ELEZIONI AMERICANE DI MEDIO TERMINE_VALUTAZIONI ED AGGIORNAMENTI

Per un paio di giorni il primo articolo in evidenza sarà dedicato all’analisi delle elezioni americane di medio termine con continui aggiornamenti. Buona lettura_Giuseppe Germinario_Gianfranco Campa

Mercoledì 7 nov ore 21.00 Il dopo elezioni è già cominciato. Trump ha dimissionato il Ministro della Giustizia Jeff Sessions, reo di non aver contrastato l’azione del Procuratore Muller sul Russiagate e sul Pornogate. La prossima vittima sarà probabilmente lo stesso Muller. Qualche scheletro nell’armadio sarà sempre disponibile per agevolare le sue dimissioni. Trump evidentemente vuole approfittare del vuoto di potere della Camera sino al prossimo insediamento di gennaio per prepararsi allo scontro frontale ormai prossimo

Mercoledì 7 nov ore 20.00 il parziale successo dei democratici è merito dei circa sessanta candidati espressione dei servizi di intelligence piuttosto che della componente radicale di sinistra del partito

Mercoledi 7 Nov ore 07:17 Si stanno aspettando i risultati definitiva dalla costa dell’Ovest. La corsa alla camera sara` decisa in California, Nevada, Arizona. Tutto è ancora possibile. I media danno per certo il controllo della camera da parte dei Democratici. Per il momento però dai risultati parziali  che arrivano dall’Ovest i repubblicani sono ancora sconfitti nella corsa al controllo della Camera

Mercoledi 7 Nov ore 06:54 Il senato e saldamente in mano ai Repubblicani che guadagnano almeno 4 Senatori. La camera e ancora in bilico, alla fine i democratici dovrebbero prevalere per pochissime sedie. In linea con i nostri pronostici. 

Mercoledi 7 Nov ore 03:55 Le proiezioni dicono che la corsa alla Camera è molto incerta. Sono troppi i posti da deputati per poterli analizzare uno per uno. La situazione generale è al momento la seguente: I Democratici hanno ribaltato 2 sedie repubblicane, ma non hanno ancora preso il sopravvento. La cosa più certa e` questa: l’onda Blu si è prosciugata ancora prima di arrivare a riva. Sara` dura per i Democratici prendere il controllo della Camera, se ci riusciranno sarà per il rotto della cuffia.

Mercoledi 7 Nov ore 03:19 Buone notizie per i Democratici : Joe Manchin, il Senatore democratico della West Virginia vince sullo sfidante Repubblicano. Trump aveva vinto ampiamente in West Virginia le presidenziali. Marsha Blackburn sconfigge il suo sfidante Democratico Phil Bredesen nel Tennessee, per il Senato. Questo e` un altro ribaltamento importante. Il conto e ora di due senatori in più per i Repubblicani al senato.

Mercoledi 7 Nov ore 02:54 Notizia importante alla corsa al senato; il repubblicano Mike Braun sconfigge l’attuale senatore democratico Joe Donnelly nello stato dell’Indiana. Primo rovesciamento importante nella corsa al senato.

Mercoledi 7 Nov ore 02:13 Molti dei seggi in stati della costa dell’est sono ora chiusi. I numeri ci dicono che l’andamento e molto equilibrato. Prestiamo particolare attenzione alle sfide al Senato e alla Camera dove ci potrebbe essere un capovolgimento di partito, soprattutto a favore dei Democratici.

Mercoledi 7 Nov ore 01:05 I primi Exit Polls sembrano favorire i Democratici. E troppo presto per farsi un idea della situazione. Alle presidenziali del 2016 gli Exit Polls davano certa la vittoria di Clinton.

Martedì 6 Nov ore 23:59 James Comey fa propaganda elettorale bussando alle porte della gente, con sua madre, per conto del partito Democratico. Una vittoria alla camera dei democratici allontanerebbe lo spauracchio di una inchiesta del Dipartimento di Giustizia sul ruolo di Comey nella fasulla costruzione del Russiagate in particolare riferito al suo coinvolgimento col dossier di Steele. Se i Repubblicani mantengono il potere alla camera sara piu` facile per Trump liberarsi dell’inutile Jeff Session e rimpiazzarlo con un procuratore generale molto più aggressivo ed inquisitivo. Comey lo sa, il suo futuro dipende da queste elezioni.

Martedì 6 Nov ore 23:45 Lunghe file di elettori si segnalano in molti seggi, ad Atlanta l’attesa in certi seggi e fino a 3 ore. La maggior parte del movimento si registra nei centri urbani. Questo potrebbe essere un buon segno per i Democratici.

Martedì 6 Nov ore 22:42 I primi dati ufficiali sull’affluenza alle urne mostra l’alto numero di votanti che si stanno recando ai seggi. Questo confermerebbe la previsione di una elezione a medio termine con un coinvolgimento senza precedenti degli elettori americani. Si parla di numeri che rasentano quelle delle presidenziali.

Martedì 6 Nov ore 21:00 Si arriva alle elezioni di Medio termine con i sondaggi che favoriscono i democratici. Negli ultimi mesi siamo stati tempestati da notizie che davano per certo l’arrivo dai seggi della cosiddetta onda blue democratica.

Il nostro blog non condivide questa previsione. Noi crediamo che i Repubblicani manterranno il controllo del Senato e probabilmente aumenteranno il numero di Senatori. Le nostre previsioni sono di almeno 2 nuovi senatori, ma potrebbero arrivare fino a 7. Gli Stati  da seguire attentamente nella corsa al Senato: Florida, Indiana, Missouri, Montana, North Dakota, Ohio, Pennsylvania, Michigan, West Virginia, Wisconsin. In questi stati i Repubblicani potrebbero spodestare i Democratici. In Texas e in Nevada i Democratici potrebbero ribaltare i Repubblicani.

I risultati alla Camera invece saranno molto più incerti. La situazione è fluida, combattuta, cambierà costantemente. Alla fine dovrebbe prevalere un partito rispetto all’altro di pochi seggi.

BOMBA O NON  BOMBA ARRIVERANNO A WASHINGTON, di Gianfranco Campa

BOMBA O NON  BOMBA ARRIVERANNO A WASHINGTON

Uno si chiama Cesar Altieri Sayoc, l’altro si chiama Robert D. Bowers. Il primo è il 56enne bombarolo della Florida, il secondo il 46enne assassino di innocenti ebrei che partecipavano, di sabato, alla funzione religiosa in una Sinagoga (Tree of Life) di Pittsburg. Il primo ha spedito 14 bombe ad altrettanti rappresentanti dell’apparato del partito Democratico, fra mass media, donatori e politici. Il secondo ha assassinato a sangue freddo 11 persone e ferito 6. Il primo è un “bodybuilder” che odia i democratici, il secondo un demente suprematista bianco, antisemita, che odia gli ebrei.

Questi due individui sarebbero accomunati, secondo la versione mass mediatica e politica di stampo democratico, da un odio viscerale per tutto quello che viene individuato come la fogna dell’establishment del potere e entrambi, sempre secondo i mass media e i democratici, sarebbero stati influenzati, aizzati nel loro impeto criminale dalla retorica odiosa proveniente dal Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump.

Le azioni violente di questi due individui possono considerarsi vero e proprio terrorismo. Mentre Robert D. Bowers ha distrutto undici vite, le “bombe” di Sayoc non hanno fatto danni né materiali né fisici, se si esclude lo stress emotivo causato alle organizzazioni e persone che hanno ricevuto le bombe, stress che non deve essere minimizzato, perché per definizione tecnica, il terrorismo si esplica anche senza violenza vera, semplicemente nel momento in cui si crea terrore attraverso la sola minaccia di danno fisico a persone e cose. La minaccia di violenza per ragioni politiche, religiose o ideologiche corona una volta per tutte la definizione di terrorismo.

Le analogie però finiscono qua, poiché le storie di questi due terroristi viaggiano su due binari completamente separati; nonostante le ginnastiche mentali dei mass media intente a connettere questi due eventi al comportamento e alle parole di Trump, la realtà è molto lontana da quella rappresentata dalle fonti mediatiche.

Indagando un po più a fondo su questi atti di terrorismo si scoprono aspetti interessanti e lugubri.

Partiamo da Bowers:  Era ormai da molti mesi che Robert D. Bowers continuava a rigurgitare sul sito Gab, tramite i suoi post, la sua intolleranza antisemita, affermando che gli ebrei erano il “nemico dei bianchi” fino a quando poi, sabato scorso, ha concretizzato i suoi propositi entrando nella sinagoga Tree Of Life di Pittsburgh con un fucile d’assalto e tre pistole e aprendo il fuoco al grido di: “Non posso stare seduto a guardare la mia gente  (i Bianchi) essere massacrata.”  Al Termine della follia omicida di Bowers 11 persone hanno terminato il loro viaggio terreno.

Bowers, aveva 21 pistole registrate a suo nome, ma secondo le dichiarazioni ufficiali non era noto alle forze dell’ordine prima della sparatoria.

Bowers frequentava il sito Gab, un social network che si autoproclama piattaforma dedicata alla libera espressione della parola. Sito che è molto popolare tra gli attivisti di estrema destra e i nazionalisti bianchi. Dopo essersi iscritto a Gab, lo scorso Gennaio, Bowers aveva condiviso un fiume di insulti antiebraici e teorie complottistiche. Fra questi messaggi si trova anche la smentita alla tesi sostenuta dai mass media secondo la quale è stato istigato ad agire perché ispirato dalla retorica di Donald Trump: “Trump è un globalista non un nazionalista…”  sentenziava Bowers. In altre parole Trump e tutto il suo movimento MAGA (Make America Great Again) erano influenzati dagli ebrei. Bowers nei suoi post e nella sua retorica considerava Trump un nemico della razza bianca quanto gli ebrei stessi. Questo smentisce la teoria secondo cui Trump abbia ispirato il demente Bowers a commettere il suo codardo atto di terrorismo. Qui trovate il link ai post di Bowers: https://imgur.com/a/cwB9QkR

Del passato di Bowers si sa poco o niente. Sino alla furia omicida mostrata in Pittsburgh, Bowers era una figura del tutto anonima, apparsa all’improvviso, come una cometa di sventura, pochi mesi fa sull’universo di Gab.

Quello che invece si sa dell’altro terrorista Cesar Sayoc è abbastanza da scriverci un libro; allo stesso tempo, quella delle bombe inesplose spedite da Sayoc alle vittime democratiche è una storia che pone molte domande e offre poche risposte.

Le quattordici bombe inoperative, spedite da Sayoc a personaggi del calibro di Hillary e Bill Clinton, George Soros, John Brennan, Barack Obama e alla CNN hanno scatenato la rabbia dei mass media e dei democratici, tutta diretta contro Trump per aver motivato con il suo linguaggio incendiario la sua mano. Sayoc è stato arrestato in Florida, dove risiedeva. Il suo furgone bianco, tappezzato di adesivi contenenti messaggi pro-Trump e anti-Democratici è diventato l’autoveicolo più famoso in America dai tempi della famigerata limousine su cui viaggiava Kennedy nel 1963.

Ma chi era esattamente Sayoc? A differenza di Bowers, Sayoc ha una lunga, estesa lista di precedenti penali. Sono almeno dieci, secondo il Dipartimento di Giustizia della Florida, gli arresti di cui il prode è stato oggetto negli anni, incluso uno  nel 2002 per aver minacciato di far saltare in aria la sede della Florida Power and Light (Azienda elettrica della Florida.) Il suo appuntamento più recente con le forze dell’ordine è stato nel 2015.

L’arresto di Sayoc, da parte del FBI è avvenuto a Ventura, in Florida, quarantotto ore dopo la spedizione da parte sua dei pacchi bomba. Sayoc era anche noto su Facebook come Cesar Altieri Randazzo. Al suo arresto tutti i mass media lo hanno prontamente etichettato come un fanatico sostenitore di Trump. Dopo l’arresto, le foto e i video del furgone bianco di Sayoc, appena sequestrato dall’FBI e tapezzato di molteplici adesivi e memorabilia pro-Trump, hanno fatto il giro del mondo. E’ stato immediatamente ribattezzato il  “Trump Van” ed è diventato lo strumento usato dai media per attaccare Trump; il furgone di Sayoc simbolo dell’odio dell’America di Trump.

Ma è proprio a partire dal furgone che sorgono i primi seri dubbi sulla legittimità della versione ufficiale su questa storia del terrorista Trumpiano. Le foto mostrano un vecchio Ford Bianco, tappezzato di messaggi, posters, adesivi e cappelli di baseball Pro-Trump in evidenza sul cruscotto; un vero e proprio appariscente cartellone pubblicitario itinerante, un bel pugno nell’occhio che difficilmente sfugge all’attenzione della gente. Il furgone non mostra grandi segni di ammaccature o rigature sulla carrozzeria, un fatto alquanto strano poiché negli ultimi tre anni i sostenitori di Trump sono stati vittime di vari atti di vandalismo, specialmente se si permettono di ostentare i simboli del loro sostegno. Un furgone così avrebbe attratto l’attenzione di molti curiosi e presumibilmente di potenziali vandali militanti anti-Trump. Un altra perplessità sul furgone suscita la relativa integrità degli adesivi affissi sui finestrini. Gli adesivi appaiono ancora molto vividi nel loro colore originale, come se fossero stati attaccati non due-tre anni prima, bensì pochi giorni prima. Normalmente questi adesivi dovrebbero mostrare segni di scolorimento o ingiallimento, specialmente se si considera il sole cocente che batte sulla Florida per buona parte dell’anno.

Ma veniamo ai misteri sulla personalità di Sayoc. Ex calciatore professionista, ex ballerino spogliarellista, ex bodybuilder, promotore di eventi e coordinatore di marketing per un Casinò.

Il Casinò presso cui lavorava si chiamava Seminole Hard Rock Casino in Florida, una società di proprietà della Tribù Indiana Seminole. Casinò di proprietà e gestione della Nazione Sovrana Seminole, un fatto questo importante poiché tradizionalmente, vigorosamente e pubblicamente, i Seminole non hanno mai nascosto la loro foga anti-Trump e pro-democratica, al punto tale che parte del loro lucrosi introiti finanziari  viene reinvestito nel partito democratico sotto forma di donazioni. Sembra alquanto strano quindi che un’azienda apertamente schierata nel sostegno ai Democratici, tolleri un loro impiegato, Sayoc, così vistosamente, pacchianamente sostenitore di Trump. Infatti la direzione di Hard Rock Casino ha smentito che Sayoc sia un loro lavoratore, ma a quel punto era troppo tardi perché la notizia era già stata resa pubblica sui siti di informazione. Il profilo social di Sayoc diceva chiaramente che lavorara per i Seminole. C’è di più; fino al 2016, secondo i dati ufficiali, Sayoc era iscritto al Partito Democratico per poi trasformarsi in un  ‘fanatico” sostenitore di Trump. Intendiamoci una scelta non di per sé strana o impossibile visto che molte persone decidano di cambiare alleanza politica da un partito ad un altro, nel caso di Sayoc però questo cambio ha il sapore più di fabbricazione, di depistaggio, che di genuino cambio di fede politica.

Da dove deriva questo dubbio che tutto l’affare Sayoc sia una completa macchinazione occulta? La teoria che tutta questa storia delle bombe sia ingannevole e manipolata scaturisce dalla rivelazione più  inquietante. Secondo quanto riferito dalla televisione locale della Florida WPTV, Cesar Sayoc ha lavorato anche presso un locale di spogliarelli come buttafuori e DJ, l’Ultra Gentleman’s Club di West Palm Beach, in Florida. In questo locale, fino allo scorso Aprile, cioè un po` prima che scoppiasse lo scandalo del pornogate, si è esibita la famosa pornodiva  Stormy Daniels. Una “coincidenza” alquanto curiosa che pone una serie di domande sulla legittimità di questa storia del bombarolo della Florida.

Altra coincidenza “anomala”,  l’esibizione di  Stormy Daniels ad Aprile è avvenuta in concomitanza  con la visita del presidente Donald Trump in Florida. Abbastanza interessante anche il fatto che lo strip club si trova vicino al campo da golf di proprietà di Trump. Il DJ di quella serata, inutile dirlo, era appunto Sayoc.

L’affare Sayoc è costellato di informazioni alquanto bizzarre. Secondo il manager del club, Stacey Saccal, il locale stesso non ha ricevuto mai lamentele da parte di altri membri dello staff o clienti sul comportamento di Sayoc; a tutti è sembrato un “bravo ragazzo”. “Non ho mai saputo che il suo furgone era coperto di adesivi politici, pensavo fosse un camioncino di gelati”, ha detto Saccal a WPTV. Saccal ha anche detto che i suoi dipendenti non avevano idea che Sayoc fosse un militante politico. Non ha mai parlato di politica al lavoro e nessuno ha notato gli adesivi sul suo furgone. Un particolare importante visto che darebbe credito all’ipotesi che gli adesivi erano di recente affissione, cioe` poco prima che Sayoc spedisse le bombe.

Questa storia di Sayoc e di Bowers lascia molto perplessi e solleva una serie di domande più che legittime. Perché tutti e due questi personaggi hanno fatto scattare il loro impeto terrorista ed omicida a pochi giorni dalle elezioni di medio termine? L’incrocio Stormy Daniels-Sayoc è stato realmente frutto di una coincidenza? Come ha fatto il furgone di Sayoc a rimanere anonimo, tappezzato come era da “camioncino di gelati” ?  Come mai nessuna delle bombe è esplosa nonostante che l’FBI si sia affrettata a dichiarare che le bombe erano perfettamente funzionanti, cosa poi smentita da un gruppo di esperti di esplosivi? Come ha fatto l’FBI a risolvere la matassa terroristica del bombarolo anti-democratico nel giro di quarantotto ore, dopo che a più di un anno di distanza ha chiuso le indagini sulla strage di Las Vegas senza trovare un movente alla follia omicida di Stephen Paddock? Chi era Bowers prima che apparisse improvvisamente sulla scena delle reti sociali con i suoi post antisemiti? Chi si celava realmente dietro quegli individui che alimentavano l’odio di Bowers partecipando attivamente con commenti e condividendo link sui suoi post su Gab?

A queste domande probabilmente non avremo mai una risposta. Quello che a mio parere però appare chiaro è che una “manina” abbia prenotato tutte le “fermate” prima delle elezioni di medio termine. Può essere che a forza di bomba o non bomba arriveranno a Washington. Martedì sapremo se questa strategia avrà funzionato nell’esito elettorale.

Intanto ha funzionato nella tempistica di una stampa e di un sistema mediatico così solerti nel costruire uno scenario così fosco e compromettente nei confronti di Trump e dei suoi sostenitori, ma così distratti ed evanescenti quando atti ben più gravi, minacciosi e pericolosi, nelle settimane a ridosso delle prodezze dei due energumeni, hanno interessato la sicurezza e l’incolumità fisica di personaggi di primo piano dello staff presidenziale e di uomini politici a lui vicini. Appostamenti, tentativi di avvelenamento, provocatorie manifestazioni di ostilità nei momenti più riservati e improvvisati che lasciano sospettare una capacità di intelligence e una regia occulta e troppo ben attrezzata per essere condotta solo da gruppi di scalmanati.

 

 

IL LEGGIADRO FILO SPINATO, di Pierluigi Fagan

IL LEGGIADRO FILO SPINATO.

tratto da https://www.facebook.com/pierluigi.fagan?__tn__=%2CdC-RH-R-R&eid=ARCw5TGJ87JUTKj9tmT0_T6Wp4SJHFgCRC0vldc_c7P3znfOgHhwmobhgTsbuxt05tL6ZMVd2Ai0fUIB&hc_ref=ARRu_WEX732vEx9UNlFm3oi4_9TZBZGQUAzKJz71m8AT3o38F94hTd9-5t7vAJpN4b0&fref=nf

La geopolitica ha alcune costanti di lungo corso per via della parte “geo” che ne compone l’oggetto, la geografia fisica, in genere, non cambia. Così dalla Dottrina Monroe, ovvero dal 1823 (poi allargata dal Corollario Roosevelt 1904), ovvero da poco dopo che gli “americani” hanno avuto uno stato diventando quindi soggetto geopolitico, gli USA ritengono di dover esser il centro di un sistema che ha tutto intorno due fasce a cui non ci si deve/può avvicinare: 1) tutta la terra continentale (tant’è che chiamiamo “americani” gli statunitensi); 2) tutti e due gli oceani su cui affacciano.

Entro questi spazi, le sovranità le decidono loro se non direttamente, almeno evitando il formarsi di backdoor per eventuali nemici. Molti anni dopo, ci hanno provato anche i tedeschi a tirar fuori una teoria del genere pervertendo il concetto di Lebensraum (spazio vitale) che in verità aveva origini bio-geografiche o con Schmitt col concetto di “grande spazio”. Ma di nuovo, ciò che la geografia e la storia permettono in un contesto, non è detto si possa replicare in altro contesto. Non c’è nulla di più resistente all’idealismo della geografia fisica.

Gli USA si sono momentaneamente allontanati dall’applicazione della Dottrina Monroe in coincidenza dell’affermarsi della strategia globalista che aveva una sua convinzione post-materialistica quindi a-geografica che alcuni teorici liberali continuano a teorizzare (con sempre minor convinzione). Raggiunta una inedita massa critica di governi di centro-sinistra o sinistra-sinistra al 2008, è poi iniziata la Reconquista che ha segnato punti importanti in Cile, Argentina ed ora Brasile. Il Latinobarometro del 2016, censiva un 28% di elettori di centro-destra e solo il 20% di centro-sinistra, con ovviamente un baricentro di 36% centrista, spesso inclinato più a destra che a sinistra.

Alcuni indicano a spiegazione un mix fatto di sette protestanti, insopportabilità della criminalità e corruzione, incapacità della sinistra di far funzionare il capitalismo secondo i suoi spiriti animali, crollo dei proventi da vendita di materie prime che rimangono il principale asset latino-americano. Morti Kirchner, Chavez, Castro e con Lula in galera, le seconde generazioni non hanno ben performato. I leader della speranza hanno un certo vantaggio su i manager della gestione che quelle speranze, in genere, debbono ridimensionare.

Archiviato il trionfo di Bolsonaro, ora la partita si giocherà tra il mantenimento delle promesse fatte dalle destre coadiuvate ovviamente dagli Stati Uniti da vedere però quanto in grado di condividere la loro ricchezza vista la postura neo-egoista da una parte e il messicano Obrador ragionevolmente social-democratico dall’altra. Il crollo dei prezzi delle materie prime permane (con grande gaudio dei statunitensi nel frattempo riconvertitesi al materialismo-realista che a questo punto si riproporranno come principale/unico partner commerciale dotandosi di una congrua riserva utile a trincerarsi maggiormente in casa visti gli incerti tempi multipolari), la contrazione generale degli scambi internazionali pure, fintanto che gli statunitensi continueranno a drogarsi intensamente la criminalità certo non diminuirà, il Venezuela (preda ambita per via delle corpose riserve petrolifere) cadrà e la Cina continuerà a corteggiare l’area offrendo una alternativa sempre più difficile da perseguire.

Nel migliore dei mondi immaginabili ma non necessariamente possibili, la vera alternativa sarebbe la costituzione di uno stato latino-mediterraneo europeo dove portoghesi, spagnoli ed italiani potrebbero rappresentare l’alternativa ideale per un sistema di co-evoluzione basato su familiarità, reciprocità e differenza. In fondo, la Monroe che è una dottrina non solo geografica ma geostorica, venne fatta ai tempi proprio contro gli europei perché legami e relazioni stratificate nel tempo storico, contano.

Il tempo e gli uomini ci diranno come andrà a finire, per ora “Monroe is back” (che poi in realtà la dottrina era di J.Q.Adams, quinto presidente USA).

«Oggi […] le terre anche loro son libere, salvo alcuni scampoli come le colonie francesi e inglesi, e il campicello di Monroe, chiuso da un leggiadro filo spinato.»

(Carlo Emilio Gadda, La meccanica, 1929)

Khashoggi, il buono e il cattivo_di Giuseppe Germinario

La sparizione e la probabile morte del saudita Jamal Khashoggi a Istanbul ha provocato una vera e propria indignata sollevazione di scudi. La Turchia in questi mesi ha conosciuto altri eventi drammatici che hanno riguardato diplomatici, nella fattispecie l’uccisione dell’ambasciatore russo; ha vissuto tragici attentati, un tentativo di golpe e una drastica conseguente epurazione di decine di migliaia di funzionari pubblici e giornalisti che hanno rafforzato il pieno controllo politico di Erdogan sul paese. In Arabia Saudita, d’altro canto, paese componente e sino a pochi mesi fa posto senza remore alla presidenza del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, il confronto politico prevede da sempre, nella gamma delle modalità, la liquidazione fisica degli avversari ed altre amene trivialità; in un paese dove la pena di morte, le punizioni corporali e il controllo capillare sono connaturati al regime integralista sin dalla nascita. A conferma che queste pratiche non risparmiano nessuno il recente attacco sanguinoso con fucili di assalto nel palazzo del Principe Selmani prontamente censurato.

Da questa plumbea normalità il caso Khashoggi è emerso con grande clamore rimbalzando in tutto il mondo.

Il paladino della democrazia, il giornalista militante della libera informazione vittima della crudeltà triviale del Principe Saudita oscurantista e paranoico. In un mondo così confuso finalmente un chiaro discrimine tra il buono e il cattivo così in voga nella narrazione cinematografica.

Una nobile indignazione colta ed alimentata da quella grande stampa che negli ultimi anni pare aver spento ogni spirito critico e ogni precauzione alla manipolazione dei fatti.

Ma siamo proprio sicuri di trovarci ad un atto di redenzione sia pure tardivo?

Proviamo a porci e porre qualche domanda.

Come mai Erdogan, sino a pochi giorni fa presentato come il grande affossatore della libertà di stampa, il fustigatore di decine di giornalisti, l’epuratore per antonomasia assurge improvvisamente agli stessi occhi dei fustigatori di un tempo al ruolo di dispensatore della verità e di giudice della barbarie saudita? Eppure sono stati i turchi ad avvertire i sauditi del prossimo arrivo di Khashoggi a Istanbul; dicono di avere prove schiaccianti e filmati del barbaro assassinio, ma tardano ad esibirle. La stessa presenza di filmati, se confermata, confermerebbe piuttosto l’esistenza di una quinta colonna nel drappello saudita incaricato della missione. In operazioni analoghe i sauditi hanno per altro dimostrato ben altra perizia con il trasbordo forzato in madrepatria della vittima designata.

Come mai la testa dello schieramento dei partigiani della verità e della democrazia è fermamente e tempestivamente presidiata, tra gli altri del medesimo campo, da John Brennan, ex capo della CIA ai tempi di Obama, grande artefice delle primavere non solo arabe e del grande caos in Medio Oriente e dal Washington Post, giornale ormai ridotto a mera cassa di risonanza partigiana dell’establishment sconfitto alle elezioni presidenziali americane. Figure ormai poco attendibili e credibili per questo genere di proclami e di campagne.

Come mai il martire Khashoggi è stato unanimemente presentato come fine giornalista e scrittore e come paladino della democrazia liberale quando il suo curriculum è ben più nutrito e abbraccia un campo di interessi e di interventi ben più vasto e rilevante. La figura del giornalista, purtroppo non è più così ben definita. Il confine tra il ruolo di giornalista, quello di informatore e di agente sta diventando labile. La scena indecoroso fferta a Tripoli da buona parte degli addetti nel 2011 è rivelatrice di una insana commistione. Nel caso di Khashoggi per altro sembrano esserci pochi dubbi. Negli anni ’80 lo vediamo impegnato a buoni livelli nella resistenza jihadista in Afghanistan; successivamente lo si vede in contatto stretto con Al Qaida e con Bin Laden al punto da essere indicato dai sauditi come mediatore di una possibile riconciliazione del capo qadista con la famiglia saudita; ancora dopo lo si vede tra i sostenitori e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani, notoriamente sostenuti e finanziati dall’emiro del Qatar e dai Turchi e ormai da tempo scaricati dai sauditi, dopo le fallimentari prove offerte in Egitto e in Libia. Obama e il suo cerchio magico aveva notoriamente riposto in essi le maggiori speranze di successo di un ribaltamento dei regimi in Medio Oriente. Da qui il suo impegno in Siria a favore dei “ribelli moderati”, almeno nelle sigle. La democrazia rivendicata da essi e dallo stesso Khashoggi, a leggere con attenzione i suoi testi, non era altro che un tentativo di imporre un diverso regime, alternativo al modello wahabita dei Saud, ma pur sempre nettamente integralista. Quanto alla sua visione geopolitica è sufficiente sottolineare la sua conclamata omologazione del Principe Selman alla figura altrettanto nefasta di Putin. Per ultimo Khashoggi è stato per anni segretario del capo dei servizi segreti sauditi, Principe Suleiman, acerrimo avversario del Principe Selman, attualmente capo di fatto della casa saudita. Negli ultimi tempi il giornalista, entrato nelle grazie di Obama, è apparso sempre più distante ed estraneo ai giochi interni alla casa saudita e sempre più legato alle trame dei servizi angloamericani. Lo stesso era addirittura in predicato di diventare uno dei capi all’estero di una eventuale rivoluzione d’Arabia che prevedeva il controllo diretto da parte americana dei pozzi di petrolio e l’instaurazione di un nuovo regime che spodestasse i Saud. Un progetto per il momento naufragato con lo stallo in Siria e l’elezione di Trump alla Casa Bianca.

Il caso Khashoggi in realtà si sta trasformando in un’occasione e uno strumento da brandire da parte dei vari attori dello scacchiere geopolitico mediorientale e delle due fazioni in lotta negli Stati Uniti. Può servire ad Erdogan per ottenere un qualche salvacondotto nella politica di sanzioni all’Iran, visto il suo vitale interscambio commerciale con esso. Può servire a ridurre a patti e a ridimensionare il peso geopolitico del Principe Selman ed indebolire quindi il suo patto di ferro con Trump ed Israele e di conseguenza a ricucire il rapporti di Erdogan con i due schieramenti negli USA. Sarebbe in proposito interessante analizzare le linee di condotta Russa e Cinese nell’eventualità di un nuovo giro di valzer turco. Per la prima volta Trump appare stretto in un cul di sac, obbligato a due scelte alternative altrettanto costose: sostenere il maldestro Bin Selman e con questo rendersi complice di un comportamento efferato; scaricarlo e con questo mettere in discussione la triplice alleanza con i sauditi e Israele; il perno della attuale politica americana in Medio Oriente.

In realtà la componente wahabita più integralista, quella stessa osteggiata dal Principe Selman, potrebbe essere quell’avversario ancora più spietato e determinato, interessato a liquidare il “giornalista” troppo vicino ai Fratelli Musulmani e agli americani. Il temporaneo sodalizio di questa con il sultano turco e la sua simbiosi con la componente democratica-neocon americana potrebbe essere il trio diabolico più interessato a liquidare e sacrificare “il paladino della democrazia” addebitandone la responsabilità al Principe saudita di fatto reggente. L’improvvisa prudenza con la quale Erdogan in queste ore sta affrontando l’affaire lascia margini alla fantapolitica. Potrebbe essere la scappatoia che consentirebbe a Trump di uscire dalla trappola e di ribaltare sulle spalle altrui il dilemma; in questo, ancora una volta, sarà importante il lavoro sotterraneo di Israele, ben presente nei tre paesi principali di quell’area.

Intanto l’Arabia Saudita ha improvvisamente aumentato i volumi di produzione del petrolio; ci sarà da attendersi una pressione dei prezzi al ribasso. Russia e Stati Uniti sono avvertiti.

Ci attende un mondo sempre più complicato e dalle apparenze ingannevoli dove i buoni, in realtà, possono rivelarsi ben peggiori dei cattivi.

27°-2 podcast_elezioni di medio termine, di Gianfranco Campa

Il 27° podcast di Gianfranco Campa è una autentica gemma; un pezzo di grande giornalismo degno di essere ospitato nelle più autorevoli riviste di analisi politica. Offre informazioni ed analisi introvabili nell’editoria più affermata. La grande stampa, però, è ormai schiava della peggiore e più ottusa partigianeria, condita da un livello di approssimazione sconcertante; offre rarissimi spazi ad analisi obbiettive ed approfondite. questo blog ha sottolineato più volte la crucialità della scadenza delle elezioni americane di medio termine sia per quella nazione che per le dinamiche geopolitiche. Sino ad ora si è soffermato soprattutto sulle vicende della Presidenza Trump, sul suo rapporto conflittuale, aspro con il Partito Repubblicano e con i settori maggioritari e più potenti dello Stato. A prezzo di pesanti cedimenti e compromessi del Presidente, ha tuttavia rivelato sì la forza di questi settori, ma anche la loro mancanza di una strategia coerente e di una prospettiva convincente tale da consentire il controllo accettabile della situazione e un recupero di credibilità. Una situazione che ha consentito l’acquisizione di un controllo accettabile del Partito Repubblicano da parte di Trump a costo però di una fronda disposta a tutto pur di affossarlo e ridurlo in minoranza rispetto ai democratici. La scadenza elettorale sta rivelando un accenno di strategia coerente del fronte di opposizione a Trump. Una strategia tesa a paralizzare il Presidente, presumibilmente, sino alla fine del suo mandato ma anche a controllare le possibili fratture che minacciano la tenuta anche del Partito Democratico americano. Si deve ricordare che la Clinton, in cambio del sostegno tiepido di Sanders, successivo alla vittoria fraudolenta alle primarie, ha dovuto cedere il controllo di ampi settori del partito in cambio della rinuncia all’astensione e ad una probabile scissione dei settori radicali di quel partito. La strada scelta è del tutto inedita e sorprendente; inquietante soprattutto. Si assiste, ormai, all’ingresso esplicito e massiccio nella scena politica di esponenti dello stato profondo. Una dimostrazione di forza e di debolezza allo stesso tempo. Per questo l’ascolto del podcast merita grande attenzione. La situazione in Italia e in Europa, del resto, dipende in gran parte dall’evolversi di questa situazione.

Qui sotto sono forniti i link ai quali fa riferimento Campa nel suo intervento e la lista parziale ma significativa dei candidati direttamente legati ai servizi di intelligence. Sono circa la metà del totale delle candidature alla Camera, al Senato e ai Governatorati. Se volete avete tutta la possibilità di approfondire e verificare l’attendibilità delle informazioni. 

Buon ascolto_Giuseppe Germinario

27°-1 podcast_elezioni di medio termine, di Gianfranco Campa

Raramente, nei settant’anni di vita politica della Repubblica Italiana, le incertezze del conflitto politico negli Stati Uniti si sono riflesse in maniera così diretta nel nostro contesto nazionale come oggi. Gran parte delle fortune presenti e future del Governo Conte, pur tra tanti errori e difetti di impostazioni spesso grossolani, dipendono dalla sopravvivenza se non dall’affermazione dell’attuale leadership americana. Le elezioni di medio termine della Camera e del Senato statunitensi segneranno probabilmente un punto di svolta in un senso o nell’altro. Solitamente rappresentano una scadenza enfatizzata mediaticamente, ma dalle conseguenze poco rilevanti nella concretezza del confronto politico. Questa volta è diverso. Non a caso l’avvicinarsi dell’appuntamento è accompagnato da una serie di atti intimidatori di estrema gravità nei confronti di singoli esponenti politici della compagine conservatrice prossima al Presidente apparsi nella stampa nazionale americana e del tutto ignorati in quella europea. L’atteggiamento tattico adottato dalla compagine democratica e neocon teso a sopire lo spirito di militanza dello schieramento avverso non deve trarre in inganno. Di questo il blog renderà conto prossimamente. Sta di fatto che, per tornare a casa nostra, tutte le vecchie classi dirigenti europee sembrano in attesa di un evento salvifico che consenta loro di tornare rapidamente in sella. Gianfranco Campa, da par suo, nel frattempo ci illustra le varie possibilità che si potranno verificare in base all’esito di queste votazioni e, soprattutto, nella seconda parte ci svelerà alcuni risvolti inquietanti delle scelte di parte democratica riguardanti le candidature. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-27-1

La necessità di un vertice Trump-Putin. Di Stephen F. Cohen, a cura di Giuseppe Germinario

La necessità di un vertice Trump-Putin. Di Stephen F. Cohen

Fonte: The Nation, Stephen F. Cohen , 06-06-2018

Dieci modi in cui la nuova guerra fredda USA-Russia diventa più pericolosa di quella cui siamo sopravvissuti.

 

3Stephen F. Cohen, professore emerito di studi e politica russa alla NYU (New York University) e Princeton, e John Batchelor discussioni continue (di solito) settimanali sulla nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Russia. (Puoi trovare gli episodi precedenti, ora al loro quinto anno, su TheNation.com. )

I rapporti recenti suggeriscono che un incontro formale tra i presidenti Donald Trump e Vladimir Putin è stata seriamente discussa a Washington e Mosca. Tali ‘vertici’ rituali ma spesso significativo, come venivano chiamati, sono stati utilizzati frequentemente durante il 40-year Guerra Fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, tra gli altri, ridurre i conflitti e aumentare la cooperazione tra la due superpoteri. Erano i più importanti quando le tensioni erano le più forti. Alcuni hanno avuto molto successo, altri meno, altri sono stati considerati fallimenti. Date le circostanze politiche straordinariamente tossiche di oggi, anche lasciando da parte la forte opposizione di Washington (compresa all’interno dell’amministrazione Trump) ogni forma di cooperazione con il Cremlino, ci si chiede se qualcosa di positivo sarebbe venuto da un vertice Trump-Putin. Ma è necessario, anche imperativo, provare Washington e Mosca.

La ragione dovrebbe essere chiara. Come Cohen ha iniziato a discutere per la prima volta nel 2014, la nuova Guerra Fredda è più pericolosa della precedente e sta diventando sempre di più. È ora di aggiornare, anche brevemente, i motivi, di cui ce ne sono già almeno dieci:

  • 1.L’epicentro politico della nuova guerra fredda non è nella lontana Berlino, come è stato dalla fine degli anni ’40, ma direttamente ai confini della Russia, degli stati baltici e dell’Ucraina vicino a casa. ex repubblica sovietica della Georgia. Ognuno di questi nuovi fronti della Guerra Fredda è, o è stato recentemente, segnato dalla possibilità di una guerra calda. Le relazioni militari tra Stati Uniti e Russia sono particolarmente tese oggi nella regione del Baltico, dove è in corso un rafforzamento della NATO su larga scala, e in Ucraina, dove una guerra per procura tra Stati Stati Uniti e Russia si intensificano. Il “blocco sovietico” che fungeva da cuscinetto tra NATO e Russia non esiste più. E molti incidenti immaginabili sul nuovo fronte occidentale dell’Occidente, intenzionale o no, potrebbe facilmente innescare una vera guerra tra Stati Uniti e Russia. Qual è l’origine di questa situazione senza precedenti ai confini della Russia – almeno dall’invasione nazista nel 1941 – è, naturalmente, la decisione estremamente imprudente, alla fine del 1990 per espandere La NATO ad est. Nel nome della “sicurezza”, ciò ha solo aumentato l’insicurezza di tutti gli Stati interessati.
  • 2. Le guerre Proxy erano una caratteristica della vecchia Guerra Fredda, ma in genere limitate a ciò che era noto come il “Terzo Mondo” – in Africa, per esempio – e raramente coinvolgevano molti, se non nessuno, militari Sovietica o americana, per lo più solo denaro e armi. Le guerre per procura USA-Russia odierne sono diverse, situate al centro della geopolitica e accompagnate da troppi consiglieri militari, assistenti e forse persino da combattenti americani e russi. Due sono già scoppiati: in Georgia nel 2008, quando le forze russe hanno combattuto un esercito georgiano finanziato, addestrato e guidato da fondi e personale statunitensi; e in Siria, dove, a febbraio,dozzine di russi sono stati uccisi dalle forze anti-Assad sostenute dagli Stati Uniti. Mosca non ha reagito, ma si è impegnata a farlo se c’è “una prossima volta”, come potrebbe essere. Se è così, sarebbe una guerra diretta tra Russia e America. Nel frattempo, il rischio di un tale conflitto diretto continua a crescere in Ucraina, dove il presidente Petro Poroshenko, sostenuto dagli Stati Uniti ma politicamente imperfetto, sembra sempre più tentato di lanciare un nuovo attacco militare totale al Donbass controllato dai ribelli, sostenuto da Mosca. Se lo fa, e l’assalto non fallisce rapidamente come i precedenti, la Russia interverrà certamente nell’est dell’Ucraina con una “invasione” davvero concreta. Washington dovrà quindi prendere una decisione fatidica di guerra o pace. Avendo già rinunciato ai propri impegni nei confronti degli accordi di Minsk, che è la migliore speranza di porre fine pacificamente alla crisi ucraina che dura da quattro anni, Kiev sembra avere un impulso incrollabile per essere un cane da guerra. Certo, la capacità di provocazione e disinformazione è senza precedenti, come dimostra ancora una volta la settimana scorsa il “assassinio e la risurrezione” falso del giornalista Arkady Babchenko.
  • 3. La demonizzazione occidentale, ma soprattutto americana, del leader del Cremlino Putin, che dura da anni, non ha precedenti. Troppo ovvio ripetere qui, nessun leader sovietico, almeno da quando Stalin, è mai stato oggetto di diffamazione personale così prolungata, infondata e grossolanamente dispregiativa. Mentre i leader sovietici sono stati generalmente considerati partner negoziali accettabili per i presidenti degli Stati Uniti, anche a grandi vertici, Putin sembra essere un leader nazionale illegittima – nella migliore delle ipotesi “un KGB canaglia” nel peggiore dei casi un “padrino mafia “assassino.
  • 4. Inoltre, la demonizzazione di Putin ha generato diffamazione diffamatoria Russofobica della stessa Russia , o ciò che il New York Times e altri media mainstream hanno definito “la Russia di Vladimir Putin”.. Il nemico di ieri era il comunismo sovietico. Oggi è sempre più la Russia, delegittimando così la Russia come una grande potenza con legittimi interessi nazionali. “Il principio di parità”, come lo ha definito Cohen durante la precedente Guerra Fredda, il principio secondo cui entrambe le parti avevano interessi legittimi in patria e all’estero, che erano alla base della diplomazia e dei negoziati, e simboleggiato dai vertici dei leader – non esiste più, almeno sul versante americano. Né il riconoscimento che entrambe le parti erano da biasimare, almeno in parte, per questa guerra fredda. Tra gli influenti osservatori americani che riconoscono almeno la realtà della nuova guerra freddasolo la “Russia di Putin” deve essere criticata. Quando non c’è una parità riconosciuta e una responsabilità condivisa, c’è poco spazio per la diplomazia – solo per relazioni sempre più militarizzate, come stiamo assistendo oggi.
  • 5. Nel frattempo, la maggior parte delle misure di salvaguardia della guerra fredda – la cooperazione e norme di comportamento meccanismi reciprocamente osservate che si sono evolute nel corso dei decenni per prevenire la guerra calda delle superpotenze – sono stati spruzzati o compromesso, giacché la crisi ucraina nel 2014, come riconosciuto, quasi da solo, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres“La Guerra Fredda è tornata – con ardore raddoppiato ma con una differenza. I meccanismi e le protezioni per gestire i rischi di escalation che esistevano in passato non sembrano più essere presenti. ” recenti attacchi missilistici di Trump sulla Siria ha accuratamente evitato di uccidere russi lì, ma ancora una volta Mosca ha promesso di vendicarsi contro gli aggressori americani o altre forze coinvolte se c’è un “la prossima volta Come, di nuovo, ci possono essere alcuni. Anche il processo di controllo degli armamenti, che dura da decenni, potrebbe, dice un esperto, arrivare a “finire”. Se questo è il caso, ciò significherà una nuova corsa alle armi nucleari senza ostacoli, ma anche la fine di un processo diplomatico in corso che ha servito da cuscinetto per le relazioni USA-URSS in tempi di pessimi periodi politici. In breve, se ci sono nuove regole di condotta per la guerra fredda, non sono ancora state formulate e accettate reciprocamente. Questa semi-anarchia non tiene conto né della nuova tecnologia bellica degli attacchi informatici. Quali sono le sue implicazioni per il funzionamento sicuro dei sistemi di comando e controllo nucleare e anti-allarme nucleare russo e statunitense esistenti che proteggono da un lancio accidentale di missili ancora in stato di allerta?
  • 6. Le accuse su Russiagate che il presidente degli Stati Uniti è stato compromesso – o addirittura un agente del Cremlino – sono senza precedenti. Queste affermazioni hanno avuto conseguenze profondamente pericolose, tra cui l’assurda ma ripetuta dichiarazione come un mantra guerriera che “la Russia ha attaccato l’America” ​​durante le elezioni presidenziali del 2016; gli assalti paralizzanti al presidente Trump ogni volta che parla con Putin stesso o per telefono; e rendono Trump e Putin così tossici che persino la maggior parte dei politici, dei giornalisti e dei professori che capiscono i pericoli attuali sono riluttanti a denunciare i contributi americani alla nuova Guerra Fredda.
  • 7.Ovviamente, i media mainstream hanno svolto un ruolo deplorevole in tutto questo. Contrariamente al passato, quando i sostenitori del pro-rilassamento avevano un accesso pressoché uguale ai media tradizionali, i nuovi media odierni della Guerra Fredda rinforzano il loro discorso convenzionale secondo cui la Russia è l’unico responsabile. Non praticano la diversità di opinioni e relazioni, ma il “bias di conferma”. Le voci alternative (con, sì, fatti alternativi o opposti) appaiono raramente nei giornali mainstream più influenti in televisione o in radio. Un risultato allarmante è che la “disinformazione” generata da Washington e dai suoi alleati ha conseguenze prima che possa essere corretta. Il falso assassinio di Babchenko (presumibilmente ordinato da Putin, ovviamente) è stato prontamente denunciato, ma non il presunto tentativo di omicidio di Skripal nel Regno Unito, che ha portato alla più grande espulsione di diplomatici russi nella storia degli Stati Uniti prima della versione ufficiale di Londra di la storia non inizia a crollare. Anche questo non ha precedenti: la Guerra Fredda senza dibattito, che a sua volta ci impedisce di ripensare e rivedere spesso la politica americana che ha caratterizzato i 40 anni della precedente Guerra Fredda – in effetti, una “dogmatizzazione” forzata della politica americana che è estremamente pericoloso e antidemocratico. che ha portato alla più grande espulsione di diplomatici russi nella storia degli Stati Uniti prima che la versione ufficiale della storia di Londra iniziasse a crollare. Anche questo non ha precedenti: la Guerra Fredda senza dibattito, che a sua volta ci impedisce di ripensare e rivedere spesso la politica americana che ha caratterizzato i 40 anni della precedente Guerra Fredda – in effetti, una “dogmatizzazione” forzata della politica americana che è estremamente pericoloso e antidemocratico. che ha portato alla più grande espulsione di diplomatici russi nella storia degli Stati Uniti prima che la versione ufficiale della storia di Londra iniziasse a crollare. Anche questo non ha precedenti: la Guerra Fredda senza dibattito, che a sua volta ci impedisce di ripensare e rivedere spesso la politica americana che ha caratterizzato i 40 anni della precedente Guerra Fredda – in effetti, una “dogmatizzazione” forzata della politica americana che è estremamente pericoloso e antidemocratico.
  • 8.Così come non sorprende, e come molto diverso dalla 40enne Guerra Fredda, non c’è praticamente nessuna opposizione significativa nella corrente principale americana al ruolo degli Stati Uniti nella nuova Guerra Fredda – né nei media, né al Congresso, né nei due principali partiti politici, né nelle università, né a livello di base. Anche questo è senza precedenti, pericoloso e contrario alla vera democrazia. Basti pensare al silenzio assordante di dozzine di grandi aziende statunitensi che da anni fanno affari redditizi nella Russia post-sovietica, dalle catene di fast food e dalle case automobilistiche ai giganti dell’industria farmaceutica ed energetica. E confronta il loro comportamento con quello degli amministratori delegati di PepsiCo, dati di controllo, IBM e altre importanti società statunitensi che cercavano di entrare nel mercato sovietico negli anni ’70 e ’80, quando sostenevano e finanziavano anche organizzazioni e politici pro-rilassamento. Come spiegare oggi il silenzio delle loro controparti, che di solito sono così motivate dal profitto? Hanno paura di essere etichettati come “pro-Putin” o forse “pro-Trump”? Se è così, questa Guerra Fredda continuerà a svolgersi con esempi di coraggio molto rari negli alti luoghi? chi di solito è così motivato dal profitto? Hanno paura di essere etichettati come “pro-Putin” o forse “pro-Trump”? Se è così, questa Guerra Fredda continuerà a svolgersi con esempi di coraggio molto rari negli alti luoghi? chi di solito è così motivato dal profitto? Hanno paura di essere etichettati come “pro-Putin” o forse “pro-Trump”? Se è così, questa Guerra Fredda continuerà a svolgersi con esempi di coraggio molto rari negli alti luoghi?
  • 9. E poi c’è il mito diffuso che la Russia oggi, a differenza dell’Unione Sovietica, sia troppo debole – la sua economia troppo piccola e fragile, il suo leader troppo “isolato negli affari internazionali” – a condurre una Guerra Fredda duratura, e che alla fine Putin, che “scatole nella categoria superiore”, come vuole il cliché, capitolerà. Anche questa è un’illusione pericolosa. Come Cohen ha mostrato in precedenza“La Russia di Putin” è difficilmente isolata negli affari mondiali, e ancor meno, anche in Europa, dove almeno cinque governi si stanno allontanando da Washington e Bruxelles, e forse dalle loro sanzioni economiche. contro la Russia. In effetti, nonostante le sanzioni, l’industria energetica russa e le esportazioni agricole stanno prosperando. A livello geopolitico, Mosca ha molti vantaggi militari e connessi nelle aree in cui si è svolta la nuova Guerra Fredda. E nessuno Stato con armi nucleari e altre armi moderne in Russia sta combattendo “al di sopra della sua categoria”. Soprattutto, la stragrande maggioranza della popolazione russa si è radunata dietro a Putin perché crede che il suo paese sia sotto attacco dall’Occidente guidato dagli Stati Uniti.. Chiunque abbia una conoscenza rudimentale della storia russa comprende che è molto improbabile che possa capitolare in qualsiasi circostanza.
  • 10.Infine (almeno per il momento), c’è una crescente “isteria” di guerra, spesso evocata sia a Washington che a Mosca. È motivato da vari fattori, ma i programmi televisivi, che sono comuni in Russia come negli Stati Uniti, svolgono un ruolo importante. Solo uno studio quantitativo approfondito potrebbe discernere chi ha il ruolo più lamentevole nella promozione di questa frenesia – MSNBC e CNN o loro omologhi russi. Per Cohen, la caratteristica russa pessimista sembra appropriata: “I due sono i peggiori” (Oba khuzhe). Anche in questo caso, parte del dell’estremismo trasmissione americana esisteva nella precedente guerra fredda, ma quasi sempre equilibrata o addirittura superati dai pareri veramente informati e più saggio, ora in gran parte esclusa.

Questa analisi dei pericoli insiti nel nuovo estremista o allarmista della guerra fredda? Persino alcuni specialisti normalmente riluttanti sembrano concordare con la valutazione generale di Cohen. Gli esperti riuniti da un think tank di centro a Washington hanno pensato che su una scala da 1 a 10 ci sono da 5 a 7 reali opportunità di guerra con la Russia. Un ex leader britannico del MI6 ha riferito che “per la prima volta nella memoria dell’uomo esiste una possibilità realistica di un conflitto di superpotenze”. E un rispettato generale russo in pensione ha detto allo stesso gruppo di esperti che qualsiasi confronto militare “si tradurrà nell’uso di armi nucleari tra gli Stati Uniti e la Russia”.

Nelle attuali circostanze disastrose, un vertice Trump-Putin non può eliminare i nuovi pericoli della Guerra Fredda. Ma i vertici USA-Sovietici hanno tradizionalmente servito tre scopi corollari. Hanno creato una sorta di partenariato per la sicurezza – non è una cospirazione – che ha coinvolto limitato capitale politico di ciascun dirigente del paese, l’altro dovrebbe riconoscere e non mettere a repentaglio il indipendentemente. Hanno mandato un messaggio chiaro ai rispettivi burocrazie della sicurezza nazionale dei due leader, che spesso non ha favorito un tipo di rilassamento di cooperazione, il “capo” è stato determinato e che dovrebbero porre fine alla loro lentezza o addirittura di sabotaggio. E i vertici, con i loro solenni rituali e la loro intensa copertura, hanno generalmente migliorato l’ambiente politico-mediatico necessario per rafforzare la cooperazione nel mezzo dei conflitti della guerra fredda. Se un vertice di Trump-Putin raggiunge anche alcuni di questi obiettivi, potrebbe portare ad un allontanamento dal precipizio che al momento sta minacciando.

Stephen F. Cohen è professore emerito di studi e politica russa presso la New York University e la Princeton University e redattore di The Nation .

Fonte: The Nation, Stephen F. Cohen , 06-06-2018

L’ULTIMA FRONTIERA, di Gianfranco Campa

L’ULTIMA FRONTIERA

La prima volta che attraversai il confine fra gli Stati Uniti e il Messico era l’ormai lontano Giugno 1993. All’epoca viaggiavo su una Oldsmobile Cutlass Cruiser, versione familiare, con motore, se la memoria non mi inganna, di 3300 cc di cilindrata. Una di quelle macchine che per ogni miglio di strada si beveva il carburante di un’intera stazione di servizio. Ma all’epoca questo poco contava; in California un gallone di benzina costava intorno a un dollaro. In altre parole, 3,8 litri di benzina mi costavano intorno agli 80 centesimi di Euro.

Un anno strano il 1993; l’anno prima era stato eletto alla presidenza un certo Bill Clinton che aveva sconfitto alle elezioni presidenziali George Bush (padre) con l’aiuto di un miliardario Texano di nome Ross Perot. La ancora relativamente sconosciuta first lady, Hillary Clinton, aveva viaggiato in gioventù con la versione berlina della Oldsmobile con cui mi apprestavo ad attraversare il confine messicano.

L’avvento di Perot aveva dirottato verso il magnate, dall’accento provinciale, tipicamente Texano, una larga fetta di voti che in teoria sarebbero dovuti andare a Bush, aprendo quindi la strada alla vittoria di  Bill Clinton. Una vittoria fra amici di merende poiché la differenza fra Clinton e Bush si rivelò alquanto minima per quello che riguardava la politica e geopolitica americana. Perot al contrario è stato invece, in un certo senso, un apripista di Trump, un precursore, anche se Perot sbagliò tattica opponendosi al sistema bipartitico americano, invece che infiltrarsi e addomesticarlo dall’interno. Fatto sta che fino a questo momento Perot rimane nella storia moderna Americana come l’unico tentativo serio di rompere il regime tradizionale politico a stelle e strisce. Perot fu colui che in tempi remoti si è confrontato con l’establishment dell’epoca, opponendosi anche alla prima Guerra del Golfo e all’Accordo Nordamericano per il Libero Scambio, meglio conosciuto come NAFTA. Tra l’altro Ross Perot rimarrà famoso anche per la sua frase “pittoresca” con cui defini NAFTA come il “suono di un succhiatore gigante.” Succhiatore di posti manifatturieri (complice insieme ad altri accordi mondiali globali), svuotatore e trasformatore di intere aree industriali in zone fantasma, solo parzialmente rimpiazzate dal settore ad alta tecnologia e dal terziario. Succhiatore anche di speranze latine, speranze che in quel tardo Giugno del 1993 erano ancora palpabili per le strade della città messicana.

L’accordo NAFTA sarebbe entrato in vigore nel Gennaio del 1994, ma nonostante la povertà da terzo mondo, la città di Tijuana appariva relativamente ordinata, sicura e vivace in quell’estate del 1993. Parlando con la gente per la strada, tra un venditore di deliziosi Churros e uno di gustosi Tacos, traspariva l’ottimismo che la vicinanza ai gringos li avrebbe favoriti in questa visione globale del futuro prossimo.

Di quelle speranze rimarrà, a 25 anni di distanza, poco o niente. Nonostante quello che sostengono Wikipedia, gli economisti e i mass media, l’area metropolitana di Tijuana è stata sì parziale beneficiaria di alcuni investimenti nei settori dell’High Tech e manifatturiero, ma nonostante i proclami entusiastici riguardanti le potenzialità di quella città, la realtà si è rivelata col tempo ben diversa. Tijuana è anche una delle tante vittime di quella che possiamo definire la sindrome anti-trumpiana che pervade i mass-media e la politica Californiana. Le élites, abbagliate dall’odio viscerale per Trump, confidano in Tijuana come in uno strumento da rispolverare e mettere in mostra per avallare la teoria che la globalizzazione ha funzionato nonostante l’avvento di Trump. Trump come forza demoniaca distruttrice del sogno globalista e del libero scambio Nordamericano. Nel loro immaginario Tijuana oggi come oggi celebra le potenzialità come hub dal futuro economico roseo, dove invece di costruire muri si auspicano ponti di fratellanza e collaborazione. Ma tutto ciò rimane solo sulla carta e nel pio desiderio di chi la realtà si rifiuta di analizzarla e riconoscerla.

La frontiera messicana dal centro di San Diego dista solo venti minuti di macchina; all’entrata in Messico l’attesa e il controllo sono insistenti, diversamente dal ritorno, dove il controllo alla frontiera Statunitense, quella cosiddetta di San Ysidro, ti sottopone a ore di tediosa attesa, a volte sotto un solo cocente. Questo di per sé testimonia il fallimento della rappresentazione del Nord America formato da nazioni senza frontiere: Canada-USA-Messico. Infatti alla NAFTA avrebbe dovuto far seguito un trattato stile Schengen mai materializzatosi.

Dopo il 1994, con NAFTA a pieno regime, Tijuana si evolse da centro turistico a centro produttivo. Aziende del calibro di Panasonic, Samsung aprirono grandi impianti di assemblaggio.

Strano destino quello di Tijuana! La benedizione della vicinanza al confine avrebbe dovuto essere la sua salvezza, ma il sogno americano si e` infranto contro il muro della realta`.

Dopo un iniziale boom, Tijuana (e il Messico) sono entrati in un periodo di declino economico. La speranza era che NAFTA riducesse le disparità di reddito tra Stati Uniti e Messico; a 25 anni dall’accordo, il divario è continuato a crescere.

Nel 2014, a vent’anni dalla firma del NAFTA, anche  la disparità di reddito all’interno del Messico fra la classe ricca e quella povera è aumentata a dismisura. La quota del reddito nazionale dalla classe più ricca del paese è aumentata oscillando dal 24% fino al 58% lasciando al palo il resto della popolazione Messicana. A Tijuana, dal 2000 in poi sono stati persi 33.000 posti di lavoro.  Secondo Garrett Brown, ex-capo della rete per la salute e la sicurezza dei Maquiladora (Maquiladora è il termine usato per descrivere una fabbrica in Messico gestita da una società straniera e che esporta i suoi prodotti nel paese di tale società), il salario medio messicano nel 1975 era pari al 23% del salario di produzione degli Stati Uniti. Nel 2002 era meno di un ottavo. Secondo Brown, dopo il NAFTA, i salari reali messicani sono calati del 22%, mentre la produttività dei lavoratori è aumentata del 45% .  Alle società statunitensi è stato concesso di possedere terreni e fabbriche, ovunque in Messico, non solo a Tijuana. Per esempio la compagnia ferroviaria Union Pacific, con sede negli Stati Uniti, in collaborazione con la famiglia oligarca messicana dei Larrea, una delle più ricche del Messico è diventata proprietaria della principale linea ferroviaria nord-sud del paese e ha soppresso l’intero servizio passeggeri a scapito di quello merci. L’occupazione nel settore ferroviario messicano, in questi anni è crollata da 90.000 a 36.000 impiegati. I sindacati delle ferrovie hanno lanciato scioperi a catena nella speranza di salvare i loro posti di lavoro, ma alla fine hanno perso la loro battaglia e il loro attuale sindacato è diventato una pallida memoria del suo passato

I bassi salari sono la calamita utilizzata per attrarre gli investitori statunitensi e altri investitori stranieri.  La Ford, uno dei maggiori datori di lavoro del Messico, ha investito 9 miliardi di dollari nella costruzione di nuove fabbriche, ma nel frattempo Ford ha chiuso 14 stabilimenti statunitensi, eliminando il lavoro di decine di migliaia di lavoratori statunitensi. Entrambe le mosse erano parte del piano strategico dell’azienda per ridurre i costi di manodopera e spostare la produzione. Quando nel 2008  la General Motors è stata salvata dal governo degli Stati Uniti (Obama), chiuse una dozzina di stabilimenti statunitensi, mentre ha prosequito con  la costruzione di nuovi impianti sul territorio Messicano.

Nel 2010, secondo il Monterrey Institute of Technology, 53 milioni di messicani vivevano in condizioni di povertà, circa la metà della popolazione del paese. La crescita della povertà, a sua volta, ha alimentato la migrazione. Nel 1990, 4,5 milioni di persone di origine messicana vivevano negli Stati Uniti. Un decennio più tardi, quella popolazione è più che raddoppiata a 9,75 milioni, e nel 2008 ha raggiunto il picco di 12,67 milioni.

Tra il  2001 e il 2015, 267 aziende manifatturiere sono scomparse dalla città di Tijuana. Molto della produzione manifatturiera che ha lasciato gli Stati Uniti si è indirizzata verso l’area Asiatica (Cina in primis), lasciando Tijuana e il Messico al palo. In altre parole si sentono forti i suoni del succhiatore gigante….

(Carovana di un cartello mafioso della droga)

Altre componenti hanno contribuito alla crisi di Tijuana e a rendere monco il NAFTA: l’attacco dell’undici di Settembre, la crisi finanziaria del 2008,  l’emergenza del virus H1N1, ma soprattutto la violenza dei cartelli della droga.  Di conseguenza molti dei turisti americani hanno smesso di visitare la regione e le attività turistiche sono crollate. Resiste ancora il turismo del sesso, visto la larga presenza di prostitute e quella dell’alcol, soprattutto da parte di studenti americani che nel fine settimana si recano al di là del confine per delle facili sbronzate.

Tijuana così rimane per il momento nel limbo, un progetto iniziato e rimasto in sospeso con la città che potrebbe essere in teoria il ponte della California verso l’America Latina, con un potenziale vantaggio economico per entrambe le parti. La  California è la sesta economia al mondo, pari al 13% del PIL USA. Un bacino Tijuana-San Diego offre un potenziale di forza lavoro di oltre 3 milioni di persone.

(Sparatoria tra Forze dell’Ordine e componenti del pericolossissimo cartello Los Zetas.)

Nell’attesa che finalmente le fortune di Tijuana si invertano, in questi anni  si sono arricchiti solo gli oligarchi messicani e i cartelli della droga (sovvenzionati dall’Appetito degli Americani per le droghe). Il livello di violenza è allarmante, con cifre che riflettono quelle di una vera e propria guerra civile. A Tijuana dal Febbraio scorso ci sono stati in media 8 omicidi al giorno. Nel solo mese di Luglio si sono registrati 242 omicidi. Tijuana è considerata la quarta città più violenta del mondo; in altri termini gareggia di pari passo con città situate in piene zone di guerra. La violenza ha mietuto vittime non solo fra criminali dei cartelli della droga ma anche fra civili innocenti, incluso molte figure politiche e giornalistiche. In Tijuana l’ultima agenzia di Stampa ancora aperta è guardata a vista dai militari messicani 24/7. Insomma siamo in una situazione che ricorda molto più la Siria piuttosto che un paese Nord Americano.

In Mexico, rails are risky crossing for a new wave of Central American migrants - The Washington ...

C’è un altro aspetto inquietante che contribuisce ai problemi di Tijuana. La vicinanza col confine Californiano l’ha resa meta del pellegrinaggio migratorio. Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, disperati di ogni tipo da ogni parte del globo, si ritrovano alla fine del loro viaggio travagliato a Tijuana. Tijuana rappresenta il capolinea del viaggio e l’inizio di quella che dovrebbe essere la speranza di una vita nuova nell’America dei sogni, la realizzazione del sogno americano. Ma i sogni finiscono a Tijuana; lì si trasformano in incubi e le vite di milioni di disperati si intrecciano con i problemi di un tessuto sociale ormai al collasso. Prima ancora dell’avvento di Trump il confine a Tijuana era sommerso da immigrati clandestini convergenti da tutto il mondo bloccati dalle sempre più imponenti misure di controllo doganale. Da quando Trump è entrato alla Casa Bianca la situazione è solo peggiorata. I più fortunati pagano i cosiddetti coyotes ( trafficanti di esseri umani) fino a 20.000 dollari  per farsi trasportare oltre il confine, a piedi nel deserto, per finire il più delle volte intercettati dalla polizia di frontiera (Border Patrol). I meno fortunati (la maggioranza) rimangono bloccati al confine.

Secondo le statistiche del governo americano: Nel 2016 un totale di 409.000 immigrati clandestini sono stati catturati mentre tentavano di attraversare illegalmente il confine sudoccidentale con gli Stati Uniti. Un aumento del 23% rispetto all’anno precedente. Inutile dire che la tendenza è in deciso aumento. Arrivano da tutte le parti gli immigrati a Tijuana; Dal Centro e Sud America, Zone Caraibiche, Zone Asiatiche, Africane, e Mediorientali. Non sono solo i Messicani a voler attraversare il confine.

Immigrant family separation: Why do they flee their home countries?

Se tutto ciò non bastasse si aggiunge un altro problema per la città e il governo messicano. Mentre Tijuana si gonfia di immigrati bloccati al confine americano, si aggregano ogni giorno a questi anche quelli privi di documenti che vengono deportati, rimpatriati dagli Stati Uniti. Tijuana è al collasso, sopraffatta da un marea di persone senza casa e senza futuro. I centri di accoglienza sono colmi e traboccano di gente. In Italia e in Europa i centri di accoglienza sono delle regge reali paragonate a quelle Messicane dove mancano anche delle forme più elementari di assistenza. Lo stato Messicano non ha le risorse per poter seguire tutti questi disperati che gonfiano la frontiera Messico-USA

Tijuana rappresenta l’ultima frontiera dove  vanno a naufragare i sogni di milioni di persone. Sogni alimentati dalle false promesse dei trattati internazionali mirati solamente ed esclusivamente ad arricchire le multinazionali a spese di lavoratori e immigrati. NAFTA è ora morta, soppressa da Trump cecchino della globalizzazione sfrenata. In molti non ne sentiranno la mancanza, altri continueranno a far finta che Tijuana abbia un grande potenziale e che i trattati internazionali sono la panacea che cura tutti i dolori sociali.

Tijuana rappresenta la visione di un futuro non troppo lontano per l’Italia stessa. Italia paese di frontiera svuotato di contenuti e idee. Impoverito da anni di abusi sovranazionali travestiti da trattati internazionali spacciati come rimedi a tutti i nostri problemi. Immigrati e rifugiati che arrivano dai posti più disparati e disperati con la speranza di superare il confine con la Francia, Svizzera, Austria etc.

Tijuana città fallita, di un bellissimo paese come il Messico ricco di storia e bellezze naturali. Anche l’Italia un paese fallito? Si sente nel sottofondo  il suono di un succhiatore gigante…

 

 

http://zetatijuana.com/2018/08/tijuana-estado-fallido/

 

https://www.politicalresearch.org/2014/10/11/globalization-and-nafta-caused-migration-from-mexico/

 

https://www.sandiegoreader.com/news/2018/aug/08/stringers-tijuanas-most-violent-month-all-history/

 

https://www.nytimes.com/2017/01/27/world/americas/mexico-border-tijuana-migrants-haitians-trump-wall.html

26° podcast_caccia alle streghe, di Gianfranco Campa

Lo scontro politico negli Stati Uniti ha ormai perso le caratteristiche di un duello, sia pure mortale. Ormai non ci sono più regole ed etiche da rispettare. I motivi politici si dissolvono nell’ombra, il pretesto diventa la motivazione e lo strumento unico per colpire, ferire e uccidere. Un procuratore incaricato di indagare su presunte collusioni con il nemico non dichiarato russo, si sente in diritto di allargare indiscriminatamente il proprio ambito di azione ad ogni campo e pretesto che possano incastrare il nemico politico dichiarato. La tanto osannata separazione dei poteri in uno Stato, a garanzia dei diritti del cittadino e del limite di esercizio del politico, si sta rivelando sempre più una mera distinzione di funzioni ed una collusione tra poteri. Una dinamica che vuole criminalizzare l’avversario, Trump nella fattispecie, ma che in realtà delegittima e priva di autorevolezza anche i fustigatori. Le conseguenze sono uno scontro politico distruttivo e destabilizzante tra oligarchie ristrette e avulse in un caso; nell’altro, e questo sembra essere il caso, un conflitto senza controllo propedeutico ad una vera e propria guerra civile o ad un colpo di stato strisciante. Il retaggio di una nuova classe dirigente giunta relativamente impreparata al governo e che sta scoprendo con durezza sul campo la tragica differenza tra esercizio del governo ed esercizio del potere quando chi detiene il primo è antitetico al detentore preponderante del secondo. A giorni, se non ad ore, si stanno preparando grandi colpi di scena, negli Stati Uniti e a casa nostra. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-26

L’EROE GUERRAFONDAIO DI TUTTI I MONDI NON C’È PIÙ! LUNGA VITA A JOHN MCCAIN, di Gianfranco Campa

L’EROE GUERRAFONDAIO DI TUTTI I MONDI NON C’È PIÙ! LUNGA VITA A JOHN MCCAIN.

 

Stanotte è morto all’età di 81 anni, il senatore repubblicano, componente primario dell’establishment politico americano, John Sidney McCain III. Se ne va uno degli attori principali della politica americana del ventesimo e ventunesimo secolo. Se ne va colui che il New York Time ha definito: “ Il più grande leader politico del nostro tempo.” Se ne va colui che è stato un arcinemico di Donald Trump e dei suoi sostenitori. Se ne va il tardo eroe dei democratici per il suo militantismo anti-trumpiano. Un sondaggio condotto due giorni fa dice che McCain era amato da circa il 60% dei democratici contro il 48% dei repubblicani. Un amore democratico  morboso dovuto alla militanza anti-trumpiana del senatore dell’Arizona. La santificazione democratica di  McCain rasenta il ridicolo, con buona pace della memoria corta di molti democratici i quali durante le elezioni presidenziali del 2008 avevano definito McCain un sociopatico, un suprematista bianco, razzista, islamofobo, mentecatto, nazista, “moralmente ed eticamente inadatto a essere il presidente degli Stati Uniti.” (The Atlantic- SEP 17, 2008)

 

 

Il rapporto di amore passionale sfociato fra i democratici e il senatore McCain non aveva niente a che vedere con un genuino riallineamento politico di queste due entità, ma andava ricercato piuttosto in un rapporto di interesse reciproco. McCain, come altri neocons del calibro di Max Boot, Bill Kristol e via dicendo, lasciati orfani dal partito repubblicano modellato a immagine di Trump, sono stati costretti a cercare nuove sponde da dove continuare ad alimentare il loro impeto guerrafondaio; i democratici d’altro canto cercavano alleati nella loro partigiana resistenza all’invasore alieno Trump. Un rapporto di interesse quindi,  non di genuino amore.

Sono passate tre ore dalla morte di McCain e mentre scrivo questo articolo siamo soggetti a un continuo tributo mediatico alla memoria del senatore, eroe e prigioniero di guerra. Tutti i canali ne stanno decantando le gesta, siamo sottoposti a una indigestione di lodi che rasentano il ridicolo. Tenete conto che queste entità politiche e mediatiche sono le stesse che sputano veleno su Trump 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Ci vorrebbe un po di equilibrio da parte di certa gente…  L’ultima volta che ho visto un’unità di intenti mediatica e politica di questa portata a cui ora siamo soggetti qui negli Stati Uniti è stato quando i mass-media hanno elogiato in modo unanime, su tutti i canali, George W. Bush per aver invaso due paesi sulla scia dell’11 settembre.

Aldilà del rispetto per la sofferenza di una persona e della sua famiglia in questi momenti di dolore, se non si fa una breve ma onesta analisi, si manca allora di rispetto anche verso coloro che le sofferenze e i dolori li hanno subiti per colpa di una uomo che per decenni  ha infiammato ed iniettato veleno non solo nella politica americana ma in quella di mezzo mondo.

La lista dei peccati e delle scorribande di McCain è abbastanza lunga. Per cominciare, fra i contribuenti alla sua fondazione, troviamo gente del calibro della famiglia Rothschilds, del governo Saudita, del filantropo George Soros. Quest’ultimo fra l’altro ha contribuito finanziariamente più volte alle campagne politiche di McCain.

McCain ce lo ritroviamo in Siria prima dell’inizio della guerra civile, in Ucraina prima della rimozione violenta di Viktor Yanukovych, nei Balcani prima dell’attacco alla Serbia. Ce lo ritroviamo ultras militante anti-Gheddafi prima della guerra civile in Libia. Cè lo ritroviamo  vocalmente allineato alle forze della primavera araba. Ce lo ritroviamo attivo sostenitore di quel Saakashvili che ha incendiato l’Ossezia del Sud e torturato i prigionieri nelle carceri Georgiane. Ce lo ritroviamo attore principale e instancabile sostenitore delle sanzioni all’Iraq durante il regno di Saddam Hussein, sanzioni che costarono la vita a migliaia di civili innocenti. Uno dei principali promulgatori e promotori delle due guerre del golfo. Ce lo ritroviamo sostenitore energiico e indefesso nell’espansione della NATO sino ai confini Russi. Insomma sostenitore convinto di guerre interventiste, esportatrici di democrazia mirate ai cosiddetti cambi di regime.

Se si vuole vedere un mondo sotto la ottica delle guerre neoconservatrici allora John McCain è la quintessenza delle aggressioni militari americane degli ultimi trenta anni. Il disprezzo per la vita di innocenti civili è  quello che in realtà ha propagato John McCain negli anni più attivi della sua politica. Il sangue sparso in Libia, Siria, Ucraina, Balcani, Iraq etc.  grida ancora giustizia, quella giustizia superiore a cui ora McCain dovrà dar conto.

 

 

Lo so,  vi diranno che non si può criticare McCain, perché McCain è un eroe; ma un eroe per chi? Forse per la sua prima moglie che tradì e lasciò per un’altra donna molto più giovane?  Forse per quelle accusatrici di molestie e rapporti sessuali extra matrimoniali venute fuori allo scoperto e ignorate dalla maggioranza della grande stampa? Eroe per le milioni di vittime che le guerre sponsorizzate da McCain hanno provocato? Eroe perché il senatore John McCain disse a chiunque non avesse gradito la sua decisione di consegnare il dossier di Christopher Steele all’FBI “di andare tranquillamente all’inferno.”. Sappiamo bene come la pensano i saggi conformisti di questi tempi decadenti : McCain è un eroe mentre Trump è un villano.

Meglio lasciarsi con le parole del nostro “amato” George Soros che dal suo account Twitter ci manda un messaggio di pace e speranza:  “Ricordiamo John McCain, un guerriero coraggioso dei diritti umani che si è sempre opposto alla repressione e alle torture” Meno male che ci pensa il nostro caro George ad illuminarci sulla strada di Damasco. Anche se quella strada, grazie alle opere miracolose dei discepoli di McCain, si ritrova disseminata di buche bombarole.

Ora però mi sento in colpa perché è volato all’aldilà  un vero  santo. Io l’avevo sotto il naso e non l’ho capito, apprezzato e venerato per quello che era realmente. R.I.P John McCain che ti sia concesso il perdono divino…

 

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