral hazard”? E la “colpa”? E … l’horror vacui qui colpisce anche buona parte della sinistra storica, che ha inconsapevolmente interiorizzato una versione della narrativa ordoliberale, immaginando che lo stato debba essere “austero” perché l’economia sia “sana”.

Cosa accade se, in condizioni date come queste, le perdite anche esse inevitabili (e, come vedremo, senza colpa) del settore privato, cittadini e imprese, sono assorbite nei bilanci pubblici? Che il debito pubblico sale, che sale in modo “permanente”, e che il debito privato viene “cancellato”.

C’è una glossa di teoria, “È il ruolo corretto dello stato utilizzare il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire”.

Quindi è inevitabile, si deve agire, tramite l’espansione del debito pubblico.

Come? Qui c’è il punto. Il “se” è superato. Restano alcune cose:

  •   non fornire solo reddito di base (es, helicopter money), ma proteggere le persone dalla perdita del lavoro,
  •   garantire sostegno alla liquidità immediato,

Arriva la seconda bomba.

In una strategia rivolta a garantire liquidità all’economia reale, imprese e famiglie, Draghi propone di utilizzare le banche, che sono capillarmente diffuse. E propone che queste aprano linee di credito e scoperti di conto corrente, immediatamente e senza aspettare liquidità (quindi senza aspettare la Bce o altri), perché queste “possono creare denaro istantaneamente”.

Ripetiamo:

  • “Le banche possono creare denaro istantaneamente consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito”.

E le riserve? E il buon padre di famiglia? E … anche qui l’horror vacui colpisce buona parte della sinistra storica, che non lo sapeva ma era rimasta ai tempi del dollaro-oro.

In sostanza le banche devono prestare soldi creati dal nulla, istantaneamente, a imprese che conservano l’occupazione. E lo devono fare a costo zero. La ragione è che le imprese, non licenziando, sostituiscono il pubblico che in caso diverso dovrebbe intervenire garantendo un reddito ed un lavoro.

Ovviamente il denaro si crea dal nulla, ma deve essere restituito (schematicamente una banca apre una scrittura contabile, che ad un certo punto deve essere chiusa), e quindi prestare a costo zero lascia impregiudicato l’assorbimento del danno delle mancate restituzioni. Serve qualcuno che faccia fronte e chiuda le scritture. Per questo il governo nello schema di Draghi non impegna denaro immediato per sostenere l’occupazione, ma presta garanzie alle banche per coprire il loro rischio. Ed il costo di queste garanzie, anche esso, deve essere zero.

Questa è la terza bomba, comincia ad assomigliare ad un bombardamento a tappeto. Il costo zero è come l’illimitato, sono altri due tabù. Si deve guadagnare dal sudore della fronte.

  • Ripetiamo, “il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito della società che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente dal costo del finanziamento del governo che le emette”.

C’è un problema, le regole prudenziali delle convenzioni di Basilea. Vanno sospese, “Né la regolamentazione né le regole di garanzia dovrebbero ostacolare la creazione di tutto lo spazio necessario nei bilanci bancari a tale scopo”.

Abbiamo poi la quarta bomba. Per alcune imprese e “mutuatari”, il debito alla fine andrebbe cancellato. O tramite il fallimento e la copertura delle perdite da parte del governo o direttamente da questo lasciandole in vita.

Insomma, il debito pubblico salirà per tenere in vita la società. L’alternativa sarebbe peggiore. Ma salirà come? Senza aumentare i costi di servizio.

Qui non entra nel dettaglio, strettamente parlando un enorme incremento del debito pubblico, e la sua detenzione permanente, senza aumento dei costi del servizio di questo (ovvero in sostanza creando moneta) è possibile se gli Stati emettono titoli a scadenza illimitata, non redimibili, ed a tasso zero e se la Banca Centrale li acquista e li detiene. Un simile titolo non è “di mercato” per definizione e corrisponde ad una monetizzazione del debito.

Ogni altra soluzione aumenta i costi del servizio, soprattutto alla luce degli enormi volumi qui prefigurati.

Ciò non significa che i bilanci delle Banche Centrali (i titoli sarebbero poi da redistribuire pro quota nei vari bilanci) resteranno permanentemente ‘gravati’ da un attivo enorme, senza rendimento[2], ma che la progressiva espansione dell’economia li renderebbe sempre meno rilevanti. In fondo il debito pubblico è sempre stato riassorbito in questo modo, il suo vero problema è esclusivamente il costo del suo servizio, ovvero il monte degli interessi annuali che lo stato paga[3].

Tutto ciò va fatto in fretta, e senza remore, perché, ultima bomba: “La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono”.

Abbiamo un esercito che si è schierato ed abbiamo un generale che sembra volerne prendere la testa.

La battaglia si combatterà e penso che sarà persa. Troppo forte è l’inerzia del pensiero unico ordoliberale (attenzione, non che questa posizione sia rivoluzionaria, è comunque una variante di affidamento al mercato, ma con notevole incremento della presenza pubblica[4]). Nella scaramuccia di cavalleria dei giorni scorsi, in sede di Eurogruppo, è stato chiaro l’animus dell’armata nordica.

Mentre Peter Altmeier dichiara per la Germania che “Impediremo una svendita degli interessi economici e industriali tedeschi” (Wir werden einen Ausverkauf deutscher Wirtschafts- und Industrieinteressen verhindern) e, in inglese, in quanto rivolto oltre manica, “Germany is not for sale”, al contempo l’Olanda e la Germania, unite, hanno rigettato ogni ipotesi di messa in comune del debito. Sempre Altmeir, cambiando oggetto, ha detto che “la discussione sugli eurobond è un dibattito sui fantasmi” (Die Diskussion über Euro-Bonds ist eine Gespensterdebatte) e ha aggiunto che “dalla lezione degli anni ’70 abbiamo imparato che lo Stato non può salvare tutti” e che “l’Innovazione è più importante delle sovvenzioni” (Innovation ist wichtiger als Subvention). Insomma, gli interessi economici e industriali tedeschi saranno sostenuti contro qualsiasi nemico, ma quelli degli altri devono restare esposti. Per gli altri vale il principio che non si sovvenziona.

Per sé vale che “il nostro scopo non è solo proteggerci da acquisizioni nemiche (feindlichen[5]), ma anche evitare mancanza di capitale e di liquidità”, per gli altri, per i nemici, ovvero noi, solo se siamo capaci di farcela, se siamo “innovativi”.

Lo scontro delle cavallerie, la classica scaramuccia di avvio, è andato così.

Oggi c’è la battaglia. Avremmo bisogno di Decimo Claudio Druso (detto “germanico”), ma abbiamo solo Giuseppe Conte. Perderemo.

Ma non finirà qui. I popoli nordici hanno una strana caratteristica: sembrano sempre vincere, perché hanno una grande capacità operativa, ma poi alla fine perdono sempre e rovinosamente, perché non avendo la forza sufficiente vogliono troppo e non lasciano nulla. Finiscono per coalizzare tutti contro di loro, ed anche allora continuano, dritti, come un caprone lanciato nella corsa e la testa bassa. Ora pensano di aggirare questo ostacolo, che la sorte ha posto davanti ai piedi, assorbendo i nostri capitali e le nostre aziende, come fecero con quelle della Germania dell’est[6] quando cadde il muro e come hanno fatto per venti anni al tempo dell’euro.

Ma tutto sta arrivando al suo termine[7].

Il mondo non è già più quello della “fine della storia” tardo novecentesca[8], il baricentro si sposta verso est e noi siamo geograficamente, culturalmente, storicamente meglio posizionati. Tra qualche tempo dovremo rovesciare le cartografie d’Europa.

Tra dieci anni vedremo chi ha perso e chi ha vinto. Ma, come è accaduto già due volte, il prezzo per loro sarà altissimo.

 

[1] – Nel gergo economico una “recessione” è un evento ciclico relativamente normale, una “depressione” è una stagnazione permanente e difficilmente risolvibile dell’economia come quella del 29-39 aperta dalla crisi finanziaria e conclusa solo dalla seconda guerra mondiale.

[2] – Non sarebbe molto diverso se i titoli avessero un rendimento, una volta nel bilancio della banca centrale, perché questa deve restituire gli utili ai rispettivi Tesori. Come accade ora per la quota (20%) del debito già detenuto e che potrebbe benissimo essere annullato senza alcuna conseguenza pratica.

[3] – Bisogna notare che questo pagamento di interessi, che in Italia è attivato fino ad essere vicino ai cento miliardi, rappresenta un trasferimento netto di risorse dalla generalità dei cittadini ai renditieri che posseggono titoli di debito. È, insomma, un fattore tra i più rilevanti di incremento delle ineguaglianze e uno strumento potente di redistribuzione verso l’alto.

[4] – L’intero meccanismo proposto da Draghi è preordinato a salvaguardia delle gerarchie sociali e nazionali attuali. Limita l’intervento pubblico ad un consolidamento dello status dei rapporti di classe, si mette a salvaguardia del sistema delle imprese attuale, in qualche modo congelandolo. Certo, l’alternativa è diventare una colonia interna (ancora di più) del capitale nordico, ma ciò che serve è ben altro e molto più.

[5] – Come giustamente scrive Vincenzo Costa “Feindlich” allude a nemico, un termine che non si usa a cuor leggero. Non dice competitori: dice nemici. Allude al fatto che chi non riesce a proteggere la propria economia, chi non è in grado di sostenerla in questo momento, diventerà un terreno di conquista per altri. Perderà il dominio sui settori strategici, la sovranità sulle scelte di politica economica: diventerà una colonia. (cfr https://www.facebook.com/vincenzo.costa.79025/posts/106587930990528)

[6] – Si veda il testo di Vladimiro Giacchè.

[7] – Si veda “Riavviare l’economia in Cina, cronache del crollo

[8] – Titolo del famoso libro di Francis Fukuyama.

tratto da https://tempofertile.blogspot.com/2020/03/campo-di-battaglia-draghi-consiglio.html?fbclid=IwAR1XM3rbnJWlwkVHlHej6KZfzAAkH-R90D5rvpSAusTYaQMhQ6vs_8vvDdg

L’Italia alla prova del coronavirus (e degli avvoltoi) di Patriottismo Costituzionale

L’Italia alla prova del coronavirus (e degli avvoltoi)

di Patriottismo Costituzionale

 

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
(…)
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai

 

Dal punto di vista più strettamente sanitario, il pericolo del coronavirus è rappresentata dalla grande velocità di contagio nella forma di areosol associata all’alta percentuale di contagiati che hanno bisogno di cure specialistiche. Si parla di una percentuale del 10-15-20%. Nessun sistema sanitario al mondo può reggere un peso simile.

Fino alla produzione del vaccino l’unico rimedio è quello di rallentare il contagio. Questo obiettivo è reso molto complesso dal fatto che, come già scritto, il coronavirus si diffonde per aerosol, come spiega il professor Marc G. Wathelet, noto virologo che ha guidato un gruppo di studio sulla SARS, che può diffondere il virus su grandi distanze e tra persone che non interagiscono faccia a faccia.

L’unica soluzione quindi è quella cinese: fermarsi. A meno che non si sia disposti a sopportare una ecatombe.

E qui sta il punto.

Il coronavirus sta facendo saltare in aria il sogno globalista di un unico mercato mondiale dove capitali, merci e forza lavoro si muovono ininterrottamente e senza incontrare ostacoli secondo le convenienze del capitale e dei suoi profitti. Un mondo da sogno in cui le catene della produzioni si dislocano laddove i costi sono minori per poi spostare le merci laddove la domanda è maggiore. Un mondo dove sembrava possibile la realizzazione del grande sogno del capitalista: vivere sotto l’unica legge dell’accumulazione di ricchezza e potere, slegato completamente da qualsiasi altra considerazione e freno che riguardino uomini, comunità e luoghi. In questi giorni tutto questo sta crollando, e il grande capitale deve trovarsi un luogo e accettare nuovamente di arrivare a compromessi con uomini e comunità.

Se il mondo nato negli anni Ottanta del secolo scorso sta crollando, uno nuovo dovrà pur nascere. Non sappiamo come sarà. Siamo a una biforcazione della storia: potremmo procedere avanti e superare le contraddizioni di un modello produttivo, politico e sociale che ormai non ha più nessuna soluzione in positivo da offrire all’umanità; oppure potremmo rivelarci talmente svuotati di vitalità, saggezza e intelligenza da rimanere prigionieri di un sistema che ha bisogno di disastri, guerre e immani distruzioni per poter ripartire.

Il coronavirus sta rivelando chiaro e nitido che abbiamo bisogno di uno stato. È allo stato e ai suoi bracci operativi che in questo momento i cittadini di ogni paese si rivolgono per avere protezione e sicurezza. E sono gli stati che in questi decenni hanno mantenuto un ruolo e una presenza robusta nella protezione sociale e nell’economia ad avere maggiore successo nella lotta al diffondersi dell’epidemia. Dove invece lo stato è stato sottoposto all’attacco dell’ideologia neoliberista che gli assegnava il ruolo di semplice regolatore e facilitatore della concorrenza privata, lì ha rivelato tutta la difficoltà a cambiare passo e assumersi responsabilità che pensava di non doversi più assumere, perché “il privato sa fare meglio di lui”.

Il coronavirus sta spingendo gli stati e i governi ad ampliare la propria sfera di controllo e a limitare le normali libertà personali dei suoi cittadini. Come in uno stato di guerra. E proprio questa è la nostra situazione attuale. Siamo in guerra. Una guerra atipica, strana, surreale, dove c’è un nemico chiaro anche se così microscopico che non si vede a occhio nudo, e tanti nemici nascosti e non dichiarati che però si vedono benissimo, ci stanno molto vicino. Anzi, li abbiamo proprio in casa ai massimi vertici della macchina statale. Il coronavirus, infatti, sta indirettamente rivelando con chiarezza il muso da sciacallo e il becco da avvoltoio dei nostri fratelli europei che per sfruttare appieno le nostre difficoltà anticipano la riunione dell’Eurogruppo per l’approvazione del MES. Ma sta anche evidenziando la contraddizione di un governo che, da una parte, mostra i muscoli imponendo una sorta di legge marziale ai suoi cittadini (necessaria, peraltro) e, dall’altra, persiste imperterrito nella sua politica di sottomissione allo straniero e cessione di sovranità a favore della Unione europea, alias Germania.

Il coronavirus sta mettendo in rilievo in tutta la sua evidenza l’opposizione tra due modelli economici: il primo basato sulla pianificazione da parte del grande capitale finanziario e monopolistico privato, che governa stati e popoli attraverso la paura del fantasma dei mercati, lo stuzzicamento continuo del desiderio e l’indottrinamento alla religione della competizione e del merito attraverso il totale controllo dei mezzi di comunicazione di massa; il secondo basato sul concetto di economia mista, dove libera impresa e imprese pubbliche convivono e si integrano sotto la direzione e la regia di uno stato che controlla i settori strategici, la moneta e quindi la finanza. La realtà di questi giorni sta rivelando tutto il pericoloso irrealismo fallimentare del primo modello e tutta la necessità storica del secondo. Resta tutto da vedere verso quale stato e verso quale cittadinanza ci stiamo dirigendo. Ma questo è un altro discorso.

Come ne usciremo noi Italiani? Anche in questo caso siamo a un bivio: potremmo essere alla vigilia di un nuovo 8 settembre, oppure alla prova del momento le classi dirigenti italiane sapranno rivelare al loro interno risorse tenute nascoste e soffocate dalla marea liberista ed eurista di questi ultimi quaranta anni. Logica e realismo fanno purtroppo pendere la bilancia sulla prima ipotesi. Quarant’anni di selezione artificiale del personale dirigente a ogni livello (amministrazione dello stato, università, media, pensiero economico, scuola, esercito, ecc.) ci hanno portato nella condizione che chi ha in mano le leve del potere letteralmente è incapace a pensare soluzioni che evadano dal quadro concettuale vigente. Non ce la fanno. Hanno passato tutta la loro vita formativa e lavorativa in un ambiente che li ha segnati e resi inservibili.

Eppure qualche segnale di speranza c’è:

Se l’Europa continua a tentennare segnerà definitivamente la sua fine. E se lo farà … l’Italia dovrà procedere per conto proprio. (…) Dieci anni fa, in occasione di una crisi finanziaria drammatica … i soldi per salvare le banche sono stati trovati. Ora vanno trovati i soldi per salvare l’economia reale, l’economia delle imprese. (Fabio Tamburini, direttore del quotidiano economico Sole 24 Ore)

Non è tempo di chiedere conti, di chiedere al direttore Tamburini dov’era tutto questo tempo, o perché è stato necessario un evento tanto drammatico come una pandemia per costringere il padronato a cominciare a pensare di rinunciare al suo tanto caro strumento di dominio e sottomissione del mondo del lavoro italiano. O per fargli notare che i soldi per le banche non sono stati esattamente “trovati”, bensì sono stati “creati” dalle banche centrali di tutto il mondo. Non è questo il momento di polemizzare e indebolire il fronte che si sta creando a difesa della nostra indipendenza e sovranità. Verrà il tempo per i chiarimenti. E, chissà, forse avremo anche noi la nostra Norimberga.

Lentamente il governo italiano sta prendendo consapevolezza dell’entità della sfida e sta sollevando il livello degli stanziamenti per combattere la diffusione del virus e dei suoi effetti sull’economia e sul corpo sociale. Ma ancora non basta. E soprattutto non basta perché finché quei miliardi verranno stanziati all’interno delle regole contabili e finanziarie europee, finché li chiederemo ai mercati, li dovremmo ripagare in futuro noi cittadini con interessi salati nella forma di tagli, tasse, tributi e ulteriori dismissioni. Si riveleranno l’ennesima arma regalata ai nostri “fratelli” europei e ai creditori, e l’8 settembre sarà solo rinviato. Le uniche vere soluzioni sono due: o cambia radicalmente l’Ue (il che significa limitarne radicalmente i poteri e rivedere dalle fondamenta le regole di convivenza fra gli stati pienamente sovrani che ne facciano parte) o l’Italia ne esce fuori. La terza alternativa è la nostra totale sottomissione.

https://patriottismocostituzionale.blog/2020/03/13/litalia-alla-prova-del-coronavirus-e-degli-avvoltoi/?fbclid=IwAR1x8wtN-KIgjq44NqaFRJ0jZul7aFzAk5AIaEkmWuFyGYuiJt2sa3-3crg

CORONAVIRUS E STATO D’ECCEZIONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

CORONAVIRUS E STATO D’ECCEZIONE

Da quando si è profilata l’emergenza sanitaria, la celebre affermazione di Carl Schmitt “sovrano è chi decide dello stato di eccezione” è stata ripetuta tante volte e in modo bipartisan, dalla destra alla sinistra. Qualcuno l’ha fatto – come sempre nelle affermazioni politiche – per sostenere più poteri al governo che alle regioni (per lo più a direzione politica avversa) altri per diverse ragioni.

Approfittando che sta sulla cresta dell’onda, ricordiamo quanto scrive Schmitt, e ancor più il suo allievo Fortsthoff, sul carattere delle “misure” che il sovrano (o comunque i poteri pubblici) prendono in casi di emergenza.

Sostiene Forsthoff che tali misure vanno ricondotte al concetto di “provvedimento”. Citando Schmitt scrive che è “tipico del provvedimento «che il procedimento sia determinato, nel suo contenuto, da un dato di fatto concreto e sia completamente permeato da uno scopo obiettivo». Perciò contrappone il provvedimento alla decisione emessa nella dovuta forma di un regolare procedimento ed alla norma di legge, «se essa esprime essenzialmente un principio di diritto, cioè se essa vuole essere soprattutto giusta, permeata dall’idea di diritto»… Caratteristica del provvedimento è una specifica relazione tra mezzo e scopo. Il provvedimento è diretto ad un determinato scopo, A questo scopo sono adattati e subordinati i mezzi che sono usati per il suo raggiungimento” mentre “la sentenza giudiziaria in quanto è presa «in base al diritto» sta al di sopra della adeguatezza allo scopo e del perseguimento di esso, che distinguono il provvedimento”; mentre nella legge scopo e idea di giustizia sono ambo presenti “La norma giuridica può essere creata per regolare un rapporto della vita in modo adeguato, cioè in conformità ad uno scopo ed in corrispondenza alle idee correnti di giustizia. Una tale legge, nel suo complesso, è sottratta alla determinazione di uno scopo, poiché contiene in se stessa un valore”. Quindi “L’ordinamento non è mai solo mezzo a scopo, esso ha un proprio valore”. Lo scopo, che in altri atti giuridici ha un ruolo di comprimario o subordinato, nelle misure d’eccezioni è determinante; l’idoneità delle stesse è commisurata alla congruità a conseguire lo scopo.

Ne consegue che la “tavola dei valori” o “le idee di giustizia” che informano ogni ordinamento sono qui subordinate. Il perché è chiaro: allorquando è in gioco l’esistenza e/o beni pubblici essenziali come la vita, la sicurezza collettiva, il resto, come l’intendenza di De Gaulle, segue. Dov’è che le misure hanno la propria validità e legittimità? La prima nell’essere adeguate allo scopo (“razionali rispetto allo scopo” avrebbe scritto Max Weber), la seconda nell’essere prese da un’autorità che goda di fiducia e largo consenso.

In questo senso la vicenda del coronavirus è iniziata proprio male. Ai governatori leghisti delle regioni del Nord che chiedono di mettere in quarantena gli studenti, di qualsiasi nazionalità, provenienti dalla Cina, il segretario Dem replicava “Allarmismi ridicoli… il governo ha già sospeso i voli provenienti dalla Cina, dunque non si capisce come i bambini possano arrivare” (fonte “Il Messaggero”); e una loquace deputata Dem “i governatori fomentano panico e intolleranza”; la Ministra Azzolina “Il governo si è mosso immediatamente e voglio tranquillizzare tutti perché la propaganda non fa assolutamente bene: non ci sono motivazioni al momento per pensare di escludere gli alunni dalla scuola” (fonte: “Il Messaggero”).

Il Presidente Conte, forse per non essere tacciato di sovranismo, rimanda tutto a presidi e primari “Ci dobbiamo fidare delle autorità scolastiche e sanitarie, se ci dicono che non ci sono le condizioni per il provvedimento in discussione invito i governatori del nord a fidarsi di chi ha specifica competenza”, senza porsi il problema di cosa succede se i presidi e i primari non avessero la stessa opinione (dato il numero è impossibile che ne abbiano una condivisa da tutti).

È chiaro che tutte queste affermazioni erano condizionate dalla ideologia e dalla lotta politica: accoglienze e frontiere aperte versus sovranismo e frontiere chiuse. Cioè erano proprio il contrario di quello che una misura d’emergenza deve essere. Il fatto che (almeno) dai tempi di Boccaccio e della peste nera è noto che l’isolamento è un efficace strumento di riduzione del contagio e che il virus se ne impipa delle divisioni politiche ed ideologiche, così come i mezzi per combatterlo; l’agente patogeno non è antifascista o anticomunista, ma semplicemente (e banalmente) pericoloso come terremoti, inondazioni (e altro).

Resta il fatto che dopo poche settimane Conte ha chiuso province, regioni, scuole e, da ultimo, tutta Italia dimenticandosi di governatori, presidi e primari: probabilmente ha fatto bene, ma ci sono volute – per farlo – diverse settimane nelle quali il coronavirus non ha trovato ostacoli, o ne ha trovati meno.

E rimane il problema della fiducia che può ispirare ai cittadini una maggioranza ed un governo che fa di una questione essenzialmente “tecnica” (nel senso indicato) una faccenda politico-ideologica: sarebbe meglio che facessero tesoro dell’intera lezione di Schmitt e Forsthoff (e Weber) sul punto.

Teodoro Klitsche de la Grange

Il discorso di Conte, di Alessandro Visalli

Il discorso di Conte: coronavirus e cronache del crollo.

Raramente, forse mai, un momento così solenne è stato fatto oggetto di un discorso così inadeguato. Mai in tempo di pace un’intera nazione era stata fermata, limitati gli spostamenti da paese a paese, da città a città, chiusi gli esercizi ad orario da coprifuoco, ostacolati i normali spostamenti, impedite le manifestazioni e qualunque riunione, dai matrimoni alle funzioni religiose, ai funerali.

Mai in tempo di pace.

Perché, in effetti, non siamo più in tempo di pace.

Qualcuno ci ha dichiarato guerra. E non è stato il coronavirus.

Lui non è neppure un essere vivente, e non è tanto meno un’individualità (si tratta di una nuvola di virus a Rna, continuamente mutanti). Il coronavirus si sta semplicemente adattando ad un nuovo ambiente, essendo ‘saltato’ dal vecchio ospite ad un altro. Non è una cosa particolarmente strana, noi conviviamo con miliardi di organismi, batteri e virus, che sono integrati nel nostro organismo, ma questo è nuovo.

Quella che ci ha dichiarato guerra è la nostra stessa follia. In linguaggio informatico sarebbe un difetto di sistema. Aver per decenni ridotto la spesa sanitaria, portandola sotto il livello di un paese a reddito pro capite medio come la Cina, eliminato quasi tutti i servizi territoriali di prevenzione, ridotta la pubblica amministrazione sotto la media europea (16% dei lavoratori). Solo Germania, Lussemburgo e Olanda hanno meno dipendenti pubblici, paesi come la Scandinavia ne hanno il doppio. In generale siamo alla metà dei paesi nordici, il 14% dei dipendenti, per 3,2 milioni di addetti. Per fare un paragone con paesi simili, la Spagna ne ha il 15% e la Francia ben il 22%. Portarci al livello della famosa burocrazia e livello dei servizi pubblici francesi significherebbe, dunque, assumere 1,5 milioni di addetti, portarci intanto alla media europea corrisponderebbe a 0,4 milioni di assunzioni urgenti.

Se avessimo più di 3.000 dispositivi di respirazione assistita, più di 5.000 posti letto in rianimazione (300 in Campania), più di 100.000 medici specializzati, se avessimo i 50.000 infermieri che mancano alle piante organiche, o non avessimo chiuso per risparmiare centinaia di presidi ospedalieri, soprattutto al sud, ora potremmo offrire soccorso.

Non capiterebbe, come ho sentito su You Tube[1], che una povera donna con complicazioni neurologiche possa ammalarsi a casa e non ricevere nessun soccorso e quindi possa morire soffocata dopo solo due giorni. Non so se è vero, probabilmente no, ma potrebbe facilmente diventarlo tra breve.

Dunque siamo in guerra.

Il 13 maggio 1940 il primo ministro britannico, appena nominato, pronuncia un drammatico discorso alla Camera dei Comuni, nella quale annuncia “blood, toil, tears and sweat”. Non promette altro che “molti, molti lunghi mesi di lotta e sofferenza”, ma anche lo scopo della lotta: “la vittoria”, per la sopravvivenza.

Le cose stanno così. Anche noi dobbiamo vincere perché se riusciamo a non lasciare nessuno indietro, a prestare soccorso anche all’ultimo, a stringere il meno fortunato nel nostro abbraccio, allora sopravviveremo come nazione e sapremo di avere uno Stato.

Nel post “Coronavirus, cronache del crollodi ieri raccontavo di chi ci ha portati in questa guerra. Un sistema economico completamente privo di capacità di assorbire shock di questo genere nel quale tutte le catene di fornitura e produttive, di tutti i beni e servizi, sono ormai estese a livello mondiale ed interconnesse, nel quale nulla o quasi si può produrre senza ricevere componenti, materiali, competenze da qualche altra parte del mondo, spesso a grandissima distanza. Un sistema nel quale l’intera catena economica è eterodiretta, dai centri decisionali delle multinazionali, o dipende per segmenti decisivi da fornitori che non possiamo controllare. Dunque, un modello insostenibile sotto il profilo ambientale e fragilissimo sotto quello economico. Che è stato interamente ed unicamente costruito, in una lunga fase di follia e debolezza degli Stati, per sfruttare fino all’ultimo centesimo i differenziali di prezzo e di potere che il capitale mobile riusciva a estorcere a lavoratori deboli o a imprese subordinate[2].

Come si reagisce in guerra, una volta che si è capito chi è il nemico?

Ricordando chi si è. Noi, il popolo, siamo tutto. Loro, i lontani contabili ed i vicini servi del profitto e delle rendite, sono niente.

È quindi ora di combattere. Ed è ora che la nostra casa comune apra le sue porte, che accolga tutti e non lasci fuori, al freddo, nessuno.

Quando si è in guerra si fanno misure da guerra. È il momento, non si può aspettare, il paese non può aspettare l’autorizzazione. Non può aspettare che il nemico si impietosisca. Quando persino il direttore del Sole 24 ore, in televisione, dice che l’Italia deve andare per conto suo se l’Europa tentenna[3], è chiaro che chi parla di compatibilità con l’astratta contabilità da bottegai germanica deve essere trattato come un traditore della patria nell’ora più buia.

Vediamo che sta succedendo.

Provo a fare uno schema, basandomi su un modello[4] a quattro settori del sistema economico italiano: “stato”, “famiglie”, “imprese”, “estero”. Schematicamente: lo Stato spende 500 miliardi, incassandoli con le tasse ed impegna 3 milioni di lavoratori[5]; Il settore delle famiglie spende 1.000 miliardi di consumi e riceve due terzi di questa somma dalle imprese per lavoro dipendente ed il resto dallo Stato o sotto forme di lavoro autonomo e professionale o per redditi da capitale[6]; Il settore delle imprese (70% di servizio) produce valore aggiunto per 1.780 miliardi ed impiega 17 milioni di lavoratori. Dal settore estero sono importati 510 miliardi di beni e servizi ed esportati 560 miliardi.

Ora, immaginiamo che le misure adottate (“zona rossa” estesa all’intero paese, limitazioni nella circolazione, chiusure selettive), comportino a partire dall’immediato e poi progressivamente per sei mesi un calo del 50% del commercio all’ingrosso e dettaglio, del 10% dei servizi alle imprese e del 20% dei settori professionali[7]. Sul montante complessivo dei redditi delle famiglie l’impatto diretto potrebbe essere qualcosa nell’ordine del 5%. Calcolando un moltiplicatore ragionevole potrebbe salire al 6-8%. Questo impatto si ripartirebbe come impulso deflazionistico per metà all’estero, riducendo le importazioni (ma dall’estero potrebbero arrivare analoghi input, man mano che l’epidemia procede negli altri paesi), e per metà sul mercato interno.

Potrebbe valere in modo grezzo qualcosa come 3 punti di Pil, e comportare nuovi disoccupati pari a 2 milioni di persone.

Ma ciò solo se il sistema delle imprese produttive (30% del valore aggiunto, 5 milioni di addetti diretti) non viene toccato e se la logistica resta non toccata dal crollo del commercio (in altre parole, se i flussi si spostano su altri canali di acquisto, ma le persone comprano). Facciamo l’ipotesi che, invece, il settore produttivo, messo in crisi dalla riduzione della mobilità personale e, in misura maggiore, dalle difficoltà della logistica integrata mondiale, abbia un massiccio calo congiunturale del 30% e, similmente, la logistica[8]. In questo caso l’impatto distruggerebbe 600 miliardi di valore aggiunto su base annuale (ovvero 300 in sei mesi) e una quota di investimenti. Ma avrebbe impatto anche sui 3,5 milioni di addetti diretti dell’industria e sul milione della logistica. Un crollo di questa misura si può stimare impatterebbe sul reddito degli addetti provocando un’ulteriore riduzione dei consumi, inoltre aggiungerebbe 1,5 milioni di disoccupati diretti. Trattandosi di posti di lavoro di buona qualità, questi potrebbero portare ad un impatto indiretto molto significativo.

Agendo sul monte complessivo dei redditi delle famiglie tutto ciò potrebbe impattare in modo analogo per un altro 4% di Pil in meno, che con lo stesso moltiplicatore salirebbe al 7-8%. L’impulso deflazionario complessivo che stiamo rischiando sarebbe quindi, con queste assunzioni, nell’ordine del 16% del reddito medio delle famiglie italiane.

Con questi scenari non è affatto improbabile una severissima recessione compresa tra quella del 2009 (perdita di 6 punti di Pil) e quella successiva del 2012-13 (perdita di 4 punti) ed i disoccupati salirebbero di quasi 4 milioni aggiuntivi.

Il punto è stabilire che manovra dovrebbe fare un governo all’altezza del momento per fermare una valanga che si propagherebbe come fuoco nella steppa, attraverso il calo della domanda. In parte potrebbe riassorbire qualche quota di disoccupazione con assunzioni di emergenza nella sanità (che ha 0,6 milioni di addetti) in modo da poter garantire il soccorso necessario a ciascuno, e nei servizi sociali e tecnici. Ma difficilmente in tempi rapidi si potrebbe andare oltre poche centinaia di migliaia di assunzioni, e il gap con la Francia non potrebbe essere colmato.

Dandosi nel medio periodo l’obiettivo di arrivare a 1,5 milioni di assunzioni aggiuntive nella P.A., bisognerebbe però, subito, compensare almeno il 75% del calo dei redditi cumulato che potrebbe essere stimato, se va bene, a 90 miliardi complessivi in sei mesi, ovvero compensare 15 miliardi al mese. Ciò oltre un danno fiscale di circa 40 miliardi, 6 al mese[9]. Inoltre, sono indispensabili investimenti urgenti nella sanità per alcuni miliardi.

La misura macroeconomica della manovra dovrebbe essere dunque di oltre 110-130 miliardi, ovvero quasi 20 miliardi al mese in media. Naturalmente tali somme andrebbero impegnate progressivamente, solo man mano che gli impulsi di crisi, propagandosi, richiedano interventi correttivi e compensativi[10]. Di questi almeno 10 miliardi al mese dovrebbero essere destinati al sostegno del reddito.

Questo per combattere la guerra.

Ma come usarli in modo sia efficace sia equo? Oltre agli investimenti diretti nella sanità, bisognerebbe investire risorse in attività capaci di colpire l’occupazione potenzialmente lasciata libera dalla contrazione, nella produzione socialmente e tecnicamente necessaria, nella riorganizzazione della distribuzione, nei servizi civili, …

Ricapitoliamo, se vogliamo vincere dobbiamo, e man mano che si rende necessario:

  • Investire con modalità di urgenza tutte le somme necessarie nella sanità, dando priorità alle macchine salvavita, ai Dpi, al personale medico ed infermieristico, quindi alle strutture, ai centri territoriali, ai servizi sociali di prevenzione;
  • Requisire tutte le strutture disponibili, se necessarie ad erogare servizi indispensabili, soprattutto al sud;
  • Precettare tutto il personale necessario ad erogare i servizi di prima necessità;
  • Garantire con mezzi pubblici la distribuzione, precettandola o sostituendola, se le catene logistiche interne dovessero entrare in crisi;
  • Imporre alle industrie idonee, qualunque sia la nazionalità della proprietà, programmi di fabbricazione, fornendogli specifiche, assistenza tecnica, mandati, per rendere indipendente il paese delle principali forniture strategiche, partendo da quelle mediche, in considerazione del possibile crollo delle supply chain mondiali;
  • Nazionalizzare tutte le imprese, finanziarie o non, che dovessero entrare in crisi non risolvibile per effetto della crisi e quindi creare un veicolo di gestione delle imprese pubbliche e nazionalizzate, sul modello della vecchia Iri;
  • Per gestire tutto questo con il minimo dell’inefficienza, creare un centro di pianificazione di emergenza, dotato dei necessari poteri;
  • In favore del sostegno del reddito, sospendere immediatamente il pagamento dei mutui e degli affitti (provvedendo con risorse pubbliche ad attenuare l’impatto sulle controparti), per chiunque dichiari una riduzione del reddito superiore al 30%;
  • Integrare il reddito, con la Cig in deroga o Reddito di Cittadinanza straordinario, di chiunque dichiari una riduzione tra il 30% ed il 100% del reddito, fino al massimo di 1.000 euro;
  • Sospendere per sei mesi in modo generalizzato i pagamenti fiscali a tutti i cittadini ed a tutte le imprese con un fatturato inferiore a una soglia da definire;
  • Sospendere per tre mesi ogni rateizzazione, a qualsiasi titolo;
  • Sospendere, e poi revocare, tutte le normative europee che fossero in conflitto con queste misure di emergenze, necessarie per la sopravvivenza della nazione;
  • Sospendere, e poi revisionare profondamente, la normativa bancaria di Basilea;
  • Sospendere, e poi revocare, il Mes.

Questo è il minimo per continuare ad essere un paese civile.

 

[1] – Questo video: https://www.youtube.com/watch?v=ZgJHdun0TGs

[2] – Inoltre questo modello è esattamente lo stesso che ha compresso per decenni il reddito e l’indipendenza dei lavoratori in occidente, rendendo ovvio che la maggior parte delle persone viva con contratti senza protezioni, precari, a tempo, con singole settimane di risparmi, sovraindebitati. Fa stare l’economia in costante stato di carenza di domanda, per cui i prezzi dei beni di prima necessità continuano a calare, e tutti coloro che li producono sono giorno dopo giorno alla disperata ricerca di un modo di risparmiare qualche costo di produzione, anche se comporta andarsi a cercare un fornitore dall’altra parte del mondo che costa il 2 per cento meno di quello sotto casa, che chiude. È così che ci siamo trovati senza mascherine.

[3] – Fabio Tamburini su La 7: “Se l’Europa continua a tentennare segna la sua fine, ed è giusto che l’Italia vada per conto suo. [..] I soldi per salvare le banche sono stati trovati ora vanno trovati per salvare l’economia reale”.

[4] – Alcuni dati: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCN_PILN; http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=20596; https://www.eticapa.it/eticapa/quanti-sono-e-quanto-costano-gli-impiegati-pubblici-italiani/;

[5] – Si veda http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/attivita_istituzionali/formazione_e_gestione_del_bilancio/bilancio_di_previsione/bilancio_semplificato/ lo Stato spende 500 miliardi all’anno di spese correnti e 78 di interessi quota parte (49) dei 320 miliardi di investimenti, inoltre impiega 3,2 milioni di lavoratori, riceve un totale di 510 miliardi di tasse (260 dalle imprese), cui vanno aggiunti 65 miliardi di entrate non tributarie.

[6] – 700 miliardi di redditi da lavoro dipendente dalle imprese, 150 dallo Stato, oltre che, probabilmente, 150 da lavoro autonomo e professionale. Si possono stimare per differenza 200 miliardi di reddito da capitale e rendite. Infine, questo settore paga circa 250 miliardi di tasse.

[7] – Il commercio, secondo alcune stime, vale qualcosa come 190 miliardi, i servizi alle imprese 50 e i servizi professionali altri 60 miliardi. Un impatto del genere sui redditi degli addetti diretti alle filiere coinvolte impatterebbe per ca. 100 miliardi e potrebbe produrre, al netto delle tasse, una riduzione dei consumi stimabile in ca. 50 miliardi per sei mesi. Poi c’è l’impatto sul rilevante settore del turismo, se non altro per differimento e rinvio di vacanze.

[8] – Che vale almeno altri 100 miliardi.

[9] – Queste stime sono ottenute dalle assunzioni di cui sopra, su dati Istat 2019, e valutando prudenzialmente un basso contagio intersettoriale, oltre una limitatissima trasmissione di impulsi di crisi dall’estero.

[10] – Chiaramente il proporzionamento della manovra non è un compito espletabile con le poche informazioni disponibili e senza l’ausilio di un modello di simulazione adeguato, che non sia, ovviamente escludendo modelli di “output gap” e modelli dell’equilibrio generale, come quelli impiegati nelle Banche Centrali, o al Ministero delle Finanze, noti per fallire sistematicamente le previsioni.

https://tempofertile.blogspot.com/2020/03/il-discorso-di-conte-coronavirus-e.html

Coronavirus, politica e geopolitica, con Piero Visani e Gianfranco Campa

Qui sotto una conversazione con Gianfranco Campa e Piero Visani, registrata una settimana fa, sulle pesanti implicazioni politiche e geopolitiche della pandemia ormai in corso. L’Italia è ormai uno dei paesi più esposti ma la crisi è destinata a coinvolgere drammaticamente sempre più paesi e contribuirà a sconvolgere ulteriormente gli equilibri. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Il Fiero Pasto, di Giuseppe Masala

Qui sotto alcune pregnanti riflessioni di Giuseppe Masala. In questi giorni si sono susseguiti gli appelli e le stigmatizzazioni per indurre tutto il paese e le forze politiche ad adottare uno spirito unitario e di concordia nazionale indispensabile a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Emergenza che allo stato riguarda la contagiosità piuttosto che la letalità del virus. Appelli che poggiano in gran parte su un equivoco più che mai deleterio e subordinato a dinamiche politiche potenti. La diffusione del corona virus e la gestione dell’emergenza sanitaria sono l’occasione e lo strumento per rideterminare i rapporti di forza e le relazioni geopolitiche. Da una parte il colpevole ritardo della Cina nel comunicare ed affrontare l’epidemia. Nella fattispecie vediamo che per ragioni di gestione interna e di implicita attribuzione a soggetti esterni, gli untori di turno, delle responsabilità della diffusione, tra questi numerosi paesi europei, in particolare Francia e Germania si adoperano a nascondere, minimizzare e manipolare i dati di contaminazione del virus nei propri territori nazionali; dall’altro i suddetti, spalleggiati tempestivamente dai funzionari della Unione Europea, stanno spingendo per l’approvazione definitiva entro metà marzo del MES2 ed una accelerazione della Unione Bancaria. Due trattati particolarmente deleteri per il nostro paese, in particolare nell’attuale contingenza. Una operazione di vero e proprio sciacallaggio del resto consueta nel sistema di relazioni internazionali. Per quanto riguarda le dinamiche politiche interne al paese, i provvedimenti del Governo sono comunque il frutto di pressioni, punti di vista ed interessi contrastanti; ne parleremo a tempo debito. Stanno evidenziando le crepe e le disarticolazioni delle quali soffre particolarmente il nostro apparato statale ed amministrativo. Ancora una volta anzichè a un Giuseppe, continuiamo ad assistere a più “Giuseppi”, di Mattei ne abbiamo già almeno due; bastano ed avanzano. A questo punto un Governo che si vorrebbe di “afflato nazionale”, che invoca la concordia nazionale, che cerchi piena legittimità ed autorevolezza, dovrebbe contraccambiare la richiesta di responsabilità con l’accantonamento quanto meno delle scelte più divisive del paese e delle forze politiche. Il MES2 e l’Unione Bancaria sono appunto tra le scelte più divisive e su questo le forze di governo sembrano troppo ben disposte a cedere e accondiscendere. La gestione interna dell’emergenza sta assumendo toni contraddittori e ormai grotteschi. Il virus segue certamente una logica ed una dinamica più potente delle intenzioni politiche, anche le migliori; la contraddittorietà, la comunicazione e l’uso spesso maldestri dei provvedimenti sono il frutto di un progressivo disordine istituzionale ormai ultratrentennale e di un senso civico ed uno spirito di unità nazionale quantomeno carente tanto da rendere improbo il sacrificio degli operatori impegnati nell’emergenza. Non pare proprio che questa classe dirigente, questo Governo e la stessa PdR siano in grado di contrastare queste dinamiche; ne sembrano piuttosto una espressione. Non riesce ad ottenere dai fratelli europei nemmeno forniture di mascherine, medicinali e disinfettanti, nè pare porsi il problema di cominciare a produrne in casa propria.  Pare piuttosto propensa a manipolare ad uso proprio le progressive limitazioni. Il potere è protezione, e la protezione implica sempre il dominio. Non esiste la decretazione d’emergenza che si basa sul “per favore”. Le talpe che hanno diffuso in anticipo il decreto governativo di ieri vanno individuate, sanzionate, esposte al pubblico ludibrio. Lo stesso vale per i fuggitivi. Se la situazione si fa seria, e pare sia così, il governo si avochi i poteri necessari, metta fine al disordine istituzionale, consultata l’opposizione nomini un responsabile esecutivo (meglio un militare). L’opposizione, in particolare la Lega, all’inizio dell’emergenza virus ha gravemente sbagliato, attaccando il governo e facendo leva sul disordine istituzionale nel tentativo di accedere al governo. Poi i sondaggi l’hanno informata che el pueblo non gradiva, e si è corretta. Ora fa benissimo a contestare con la massima forza il tentativo di far passare i provvedimenti dei cravattari della UE come il MES. Può dunque con piena ragione condizionare il suo indispensabile appoggio alla necessaria avocazione governativa dei poteri emergenziali. Niente MES, e responsabile esecutivo dell’emergenza scelto di comune accordo. Parafrasando Giuseppe Masala ” Se la prossima settimana a Palazzo Chigi ci fosse un Generale dei Carabinieri non mi stupirei”. L’importante è che non si chiami Pietro Badoglio._Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

Il Fiero Pasto.

Fonti dell’Eurogruppo hanno fatto sapere che è attesa l’approvazione definitiva della riforma del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) per il 16 di Marzo. Ecco, allora, non è che ci vuole Nostradamus per capire che per l’Italia la firma del Mes significherebbe suicidarsi. Le nostre banche stanno crollando in borsa e conseguentemente lo spread Btp/Bund sta salendo. E’ evidente che avremo bisogno di finanziamenti e quelli della Bce sono vincolati all’attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità. Herr Weidman ha parlato chiaro: non sono all’orizzonte misure straordinarie di erogazione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea. Letto in controluce significa: <<Chi ha bisogno di liquidità usi le procedure ordinarie attivando il Mes e firmando un Memorandum of Understanding in stile greco>>.

Ancora meno si può parlare di approvazione di norme capestro quali quella della dell’Unione Bancaria che prevedono la ponderazione del peso dei titoli di stato nazionali nel portafoglio titoli delle banche. Il cosiddetto doom loop tra banche e governi” è un concetto tortuoso e illogico che solo gli economisti – categoria maestra di pensiero gregario – può accettare. In una situazione di crollo generalizzato la logica dello spalmare il rischio sia nello spazio che nella diversificazione degli asset class non funziona: crolla tutto. Il concetto di Risk-Weighted Assets (RWA) è stato semplicemente demolito come concetto dal crollo del 2008. I tedeschi fanno finta di crederci e vorrebbero imporlo perchè è funzionale ai loro disegni. L’Italia ha un un’allocazione dei risparmi/capitali fortemente concentrata sui titoli di stato italiani e questa situazione va smontata (dal loro punto di vista) con la scusa dell’effetto contagio banche-governo. Ma le banche spagnole che hanno una distribuzione più incentrata sull’estero sono messe meglio? Non mi pare proprio, hanno centinaia di miliardi impelagati in quell’Argentina che non riesce manco a pagare le rate dell’FMI e in quella Turchia impegnata in due guerre a bassa intensità (Siria e Libia) e come se non bastasse che rischia uno scontro con la Grecia. E’ forse questa un allocazione delle risorse più razionale e meno rischiosa? Non mi pare proprio.

Perchè i tedeschi vorrebbero una allocazione meno incentrata sul nazionale da parte dell’Italia? Siamo alle solite: comportarsi alla prussiana mantenendo una parvenza di correttezza con la quale fare pistolotti morali agli altri. Ovviamente loro con questa manovra intendono attivare un meccanismo virtuoso per loro e mortale per l’Italia: convogliare verso gli assets tedeschi parte del risparmio italiano abbassando i tassi sui bund che sono già negativi e sottoponendo i capitali esteri che vi sono convogliati a una patrimoniale di fatto. Ovvero sia, le spese per l’emergenza sanitaria glielo pagano i risparmiatori italiani (che però non possono pagarle per se stessi). I tassi dei titoli italiani saliranno vista la mancanza dell’afflusso di risparmio italiano? Non c’è problema secondo loro, lo stato italiano può tranquillamente attivare il Mes firmando un Memorandum of Understendig che ci vincolerà per decine di anni a ciò che decide una società privata di diritto lussemburghese (questo è il Mes). Questo è il meccanismo. Non entro neanche nel discorso su come definire il vincolo del parlamento italiano e del governo alle decisioni di una società privata di diritto lussemburghese, dico solo che io nella costituzione italiana non vedo questa opzione che vincola il parlamento italiano nell’approvazione della legge finanziaria al placet di una società privata. Un colpo di stato bello e buono.

Semplicemente con l’attivazione di questo meccanismo mortale si vedrebbe la riedizione di quanto è accaduto con la crisi finanziaria partita nel 2008: il primo che cade viene usato come fiero pasto dagli altri che si rafforzano ed evitano così a loro volta di cadere semplicemente spolpando come degli avvoltoio il malcapitato. Chiedere ad Atene in cosa si sostanzia questo concetto. Solo che questa volta a rischiare di essere i primi a cadere siamo noi.

Scusate il sermone di primo mattino.

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NOTE A MARGINE
  • per amore di verità, spiega però che gran parte degli scenari che descrivi a partire dal secondo paragrafo fanno parte dell’Unione bancaria e non propriamente del MES2.
  • In realtà, il MES2 è preparatorio all’UB, va solo precisato che su quella l’Eurogruppo è ancora indietro. Ma non di molto. E con questo governo…
  • e si, le due cose vanno di pari passo….del resto è stato Conte a parlare di “logica di pacchetto” non avendo capito che è proprio il pacchetto che ci uccide…

tratto da https://www.facebook.com/bud.fox.58/posts/3078210225570615

IL GOVERNO PERICOLOSO DI DON FERRANTE ATTO IV (E FINALE), di Massimo Morigi

IL GOVERNO PERICOLOSO DI DON FERRANTE ATTO IV (E FINALE). NOTARELLA MANZONIANA E SCHMITTIANA OLTRE IL CORONAVIRUS DOPO IL DISCORSO ALLA NAZIONE     DEL        PRESIDENTE     DELLA       REPUBBLICA

 

Di Massimo Morigi

 

Così termina il capitolo XVII de I promessi sposi di Alessandro Manzoni: «Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all’ultimo, quell’opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione. – In rerum natura, – diceva, – non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale, in vece di passar da un corpo all’altro, volerebbe subito alla sua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da’ venti. Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile all’occhio o al tatto; e questo contagio, chi l’ha veduto? chi l’ha toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpo all’altro; ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all’altro. Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d’esantemi, d’antraci…? – Tutte corbellerie, – scappò fuori una volta un tale. – No, no, – riprese don Ferrante: – non dico questo: la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell’e buono; ma dico che non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano. Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso all’opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande l’autorità d’un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l’errore di que’ medici non consisteva già nell’affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell’assegnarne la cagione; allora (parlo de’ primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d’orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi. – La c’è pur troppo la vera cagione, – diceva; – e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell’altra così in aria… La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s’è sentito dire che l’influenze si propaghino…? E lor signori mi vorranno negar l’influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?… Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de’ corpi terreni, potesse impedir l’effetto virtuale de’ corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno? His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle. E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli.». Abbiamo tutti ascoltato il discorso alla nazione  pronunciato dal  Presidente della Repubblica per infondere fiducia agli italiani in questo grave momento dominato dall’epidemia e per esortarli ad avere fiducia nei loro numi tutelari, vale a dire, e non potrebbe essere diversamente, in coloro che  attualmente hanno  la ventura di governarli e nella scienza. A questo punto verrebbe  da dire, se si volesse essere ingenerosi, che anche la massima carica dello Stato non è esente da colpe intellettuali (non morali, sia chiaro, se no l’umile scrivente potrebbe essere accusato di vilipendio al capo dello Stato,  e se c’è una dote che deve essere riconosciuta all’attuale Capo dello Stato è che i suoi atti ed azioni sono sempre ispirati al massimo senso del dovere e per il bene del paese, che poi noi si abbia un’opinione ben diversa in cosa consista questo bene è un altro paio di maniche) riguardo la sottovalutazione del pericolo (ricordate la sua visita ai bambini cinesi, come se il rischio in Italia fosse stato quello dell’esplosione del razzismo piuttosto che la diffusione del morbo?), oppure, ma questo riguarda la pragmatica del discorso presidenziale, si potrebbe dire che questo discorso più che tranquillizzare in realtà è ansiogeno, ma questo non per colpa di chi lo pronuncia (comunicatore fiacco ed inespressivo ma ciò non è una colpa) ma per il semplice fatto che quando in una situazione difficile si comincia a dire ‘niente panico’ allora è proprio il momento di preoccuparsi. Ma come si dice, in certe situazioni come si fa si sbaglia, e cristianamente  Perché non possiamo non dirci “cristiani come incomparabilmente titolava don Bendetto nel suo aureo saggio e quindi doverosamente propensi al perdono verso il prossimo (proprio perché cristianamente consapevoli che noi siamo i primi peccatori) ed anche perché, più popolarmente pragmatici siamo sempre anche propensi di muoverci all’insegna del partenopeo ed opportunistico  ‘scurdámmoce ’o ppassato’, il giudizio che più o meno benevolmente saremmo tentati di formulare potrebbe  essere riassunto  semplicemene  dicendo che il discorso è stato un doveroso atto d’ufficio e non aggiungere sostanzialmente altro. Perché allora la citazioncella manzoniana sulla morte di don Ferrante cagionata dalla sua cocciutaggine nel volere negare le natura contagiosa ed infettiva della peste attribuendo questa  ai molto distanti – e non rimediabili –  influssi delle sfere celesti? Non è forse questo un voler ribattere sulla responsabilità (per carità, lo ripetiamo, solo intellettuale, etc.) anche del Presidente della Repubblica nella sottovaltazione del pericolo? Non proprio (ma sì, un poco anche questo…), si è cercato, invece, di dire soprattutto  un’altra cosa e non riguarda tanto le modalità retoriche attraverso le quali  ha preso forma il dovere d’ufficio di avere rassicurato il popolo italiano ed anche i concreti atti presidenziali che hanno preceduto questo indirizzo ma di esprimere una profondissima critica in merito all’idea che sta dietro non solo questo discorso ma tutti i discorsi (e i pensieri politici e gli atti) del Presidente della Repubblica. Vale a dire all’idea che a)  ci si deve sempre e comunque fidare dell’operato delle autorità, siano queste istituzionali e politiche, siano queste scientifiche (o presunte tali, cioè accreditate dal sistema politico-istituzionale), e in sistema come quello italiano fidarsi del momento politico come in quello presumibilmente scientifico, clientelarmente attaccato al carro del primo, è un atto che più di natura razionalmente politica ha più a che fare col misticismo, e noi siamo convinti che l’attuale Capo dello Stato sia una sincera, per quanto interiormente combattuta, espressione di questo miticismo antipolitico e che 2)  ancor maggior fiducia si deve accreditare alla Weltanschauung più o meno espressa dal sistema politico-istituzionale di governo – ma questa nostra critica vale anche per buona parte della cultura politica del lato destrorso, oggi formalmente ma poco convintamente,  all’opposizione di detto sistema –, una visione filosofico-politica, cioè, che arrogantemente e ipocriticamente afferma che la vita politica democratica è rigidamente governata da regole e che, queste regole, sempre e comunque sono prevalenti sulle decisioni, siano queste decisioni eventualmente vitali per le sorti del paese ma anche solo formalmente contrarie alle regole del sistema poliltico-istituzionale, e importa ancor meno se queste regole, stabilite ab aeterno e flottanti sopra la nostra testa in una astorica iperunacità, incontrino sempre meno il favore del comune sentire (siamo sempre dalle parti di un conservatore ed antistrategico misticismo antipolitico al quale ribadiamo che la storia non è altro che un cimitero di idee ed istituzioni un tempo ritenute intoccabili e in cui la loro odierna  inferiorità rispetto a quelle contemporanee è solo quella di averle precedute nello storico cimitero. Se è tramontato il mondo dell’alleanza fra Trono ed Altare  dell’ ancien régime, che dire del più o meno lontano destino delle attuali pseudodemocrazie rappresentative?…). Ciò non detto, sia chiaro, per invocare fantomatici, ridicoli ed operettistici colpi per rimediare, con rinnovata e rivoluzionaria classe dirigente,  alla presente grave situazione epidemiologica (e alla futura gravissima situazione economica che ne conseguirà), e, a parte l’improponibilità politico-giuridica di una simile scemenza (escludendola, cioè per la deriva di criminalità politica che deriverebbe dal colpo di mano; ma, nella presente situazione storica italiana,  improponibilità  politica, purtroppo,  di agire anche per via c.d.  democratica con politiche maggiormente energiche verso il Coronavirus, rispetto alle quali il governo ora con ritardo  e tentennando ha messo tremolante mano: Carl Schmitt nella sua Dittatura osservava che il presidente ex articolo 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar per difendere l’ordine pubblico «potrebbe anche far spargere gas velenosi su intere città se ciò fosse nel caso concreto una misura necessaria per il ristabilimento della sicurezza e dell’ordine»: Carl Schmitt, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, tr.it. a cura di F. Valentini, Laterza, Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 211-213 e anche in ragione della nostra ‘Costituzione più bella del mondo’ del tutto refrattaria al concetto di ‘stato d’eccezione’ quello che si è visto in questi  giorni è , in pratica, l’inversione politico-giuridica dell’ipotesi di scuola tratteggiata da Schmitt, cioè si è visto che in Italia prima che vengano riconosciuti momenti eccezionali  e si faccia qualcosa per porvi rimedio è necessario che qualcuno – nel nostro caso qualcosa –  sparga gas velenosi sul paese), non si è tanto stupidi da ritenere che il popolo è tanto buono mentre i politici che lo governano sono tanto cattivi e che quindi, con decise azioni extragiuridiche sarebbe possibile rimettere le cose a posto; in fondo, come diceva Joseph de Maistre, ogni popolo ha i governanti che si merita e se questo non vuol dire che i due livelli hanno le stesse responsabilità politiche e morali vuole perlomeno dire che della sua  mancanza di strategicità politica il popolo non ha che da lagnar sé stesso e che quindi le scorciatoie più o meno extragiuridiche per rimediare a questa situazione non farebbero altro che peggiorare la situazione. Ciò, però, invece detto, e questo sia altrettanto chiaro,  perché  –   pur augurando al Presidente della Repubblica la più lunga e felice vita possibile –  alla visione politico-ideale anche espressa dai discorsi del Presidente della Repubblica, altrettanto  auguriamo lo stesso destino (da raggiungersi, per carità, con una democraticissima e partecipatissima dal basso come dall’alto Epifania strategica) della famosa libreria di don Ferrante, quella di finire «dispersa su per i muriccioli», con le qual parole  Manzoni intendeva che i libri di don Ferrnante, che tanto avevano contribuito alla suo funereo e stupido destino, dopo la sua morte finirono sulle bancarelle dei rigattieri e noi che ci auguriamo che in futuro non troppo lontano le idee espresse dal Presidente della Repubblica e dall’auttale pensiero politico politicamente corretto siano presto un semplice relitto del passato relegato solo   alla ricerca degli storici del pensiero e/o dei curiosi eruditi librari vaganti fra i luoghi  delle –  si spera,  non ancora completamente virtualizzate – bancarelle ma non più un dannoso riflesso condizionato,  in primis delle classi dirigenti ma anche del popolo a loro sottoposto. His fretus, come sempre, non come i moderni don Ferrante negli astrali influssi degli idòla fori dell’ideologia democratico-liberale  ma, come già detto precedentemente, perchè la presente dolorosissima e disgraziata situazione epidemiologica ma anche politica del nostro paese possa essere  pronuba ad una prassisticamente concretissima Epifania strategica, la via migliore per liberarsi e combattere tutti i presenti e futuri morbi, siano questi di origine virale ma anche, se non soprattutto, di illusoria  matrice politico-ideologica.

Massimo Morigi – 7 marzo 2020

 

 

 

L’isteria al comando, di Piero Laporta

Qui sotto alcune significative considerazioni del Generale Piero Laporta. Da leggere con attenzione e con una nostra precisazione. A questo punto della emergenza un cambio della guardia al governo pare inopportuno se non esiziale; più opportuna una ampia delega ad un organismo o ad una figura preposta ad hoc_Giuseppe Germinario

Giuseppe Conte, scaricando invano sui medici le proprie responsabilità per l’epidemia, cerca di evitare di rispondere alla domanda: come si gestisce un’emergenza nazionale?

Che cos’è un’emergenza nazionale? Chi deve assumerne la gestione? Quali le modalità attraverso le quali la gestione è razionale? Innanzi tutto occorre evitare l’isteresi, cioè la reazione paradossale e fuori tempo alla sollecitazione emotiva, tanto più intensa quanto più grave è l’emergenza.

Emergenza è una serie concatenata di eventi, sul primo momento imprevedibili nei loro effetti catastrofici, ai quali è indispensabile contrapporre provvedimenti rapidi e straordinari, per circoscriverla, arrestarla, rimediare infine ai suoi effetti di breve, medio e lungo termine.
Le potenziali emergenze concernenti un’intera nazione appartengono alle seguenti famiglie: 1) bellica, 2) geosi­smica, 3)geometeorologica, 4) socioeconomica,5) agroalimentare, 6) finanziaria, 7) medica. ll carattere nazionale di queste crisi è improntato dalla valutazione del rischio potenziale, centrato su quattro punti. Primo: vastità in atto e potenziale del territorio coinvolto e delle risorse su quel territorio. Secondo: quantità in atto e potenziale di vittime. Terzo: durata potenziale. Quatto: capacità potenziale dell’emergenza incorso di innescare e concatenarsi con le rimanenti sei famiglie di emergenze di cui abbiamo detto.
.È ovvio che un capo di governo non possa anelare oltre la capacità di riconoscere l’esistenza d’una un’epidemia, potenzialmente in grado quindi di insinuarsi nel territorio nazionale italiano. Lo stesso capo di governo, dopo questa iniziale, banale consapevolezza, deve concentrare la sua attenzione sulle operazioni da compiere – immediatamente e le altre a seguire – per fermare il contagio aldilà delle nostre frontiere e, quando esse ne siano perforate, attuare le operazioni necessarie per rallentarlo, fermarlo, spegnerlo.
Un moderno Paese del G-20, l’Italia, avrebbe dovuto reagire sin dalla fine di dicembre, quandola reticenza della Cina e i nostri sensori a Pechino (ambasciata, servizi, turisti, osservatori e corrispondenti della stampa e della TV) dovevano allarmare. È comprensibile tuttavia che la novità del fenomeno abbia disorientato le decisioni. Questo non è tuttavia più ammissibile dai primi di gennaio, quando l’OMS accende i riflettori.
Che cosa fa un capo di governo in questi casi? Se la Protezione Civile non ha di suo attuato procedure di emergenza, come invece avrebbe dovuto, il capo del Governo costituisce una commissione tecnica, avvalendosi delle proprie enormi possibilità di consultazione ad altissimo Livello, offertegli dalla comunità scientifica, nazionale e internazionale – Istituto superiore di Sanità, CNR; autorità ospedaliere (Spallanzani, Sacco, San Raffaele, Biocampus, Gemelli, ecc.) nonché in conferenza con le autorità OMS e con le principali università mondiali. Ottenuta una prima valutazione del rischio, nomina un’autorità collegiale e multidisciplinare col compito di definire quattro obiettivi di primo tempo: 1) che cosa fare; 2) chi lo deve fare;3) quali risorse (umane, finanziarie e materiali) sono necessarie; 4) la politica delle comunicazioni, per impedire il panico in Italia e verso l’Italia.
Conseguito tale quadro, non oltre due o tre giorni dopo, tutti i competenti organismi tecnici ministeriali devono aver approntato proprie pianificazioni a breve, medio e lungo periodo, rendendole immediatamente esecutive.

ACCENTRARE L’AUTORITÀ

A questo punto il capo del governo dovrebbe aver già emanato dalla prima settimana di gennaio un decreto conseguente, per stabilire chi fa che cosa e in quali tempi. Un capo del governo, accentrandosi ogni autorità – com’è previsto dalla Costituzione, art. 117, comma d – avrebbe mantenuto pienamente operativo l’organismo consultivo multidisciplinare, per reagire tempestivamente al mutare delle situazioni. Che cos’è invece accaduto? A metà gennaio s’offriva una risposta paradossale, l’accusa di fascio­leghismo, a chi chiedeva, seppure scompostamente, risposte operative a un’emergenza nazionale e internazionale.
L’assenza di decisioni pianificate, coordinate, tempestive ha fatto dilagare l’epidemia. Giuseppe Conte a quel punto s’è dichiarato 《sorpreso, come fosse una casalinga davanti alla tivvù. Ha poi reagito in ritardo e con provvedimenti sgangherati, improvvisati, taluni esagerati, altri inadeguati, mentre le amministrazioni regionali si sono scollate dal governo centrale, chi con effetti positivi, chi con provvedimenti tanto improvvisati quanto grotteschi. Tale isteria ha causato la sopravvenienza di ulteriori emergenze, com’è d’altronde naturale in tali catastrofi. All’emergenza medica, si è quindi sommata quella economica, sociale e diplomatica-internazionale, senza escluderne ulteriori a venire.
Conclusione. Conte è un inetto, oscillante fra la risposta paradossale davanti alla prima sollecitazione emotiva a gennaio, per poi rincorrere in ritardo, oltre quaranta giorni dopo, la sopravanzante e per lui “sorprendente” realtà, scaricando su altri le proprie enormi responsabilità, politiche e non solo. La nave rischia di perdere anche il timone, sbattendo sugli scogli sui quali la porta il comandante fuori di testa. È ora che l’equipaggio s’ammutini, nomini un nuovo comandante, a meno che Sergio Mattarella non voglia condividerne le responsabilità.

https://www.pierolaporta.it/un-premier-inetto-e-un-po-isterico-ecco-cosa-doveva-fare-e-non-ha-fatto/

IL GOVERNO PERICOLOSO DI DON FERRANTE  ATTO III, di Massimo Morigi

 

 IL GOVERNO PERICOLOSO DI DON FERRANTE  ATTO III. L’EPIDEMIA DEL CORONAVIRUS E IL IL “PROTEGO ERGO    OBLIGO” DI THOMAS HOBBES E CARL SCHMITT 

 

Di Massimo Morigi

 

Dopo il mio primo intervento sul Coronavirus in data 21 febbraio 2020 sull’ “Italia e il Mondo” (Massimo Morigi, Il governo pericoloso di Don Ferrante: http://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200229093334/http://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-di-massimo-morigi/), cui ha fatto seguito l’ottimo  Andrea Zhock,  Coronavirus e struzzi politicamente corretti, pubblicato sull’ “Italia e il Mondo” in data 23 febbraio 2020 (all’URL http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-di-giuseppe-germinario/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200223132520/http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-di-giuseppe-germinario/), ancora, subito dopo,  un altro mio intervento, Massimo Morigi, Il governo pericoloso di Don Ferrante atto II, in “L’Italia e il Mondo”, 25 febbraio 2020 (http://italiaeilmondo.com/2020/02/25/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-2a-parte-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20200229071219/http://italiaeilmondo.com/2020/02/25/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-2a-parte-di-massimo-morigi/), sempre il 25 febbraio due interessanti interventi di Antonio de Martini e di Piero Visani (https://italiaeilmondo.com/2020/02/25/cosa-abbiamo-imparato-di-antonio-de-martini-e-cosa-dovremmo-di-piero-visani/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200229213932/https://italiaeilmondo.com/2020/02/25/cosa-abbiamo-imparato-di-antonio-de-martini-e-cosa-dovremmo-di-piero-visani/), per finire con il sempre intelligente e smaliziato Antonio de Martini cioè con Id.,
Lettera a un professore, in “Italia e il Mondo”, 26 febbraio 2020, (all’URL
https://italiaeilmondo.com/2020/02/26/lettera-da-un-professore-di-antonio-de-martini/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200229090502/https://italiaeilmondo.com/2020/02/26/lettera-da-un-professore-di-antonio-de-martini/), sembrebbe che veramente, dal punto di vista dell’analisi politica, poco o nulla ci sarebbe da aggiungere sull’epidemia del Coronavirus. Si è già detto, abbiamo tutti più o meno già detto, sull’inefficenza  dell’azione governativa, prima troppo blanda, ora magari eccessiva nella sua isteria interventista, e si è già detto, e più o meno abbiamo tutti pensato, sulla debolezza del sistema Italia in questa crisi, come, per altro, in tutte le importanti crisi nazionali ed internazionali che mettono in discussione la sua stessa esistenza. Perché allora questo ulteriore intervento? Molto semplice. Perché oltre a tutti questi pensieri da tutti più o meno condivisi ora emerge, dopo che i (peraltro tardivi) provvedimenti del governo per arginare l’epidemia sono stati presi, un altro dato di fatto allarmante, se vogliamo ancora più allarmante sia della situazione oggettivamente grave sia della tardiva reazione governativa. Vale a dire l’abissale dolosa/colposa insipienza del sistema informativo  e delle c.d. élite intellettuali nel rappresentare la situazione a sé stesse e a chi dovrbbe prendere da loro consiglio. E se per quanto l’informazione massificata non si è riusciti ad andare oltre prima ad un flebile, molto flebile “piove governo ladro” ma poi, subito dopo, irridere  coloro che, giustamente terrorizzati dalla situazione, cercavano di accaparrarsi  al supermercato qualche scatoletta di carne ed invocare, sempre presso lo  stesso governo, il ritiro della misure poche ore prima (flebilmente) invocate, per quanto riguarda coloro che dovrebbero dare per dovere professionale un contributo di pensiero ci siamo trovati di fronte allo sciorinamento di predicozzi che, quando andava bene, tuonavano contro la globalizzazione (apparentemente benissimo, ma se non si sottolinea, come invece si è pur fatto sulle pagine dell’ “Italia e il Mondo”, il ruolo del tutto ancillare che l’Italia sta svolgendo in questo scenario, si tratta di parole al vento), quando andava male, attingevano alle solite contumelie contro la c.d. società consumistica che divora sé stessa nella sua frenesia produttiva e crea, per questo motivi, inenarrabili sconquassi economico-ecologici (infatti, quando non si produceva e distribuiva in maniera così forsennata, gli agenti alfa-strategici, i poveri cioè, morivano semplicemente di fame ma questi squilibri erano assenti! o forse no, vedi Peste Antonina, Peste Nera del Trecento e Peste manzoniana del Seicento…) e quando andava malissimo, orrore-errore di quella parte del sistema informativo e di quello politico ammorbata della peste ideologica, altro che Coronavirus…!, del  “politicamente corretto”, affermavano che le quarantene sono fasciste. E se per quest’ultime prese di posizione non rimane altro da dire che ci si trova davanti ad un caso di scuola di “distruzione della ragione”, focalizzandoci sulle contumelie general-generiche contro il sistema delle c.d. moderne democrazie industriali, il grave di queste  contumelie   non è tanto il fatto che contengano una pesante critica contro il mondo “democratico” ed industrializzato nel quale ci troviamo a vivere ma l’emotività e il (falso) moralismo anticonsumistico con cui vengono formulate e questo infantilismo espressivo è dovuto al semplice fatto che, tranne pochissime eccezioni, le classi intellettuali occidentali, e quelle italiane in particolare, hanno sempre rifiutato il pensiero politico realista, il solo modo di pensare che, pur nelle sue varie declinazioni, ha sempre posto l’accento sulla illusoria semantica del termine ‘democrazia’ così come comunemente (ed erroneamente) la si esprime e ideologicamente propaganda, appunto, nelle c.d. democrazie industriali.  Sulle ragioni di questo rifiuto abbiamo più volte detto e impiegando la famosa battuta di Leo Longanesi ‘La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: Tengo famiglia’, si definiscono in un sol botto non solo politici, mezzi di informazione di massa, intellettuali nazionali (ed internazionali) ma anche il povero popolo sottoposto a questi inetti ma anche feroci signori, un popolo per il quale ‘tenere famiglia’ è un diuturno affare serio e gravoso che, implica, ovviamente, anche i tanto moralisticamente deprecati accaparramenti di scatolette et similia.  Il governo pericoloso di Don Ferrante atto II terminava con la seguente frase del grande giuspubblicista di Plettenberg: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.»: Carl Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio, e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 33.  Ora non tanto nella speranza di redimere una classe giornalistico-intellettuale-politica che è del tutto morta e, ancor meno, ovviamente, di dare un diretto contributo alla soluzione della crisi epidemiologica (a questo ci penseranno i tecnici medici e, ahinoi,  gli attuali sgangherati “decisori” politici che l’Italia ha oggi a disposizione – potrebbero essere definiti ‘lumpen decisori’ – nella speranza che questi due soggetti facciano meno vicendevole confusione di quanta ne han fatta finora, e ci penserà, anche, diciamolo chiaramente, l’epidemia stessa sulla cui natura e dinamica chi dice di sapere è la persona che men sa), ma col proposito di suscitare in tutti e in nessuno ragionamenti sul significato  filosofico-politico da attribuire alle  crisi di fiducia dei governati verso i governanti nella nostra italica c.d. democrazia  (crisi che, in questo caso, si è manifestata con gli accaparramenti di derrate alimentari, e i ganassa soloni che condannano questo comportamento si dovrebbero solo vergognare per la loro sì grande impudenza, dicono niente a costoro gli italici alluvioni e terremoti in cui l’aiuto dello Stato ai cittadini per superare la situazione è, per la sua totale assenza e inefficacia,  ancora più disastroso,  calmitoso – e finanche predatorio – dei disastri stessi?) e per stigmatizzare il sovrano che in questo, come in molti altri casi, non sa mai decidere sullo stato di eccezione, aggiungiamo altre tre altre auree massime schmittiane. La prima: «L’obbedienza non è arbitraria, ma è in qualche modo motivata. Perché dunque gli uomini danno il loro consenso al potere? In taluni casi per fiducia, in altri per timore, qualche volta per speranza, qualche volta per disperazione. Ma sempre hanno bisogno di protezione nel potere. Vista dall’uomo, la relazione fra protezione ed obbedienza resta la sola spiegazione del potere. Chi non ha il potere di proteggere uno, non ha nemmeno il diritto di pretendere da lui l’obbedienza. E viceversa chi cerca protezione e la ottiene, non ha nemmeno il diritto di rifiutare l’obbedienza.»: Carl Schmitt, Colloquio sul potere e sull’accesso presso il potente, in “Behemoth”, n. 2, anno II, 1987, pp. 47-57. La seconda: «La relazione di protezione obbedienza è la pietra angolare dello Stato architettato da Hobbes.»: Carl Schmitt, Lo Stato come meccanismo in Hobbes e Cartesio, in Scritti su Thomas Hobbes, a cura di C. Galli, Milano, 1986, pp. 52-53. La terza: «Il protego ergo obligo è il cogito ergo sum dello Stato, ed una dottrina dello Stato che non sia sistematicamente consapevole di questa massima, resta un frammento insufficiente. Hobbes ha indicato come scopo principale del suo Leviatano di riproporre agli occhi degli uomini la  “mutual relation between Protection and Obedience”, la cui inviolabile osservanza è imposta dalla natura umana così come dal diritto divino.»: Carl Schmitt, Il concetto di  ‘politico’,  in Id.,  Le categorie del politico, a cura di G. Miglio, P. Schiera, Il Mulino,  Bologna, 1972, pp. 136-137. Come sempre, declamato nella speranza che non tutto il male venga per nuocere, cioè che i vari “svuotamenti di Stato”  – o  colpi di extrastato che dir si voglia – cui stiamo assistendo in questi ultimi tempi siano veramente pronubi ad una autentica e profonda Epifania strategica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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