Lo stato della questione del Sahara, di Bernard Lugan

Nel 1956, quando il Marocco riconquistò la sua indipendenza, doveva ancora completare la sua riunificazione territoriale. La sua sovranità infatti era stata ripristinata solo sulle due ex zone dei protettorati francese e spagnolo, il che significava che diverse province o parti del paese dovevano ancora essere recuperate. Al nord, Sebta, Melilla, le isole Jaafarin, al sud, Ifni, Tarfaya, Saquia el Hamra e Oued ad Dahab, tutto sotto la sovranità spagnola.

 

Il signor Allal el Fassi, leader del partito nazionalista lstiqlal (Indipendenza), era stato molto chiaro su questo argomento il 27 marzo 1956 quando aveva dichiarato che: “Finché Tangeri non sarà liberata dal suo status internazionale finché il deserti spagnoli del sud, finché il Sahara da Tindouf ad Atar, finché i confini algerino-marocchini non saranno liberati dalla loro tutela, la nostra indipendenza rimarrà zoppa e il nostro primo dovere sarà quello di continuare l’azione per liberare la patria e unificarlo. Perché la nostra indipendenza sarà completa solo con il Sahara”. A tal fine, il sultano Mohammed V aveva dato il suo sostegno allo svolgimento nel marzo 1956 del Congresso della Saquia el Hamra dove diverse migliaia di rappresentanti di tutte le tribù della regione avevano proclamato la loro marocchinità. Nel giugno 1956 il Rguibat imbraccia le armi e nel novembre 1957 praticamente tutto il Sahara spagnolo è sotto il controllo dell’ALN, ad eccezione di tre punti di resistenza: Villa Cisneros, El Ayoun (Laâyoune) e Cape Juby (Capo Bojador, Boujdour). Questo sviluppo della situazione ai confini dell’Algeria, dove l’esercito francese stava combattendo l’FLN algerino, non poteva lasciare indifferente lo stato maggiore francese ed è per questo che, insieme alle autorità spagnole, fu deciso un intervento congiunto nel febbraio 1958. Fu Operazione Swab che ha cambiato i dati dei problemi nel Sahara Occidentale perché le tribù più impegnate nella lotta per l’attaccamento della regione al Marocco sono poi andate in esilio in territorio marocchino. Tuttavia, questi rifugiati erano al centro del problema della creazione delle liste elettorali per il referendum sull’autodeterminazione nel Sahara occidentale. Nel 1962, il re Hassan II chiese al Comitato per la decolonizzazione delle Nazioni Unite di inserire Ifni e il Sahara occidentale nell’elenco dei territori da decolonizzare. Nel 1964 e nel 1965, l’ONU sostenne la rivendicazione marocchina e invitò la Spagna ad aprire immediatamente i negoziati. Il 20 dicembre 1966 l’Assemblea Generale chiese a Madrid di restituire l’area di Sidi Ifni al Marocco e di organizzare, sotto gli auspici dell’ONU, un referendum nel Sahara occidentale. La Spagna si arrese a Ifni nel 1969, ma la spinosa questione del Sahara occidentale rimase irrisolta. Il 23 luglio 1973, i presidenti Boumediene d’Algeria, Ould Daddah di Mauritania e re Hassan II si incontrarono ad Agadir per definire un piano d’azione comune sulla questione del Sahara occidentale. Durante questo vertice sono state espresse in pieno giorno le opposte posizioni del Marocco e dell’Algeria: – La posizione di Rabat è stata chiara: in cambio del riconoscimento dell’esistenza della Mauritania da un lato e del suo confine con l’Algeria dall’altro, Algeri e Nouakchott doveva sostenere il desiderio del Marocco di recuperare il “suo” Sahara. Il Marocco ha accettato l’autodeterminazione solo a condizione che il ballottaggio avvenga o al ritorno della regione al Marocco o al mantenimento dello status quo spagnolo. – L’Algeria, che voleva invece uno “Stato sahariano” indipendente, vedeva nell’autodeterminazione un mezzo per ottenere questa indipendenza. Le soluzioni possibili erano quattro:
1) Attaccamento e integrazione in Marocco. 2) La divisione del territorio tra Marocco e Mauritania. 3) La costituzione di un’entità da definire sotto la triplice influenza di Marocco, Algeria e Mauritania. 4) La costituzione di uno Stato sahariano indipendente. Madrid ha applicato le risoluzioni Onu, in particolare quella relativa al referendum, ma in un senso non in linea con le opinioni marocchine.

Il 20 agosto 1974, re Hassan II si oppose ufficialmente al referendum indetto dalla Spagna perché, per lui, non c’era motivo di sottoporre al voto un territorio marocchino e ciò per staccarlo definitivamente dal Marocco. Quindi, il 17 settembre 1974, in questo contesto di situazione bloccata, il sovrano marocchino ha presentato la controversia marocchino-spagnola alla Corte internazionale di giustizia. Il 16 settembre 1975, quest’ultimo rese noto il suo parere: – Il Sahara occidentale non era una “terra nullius” al momento della sua colonizzazione da parte della Spagna poiché il territorio: – La Corte ha riconosciuto: “(…) l’esistenza, al tempo della colonizzazione spagnola, dei legami legali di fedeltà tra il Sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio del Sahara occidentale”. – La Corte ha ammesso: “(…) che le peculiarità dello Stato marocchino nascevano anzitutto dai fondamenti stessi del potere in Marocco, di cui il vincolo religioso dell’Islam e quello di fedeltà costituivano, più che la nozione di territorio, il due elementi fondamentali”. Legalmente in una posizione di forza, il re Hassan II cercò un modo per costringere il governo spagnolo a negoziare con lui. Ha quindi immaginato di riunire 350.000 volontari di cui 35.000 donne, in rappresentanza di tutte le province, regioni e città del Marocco, per coinvolgerli in una marcia pacifica verso il Sahara occidentale. Era la “marcia verde” che iniziò giovedì 6 novembre 1975 e che riunì diverse centinaia di migliaia di manifestanti in un’abbondanza di bandiere marocchine. Madrid ha accettato il fatto compiuto e il 14 novembre è stato firmato l’accordo tripartito Spagna, Marocco e Mauritania. Prevede la spartizione dell’ex colonia spagnola tra Marocco e Mauritania. In Marocco la parte settentrionale, cioè la Saquia el Hamra e in Mauritania la parte meridionale o Oued ad Dahab. Per il bene di una soluzione globale, il Marocco aveva quindi accettato di abbandonare la parte meridionale del Sahara occidentale alla Mauritania per allearsi con Nouakchott. La concessione, che era cospicua, fu però capita solo perché la Mauritania era diventata amica del Marocco. Tuttavia, l’Algeria e il Polisario cercarono di opporsi alla nuova situazione e nell’ex territorio spagnolo scoppiarono pesanti combattimenti. Nella zona marocchina l’esercito reale è riuscito a contenere gli assalitori ma non è stato lo stesso nel sud dove è stato surclassato l’esercito mauritano, cosa che ha costretto il Marocco ad intervenire. Per l’Algeria, infatti, non si trattava di lasciare che il Marocco si estendesse lungo la costa atlantica, chiudendo così tutti gli sbocchi del Sahara algerino a ovest e all’oceano. La sua politica era quindi semplice: contestare con tutti i mezzi il carattere marocchino del Sahara occidentale e sostenere la finzione dell’esistenza di un popolo sahariano che ha il diritto di autodeterminarsi in modo da creare un mini stato sahariano sul quale Algeri potrebbe esercitare il controllo. di protettorato. Per raggiungere questo obiettivo, l’Algeria agisce in due direzioni: 1) Contestando l’accordo tripartito del 14 novembre 1975, non riconoscendo: “ai governi di Spagna, Marocco e Mauritania ogni diritto di disporre del territorio del Sahara e del destino di la sua gente; per questo considera nulla la Dichiarazione di Principi presentata dalla Spagna e non conferisce alcuna validità alle sue disposizioni”. (Lettera del rappresentante permanente dell’Algeria all’ONU, 19 novembre 1975. 2) Dare al Polisario i mezzi militari che gli permettano di condurre una vera guerra. Prima contro la Mauritania per destabilizzare il governo, poi, poi, contro il Marocco. Algeri ha beneficiato per la prima volta del sostegno spagnolo.

Madrid ha così denunciato l'”espansionismo marocchino” e ha avanzato l’idea dell’autodeterminazione del “popolo sahariano”. Poi, dopo la “Marcia Verde” e il ritiro spagnolo, l’Algeria è rimasta sola contro il Marocco. Poiché la sua azione politica e diplomatica non aveva avuto i risultati sperati, l’Algeria diede al Polisario i mezzi militari che gli mancavano e patrocinò una “Repubblica Araba e Democratica del Sahara” (RASD) che fu proclamata all’inizio del mese di febbraio 1976 e portò al fonte battesimale dell’Algeria, il cui interesse regionale era triplice: politico, economico [2] e strategico [3]. Per Algeri non si trattava di lasciare che il Marocco si estendesse lungo la costa atlantica e chiudesse così tutti gli sbocchi dal Sahara algerino all’oceano. La sua politica era quindi quella di contestare con tutti i mezzi il carattere marocchino del Sahara occidentale e di sostenere la finzione dell’esistenza di un popolo sahariano avente diritto all’autodeterminazione, in modo da creare un mini-stato sul quale potesse esercitarsi. sorta di protettorato. Il 25 ottobre 1977 un’azione spettacolare del Polisario portò al rapimento di ostaggi europei a Zouératen in Mauritania e il Marocco si trovò costretto ad intervenire per evitare il crollo dell’esercito mauritano. Il 10 luglio 1979, un colpo di stato rovesciò il presidente mauritano Mokhtar Ould Daddah che fu sostituito dal colonnello Ould Mohamed Salek. Pochi giorni dopo, al 16° vertice dell’OUA tenutosi a Monrovia, la Mauritania ha fatto sapere che si stava dissociando dal suo alleato marocchino e ha votato una risoluzione che chiede un referendum nel Sahara. Poi, il 5 agosto 1979, ad Algeri, alla presenza di quattro ministri algerini, fu firmato un accordo di pace in base al quale la Mauritania abbandonò ufficialmente la parte del Sahara che occupava, ovvero l’Oued ed Dahab ribattezzato Tiris El Gharbia. Di fronte a quello che considerava un rischio di esca, il Marocco ha poi fatto sapere che il territorio abbandonato dalla Mauritania era storicamente parte del regno marocchino. L’11 agosto l’esercito marocchino ne prese possesso e il 14 agosto i rappresentanti delle tribù di Oued ed Dahab giunsero a Rabat per giurare fedeltà al re Hassan II. Il Sahara occidentale era tornato completamente marocchino, ma le tensioni con l’Algeria, retrobase del Polisario, non cessarono mai. Inoltre, nel 1980, il Marocco decise di costruire un muro lungo 2700 chilometri proteggendo il territorio dai raid motorizzati lanciati dal Polisario dall’Algeria, che consentirono all’esercito marocchino di riprendere l’iniziativa sul terreno. La questione del Sahara occidentale è stata ancora una volta fortemente risolta nel 2020 e nel 2021. Nel febbraio 2020, durante il 33° vertice dell’Unione africana (ULA), e quando era appena stato investito alla guida dell’Algeria, il sig. Abdelmadjid Tebboune, è chiaramente in linea con la continuità della politica algerina nei confronti del Sahara marocchino. Poi, il 9 e 10 febbraio 2021 al vertice dell’Unione africana tenutosi ad Addis Abeba, il suo presidente, il sudafricano Cyril Ramaphosa. Questo fermo sostegno della RASD e del Polisario si è basato sul capo della Commissione per la pace e la sicurezza dell’UA, il diplomatico algerino Smail Chergui, anch’egli impegnato nella causa della RASD, per cercare di bloccare i progressi diplomatici. degli interessi marocchini. Per il sostegno della RASD e del Polisario c’era davvero un’emergenza, la RASD avendo visto il suo appoggio sciogliersi come neve al sole. Infatti, ancora riconosciuto da 70 Stati membri delle Nazioni Unite alla fine del XX secolo, la RASD è oggi riconosciuta solo da 24, di cui 12 in Africa, ovvero Algeria, Angola, Botswana, Nigeria, Etiopia, Mozambico, Mauritania, Namibia, Sudafrica , Uganda, Tanzania e Zimbabwe. All’interno dell’UA, il Marocco ha un forte sostegno.

Per la cronaca, nel novembre 1985, il regno si ritirò dall’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) quando questa organizzazione riconobbe ufficialmente la RASD. Nel 2017, dopo 3 decenni di assenza, il Marocco è tornato nell’UA insieme a una politica africana attiva illustrata dagli importanti tour del re Mohammed VI nel 2016 e nel 2017 [4]. Nel tentativo di silurare la diplomazia marocchina, all’inizio del 2021, nell’estremo sud del territorio marocchino, il Polisario ha tagliato la strada che collegava il Senegal e la Mauritania al Mediterraneo prima di essere respinto dall’esercito marocchino. Poiché il Polisario ovviamente non ha agito di propria iniziativa, era chiaro che l’Algeria l’aveva ingaggiato per testare la volontà marocchina. Tanto più che il 27 febbraio 2021, ampiamente riportato dall’APS, l’agenzia di stampa ufficiale algerina, il Polisario ha celebrato il 45° anniversario della RASD in una cornice direttamente ereditata dalle celebrazioni marxiste degli anni 70. Totalmente emarginato, il Polisario, una sorta di cumulo di testimonianze delle lotte antimperialiste di un tempo, sarebbe poi sopravvissuto solo grazie allo stillicidio dei servizi algerini.

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Le ragioni della crisi franco-algerina, di Bernard Lugan

L’Algeria ha appena richiamato per consultazione il suo ambasciatore a Parigi, poi ha deciso di chiudere il suo spazio aereo agli aerei francesi  per i rifornimenti di Barkhane. La ragione? Semplice calcolo elettorale o vera e lodevole consapevolezza, il presidente Macron che, fino ad allora, parlava della colonizzazione come di un “crimine contro l’umanità”, ha sorprendentemente solo mostrato “viriltà” denunciando il cuore del “Sistema” che pompa la sostanza dell’Algeria dal 1962 Due punti della dichiarazione presidenziale hanno letteralmente ulcerato i leader algerini:

1) I predatori che governano l’Algeria sopravvivono attraverso uno squarcio di memoria mantenuto da una falsa storia.

2) L’esistenza dell’Algeria come nazione è discutibile poiché è passata direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Tuttavia, i vertici di Algeri non denunciano mai il primo.

Il presidente Macron leggerebbe dunque il mio libro Algeria, la storia al posto , un libro inviato all’Eliseo in occasione della pubblicazione del deplorevole “rapporto Stora”, e in cui la falsa storia algerina è smantellata in dieci capitoli? Si potrebbe davvero pensarlo poiché, l’Algeria vive effettivamente al ritmo di una falsa storia sostenuta da un’associazione di sanguisughe, l'”Organizzazione nazionale dei Moudjahidines” (ONM), i “veterani”. Tuttavia , come ha affermato l’ex ministro Abdeslam Ali Rachidi, “tutti sanno che il 90% degli ex combattenti, i mujaheddin , sono falsi” (El Watan, 12 dicembre 2015). Ho così dimostrato, sempre nel mio libro, che i mujaheddin erano in realtà cinque volte meno degli algerini che combattevano nelle file dell’esercito francese.

Nel 2008, Noureddine Ait Hamouda, vice RCD (Raggruppamento per la cultura e la democrazia), si è spruzzato questo falso storico e il mito dei 1,5 milioni di morti causati dalla guerra di indipendenza. Una cifra che tutti gli algerini seri considerano del tutto fantasiosa, ma che permette al “Sistema” di giustificare il numero surrealista di vedove e orfani, ovvero 2 milioni di titolari della tessera mujaheddin e beneficiari, tra cui ¾ sono falsi…
Questi falsi mujaheddin che vivono della rendita commemorativa nata dalla falsa storia, beneficiano del 3° bilancio dello Stato, subito dietro a quelli dell’Istruzione e della Difesa. Perché, “originalità” algerina , e contrariamente alla legge naturale che più si avanza nel tempo, meno c’è gente che ha conosciuto Abd el-Kader…, in Algeria, invece, più passano gli anni, e più il numero degli “ex combattenti” aumenta… Così, alla fine del 1962-inizio 1963 , l’Algeria aveva 6.000 mujaheddin identificati, 70.000 nel 1972 e 200.000 nel 2017…

Come guardare in faccia la storia quando, in Algeria, a sei decenni dall’indipendenza, si ottiene ancora la tessera di ex mujaheddin sulla semplice dichiarazione di immaginari “fatti d’armi”? Il motivo è che i suoi titolari così come i loro beneficiari ricevono una pensione statale, beneficiano di prerogative, godono di prebende e hanno privilegi. Questa carta permette anche di ottenere una licenza taxi o alcolici, agevolazioni di importazione, in particolare auto esentasse, riduzioni del prezzo dei biglietti aerei, agevolazioni creditizie, posti di lavoro riservati, possibilità pensionamento, avanzamenti più rapidi, priorità abitative ecc.
In queste condizioni, qualsiasi messa in discussione della falsa storia porterebbe alla rovina dei prebendiers e alla morte del “Sistema”. Per questo i leader algerini si sono sentiti direttamente presi di mira dalle affermazioni del presidente Macron.
 
La situazione economica, sociale, politica e morale in Algeria è così catastrofica che migliaia di giovani senza speranza tentano l’avventura mortale dell’haraga , la traversata del Mediterraneo. Quanto al “Sistema”, totalitario e impotente allo stesso tempo, messo alle strette dalla strada in un vicolo cieco, è a bada. Ridotto a espedienti e basse manovre, per cercare di creare un diversivo, per questo, completamente diplomaticamente isolato e tagliato fuori dalla sua stessa popolazione, ordinò una doppia offensiva, sia contro il Marocco, da qui la rottura delle relazioni diplomatiche con Rabat ( vedi il numero di ottobre di Real Africa) e contro la Francia. Una corsa suicida a capofitto.

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Il contenzioso tra Algeria e Marocco_di Bernard Lugan

La quasi totalità delle classi dirigenti e del ceto politico africani hanno esaurito da tempo il grande credito acquisito con le lotte di liberazione dalla colonizzazione protrattesi sino agli anni ’70. Hanno tentato la costruzione di stati nazionali sul modello illuministico-occidentale prescindendo dalla realtà clanica e tribale che nel continente, tranne un paio di significative eccezioni, aveva impedito la costruzione di una qualche forma statuale. L’implosione del blocco sovietico ha messo completamente a nudo i limiti di questi tentativi di costruzione fondati su una limitazione geografica arbitraria dettata dal retaggio amministrativo e geopolitico coloniale; ha spinto le classi dirigenti autoctone dominanti a rifugiarsi sempre più apertamente di volta in volta nella logica tribale, nella distribuzione parassitaria delle rendite, nella riproduzione di forme di dipendenza neocoloniale. La classe dirigente algerina per alcuni decenni si è conquistata sul campo ed ha goduto del maggior prestigio politico tra i popoli africani; ha saputo mettere a frutto le rivalità ed il contrasto di interessi tra i paesi europei, in primo luogo tra Francia e Italia, e la benevolenza interessata degli Stati Uniti e della Unione Sovietica per conquistare l’indipendenza prima e ottimizzare le rendite da idrocarburi e da metano. Due fattori strategicamente importanti ma che non sono stati sufficienti, da soli, a costruire uno Stato ed una nazione. Il tempo, per altro, non pare offrire una seconda possibilità visto il progressivo esaurimento delle risorse energetiche. L’Algeria è diventata alla fine uno dei tanti drammatici fattori di crisi e di instabilità nell’area mediterranea e subsahariana che non tarderà a riverberarsi inesorabilmente anche sull’Italia sia per la posizione geografica che per la dipendenza energetica del Bel Paese, ostaggio da troppo tempo di una classe dirigente talmente amorfa, smarrita ed ottusa da dilapidare il patrimonio di credibilità ed autorevolezza acquisita negli anni ’60 e ’70 con Mattei e seguito. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La crisi che ha covato tra Algeria e Marocco da parecchi anni, è scoppiata clamorosamente il 24 Agosto 2021quando Algeri ha annunciato la rottura unilaterale delle sue relazioni diplomatiche con Rabat. Poi il 22 settembre, in un’escalation politica, il governo algerino ha deciso di chiudere il suo spazio aereo agli aerei marocchini e a tutti
quelli registrati in Marocco.
Questa rottura tra i due paesi è una semplice tensione che annuncia una grande contrattazione regionale, o potrebbe essere l’esatto opposto, considerata come una vigilia
del ricorso alle armi?
In Algeria, dove nulla è detto chiaramente, tutto si basa sul non detto. Or dunque,
a fine agosto il ministro degli Esteri algerino si è lasciato sfuggire il vero motivo della crisi, dichiarando che la disputa algerino-marocchina risale all’anno 1963. Nella “guerra delle sabbie ”, quindi che ha opposto i due paesi e che ha visto una vittoria militare marocchina. Un’umiliazione che ancora perseguita Algeri.
Il cuore del problema è proprio quello dei confini tra le due nazione. Per creare l’Algeria, un paese che non è mai esistito, la Francia infatti ha smembrato il Marocco su tutto il suo confine orientale, rimuovendo diverse regioni storicamente marocchine, che siano Tindouf, Gourara, Tidikelt e altre, come spiegato e mappato in questo numero.
A questo si aggiunge la questione del Sahara occidentale, immensità strappata al Marocco dalla colonizzazione spagnola. Tuttavia, per i marocchini, questa è la loro “Alsazia-Lorena”,
mentre gli algerini vorrebbero la creazione di uno “Stato Saharawi” a loro asservito e che vieterebbe al Marocco di avere una linea costiera di diverse migliaia di chilometri da Tangeri nel nord sino al confine con la Mauritania a sud.
Hubert Védrine, ex capo della diplomazia francese ha riassunto brillantemente la questione dicendo che: “(…) il contenzioso del Sahara è un affare nazionale per il Marocco e un affare di identità per l’esercito algerino “.
Affare di identità, anzi, tanto più dell’attuale capo di gabinetto algerino, il generale Saïd Chengriha, ex comandante della Terza Regione Militare, quella che ha per cuore il Tindouf, esattamente di fronte al Marocco, il quale nutre un’avversione risaputa nei confronti dei suoi vicini marocchini. Quanto alle sue simpatie per il Polisario non occorre cercare ulteriori conferme.
Ad un’Algeria “senza sbocco sul mare”, infossata in questo mare chiuso che è il Mediterraneo, risulta insopportabile prendere atto che il Marocco al contrario, dispone di un immenso fronte marittimo oceanico tale da aprire il regno al “mare aperto” atlantico e all’Africa occidentale. Mai l’Algeria accetterà di ammettere questa realtà geostrategica. È lì il fondo del problema.
In queste condizioni, il rischio è che, messa alle strette dai suoi colossali problemi interni, l’Algeria, paese in bancarotta dopo essere stata saccheggiata coscienziosamente dai suoi dirigenti dal 1962, decida una fuga in avanti suicida a capofitto verso l’uso delle armi.

Bernard Lugan.

In Mali, ma come pedine di un gioco altrui_con Antonio de Martini

Terminata ingloriosamente l’avventura in Afghanistan al seguito del contingente americano, è in procinto di partirne una nuova in Mali, per ora con la task force Takuba e probabilmente nell’intera Africa Subsahariana al seguito della Francia. Il punto di partenza è diverso. In Afghanistan cominciò tutto con una marcia trionfale, con nobili propositi ostentati e con un desiderio di vendetta necessari a carburare disegni geopolitici complessi. In Mali l’attore principale è da tempo un figlio di un dio minore; cerca di raccogliere i cocci di una impresa infame e fallimentare in Libia nel disperato tentativo di preservare la propria zona di influenza succedanea di un passato coloniale. Le insegne sono le stesse. Si tratterebbe di combattere il terrorismo e il radicalismo islamico; la credibilità è ormai consunta e i mezzi a disposizione sono insufficienti. Quelle motivazioni rischiano addirittura di accecare la lucidità operativa e strategica. La natura dei conflitti in quell’area è soprattutto di origine tribale ed etnica; il vessillo antiislamico rischia di compattare fazioni avversarie tra di loro altrimenti in conflitto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vjnr9r-in-mali-come-pedine-di-un-gioco-altrui-ne-parliamo-con-antonio-de-martini.html

Barkhane vittima di quattro errori principali commessi dall’Eliseo, di Bernard Lugan

Qui sotto alcune considerazioni, come sempre interessanti, di Bernard Lugan riguardanti l’annuncio “sorprendente” circa i destini dell’operazione “Barkhane” in Mali e nell’Africa subsahariana. Vanno sottolineati a corollario degli argomenti dell’autore due elementi che più coinvolgono l’Italia. La decisione arriva a pochi mesi dall’invio di un contingente italiano nella regione a sostegno di “Barkhane”; la motivazione dell’invio è legata ufficialmente alla necessità di bloccare e controllare i flussi migratori in partenza da quell’area. Ai lettori l’onere di un giudizio sulla “tempestività” e sul “respiro strategico” di una tale partecipazione. Contemporaneamente all’ipotesi di ritiro delle truppe francesi, si registra una presenza sempre più importante di forze militari russe a sostegno di buona parte dei regimi e di fazioni non solo di quell’area africana. Una forza che si aggiunge alle presenze americana, cinese, indiana e turca. Presenza per altro che suggella un ritorno nel continente della Russia, sufficiente a puntellare, ma non a creare stabili aree di influenza. Germinario Giuseppe

Prendendo come pretesto il colpo di stato del colonnello Assimi Goïta in Mali, Emmanuel Macron ha deciso di “trasformare”, in realtà si dovrebbe leggere “smantellare” Barkhane [1].

Eppure, il colpo di stato dell’ex comandante delle forze speciali maliane è stato, al contrario, un’opportunità di pace. Avendo per le sue funzioni un giusto apprezzamento delle realtà sul terreno, questo Minianka, ramo minoritario del grande ensemble Senufo, non ha controversie storiche, né con i Tuareg, né con i Peul, i due popoli all’origine del conflitto [2] . Potrebbe quindi aprire una discussione di pace correggendo quattro grandi errori commessi dai decisori parigini dal 2020, errori che hanno impedito a Barkhane di esprimere tutto il suo potenziale.

1) Nel 2020 si è intensificata la lotta all’ultimo sangue che oppone l’EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) all’AQIM ( Al-Quaïda per il Maghreb Islamico ).

L’EIGS, che è attaccato a Daesh, mira a creare in tutta la BSS (Sahelo-Saharan Band), un vasto califfato transetnico che sostituisca e includa gli attuali Stati. Dal canto suo, AQIM è l’emanazione locale di ampie frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, ovvero i Tuareg e i Peul, i cui capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Peul Ahmadou Koufa, non sostengono la distruzione degli attuali stati del Sahel.

Tuttavia, contrariamente a quanto proponevano gli ufficiali militari francesi, i decisori parigini non sono stati in grado di sfruttare questa opportunità politico-militare.

2) Il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Quaïda per tutto il Nord Africa e per la banda saheliana, abbattuto dall’esercito francese su intelligence algerina, ha conferito la propria autonomia ai Tuareg Iyad ag Ghali e il Peul Ahmadou Koufa, liberandoli da ogni soggezione esterna. Poiché gli “emiri algerini” che avevano a lungo guidato Al-Qaeda nel BSS erano stati uccisi uno dopo l’altro da Barkhane, l’eliminazione di Abdelmalek Droukdal segnò così la fine di un periodo, al-Qaeda nel BSS. da stranieri, da “arabi”, ma da gente “regionale”.

Tuttavia, Parigi non ha voluto vedere che questi ultimi avevano un approccio politico regionale, che le loro richieste erano prima di tutto risorgive radicate nei loro popoli, e che il “trattamento” delle due frazioni jihadiste meritava quindi approcci diversi.

3) In questo nuovo contesto, un primo colpo di stato militare avvenuto in Mali nell’agosto 2020. Ha permesso di aprire negoziati tra Bamako e Iyad Ag Ghali, che ha ulcerato Parigi ma ha ulteriormente amplificato la guerra tra i due movimenti jihadisti .

Per la Francia, quindi, l’operazione è stata del tutto redditizia perché le avrebbe consentito di chiudere il fronte nord per concentrare le proprie risorse su altre regioni. Per questo, il 24 ottobre 2020, ho pubblicato un comunicato stampa dal titolo “Mali: serve il cambio di paradigma”.

Tuttavia, ancora una volta, Parigi non ha preso la misura di questo cambio di contesto, continuando a parlare indiscriminatamente di una lotta globale al terrorismo.

4) Mentre la liquidazione di Droukdel aveva permesso di portare alla ribalta dirigenti, certo islamisti, ma di tendenza etno-islamista, chiusi nei loro postulati, e non vedendo decisamente che esistesse un’opportunità insieme politica e militare di cogliere, i decisori parigini rifiutarono categoricamente qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo e il 10 novembre 2020, Bag Ag Moussa, il suo luogotenente è stato ucciso mentre, per diversi mesi, i funzionari francesi sul campo avevano evitato di attaccare troppo direttamente il movimento di Iyad ag Ghali.

Contro ciò che raccomandavano i vertici militari di Barkhane, Parigi insisteva quindi in una strategia “americana”, “digitando” indiscriminatamente il GAT (Gruppi armati terroristici), e rifiutando qualsiasi approccio “bene” … “francese”. …

Questi gravi errori, basati su un ostinato rifiuto di Parigi di tener conto delle realtà sul campo, per quanto ben percepiti dalla forza di Barkhane, portarono quindi a un vicolo cieco in cui la Francia entrò metodicamente. Il presidente Macron spera di uscirne annunciando l’inizio di una partenza… e una successione “internazionale” e “africana”.

Speriamo che questo disimpegno non porti a massacri su larga scala che saranno poi imputati alla Francia. Non dimentichiamo che se il genocidio in Ruanda è avvenuto dal 6 aprile 1994, è perché, su richiesta del generale Kagame, Parigi aveva ritirato l’esercito francese nell’autunno del 1993 affinché potesse essere sostituito da un esercito dell’ONU volapük che, rintanato nelle sue baracche, è rimasto passivo di fronte alle stragi… Ma è vero che il grottesco rapporto “Duclert” tanto caro al presidente Macron e al generale Kagame non cita questo “dettaglio”…


[1] L’operazione Barkhane sarà esaminata nel numero di luglio di Real Africa.

[2] A questo proposito si veda il mio libro Les guerres du Sahel dalle origini ai giorni nostri .

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Libia, le singolarità del Fezzan_di Bernard Lugan

La terza regione che compone la Libia è il Fezzan, un deserto il cui sottosuolo è ricco di petrolio e acqua, popolata da Tuareg a ovest e Toubou a est, mentre le oasi principali sono arabe.

Negli ultimi anni, diversi gruppi ribelli del Ciad avevano venduto i loro servizi a vari clan libici. L’offensiva iniziale dell’anno 2019 dalle forze del generale Haftar li aveva costretti o ad allinearsi al suo seguito o a lasciare il paese per tornare in Ciad dove l’esercito del presidente Déby li stava aspettando…
L’offensiva del generale Haftar è stata condotta in accordo con il Ciad e decisa il 16 ottobre 2018 in occasione del viaggio del generale a N’Djamena.
Il presidente Idriss Déby Itno e il generale avevano di fatto gli stessi interessi al Fezzan.
Per il presidente ciadiano un’offensiva dell’ANL (Esercito nazionale libico) guidato dal generale Haftar avrebbe disperso i gruppi armati di opposizione fino a quel momento al sicuro nel santuario libico. Per il Generale Haftar, la conquista del Fezzan, oltre all’eliminazione delle forze ostili, gli avrebbe attirato la simpatia delle tribù locali che soffrivano della loro presenza.
Inoltre, nel suo tentativo di circondare e isolare il riconosciuto pseudo-governo di Tripoli
da parte della comunità internazionale, il controllo del Fezzan è stato un passaggio fondamentale
L’offensiva di terra del generale Haftar iniziò nel Gennaio 2019 e all’inizio di marzo, l’intero Fezzan e i suoi giacimenti petroliferi erano sotto il suo controllo.
Prima dell’offensiva delle forze del generale Haftar il Fezzan era in mano a milizie raggruppate in due grandi coalizioni formate intorno alle due principali popolazioni della regione, i Tuareg a ovest e i Toubou a est. I due popoli facevano parte di due alleanze
opposte.
Il primo, formatosi intorno al Toubou, fu sostenuto dalle forze del generale Haftar, dalla
tribù Gheddafi (Kadafdha e Magarha) e armato dagli Emirati Arabi Uniti. La seconda
alleanza unisce Tuareg, arabi Ouled Slimane, le milizie di Misurata e Tripoli ed era armata
dal Qatar e dalla Turchia.

La vittoria delle forze del generale Haftar ha condannato entrambi a riposizionarsi.
Il fallimento del generale Haftar a Tripoli rischia di avere conseguenze dirette per il Fezzan e quindi ripercussioni su tutto il BSS. In effetticon  le forze di Misurata-GNA-Turchia attualmente in vantaggio, le tribù del Fezzan saranno quindi probabilmente unite a loro. Se è così, le conseguenze regionali sarebbero poi importanti perché la Turchia, che già sostiene i gruppi terroristi armati che Barkhane combatte potrebbe aiutarli ancora più facilmente.
In realtà, il generale Haftar non ha mai veramente controllato il Fezzan; i suoi unici appoggi in qualche modo affidabili sono stati alcune tribù arabe di cui lui aveva comprato i capi. Per il resto, i Toubou che odiano gli arabi, si vendono al miglior offerente; quanto ai Tuareg, si protendono verso Tripoli.
Tuttavia, il Fezzan dove le tribù definiscono le loro alleanze secondo i rapporti di forza tra
Tripoli e Bengasi, è la retrovia degli avversari del presidente Déby. Ricordiamo, nel 2019,
la loro ultima offensiva che stava per riuscire fino a N’Djamena quando fu bloccata solo dall’intervento dell’aviazione francese.
Tra questi avversari, quello che attualmente sembra essere il più pericoloso militarmente per il presidente Déby è il Toubou-Gorane Mahamat Mahdi Ali, che dirige il FACT (Front pour la alternance et la concorde au Tchad). Quest’ultimo, che afferma di avere 4000 combattenti, sa di poter fare affidamento sul bacino etnico che si estende tra le regioni di Borkou, Ennedi e Kanem.
Al momento, le sue forze sono di stanza al centro della Libia, a una sessantina di chilometri da Jufra, nella regione di Jebel Sawad
(Fonte: Consultazione Fezzan).

Il Fezzan, il Ciad e le tribù arabe della Libia
L’intreccio tra le popolazioni della Libia e del Ciad è una potente realtà [1] come pure il rischio di contagio.
L’esempio di Awlad Sulayman (Ouled Slimane) lo mostra perfettamente. Sotto il nome generico di Awlad Sulayman, si possono trovare diverse tribù o frazioni di tribù beduine, come Hassouna, Magharba, e anche parte di Kadhafda, la tribù del colonnello Gheddafi, che si era stabilita nella regione peri-chadica, soprattutto nel nord Kanem. Anche le tribù commerciali originarie della Tripolitania hanno segmenti in Ciad come il Majabra, il
Zouweye e il Massamra. In Niger, gli arabi libici controllano il grande commercio attraverso il Sahara sull’asse principale Tripoli-Sebha-Agadez. Sebha e Al Jawf sono quindi legati a Tamanrasset, Agadez

A metà del XVIII secolo, l’Awlad Sulayman controllava la parte “libica” del commercio
transahariano sull’asse Syrtes-Fezzan. In guerra contro gli ottomani che volevano sottometterli, furono sconfitti e diversi segmenti della tribù partirono poi verso il nord del lago Ciad, estendendo così il loro percorso commerciale a sud.
Avendo intrattenuto rapporti con le parti della tribù rimaste nell’attuale Libia, quindi insieme alle tribù associate, controllavano poi tutti i commerci attraverso il Sahara, dalla regione peri-chadica al Mediterraneo.
Oggi, gli Awlad Sulayman sono in rivalità con i Toubou che vivono sia in Libia che in Ciad, da qui il rischio di contagio regionale. Soprattutto da quando gli Awlad Sulayman hanno
reti tessute in uno spazio che si estende dal dal Mediterraneo all’Africa centrale.

Il Fezzan e la tratta degli schiavi
Con la conquista araba, la Libia divenne il punto culminante di gran parte della tratta degli schiavi dall’Africa sud-sahariana. Dalla regione del Sahelotchadian al Mediterraneo, il più
breve è stato davvero colui che ha preso le tracce da ovest di Fezzan via Ghat e Mourzouk,
evitando così i deserti del Tibesti a est e Ténéré a ovest.
Secondo Jacques Thiry (1995) dal 750 al 1800,  si dice che siano passati più di 5 milioni di schiavi africani del Fezzan.
Lungo i binari, la mortalità era estrema e i viaggiatori europei hanno descritto i cadaveri essiccati o gli scheletri che li hanno segnati.
L’esploratore tedesco Gustave Nachtigal descrive un raid nella regione del Lago Ciad:
“Gli aggressori – tra loro schiavi, che non erano i meno assetati di sangue, tagliare il
le teste dei resistenti, strapparono loro le viscere, hanno tagliato le loro membra; le madri preferivano uccidere i propri figli piuttosto che vederli ridotti in schiavitù; nella fase della spartizione, i bambini piccoli incapaci di camminare erano semplicemente dati a chi voleva prenderli. In altri casi, sono stati buttati via (…) Abusi sessuali erano frequenti, anche ai danni di tutte le ragazze. I Toubou sembrano aver affrontato i loro schiavi più crudelmente di quanto non abbiano fatto gli Arabi e i Tuareg, aggiungendo ulteriormente al loro
sofferenza la costrizione a indossare merci, limitando così il numero di cammelli. Era raro che una bambina di sei o sette anni anni arrivasse alla fine del suo viaggio senza essere stata deflorata dal Toubou: tale condotta provocò il disgusto dei tuareg. ”
(Thiry, 1995: 525 e 534) (vedi bibliografia).
La schiavitù non fu abolita fino a tardi che con la colonizzazione. Quest’ultimo prosciuga le
fonti di approvvigionamento occupando le tradizionali zone di caccia agli schiavi della regione del Ciad-Sahel. Da quel momento in poi il Fezzan, privato dell’unica ricchezza, entra in letargia.

[1] Il libro di riferimento riguardante le popolazioni arabe del Ciad e i loro legami con le regioni settentrionali è quello di H.A. MacMichael (1967).

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Libia, la situazione attuale_di Bernard Lugan

I Governi italiani, in particolare i Governi “Giuseppi”, con il noto “Giggino” esperto in affari internazionali, hanno assecondato con la loro inettitudine questa dinamica, consentendo l’ingresso anche della Turchia nello scenario libico, non ostante le reticenze iniziali all’intervento. Porte aperte a un nuovo interlocutore, tra i tanti (troppi), in grado di giocare nell’affollato crocevia energetico del Mediterraneo e di manipolare l’attività delle gang mafiose dedite al traffico migratorio, ma senza avere le risorse politiche e finanziarie della Germania necessarie a rabbonire le inquietudini_Giuseppe Germinario

Il 29 maggio 2018, su iniziativa del presidente Macron, e nel tentativo di riparare le terribili conseguenze della guerra geopoliticamente ingiustificabile che il presidente Sarkozy ha dichiarato al Colonnello Gheddafi, si è tenuto a Parigi un vertice sulla Libia. Questa iniziativa fallì perché, partendo ancora una volta dalla realtà, questo vertice è persistito nei due principali errori del passato:

1) Le tribù, le uniche vere forze politiche del paesi, sono state escluse.
2) L’unica soluzione proposta era ancora una volta un’agenda elettorale. Come dire parole al vento in quanto nuove elezioni non regolerebbero la questione libica rispetto a quelle del 7 luglio 2012 e del 20 febbraio 2014. Semplicemente perché la soluzione sta nella ricostituzione delle alleanze tribali dislocate dalla guerra intrapresa contro il colonnello
Gheddafi e non dalle elezioni.
Da qui l’impasse politica. Nel 2016, Vladimir Putin aveva imposto un nuovo paradigma basato sul vero equilibrio di potere. Ha aperto un nuovo scenario diplomatico con, in conclusione, il viaggio del generale Haftar [1] fatto a Mosca il 27-28 novembre 2016 e in occasione del quale il presidente Putin gli ha concesso ufficialmente il sostegno russo. L’uomo con il quale la diplomazia dell’UE si era rifiutata di parlare direttamente, diventato poi dall’oggi al domani essenziale …
Tuttavia, il generale Haftar era il maestro del Cirenaica e Tobruk, l’unico porto in acque profonde tra Alessandria e Mers-el-Kebir. Aveva l’unica forza militare del paese. Stava controllando l’85% delle riserve petrolifere della Libia, il 70% del gas, 5 dei suoi 6 terminali petroliferi e 4 delle sue 5 raffinerie. Tutto il crocevia petrolifero attraverso il quale viene esportato il 60% del petrolio libico era in suo potere.
Inoltre, aveva il sostegno della confederazione tribale di Cirenaica e delle tribù di Gheddafi di Tripolitania[2].

Con il supporto russo, tre possibilità gli si offrivano:
1) Il tentativo di conquistare tutta la Libia e l’eliminazione delle molteplici milizie gangsterislamiche che affliggono il paese.
2) Un santuario della sola Cirenaica, preludio di una partizione di fatto tra Tripolitania e
Cirenaica.
3) La costituzione di un governo nazionale in cui sarebbe stato l’uomo forte.
Ha scelto la prima opzione, ma non è riuscito a prendere Tripoli avendo il “governo di unità nazionale ”(GUN) presieduto dal signor Fayez el-Sarraj, insediato dall’Occidente, ma privo di una forza militare autonoma, fatto appello alla Turchia.
Se il maresciallo Haftar non è riuscito a prendere Tripoli, nonostante i massicci aiuti ricevuti da Egitto ed Emirati Arabi Uniti, è perché non disponeva di fanteria contro le forze speciali Turche. Inoltre, le milizie di Zintan, delle quali contava il sostegno, si sono radunate a favore dei turco-tripoliti.
La Russia, che non ha mai impegnato il suo esercito al fianco del generale Haftar probabilmente per non aprire un nuovo fronte con la Turchia, ha però tracciato una linea rossa a quest’ultima santuarizzando il fronte ad ovest di Sirte.
La domanda quindi sorge semplicemente:
– Essendo la Turchia militarmente impegnata a fianco del GNA, il generale Haftar non prenderà Tripoli.
– La Russia santuarizza la Cirenaica, quindi il GNA non prevarrà a Bengasi.

Conclusione: le trattative possono quindi riprendere. Ma su basi diverse da quelle irrealistiche, perché solo elettorali, della “comunità internazionale”.
In questo modo, in un certo senso, ci muoveremmo verso un ampio federalismo. Resta da risolvere il problema della condivisione degli idrocarburi che, vista la posizione geografica dei giacimenti, consentirebbe di trovare facilmente un equilibrio territoriale.

[1] Il generale Khalifa Haftar della tribù Ferjany la cui roccaforte è la città di Sirte, luogo di nascita del colonnello Gheddafi, fu, con quest’ultimo, uno degli autori del colpo di stato militare che rovesciò re Idriss nel 1969. Se in seguito litigava con il colonnello, d’altra parte non recise mai i legami con la sua tribù; fattore che lo colloca al centro di una strategica alchimia tribale situata all’incrocio della Cirenaica e della Tripolitania.
[2] Per tutto ciò che riguarda le tribù della Libia e le loro alleanze, vedi il mio libro Storia della Libia dalle origini ai giorni nostri.

Grazie ai buoni rapporti che il colonnello Gheddafi intratteneva con il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, erano stati presi accordi molto concreti e la Libia ne controllava le coste.
Il dramma di Lampedusa e del Mezzogiorno si spiega con il fatto che la Libia è in piena anarchia, con il paese imploso che in feudi tribali e con milizie i cui leader hanno preso il controllo del traffico della rotta trans-sahariana, compresa quella dei migranti. L’imbuto libico che è quindi il culmine delle principali rotte africane di immigrazione clandestina dall’Africa sud-sahariana, dal Corno e dalle regioni del Vicino Oriente, si è riversata nell’Italia meridionale a partire dalla guerra che ha rovesciato il colonnello Gheddafi.
Qui siamo direttamente immersi nel Camp des Saints di Jean Raspail. Questo libro profetico che risale al 1973, descrive il crollo delle società occidentali sotto lo sbarco di migliaia di immigrati clandestini arrivati ​​su navi spazzatura. Clandestino davanti al quale tutte le istituzioni crollarono a causa dell’etno-masochismo delle “élite” europee piene di sentimentalismo, sentimento che ha avuto la precedenza sulla ragione e persino sugli istinti vitali.

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Riusciranno le ONG e il Parlamento europeo a provocare la guerra civile in Ciad?_di Bernard Lugan

Intanto che, per “miracolo”, il Ciad non è (ancora?) deflagrato dopo la morte di Idriss Déby  solo perché un forte potere ha riempito il vuoto politico causato dalla sua scomparsa, il Parlamento europeo giunge a convocare il CMT (Transitional Military Council ), per avviare “urgentemente un processo democratico pluralista” chiedendo un ritorno surrealista all ‘”ordine costituzionale e al rispetto dei valori democratici”, cedendo il potere agli “attori della società civile”, al fine di “garantire la transizione pacifica attraverso elezioni democratiche ”.
Totalmente ignaro  delle faglie nella tettonica etnica ciadiana e della storia caotica del paese dagli anni ’60, accecato dall’ideologia democratica, la “cosa” di Bruxelles non poteva fare di meglio per creare le condizioni per il caos. Questa posizione fuori dal mondo non dovrebbe sorprendere perché, in verità, questa cecità  è la conseguenza del “lobbismo” praticato da ONG irresponsabili che tessono il web  ideologico in cui imprigionano il parlamento di Bruxelles. Dietro questa posizione troviamo, tra gli altri, il marchio  di “Bread for the World”, l’organizzazione delle chiese protestanti ed evangeliche tedesche, quella di “CCFD Terre solidaire”, quella di “Agire insieme per i diritti umani, quella di“ Misereor ”l’organizzazione dei vescovi cattolici tedeschi” e quella di Acat (Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura). E l’elenco potrebbe proseguire …
Così, in nome delle “virtù cristiane destinate all’impazzimento”, queste ONG, in gran parte confessionali, si sono impegnate coscienziosamente a preparare la strada alla dislocazione del Ciad, una serratura essenziale della stabilità regionale. Infatti, se il CMT avviasse un processo democratico, l’etno-matematica elettorale ciadiana darebbe potere ai più numerosi, cioè ai meridionali. Tuttavia, dall’indipendenza, la vita politica in Ciad ha invece ruotato attorno ai principali gruppi etnici del nord, ovvero gli Zaghawa, i Toubou di Tibesti (i Teda), i Toubou di Ennedi-Oum Chalouba (i Daza-Gorane) e gli arabi di Ouadaï che ammontano a meno del 25% della popolazione del paese (si veda su questo argomento il mio libro: Le guerre del Sahel dalle origini ai giorni nostri ) . Tuttavia, le ONG e gli eurodeputati rifiutano di vedere che è intorno alle loro relazioni interne a lungo termine, alle loro alleanze, alle loro rotture e alle loro riconciliazioni più o meno effimere che da allora è stata scritta la storia del paese. È intorno a loro che si sono combattute tutte le guerre in Ciad dal 1963. È dalle loro relazioni che dipende il futuro del paese, essendo la maggioranza della popolazione solo spettatrice-vittima dei loro crepacuori e delle loro ambizioni. Eccoci qua, la legge della “democrazia parlamentare …”
Se gli attuali leader ciadiani cedessero al diktat europeo ispirato dalle ONG, il Ciad cadrebbe in guerra come il Mali, con le minoranze settentrionali che rifiutano il totalitarismo democratico meridionale basato sulla sola legge dei numeri.
Il Ciad deve quindi rifiutare il ricatto democratico e il suo complice, l’odioso e ipocrita neocolonialismo della  pietà ed emotivo. Ne va della pace civile. Non perdiamo di vista il fatto che è stato il diktat democratico imposto dalla Francia socialista al generale Habyarimana che ha risvegliato e poi esacerbato le fratture della società ruandese, che hanno portato al genocidio (si veda su questo argomento il mio libro Rwanda: un genocide en questions ) .
Più in generale, e a meno di rimanere per l’eternità  colonizzati, gli africani devono cacciare gli sciami di ONG che si abbattono su di loro. Cosa possono fare queste organizzazioni costituite da persone escluse, lasciate o pensionati dai paesi del Nord, le cui motivazioni altruistiche mascherano il fatto che troppo spesso sono loro stesse alla ricerca di soluzioni ai loro  problemi esistenziali o materiali? Salvo rare eccezioni in campo medico o come nel caso di alcune ammirevoli organizzazioni come l’Ordine di Malta, questi “piccoli bianchi” soffocano letteralmente l’Africa sotto il peso delle loro lamentele umanitarie, sotto i loro “piccoli” progetti dalle “piccole” capacità, mosse da “piccole” ambizioni, tutte supportate da “piccole” risorse e soprattutto con una totale mancanza di prospettiva e coordinamento.
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La Libia del colonnello Gheddafi, di Bernard Lugan

Il 15 aprile 1973, fino a quel momento rimasto lontano dalla vita politica, Muammar Gheddafi si è imposto a capo del paese. Da quella data la Libia è diventata uno dei principali sostenitori delle reti terroristiche mondiali, dai Paesi Baschi all’Irlanda, passando per l’Africa e il mondo arabo.
Inoltre il colonnello Gheddafi aveva una politica sahariana-africana molto attiva. Ha mirato all’unione di popoli del Sahara, da cui il suo tropismo tuareg, e della regione del Ciad, da qui lunghe guerre contro la Francia. Si risolsero in due fallimenti per lui.

A differenza dell’Algeria dove la manna petrolifera serviva soprattutto ad arricchire il “sistema”, sotto il colonnello Gheddafi, la popolazione beneficiava del reddito da
idrocarburi, rendendo i libici privilegiati rispetto ai loro vicini. I servizi sanitari erano gratuiti, l’agricoltura era sovvenzionata per creare centri di produzione in pieno deserto con l’autosufficienza come orizzonte.
Dagli anni 2000, forse non istruito dall’esempio iracheno, il colonnello Gheddafi ha cambiato la sua politica, diventando anche un elemento moderatore e pacificatore della scena africana. Allora era un
corteggiato capo di stato che riceveva un benvenuto ufficiale a Parigi nel dicembre 2007, poi a Madrid.
Nel 2008 si è riconciliato con gli Stati Uniti e questo nello stesso anno la Libia assunse la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
L’unica minaccia al regime del colonnello Gheddafi è stato esercitato dagli islamisti
radicalizzatisi sotto l’impulso del precedente dell’Afghanistan inizialmente sostenuto dagli Stati Uniti. Dal 1995, la macchia era stata stabilita in Cirenaica dove, per quattro anni, si
intraprese una feroce lotta armata. Il colonnello Gheddafi li ha eliminati senza il minimo scrupolo, dichiarando al riguardo che:
“Quando un animale è malato, il veterinario deve macellarlo per evitare la contaminazione di altri animali (…) Non possiamo lasciare che questa epidemia arrici ad annientare la società. Dobbiamo essere crudeli. Chiunque sia colpito sarà considerato infetto da una
malattia grave e incurabile e dovrà quindi scomparire ”.
Nel febbraio 2011, il colonnello Gheddafi ha dovuto  affrontare una triplice rivolta, a est, in
Cirenaica, una regione sia autonomista che contesa dagli islamisti; a ovest, in Tripolitania,
nel jebel Nefusa, dove i berberi avevano giurato la fine di colui che non ha mai smesso di negare la loro identità a beneficio del nazionalismo arabo. A
Infine, Misurata, cittadina situata sulla costa, tra Tripoli e Bengasi che aveva un regolamento personale da definire con lui e dove la Turchia che aveva deciso di rovesciare il suo regime ha avuto un forte sostegno. Misurata è infatti sia la “capitale” Kouloughli che sono culturalmente rivolti verso la Turchia che roccaforte dei Fratelli Musulmani, cuore del regime di Ankara.
E mentre era diventato il nostro alleato nella lotta contro il jihadismo e contro l’immigrazione illegale, Nicolas Sarkozy e la NATO hanno dichiarato la guerra contro il colonnello Gheddafi. Quindi è stato in una sequenza di guerra civile tribale-regionale che la Francia è intervenuta per ragioni ancora molto oscure …
Infine, il 20 ottobre 2011, assediato nella città di Sirte bombardata dalla NATO, colonnello
Gheddafi ha tentato un’uscita. Il suo convoglio essendo stato attaccato da aerei della NATO, fu catturato da miliziani di Misurata e i suoi componenti ignominiosamente linciati.
Un episodio che lascerà delle tracce in futuro.
Il 22 ottobre 2011, a Tripoli, Mustapha Abdel Jalil, il leader dei ribelli, ha affermato che la legge della Sharia sarebbe ora la base della Costituzione così come della legge e la poligamia, bandita dal colonnello Gheddafi, sarebbe stata ripristinata. Cosa che non ha impedito alla stampa mondiale di lodare i risultati della guerra del “bene” che pose fine alla dittatura e ha permesso l’inizio dell’era del sistema multipartitico.
Molto rapidamente, tuttavia, la disillusione si sostituì nei media alla frenesia morale perché la Libia non esisteva più come stato.  Il paese era ormai non più che un mosaico territoriale nelle mani di una moltitudine di milizie tribali, cittadini e mafie in guerra tra loro. Per quanto riguarda le armi generosamente distribuite dalla Francia e dai suoi alleati del Qatar e della Turchia o rubate dagli arsenali, furono sparse in tutta la regione Sahelo-Sahariana.

Anniversario, di Bernard Lugan

Qui sotto l’editoriale di Bernard Lugan apparso sul suo bollettino di febbraio. Una precisazione: truppe speciali inglesi e francesi erano già presenti in Cirenaica già da almeno il 2010. Un anno prima che iniziassero i moti._Giuseppe Germinario

Dieci anni fa, nel mese di febbraio 2011, scoppiò la guerra civile in Libia. Il 10 Marzo Nicolas Sarkozy è intervenuto in questo conflitto interno riconoscendo una delegazione di ribelli come rappresentanti della legalità libica !!!

La Francia è quindi entrata in un conflitto in cui i suoi interessi non erano in gioco

A Marzo, ha ottenuto l’autorizzazione delle Nazioni Unite per impiegare l’aviazione per

“Proteggere i civili”, in realtà le Milizie islamiche in Cirenaica e i Fratelli Musulmani di Misurata …

L’obiettivo ufficiale della guerra deciso da Nicolas Sarkozy era l’istituzione dello stato di diritto. Il suo risultato fu invece questo.

Le strutture statali libiche sono scomparse, lasciando il posto agli scontri delle milizie islamo-mafiose.

Quanto al vuoto libico, ha avuto conseguenze sull’intera area ciadiana e su parte del BSS.

Per non parlare della creazione di un file pompa di aspirazione migratoria.

Questo intervento ha distrutto il sistema di alleanze tribali su cui si basava la stabilità politica della Libia.

Il regime del colonnello Gheddafi lo aveva fatto; riuscì anzi a far convivere centro e periferia, articolando poteri e rendita di idrocarburi sulle realtà locali.

Politicamente, la Libia è infatti caratterizzata dalla debolezza del potere centrale rispetto al

hotline tribali. Genuino “Breakers of horizons”, le tribù hanno assunto il controllo più forte di questi corridoi di nomadizzazione che collegano il Mediterraneo alla regione del Ciad attraverso i quali viene effettuato il traffico odierno (droga e migranti) e le solidarietà jihadiste sono ancorate.

Mancata presa in considerazione di questi dati, quelli che, in nome dell’illusione democratica, hanno innescato il disastroso intervento del 2011,sono responsabili della corrente del caos. In effetti, le due chiavi che reggono la vita politica libica sono tribalismo e federalismo.

1) La Libia è naturalmente multicentrata e il rovesciamento del colonnello Gheddafi ha amplificato questa realtà dando vita a molteplici luoghi di potere indipendenti e rivalità di legittimità nate dal

guerra. Non è possibile stabilizzare la Libia se non tenendo conto della sua archeologia tribale

[1]

.

Il fallimento compiuto dall’ISIS tuttavia potrebbe servire da lezione. Era anzi la definizione tribale del paese l’ostacolo al califfato universale sostenuto dall’ISIS; le forti identità tribali lo hanno reso impossibile a causa anche dell’innesto di un movimento composto per lo più da stranieri. Come allora affermare di voler mettere fine al conflitto in corso quando le tribù, ossia le uniche vere forze politiche del paese sono escluse dalle trattative?

2) La Libia non ha un centro unificante. Le tre province che lo compongono non hanno punti di saldatura e sono separate da una massa sahariana vuota al 95%, mentre più del 80% della popolazione è concentrata su una stretta fascia costiera.

La soluzione quindi coinvolge due imperativi:

1) La ricostituzione delle alleanze tribali forgiate dal colonnello Gheddafi.

2) Un vero federalismo, perché la Cirenaica non accetterà mai la finzione di uno stato libico dominato dalla Tripolitania… e viceversa.

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