Italia e il mondo

Rassegna stampa tedesca, 61a puntata a cura di Gianpaolo Rosani

Finora Putin ha sempre dato per scontato un partenariato alla pari con la Cina. Ma questo è ormai
passato, perché l’asimmetria nelle relazioni è in continuo aumento. A causa della guerra in Ucraina
e delle sanzioni occidentali, la Russia sta diventando sempre più dipendente dalla Cina. Non solo
in campo economico, ma anche la fornitura di beni a duplice uso per la produzione di droni è di
notevole importanza per la guerra. Eppure, per molto tempo la Russia è stata il principale fornitore
di armi moderne per la Cina. La concorrenza sul mercato degli armamenti, un forte fattore di
esportazione per la Russia, potrebbe incidere pesantemente sulle relazioni future.

05.11.2025
PUTIN E XI: PARTENARIATO SOLIDO O
ALLEANZA GEOPOLITICA?
Il capo di Stato cinese Xi e il presidente russo Vladimir Putin si presentano ostentatamente come fratelli
strategici nello spirito. Ma dietro la facciata si nascondono un pensiero di potere spietato, rivalità
geopolitica e diffidenza tattica. Un’analisi dell’esperto di politica di sicurezza, il brigadiere in pensione
Walter Feichtinger.

Il brigadiere in pensione Walter Feichtinger è presidente del Center for Strategic Analysis (CSA)
Nonostante tutta l’unità ostentata dai capi di Stato russo e cinese, sorge spontanea la domanda se questa
sia solo il risultato dell’attuale situazione geopolitica o se abbia una sostenibilità strategica.

Quando strade, piazze ed edifici sono ridotti in macerie dopo i bombardamenti, si pone sempre la
stessa domanda angosciante: cosa ne sarà della città? Come dovrà essere ricostruita? La
ricostruzione dopo le guerre non è mai solo un problema logistico, tecnico o economico. È sempre
anche un processo profondamente politico e culturale. Se guardiamo agli attuali teatri di guerra –
come Gaza, Mariupol, Kharkiv – è chiaro che oggi non si tratta solo di sostituire gli edifici distrutti.
Si tratta di creare spazi che possano guarire: città che restituiscano ai loro abitanti un senso di
sicurezza e paesaggi urbani che, nonostante la devastazione, creino una nuova identità.
Altrettanto fondamentale è il rispetto del patrimonio culturale storico. È fondamentale che la
ricostruzione non sia guidata solo dai governi o dagli investitori internazionali.

Novembre/Dicembre 2025
Come le città possono ritrovare la propria
identità dopo la distruzione causata dalla guerra
Architettura con cicatrici – Ricordare, guarire, rinnovare

Di Mila Nardi
Le guerre non distruggono solo vite umane, ma anche il nostro ambiente costruito. Questo è molto più di
un semplice spazio in cui vivere, lavorare o studiare.

Angela Merkel rappresenta tutto ciò che molte persone non trovano nel suo successore Merz. La
moderazione, la ragionevolezza, l’affidabilità, l’empatia, la capacità di unire. Mentre Merz polarizza,
divide ed emargina, Merkel incarna l’opposto. È il suo tono che molti ora rimpiangono, non la sua
politica. Con ogni crisi di coalizione e con ogni gaffe verbale del Cancelliere cresce così la
nostalgia per i presunti bei vecchi tempi di Merkel. Anche tra i suoi avversari politici. E poi c’è l’altro
mondo. Un mondo in cui Merkel suscita reazioni di rifiuto così violente come pochi altri politici
tedeschi. In cui scoppiano polemiche non appena prende la parola. E ogni sua dichiarazione
pubblica viene esaminata al microscopio per vedere se contiene anche solo un briciolo di critica al
Cancelliere. Perché è risaputo che Merz e Merkel sono legati da decenni da una profonda
avversione. Quasi sempre si trova qualcosa. Un’ex cancelliera può permettersi di farlo?

07.11.2025
La regina madre tedesca
Carriere – Ogni passo falso del cancelliere fa crescere in molte persone la nostalgia per i presunti bei
vecchi tempi della Merkel. È il suo tono, il suo modo di presentarsi che manca loro. E la Merkel asseconda
volentieri questa nostalgia.

Di Konstantin von Hammerstein
È un piccolo gruppo di amici che Norbert Lammert invita un giovedì di ottobre alla Società Parlamentare di
Berlino. Il presidente della Fondazione Konrad Adenauer offre la cena all’ex cancelliere austriaco Wolfgang
Schüssel, che ha compiuto 80 anni a giugno.

Si sta preparando qualcosa, ancora una volta, tra i socialdemocratici. L’SPD sembra un partito di
opposizione che sa soprattutto cosa non vuole. Che non crea, ma amministra i beni acquisiti. Che
frena. Questo diventa un problema per il governo federale. Alla fine di novembre partirà la
missione “Sviluppo di una visione”, come recita una presentazione interna. La notizia circola già da
tempo anche negli ambienti della CDU, dove suscita grande preoccupazione. La SPD deve
mantenere la promessa fatta dal leader del partito Klingbeil la sera stessa delle elezioni: non solo
un cambio di personale, ma un vero e proprio rinnovamento programmatico. Sono previsti due
anni per il processo di ricerca dell’identità. Su una cosa molti sembrano essere d’accordo: al partito
manca un grande progetto che lo unisca e lo entusiasmi, i compagni frustrati chiedono nientemeno
che una visione per il loro partito, incastrato tra Die Linke, AfD e Unione. I classici temi della
giustizia, dall’imposta di successione all’imposta sul patrimonio, non funzionano più.

STERN
06.11.2025
ANCORA SVEGLI?
L’SPD non sa cosa vuole. E proprio ora si lancia in una ricerca programmatica di sé stessa. La coalizione
potrebbe trovarsi in una situazione divertente.

Di Florian Schillat,
La salsa di soia sarebbe perfetta adesso. Il segretario generale dell’SPD ha ordinato del sushi, ma in tutta la
Willy-Brandt-Haus non si trova traccia di salsa di soia.

Nonostante gli attuali alti risultati nei sondaggi dell’AfD di estrema destra, un sondaggio rileva un
numero inferiore di persone con una visione del mondo di estrema destra rispetto a due anni fa.
Tuttavia, il 19,8% è d’accordo con le dichiarazioni nazionaliste. Un quarto della popolazione ritiene
addirittura che “ciò di cui la Germania ha bisogno ora è un unico partito forte che incarni la
comunità popolare nel suo insieme”. Il 23% pensa che “l’obiettivo principale della politica tedesca
dovrebbe essere quello di garantire alla Germania il potere e il prestigio che le spettano”. Quasi il
24% non ha più l’impressione che “la democrazia tedesca nel complesso” funzioni, più del doppio
rispetto a sei anni fa. Questo sviluppo spicca in modo particolare. “La fiducia nelle istituzioni e
nell’attuazione dei principi democratici sta diminuendo drasticamente”. Un altro dato corregge
invece un cliché: non c’è quasi alcuna differenza tra la Germania orientale e quella occidentale per
quanto riguarda l’estremismo di destra.

07.11.2025
Il 76% contro l’estremismo di destra
Le posizioni di estrema destra in Germania sono complessivamente diminuite. Tuttavia, non sono pochi
coloro che desiderano un leader che “governi con pugno di ferro”. Come si concilia tutto questo e cosa
può aiutare a contrastarlo?

Di Gareth Joswig e Stefan Reinecke
Iniziamo con la buona notizia: oltre tre quarti della popolazione tedesca rifiuta le idee di estrema destra,
ovvero il 76,1%, con un aumento di 4,5 punti percentuali rispetto a due anni fa.

Nei primi due anni del governo Meloni, i dati sull’immigrazione hanno subito un drastico aumento.
Invece della promessa riduzione del numero di arrivi registrati, nel 2023 si è verificato un aumento
significativo: da 105.131 nel 2022 a 157.651. Solo il 2024 ha portato la svolta sperata, rendendo il
calo ancora più spettacolare: il numero di migranti è sceso a 66 137. La chiave del successo sono
stati gli accordi che Meloni ha concluso con i paesi del Maghreb, Tunisia e Libia, e coordinato con
la Commissione europea. Si è trattato di una soluzione pragmatica, che per molti aspetti si è
differenziata dal clamore della campagna elettorale: una sorta di via di mezzo tra l’azione
nazionale autonoma e il partenariato europeo. Da allora, infatti, i numeri sono rimasti stabili. Da
oltre un anno non si registra più alcun calo: gli sbarchi si attestano al livello del dicembre 2021,
quando era ancora al potere il governo di Mario Draghi. Centri vuoti in Albania.

07.11.2025
Disillusione dopo i primi successi
I dati italiani sull’immigrazione rimangono ai livelli del 2021

Di LUZI BERNET, ROMA
Quando Giorgia Meloni ha recentemente celebrato il terzo anniversario della sua entrata in carica, il
governo ha presentato un bilancio provvisorio di 68 pagine. Il documento è corredato da innumerevoli
tabelle e cifre che dovrebbero dimostrare il successo della coalizione di governo. Solo a pagina 29 si parla di
migrazione. Ciò è sorprendente, dato che il tema è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna
elettorale di Meloni.

Si discute della qualità del lavoro del Cancelliere e della sua Cancelleria. Merz spesso non ha
fortuna nella scelta del personale, si dice nel gruppo parlamentare dell’Unione. Nel gruppo
parlamentare crescono le preoccupazioni per la scarsa popolarità e notorietà dei vertici. Ci sono
deputati che non solo trovano infelice la scelta del personale di Merz, ma anche la scelta dei
ministeri. Al momento, nel gruppo parlamentare dell’Unione sembra esserci un autunno di
malcontento nei confronti del suo governo.

07.11.2025
I compagni di partito dubitano di Friedrich Merz
In realtà, il Cancelliere voleva guadagnare punti con un autunno di riforme, ma ora deve fare i conti con il
forte malcontento del suo gruppo parlamentare dell’Unione. E non solo per il caso Wadephul.

Di Robert Rossmann – Berlino
I deputati amano sparlare dei loro capi, in questo non sono diversi dai dipendenti delle aziende. Queste
cose vanno prese sul serio solo con le dovute riserve.

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Nuove strategie nella guerra culturale _di Aude de erros

Nuove strategie nella guerra culturale 

di Aude de Kerros

I rapporti di forza nel mondo sono cambiati. La tecnologia digitale e l’open source dell’intelligenza artificiale hanno tolto il monopolio della visibilità ai mass media. Questi sviluppi hanno reso in gran parte obsolete le armi della guerra culturale praticata tra il 1947 e il 2025.

Marzo 2025 – Donald Trump cambia strategia e armi culturali

Nel marzo 2025, elimina tutti i fondi destinati al soft power americano nel mondo. Ciò comporta, tra l’altro, la cessazione dei finanziamenti alle reti di influenza, ai media, alle associazioni, alle istituzioni, alle ONG, alle reti intellettuali, artistiche e di informazione. Fa lo stesso all’interno dei confini degli Stati Uniti, eliminando i fondi federali destinati alla cultura, tra l’altro attraverso la NEA[1], National Endowment for the Arts, constatando che i metodi di manipolazione esercitati nel mondo dal soft power americano si erano ritorti, come un gas tossico, contro l’America che ne era stata l’emittente.

La sua politica è un ritorno alle antiche regole della democrazia e del liberalismo americano: secondo il famoso Primo Emendamento, grande orgoglio dell’identità americana, nessun pensiero, convinzione o credo può essere censurato! Per preservare questo principio, tutto ciò che è culturale, intellettuale e artistico appartiene alla sfera privata e riguarda il mecenatismo. Lo Stato non deve finanziarlo. Di fronte alla crisi, Donald Trump, formatosi nel mondo del commercio e dell’imprenditoria, torna alle soluzioni tipiche del liberalismo americano: proteggere la concorrenza, l’economia di mercato che dovrebbe autoregolarsi. Una delle misure adottate nel 1929 per uscire dalla crisi fu quella di votare leggi antitrust e contro i cartelli.

Eliminando i fondi federali destinati al soft power, Donald Trump ha posto fine a tre quarti di secolo di strategie che hanno portato alla vittoria in due guerre culturali il cui obiettivo era quello di rendere l’America il punto di riferimento culturale mondiale. Il loro obiettivo: intellettuali, artisti ed élite colte. Per controllarli era necessario, attraverso la cooptazione, privarli di ogni altra fonte di legittimità basata sull’entusiasmo del pubblico, sul riconoscimento dei pari o su criteri di eccellenza comprensibili e condivisibili. A tal fine era necessario creare un profilo, un’etichetta dell’artista, dell’intellettuale “contemporaneo” in modo che fosse il meno attraente possibile. Così è stata loro assegnata la missione umanitaria di garantire la critica della società, di avere una funzione “rivoluzionaria”, di disturbare, umiliare lo “spettatore” e le sue certezze. Inoltre, poiché ogni identità è considerata un fattore di guerra, il suo compito è quello di decostruire la civiltà, il patrimonio, il valore artistico riconosciuto. Nell’era egemonica, gli viene aggiunta una nuova missione moralista, meno negativa: la difesa dei “valori sociali” che si limitano a quattro temi: sesso, genere, clima, razzismo. Queste strategie di influenza attraverso la cooptazione-corruzione hanno potuto funzionare perché erano inimmaginabili per la gente comune non iniziata e quindi impercettibili per le élite che le hanno accettate volentieri a causa dei vantaggi che ne derivavano, o subite senza comprenderle da coloro che non le accettavano.

Tagliare i fondi a questo tipo di soft power significa annientarlo, poiché il suo potere deriva dalla legittimità conferita alle arti e alle idee dalle istituzioni. Il loro prestigio non è frutto di una concorrenza, di un confronto che consente una scelta, ma è creato dalla cooptazione, in un circuito chiuso, che implica la collaborazione di istituzioni pubbliche e private.

Il soft power soppiantato dal «deal power»

La notizia della soppressione finanziaria ha avuto scarso risalto mediatico, come se non fosse mai avvenuta. La domanda non è stata posta: con quale altra arma è stata sostituita?

La risposta potrebbe essere una pubblicazione dell’amministrazione americana del luglio 2025, che assomiglia a una tabella di marcia: l’America’s AI Action PlanSi tratta del progetto che intende sfruttare tutte le possibilità offerte dall’IA resa open source nel novembre 2022.

Vi si trovano i principi di una nuova forma di influenza basata su una IA cosiddetta “open source”, concessa gratuitamente, che include: codice, dati, metodo di riproduzione, proposta al mondo con la minima censura possibile per quanto riguarda il contenuto.

L’America ha un vantaggio in questo campo rispetto ai suoi concorrenti che offrono un’intelligenza artificiale “open-weight”, che non fornisce né codice né riproducibilità e pratica la censura dei contenuti necessaria per proteggere il proprio potere. L’open source è un rischio calcolato che non tutte le potenze possono permettersi senza mettersi in pericolo. È su questo differenziale che si basa la nuova strategia. Essa durerà fintanto che saranno mantenuti il libero accesso gratuito allo strumento digitale e la fiducia basata sulla non censura.

Donald Trump abbandona l’arma dei mass media e quella degli intermediari influenti come le ONG. Punta sul nuovo strumento digitale che agisce in modo altrettanto discreto e delicato, ma in modo diverso: diventa il suo principale mezzo di comunicazione. Il suo obiettivo è quello di riportare in America i talenti di tutto il mondo, incoraggiare la concorrenza, attrarre le élite creative. A tal fine, abbandona la cooptazione in cambio di sottomissione, di intellettuali e artisti dal profilo progressista-decostruttivo.

L’America può permettersi questo lusso fintanto che si trova in una posizione vantaggiosa sul piano della concorrenza mondiale. Con l’offerta dell’intelligenza artificiale open source, l’America propone un “accordo” a partner meno potenti di lei. L’America può correre il rischio di questa generosità, ma deve farlo in modo trasparente e realistico. Perché se non è più egemonica e deve ora affrontare la concorrenza, ha il potere di proporre un “accordo” che sarà certamente asimmetrico a suo favore, ma ha tutto l’interesse a non abusare dei suoi partner, assicurandosi che anche loro ne traggano vantaggio.   

L’America intende così ripristinare la fiducia nei propri confronti a livello internazionale. L’offerta dell’open source la rende così una potenza piuttosto positiva che si basa su un rapporto di forza, “cash”, realistico, tra i partner. Per questo, torna alle origini della sua identità: il liberalismo basato sulla concorrenza, il rifiuto dei monopoli, delle guerre, fedele al multiculturalismo, contrario al globalismo culturale.

I vantaggi che l’America trae da questa nuova arma e strategia sono notevoli, anche se poco percettibili. L’intelligenza artificiale, presente nei telefoni di tutte le tasche e borse del mondo, è in contatto diretto con un pubblico dalle molteplici identità. Non è quindi più necessario ricorrere ai costosi intermediari dell’influenza precedenti al 2025: ONG, organismi, istituzioni pubbliche e private, mass media, ecc. [2]

Inoltre, in cambio dei suoi servizi gratuiti, raccoglie un tesoro di informazioni preziose e dati utili alla sua economia. Per i creatori, gli imprenditori, i ricercatori, gli artisti e gli intellettuali, l’IA è un vantaggio. L’accesso gratuito agli archivi fa risparmiare tempo e accelera le esplorazioni e le ricerche che non sono quindi riservate alle cerchie endogame dell’intellighenzia che esiste istituzionalmente senza pubblico. La condivisione delle conoscenze e il dibattito intellettuale sono oggi necessari a ogni uomo di pensiero, di azione o di creazione, in tutti i campi, siano essi militari, economici, artistici, tecnici o scientifici. La sfida è quella di comprendere rapidamente, adattarsi, trovare soluzioni e farlo oltre i confini!

Il digitale sta diventando un campo di battaglia e di scontro tra potenze concorrenti e avversarie allo stesso tempo. Queste ultime utilizzano le risorse digitali in molti modi diversi. Il potere degli algoritmi, così utile per la ricerca, lo scambio di competenze e la collaborazione per il bene comune, può anche fornire un vasto arsenale di metodi di confusione cognitiva, disinformazione, manipolazioni semantiche, ecc. Alcune potenze sceglieranno il controllo politico, altre il potere di attrazione, e li useranno per conquistare o difendersi, ciascuna secondo i propri mezzi. Tutte useranno senza dubbio entrambi, ma in proporzioni molto diverse.

Nuova scelta per l’esercizio del potere: agire in rete aperta o in rete chiusa?

Il potere specifico offerto dal digitale è l’uso delle reti. Esso è stato moltiplicato dall’intelligenza artificiale open source. In modo fulmineo, confronti inediti hanno assunto proporzioni inaspettate. Ha messo in forte competizione il settore pubblico e quello privato, le identità locali e il mondo internazionale, le potenti istituzioni consolidate con reti più piccole, ma più aperte, più flessibili, più veloci e meno costose, per fornire soluzioni ai problemi.

Queste reti aperte sono una novità resa possibile dal digitale open source. Hanno accesso a talenti unici, ora visibili in tutto il mondo e condivisibili. Ci si riunisce per affinità, complementarità, adesione al bene comune. Possono funzionare solo se la regola è: trasparenza, fiducia, libertà. In questo modo si crea un collegamento tra domanda e offerta. Queste reti aperte hanno tuttavia un punto debole: sono informali e la libertà di ciascuno rende il legame di solidarietà suscettibile di essere messo in discussione in qualsiasi momento.

Di fronte a loro, le reti chiuse non hanno questa debolezza perché non si entra sempre per il talento, ma piuttosto per il profilo, il che rende il cooptato dipendente e inevitabilmente solidale. I suoi pilastri sono la gerarchia, la segretezza, l’interesse comune. Il cemento è forte, è legato alla nascita, al potere, al denaro, alla conoscenza o persino al crimine. La loro debolezza risiede nel fatto che la creatività, il talento, la preoccupazione per il bene comune passano dopo la conservazione e la solidarietà della rete, tutte cose che implicano una lentezza nell’agire, nell’adattarsi alle emergenze, al ritmo frenetico imposto dalle nuove tecnologie della comunicazione che richiedono una risposta immediata. Qui ritroviamo la differenza tra il drone e l’aereo da caccia.[1] Sul tema delle reti aperte e chiuse, Christophe Assens descrive bene questo nuovo campo di battaglia in un libro pubblicato questo mese: Réseaux d’influence et souveraineté de la France[3].

È difficile prevedere, nell’arco di sei mesi, le conseguenze della soppressione da parte di Donald Trump dei finanziamenti al soft power nel mondo culturale, arma essenziale dell’arsenale americano. Non è ancora possibile valutare l’efficacia della nuova strategia del “deal power”. Si tratta di un approccio molto ambizioso, poiché deve accettare il rischio, si basa su un realismo condiviso con il partner e poggia sulla fiducia che richiede il rispetto della libertà.

Quali saranno in futuro le proporzioni tra le strategie positive del “deal” e le strategie di manipolazione del “soft”, oggi più conosciute e quindi meno efficaci? L’America riuscirà a mantenere gratuitamente, trasparenza, condivisione open source di dati il meno censurati possibile?

Tuttavia, alcuni segnali sono evidenti: – nel luglio 2025, il capo di Google ha dichiarato che la strategia di censura praticata durante il Covid non si ripeterà in futuro. Dopo aver constatato il risultato negativo del divieto di qualsiasi dibattito sui vaccini, ammette che in questo modo sono stati favoriti interessi particolari, lontani dal bene comune.

– Nell’ottobre 2025, Elon Musk annuncia la creazione di un concorrente di Wikipedia. In questo modo sarà possibile confrontare diversi punti di vista sugli stessi argomenti, il che è una buona notizia per la vita intellettuale, scientifica e artistica, che non può prescindere dalla concorrenza tra fonti di informazione, idee e conoscenze per essere feconda.

[1] Di cui una parte passa attraverso la NEA, agenzia culturale federale dedicata alla cultura all’interno degli Stati Uniti, creata nel 1965.

[2] Così, in Europa, Mistral AI sembra affermarsi silenziosamente, mettendo a disposizione le proprie risorse, i modelli e i marchi americani.

[3] Christophe AssensReti di influenza e sovranità della Francia, Editions VA 2025

Onora il padre e la madre_di WS

In un suo contributo l’ amico Ernesto ha sollevato il problema della “Patria”, un concetto/valore molto complesso. Dopo averlo profondamente eroso le attuali élites globaliste che ci dominano, sicuramente e presto, ripristineranno perché serve a LORO per mandarci a morire in guerra per i LORO interessi, essendo il richiamo della “Patria” “l’ ultima risorsa delle canaglie” utile a questo scopo.

Che è poi ciò che teme Massimo Morigi in questo suo intervento e che io riprendo partendo dal presupposto di Morigi che “Il compito della politica è quello di imporre anche ai pochi, qualche volta, alcuni sacrifici appunto nell’interesse di tutti.”

Cosa però improbabile laddove i ”padroni della politica” possono semplicemente , quando serve, utilizzare il concetto di “bene comune” per imporre ai “tanti” sacrifici nel nome di “tutti” .. ma per interessi LORO.

Non lo abbiamo forse recentemente visto con la “pandemia” ?

E non lo abbiamo anche visto nella prima delle LORO guerre mondiali laddove le masse dei contadini, gli operai gli servivano in fabbrica, furono mandate a morire nelle trincee in nome della “Patria” promettendo loro la terra che poi col cavolo gli fu data?

Perché quanto auspica Morigi può avvenire solo per la resipiscenza di “qualcuno” dei “pochi” che coarta tutti gli altri “pochi” , e solo sulla base dell’ assunto di un destino comune che non riguarda solo il futuro ma anche “il passato”. Non fece questo Augusto ? Non sta tentando di fare questo Putin ?

La questione della “Patria” esula la forma politica con cui essa si esprime sebbene io concordi con Morigi che la “repubblica” la incarni almeno simbolicamente molto di più.

Singoli capi possono però realizzarla più efficacemente grazie al loro rapporto diretto con il popolo. Il problema, però, in questi casi sta nel meccanismo di successione come ho già descritto in altri interventi in questo blog.

La sostanza comunque è che tra “popolo” ed élites ci deve essere un “ contratto” che li obblighi reciprocamente su valori comuni . Possiamo chiamarlo SPQR o “democrazia” o “dittatura” o “impero”, ma l’ impegno delle élites a sacrificarsi per un bene comune è fondamentale affinché anche il “popolo” ci si sottometta volontariamente.

Massimiliano I d’ Asburgo, un altro soggetto che andrebbe studiato più attentamente, creò la fortuna della sua casata sposando la derelitta orfana di Carlo il Temerario il cui ricco ducato di Borgogna era ormai in mano francese giacché , dopo la morte di Carlo ,gran parte della elite borgognona aveva già giurato fedeltà al Re di Francia.

Massimiliano non aveva un esercito, aveva con sé solo due migliaia di Tirolesi e pochi cavalli; l’ esercito francese al contrario aveva decine di migliaia di cavalieri.

Ma aveva visto come i fanti svizzeri avevano a Morat distrutto la cavalleria del suo futuro suocero e così ,giunto a Gand, si rivolse ai contadini fiamminghi e li inquadrò “alla svizzera” promettendogli la terra dei loro signori ribelli alla propria autorità .

Massimiliano a Guinegatte non avrebbe però vinto la cavalleria francese se non avesse schierato se stesso e suoi tirolesi in prima linea in mezzo ai fanti fiamminghi.

Questo concetto che “noblesse oblige “ se si vuole veramente comandare, i Romani l’avevano capito benissimo e applicato in quello che era appunto il massimo sacrificio da chiedere : morire in guerra.

L’ ordine di battaglia della repubblica romana imponeva infatti uno schieramento in ordine di età che coinvolgeva tutte le classi . Nelle quattro linee destinate ad entrare in combattimento in sequenza dai più giovani impegnati in prima linea ai più vecchi posti nell’ ultima, erano tutti coetanei , “ricchi” e “poveri” patrizi e plebei.

Così non solo ogni “ familia” doveva versare alla repubblica lo stesso “tributo di sangue”, ma solo i figli del patriziato che avevano mostrato a TUTTI sul campo di battaglia il proprio valore lottando insieme ai loro coetanei potevano, partendo dalla “prima linea” , cominciare il “cursus honoris” che li avrebbe eventualmente portati a diventare in vecchiaia i “patres” della repubblica.

Perché “Patria” ( alias ” terra dei padri” ) è infatti una parola che evoca un “destino” che guarda al passato , sia perché si richiama a “chi non c’ è più”, ma soprattutto evidenzia quanto l’ essenza di questo “destino” dipenda dagli uomini che hanno “generato” il mondo poi lasciato ai ” figli”.

E questa eredità è essenzialmente culturale sebbene sia imprescindibile da quella “genetica”.

Qualcuno infatti avrà notato la “disinvoltura” con cui i romani ” affiliavano” i figli degli altri “. Ma questo era a discrezione totale del “pater familias” e sulla base di elementi stringenti quali :

1) si trattava sempre e solo di “maschi”

2)le strettissime relazioni già intercorse tra i due ” pater familias” 

3) le minori risorse della “familia” dell’ adottato

4) la mancanza di eredi all’ altezza di succedere al “pater familias” adottante

5)l’ affido in giovane età dell’ adottato all’ adottante onde ricevere “come un figlio” la cultura e gli arcana imperii della “familia” adottante.

 Si capisce quindi ora quanto “la famiglia” sia il mattone fondamentale di una società che volesse chiamarsi “patria” e perché la famiglia in generale e “il maschio” in particolare siano i bersagli primari di chi vuole cancellare FISICAMENTE e per SEMPRE i “bianchi” cioè noi ” ultimi ” europei.  

Ma se la famiglia romana era evidentemente “patriarcale”, quantomeno nelle sue espressioni pubbliche, la trasmissione culturale non è mai ” affare di soli di maschi”.

 Non sappiamo per il passato, ma ancora oggi ci sono esempi interessanti di società “criptomatriarcali” in cui le donne “comandano in famiglia” lasciando la sfera pubblica ai propri uomini.

Si tratta certamente di “adattamenti” di società un tempo matriarcali; un esempio la famiglia sarda e quella ebraica.

Anzi, quasi tutte le famiglie dei popoli mediterranei antichi , a dispetto delle apparenze, si possono considerare tali in quanto dividevano il mondo in due sfere : una privata dominata dalla donna che assicurava gran parte della continuità culturale e una pubblica dominata dall’uomo che questa cultura la deve mettere in pratica a suo rischio e pericolo.

Anzi è sicuro che sia la donna a definire gran parte di questa continuità culturale per il fatto che le donne occidentali siano il bersaglio preferito della corruzione culturale globalista che ci ha investiti.

D’altronde è lo stesso mito di Adamo ed Eva a dirci che il serpente corrompe l’umanità “ convincendo” la donna, no ?

E l’ importanza della donna , anzi della “madre” , nel “ comune destino” non è evidenziata anche dal fatto che i russi , il “popolo bianco“ con la cultura più resiliente , chiamano “ madre Russia” la loro “Patria “ ?

Tornando quindi “a bomba” , può esistere ancora oggi un concetto di “Patria” che non sia snaturato ad un interesse di parte ?

Io non credo , perché “onora il padre e la madre” non è solo un precetto religioso. Chi rinnega il proprio passato non ha altro “comune destino” che quello di servire altri.