L’ossatura del domani, di SIMPLICIUS THE THINKER

Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, vengo irrimediabilmente trascinato in una fantasticheria riflessiva. Anche se non è la fine del decennio, quando le cose assumono davvero una sfumatura retrospettiva, questi tempi di sconvolgimenti fanno sì che gli anni sembrino davvero passare come decenni.

Ho sempre sostenuto che un decennio in realtà non cambia solo alla sua cuspide nominale, quando trabocca nella sorgente in attesa di quello successivo, ma piuttosto a metà, il vero cuore ed epicentro. Forse è stato Andy Warhol, o qualcuno del suo calibro, a riassumere i decenni come momenti di rottura della loro vera crisalide stilistica durante i loro centri esatti; è quasi come se la prima metà fosse una sorta di maturazione, la ricerca a tentoni dell’identità mentre gli anni si accumulano in una lotta alla ricerca di se stessi, per poi emergere nella sua forma più vera a metà strada, seguita dalla fase di lento declino e burnout, il processo naturale di decadenza e rinnovamento.

E così, mentre ci avviciniamo alla metà degli anni 2020 – un decennio che molti di noi non avrebbero mai pensato di vedere – sono solito rapsodiare sulle incognite del futuro e su quelle pugnalate alla cieca del periodo del parto a cui siamo ora soggetti.

Ci sono decenni di cambiamenti, e poi ci sono intere epoche. Mentre rifletto su queste cose, mi capita di leggere Il mondo di ieri di Stefan Zweig, un’ode romantica all’Europa, in particolare all’Impero austro-ungarico e al suo ultimo lustro di dinastia asburgica, scritta alla vigilia di un cambiamento epocale durante la seconda guerra mondiale. Il libro ha una certa valenza mistica anche perché l’autore si uccise appena un giorno dopo aver consegnato il manoscritto al suo editore. Era distrutto dal peso schiacciante di un futuro incerto, mentre il passato idilliaco dei suoi ricordi veniva spazzato via dallo zolfo e dalle cannonate di una guerra incomprensibile.

Il libro stesso ruota attorno a quel rarefatto passaggio della guardia, un mondo che svanisce in un altro irriconoscibile. È un’elegia malinconica agli ideali dell’infanzia offuscati dall’oscurità sconcertante della modernità, l’attrazione spaventosa verso i sentieri incerti che si irradiano in un futuro privo di logica. Il libro abbaglia con le sontuose descrizioni della Parigi e della Vienna di un tempo come centri di espressione, amore, ordine e libertà, certamente eccessivamente idealizzati dall’autore, un po’ credulone e infantile, ma comunque rappresentativi del senso di qualcosa di perduto e mai più ritrovato, che tutti noi sopportiamo sempre più spesso al giorno d’oggi.

Un estratto dal capitolo Luminosità e ombre sull’Europa:

La generazione di oggi è cresciuta in mezzo a disastri, crisi e fallimenti di sistemi. I giovani vedono la guerra come una possibilità costante da aspettarsi quasi quotidianamente, e può essere difficile descrivere loro l’ottimismo e la fiducia nel mondo che provavamo quando noi stessi eravamo giovani all’inizio del secolo. Quarant’anni di pace avevano rafforzato le economie nazionali, la tecnologia aveva accelerato il ritmo della vita, le scoperte scientifiche erano state fonte di orgoglio per lo spirito della nostra generazione. La ripresa che stava iniziando poteva essere percepita quasi nella stessa misura in tutti i Paesi europei. Le città diventavano di anno in anno più attraenti e densamente popolate; la Berlino del 1905 non era come quella che avevo conosciuto nel 1901. Da capitale di uno Stato principesco era diventata una metropoli internazionale, che a sua volta impallidiva di fronte alla Berlino del 1910. Vienna, Milano, Parigi, Londra, Amsterdam: ogni volta che vi si tornava si rimaneva sorpresi e deliziati. Le strade erano più ampie e raffinate, gli edifici pubblici più imponenti, i negozi più eleganti. Tutto trasmetteva un senso di crescita e di maggiore distribuzione della ricchezza. Anche noi scrittori ce ne accorgemmo dalle edizioni dei nostri libri: nel giro di dieci anni il numero di copie stampate per ogni edizione triplicò, poi quintuplicò e decuplicò. Ovunque c’erano nuovi teatri, biblioteche e musei. I servizi domestici, come i bagni e i telefoni, che prima erano prerogativa di pochi ambienti selezionati, divennero disponibili per la classe medio-bassa e, ora che le ore di lavoro erano più brevi di prima, il proletariato aveva la sua parte almeno nei piccoli piaceri e nelle comodità della vita. C’era progresso ovunque. Chi osava, vinceva. Chi comprava una casa, un libro raro, un quadro, vedeva aumentare il suo valore; più audaci e ambiziose erano le idee alla base di un’impresa, più era certo il suo successo. All’estero si respirava un’atmosfera meravigliosamente spensierata: cosa avrebbe potuto interrompere questa crescita, cosa avrebbe potuto ostacolare il vigore che traeva sempre nuova forza dal suo stesso slancio? L’Europa non era mai stata più forte, più ricca o più bella, non aveva mai creduto con più fervore in un futuro ancora migliore e nessuno, a parte qualche vecchio rinsecchito, piangeva ancora la scomparsa dei “bei tempi andati”. E non solo le città erano più belle, anche i loro abitanti erano più attraenti e più sani, grazie alle attività sportive, a un’alimentazione migliore, a orari di lavoro più brevi e a un legame più stretto con la natura. La gente aveva scoperto che in montagna l’inverno, un tempo triste stagione da trascorrere giocando a carte nelle taverne o annoiandosi in stanze surriscaldate, era una fonte di luce solare filtrata, un nettare per i polmoni che faceva scorrere il sangue deliziosamente sotto la pelle. Le montagne, i laghi e il mare non sembravano più lontani. Le biciclette, le automobili, le ferrovie elettriche avevano ridotto le distanze e dato al mondo un nuovo senso dello spazio. La domenica migliaia e decine di migliaia di persone, vestite con abiti sportivi dai colori sgargianti, sfrecciavano sulle piste innevate con sci e slittini; centri sportivi e bagni erano stati costruiti ovunque. In quei bagni si vedeva chiaramente il cambiamento: mentre nella mia giovinezza una figura di uomo veramente bella spiccava tra tutti gli esemplari dal collo taurino, paffuti o con il petto di piccione, oggi i giovani agili e atletici, abbronzati dal sole e in forma grazie a tutte le loro attività sportive, gareggiavano allegramente tra loro come nell’antichità classica. Solo i più poveri rimanevano a casa la domenica; tutti i giovani andavano a passeggiare, ad arrampicarsi o a gareggiare in ogni tipo di sport, perché il mondo si muoveva a un ritmo diverso. Un anno… quante cose potevano accadere in un anno! Le invenzioni e le scoperte si susseguivano a ritmo incalzante, e ognuna di esse diventava rapidamente un bene comune. Mi dispiace per tutti coloro che non hanno vissuto questi ultimi anni di fiducia europea quando erano ancora giovani. Perché l’aria che ci circonda non è un vuoto e un’assenza, ma ha in sé il ritmo e la vibrazione del tempo. Li assorbiamo inconsciamente nel nostro flusso sanguigno, mentre l’aria li trasporta in profondità nei nostri cuori e nelle nostre menti. Forse, ingrati come sono gli esseri umani, non ci siamo resi conto in quel momento della forza e della sicurezza con cui l’onda ci portava in alto. Ma solo chi ha conosciuto quell’epoca di fiducia nel mondo sa che da allora tutto è stato regresso e oscurità.
Questo passaggio ha forse smosso qualcosa di profondo nelle vostre viscere? Un ricordo di un tempo lontano, che forse risuona in quei confini claustrali del vostro essere? Quand’è stata l’ultima volta che la nostra società attuale ha offerto una vera crescita, in qualsiasi forma o sapore, o qualsiasi cosa di valore? Quand’è che le invenzioni e i progressi scientifici sono stati fatti per avvantaggiare l’uomo comune piuttosto che, al contrario, per togliergli i mezzi di sussistenza, come tutti gli ultimi sviluppi dell’intelligenza artificiale? Quando vi siete trovati per l’ultima volta a camminare all’aperto e a guardare una scena come questa colorata del 1945, e vi siete sentiti involontariamente cadere a capofitto verso un destino indeterminato, ma eccitante, nato da un futuro che valeva la pena di essere vissuto?


È la quintessenza del joi de vivre, quella leggerezza quasi indescrivibile o galleggiamento dell’essere, che manca gravemente all’esperienza vissuta di oggi. Forse io sono solo un po’ morigerato, e molti di voi sono meravigliosamente appagati da un senso di promessa vitalizzante per il futuro. Forse questa nostalgia esistenziale vi sembra una nota stonata. Ma azzardo che sempre più spesso vi siete sentiti inciampare in un bosco crepuscolare negli ultimi tempi, con una cecità temporale che vi impedisce di vedere la luce che si affievolisce oltre gli alberi davanti a voi.

Per coincidenza, mi è capitato di leggere l’ultima opera del collega Substacker David Bentley Hart, che risuonava con lo stesso senso sincronico di ricordo perduto. Egli descrive magnificamente le magiche evocazioni della liminalità contenute nel classico romanzo francese Le Grande Meaulnes:

Per me, è qui che risiede il genio peculiare di entrambi gli uomini: nella loro capacità di evocare il senso di qualcosa che si trova sempre alle proprie spalle e che non si riesce a girare abbastanza velocemente per scorgere: il senso di un paese perduto al cui confine si può solo andare alla deriva, o di una memoria perduta di cui non si riesce ad afferrare il bordo tremulo. La loro è un’arte pervasa dal dolore dell’esilio, dalla sensazione di qualcosa di ormai scomparso che è sempre stato al tempo stesso pericolosamente fragile e profondamente amato: un’infanzia o una prima giovinezza svanite; un’innocenza scomparsa; la bellezza della Francia e dell’Inghilterra rurali, con i loro boschi e boschetti che presto saranno cancellati per lo sviluppo, e i loro campi e stradine di campagna che presto saranno coperti da autostrade asfaltate; un consenso sociale più antico, sostenuto da una serie di illusioni più rosee; un paese fatato che svanisce alla luce dell’alba; un paradiso sprecato e immemore; o qualsiasi altra cosa. Soprattutto, in una lunga retrospettiva, evoca le immagini di una generazione di bambini cresciuti nella lunga e serena primavera edoardiana, ma che non sarebbero diventati abbastanza grandi da avere figli propri.
La maggior parte delle culture ha un concetto vagamente legato a questo. Che si tratti del je ne sais quoi dei francesi, o del mono no aware dei giapponesi, o del portmanteau di vesperance, coniato da un altro scrittore di internet con l’aiuto di ChatGPT, che ho proposto prima:

Vesperanza (n.): L’emozione solitaria di un malinconico riconoscimento del presente come un’epoca in via di dissolvimento, che si tinge di anticipazione per un futuro irriconoscibile e trasformativo.
Colpisce il cuore del precipizio su cui ci troviamo oggi. L’America è l’esempio più viscerale: gli ultimi decenni sono stati segnati da un’esuberanza decadente che ha visto la cultura americana, pur con tutti i suoi eccessi, portare la fiaccola attraverso le tenebre strascicate della postmodernità, verso un futuro tangibile che potevamo anticipare con il morso dell’aria salmastra che preannuncia un mare. Nonostante la mancanza della capacità di dargli un nome o una forma, una sorta di determinazione speranzosa ci riempiva almeno di un cauto senso di ottimismo per le cose a venire.

Ma negli anni ’60 e ’70 un crescente disordine cominciò ad attanagliare il mondo. Vari shock e crisi legati al petrolio, alla politica monetaria e alla geopolitica spuntarono come cavallette. La guerra culturale iper-liberale ha abbattuto le barriere una dopo l’altra, propagandando alti livelli superficiali che smentivano i mali che si trovavano sotto la terra colpita alle radici della società. La malattia è stata sublimata attraverso i movimenti di controcultura e le scene indie in espansione, che hanno abbracciato il nichilismo e la dissoluzione, senza alcun esito felice. Mi viene in mente Ian Curtis, cantante dei Joy Division, che si uccise alla vigilia del loro primo tour nordamericano, un tema tristemente prevalente.

In tutto questo, il fervore per le promesse del domani continuava a brillare fiocamente, unendo le persone con un tocco affine non dichiarato. La società occidentale conservava la sua licenza morale di presiedere alla rubrica del bene e del male; l’Unione Sovietica offriva un facile antipodo mitologico, sfruttato a dovere dai potenti. Anche se il futuro lasciava presagire l’incertezza, rimanevano almeno alcuni elementi tangibili: la gente pianificava la propria vita perché le necessità materiali erano ancora a portata di mano: ci si poteva permettere una casa, un’auto, le vacanze, ecc. Il Paese portava la sua leadership mitizzata come una corona e il mondo si inchinava libidinosamente al suo percepito “primo diritto”.

Oggi l’America è avvolta da uno strano pantano. La cultura ha perso la sua lucentezza, il suo peso per muovere il mondo: le esche usate un tempo per intrappolarci in un mito comune di salvezza giacciono appassite come falsi idoli. Il fuoco che si sta affievolendo ha fatto sparire ogni senso di “magia” nell’Occidente che sta andando a rotoli, sostituendolo con i resti di un’incomprensibile inquietudine, un’accidia esistenziale. Le pietre miliari della cultura si sgretolano intorno a noi come edifici in decomposizione uno dopo l’altro, torri d’avorio che riscattano anni di abbandono spirituale. Marchi come Disney, che un tempo rappresentavano filoni inviolabilmente profondi della psiche americana, sono stati trasfigurati in motori di perversione – o più propriamente di conversione – con perdite miliardarie: sangue che sgorga dalla bocca di un gargoyle. L’America assomiglia ormai a un carcere di massima sicurezza, con ogni Stato che ha un blocco di celle separato, i cui residenti, in preda alla collera, si agitano con sospetto o con vera e propria ostilità l’uno verso l’altro. Il sole è tramontato sui bon vivants di un tempo e lo spettacolo dei pony è andato in malora.

La Cina, la Russia e l’Africa tracciano ora audacemente le proprie strade, ignorando le vermicolose ricadute culturali dell’America. I loro imperativi sociali sono concepiti per proteggere non solo la famiglia, ma anche la maggioranza della società; basti pensare al recente decreto di Putin secondo cui il 2024 sarà considerato “l’anno della famiglia“, con tutti gli investimenti sociali e governativi che ne conseguono; ad esempio, Putin ha già organizzato giorni fa una conferenza con il compito di delineare nuovi benefici sociali per le famiglie che hanno figli, bonus di maternità per le donne, ecc. Allo stesso modo, lo status del movimento LGBT è stato ancora una volta declassato a una regolamentazione più severa, al fine di proteggere la stragrande maggioranza dei cittadini da una propaganda dannosa e destabilizzante. Al contrario, in Occidente la maggioranza subisce i colpi e le frecce di una vera e propria nuova Inquisizione spagnola per amore di un’immaginaria minoranza vittimizzata. In realtà, questa minoranza è stata indotta e armata come mero guignol istituzionale contro coloro che rappresentano la più grande minaccia per gli ingegneri sociali dell’autorità. La società occidentale ha sempre più l’odore di una sfrenata lustrazione rituale.

A cosa ha portato tutto questo?

L’Occidente ha sbattuto contro un muro culturale; la sua visione del mondo è stata rifiutata dalla società in generale e con essa il mandato di dettare la direzione da seguire. Ci troviamo in una sorta di bardo nebuloso, una palude liminale, intrappolati tra le epoche senza una chiara via d’uscita, senza una visione soddisfacente del futuro che ci guidi o ci rassicuri. Di conseguenza, la cultura si è trasformata in un vortice stagnante: un ciclo temporale interrotto di ossessionante isolamento, solitudine e indescrivibile alienazione. Questi, i nostri nuovi idoli, sono diventati i tessuti sociali del nostro continuum dislocato, per essere occasionalmente interrotti dalle contorsioni stridenti di qualche “tecno-meraviglia” di breve durata – AI e ChatGPT come nuovi uscieri del nostro spossessamento.

Diversi pensatori hanno fatto carriera analizzando il fenomeno negli ultimi anni. Primo fra tutti il brillante Mark Fisher, che ha reso popolare il termine Hauntology, coniato da Derrida, per descrivere il modo in cui i nostri “futuri perduti” trapelano attraverso i pori del nostro presente collettivo, sintetizzandosi in un senso sempre più viscerale non solo di perdita per qualcosa che un tempo era stato promesso, ma anche di un’ineluttabile sensazione di vuoto sviscerale nei confronti del domani. In sostanza, in mancanza di un vero futuro, le figure di quello che ci è stato promesso continuano a esercitare la loro seduzione sulla nostra psiche come un ritmo ipnotico; spettri lampeggianti di ciò che è stato e sarà.

Fisher parla di “lento annullamento del tempo”, un concetto che riecheggia leggermente nel “deserto post-ideologico” di Zizek – l’idea che la modernità abbia soppiantato ogni sviluppo precedente con un paesaggio arido di non-idee, simile ai “non-luoghi” di Marc Augé, a cui Fisher fa riferimento. In breve: la post-modernità e la metamodernità come un terreno vuoto infestato dai fantasmi di un futuro che non c’è più.

Riuscite a indovinare il prevedibile destino di Fisher?

Una discendenza diretta può essere rintracciata non solo attraverso Derrida, ma anche attraverso il suo ex allievo Fukuyama, che ha notoriamente dichiarato la fine della storia, con il capitalismo neoliberale che è culminato in un apice del progresso umano, una vetta che guarda al mondo lillipuziano con un freddo sogghigno. Il conquistatore della montagna – in questo caso l’Occidente consacrato – unisce passato e futuro in un unico vessillo da apporre con orgoglio nell’eterno crepuscolo, dichiarando la Pax Liberalis.

Fukuyama potrebbe aver avuto ragione, ma non nel modo in cui immaginava. Invece il presente si è accartocciato su se stesso: quella promessa tonica della modernità, costruita sui sogni dissacrati di un futuro sventrato e reso sterile per tamponare i peccati del passato, è venuta meno.

La supremazia culturale dell’Occidente si è affievolita sotto la luce fioca del suo ingegno. Sotto la facciata seducente dell’innovazione, dell’espressione, della progressione e di tutte le altre vuote tangenti agitistiche che adornano i pannelli scintillanti delle pareti, abbiamo trovato le tracce ben nascoste di un elaborato stratagemma: una rete nascosta di corde e pulegge, l’astuta sovversione delle forze mercificanti globaliste. Una corsa di topi, una mitografia religiosa dei motori di sfruttamento dell’eccesso di capitale in fuga, il “mito del progresso” astorico. Senza la sottoscrizione del capitale predatorio globale, la locomotiva culturale si è trovata a fermarsi. Sotto l’impiallacciatura di gingilli e fronzoli non c’era altro che l’orpello sbiadito di una vuota sublimazione: la negazione dell’impulso moderatore della natura. Il punto in cui ci troviamo ora è quello in cui ci siamo sempre trovati: le sabbie mobili del tempo.

Quando Edward Bernays iniziò a progettare i copioni del moderno reality show, fu almeno abbastanza coscienzioso da mantenere le spinte comportamentali solo leggermente sfalsate rispetto ai nostri impulsi naturali. I costumi della società sono stati preservati, con solo un attento e periodico ritocco per soddisfare le esigenze degli showrunner di Big Business.

Ora i tecno-farisei eletti hanno alzato la posta in gioco. A causa dell’urgenza dell’imminente caduta della loro egemonia finanziaria, sono costretti a fistolizzarci la gola con megadosi di programmi confusi per assicurarsi che la nidiata sia abbastanza compiacente e disunita da non prendere in considerazione alcuna scomoda modalità di ricorso durante il periodo storico di declino del fariseo eletto. L’alleanza avvelenata deve durare a tutti i costi, per evitare che il tessuto della realtà imposta si disfi.

Il rumore incoerente ci intrappola in uno stato di limbo: sempre distanti, sempre alienati, sempre diffidenti gli uni verso gli altri. Questa distanza insopportabile ci lascia menestrelli spostati che scalciano sulla ghiaia sciolta del passato, rovistando alla ricerca di frammenti di quei futuri estranei, un tempo splendenti, come archeologi ribelli. Quali tesori possono nascondersi in questi campi abbandonati? Potremmo portare alla luce un significato per questi tempi fratturati?

Avendo trovato un frammento imperfetto, posizioniamo le nostre casse di risonanza in qualche angolo poco frequentato di questo vecchio fascio di fibre e portiamo avanti le nostre parole e canzoni di ricordo, sperando di accendere un ricordo o due in un compagno di viaggio. Forse qualcosa si smuoverà, per scoprire qualcosa di più di ciò che è andato perduto.

Vi va di cantare una canzone?


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Salvador De Madariaga, La sacra giraffa_recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Salvador De Madariaga, La sacra giraffa, OAKS Editrice 2023, pp. 307, € 25,00.

Diplomatico, insegnante, uomo politico, presidente dell’Internazionale liberale, Salvator De Madariaga tra tante opere storiche scrisse questo libro distopico connotato da un umorismo á tous azimouths, ma, in particolare rivolto alla società inglese del secolo scorso, che conosceva bene, avendo insegnato ad Oxford. Immagina di aver trovato e tradotto un romanzo che descrive la civiltà dell’anno 6922, dove l’Europa (e la razza bianca) è scomparsa, primeggia l’Africa e gli Stati – come le società umane – sono dominati dalle donne, mentre gli uomini sono relegati a compiti domestici. Come nota Ingravalle nella diffusa introduzione, comunque le regolarità delle comunità umane non sono cambiate: in particolare l’ordinamento gerarchico delle stesse, l’aspirazione al potere e l’esigenza del sacro (e al mito).

E anche i difetti: a cominciare dalla vanità e dall’ipocrisia pubblica e privata.

A tale proposito basti leggere (il libro è stato pubblicato quasi un secolo fa)  il trattato internazionale che chiude il romanzo: zeppo di passaggi roboanti e commoventi che occultano la realtà di una spartizione tra due Stati “forti” di uno Stato debole. O la relazione sulla letteratura inglese, fatta da una storica secondo la quale più per fantasia e ricerca dell’originalità che della realtà sostiene che la rilegatura – cofanetto di un antologia di poeti inglesi pubblicata dall’Università di Oxford sia opera di un solo autore (anzi autrice), Oxford per l’appunto, che avrebbe scritto da solo gran parte della poesia e della prosa inglese attribuendola ad autori di fantasia come Chaucer, Milton, Shakespeare, Kipling, ecc. ecc. Il tutto con una pseudorazionalità che mutatis mutandis anche oggi conosciamo bene.

Il romanzo considera tanti aspetti della vita sociale; dal sacro al profano. Ai primi appartiene il mito fondatore dello Stato di Ebania; la cui prima regina sarebbe discesa dalla Luna alla Terra scivolando sul collo della sacra giraffa, la quale lo aveva allungato fino al satellite scambiandolo per una gigantesca noce di cocco; ai secondi la superiorità della donna sull’uomo, giustificata ad ogni piè sospinto, malgrado l’evidenza che non si tratta di una superiorità biologica, ma di ordinamento sociale.

L’umorismo di Madariaga può apparire (e in effetti spesso è) troppo fine per i palati rozzi. Ad esempio questo mito della discesa sul collo della sacra giraffa appare come una rappresentazione simbolica della costituzione dal cielo del potere sacro e dell’origine celeste dell’autorità. Fatta nell’immaginario di un popolo africano.

Sempre ai secondi (il profano) appartengono le regolarità delle comunità umane che pur cambiando razza, sesso, costumi, rimangono per certi aspetti immutato.

Così sia le società ove i dominanti sono maschi, ariani sia dove a dominare sono le donne di colore, le “costanti” della lotta per il potere e l’ordinamento gerarchico non mutano. Anche per questo “La sacra giraffa” rientra tra i migliori libri distopici del secolo scorso, come “1984” e “Il mondo nuovo”. Buona lettura.

Teodoro Klitsche de la Grange

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MEGLIO I RUSTICI DI DULCAMARA, di Teodoro Klitsche de la Grange

MEGLIO I RUSTICI DI DULCAMARA

La settimana di Natale non ha recato doni, tanto meno ricchi, ai buonisti in servizio permanente effettivo: dai pandori della Ferragni ai rinvii a giudizio per i congiunti di Soumahoro, ai bonifici vaticani per il no-global Casarino. È stato tutto un congiungere le buone intenzioni manifestate dai suddetti con le laute retribuzioni che ne conseguivano.

Mi son detto se il comune denominatore dei buonisti è la pratica di congiungere strettamente intenzioni e profitti, cosa li distingue da un “vecchio” piazzista da fiera, come ad esempio il Dulcamara?

Anche il ciarlatano dell’elisir d’amore racconta  un sacco di bugie agli ingenui paesani, e lo fa con logica di mercato: l’elisir che offre è magnifico, cura tutto: dal diabete all’impotenza, dal mal di fegato alla colite. È pure efficace come crema per la pelle, contro le rughe ed è un insetticida insostituibile. Il target di un prodotto del genere esonda nel (più) vasto pubblico dei consumatori, in ossequio alla prima legge di mercato: aumentare il numero degli acquirenti.

D’altro canto Dulcamara fa leva sempre sull’interesse all’acquisto dell’elisir: il prodotto non è solo utile a tante cose (ha un grande valore) ma costa poco (uno scudo). È il rapporto favorevole qualità/prezzo l’argomento determinante della pubblicità di Dulcamara. Gli altri argomenti (l’autorità scientifica del ciarlatano, nota dell’universo e in altri siti, i certificati, il successo nelle vendite, i costi) sono di contorno.

Ciò lo distingue dai suoi epigoni nostri contemporanei. I quali non promuovono pandoro, uova od altro facendo leva sull’eccellenza della merce e sulla modicità del prezzo. No. I nostri fanno leva sulle buone cause e sui buoni sentimenti. Chi non usa olio di palma salva tanti oranghi dalla distruzione del loro habitat (nessuno – per quanto risulta – si pone il problema di come la pensino i contadini indonesiani); chi acquista una macchina elettrica salva il pianeta dal cambiamento climatico; così coloro che mangiano pandori e uova della Ferragni aiutano i bimbi malati. E così via.

Con ciò da una promozione che si fonda sull’interesse si passa ad una che si basa, per così dire, sui valori. Che un pandoro sia fatto con grassi e farine di bassa qualità non importa: conta invece che comprarlo serve ad assistere dei bambini, come dice il testimonial. D’altra parte il concetto di “valore”, come inteso oggi, è nato nella scienza economica, e ad essa fa ritorno (sotto diverse spoglie). C’è da chiedersi: se Dulcamara avesse propagandato il proprio elisir chiedendo ai “rustici”    di comprarlo per assistere i bambini, lo avrebbe venduto? Penso che i rustici ci avrebbero riso su, abituati sia a far elemosina nelle sedi e modi tradizionali, sia a spendere oculatamente, come normale nelle società più povere. Invece, malgrado e date le cifre pagate ai testimonials le ditte produttrici riescono evidentemente a realizzare lauti profitti. Segno che i rustici di oggi abboccano assai di più che ai tempi di Dulcamara. E oltretutto non hanno la prospettiva della fortuna di Dulcamara e del suo “gonzo” Nemorino, del lieto fine, dell’eredità che arricchisce il truffato. Tutto a perdere, quindi, tranne che per i testimonials e i loro committenti.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Il saggio obbligatorio di fine anno. Ma fatemi un favore: leggetelo lo stesso, di AURELIEN

Il saggio obbligatorio di fine anno.
Ma fatemi un favore: leggetelo lo stesso.

AURELIEN
27 DIC 2023
Questo è l’ultimo saggio del 2023, e non solo i termini di servizio di Substack mi impongono di scrivere un pezzo di fine anno, credo, ma anche due delle ultime tre carte dei Tarocchi che ho consultato per la meditazione quotidiana sono state la n. XX, “Giudizio”, che incoraggia la riflessione e il bilancio. Ok ragazzi, posso accettare un suggerimento.

Non c’è molto da dire a livello pratico. Ho deciso di attivare i pagamenti qualche mese fa e sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla disponibilità delle persone a lanciarmi qualche moneta e a offrirmi un caffè. (Non ho intenzione di offrire un livello separato a pagamento, mai, e quindi continuerò a rendere tutto gratuito). In realtà sono stato ancora più piacevolmente sorpreso dai gentili messaggi di sostegno che ho ricevuto, ed è questo, alla fine, più che qualsiasi somma di denaro, che mi incoraggia a continuare. Se avete mai insegnato (e io l’ho fatto, saltuariamente per decenni, e a volte in posti davvero molto strani), sapete che il più grande complimento che possiate ricevere è che qualcuno vi dica: “Prima non capivo, ma ora capisco”. Da qui, in parte, il nome che ho dato a questo sito. E grazie anche ai molti di voi che hanno scritto commenti così lunghi e riflessivi.

Detto questo, ho intenzione di continuare a scrivere essenzialmente su ciò che so, e di privilegiare l’analisi e l’interpretazione rispetto alla polemica. C’è comunque troppa polemica in giro, e la trovo noiosa da leggere, difficile e poco gratificante da scrivere. Inoltre, richiede una fede nella propria superiorità morale che non sono sicuro di avere. Allo stesso modo, anche se scrivo molto sugli affari di sicurezza e ho trascorso molto tempo con le forze armate, non sono qualificato per analizzare le ultime battaglie in Ucraina, così come una certa quantità di tempo trascorso in Medio Oriente mi dà automaticamente il diritto di essere ascoltato come esperto di Gaza. D’altra parte, ho trascorso una vita nella sala macchine della politica e della sicurezza in vari Paesi, ho visto come si fa la salsiccia e a volte ho avuto un piccolo ruolo nel farla. Sono stato nei posti più economici per alcuni dei principali eventi degli ultimi quarant’anni, e in alcuni casi in quelli un po’ meno economici. Il mio punto di vista è quello di chi fa davvero il lavoro e fa accadere le cose, anche se non ho mai avuto un grande ufficio e un grande staff personale. Sono stato, come si diceva, a distanza di sicurezza dalla superficie del carbone per molto tempo. Le cose che credo di aver imparato, quelle che credo di aver capito e quelle su cui credo di avere qualcosa di utile da dire, continuerò a scriverle, oltre a dedicarmi di tanto in tanto ad altri argomenti che mi interessano. Per esempio, nel corso del prossimo anno avrò molto da dire sulla Francia, dove ho vissuto e lavorato a lungo, e sull’Europa e le sue manifestazioni istituzionali.

Bene, allora. (Ci sono scrittori molto organizzati, che hanno piani dettagliati di ciò che scriveranno e li rispettano. Io non ci riesco: Preferisco pensare che qualsiasi cosa io stia scrivendo, da un articolo breve o un racconto a un libro, esista già, completamente formata, e che se inizio a scrivere, arriverà. Di solito è così: ero a un quarto del primo libro che ho scritto, circa trent’anni fa, quando all’improvviso ho capito che il libro voleva parlare di qualcosa di un po’ diverso e mi stava segnalando di cambiare rotta, cosa che ho fatto. Così con questi saggi: raramente ho un’idea precisa di ciò che dirò prima di iniziare e, cosa forse più importante, di come i vari temi si svilupperanno e interagiranno tra loro nel corso delle settimane. Così, senza rendermene conto, mi accorgo di aver sviluppato una tesi coerente, soprattutto nell’ultimo anno.

Credo che si possa riassumere, sorpresa, sorpresa, in tre punti. Si può considerare una sorta di sillogismo, se si vuole, o un tipo di progressione dialettica.

Il mondo occidentale si trova di fronte a una serie di sfide pratiche, politiche, economiche ed esistenziali gravi come mai nella sua storia, che richiedono governi, Stati e settori privati altamente competenti per affrontarle con successo.

Ma la capacità di tutti i settori sopra menzionati è già insufficiente e sta peggiorando, e non c’è un modo evidente per correggerla.

Pertanto, le cose stanno andando verso sud.

Se si accettano le prime due proposizioni (e credo che siano indiscutibili), ne consegue inevitabilmente la terza. Naturalmente non vogliamo crederci, ed è per questo che le persone sono piene di “Se solo potessimo”, “Sicuramente possiamo”, “Questo nuovo aggeggio” e “Questa idea intelligente”. Ma, come ho sostenuto la scorsa settimana, non è possibile ricostruire strutture e capacità altamente complesse che hanno richiesto generazioni per essere create e che sono state lasciate marcire o addirittura deliberatamente distrutte. Per questo motivo, i miei scritti del prossimo anno si concentreranno su come sarà il prossimo crollo e su cosa possono fare gli individui e i gruppi per gestirlo ed evitare le conseguenze peggiori. Gran parte del lavoro pratico del governo in passato è consistito nel mettere il dito nella fossa e sperare di poter risolvere il problema del momento entro la fine della settimana. (Per quanto sia doloroso dirlo, credo che dovremo sempre più escludere i governi e le organizzazioni internazionali come attori utili per il futuro: il degrado è semplicemente andato troppo oltre e la diga si sta visibilmente sgretolando.

Piuttosto che accumulare il malinconico a questo punto dell’anno, ho pensato che sarebbe stato meglio esporre le argomentazioni di cui sopra in modo un po’ più esteso, rimandando a saggi che ho scritto nell’ultimo anno o giù di lì. In questo modo, il numero considerevole di persone che hanno scoperto questo sito di recente, e in molti casi si sono iscritte, avranno un link diretto ai saggi che espongono queste idee in modo più approfondito.

Non ho intenzione di affrontare in questa sede i temi del cambiamento climatico e delle malattie infettive, sui quali non sono un esperto e sui quali è già stato scritto molto. Ma ho discusso, ad esempio, gli effetti corrosivi di quarant’anni di neoliberismo sulle strutture e sulle fondamenta stesse della nostra società, compreso il concetto di cittadino, o sull’onestà di base, o sulle idee anacronistiche di “dovere” e “servizio”, da cui la Società di Me dipende di fatto, se solo se ne rendessero conto. Ho sostenuto che una società di questo tipo non sopravviverà ancora a lungo, a meno che non impari ad adattarsi, ma questo sembra molto improbabile, senza il tipo di strutture intermedie, come i partiti politici di massa e i sindacati che un tempo lavoravano per il cambiamento politico. In effetti, la presa del modello estrattivo sul nostro sistema è tale che il sistema potrebbe finire per mangiarsi da solo, mentre la nostra società cade vittima di una violenza che non ha alcuno scopo o ragione discernibile. Allo stesso modo, non è scontato che l'”Europa”, in qualsiasi senso istituzionale organizzato, sopravviva.

Naturalmente, uno dei problemi principali da affrontare sarà quello delle conseguenze a lungo termine della guerra in Ucraina. Ho suggerito che l’Occidente, e in particolare l’Europa, è ora vulnerabile militarmente in modi inediti e inaspettati. Ciò non sorprende, poiché la natura della guerra è cambiata, mentre nessuno guardava, e l’Occidente ha preso una serie di decisioni sbagliate su come spendere i propri soldi. Il risultato è che la capacità militare dell’Occidente è l’ombra di ciò che era un tempo e le possibilità che si riarmino per essere in condizioni di parità con la Russia non sono molte. Anche mantenere in vita l’Ucraina è di fatto impossibile. Ciò significa anche che l’Occidente sarà sempre più incapace di proiettare potenza al di fuori del proprio territorio. E a sua volta, la mancanza di hard power significa che i tentativi di usare il soft power saranno molto più difficili.

In teoria, alcuni di questi problemi sono recuperabili, se solo avessimo persone e istituzioni decenti. Eppure i leader e i funzionari occidentali credono abitualmente a cose stupide. Le nostre élite non solo sono incapaci, ma sono essenzialmente infantilizzate, vivono in un mondo di finzione infantile e reagiscono con odio isterico a chiunque, come quel cattivone di Putin, metta in discussione i loro luoghi comuni liberali semidigeriti. (Anche se questo odio è esso stesso, in parte, un’esternazione dell’odio che la nostra casta professionale e manageriale prova per il resto di noi e per gli altri). E questo include sia una completa ignoranza anche dei fatti più elementari sulla guerra moderna, sia un’abitudine generale a vedere il mondo intero come una proiezione del loro fragile ego.

Ma ho anche cercato di fornire qualche raggio di speranza, se non necessariamente di ottimismo. Penso (e questo sarà un argomento per il prossimo anno) che il fallimento a cascata delle istituzioni a cui assistiamo ora ci imporrà di trovare risorse per noi stessi, che dovranno essere tanto psicologiche, e persino spirituali, quanto pratiche. Qualche tempo fa ho sostenuto che l’integrità invernale dell’esistenzialismo, con la sua severa etica della responsabilità per le proprie azioni, è forse utile in questo momento, così come alcuni tipi di buddismo. Ho anche suggerito che il relativismo morale è solo un dato di fatto e che non c’è nulla da temere. Infine, ho suggerito alcuni libri che potrebbero aiutarci a capire meglio il mondo, nonché alcuni che forniscono indicazioni pratiche su ciò che potremmo fare.

Beh, credo che sia sufficiente da parte mia. Grazie a tutti e arrivederci all’anno prossimo.

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Le ultime notizie di Thinktank-land: Analisi del Ministero della Difesa estone e dell’ISW, di SIMPLICIUS THE THINKER

Nelle ultime due settimane sono stati pubblicati due interessanti documenti politici dei thinktank, che sono passati un po’ inosservati. Ho voluto esaminarli alla luce non solo dell’annunciato riorientamento del campo di battaglia dell’Ucraina, ma anche del punto di inflessione generale in cui si trova il conflitto alla vigilia del 2024, per vedere quali proiezioni per il futuro si possono trarre.

Il primo dei due documenti proviene dal Ministero della Difesa estone, che è stato attivo in varie prognosi e rapporti dalle sue presunte “fonti” confidenziali all’interno del Ministero della Difesa russo:

Il succo di questo documento ruota attorno alle idee su come l’Ucraina possa utilizzare il suo periodo di riorientamento per ricostruire una forza in grado di sconfiggere la Russia.

Ho letto entrambi i documenti in modo che non dobbiate farlo voi, quindi evidenzierò i punti più importanti e vedrò come possono essere collegati tra loro in una parvenza di riorientamento “strategico” occidentale/NATO.

Il documento inizia con lo stesso stanco gongolamento di quanto siano più grandi le economie e le spese militari combinate della NATO e dell’UE rispetto alla Russia. È un po’ un sofisma, in quanto si aspettano che questo si traduca innatamente in una vittoria, come se fosse un dato di fatto che “più grande è meglio”.

Si noti il modificatore chiave “dovrebbe”:

Siamo più grandi del compito. Le dimensioni del nostro potere politico, economico e militare collettivo dovrebbero garantire una vittoria sulla Russia. Il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina (UDCG), noto anche come gruppo di Ramstein, ha un PIL combinato di 47.000 miliardi di euro. Gli impegni totali per gli aiuti militari all’Ucraina8 sono stati finora di circa 95 miliardi di euro, lo 0,2% di questa cifra. Allo stesso tempo, i bilanci di difesa combinati della coalizione di Ramstein sono più di 13 volte superiori a quello pesantemente gonfiato della Russia: 1,24 trilioni di euro contro 0,09 trilioni di euro nel 2023. Non dovrebbero esserci dubbi su chi abbia il vantaggio di prevalere.
I due paesi hanno persino fornito questo grafico patinato:

Non ripeterò l’ovvio, ma in questo caso vale il nostro assioma recentemente discusso: si possono stampare contanti, ma non conchiglie. (Ebbene, i proiettili da mortaio per i lanci dei droni sono in effetti stampati in 3D, in parte, in questi giorni).

Detto questo, il documento riconosce in qualche modo questo aspetto, per cui ha un tono esortativo, volto a spingere gli alleati a una maggiore solidarietà per aumentare la loro produttività industriale:

La maggior parte degli alleati della NATO ha notevolmente impoverito le proprie già esigue scorte e capacità militari convenzionali donando le proprie attrezzature all’Ucraina. Gli alleati hanno anche una base industriale molto limitata, inadatta a rispondere alle sfide di sicurezza del XXI secolo e incapace di ricostituire queste capacità a meno che gli investimenti nella difesa non vengano aumentati in modo sostanziale e urgente.
È una bella concessione.

Il punto in cui iniziano a scendere davvero in profondità è quello delle questioni militari di prima linea, offrendo anche qualche spunto di riflessione. Per esempio:

Se non viene interrotta, la Russia ha la capacità di addestrare circa 130.000 truppe ogni sei mesi in unità e formazioni coerenti, disponibili per il lancio di operazioni. Altre truppe possono essere mobilitate e spinte in Ucraina come rimpiazzi non addestrati, ma non forniscono un’effettiva potenza di combattimento.
Si tratta di un’ammissione piuttosto forte da parte di una fonte della NATO. La Russia può addestrare ed equipaggiare completamente 130.000 truppe ogni 6 mesi in unità coerenti. Fanno specificamente la distinzione che non si tratta solo della capacità di radunare un po’ di carne da macello, ma piuttosto di formazioni pienamente in grado di combattere, il che presuppone non solo l’addestramento ma anche l’equipaggiamento. Si afferma anche che la Russia può raccogliere molte altre truppe, anche se si tratterebbe di “rimpiazzi non addestrati”.

Si tratta di ben 6-7 divisioni o 26 brigate ogni 6 mesi. Ricordiamo che l’Ucraina ha faticato a mettere insieme le 9 brigate per la sua grande controffensiva estiva. Se fosse stata la Russia a dichiarare questi numeri, gli opinionisti occidentali avrebbero riso a crepapelle. Come si può competere con un Paese che può raccogliere 260.000 uomini addestrati e capaci di combattere all’anno?

L’Ucraina non è in grado di addestrare sul proprio territorio una compagnia di dimensioni maggiori – e questo lo sappiamo da tempo – per paura che gli attacchi di precisione russi spazzino via l’intero esercito. Sono quindi costretti ad addestrarsi all’estero, ma l’addestramento è spesso accelerato e insufficiente; ad esempio, dura solo 5 settimane, mentre non è sufficiente per preparare i soldati a combattere:

Questo non è sufficiente per preparare i soldati alle operazioni offensive. Durante la Seconda guerra mondiale, la fanteria britannica riceveva oltre 20 settimane di addestramento prima di essere considerata sostanzialmente abile, mentre l’esercito americano operava con 13-17 settimane di addestramento di base. Dobbiamo quindi sviluppare i nostri pacchetti di addestramento per preparare meglio i nostri partner ucraini alle operazioni offensive.
In mezzo a tutto questo, si rivela un’altra realtà sulle capacità di combattimento dell’Ucraina:

Quindi, non avendo ufficiali addestrati, una brigata ucraina può controllare efficacemente solo due compagnie, dando a un’intera brigata AFU solo 1200 metri di copertura utilizzabile? Per quanto possa far aprire gli occhi, questi numeri sono in linea con quanto abbiamo visto. Per esempio, nella controffensiva estiva, anche le brigate più elitarie, come la 47ª, sembravano in grado di operare solo assalti di due compagnie in qualsiasi momento.Ma ricordate, il motivo per cui la Russia non li sta completamente sopraffacendo è perché la Russia stessa non è necessariamente del tutto all’altezza in questo senso. Anche le brigate russe hanno molte carenze, altrimenti la guerra sarebbe già finita – ma non sono neanche lontanamente così cattive come quelle ucraine, il che si riflette nell’ampia disparità di vittime.Inoltre, come sempre, l’avvertenza è che questo vale solo per le operazioni offensive, che richiedono un elevato addestramento e capacità di coordinamento. La difesa consente un margine di manovra molto più ampio, il che significa che brigate ucraine molto scarse possono ancora mantenere il terreno – nonostante subiscano perdite sproporzionate – contro brigate russe qualitativamente superiori. Il motivo è che qualsiasi carenza può essere colmata semplicemente tappando i buchi con più “carne”. Ricordate il video che ho recentemente postato di un soldato dell’AFU che raccontava che il suo battaglione aveva perso 350 uomini in sole 8 ore. Se siete in grado di continuare a riempire i buchi con altra carne, e il nemico qualitativamente superiore non è tanto superiore da essere in grado di sfruttare lo sfondamento in tempo, allora il risultato sarà semplicemente che sarete pesantemente attriti, ma almeno riuscirete a tenere il terreno e a prevenire lo sfondamento nelle retrovie.Le forze russe sono qualitativamente superiori a un livello tale da poter infliggere perdite enormemente sproporzionate, ma non sono abbastanza superiori da avere la coordinazione e la tecnologia necessarie per sfruttare appieno queste perdite con manovre verso le retrovie, attraverso il varco dello sfondamento. Per fare ciò, è necessaria una comunicazione e un coordinamento assolutamente inimitabili e istantanei tra le varie unità di armi combinate, le branche, i sistemi di comando e controllo, i sistemi ISR, ecc. Tutti devono lavorare all’unisono per avere la piena consapevolezza tattica e operativa di tutto ciò che sta accadendo. Ciò richiede molta tecnologia, in particolare capacità di collegamento in rete attraverso sistemi di gestione del campo di battaglia che consentono alle unità di sapere cosa fanno le altre unità in tempo reale. La Russia ne dispone in alcuni punti, ma è troppo incerta per creare il completo overmatch tecnologico e l’addestramento necessario a spingere davvero.Ma alla luce della diagnosi del rapporto sulle capacità dell’AFU, il rapporto prescrive quanto segue:Nel 2024, l’obiettivo dovrebbe essere quello di espandere le operazioni ucraine da azioni di brigate abilitate a compagnie, alla capacità di eseguire attacchi di brigate. Nel 2025, l’obiettivo dovrebbe essere che l’AFU conduca attacchi simultanei di brigata, abilitati da formazioni più grandi a livello congiunto.
Vogliono che l’Ucraina sia in grado di eseguire manovre a livello di brigata completa, con formazioni più grandi – che, a detta loro, attualmente non esistono nemmeno in Ucraina -, cioè divisioni e oltre.È una richiesta davvero grande. Pretendere che uno Stato fallito sull’orlo del collasso scopra in qualche modo tali capacità è semplicemente improponibile. Attualmente non sono nemmeno più in grado di effettuare attacchi a livello di compagnia; nel migliore dei casi sono stati ridotti alle dimensioni di un plotone. Quindi un obiettivo realistico per il 2024-2025 sarebbe quello di riportare l’Ucraina almeno al livello di una compagnia, se non addirittura a quello, lontano dall’obiettivo idealizzato qui.

Artiglieria
Si ripete ancora una volta la frottola che l’artiglieria occidentale da 155 mm è superiore a quella russa sotto ogni punto di vista: gittata, cadenza di fuoco e precisione. Sfortunatamente, questo può essere vero se si utilizza un piccolo campione di un paio di centinaia di colpi sparati. Se si va oltre, sappiamo che i preziosi e delicati sistemi di artiglieria occidentali iniziano a degradarsi gravemente rispetto a quelli sovietici.

Ricordate:

In particolare, guardate il secondo in alto. “La maggior parte delle armi mobili [occidentali] non funziona più…”.

Il rapporto prosegue fornendo alcune cifre interessanti.

L’Ucraina ha bisogno di almeno 200.000 proiettili al mese per sostenere la “superiorità di fuoco localizzata”.

La produzione di proiettili dell’intero Occidente nel 2023 è stimata tra 480-700k per l’intero anno.

L’articolo prosegue affermando una cosa che ho già scritto diverse volte in passato, ma che rappresenta un’altra gradita conferma:

Gli sforzi per aumentare la produzione europea sono stati ostacolati dal fatto che ogni Stato europeo ha perseguito ordini separati – e relativamente piccoli – da parte dell’industria. Il business case presentato da questi ordini non giustifica l’aumento della capacità produttiva dei produttori di difesa, perché non c’è chiarezza sull’entità degli ordini nel tempo. Gli alleati europei e gli Stati membri dovrebbero quindi collaborare per consolidare gli ordini in contratti più ampi e a lungo termine che giustifichino gli investimenti nella capacità produttiva della base industriale della difesa.
I produttori di sistemi di difesa sono riluttanti ad aumentare la loro capacità perché temono che gli investimenti in questi aumenti non siano redditizi, dal momento che non c’è “chiarezza sugli ordini nel tempo”. Come ho detto prima, aumentare la capacità costa miliardi di dollari. Servono nuovi e costosissimi torni e macchine per la forgiatura; serve un’enorme quantità di costosa formazione del personale; potenzialmente costose espansioni delle sedi e dei siti, acquisto di nuovi terreni, fabbriche, ecc. Tutto ciò ha un costo enorme in un momento in cui l’economia è in crisi, i prezzi dell’energia sono alle stelle, ecc. Di recente abbiamo appreso che il prezzo medio di un singolo proiettile d’artiglieria in Europa è salito da 4 a 8 volte in alcuni Paesi.

Ma l’ammissione più scioccante di tutte? Rifatevi gli occhi:

Proprio così: dopo aver passato un anno a sminuire le capacità della Russia, sostenendo che produce solo 1 o talvolta al massimo 2 milioni di proiettili, ora ammettono apertamente che la Russia ha già raggiunto i 3,5 milioni e presto raggiungerà una capacità di quasi 5 milioni di proiettili all’anno.

Dato che c’è sempre un’alta probabilità che qualsiasi numero occidentale sulla Russia sia distorto verso il basso e sottostimato, c’è qualche possibilità che questi numeri siano forse anche del 15-20% più alti in realtà. Non solo ho sempre detto questi numeri esatti, ma ho previsto una capacità di 7 milioni di dollari entro la fine del 2024-2025, quindi una valutazione del genere per me sarebbe in linea con i tempi.

E questo senza contare i 10 milioni di proiettili forniti dalla Corea del Nord.

Continuano con un altro fattore interessante:

Un ulteriore fattore limitante per la sostenibilità del fuoco ucraino è rappresentato dalle canne di artiglieria. Si stima che l’Ucraina avrà bisogno di 1500-2000 canne all’anno e che ogni unità costerà fino a 900.000 euro. Dato il numero limitato di macchine per la produzione di canne, si dovrebbe prestare particolare attenzione alle aziende per espandere la loro produzione. Gli Stati Uniti e gli alleati europei devono rivalutare criticamente l’insostenibile frammentazione che ha portato l’Ucraina a utilizzare almeno 17 diverse piattaforme di artiglieria. L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre questo numero di diverse volte.
Aspetta, ci stai dicendo che hanno bisogno di 2000 canne all’anno al costo di oltre 1 milione di dollari l’uno? Sono 2 miliardi di dollari solo per i barili…

Altri numeri interessanti: La capacità della Lockheed di produrre GMLRS per gli HIMARS è apparentemente di 10.000 all’anno, o ~800 al mese. Sebbene questo permetta all’Ucraina di averne “bene” 24 da sparare al giorno, immaginate se fossero gli Stati Uniti ad essere coinvolti nella guerra. 24 razzi HIMARS al giorno sarebbero sufficienti per gli oltre 1000 lanciatori HIMARS degli Stati Uniti? In sostanza, gli Stati Uniti esaurirebbero i razzi all’istante e non avrebbero alcuna capacità di mantenere la produzione.

Droni
Si tratta per lo più di informazioni pedestri. Una rivelazione interessante riguarda i numeri dello Shahed russo:

Quindi, secondo loro, la Russia costruiva 40 droni Shahed/Geran al mese, ora ne costruisce 100 e presto ne costruirà 200 al mese. Inoltre, un’altra conferma di qualcosa che dico da quasi un anno, ma che gli opinionisti filo-USA/occidentali non addestrati negano sempre: gli intercettori occidentali devono sparare 2 missili per abbattere un bersaglio.

Anche se 200 droni al mese sono un grande aumento, consentono comunque solo pochi attacchi di dimensioni decenti ogni mese, dato che di solito è necessario inviarne almeno 20 alla volta per avere un qualche effetto nel sopraffare l’AD; se ne bastano di meno, possono essere facilmente eliminati. Suppongo che un attacco di 50 droni una volta a settimana, per 4 al mese, sia abbastanza buono. Tuttavia, se riusciranno a raggiungere un livello tale da rendere possibile un attacco di 20-30 droni una volta ogni 2-3 giorni, allora l’Ucraina sentirà davvero il dolore. Ciò richiederebbe qualcosa come 450 droni costruiti al mese. Ma anche così, quello che hanno ora è sicuramente un grande progresso.

Il resto del rapporto non fornisce molto altro di interessante. In effetti, il rapporto nel suo complesso si limita a chiedere più soldi e più cose, contando sul fatto che l’aumento di wunderwaffen, come al solito, possa cambiare le carte in tavola. Si punta molto sulla quantità di giocattoli piuttosto che su un vero e proprio piano strategico. In breve, il loro messaggio è: “Finché potremo continuare a pompare materiale in Ucraina vinceremo, non abbiamo bisogno di alcuna strategia sul campo di battaglia”.

Questo purtroppo deriva dalla continua errata comprensione e sottovalutazione delle capacità russe. La Russia continua ad essere vista dall’Occidente come un paese arretrato e capace solo di “assalti di carne” – una sorta di orda di zombie glorificata da uno di quei videogiochi in cui, finché si hanno abbastanza munizioni, è possibile fermarli alle porte.

Questo ignora completamente tutte le manifestazioni di pensiero strategico, di sviluppo e di avanzamento che la Russia stessa sta progettando giorno dopo giorno. In uno struggente momento di simbolismo involontario, il rapporto si conclude con la foto di un veterano disabile a Kiev:

ISW

Il secondo articolo, molto più interessante, proviene dal noto thinktank ISW:

Come molti sanno, l’ISW è un’organizzazione neocon con sede a Washington gestita da Kimberly Kagan, cognata del neocon del PNAC Robert Kagan, marito di Victoria Nuland. Infatti, il rapporto stesso è sottoscritto anche dal fratello di Robert, Frederick W. Kagan.

Questo rapporto è molto più significativo in quanto segnala e sottolinea le reali intenzioni della banda di cintura e degli scagnozzi del deepstate, offrendoci una rara visione degli spettri che infestano le loro menti e delle ramificazioni di ciò sulle prospettive strategiche a lungo termine del conflitto, in particolare se la Russia dovesse vincere, che è il grande “pericolo” attorno al quale ruota il rapporto.

Il rapporto inizia subito, senza peli sulla lingua, con una serie di ammissioni importanti:

Gli Stati Uniti hanno una posta in gioco molto più alta nella guerra della Russia contro l’Ucraina di quanto molti pensino. La conquista di tutta l’Ucraina da parte della Russia non è affatto impossibile se gli Stati Uniti interrompono l’assistenza militare e l’Europa segue il loro esempio. Un tale esito porterebbe un esercito russo malconcio ma trionfante fino al confine della NATO, dal Mar Nero all’Oceano Artico.
Ancora una volta, al di sotto della patina gestuale dei titoli dei media, che devono dare un taglio narrativo per la plebe, come ad esempio il fatto che, nella migliore delle ipotesi, la Russia potrebbe ottenere un “congelamento delle linee”, vediamo che i veri manovratori e agitatori all’interno della macchina del MIC immaginano che la Russia conquisterà tutta l’Ucraina, se gli aiuti verranno interrotti.

Continuano con altri colpi pesanti:

In sostanza, stanno ammettendo che una Russia vittoriosa sarà la forza più formidabile dalla fine della Guerra Fredda. Ma ecco il motivo per cui questo spettro li terrorizza così tanto:

Per dissuadere e difendere da una rinnovata minaccia russa dopo una piena vittoria russa in Ucraina, gli Stati Uniti dovranno dispiegare in Europa orientale una parte considerevole delle loro forze di terra. Gli Stati Uniti dovranno dislocare in Europa un gran numero di aerei stealth. La costruzione e la manutenzione di questi velivoli è intrinsecamente costosa, ma le difficoltà nel produrli rapidamente costringeranno probabilmente gli Stati Uniti a fare una scelta terribile tra il mantenerne un numero sufficiente in Asia per difendere Taiwan e gli altri alleati asiatici e il dissuadere o sconfiggere un attacco russo a un alleato della NATO. L’intera impresa costerà una fortuna, e il costo durerà fino a quando la minaccia russa continuerà, potenzialmente all’infinito.
Ecco il problema. Ricordate per quanto tempo ho cercato di educare le persone su come funziona la dottrina militare. Ci sono alcune leve di sicurezza che devono scattare automaticamente quando l’avversario fa una mossa. Non si tratta di una scelta momentanea di un politico, come un presidente, o di qualcosa che deve essere “deciso”. No, è scritto nella dottrina con la stessa certezza del “codice” del linguaggio di programmazione. Se un numero X di forze si muove verso di voi e vi minaccia, non avete altra scelta che mettere in campo un numero Y di forze preventive.

È per questo che la Russia non ha avuto altra scelta se non quella di allestire immediatamente un nuovo esercito di 500.000 uomini alla vigilia dell’ingresso della Finlandia e della Svezia nella NATO quest’anno, con la ripresa dei distretti militari di Mosca e Leningrado, interrotti da tempo. È semplicemente impensabile che una nazione abbia eserciti ostili direttamente ai suoi confini senza che vi sia qualcosa per contrastarli.

Allo stesso modo, il MIC statunitense ha goduto del lusso di avere vari procuratori che tenevano le forze militari russe limitate e occupate, in modo che gli Stati Uniti potessero dirottare le loro forze altrove per mantenere la loro egemonia nel mondo. Ma ora, una vittoria totale e decisiva della Russia in Ucraina rischia di annullare tutto questo e, secondo le loro stesse parole, richiederebbe agli Stati Uniti di dislocare “una parte considerevole delle proprie forze di terra” in Europa orientale.

Questo rappresenterebbe un grosso ostacolo per i piani degli Stati Uniti, in particolare nei confronti della Cina, dato che, come scrivono poi, dovrebbero produrre e stazionare in Europa grandi quantità di aerei stealth, che ostacolerebbero i loro progetti per Taiwan. In breve, sostengono che una vittoria russa manderebbe in bancarotta il MIC, richiedendo un nuovo livello insostenibile di escalation militare.

Quasi ogni altro risultato sarebbe migliore, scrivono:

Quasi ogni altro esito della guerra in Ucraina è preferibile a questo. Aiutare l’Ucraina a mantenere le linee di confine attraverso il continuo sostegno militare occidentale è molto più vantaggioso e meno costoso per gli Stati Uniti che permettere all’Ucraina di perdere. “Congelare” il conflitto è peggio che continuare ad aiutare l’Ucraina a combattere: darebbe semplicemente alla Russia tempo e spazio per prepararsi a una nuova guerra per conquistare l’Ucraina e affrontare la NATO.
Queste parole non sarebbero così pesanti se non provenissero dalle fauci della bestia stessa, la più potente “élite ombra” neocon del deepstate che ha gestito il MIC statunitense per decenni e che quindi parla a suo nome. Se leggete attentamente, c’è un’urgenza quasi disperata nel loro tono, il che è estremamente eloquente.

Poi tracciano 4 potenziali scenari su come potrebbe svolgersi la guerra:

Situazione 1: Prima del febbraio 2022

Usano la mappa qui sopra per illustrare che prima del 2022, la Russia “non rappresentava una minaccia” per nessuno Stato NATO non baltico, poiché la Russia – secondo loro – “aveva una divisione aviotrasportata e una brigata di fanteria meccanizzata vicino ai confini estoni e lettoni e l’equivalente di una divisione nell’exclave di Kaliningrad… Nessuna truppa russa minacciava la Slovacchia, l’Ungheria o la Romania”.

Inoltre, sostengono che le reti russe di AD avevano grandi lacune per la Polonia meridionale, la Slovacchia, la Romania, l’Ungheria e così via, perché la Russia non poteva piazzare sistemi di AD in Ucraina:

Ciò che è notevole finora è la scarsa considerazione che viene data agli interessi di sicurezza nazionale di qualsiasi altro Paese, oltre agli Stati Uniti. C’è un tono esistenziale quando si parla di qualsiasi risorsa russa che possa anche solo lontanamente rappresentare una minaccia, o che si trovi da qualche parte premuta contro il territorio della NATO. Eppure, il fatto che la NATO possa costeggiare con disinvoltura verso est e piazzare interi eserciti proprio alle porte della Russia è totalmente da ignorare – questo è l'”ordine basato sulle regole” di cui continuano a parlarci: si tratta di regole per tutti gli altri, mentre gli Stati Uniti possono dominare il mondo senza leggi.In realtà, essi sostengono apertamente la coercizione economica, che in qualsiasi altro linguaggio è terrorismo o interferenza politica in un Paese:- È una priorità passare dall’approvazione passiva delle sanzioni alla loro applicazione proattiva e aggressiva, combinata con l’uso della coercizione economica per limitare il commercio con la Russia.
Si tenga presente che la coercizione a cui si fa riferimento è contro i propri alleati. La Russia è già costretta, quindi non si riferisce a loro. No, vogliono aumentare la coercizione nei confronti degli alleati intransigenti dell’UE/NATO o di qualsiasi altro Paese associato per reprimere il regime di elusione delle sanzioni della Russia.Ora che hanno preparato la scena per spaventare il pubblico, passano alla parte finale: mostrare cosa accadrebbe se la Russia occupasse completamente l’Ucraina dopo una vittoria decisiva.Per prima cosa, ripetono nuovamente questo avvertimento in modo cupo, per sottolineare la gravità della minaccia:L’improvviso crollo degli aiuti occidentali porterebbe probabilmente, prima o poi, al collasso della capacità dell’Ucraina di tenere a bada l’esercito russo. In questo scenario, le forze russe potrebbero spingersi fino al confine occidentale dell’Ucraina e stabilire nuove basi militari ai confini con Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. I russi stanno preparando forze militari di occupazione per gestire la quasi inevitabile insurrezione ucraina, lasciando le truppe di prima linea libere di minacciare la NATO.
Ancora una volta vorrei notare – perché è di estrema importanza – l’enorme disparità, grande come un 747, tra ciò che è permesso riportare per il consumo di massa e ciò che viene effettivamente discusso dai veri pianificatori e strateghi della guerra. Ancora una volta si assiste alla candida ammissione che se gli aiuti occidentali vengono tagliati, la Russia non solo vincerà, ma si spingerà fino al confine occidentale dell’Ucraina. Il contrasto tra questa ammissione del tutto sorprendente e ciò che è consentito nel discorso di superficie, dove è ancora proibito anche solo proporre che la Russia “rompa lo stallo” anche a livello locale, avanzando magari fino al Dnieper, o qualcosa del genere.I russi hanno ampliato la struttura del loro esercito per combattere la guerra e hanno manifestato l’intenzione di mantenere la struttura più ampia dopo la guerra.[5] Potrebbero facilmente posizionare tre armate complete (la 18ª Armata d’Armi Combinate e la 25ª Armata d’Armi Combinate create di recente per questa guerra e l’8ª Armata d’Armi Combinate della Guardia) ai confini di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania.[6]
Aspettate un attimo, quindi il povero esercito russo, completamente morto, malconcio, battuto e sconfitto, che – secondo il MSM – aveva avuto finora il 95% di perdite, è improvvisamente in grado di radunare 3 intere armate da campo solo per il compito di proteggere il confine polacco? Si tratta di un vero e proprio universo di differenza rispetto a ciò che è consentito al pubblico.

In effetti, è assolutamente vertiginoso ciò che ora si afferma che la Russia sarà in grado di radunare lungo l’intero fronte della NATO:

Da dove vengono improvvisamente tutte queste centinaia di divisioni? Ah, ma vedete, questo è il potere della propaganda. Questo dimostra che praticamente tutto ciò che vediamo è solo un po’ di macinato destinato al consumo pubblico, una propaganda intenzionalmente progettata e mirata a sminuire le forze russe in tutti i modi possibili, dalla quantità alla qualità, a tutto ciò che sta in mezzo.

Ma i veri pianificatori, le eminenze grigie dietro il sipario, vedono ciò che ci nascondono: massicci accumuli russi senza precedenti, risalenti all’epoca della Guerra Fredda, che non vengono contrastati in modo apprezzabile in Ucraina.

E così arriva la prossima notizia bomba:

La NATO non sarebbe in grado di difendersi da un simile attacco con le forze attualmente presenti in Europa. Gli Stati Uniti dovrebbero spostare un gran numero di soldati americani sull’intero confine orientale della NATO, dal Baltico al Mar Nero, per scoraggiare l’avventurismo russo ed essere pronti a sconfiggere un attacco russo. Gli Stati Uniti dovrebbero anche impegnare una parte significativa della loro flotta di aerei stealth in modo permanente in Europa. La strategia di difesa della NATO si basa sulla superiorità aerea non solo per proteggere le truppe NATO dagli attacchi nemici, ma anche per utilizzare la potenza aerea per compensare le forze di terra NATO più piccole e le scorte limitate di artiglieria NATO. Gli Stati Uniti dovrebbero tenere a disposizione in Europa un gran numero di aerei stealth per penetrare e distruggere i sistemi di difesa aerea russi – e impedire ai russi di ristabilire una difesa aerea efficace – in modo che gli aerei e i missili da crociera non stealth possano raggiungere i loro obiettivi. Il requisito di impegnare una significativa flotta di aerei stealth in Europa potrebbe degradare gravemente la capacità dell’America di rispondere efficacemente all’aggressione cinese contro Taiwan, poiché tutti gli scenari di Taiwan si basano pesantemente sugli stessi aerei stealth che sarebbero necessari per difendere l’Europa.
Arriviamo così alla vera verità sul perché le flotte stealth di cui sopra siano così necessarie. Vedete, essi ammettono che la NATO non dispone di vere e proprie forze di terra, né di artiglieria, dopo aver ceduto tutto all’Ucraina – non che ne avesse molta, tanto per cominciare. In effetti, la NATO non è altro che un fragile caccia a reazione di vetro mascherato da alleanza militare.

Ma il problema è che ammettono che le reti di difesa aerea russa sono così fitte che le loro forze aeree non saranno in grado di penetrarle senza l’aiuto dei caccia stealth, che non solo sono abbastanza limitati, ma sono anche necessari per il fronte Cina-Taiwan.

Ci sono così tante cose da dire sui velivoli stealth che potrebbero richiedere un’intera serie di articoli, per non parlare di un solo articolo o anche di pochi paragrafi. Ma una cosa che dirò qui è che i velivoli stealth si degradano molto rapidamente senza una grande manutenzione, il che è impossibile in un conflitto ad alta intensità. Per esempio, i loro rivestimenti RAM devono essere riapplicati ogni poche missioni, il che richiede enormi quantità di manodopera e di tempo, cosa che non sarà assolutamente disponibile in un conflitto reale. Una volta eliminati i rivestimenti, gli aerei saranno estremamente visibili ai radar, poiché gli stessi Stati Uniti ammettono che il rivestimento RAM è responsabile di gran parte delle capacità “stealth” dei moderni velivoli, in particolare del nuovo B21 Raider.

Ciò significa che più a lungo si protrae il conflitto, più l’unico “asso nella manica” degli Stati Uniti diventa meno stealth e più vulnerabile. Il che significa che, ancora una volta, la Russia mantiene il vantaggio e diventerà progressivamente più forte con il proseguire del conflitto, proprio come in Ucraina.

Ma per continuare, le prospettive non fanno che peggiorare:

Il costo di queste misure difensive sarebbe astronomico e sarebbe probabilmente accompagnato da un periodo di rischio molto elevato, in cui le forze statunitensi non sarebbero adeguatamente preparate o posizionate per gestire né la Russia né la Cina, per non parlare di entrambe insieme.
Aspetta, quindi gli Stati Uniti non sarebbero nemmeno in grado di gestire uno dei due, figuriamoci entrambi? Si capisce che la situazione sta diventando estremamente disperata quando sono costretti a confessare ammissioni di questa portata e dimensione.

Ecco come prevedono che sarà la mappa una volta che la Russia avrà preso il controllo di tutta l’Ucraina. Innanzitutto la disposizione delle divisioni corazzate e meccanizzate:

Poi, le nuove reti di difesa aerea IAD, che ora coprirebbero una parte significativa del “territorio NATO”:

Infine, passano al loro “scenario da sogno” per una vittoria totale degli ucraini, che è ovviamente impossibile e ha letteralmente zero possibilità di verificarsi, rendendo così irrilevante anche solo un approfondimento. Tuttavia, c’è un punto importante che affermano apertamente:

Ed eccolo qui, completo, nudo e allo scoperto. Il vero obiettivo delle mani sporche della NATO rivelato finalmente senza arte né parte:

“Il Mar Nero diventerebbe quasi un lago della NATO”.

Questo è il loro sogno irrealizzato da sempre, finalmente confermato dalla stampa. Non c’è molto altro da dire, perché questa ammissione convalida da sola ogni singolo passo compiuto dalla Russia in questo conflitto. Scagiona completamente la Russia da ogni misfatto, perché dimostra senza ombra di dubbio che la NATO non ha sempre cercato altro che circondare e strangolare la Russia da ogni lato, derubandola di terre e tesori.

Parte 2
Questa prima parte risale al 14 dicembre, ma oggi ISW ha pubblicato la seconda parte della sua analisi, che continua la tendenza. Non la tratterò in modo altrettanto approfondito, soprattutto perché ripropone noiosamente gli stessi punti, come se li volesse ribadire, evidenziando ulteriormente la loro disperazione e urgenza.

Tuttavia, ci sono alcuni punti molto convincenti da notare.

In primo luogo, contraddicono ancora una volta la narrazione corrente, valutando che il taglio degli aiuti non si tradurrebbe in una semplice “situazione di stallo”, come vorrebbero far credere CNN e co. ma piuttosto porrebbe fine alla capacità dell’Ucraina di tenere a bada la Russia, portandola semplicemente a sopraffarla:

Una sconfitta autoimposta in Ucraina porrà gli Stati Uniti di fronte al rischio reale di un’altra guerra in Europa, con rischi di escalation e costi più elevati. Tagliare gli aiuti all’Ucraina non congelerà i fronti, come ha valutato ISW[2], ma diminuirà la capacità dell’Ucraina di tenere a bada l’esercito russo e accelererà la spinta militare della Russia sempre più a ovest, perché il motore fondamentale di questa guerra – l’intento del Cremlino di sradicare l’identità e la statualità dell’Ucraina – non è cambiato.
In secondo luogo, sfatano un’altra narrazione popolare in Occidente, secondo la quale la Russia rimarrà “gravemente indebolita” dopo questa guerra, raccogliendo i rottami di qualsiasi territorio distrutto che è riuscita ad annettere. In realtà, ho detto fin dall’inizio che la Russia sta guadagnando immensamente di più di quanto stia perdendo: in nuove popolazioni, terre e risorse, ecc. ISW è d’accordo:

L’assorbimento di parti dell’Ucraina e della Bielorussia aumenterebbe in modo significativo il potere della Russia, aggiungendo milioni di persone, compresa la manodopera qualificata e le risorse industriali rimaste e il territorio non bruciato, che il Cremlino potrebbe utilizzare per la ricostituzione dell’esercito russo.
E ancora una volta, la nota è pesante: la NATO stessa è in gioco:

Il futuro della NATO è legato al futuro dell’Ucraina in modo molto più stretto di quanto la maggior parte delle persone capisca.

Non solo suggeriscono che la NATO potrebbe rompersi del tutto, ma per coloro che avevano bisogno di sentirselo dire da una fonte più “autorevole”, convalidano ciò che Scott Ritter e io abbiamo sostenuto da tempo: che l’articolo 5 non significa nulla. Senza la volontà di agire realmente, non obbliga legalmente i Paesi a fare granché, soprattutto in difesa di un Paese i cui unici legami con la NATO sono piuttosto artificiali e di cui non gliene può fregare di meno.

Poi, fanno un’altra ammissione abbastanza sorprendente e controintuitiva: che la più grande forza della Russia è in realtà il suo dominio nella sfera dell’informazione. Chi l’avrebbe mai detto? Gli influencer dei media ci dicono che è l’esatto contrario: La Russia è uno “zimbello isolato” sul palcoscenico mondiale, i cui stratagemmi propagandistici cadono a vuoto come un brutto numero di commedia in una bettola. Ma ancora una volta, sotto la superficie, si sta cantando una melodia diversa, e i veri agitatori sono sopraffatti e intimiditi dalla forza delle realizzazioni informative della Russia a 5GW:

Ma qui abbandonano la trama, andando al cuore dell’intera questione. Delineano quella che secondo loro è la minaccia più grave di tutte: che la Russia possa da sola cambiare la percezione che l’America ha di se stessa, anzi, cambiare l’idea stessa di ciò che è l’America:

Alterare la volontà dell’America non è cosa da poco. L’America è un’idea. L’America è una scelta. L’America è una fede nel valore dell’azione. La resilienza interna degli Stati Uniti e il loro potere globale derivano in gran parte da persone e Paesi che scelgono gli Stati Uniti e dagli americani che conservano la loro capacità di agire con intenzione. Un avversario che impara ad alterare queste realtà è una minaccia esistenziale, soprattutto quando le idee sono l’arma principale dell’avversario.
E ora arriviamo alla metafisica di tutto questo. Vedete, la pecora è stata tosata, mostrando il suo sedere a tutti, e solo i veri appassionati possono cogliere i profondi segreti esoterici che vi sono rivelati.

Ciò che hanno appena delineato va al di là di qualsiasi misera questione materiale di guerra e di tutte le cose corporee. In realtà, hanno svelato l’essenza ontologica stessa dell’egemonia globale dell’Impero, ed è un aspetto che è stato casualmente evocato oggi sul blog di Andrei Martyanov, che mi è capitato di incrociare sincronicamente. Il suo pezzo in sé è stimolante e molto buono – e vi consiglio di leggerlo – ma è il commento in cima che colpisce al cuore delle cose come un inno:

Ripubblicherò la parte inferiore, scritta in modo evocativo, per dare un effetto:

Il Mito dell’America ha galleggiato durante tutto questo. Era un catechismo condiviso della religione americana, ma sta diventando sempre più difficile da ingoiare. Stiamo diventando atei americani e quando il popolo smette di credere nei propri miti, perisce.
Ora vediamo ancora una volta l’esegesi di Kagan e coorte, fianco a fianco:

Alterare la volontà dell’America non è cosa da poco. L’America è un’idea. L’America è una scelta. L’America è una fede nel valore dell’azione. La resilienza interna degli Stati Uniti e il loro potere globale derivano in gran parte da persone e Paesi che scelgono gli Stati Uniti e dagli americani che conservano la loro capacità di agire con intenzione. Un avversario che impara ad alterare queste realtà è una minaccia esistenziale, soprattutto quando le idee sono l’arma principale dell’avversario.
Ah…. quindi è così. Vedete, il potere americano non è altro che un Mito di supremazia e di diritto, ammantato da varie esche eufemistiche e da vaporosi depistaggi come “l’ordine basato sulle regole”.

Ciò che i neocon hanno rivelato qui è la chiave principale di tutto: la Russia è in grado di infrangere il Mito, o meglio la Grande Menzogna, che racchiude non la vera America che era una volta, ma la distorsione neocon piedistallata di essa – ciò che è diventata, il colosso deformato, il Leviatano sgraziato che scaglia il mondo intero con la sua coda spronata e il suo alito nocivo.

Questi pazzi, che hanno cooptato il Paese e la sua politica estera, hanno di fatto trasformato l’America in nient’altro che in un golem barcollante, senza vestiti come il suo imperatore ombra. Ora non temono altro che la Russia mandi in frantumi questa “idea” spostata, questo “sogno” fraudolento e barricato che esiste solo nelle menti insanguinate degli usurpatori neocon. Questo infrangerebbe l’illusione una volta per tutte, non solo liberando il globo dalla presa del Leviatano, ma distruggendo l’antica ricerca dei neocon.

Si noti l’uso idiomatico molto particolare di: “alterare queste realtà”. Vedete, “alterare” la realtà surrogata imposta dai neocon significa distruggere la bestia una volta per tutte, amputare la crescita cancerosa che strangola il cuore di quella che una volta era “l’America”. Questo è ciò che temono e lo hanno eloquito al meglio, codificato nel simbolismo. L’America che hanno inventato esiste come una simulazione in una matrice, e temono che la Russia abbia trovato la chiave per scollegare il loro falso costrutto-realtà, risvegliando un’intera generazione alla verità effettiva: che il Paese e tutto ciò che ha sempre rappresentato è stato interamente dirottato da una cabala criminale.

Soprattutto, hanno rivelato che il potere dell'”America” si basa su un incantesimo lanciato sui suoi più stretti alleati, gli europei completamente soggiogati. Quando la Russia “romperà” questo incantesimo, sarà tutto finito.

La resilienza interna degli Stati Uniti e il potere globale derivano in gran parte da persone e Paesi che scelgono gli Stati Uniti e dagli americani che conservano la loro capacità di agire con intenzione.
L’idea “sacra” dell’America distillata qui non è altro che un’illusione imperiale, una rete gettata sugli occhi di un continente europeo che è stato sotto occupazione totale dalla fine della seconda guerra mondiale. Ciò che stanno dicendo, in definitiva, è che non c’è alcuna sacralità intrinseca in questo loro ideale fabbricato, ma piuttosto si tratta di un’illusione forzata, che è fragile come il gesso una volta che la gente se ne accorge. E credono che i poteri di risveglio della Russia siano una minaccia esistenziale.

Roba da matti, lo so. Ma è per questo che il loro tono è così evidentemente stridente e vessatorio in questo rapporto disperato.

La Russia ha messo all’angolo i topi e loro sono nel panico.


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Carl von Clausewitz, Pensieri sulla guerra, introduzione del generale Stefano Basset_recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Carl von Clausewitz, Pensieri sulla guerra, introduzione del generale Stefano Basset, OAKS editrice, € 10,00.

Perché recensire una edizione di massime tratte da un classico del pensiero, come il “Vom Kriege” di cui circolano tante edizioni integrali? La risposta è duplice: da un canto perché la guerra nel XXI secolo è tornata alla “ribalta” – a scapito delle anime belle che credevano di averla seppellita per sempre – e nella sua forma “tradizionale” (Russia-Ucraina) e in quella “aggiornata” (Israele-Hamas). Dall’altro perché il generale prussiano trattava della guerra come fenomeno, sia negli aspetti immutabili, sia in quelli più legati alle condizioni particolari (e così all’epoca e alle guerre napoleoniche).

Ne consegue che molte considerazioni (in particolare tratte dai libri I, II e III) concernono l’essenza e la teoria della guerra (le regolarità di qualsiasi conflitto armato) e così costanti.; oltre alle condizioni (variabili) delle epoche e dei mezzi delle singole guerre. Ad esempio il Reno fu attraversato – nella stessa direzione – da Giulio Cesare e dagli alleati (Remagen): ovviamente i problemi e le difficoltà che dovevano affrontare il generale romano e quelli angloamericani erano assai diverse, e così la tattica; onde i consigli di Clausewitz vanno presi cum grano salis. Il libro raccoglie massime sulle “regolarità”: è quindi adatto ad un lettore anche non esperto. Una introduzione del generale Basset completa il volume.

Teodoro Klitsche de la Grange

Kelly tra realismo e geopolitica_con Tiberio Graziani, Federico Bordonaro, Roberto Buffagni

Ancora una conversazione sulla geopolitica e sui geopolitici. Grazie al libro curato da Federico Bordonaro, Tiberio Graziani e Emanuel Pietrobon entra nel mirino il geopolitico statunitense Phil Kelly. L’obbiettivo di Kelly è riaffermare il ruolo della geopolitica, quindi della geografia, rispetto al realismo e al costruttivismo; anche, però, iniziare a definire non solo l’autonomia ma anche le relazioni tra di essi. Da qui una definizione aggiornata di heartland e delle interazioni molto più interconnesse tra le tre parti del globo definite dalla geopolitica classica. Una attenzione che consente di discernerere la rilevanza teorica della produzione di Kelly dalla sua fervente affiliazione alla causa della proiezione statunitense, sin troppo evidente in gran parte dei suoi scritti. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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A.A.V.V., La proprietà e i suoi nemici a cura di S. Scoppa, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

A.A.V.V., La proprietà e i suoi nemici a cura di S. Scoppa, Tramedoro, Bologna 2023, pp. 110, € 10,00.

Questo volume fa parte della collana “Biblioteca della proprietà”, promossa da Confedilizia.

Prende l’occasione dalla direttiva sulle Case-green e in genere dall’andazzo ecologista dell’Unione europea per riproporre l’importanza e la necessità della proprietà, non solo in generale, ma anche per l’ambiente.

Per far questo deve superare due luoghi comuni propagandati: il primo che la proprietà privata comporti necessariamente peggioramento dell’ambiente, mentre quella pubblica no, o quanto meno lo comprometterebbe in misura minore; dall’altro il riflesso condizionato antiproprietario, in particolare da Marx in poi che, dopo il crollo del comunismo ha scelto la tutela dell’ambiente come ragione fondamentale del proprio livore.

Come scrive nell’introduzione Piombini, l’obiettivo «politico principale delle classi politico-burocratiche occidentali, appoggiate dai media e dagli intellettuali (è)  Usare la confisca, il clientelismo, la centralizzazione e la coercizione per combattere il cosiddetto “cambiamento climatico”». E così aumentare (e giustificare) il proprio potere. A tale proposito sostiene Lottieri che «la direttiva detta “case green” è soltanto l’ultimo frutto avvelenato di un’idea pervertita di Unione europea e, oltre a ciò, dello stesso declino del diritto». Tra le due mende, la più interessante è quella del “declino del diritto”. Questo è assorbito dalla legislazione, cioè dalle norme emanate dal principe, che hanno assunto, nello Stato moderno, un ruolo esclusivo (o quasi). Questo a scapito della concezione romana del diritto il quale, oltre alla leges, alle constitutiones, ai senatus consulta era “costituito” dai responsa prudentium, dagli edicta dei Pretori, dai mores maiorum. Cioè era un sistema pluralista e non (quasi del tutto) monopolizzato dallo Stato. Oltretutto negli ordinamenti giudiziari continentali, fino a meno di un secolo fa, privo di quello che Hauriou chiamava, per quello degli Stati Uniti, la superlegalité constitutionnel che garantisce la società civile dall’invadenza dello Stato.

Nell’individuare la ragione di tale bulimia pubblica, Lottieri scrive «alla base di tutto questo, allora, c’è l’antica, antichissima questione del potere. Perché non c’è dubbio che il potere esiste e una delle sue manifestazioni più caratteristiche consiste proprio nella capacità da parte di  alcuni (dominatori) di estrarre le risorse di altri (dominati)». Come gli italiani tartassati da un fisco predone coniugato ad un’amministrazione sgangherata, conoscono bene.

Restando nei limiti di una recensione ricordare tutti i contributi degli autori che affrontato i diversi aspetti del problema: vi rinviamo i lettori.

È opportuno fare comunque un’eccezione per quello di A. Vitale, già dal titolo assai attraente “dall’economia verde a una società al verde”.

Scrive Vitale nella post-fazione che «questo libro mette il dito nella piaga della legislazione e della regolamentazione, nel fondamentalismo ecologico e nella bulimia regolatoria europea – che minacciano di non avere limiti – giustificate con la “crisi climatica globale”» e prosegue che in realtà questo « è funzionale ai pianificatori di ogni colore per un rimodellamento della società secondo i loro desideri (l’uso delle espressioni “cambiare il mondo” e “nuovo mondo” è infatti molto frequente)». Peraltro l’obiettivo dell’ambientalismo radicale è «il controllo e in prospettiva l’annientamento della proprietà, del mercato, dell’economia libera. L’ambientalismo infatti, ignorando il ruolo del meccanismo del libero mercato, dei prezzi e della proprietà privata nella conservazione e nell’aumento delle risorse naturali, finisce sempre per perorare la causa di un’economia pianificata, interventista». Carente di sicuri presupposti, l’ideologia ambientalista non considera le esigenze sociali che sacrifica «di occupazione, di costi per i meno abbienti, di prezzi troppo elevati per i salari medi». E così conduce al verde la comunità.

Nel complesso un libro che possiede il pregio più importante in un’epoca di “politicamente corretto”: la demistificazione.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Che cos’è la politica?_di Dr. Vladislav B. Sotirovic

Che cos’è la politica?

Esistono molti approcci ufficiali e non ufficiali, accademici e non, e definizioni formali/informali della politica e del suo funzionamento nella società. Tuttavia, come concetto più universale, si può concludere che la politica è semplicemente la capacità di dirigere e amministrare uno Stato (in greco antico – polis o città-stato) o altre organizzazioni politiche (come quelle multilaterali, internazionali, sovranazionali, ecc.). In sostanza, l’amministrazione dello Stato o di altri soggetti politici è una questione di arte.

Lo Stato può essere definito come un’associazione politica che stabilisce una giurisdizione autonoma/sovrana entro confini territoriali definiti. Inoltre, la sovranità è la pratica di un’autorità politica superiore che si riflette nel fatto che lo Stato è l’unico e superiore creatore di leggi e del potere di proteggerle entro i confini dello Stato (reale o immaginabile). In pratica, esistono due tipi di sovranità statale: esterna e interna.

La sovranità esterna (politica) considera la capacità dello Stato di agire come attore indipendente nelle relazioni internazionali. In pratica, però, implica due punti cruciali:

1) gli Stati devono essere da diversi punti di vista (o almeno giuridici) uguali nelle relazioni reciproche; e
2) che l’integrità territoriale seguita dall’indipendenza politica di uno Stato è inviolabile.

La sovranità interna (politica) dello Stato, invece, si riferisce al territorio all’interno dei confini statali da parte del potere politico supremo (il governo, in pratica supportato da forze di sicurezza armate). Infine, la politica è strettamente legata al concetto di autorità, che è la capacità di influenzare la politica degli altri, fondamentalmente, sulla base del dovere e dell’obbedienza.

Tuttavia, come ci si può aspettare, la comprensione e soprattutto alcune definizioni ufficiali della politica sono, storicamente parlando, una questione molto complessa e persino essenzialmente contestata. In pratica, esiste un alto grado di disaccordo su questioni molto pratiche su quali aspetti della vita sociale e dell’ambiente umano possono essere applicati all’arte della politica. Secondo un approccio, una persona per nascita è politica, il che significa semplicemente, nella pratica, che l’essenza fondamentale della vita politica sarà vista in qualsiasi relazione interumana, comprese, ad esempio, le relazioni di genere (maschio/femmina). Tuttavia, nell’uso popolare in tutto il mondo (ma soprattutto in Occidente), il quadro ristretto della politica è quello del design. In altre parole, si intende che la politica opera solo a livello governativo e si occupa degli affari dello Stato. Nelle società occidentali, inoltre, la politica deve coinvolgere la competizione tra partiti politici seguita da elezioni multipartitiche per i diversi livelli di autorità. In generale, la politica come fenomeno socio-storico è estremamente limitata sia nello spazio che nel tempo.

La concezione tradizionale del fenomeno della politica era quella di “arte e scienza del governo” o “gestione degli affari dello Stato”. In questo caso, però, il problema pratico è ancora irrisolto: non è mai stato raggiunto un accordo comune sulla portata delle attività e dei livelli di gestione dello Stato di cui il governo è responsabile. Ad esempio, alcune delle domande principali sono:

1) Il governo si limita solo agli affari di Stato?
2) Il governo ha il diritto di interferire negli affari della chiesa, della comunità locale o della famiglia?
3) Il governo si svolge in un’economia (liberale)?

Storicamente, i filosofi della scienza politica si sono occupati di due questioni cruciali applicate al fenomeno della politica:

1) se altre creature, a parte gli esseri umani, esercitino la politica; e
2) È possibile che la società esista senza politica?

Alcuni di loro hanno sostenuto che altre creature (come le api) hanno la politica e che alcuni tipi di società, almeno teoricamente, (come quella utopica) possono esistere senza politica. In pratica, però, la politica si applica solo agli esseri umani; in altre parole, a quegli esseri che possono comunicare simbolicamente e di conseguenza fare affermazioni, accettare certi principi, discutere e infine dissentire. Per esempio, la politica si verifica nei casi in cui gli esseri umani discutono su alcune questioni pratiche nelle loro società e hanno determinate procedure per risolvere il problema al fine di trovare un accordo comune accettabile almeno dalla maggioranza aritmetica (democrazia), ma non necessario. Nella concezione occidentale (liberal-democratica) della politica, non c’è (vera) politica nei casi in cui c’è un accordo monolitico e totale sui diritti e sui doveri in una società (ad esempio, nel sistema dittatoriale/totalitario a partito unico).

Tuttavia, da un punto di vista più ampio, la politica si riferisce a certe attività utilizzate dagli esseri umani per creare, difendere e cambiare le regole ai diversi livelli in cui vivono. La politica è sempre stata strettamente legata sia a conflitti e cooperazioni che ad accordi e disaccordi. Da un certo punto di vista, c’è la pratica di argomenti opposti, desideri opposti su come risolvere il problema, desideri politici, economici, sociali, ecc. in competizione, e il battere gli interessi degli altri. In questo caso, c’è un disaccordo sulle regole in base alle quali vivono gli abitanti di certe società. Tuttavia, in molti casi pratici, per influenzare tali regole (leggi) o per forzarne l’attuazione pratica, le persone possono collaborare con altre persone. Tuttavia, la politica è un fenomeno estremamente controverso, in quanto è stata storicamente intesa come arte del governo/stato, come affari pubblici nella maggior parte dei punti di vista generali, come risoluzione non violenta di diverse controversie e, infine, come potere e distribuzione di vari tipi di risorse. Infine, lo statecraft (gestione politica dello Stato) può essere definito come l’arte di condurre gli affari pubblici e la politica estera per realizzare l’interesse nazionale: gli obiettivi della politica estera dello Stato per il (presunto) beneficio della società.

In ogni caso, l’azione dello Stato come attore politico indipendente, sia in politica interna che esterna, richiede il possesso di un potere reale. Il fenomeno del potere politico può essere inteso come la capacità di influenzare i risultati di determinate azioni, che include la capacità dello Stato di gestire gli affari politici e di altro tipo all’interno dei propri confini senza l’interferenza di altri attori politici (esterni). In questo senso, politica statale e potere sono in strettissima relazione, sostanzialmente sinonimi.

testo originale: Sotirovic 2023 What is a politics

Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

© Vladislav B. Sotirovic 2023
Disclaimer personale: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex-University Professor

Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies

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NOTE SU FREUND E LA DECADENZA, di Teodoro Klitsche de la Grange

NOTE SU FREUND E LA DECADENZA

Non ho letto il libro di Freund, per cui queste brevi note si rifanno alle altre opere del filosofo alsaziano, particolarmente L’age de la renaissance, tradotto e pubblicato in italiano nel 1980 (da Armando) con un titolo (quanto mai opportuno): La fine dello spirito europeo.

La concezione della decadenza di Freund è quella “classica” della ciclicità delle istituzioni (e delle civiltà umane) per cui a fasi di espansione e crescita seguono quelle di contrazione e decrescita; a queste ultime succedono poi epoche di “rinascite” (cioè di nuova espansione) e così secondo un andamento che si ripete in cicli per certi aspetti molto simili. Questa concezione applicata alle forme politiche è stata condivisa già dal pensiero antico, dagli stoici e da Polibio di Megalopoli. Nel pensiero moderno tra i tanti che l’hanno sostenuta occorre ricordare G.B. Vico e, ovviamente con le dovute differenze, Spengler; i quali l’applicavano anche alle civiltà umane; e Pareto (alla società prima che alle istituzioni).

Tutte tali visioni hanno in comune di contrapporsi all’idea di progresso, per cui l’uomo progredisce rispetto al passato e questo cammino unidirezionale non conosce marcia indietro (il futuro è e sarà migliore del passato).

Il contrario di quanto ritenevano tanti pensatori antichi (ma non solo) che collocavano l’età dell’oro all’inizio della Storia, per cui la decadenza sarebbe un cammino costante in direzione contraria a quella del progresso. Tra le due, ma in effetti opposta a quella del progresso (prevalente nella modernità) è quella ciclica per cui l’andamento delle fasi di espansione/contrazione somiglia, nello spazio cartesiano, ad una sinusoide.

Scriveva Freund di aver mutuato la nozione di decadenza nel doppio significato datole da Pareto: della degenerazione di un tipo storico di civiltà, ma dall’altro, del rinascimento possibile ad uno stadio successivo sotto nuovi aspetti, differenti, come scrive Jeronimo Molina Cano (nella prefazione dell’edizione 2023) sintetizzando le linee direttrici “del suo opus magnum, la Décadence”. In effetti nei pensatori della ciclicità delle istituzioni e comunità umane, il tutto non stupisce. Perché dalla regolarità della successione dei cicli deriva anche la normalità del processo.

Sempre sul doppio aspetto della decadenza occorre ricordare quel che ne pensava Hauriou con la sua concezione sull’alternanza delle epoche medievali e di rinascimento[1]

Interrotte da crisi che non sono decadenze complete ma fasi di cambiamento intenso, che comunque conserva nella nuova epoca molti elementi della precedente[2]. La coincidenza (anche lessicale) della attuale epoca come di rinascenza – secondo Hauriou e Freund – (la modernità dal XVI secolo ad oggi) è un modulo ulteriore di collegamento dei due pensatori.

Quel che più interessa della concezione di Freund, oltre alla “ciclicità”, sono i caratteri che enumero di seguito:

1) il valore dato ai fatti e all’esperienza, rispetto alle costruzioni intellettualistiche che connotano molti dei nuovi idola della contemporaneità, derivanti da astrazioni di tesi settoriali, anche scientifiche (o pseudo-scientifiche); come ad esempio l’emergenza climatica, il genderismo, ecc. ecc.: ossia la prevalenza di quello che Freund definiva il pensiero razioide, essenzialmente una caricatura della razionalità occidentale[3] e già di per se connotato di decadenza.

Di converso il fatto che l’Europa sia in fase di decadenza è un’affermazione constatabile da una pluralità di circostanze reali e percepibili: in primo luogo l’arretramento territoriale, con la perdita degli imperi coloniali. In secondo luogo, al posto dell’aggressività della fase d’espansione, nel presente prevale – nel migliore dei casi – l’esigenza di conservazione. A questo si accompagna la perdita di fiducia nei valori che avevano ispirato la fase ascendente, i quali anzi, sono occasione di autocolpevolizzarsi, con una mollezza spirituale, prima ancora che materiale. Peraltro, come scriveva Freund, l’aberrazione delle autocolpevolizzazioni (oltre che le loro evidenti parzialità) consiste nel credere che biasimando l’azione degli europei si puliscono quelli che puliti non sono, cioè i governanti dei paesi decolonizzati, alcuni dei quali artefici di predazioni, stragi e genocidi non inferiori,  e spesso più efferati di quelli degli ex colonizzatori.

Secondariamente la tesi di Freund si basa sul fatto che quella materiale deriva dalla decadenza spirituale; la razionalità e la libertà, caratteri della rinascenza occidentale ne hanno fatto le spese, essendo trasformate da una ipertrofia senza limiti che le distorce.

Questa consiste nell’intellettualizzazione. Nell’esempio di Freund la civiltà europea ha costruito una serie di libertà concrete (di pensiero, di riunione, ecc.) per difenderle dall’arbitrio del potere; ovviamente. come affermato da secoli di pensiero, libertà e dominio sono opposti ed insopprimibili.

Invece l’intellettualizzazione “preconizza l’emancipazione totale del genere umano… restituisce al sistema delle libertà il fine escatologico di una libertà totale, senza condizioni” (ossia la fine del dominio). Così “l’intellettualizzazione svia la razionalità appartenente alla Rinascenza, da cui peraltro è nata, assegnandole una missione radicale nella quale perde il proprio significato”. E, sotto un altro aspetto “l’intellettualizzazione trasforma la razionalizzazione in una pura attività razioide, ossia in una discussione sterile, senza alcun riferimento al reale”. Inoltre “una delle illusioni dell’intellettualismo sta nel non accorgersi del rapporto sottile e spesso oscuro tra il tutto e le parti”; nonché tra fine e mezzi. È un modo di argomentare scombinato e sofistico: a farne le spese è soprattutto il principio che “nomina sunt consequentia rerum” sostituito dalla “produzione” di parole a mezzo di parole.

In terzo luogo Freund, come sopra detto, non ritiene che la decadenza sia annientamento delle istituzioni e, ancor di più, delle comunità, ma una fase di trasformazione. La gestione della quale, al fine di migliorare le doglie del nuovo che nasce, richiede la consapevolezza di essere decadenti. Ovviamente è una consapevolezza rigettata a priori da chi condivide l’idea che la Storia sia in costante progresso, che l’oggi è meglio di ieri, e domani lo sarà di oggi. Per cui i progressisti (più i convinti, meno quelli strumentali) sono i più inadatti a gestire le fasi di decadenza. E quindi le peggiorano, anche trascinando e ritardando i cambiamenti con doglie di durata pluridecennale. Gli europei pensano di non essere in decadenza perché vivono bene, e il loro benessere attrae i non europei, scrive Freund in una prolusione del marzo 1985, prevedendo gli inconvenienti delle conseguenze (multi-culturalismo, terrorismo). Profezia quanto mai azzeccata: “Assumere la condizione di decadenza, induce a prevedere il peggio di essa in vista di fermarla, d’impedire che questo arrivi. Se la politica europea è in procinto di fallire, è perché essa si incammina contro una condotta politica lucida che consiste nell’individuare il peggio per darsi i mezzi per affrontarlo”.

Anche perché, aggiunge Freund, per percepire la decadenza occorre (previamente) aver coscienza della propria identità “come popolazione particolare e come civilizzazione originale”.

L’identità “implica due elementi: da una parte la coscienza corrispondente della alterità, dall’altra la coscienza di un passato, di una tradizione”. E l’identità presuppone la distinzione dall’altro perché “non possiamo attribuire significato a noi stessi senza rapportarci all’altro”. Peraltro l’identità è anche “il riferimento a un passato, il riferimento quindi alla durata nel tempo. È nel tempo che io resto identico, non nell’istante. È impossibile restare identico a se stesso mutando senza sosta, senza essere fedele a ciò che si è, a ciò che si è stati e a ciò che si tenterà di restare”.

Aggiunge Freund che “La conservazione non esclude comunque il cambiamento; al contrario essa è creazione continua nel rispetto della propria identità. Detto altrimenti, l’identità esige un continuo rinnovamento, così come il corpo non si conserva se non creando ripetutamente nuove cellule. L’identità europea risiede nella capacità della propria civilizzazione di uscire dagli stereotipi, di uscire da un tempo prefissato, di rinnovarsi continuamente nella critica”. Anche in queste affermazioni Freund ricorda Hauriou secondo il quale l’istituzione è caratterizzata non dalla stasi (che il giurista francese rimproverava al sistema di Kelsen) ma da un movimento lento ed uniforme che le consentiva di rinnovarsi pur durando nel secoli.

Ne consegue che comunque “La decadenza, però, non esclude di poterla contrastare, a patto di averne la volontà. Non foss’altro che per darci dei nuovi mezzi nella stessa azione”. L’importante, al fine di contrastare la decadenza, è non farsi illusioni rifiutandone l’idea. Come spesso, fanno le classi dirigenti detronizzate.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Secondo il quale esistono nelle istituzioni fattori di decadenza e all’inverso, di fondazione: “come fattori di crisi il denaro e lo spirito critico; come fattori di trasformazione (cioè di crisi, ma anche di rifondazione comunitaria e istituzionale) la migrazione dei popoli e il rinnovamento religioso”.

[2] V. La science sociale traditionnelle, cap. III section I e ss.

[3] Hauriou l’avrebbe chiamato l’eccesso di spirito critico.

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