IMMUNITÁ E GIURISDIZIONE ORDINARIA, di Teodoro Katte Klitsche de la Grange

Nota introduttiva

Questo saggio era stato pubblicato sul n. 1/2003 della rivista
“Palomar”. I problemi che tratta non sono per nulla cambiati. Anzi sono
stati aggravati dalla c.d. “legge Severino” onde è ancora un lavoro per
il ministro Nordio.

 

IMMUNITÁ E GIURISDIZIONE ORDINARIA

  1. È merito – non dei minori – di Berlusconi aver posto, dopo la decisione della Cassazione sul legittimo sospetto, il problema dell’immunità degli organi apicali dello Stato in termini politici concreti e reali – ovvero di potere – ciò che a finire tra Commissioni (parlamentari), leggine, codicilli, causidici, girotondi e “mozioni degli affetti” ha tutto da perdere in chiarezza e importanza. In sostanza le questioni poste dal presidente del Consiglio sono semplici: se le persone preposte o componenti gli organi supremi dello Stato possano essere giudicate, con la conseguenza, possibile, della condanna e detenzione mentre sono in carica. E, correlativamente, se la loro permanenza o rimozione nella carica non sia di competenza esclusiva del corpo elettorale, cioè dell’ “organo” in cui si esercita, primariamente, quella sovranità del popolo, fondamento della Costituzione repubblicana (art. 1).

A sentire il coro che si leva dai girotondi e dalla nomenklatura del centrosinistra, la risposta è semplice: i ladri devono stare in galera. Il che, in concreto, significa che in tale (scomoda) posizione deve stare chi le Procure – e spesso qualche Tribunale – giudicano tale. Il fatto che, forse per caso, ma forse no, i suddetti “ladri” siano coloro che occupano le poltrone da cui hanno da poco allontanato molti dei coristi, non li turba. Evidentemente la maestà della Giustizia è, in questi casi, considerata, la migliore delle derivazioni (nel senso di Pareto) perché copre, col suo ingombro, il più evidente e umano tra i residui: quello di potere, in termini filosofici elevato da Nietzsche a Wille zur macht, e che con saggezza pari all’efficacia dell’espressione il buon senso siciliano ha riassunto nel detto: cumannari è megghiu cà….

A confutare quanto ripetuto dall’opposizione basterebbe, forse, tale constatazione. Ma dato che, indipendentemente da chi occupa certe posizioni di potere, il pensiero politico e costituzionale moderno, praticamente unanime, sostiene proprio il contrario di ciò ch’è urlato “in tondo”, e, in particolare, che quanto è auspicato (per Berlusconi e i suoi sodali, s’intende), è escluso in uno Stato ben ordinato, ci sembra utile ricordarne le ragioni.

  1. A ricercare i motivi per cui un organo sovrano, e chi vi è preposto, sia “protetto” (cioè sia, in misura e modi variabili, sottratto alla giurisdizione) si ha l’imbarazzo della scelta. Si può partire dall’immunità degli organi sovrani, o dal principio politico della democrazia; dalla distinzione dei poteri o dal carattere rappresentativo degli organi (in maggiore o minore misura) immuni.

Prendendo le mosse dal principio (liberale) della distinzione dei poteri, recepito da tutte le Costituzioni borghesi (in caso contrario, non sarebbero liberali), come il potere legislativo non può cassare o riformare sentenze o provvedimenti di Giudici, così quello giudiziario non può intervenire né sulle Camere, né sui loro atti e procedimenti, né sulle persone dei deputati (senza autorizzazione della Camera stessa). La prima costituzione europea moderna, cioè quella francese del 1791, già lo disponeva (titolo III, cap. I, art. 3) prescrivendo che i tribunali non potessero interferire nell’esercizio del potere legislativo né sospendere l’attuazione delle leggi: prescrizioni similari, e quelle sull’immunità dei parlamentari da arresti e processi erano riportate praticamente in tutte le costituzioni europee successive, degli Stati liberali prima e (poi) democratico-liberali. La ragione era semplice e chiara: la libertà politica non sopporta sovrapposizioni e concentrazioni di poteri (o di atti) riconducibili a due funzioni distinte. È per quella altrettanto pericoloso un Parlamento il quale riformi una sentenza o ordini un arresto che un Giudice il quale disapplichi una legge e mandi in carcere un deputato, perché ambedue queste “invasioni” concentrano in un solo potere atti pertinenti a diverse e distinte funzioni. Per cui al principio (liberale) della distinzione dei poteri è connaturale impedire che questi interferiscano tra loro, se non in casi tassativi e limitati (basati sulla distinzione di Montesquieu tra pouvoir de statuer e pouvoir d’empêcher).

Anche se il senso è diverso, dal principio politico democratico si desume la stessa “interdizione”. Qui non viene tanto in rilievo – anche se comunque ha un peso – la circostanza che i giudici, in un ordinamento come il nostro, o, in generale, degli Stati continentali europei, costituiscono un corpo burocratico di funzionari reclutati per concorso, e quindi, per tale carattere, disomogeneo al principio della democrazia, come scrive Carl Schmitt[1], e ripetuto da Berlusconi. Perché una giurisdizione esercitata da magistrati elettivi (come in molti stati U.S.A.) è legittimata dal “popolo” quanto il deputato[2].

Piuttosto in tal caso viene in considerazione, per l’appunto, la contrapposizione tra giudizio di uno o più funzionari, e quello del “popolo” stesso. In fondo l’aveva acutamente notato Machiavelli[3]quando scriveva che “lo accusare uno potente a otto giudici in una repubblica non basta; bisogna che i giudici siano assai, perché i pochi sempre fanno a modo de’ pochi. Tanto che se tali modi vi fussono stati, o i cittadini lo arebbono accusato, vivendo lui male, e per tale mezzo, senza far venire l’esercito spagnolo, arebbono sfogato l’animo loro; o, non vivendo male, non arebbono avuto ardire operargli contro”. Il Segretario fiorentino aveva capito che, in una Repubblica (da intendersi nel caso come una forma costituzionale se non democratica, con elementi di democrazia) un tribunale “ordinario” che giudichi un politico configura un potenziale (ma assai probabile) caso di conflitto costituzionale e, ancor più facilmente, origina un conflitto politico. Perché delle due l’una: o il giudizio del Tribunale è conforme a quello della maggioranza e allora i partigiani dell’eventuale accusato potranno sempre additare come esempio di giustizia estranea all’ordinamento democratico il verdetto di alcuni funzionari su un uomo comunque popolare; o non lo è, e si apre un contrasto, assai più grave, tra la volontà di tutti (o quasi) e il giudizio di pochissimi. Perciò occorre trovare “alcuno modo di accuse contro all’ambizione de’ potenti cittadini”, ovvero una strada che possa evitare i conflitti che la giustizia ordinaria genera quando oggetto del giudizio è un affare (e/o un uomo) politico.

L’impossibilità, in grandi democrazie come quelle moderne, di giudizi nell’areopago, ha determinato che la giustizia “politica” sia normalmente esercitata, con procedure (e da organi speciali) o comunque presenti vistose deroghe od eccezioni agli “ordini” comuni. In genere le Carte costituzionali delle democrazie borghesi prevedono la competenza a giudicare di una seconda Camera (il modello ne è stato la Camera dei Lords inglese) come il Senato U.S.A., o il nostro nello Statuto albertino o quello della Terza Repubblica Francese; ovvero di un giudice speciale (come talvolta le Corti costituzionali); l’esercizio dell’azione penale è riservato ad organi politici (la Camera dei rappresentanti negli U.S.A., o quella dei deputati in Italia; ambedue le camere in Francia nella Costituzione vigente).

Immunità dalla giustizia ordinaria, variamente configurate, accompagnano di solito tali “status” e “ordini” eccezionali[4]; anche le norme definenti i crimini “politici” di solito sono formulate in guisa che l’interprete abbia una certa “discrezionalità” nel determinarne l’ambito[5]. Per cui si può agevolmente constatare come, nelle democrazie moderne, è normale che la giustizia “politica” esercitata su ministri, Capi di Stato, parlamentari e talvolta funzionari, lo sia in forme e procedure extra-ordinem: l’unico connotato comune ai vari ordinamenti, invero, è quello, negativo, di escludere (in tutto o in parte) la competenza dei Tribunali ordinari. Nessuno prevede che ministri, deputati o Capi di Stato possano essere giudicati da una Corte ordinaria con il comune procedimento. In questo può affermarsi che l’intuizione di Machiavelli ha avuto successo. La natura “politica” del processo, delle parti e del suo oggetto (e il suo collegamento con decisioni popolari) prevale sul principio democratico dell’isonomia; il rapporto con la volontà e le scelte popolari è tuttavia, per lo più confermato dal ruolo giudiziario che vengono ad assumere organi politici, spesso legittimati anch’essi democraticamente, perché elettivi.

Alle stesse conclusioni ai può giungere partendo dal principio – e dal concetto – di rappresentanza politica. Questa comporta la distinzione, già chiaramente formulata nella Costituzione francese del 1791 (tit. III, cap. IV, sez. 2, art. 2) in base alla quale non tutti i poteri dello Stato sono rappresentativi, e non tutti i funzionari dello Stato sono dei rappresentanti. L’uno e l’altro sono riservati a uno o pochissimi organi (e loro titolari): il Capo dello Stato, le Camere, il Governo.

Ad esser rappresentata è l’unità politica, intesa come totalità; funzione della rappresentanza è far esistere ed agire la comunità. Senza rappresentanza – o senza l’opposto principio di forma, cioè l’identità – una società politica non può agire. Senza i poteri rappresentativi, che la Costituzione italiana vigente identifica esplicitamente nel Capo dello Stato e nelle Camere, la Repubblica non esisterebbe neppure: ancor meno ciò che non esiste (e viene ad esistenza solo quando c’è una rappresentanza) potrebbe agire. Da una parte, ma con ciò entriamo nel profilo successivo, ciò comporta che coloro che rappresentano (anche se a giudizio di taluni indegnamente) l’unità e la totalità, non possono essere giudicati da chi non è rappresentante, ma esercita soltanto un pouvoir commis; dall’altra che un G.I.P. che ordinasse l’arresto o un Tribunale che condannasse un solo deputato, e più ancora il Capo dello Stato o un congruo numero di parlamentari, decapiterebbe lo Stato, togliendogli – nei casi più gravi – la capacità di agire, e negli altri, influendo sulle decisioni degli organi rappresentativi[6].

L’argomento decisivo per spiegare l’ “immunità” di determinati organi (e dei loro titolari e componenti) è comunque di essere “sovrani”. Senza voler entrare nella tematica della sovranità moderna (cioè della sovranità tout-court) fin dal medioevo è stato individuato un organo (o un soggetto) il quale decideva in ultima istanza; anche prima che il concetto moderno di sovranità fosse elaborato, l’identificazione di tale organo (o soggetto) era assai importante, perché legittimante o meno lo justum bellum[7]. Tale criterio d’identificazione dell’organo “sovrano” era ripetuto spesso nella filosofia e nel diritto pubblico moderno. Era sviluppato da Hobbes e da de Maistre, ma in effetti presente in altri pensatori, tra cui Kant e Locke, in quest’ultimo nella forma negativa dell’impossibilità che vi sia un sovrano laddove una controversia non è decidibile da un’autorità. Corollario della stessa era che non può esistere, in un’unità politica, la compresenza di più poteri “sovrani”. Tra tutti coloro che hanno sostenuto l’impossibilità di concepire più sovrani in un’unità politica, è importante ricordare, per l’estrema chiarezza, il pensiero del giovane Marx, secondo il quale “è proprio del concetto di sovranità che questa non possa avere doppia e addirittura opposta esistenza”, per cui la questione che si pone in concreto è “sovranità del popolo o del monarca”: infatti “se la sovranità esiste nel monarca, è una sciocchezza parlare di una sovranità contraria esistente nel popolo”[8]. Nucleo di tale teoria è che vi è nello Stato un organo (un soggetto) che giudica ma non può essere giudicato da alcuno; che ha “tutti i diritti e nessun dovere (coattivo)”[9].

Marx sintetizzava così in poche parole il profilo più importante del pensiero politico  sulla sovranità: che di (organi o soggetti) sovrani, in una unità politica, ve ne può essere uno solo. Questa è la ragione decisiva per ritenere che se a un altro potere (o soggetto) fosse consentito esercitare una coazione sul sovrano, questo non sarebbe più tale, ma lo sarebbe l’altro. Onde evitare questa “traslatio imperii” (la quale peraltro potrebbe assumere anche moto …pendolare), gli organi sovrani sono sottratti (in tutto o in parte) alla giurisdizione ordinaria. E’ quanto sosteneva (tra gli altri) un Presidente del Consiglio italiano, e fine giurista, come Vittorio Emanuele Orlando, in un saggio di settant’anni orsono. Scriveva infatti: “Che fra gli organi onde lo Stato manifesta la sua volontà e la attua, uno ve ne sia che su tutti gli altri sovrasta, superiorem non recognoscens, e che non potendo appunto ammettere un superiore (chè allora la potestà suprema si trasporterebbe in quest’altro) deve essere sottratto ad ogni giurisdizione e diventa, per ciò stesso, inviolabile ed irresponsabile, è noto[10] (il corsivo è nostro). Analoga spiegazione era stata data da Thomas Hobbes “ Infine, dal fatto che ciascuno dei cittadini sottomette la sua volontà alla volontà di colui che ha il potere supremo sullo Stato, così da non potere usare delle proprie forze contro di lui, segue evidentemente che qualunque cosa costui faccia, non può essere punito[11] (il corsivo è nostro). E alla stessa conclusione si arriva a leggere Bodin: secondo il quale “Le prerogative sovrane devono essere tali da non poter convenire altro che al principe sovrano; se anche i sudditi possono essere partecipi, esse cessano di essere tali” perché “ciò significa che questo, da suo servitore che era, diverrà suo compagno, e così facendo egli rinuncerà alla sovranità; perché la qualifica di sovrano, ossia posto al di sopra di tutti i sudditi, non può convenire a chi di un suo suddito faccia un compagno”[12].

D’altra parte una delle “marques de souvraineté” secondo Bodin non è rendere giustizia, ma giudicare in ultima istanza. Chi giudica in ultima istanza non può – in tutta evidenza – essere utilmente giudicato perché un eventuale giudizio sarebbe comunque sottoposto alla revisione sovrana. Ammettere poi che si possa giudicare in ultima istanza in modo difforme dal sovrano, significa dividere la sovranità. Anche se Bodin viveva agli albori dello Stato moderno, così diverso dall’attuale, si rinviene anche nel suo pensiero la soluzione (negativa) del problema: che cioè, ad essere decisivo, è sempre il giudizio del (popolo) sovrano. E che questo non può essere oggetto di riesame da altri perché, in tal caso non sarebbe più sovrano; o, se altri giudica, il relativo giudizio è ininfluente rispetto a quello del sovrano.

L’immunità, indipendentemente dalla dibattuta questione se ad essere sovrano sia un potere costituito, o il potere costituente, l’organo o il popolo – che, relativamente alla questione qui esaminata, è ininfluente – compete, come sosteneva Orlando, a quell’organo (o organi) apicali, superiorem non recognoscens nell’ordinamento dello Stato. E, come riteneva Santi Romano, relativamente alle immunità parlamentari, “Il fondamento di tutte queste immunità dei senatori e dei deputati è da ricercarsi non soltanto nel bisogno di tutelare il potere legislativo da ogni attentato del potere esecutivo e nella convenienza di non distrarre senza gravi motivi i membri del Parlamento dall’esercizio delle loro funzioni, ma nel principio più generale dell’indipendenza e dell’autonomia delle Camere verso tutti gli altri organi e poteri dello Stato: di tale principio esse costituiscono una delle varie applicazioni o, meglio, una particolare guarentigia”[13]; per cui non costituiscono eccezioni, ma applicazione di un “principio più generale”.

Il pregio di questa concezione, nelle sue varie formulazioni e articolazioni, è di spiegare la ragione dell’immunità per qualsiasi tipo e forma di Stato, indipendentemente dai principi, valori e forme di governo di ciascuno: non è possibile che in uno Stato (ben) ordinato un giudice, anche “supremo”, possa giudicare e condannare un componente dell’organo “sovrano”, sia che si tratti del parlamentare o del Capo dello Stato in una democrazia borghese, del componente del Soviet Supremo in una delle (defunte) democrazie popolari, ovvero del Fürher, Caudillo o Duce in uno Stato fascista o nazista. Se lo fa, ciò significa soltanto che ad essere “sovrano” è il Tribunale e non il Soviet Supremo, il Parlamento, o il Conducator.

Cosa d’altra parte non ignota al diritto pubblico: in talune costituzioni non moderne, l’autorità “suprema” competeva a un organo le cui funzioni originarie (e prevalenti) erano giudiziarie; sviluppando le quali aveva assunto un primato politico. E’ il caso, ad esempio, del Consiglio dei Dieci a Venezia.

  1. A cercare le ragioni (politiche) per cui la regola generale è quella esposta da Orlando e non l’eccezione criticata si ha l’imbarazzo della scelta. Ma il motivo principale è la situazione d’indipendenza in cui deve trovarsi l’organo sovrano, per garantire quella della comunità rappresentata. Senza l’indipendenza da altri poteri, dall’esterno ma anche all’interno, di quello, non è possibile garantirla di questa: e lo stesso vale per la libertà di agire che ne è la prima, necessaria, conseguenza. Un organo dipendente e perciò non libero di agire non è in grado di tutelare l’esistenza della comunità.

In una democrazia politica l’unica dipendenza che quell’organo può avere è verso il popolo, organizzato nel corpo elettorale. Se dipende – in tutto o, verosimilmente, anche solo in parte – da altri (a parte le inidoneità oggettive degli uffici e dei procedimenti giudiziari, aggravate dal non essere legittimati dal suffragio popolare), ciò costituisce una grave vulnus al principio democratico, perché la volontà e la scelta del sovrano sarebbero soggette al consenso di chi da quello non dipende.

In termini politici la soluzione è semplice: vuol dire rispondere alle domande conseguenti all’alternativa di Marx: chi comanda? Il popolo o i Tribunali? La risposta suggerita (anche se talvolta timidamente, e soprattutto indirettamente) è quella che si può ascoltare da (alcuni) esponenti del centrosinistra: se condannato si deve dimettere. Il che significa, in senso proprio ed esplicito, che a decidere chi deve governare non è il corpo elettorale, ma i Tribunali. I quali così vedono riconoscersi un potere di veto  sulle scelte popolari. La seconda alternativa – meno frequentata, e il perché lo si capisce bene – è sostenere che i processi facciano il loro corso, e il condannato, legittimato dai suffragi, rimanga al suo posto. Era la soluzione formulata che un noto giurista come Léon Duguit e sulla quale il nostro Orlando ironizzava: perché la conseguenza sarebbe che il Presidente del Consiglio dovrebbe ricevere gli ambasciatori e i premiers stranieri invece che a Palazzo Chigi, a Rebibbia. Dove presiederebbe anche il Consiglio dei Ministri. La comicità delle conseguenze evidenzia quella della tesi che le presuppone.

La quale, malgrado il protestar contrario, e proprio nella sua formulazione “il condannato dovrebbe dimettersi” manifesta il suo carattere politico, nel senso specifico di “politica di partito” o “politicante”. Perché risponde da un lato alla questione nel senso più comodo per chi si trova in sintonia con certi (e non pochi) uffici  giudiziari; dall’altro, e più importante, ne costituisce la risposta inversa, che a decidere non debba essere il popolo, ma il potere giudiziario. Stravolgendo così sia il principio democratico in modo radicale, sia la governabilità, per il conflitto che genera tra poteri, uno dei quali legittimato dal suffragio e l’altro no.

  1. Insistendo nel considerare la tesi criticata come non strumentale, essa può essere ricondotta al tentativo, tante volte ripetuto, di giuridificare la politica (quindi la sovranità). Anzi di questa tesi, ne costituisce una parte, un paragrafo piccolo perché profondamente incoerente: quello consistente nel giudiziarizzare la politica, diametralmente opposto al carattere peculiare della sovranità: di essere al di là del diritto. Ovvero, in altri termini, di potervi rientrare ma come assoluto. Già tale connotato era stato individuato da Bodin: la sovranità è “il potere assoluto e perpetuo di uno Stato”, rafforzato dal ricordato paragone tra Dio e Sovrano. Kant ne da poi la definizione (giuridicamente) più corretta: colui che “Nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo)” (anche questa analoga alla definizione che da di Dio)[14] e specifica che “non può essere contenuto nella costituzione nessun articolo che renda possibile… a un potere di opporsi a colui che possiede il comando supremo … che renda possibile limitarne il potere” perché “allora non è quello, ma questo il supremo detentore del comando: il che è contraddittorio”[15]. Ora il diritto ha una dimensione relativa: ai soggetti, anche se diversi in diritti, facoltà, obblighi, competono sia situazioni giuridiche attive che passive. A ogni potere corrisponde un obbligo, un dovere o una responsabilità. Il sovrano, in questo senso è l’eccezione che tuttavia rende possibile (anche) la vigenza di un sistema di norme e rapporti formali, attraverso (l’instaurazione e) il mantenimento dell’ordine. L’assolutezza del comando sovrano (e del concetto) ha indotto il costituzionalismo (liberale) a ricercare i sistemi per bilanciarlo con il diritto: tentativo in gran parte riuscito, ma non totalmente, perché è impossibile giuridificare tutto[16]. In fondo proprio a Locke, uno dei “padri” del costituzionalismo moderno, dobbiamo l’affermazione che in certi casi non v’è giudice sulla terra, ma si ha il diritto di appellarsi al cielo: cioè di ribellarsi e risolvere la controversia con la forza. La contraria tesi si fonda sull’illusione che il diritto sia co-estensivo alla politica: che possa regolare tutto, inquadrandola in un sistema di norme applicabili e “calcolabili”. Ma come per la sovranità (e i suoi atti) così non è in tutti i casi più importanti e politicamente decisivi: per esempio la guerra e la pace. Si può prevedere nella Costituzione chi ha il diritto di dichiarare la guerra, e il procedimento relativo, ma non ciò che più conta: l’identificazione del nemico e l’obiettivo politico. Del pari per la pace: la decisione se concluderla – e a quali condizioni – è necessariamente rimessa all’arbitrio del competente potere costituito (che in democrazia risponde verso il corpo elettorale); ma non è certo concepibile prevedere per legge come, quando e con chi concluderla.

Di questa utopia, la giudiziarizzazione è il capitolo più incoerente: perché se non può esistere una legge per i “casi alti” della politica, tantomeno può esistere un Tribunale che giudichi in base a norme  “misurabili” (cioè come ci si aspetta che giudichi). Se, d’altra parte, il Tribunale decidesse (rettamente) applicando norme di diritto comune non è detto che gli effetti del giudizio siano politicamente opportuni; se invece tenendo d’occhio la convenienza politica e non i “sillogismi” giudiziari, tale attività costituirebbe giustizia politica (e non un giudizio “ordinario”), in cui l’aggettivo, com’è noto, prevale sempre sul sostantivo. E non sarebbe così il rimedio auspicato ma – al contrario – inutile e quasi sicuramente dannoso[17]. Che il tutto sia comunque sostenuto ed auspicato non deve meravigliare, perché rientra in quella tendenza prevalente nella sinistra (ma non soltanto di questa) d’immaginare dei modelli di società e/o di Stato ideali e di misurare la realtà in base ai medesimi. Già un simile modo d’agire era stigmatizzato da Machiavelli “E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti e conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara piu tosto la ruina che la preservazione sua”.

Perché così si prende a misura della realtà il proprio arbitrio soggettivo e non la ragione oggettiva.

Molto meglio seguire Hegel, il quale, com’è noto oltre a ritenere quello (l’arbitrio) capace solo di gonfiare le teste[18], scriveva che la scienza dello Stato non sia altro “se non il tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in se…..deve restar molto lontano dal dover costruire uno Stato come dev’essere” perché “intendere ciò che è, è il compito della filosofia, perché ciò che è, è la ragione”[19]. A prescindere da come (e in che misura) si voglia considerare la “coincidenza” di razionale e reale, è un fatto che nessun ordinamento democratico-liberale prevede che un Tribunale ordinario condanni un Capo dello Stato o di Governo, o anche un parlamentare, come se si trattasse di un caso ordinario, secondo il diritto comune. E compito dell’interprete è di comprenderne le ragioni. Piuttosto che erigere il proprio arbitrio (e i propri interessi) a massima dell’agire universale, è più (umile e)  utile  chiedersi perché l’agire universale è del tutto opposto alle proprie valutazioni soggettive .

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Verfassungslehre, trad. it., Milano 1984, p. 357 ss. 360 ss.

[2] Anche se in tal caso c’è da chiedersi se sia da considerare “popolo” nel senso della democrazia politica, il collegio elettorale che sceglie il giudice o il deputato. Ma il problema ci porterebbe lontano ed               esula dei limiti del presente scritto.

[3] Discorsi I, 7.

[4] Ricordiamo alcune disposizioni costituzionali europee sull’immunità dei parlamentari: art. 26 Cost. francese; art. 46 Cost. tedesca; art. 71 Cost. spagnola; art. 45 Cost. belga.

[5] V. Benjamin Constant, ora in Principi di Politica, Roma 1970, p. 121, secondo il quale la “discrezionalità” e l’istituzione di Tribunali speciali avevano (anche) la funzione di preservarli da tutte le pressioni popolari.

[6] Machiavelli (op. cit.) sostiene che senza quei rimedi straordinari, la conclusione dei conflitti  può essere la chiamata di “forze estranee” cioè degli stranieri. Machiavelli non conosceva il concetto di rappresentanza politica (in nuce nella Riforma, sviluppato poi nei secoli XVII e XVIII), ma quanto prefigura potrebbe ripetersi in un conflitto che veda poteri “commis” contrapposti a quelli rappresentativi, impossibilitati dai primi a funzionare, con un terzo “esterno” che se ne giova.

[7] Già è cennato in S. Tommaso Summa Th., II, II, p. 40, art. 1; è sviluppato nella Tarda Scolastica v. tra gli altri F. Suarez De charitate disp. 13 De bello Sectio II, S. Roberto Bellarmino ora in Scritti politici, Bologna 1950, p. 260.

[8] V. Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Roma 1983, p. 40.

[9] V. Kant, Die Methaphysik der Sitten, trad. it., Bari 1973, p. 149.

[10] V. E. Orlando Immunità parlamentari ed organi sovrani, Rivista di diritto pubblico,  XXV Roma 1933, ora in Diritto pubblico generale, Milano 1954, p. 487. E prosegue: “circa gli attributi ed i caratteri dell’organo sovrano come furono definiti di sopra, non vi sono gravi difficoltà, quando l’ordinamento ne riconosce ed ammette uno solo: e non importa se questo unico organo sovrano sia, in relazione alle varie forme di governo, una persona fisica (monarchia), o un collegio, e questo sia costituito da componenti di una classe privilegiata o dalla universalità dei cittadini (aristocrazie o democrazie assolute)” e specifica: “Si giustifica pertanto la nostra teoria la quale può riassumersi così: non si può dare organo sovrano senza che esso sia coperto della garanzia della inviolabilità, la quale importa: essere sottratto ad ogni giurisdizione capace di esercitare una coazione fisica sulla persona. Naturalmente, come avviene sempre nel mondo del diritto, questo principio generale deve, nell’applicazione, adattarsi alle manifestazioni concrete della realtà costituzionale, assumendo forme diverse senza però venir mai meno in se stesso”.

Se si tratta di organo collegiale “come sono le assemblee parlamentari, l’inviolabilità fisica non può normalmente porsi se non in via indiretta, attraverso l’inviolabilità dei membri; ma, d’altra parte, non è necessario e sarebbe anzi sconveniente, che questa forma di inviolabilità del collegio nelle persone dei suoi membri fosse così assoluta e così rigida come deve essere in rapporto a una persona fisica”. Per cui “Attraverso tutte queste differenze, per quanto importanti possano essere, è però sempre lo stesso principio che si applica, riaffermando l’inviolabilità  come qualità inseparabile dell’organo sovrano: diritto comune e non diritto di eccezione, poiché deriva per virtù di semplice logica giuridica dalla stessa maniera di essere dell’ordinamento” perché ad essere “rigorosamente esatti” non è tanto che il Parlamento (e gli altri organi sovrani) si sottraggono ad ogni giurisdizione “ ma bensì, che compete ad esso (comprendendo il Re) la giurisdizione suprema e che tale sua qualità sia sufficiente perché possa risolvere senza concorso di un’altra autorità, le questioni della sua prerogativa”, op. cit. p. 495 ss..

[11] De Cive, trad it., Roma 1981, p. 135.

[12] Six livres de la Republique, I, X, trad. it., Torino 1988, pp. 482 e 483 e prosegue “come il gran Dio sovrano non può fare un altro Dio simile a lui, poiché egli è infinito e non vi possono essere due infiniti, come si dimostra secondo ragioni naturali e necessarie, così possiamo dire che quel principe che abbiamo detto essere l’immagine di Dio non può rendere un suddito uguale a se stesso senza con ciò annullare il suo stesso potere”.

[13] Corso di diritto costituzionale, Padova 1928, p. 222.

[14] Op. cit. p. 49.

[15] Op. cit. p. 149-150.

[16] Come scrive De Maistre sul diritto di resistenza “quando si è deciso … che si ha diritto di resistere al potere sovrano … non si è concluso ancora nulla, perché resta da sapere quando può esercitarsi tale diritto, e chi ha il diritto di esercitarlo…” e prosegue “Quale potere nello Stato ha diritto di decidere che è giunto il momento di resistere? Se tale Tribunale preesiste è già parte della sovranità, e contestandone l’altra parte l’annienta. Se non esiste prima, da quale Tribunale questo Tribunale sarà costituito?” Du Pape, lib. II, cap. 2.

[17] Ciò era stato visto distintamente da De Maistre, quando scriveva che in una Costituzione “ Que ce qu’il y a de plus essentiel, de plus intrinsèquement constitutionnel et de véritablement fondamental, n’est j’amais écrit, et même ne saurait l’être” v. Des constitutions politiques Paris 1814 p. 26.

[18] V. Die Phänomenologie des Geistes V, B, C.

[19] Prefazione a Grundlienien der Philosophie des Rechts.

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Dal Salvatore al Trickster Divino: La spinta teologica nella politica estera degli Stati Uniti, di MICHAEL VLAHOS

26 FEBBRAIO 2022

 

Dal Salvatore al Trickster Divino: La spinta teologica nella politica estera degli Stati Uniti

MICHAEL VLAHOS

 

Noi americani abbiamo a lungo creduto che le nostre relazioni con il mondo fossero guidate da una polarità illuministica tra “realismo” e “idealismo”. In realtà, però, siamo mossi da correnti più profonde dell’ethos nazionale. L‘America è una religione, come ha detto Robert Bellah. Una “religione civile”, secondo le sue parole, ma comunque una religione vera e reale.

Le religioni hanno ovviamente una teologia e una chiesa che sono di competenza del clero. Tuttavia, le religioni (nazionalizzate) raccontano anche storie che spingono il popolo a lottare e persino a sacrificarsi, come fratelli cittadini, per l’idea stessa della nazione. Chiamiamo queste storie la narrazione sacra della nazione: narrativa, come in una sceneggiatura; sacra come in una scrittura. Le grandi nazioni hanno narrazioni piene di potere e, in tempi di crisi, sono spesso tentate di seguire la guida inossidabile della loro scrittura nazionale.

Ma queste narrazioni possono rivelarsi pericolose per chi le racconta, e la storia sacra dell’America – così sacra e imperiosa da farle pensare al suo ruolo missionario nel mondo – può rivelarsi alla fine la sua più grande debolezza. Gli americani vedono il mondo attraverso la lente di ferro del testamento messianico della “nazione redentrice“. Raramente abbiamo rinnegato questo sacro impulso, che ci ha condotto in tutte le guerre americane, portandoci sia gloria che disgrazia, vittoria e disastro.

Figura 1: American Progress (1872) con la Columbia, una personificazione.

degli Stati Uniti (John Gast).

 

Due secoli di cieca osservanza di questa prima direttiva hanno portato gli Stati Uniti all’unico trionfo trascendente: la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Altrove, invece, la scrittura americana ha sempre portato al fallimento strategico: La ricostruzione, Cuba (due volte!), la Società delle Nazioni, l’Iran, l’America centrale (molte volte!), il Vietnam, le guerre in Medio Oriente e l’Afghanistan.

Che sia sacra o profana, la letteratura è sempre letteratura. Di conseguenza, gli elementi della trama scritturale devono, come in televisione, lavorare insieme e raccontare all’unisono una storia. Nelle scritture americane, questi tropi sono strettamente intrecciati e intimamente familiari come i classici della letteratura mondiale.

Ora sembra che la “crisi” in Ucraina sia l’ennesimo arco narrativo della nostra lunga serie televisiva nazionale, non un sequel ma semplicemente l’ultima stagione di una serie in streaming: la sacra narrazione americana è infatti organizzata attorno a quattro motivi universali e immutabili, ognuno dei quali è presente nell’ultima stagione di apertura che sta andando in onda:

1.                 Dr. Evil

Il nemico che affrontiamo è il male, e il male deve essere per- sonalizzato. Quando i ribelli abbatterono la statua di piombo dorato di Giorgio III il 9 luglio 1776, stavano celebrando l’antico rito romano della Damnatio Memoriae: giustiziare simbolicamente l’imperatore rovesciato distruggendo la sua sacra imago legionaria (un ritratto dorato in 3D). Al contrario, durante la lunga Guerra Civile, il nemico era più simile al “Lato Oscuro della Forza” – “Il Potere Schiavista“.

– o lo specchio malvagio di “God’s Amer- ican Israel” di Ezra Stiles. Questo tropo fu esteso al dominio spagnolo a Cuba, che abolì la schiavitù solo nel 1880. La metafora del Lato Oscuro continuò fino alla Prima Guerra Mondiale, con la damnatio del predicatore Wilson sul “militarismo prussiano”. (L’epifenomeno ufficiale popolare – “Halt the Hun!” – si tingeva in realtà di razzismo).

Dopo il brutale Trattato di Versailles, gli atteggiamenti americani verso la Germania si ammorbidirono. Nel 1941 – con il 25% degli americani di origine nemica – non era più realistico creare una Germania e un’Italia malvagie. Il male doveva essere ancora una volta incarnato dal “Dottor Male”, questa volta personificato da Hitler e Mussolini.

Come pilastro della sacra narrazione americana, il motivo della “personificazione del male” si è accentuato nel secondo dopoguerra. Stalin, naturalmente, si adattava al profilo alla perfezione, così come Mao. E il dominio del Partito Comunista ha permesso di estendere questa designazione, sempre più ampia, fino a includere tutti i loro scagnozzi e i loro interi regimi. Soprattutto, però, tale tassonomia ha permesso agli ecclesiastici della politica estera statunitense di esonerare la stragrande maggioranza del popolo nemico come servo della gleba, oppresso dalla tirannia e desideroso di liberazione. Come ci dice Frank Baum ne Il meraviglioso mago di Oz:

[La strega cattiva ha tenuto in schiavitù tutti i Mastichini per molti anni, rendendoli schiavi per lei notte e giorno. Ora sono tutti liberi e vi sono grati per il favore.

Anche i soldati desiderano la liberazione e possono essere redenti. Dopo aver ucciso la strega cattiva (nel film del 1939), il capo della guardia Winkie (pseudo-cosacco) dichiara: Ave a Dorothy! La strega cattiva è morta! Vediamo come la narrazione sacra sia profondamente codificata e permei anche le opere letterarie e cinematografiche più popolari d’America.

Nel corso dei decenni, i nostri Dottor Malvagi scelti sono cresciuti fino a diventare un cast corale, che comprende Fi- del Castro, Muhammar Gheddafi, Saddam Hussein e Osama Bin Laden – una legione del Darkside! – solo per citarne alcuni. Ma questi si sono rivelati solo un gioco da ragazzi, perché l’America desidera soprattutto un nemico esistenziale manicheo. Dopo tutto, sono le minacce più gravi che portano la vittoria più dolce.

Per questo motivo, il dottor Putin si è recentemente calato in suole ben vestite. In effetti, come la strega cattiva o Jo- seph Stalin, il personaggio pubblico di Putin – da lui accuratamente curato per ottenere il massimo impatto mitico – è del tutto congruente con il meme del Dottor Male incorporato in America, soddisfacendo e superando le aspettative in ogni occasione.

Pertanto, non c’è dubbio – nell’occhio monolitico dei credenziosi esperti di Washington – che il nostro nuovo Grande Dittatore sia semplicemente un prepotente, motivato solo da avarizia e cupidigia. Una volta che questo giudizio viene canonizzato collettivamente, prevalgono le camere dell’eco e l’analisi dell’establishment viene congelata in un dogma. Smettiamo di indagare sul reale pensiero della nostra (autoproclamata) nemesi: tutto ciò che serve è un giudizio moralistico.

2.                    America il Redentore

La perfetta incapsulazione del dovere divino che l’America si è autoproclamata di salvare e liberare l’umanità (e punire i malvagi) è contenuta nel sofomorico discorso inaugurale di John F. Kennedy, che è diventato il fulcro della dottrina Kennedy:

Che ogni nazione sappia, che ci voglia bene o male, che pagheremo qualsiasi prezzo, sopporteremo qualsiasi peso, affronteremo qualsiasi difficoltà, sosterremo qualsiasi amico, ci opporremo a qualsiasi nemico, per assicurare la sopravvivenza e il successo della libertà.

Da Julia Ward Howe – “viviamo per rendere gli uomini liberi” – a Samantha Power – “Responsabilità di proteggere” (R2P) – la narrazione dei “nostri sacri obblighi di liberare l’umanità” rimane la catena ininterrotta dell’America. La nostra ultima Musa della Libertà, Anne Applebaum, ci ordina ora di essere risoluti e di fermare il sangue della storia alleviando il dolore di chi ha perso la vita.

 

Ucraina: “Potremmo iniziare con questo”, dichiara compiaciuta e disinvolta, “aiutando a fare dell’Ucraina la democrazia di successo, prospera e rivolta verso l’Occidente che Putin teme così chiaramente”.

Per molti aspetti, questa dottrina della nazione redentrice è radicata nella trasformazione dell’America durante la Guerra Civile. Prima della crociata abolizionista, gli Stati Uniti erano una politi- ca dominata dagli Stati confederati proprietari di schiavi, il che avrebbe reso assurda qualsiasi rivendicazione da parte degli Stati Uniti circa il loro accesso privilegiato alla giustizia divina. Le nascenti ambizioni americane assunsero quindi la forma di un’espansione territoriale imposta a livello nazionale attraverso il “Destino manifesto”, in cui l’America avrebbe domato la selvaggia natura occidentale e portato una civiltà protestante superiore nelle corrotte terre spagnole della Florida, del Messico e dei Caraibi.

In quanto tale, la Guerra Civile rappresentò una metamorfosi americana. D’ora in poi, la missione americana si sarebbe basata sulla redenzione piuttosto che sulla sottomissione: liberare gli oppressi, civilizzare i pagani e farne degli americani veri e propri (almeno nello spirito). La linea edificante della Ricostruzione, sebbene attuata solo di sfuggita nell’ex Confederazione, sarebbe stata presto estesa a Cuba e alle Filippine, e poi (almeno nelle intenzioni missionarie) alla Cina.

Figura 2. Vignetta politica statunitense del 1899 che raffigura lo Zio Sam che “istruisce” le nazioni occupate dopo la guerra ispano-americana (Louis Dalrymple).

Il pugnale del colonialismo e dell’im- perialismo americano è sempre stato ammantato sotto l’illusoria veste della tutela e della scolarizzazione: professando di salvare e poi risollevare quei milioni di persone che per tanti secoli erano state condannate all’ig- noranza e alla servitù con la promessa dell’istruzione, ma consegnando invece l’indottrinamento liberale e l’ingegneria sociale occidentale.

3.                    Democratismo

Se la libertà è l’insegnamento centrale della religione civile americana, la democrazia è la sua preghiera sacra o talismano. È allo stesso tempo grido di battaglia e vessillo. Come la اَل َهٰلِإ اَّلِإ هلا ٌدَّمَحُم ُلوُسَر هللا sulla bandiera saudita, questa singola parola sacra cattura e trasmette l’essenza della missione divina dell’America.

In effetti, come parola in codice per la mente americana, la democrazia è una nozione utilizzata per sposare più significati contemporaneamente: 1) che la democrazia è il segno sicuro del progresso, il segno della volontà di Dio per il futuro umano e di “ampie e soleggiate pianure“, o più semplicemente, il Millennio; 2) che la ricerca della democrazia unisce i democratici di tutto il mondo contro gli autocrati e crea tra loro e gli americani legami di fratellanza, rendendoli parenti dell’America; 3) che il mondo è nettamente diviso in democrazie e dittature: una minaccia contro una è una minaccia contro tutte; e 4) la prima direttiva dell’America è la difesa e la promozione della democrazia in tutto il mondo.

Un osservatore astuto potrebbe forse notare che “democrazia” non è semplicemente una parola sacra. È anche una parola d’ordine culturale ricca di contenuti sacri. Sempre compresa dai veri credenti, non è mai formalmente esplicita – la pronuncia è sempre sufficiente – purché si possa mostrare il distintivo di appartenenza.

La narrazione sacra esercita il suo potere come una singola parola. Se ciò che ogni americano dovrebbe sapere a memoria – come nel caso della R2P americana nei confronti di

 

L’Ucraina ha ancora bisogno di essere spiegata, allora basta recitare (a memoria) solo alcuni versi chiave, come fa Mike Turner (R-Ohio-futuro presidente del Comitato Intel) in questa intervista televisiva:

L’Ucraina è una democrazia… La Russia è un regime autoritario che cerca di imporre la sua volontà su una democrazia validamente eletta… Noi siamo per la democrazia. Siamo per la libertà. Non siamo per i regimi autoritari che entrano e cambiano i confini con i carri armati… Dobbiamo assicurarci di essere dalla parte della democrazia.

4.                    Lo spettro del peccato

Infine, l’arco scritturale della narrazione sacra dell’America raggiunge il suo culmine attraverso una formula di riconoscimento, rimorso e pentimento. L’impegno dell’America può vacillare e persino, inizialmente, fallire; tuttavia la nazione alla fine si risveglia, torna in sé e vede la luce. È un passaggio dalle tenebre alla luce.

Il più famoso di questi passaggi potrebbe essere chiamato il Testamento di Neville: Il cammino verso Damas- cus-in-Munich, una strada selvaggia lungo la quale Neville Chamberlain, alla fine degli anni Trenta, giunse finalmente a vedere e a pentirsi del suo peccato di Appease- ment. Ogni volta che gli Stati Uniti inciampano e si abbassano al male, cedendo alla facile via d’uscita, volendo assecondare il lato oscuro della Forza, si levano sempre voci giuste che chiedono una riconsacrazione della virtù nazionale, gridando come accuse: Appeasement!

Tuttavia, la bilancia deve prima o poi cadere dai nostri occhi se vogliamo che la profezia della missione americana si realizzi e che la “democrazia” trionfi. In questo senso, la chiamata dell’Ucraina (cioè l’intervento americano) è resa più urgente dalla litania dei fallimenti in Iraq, Siria, Yemen, Libia e Afghanistan. Washington oggi sta seguendo una dinamica molto simile a quella che si è verificata dopo l’intervento in Iraq, in Siria, in Yemen, in Libia e in Afghanistan.

La narrazione sacra è fallita rovinosamente in Vietnam, Laos e Cambogia. Le sconfitte dell’Eurasia periferica portarono a una compensazione narrativa nel teatro centrale della NATO: La guerra fredda si è rinnovata alla grande nel 1980. Allo stesso modo, tra gli ecclesiastici statunitensi si sta diffondendo la convinzione che l’impero della virtù americano, che sta fallendo, debba riscattarsi difendendo aggressivamente Taiwan e l’Ucraina.

La nostra narrazione sacra non è semplicemente una serie di capitoli o stagioni scollegate tra loro, ma piuttosto una storia molto lunga e molto collegata. Quindi, gli Stati Uniti sono spinti, forse anche sferzati, dai loro testamenti di ferro. Questo significa che le narrazioni sacre sono dannose?

Ma come potrebbero essere cattivi? Certamente, tutti i grandi Stati sono, in larga misura, guidati dal mito e dalla leggenda. E la forza di questo potere può essere stupefacente, come l’America stessa ha potuto constatare durante la Seconda Guerra Mondiale, sentendosi come i grandi vincitori della lotteria della Storia.

Tuttavia, una storia nazionale globale può essere allo stesso tempo gloriosa e pericolosa. La domanda è: in che modo la narrazione distintiva dell’America (il nostro appello) – nei suoi soli termini – può mettere in pericolo gli americani? La risposta deve iniziare dalla comprensione di come le nazioni agiscono in modalità di crisi:

  1. Nel periodo iniziale di una crisi, o nella reazione a un insulto o a un’aggressione (come l’11 settembre), la narrazione prende il sopravvento e trascina una nazione in una risposta automatica senza tempo o spazio per la riflessione: gli angeli si precipitano dove i saggi hanno paura di camminare.
  2. Se la crisi in questione è preceduta da una serie di risposte scritturali incerte o fallite nel recente passato, la vergogna e l’orgoglio ferito e la vanità potrebbero bloccare i leader in una linea d’azione pre-scritta.
  3. Per questo, di fronte alle crisi geopolitiche,

la reazione immediata è spesso non solo riflessiva, ma inculcata proprio dai troppi trascendenti incorporati nella narrazione sacra – cioè l’appeasement (Monaco), i dittatori (alla Hitler), la democrazia della damigella che sta per essere violentata (alla Belgio, 1914).

Nel caso dell’America, le nostre passioni a forma di meme rischiano di essere al tempo stesso bellicose e compiacenti nei confronti dei risultati: Si ritirerà solo se noi resisteremo! Solo la forza dissuaderà l’aggressore! La pace attraverso la forza! Così, in caso di crisi, la narrazione sacra americana 1) ci fa entrare in modalità storia, 2) chiude lo spazio per la riflessione, 3) spinge a comportamenti bellicosi e troppo sicuri di sé, che 4) possono trasformare un avversario in un nemico, la cui prossima mossa potrebbe davvero sorprenderci (si pensi a Pearl Harbor). 

Una nazione troppo legata alla sua sacra narrazione, come la Francia nel 1870 o la Germania nel 1914, non può distinguere tra il suo ideale stellato e la strategia reale. Ad esempio, una nota dopo l’altra ha dimostrato come lo spettro degli anni Trenta abbia ostacolato pesantemente il processo decisionale della Casa Bianca di Johnson nel periodo precedente al Vietnam. Decenni dopo, quello stesso Studio Ovale ha visto un’isteria maniacale, da sogno della Seconda Guerra Mondiale, dopo l’11 settembre.

Il punto cruciale è che oggi i nostri futuri amici ci conoscono fin troppo bene. Noi, invece, ci conosciamo emotivamente ma non oggettivamente. Non siamo disposti a – o semplicemente non possiamo – tirarci indietro e ha giocato la volontà di coglierla.

Vecchi versetti e parole sacre non sono assolutamente in sintonia con la realtà degli Stati Uniti di oggi, eppure hanno ancora il potere di minare ulteriormente la posizione dell’America. Invocarli ci spinge a insistere su cose che semplicemente non possiamo fare, mentre ironicamente, fatalmente, spinge i nostri avversari a fare le cose che possono.

Nella mitologia norrena, Loki l’Ingannatore incarna la metafora secondo cui una presenza celeste può trasformarsi da guida salvifica a mutaforma (e Loki era un mutaforma!) per emergere improvvisamente come orchestratore di depistaggi divini, per un capriccio. In fondo, la figura di Loki rappresenta la saggezza radicata (presente in molti antichi pan- teoni) che non sempre ci si può fidare degli dei quando si tratta del tragico mondo dell’uomo – che possono persino rivoltarsi contro gli esseri umani, o perlomeno, provocare guai strategici.

Questo mito poteva essere un modo efficace per ricordare ai fedeli (in qualsiasi società) che anche l’ordine impartito dagli dei manca di certezza e permanenza, dato il flusso della vita. In pratica guardare dentro. Siamo cablati su un unico percorso…

quello dell’azione e dell’attivismo come fine a se stesso.

L’istinto di controllo non è necessariamente rovinoso se gli Stati Uniti sono carichi e possono sfruttare tutta la loro potenza, come nel dicembre 1941. In quel caso, la nostra avventatezza strategica, spingendo il nemico troppo

è salutare e salutare per una cultura e un sistema di credenze rendere conto del caos immanente (e di tutto ciò che è al di fuori del mondo).

Loki inganna Hodr per uccidere

Baldr, il dio norreno associato alla luce e alla saggezza. La morte di Baldr annuncia l’arrivo del Ragnarök (Jakob Sigurðsson).

 

lontano, in realtà si è trasformata in serendipità divina. Oggi, in una nazione divisa e in guerra con se stessa, l’America deve evitare come la peste l’eccesso di strategia. Inoltre, questa volta i rivali dell’America possiedono la vera iniziativa strategica e hanno dis-

del proprio controllo) – e per ricordarci almeno che noi non dobbiamo mai permetterci di credere di essere invincibili, per quanto divina sia la nostra dispensazione o grandioso il nostro utopismo.

L’America è diventata così convinta del proprio diritto…

 

missione reificata di un impero liberale globale, incaricato da Dio stesso, che nella sua arroganza dimentica che non si può sempre contare sulla certezza del Divino o di un destino manifesto per salvarsi dalla rovina!

 

Ringraziamenti

 

Michael Vlahos è uno scrittore e autore del libro Fighting Identity. Ha insegnato guerra e strategia alla Johns Hopkins University e al Naval War College. Attualmente è Senior Fellow presso l’Institute of Peace & Diplomacy. Collabora settimanalmente al John Batchelor Show. Seguitelo sul suo blog: anewcivilwar.com.

Copertina: Emil Doepler (via Wikimedia)

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Il New York Times ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento, di Andrew Korybko

Né il New York Times, né gli esperti occidentali citati dalla scrittrice Ana Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così la osservazione che questa dimensione della campagna di guerra dell’informazione anti-russa del Golden Billion è decisamente cambiata.

La “narrativa ufficiale” che circonda il conflitto ucraino è passata nelle ultime settimane dal celebrare prematuramente la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev all’odierno serio avvertimento della sua probabile sconfitta. Ci si aspettava quindi, col senno di poi, che sarebbero cambiate anche altre dimensioni della campagna di guerra dell’informazione condotta dal Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti contro la Russia. Proprio a riprova di ciò, il New York Times (NYT) ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento.

“Nell’articolo di Ana Swanson su come ” La Russia elude le punizioni occidentali, con l’aiuto degli amici ”,  cita esperti occidentali che hanno concluso che “le importazioni della Russia potrebbero essere già tornate ai livelli prebellici, o lo faranno presto, a seconda dei loro modelli”. Ancora più convincente, fa riferimento all’ultima valutazione del FMI di lunedì, che “ora prevedeva che l’economia russa crescesse dello 0,3% quest’anno, un netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3%.

Né il NYT, né gli esperti occidentali citati da Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così l’osservazione che questa dimensione Anche la guerra informatica del Golden Billion è decisamente cambiata. Il nocciolo della questione è che le sanzioni anti-russe dell’Occidente non sono riuscite a catalizzare il crollo dell’economia di quella grande potenza multipolare mirata, che continua a rimanere straordinariamente resistente.

La tempistica in cui questa narrazione è cambiata è importante anche perché dà credito alla nuova narrativa più ampiamente conosciuta che oggi mette seriamente in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella NATO’s proxy war on Russiaguerra per procura della NATO contro la Russia .  Dopotutto, se le sanzioni raggiungessero l’obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere e che i Mainstream Media (MSM) occidentali guidati dagli Stati Uniti fino ad allora avevano mentito, allora ne consegue naturalmente che Kiev avrebbe “inevitabilmente” vinto esattamente come sostenevano che sarebbe successo fino a metà gennaio.

Con questo in mente, il modo più efficace per “riprogrammare” l’occidentale medio dopo avergli fatto il lavaggio del cervello negli ultimi 11 mesi per aspettarsi la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev è anche cambiare in modo decisivo le narrazioni supplementari che hanno prodotto artificialmente quella suddetta falsa conclusione. A tal fine, è stato dato l’ordine di iniziare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fallimento delle sanzioni anti-russe del Golden Billion, ergo l’ultimo pezzo del NYT e la tempistica specifica.

Ciò che non viene detto in quell’articolo è l’osservazione “politicamente scorretta”, ma comunque fortemente implicita, secondo cui il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICSBRICS – & e SCOSCO , di cui la Russia fa parte, ha sfidato le richieste del Golden Billion di “isolare” quella Grande Potenza multipolare. Nessun media MSM lo ammetterà mai, almeno non ancora, ma il loro blocco de facto della Nuova Guerra Fredda ha un’influenza limitata al di fuori della “sfera di influenza” recentemente restaurata degli Stati Uniti in Europa, i cui paesi sono gli unici a subire queste sanzioni.

L’ultimo pezzo del NYT potrebbe inavvertitamente rendere consapevoli molti membri del loro pubblico di ciò, tuttavia, e potrebbero quindi obiettare sempre più ai loro governi che aumentano il loro impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia sotto la pressione americana. Il presidente croato Zoran Milanovic si è recentemente unito al primo ministro ungherese Viktor Orban nel condannare questa campagna e aumentare la consapevolezza di quanto sia stata controproducente per gli interessi oggettivi dell’Europa.

Quando gli europei si renderanno conto di essere gli unici a soffrire delle sanzioni anti-russe che il loro signore americano li ha costretti a imporre e che i loro sacrifici non hanno influito negativamente sull’operazione speciale mirata della Grande Potenza multipolare ,  potrebbero seguire massicci disordini. È improbabile che induca i loro leader controllati dagli Stati Uniti a invertire la rotta, ricordando che il ministro degli Esteri tedesco ha promesso alla fine dell’anno scorso di non farlo mai, ma potrebbe invece catalizzare una violenta repressione della polizia.

La ragione dietro questa previsione pessimistica è che un’inversione o per lo meno una diminuzione dell’attuale rigido regime di sanzioni anti-russe rappresenterebbe una mossa indipendente senza precedenti da parte di qualunque stato europeo lo faccia/lo faccia. Visto che ciò non è nemmeno accaduto negli otto anni prima della riuscita riaffermazione da parte degli Stati Uniti della loro egemonia unipolare per tutto il 2022, la probabilità che ciò accada oggigiorno in quelle condizioni molto più difficili è praticamente nulla.

“Il subordinato degli Stati Uniti ” per la “gestione” degli affari europei come parte della sua nuova cosiddetta strategia di “condivisione degli oneri”, la Germania ,  ha più che sufficienti leve di influenza economica, istituzionale e politica per punire chiunque di quei vassalli americani di livello inferiore che escono fuori posto. È quindi irrealistico aspettarsi che ogni singolo membro dell’UE sfidi unilateralmente le sanzioni anti-russe del blocco che il proprio governo ha precedentemente accettato.

Considerando questa realtà, quei leader che vogliono rimanere al potere o almeno non rischiare l’ ira della guerra ibrida guidata dai tedeschi degli Stati Uniti contro le loro economie sono restii a ripristinare una parvenza della loro sovranità in gran parte perduta in un modo così drammatico. Invece, la loro linea d’azione più pragmatica è quella di non partecipare all’aspetto militare di questa guerra per procura rifiutandosi di inviare armi a Kiev esattamente come hanno fatto il blocco pragmatico emergente dell’Europa centrale di Austria , Croazia e Ungheria. È quindi improbabile che la popolazione di quei paesi protesti contro le sanzioni anche dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti contenuti nell’ultimo pezzo del NYT e giungendo naturalmente alla conclusione che le sanzioni anti-russe hanno danneggiato solo le proprie economie e non quella mirata alla Grande Di potere. Le persone in Francia, Germania e Italia, tuttavia, potrebbero benissimo reagire in modo diverso, soprattutto considerando la loro tradizione di organizzare massicce proteste.

In uno scenario del genere, i loro governi dovrebbero ordinare un violento giro di vite della polizia con qualsiasi pretesto escogitino, accusando falsamente i manifestanti di usare prima la violenza o accusandoli tutti di essere i cosiddetti “agenti russi”. Indipendentemente da come accadrà, il risultato sarà lo stesso per cui i paesi dell’Europa occidentale scivoleranno sempre più in una dittatura liberal-totalitaria, che a sua volta contribuirà a radicalizzare ulteriormente la loro popolazione verso fini incerti.

Tornando al pezzo del NYT, esso rappresenta un notevole capovolgimento della “narrativa ufficiale” ammettendo francamente che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento. Ciò coincide con il cambiamento decisivo della narrazione più ampia guidata dai leader americani e polacchi nell’ultimo mese, per cui oggi stanno seriamente mettendo in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella guerra per procura della NATO contro la Russia. Resta da vedere quali altre narrazioni cambieranno, ma si prevede che altre di queste lo faranno inevitabilmente.

https://korybko.substack.com/p/the-new-york-times-just-admitted

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PINOCCHIO VA ALLA GUERRA, di Teodoro Klitsche de la Grange

PINOCCHIO VA ALLA GUERRA

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina abbiamo letto notizie ed opinioni talvolta inverosimili in partenza, ma per lo più smentite dai fatti successivi; e il tutto accompagnato dall’omissione di circostanze contrarie, regolarmente taciute o minimizzate.

Quale esempio delle prime: Putin è matto, molto malato, ecc. ecc. Ma Putin non ha fatto nulla di diverso da quanto operato da secoli dai governanti russi: cercare uno “sbocco” a sud verso i mari caldi, con decine di guerre soprattutto contro gli ottomani. Per cui se farlo significa essere matti, vuol dire che la Russia è diretta, almeno da tre secoli, da dementi; ma ciò non le ha impedito di divenire una grande potenza. Ovvero che Putin sarebbe stato detronizzato dai “suoi”. Può darsi, ma finora, a quasi un anno dall’inizio delle ostilità, sembra saldo al potere. O anche che le sanzioni alla Russia l’avrebbero messa in ginocchio: ad oggi pare solo che ha perso qualche 2-3% del PIL (ossia un terzo di quello perso dall’Italia col governo Monti) e sarebbe in via di recupero. Quel che è taciuto è che il rublo si sia rivalutato nei confronti del dollaro e ancor più dell’euro: segno che i “mercati” – la pizia della stampa mainstream – ritengono la moneta (e l’economia) russa tutt’altro che inaffidabili, né in via di collasso.

O che i russi avrebbero presto finito le munizioni: da un anno continuano a sparare, il che testimonia che ce l’hanno. E potremmo continuare per pagine. Anche dall’altra parte se ne raccontano, ma la tempesta mediatica da occidente è di gran lunga superiore sia per varietà (e contraddittorietà) degli argomenti, sia soprattutto per quantità dei ripetitori. Nelle prime fasi del conflitto mi è capitato di scrivere che la “nebbia della guerra” di Clausewitz, applicata nel caso alla comunicazione, era imponente; oggi è ancora tale. L’ultimo caso è quello dei carri armati: è stata da poco diffusa la notizia che stavano per arrivare agli ucraini (nei prossimi tre mesi) circa 100 carri armati occidentali, destinati a far polpette di quelli russi. Nessuno spiegava né nei tre mesi suddetti, cosa avrebbero fatto i russi per evitarlo (magari accelerare le operazioni militari per vanificare tanto aiuto agli ucraini) ma soprattutto che la asserita qualità dei corazzati occidentali non avrebbe compensato la superiorità quantitativa di quelli di Putin. Un po’ come, per tenersi da quelle parti, successe nel ’43 a Kursk, dove qualche centinaio di eccellenti Tiger e Panther tedeschi fu sconfitto, malgrado le perdite inflitte ai sovietici alle assai più numerose formazioni di T-34 e KV russi. E ciò malgrado i nazisti fossero comandati dal miglior generale della II guerra mondiale: Erich von Manstein. Il quale infatti, e a dispetto dell’inferiorità numerica (da 1 a 3 a 1 a 5), riuscì a tenere l’Ucraina per circa un anno. Ma era von Manstein e non Zelensky a comandarle.

Agli albori dello Stato moderno, un noto giurista, Alberico Gentili, si poneva il problema se fosse lecito, in guerra, “ingannare” il nemico con menzogne di vario genere. E ne tratta per molte pagine del suo capolavoro il “De jure belli, libri 3”. Il problema sussisteva perché, per un giurista, è normale qualificare un comportamento come lecito o illecito.

E nel mentre riteneva illecito – in taluni casi – l’uso della menzogna per ingannare i nemici, tuttavia concludeva “Se infatti si ammette che a fin di bene anche gli amici possono essere ingannati con la menzogna, si può ammettere che i nemici possano essere indotti in errori per la loro rovina. Naturalmente, come agli amici è fatto per il loro bene, così ai nemici è reso il fatto loro e giustamente è recato loro danno”.

Ma in tutta la sua esposizione non si pone mai il problema del capo che mente (sistematicamente) al seguito; cioè il problema riconducibile alla propaganda di guerra – che tanta parte ha nei conflitti, soprattutto moderni.

Certo è che tutte – o quasi – le menzogne propagate non sembrano poter avere alcun effetto nell’ingannare Putin, o, al più, un’efficacia minima.

Quindi il loro unico – o assolutamente prevalente – risultato, è di suscitare un qualche consenso nell’opinione pubblica a sopportare il costo delle sanzioni e degli aiuti all’Ucraina. Ossia sono false o errate rappresentazioni ad usum delphini. Le quali hanno l’inconveniente, in politica e ancor più  nel di essa mezzo, la guerra, di indirizzare (e far regolare) le proprie azioni su presupposti e fini immaginari e immaginati, con ciò rischiando, a parafrasare Machiavelli “d’imparare più presto la ruina che la preservazione sua”. Nella specie quella della comunità nazionale, che i governanti hanno il dovere di proteggere e dei cui risultati devono rispondere.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Lu Feng: In risposta al disaccoppiamento della tecnologia americana, la Cina deve decidersi a farlo

Lu Feng: In risposta al disaccoppiamento della tecnologia americana, la Cina deve decidersi a farlo

Fonte: rete di osservatori

2023-01-17 07:27

Lu Feng autore

Professore, Dipartimento di Economia Politica, School of Government, Università di Pechino

Entrando nel 2023, gli Stati Uniti non hanno mollato la loro guerra tecnologica contro la Cina e le loro azioni di “de-sinicizzazione”. Di fronte all’assedio tecnologico degli Stati Uniti ad ogni passo, cosa dovrebbe fare la Cina?

Lu Feng, professore presso la School of Government Administration dell’Università di Pechino, che ha sostenuto l’innovazione indipendente della scienza e della tecnologia in Cina, si concentra sulla ricerca dello sviluppo industriale cinese e ha partecipato alla dimostrazione esperta del riavvio del progetto di aeromobili di grandi dimensioni nazionali all’inizio di questo secolo; Sull’asse verticale, da più livelli come la macro strategia di innovazione indipendente nazionale e l’innovazione tecnologica micro aziendale, studia come l’innovazione industriale indipendente della Cina forma una scintilla che accende un incendio nella prateria. I suoi libri e saggi hanno un enorme influenza sui lettori che hanno a cuore lo sviluppo industriale della Cina. Observer.com ha recentemente intervistato Lu Feng sulla guerra tecnologica degli Stati Uniti contro la Cina e le contromisure della Cina.

Lu Feng ha sottolineato che di fronte all’aggressivo disaccoppiamento della tecnologia da parte degli Stati Uniti e alla conseguente “de-sinicizzazione” degli Stati Uniti e dei suoi alleati, la Cina deve sfruttare appieno i suoi vantaggi come il più grande mercato della domanda mondiale, contrattaccare e cercare la cooperazione nella lotta; Allo stesso tempo, la Cina deve decidere di concentrare le risorse il prima possibile per promuovere la formazione della catena industriale cinese dei circuiti integrati; sfruttare il “sistema nazionale” per costruire un sistema completamente indipendente base di produzione e cambiare la situazione in cui le principali aziende tecnologiche sono state ripetutamente bloccate.

[Intervista/Osservatore Net Gao Yanping]

Vantaggi del mercato dei chip numero 1 al mondo

Observer.com: Il blocco statunitense della tecnologia cinese e la desinizzazione hanno spesso riportato nuove azioni e sono stati emessi frequentemente blocchi e divieti.Come analizza questa situazione?

Lu Feng : Sono passati quasi cinque anni da quando Trump ha lanciato una guerra commerciale contro la Cina nel 2018, seguita da una guerra tecnologica contro la Cina. Alcune persone inizialmente pensavano che dopo l’ascesa al potere di Biden, lo slancio degli Stati Uniti per contenere la Cina sarebbe stato più rilassato, ma ora sembra che non ci sia alcun rilassamento. Mettere 36 produttori di chip cinesi nell’elenco dell’embargo e incoraggiare TSMC a trasferirsi negli Stati Uniti fanno tutti parte della guerra tecnologica degli Stati Uniti contro la Cina.

Il 7 dicembre 2022, TSMC ha tenuto la sua prima cerimonia di ingresso delle apparecchiature in Arizona, USA, e ha annunciato l’espansione dello stabilimento, con un investimento di 40 miliardi di dollari. Nel suo discorso, Biden ha dichiarato che la manifattura americana è tornata.

Non c’è dubbio che il divieto degli Stati Uniti avrà sicuramente un impatto sullo sviluppo tecnologico ed economico della Cina. Ma c’è una via d’uscita per la Cina? Per chiarire questa questione, dobbiamo analizzare la tendenza generale.

La tecnologia dei semiconduttori è nata negli Stati Uniti, ovviamente, gli Stati Uniti hanno un forte vantaggio tecnologico. Dal punto di vista dell’offerta del mercato globale, le società di semiconduttori statunitensi rappresentano il 46,3% dell’intera quota di mercato dei semiconduttori (2021 Global Semiconductor Industry Association SIA). Tuttavia, d’altra parte, non dovremmo guardare solo al lato dell’offerta, ma anche al lato della domanda.Secondo i dati SIA, le vendite globali di semiconduttori nel 2021 saranno di 555,9 miliardi di dollari USA, un record; a 192,5 miliardi di dollari USA , è ancora il più grande mercato di semiconduttori al mondo, con un aumento anno su anno del 27,1%. La Cina è il più grande mercato di consumo per i prodotti a semiconduttore e non dimenticare che anche questo è un enorme vantaggio per la Cina.

Il management utilizza spesso il modello della teoria delle cinque forze di Michael Porter per analizzare i cinque fattori decisivi all’interno e all’esterno dell’impresa. Questa teoria è un po’ vecchia, era molto famosa in Cina e gli studenti di materie manageriali la usavano quando scrivevano documenti. L ‘”unica forza” nelle “cinque forze” è il potere degli acquirenti, il che significa che il mercato ha potere contrattuale, che può influire sulla redditività delle imprese.

Infatti, per quanto riguarda i prodotti a semiconduttori, la struttura industriale in cui gli Stati Uniti dominano l’upstream (offerta) e la Cina domina il downstream (domanda) riflette il rapporto di lungo periodo tra le industrie cinesi e americane: molte industrie a valle nel Gli Stati Uniti hanno iniziato a diminuire, compresa la produzione di semiconduttori.Mentre l’industria a valle della Cina si sta gradualmente sviluppando, l’industria a monte è ancora debole, il che ha formato uno stato unico di “terrore nucleare” nell’industria dei semiconduttori. Cina e Stati Uniti hanno ciascuno le proprie “armi nucleari”: una volta che i due paesi le utilizzeranno appieno, il risultato a breve termine sarà una perdita per entrambe le parti, mentre il risultato a lungo termine è incerto.

La Cina è il più grande mercato di chip e se la Cina non importa affatto chip americani, anche l’industria dei semiconduttori statunitense sarà colpita duramente. Negli ultimi cinque anni, gli Stati Uniti hanno sempre soppresso le società tecnologiche cinesi, perché sanno che una volta bloccata completamente la Cina, bloccheranno completamente anche le proprie società.

Ad esempio, per aziende come Qualcomm e Nvidia negli Stati Uniti, il mercato cinese ha contribuito per oltre il 70% alle loro entrate. Se il mercato cinese scompare improvvisamente, queste società ridurranno gli investimenti, licenzieranno i dipendenti e i prezzi delle azioni crolleranno, il che porterà a reazioni a catena come il panico a Wall Street.

In tali circostanze, da un lato, gli Stati Uniti sono bloccati al collo della Cina in alcuni campi tecnologici chiave, concentrandosi sull’uccisione delle aziende più potenti della Cina che rappresentano una sfida all’egemonia tecnologica americana, come Huawei; Prodotti di vendita. Ora la politica di blocco degli Stati Uniti si sta ancora gradualmente intensificando, mostrando l’intenzione dei conservatori americani di separarsi dalla Cina, quindi il rapporto tra essere bloccati in Cina e vendere alla Cina sta diventando sempre più teso.

Allo stesso tempo, con il declino dell’intera industria manifatturiera negli Stati Uniti, compresa la produzione di circuiti integrati, gli Stati Uniti hanno introdotto anche le fabbriche TSMC.In primo luogo, vogliono rilanciare l’industria manifatturiera americana.In secondo luogo, si dice che le persone nei circoli strategici statunitensi sono preoccupate che la Cina riconquisti Taiwan, dopodiché l’intera catena industriale dei circuiti integrati degli Stati Uniti verrà spezzata, quindi questa è una mossa importante per la reindustrializzazione degli Stati Uniti per trattare con la Cina.

Il punto cruciale: la Cina non ha formato una catena industriale locale per i circuiti integrati

Observer.com: Hai svolto molte ricerche sulla storia industriale della Cina. Contando dal 2006, sono passati 15 anni da quando la Cina ha proposto la strategia di sviluppo dell’innovazione indipendente. Tuttavia, le carenze della catena industriale nel campo dei chip sono diventate sempre più prominente in questi anni.Creare una situazione in cui ogni azienda tecnologica che emerge sarà bloccata. Ma in realtà, hai detto che ci sono aziende cinesi in ogni anello del campo dei semiconduttori in Cina, e alcuni campi sono particolarmente forti, come il campo della progettazione di chip.Il vero problema è che il ciclo di domanda e offerta della nostra catena industriale interna ha non formato Come lo capisci?

Lu Feng: Il punto di partenza per discutere dell’industria dei circuiti integrati in Cina è il fatto che il motivo per cui la Cina è bloccata in quest’area non è perché la Cina non l’ha fatto, ma perché si è arresa a metà strada diverse volte e gli è sempre mancata la determinazione per attenersi alla fine.

Sebbene l’industria cinese dei circuiti integrati sia ancora in una posizione arretrata rispetto agli Stati Uniti, forse perché la Cina ha una lunga storia di sviluppo dell’industria dei circuiti integrati, ha una caratteristica piuttosto rara al mondo. Cioè, ci sono aziende cinesi in quasi ogni anello della catena dell’industria dei semiconduttori. Questo fenomeno non esiste in Corea del Sud o Taiwan, e anche gli Stati Uniti non possono farlo oggi.

La seconda particolarità è che finora le società cinesi in vari anelli della catena dell’industria dei semiconduttori non hanno formato tra loro un rapporto domanda-offerta relativamente forte e circolano tutte con la catena industriale internazionale. Il problema fondamentale dell’industria cinese dei circuiti integrati sta qui.

Ad esempio, 10 anni fa, la maggior parte degli ordini ricevuti da SMIC provenivano dall’estero (ora è migliorata), perché le società di progettazione di chip nazionali ritengono che non sia abbastanza avanzata. I chip progettati da Huawei HiSilicon vengono ordinati presso TSMC. Sebbene SMIC se ne lamenterà, fino a poco tempo fa le sue apparecchiature venivano importate e per ragioni simili non utilizzava apparecchiature domestiche.

Il primo lotto di macchine per l’incisione di chip in Cina prodotto da China Micro Semiconductor Equipment a Shanghai non è stato acquistato da nessuno nel continente e successivamente è stato venduto a società taiwanesi per realizzare l’industrializzazione. Naturalmente, quando le società cinesi sono state sanzionate dagli Stati Uniti, hanno iniziato a effettuare ordini interni e ad acquistare attrezzature e materiali domestici. Tuttavia, ora SMIC ha paura di accettare ordini da Huawei HiSilicon, perché teme di essere sanzionato dagli Stati Uniti; le apparecchiature e i materiali domestici non sono abbastanza avanzati e sono ancora in uno stato di sostituzione marginale.

Perché l’industria cinese dei semiconduttori non ha formato una catena industriale locale? Le sue radici si trovano nel modello follower.

La Cina ha iniziato a sviluppare l’industria dei semiconduttori negli anni ’50 e ha prodotto circuiti integrati negli anni ’60. Per quanto riguarda la tecnologia stessa, la Cina non solo ha insistito su ricerca e sviluppo indipendenti, ma il livello è piuttosto avanzato. Tuttavia, con il sistema di pianificazione dell’epoca, il problema principale dell’industria cinese dei semiconduttori era che non era integrata con applicazioni commerciali, i suoi prodotti erano utilizzati principalmente nell’industria militare e nella ricerca scientifica, il che ne limitava notevolmente lo sviluppo. All’inizio degli anni ’80, quando la Cina ha aperto il suo mercato e ha introdotto la tecnologia straniera, l’industria locale dei circuiti integrati è stata rapidamente sopraffatta dai prodotti importati e le aziende di semiconduttori che sostenevano l’industria militare sono quasi scomparse.

Il secondo ciclo di sviluppo dell’industria cinese dei semiconduttori è stato condotto in condizioni in cui la base industriale locale è stata spazzata via e la politica ha enfatizzato l’introduzione. In effetti, lo sviluppo dei circuiti integrati era ormai abbandonato a livello nazionale, ma il governo si è poi reso conto dell’importanza dei semiconduttori (stimolato ad esempio dalla prima Guerra del Golfo). La via di questo ciclo di sviluppo è introdurre l’intera linea di produzione attraverso joint venture, come i progetti 908, 909 e gli sforzi di Shougang per realizzare semiconduttori. Naturalmente, anche questo round non ha avuto successo, perché l’introduzione di linee di produzione non può consentire alle imprese cinesi di sviluppare le proprie capacità e non può tenere il passo con i rapidi cambiamenti della tecnologia e del mercato. Il progetto 909 si è anche rivolto allo sviluppo indipendente in seguito per diventare l’odierna Hua Hong.

Il terzo round di sviluppo dell’industria dei semiconduttori in Cina è iniziato all’incirca nel 2000, con l’istituzione di SMIC a Shanghai come evento di riferimento. Le caratteristiche di questo round si possono riassumere nell’adozione di un metodo di sviluppo internazionale e nella partecipazione al ciclo della filiera industriale internazionale. Il terzo round di sviluppo coincide con l’entrata dell’economia cinese in una fase di forte crescita e la domanda di mercato in continua espansione e le capacità di investimento hanno consentito all’industria cinese dei semiconduttori di svilupparsi notevolmente.

È proprio perché la Cina ha una lunga storia di sviluppo dell’industria dei semiconduttori che oggi troviamo che quasi ogni anello della catena dell’industria dei semiconduttori ha aziende cinesi. Ma allo stesso tempo, queste imprese cinesi distribuite nell’upstream, downstream e midstream non hanno formato una connessione relativamente forte tra domanda e offerta. Ciò ha anche creato una situazione in cui le principali società cinesi di chip possono essere facilmente sanzionate dagli Stati Uniti.

Observer.com: Quindi, per affrontare il blocco tecnologico statunitense, pensi che la chiave sia costruire una catena industriale di circolazione interna?

Lu Feng: “Circolazione interna” non è un’espressione corretta, perché i semiconduttori sono prodotti che devono essere venduti in tutto il mondo per ridurre i costi. Ma è necessario formare una filiera industriale locale, perché sotto la repressione degli Stati Uniti ci troviamo di fronte a un fatto “sanguinoso”: il progresso tecnologico di ogni azienda di circuiti integrati in Cina deve fare affidamento sull’intera filiera cinese dei circuiti integrati abilità migliorata.

Se non esiste una catena industriale con forti legami tra domanda e offerta tra le aziende cinesi in tutti i collegamenti, il progresso tecnologico di ogni singola azienda sarà soggetto alla soppressione degli Stati Uniti. Pertanto, chiamo questa catena industriale la base industriale dei circuiti integrati cinesi. Una volta formata una catena industriale locale, non avremo paura del blocco tecnologico degli Stati Uniti, perché il mercato cinese è abbastanza grande.

La formazione di questa base industriale dovrebbe essere l’obiettivo e il compito principale dello sviluppo cinese dell’industria dei circuiti integrati. Dal rilascio del “Documento n. 18” nel 2000 per incoraggiare lo sviluppo dell’industria del software e dell’industria dei circuiti integrati, ogni pochi anni il Consiglio di Stato emetterà un documento a sostegno dello sviluppo dei circuiti integrati, ma il suo contenuto è quello di sostenere lo sviluppo di singole tecnologie, da Non ci sono obiettivi e contenuti per lo sviluppo di una base industriale indipendente.

Ad esempio, dal 2006, il “Piano nazionale di sviluppo scientifico e tecnologico a medio e lungo termine (2006-2020)” ha individuato 16 grandi progetti. Tra questi, il progetto 01 si concentra su dispositivi elettronici di base, chip generici di fascia alta e prodotti software di base, indicati come basi nucleari di alto livello.L’obiettivo richiede l’acquisizione di una serie di tecnologie chiave e lo sviluppo di un numero di prodotti core strategici. Il progetto 02 pone l’accento su apparecchiature di produzione di circuiti integrati su larga scala e serie complete di processi, e i suoi obiettivi includono la ricerca e lo sviluppo di prototipi di apparecchiature di produzione a 65 nanometri; scoperte in diverse tecnologie chiave al di sotto di 45 nanometri, ecc.

I grandi progetti speciali sono sostenuti e finanziati dallo stato, esaminati da esperti e gli indicatori tecnici sono utilizzati come standard per l’approvazione del progetto. Ad esempio, se questa azienda ha la capacità di produrre chip con il processo più avanzato al mondo. Tuttavia, questo indicatore tecnico si basa sulla tecnologia avanzata internazionale come sistema di riferimento, sembra alto, ma segue essenzialmente il ritmo degli altri. Pertanto, chiamo questo sistema di supporto “sistema seguente”.

I progetti nell’ambito del sistema di follow-up supportano un’unica tecnologia e si rivolgono a tecnologie straniere esistenti. Tali progetti stanno solo seguendo l’avanguardia del progresso tecnologico internazionale e la maggior parte di essi sono intrapresi da università o istituti di ricerca, quindi non è certo se saranno utili o meno. Sono stati implementati tre piani quinquennali per grandi progetti e ora sono impotenti di fronte alle sanzioni statunitensi, il motivo non è casuale.

Oggi vediamo tutti i risultati dei nuovi veicoli energetici cinesi. Questo risultato ha avuto origine dal movimento di innovazione indipendente emerso nell’industria automobilistica cinese circa due decenni fa. A quel tempo, lo stato (come il Ministero della Scienza e della Tecnologia) aveva già l’idea di utilizzare la nuova tecnologia energetica per ottenere il sorpasso in curva, che coincise con l’ascesa delle auto auto-sviluppate della Cina, che diedero al piano nazionale un base. Solo le aziende che sviluppano prodotti in modo indipendente proveranno nuove tecnologie, penseranno al sorpasso in un angolo e indurranno più aziende a entrare nella nuova catena industriale. Quando molte imprese auto-sviluppate hanno formato la catena industriale o la fondazione di veicoli a nuova energia, oggi possiamo vedere i risultati della produzione e delle vendite globali della Cina di veicoli a nuova energia.

Al contrario, l’industria dei circuiti integrati ha ricevuto un sostegno statale non inferiore a quello dell’industria automobilistica della nuova energia, ma è ancora in uno stato di disunione e le lezioni devono essere riassunte.

Risposta: fattibilità di un’autoproduzione completa

Observer.com: In una situazione di disunione, per far fronte alle sanzioni tecniche degli Stati Uniti, pensi che la Cina dovrebbe costruire una base industriale per i circuiti integrati, quindi cosa si dovrebbe fare a livello politico?

Lu Feng : L’obiettivo della politica cinese dovrebbe essere quello di concentrare le risorse per promuovere la formazione della catena industriale locale della Cina, piuttosto che il perseguimento frammentato di singoli progetti o singoli indicatori tecnologici.

Di fronte alla guerra tecnologica degli Stati Uniti nel campo dei semiconduttori, il governo cinese deve essere spietato e cogliere gli anelli chiave che promuovono la formazione della catena industriale. Al momento, il collegamento chiave include la ricerca e lo sviluppo indipendenti della tecnologia sottostante, ma ciò che sottolineo in particolare qui è concentrarsi sulla produzione indipendente, in modo da aprire le catene industriali a monte ea valle.

Cos’è l’autoproduzione completa? Si può fare in due passaggi:

Il primo passo è abbellire la linea di produzione. Attualmente, le aziende cinesi hanno implementato il non abbellimento, ovvero non utilizzano apparecchiature americane su una linea di produzione, ma utilizzano apparecchiature e materiali nazionali, giapponesi, coreani, europei e altri non americani.

Il secondo passo è sostituire tutte le attrezzature e i materiali stranieri con attrezzature e materiali domestici. Ovviamente, lo sviluppo di una produzione completamente indipendente eliminerà attrezzature e materiali domestici e rafforzerà l’interazione tra aziende manifatturiere e di design. Se è localizzato al 100% dipende dalla situazione specifica.Il principio è che non ci dovrebbe essere alcun rischio di rimanere bloccati. Lo sviluppo di una produzione completamente indipendente deve fare affidamento sulla cooperazione delle imprese cinesi in tutti gli anelli della catena industriale, perché la tecnologia di ciascun anello interagisce con gli altri anelli. Finché afferri l’anello di produzione, afferrerai i pennini che formano l’intera catena industriale.

Naturalmente, il nostro attuale sviluppo di una produzione completamente indipendente non ha ancora raggiunto il livello avanzato del mondo, ma possiamo fare un passo indietro e iniziare con una produzione completamente indipendente a 28 nanometri, credo che sia fattibile. Qualcuno ha chiesto, i chip di Huawei usano 7nm, non è arretrato fare un’autoproduzione completa a 28nm? In effetti, questo comporta un punto di vista fondamentale per il progresso tecnologico. Ecco due questioni strategiche fondamentali.

In primo luogo, ho sottolineato 20 anni fa che per l’innovazione, la base di capacità è più importante dell’attuale livello tecnico, perché solo con l’abilità possiamo cogliere il progresso tecnologico e innovare. Allo stato attuale, l’industria cinese dei circuiti integrati non ha formato una base industriale indipendente, cioè una base di capacità, il che in realtà nasconde il fatto che la maggior parte delle singole aziende non si occupa di tecnologia profonda, perché tutte pensano di poter fare affidamento su tecnologia straniera.

Ma come accennato in precedenza, oggi più che mai il progresso tecnologico di una singola impresa dipende dal progresso tecnologico dell’intera filiera industriale, cioè dal progresso della base industriale. La mancanza di questa base è il nostro difetto nella guerra tecnologica sino-americana, quindi dobbiamo rimediare alla parte più breve.

La Cina deve prendere una decisione. Secondo l’attuale situazione industriale, possiamo partire da 28 nanometri e costruire una linea di produzione completamente indipendente, in modo da aprire la catena industriale e costituire la base industriale dei circuiti integrati cinesi. Quando la linea di produzione completamente autonoma a 28 nm dimostrerà di funzionare senza intoppi, saremo in grado di costruire una linea di produzione completamente autonoma a 14 nm e così via.

In effetti, nessuna azienda al mondo può saltare la produzione di chip a 14 nm prima di realizzare chip a 28 nm, o realizzare chip a 7 nm invece di 14 nm, perché le capacità vengono sviluppate cumulativamente attraverso le piattaforme di prodotto. Pertanto, lo sviluppo dell’industria cinese dei circuiti integrati deve prendere come obiettivo strategico lo sviluppo delle capacità piuttosto che gli indicatori tecnici.

Secondo il rapporto semestrale di TSMC per il secondo trimestre del 2022, le vendite di chip con processo a 14-90 nm hanno rappresentato il 39%

In secondo luogo, nell’odierno mercato globale dei circuiti integrati, i chip con processi maturi sono i più richiesti e utilizzati. I chip con processi avanzati occupano solo una quota di mercato molto bassa. Nel 2021, TSMC amplierà anche in modo significativo la produzione di chip con un processo maturo a 28 nm per far fronte alla carenza nel mercato. I chip automobilistici sono fondamentalmente dominati da processi maturi a 28 nm, 45 nm e 65 nm e solo pochi chip automobilistici come i chip per la guida autonoma devono utilizzare processi avanzati. I chip in campi ingegneristici come quello aerospaziale utilizzano persino chip su scala micron, sebbene in quantità limitate.

Se la Cina può davvero formare una catena industriale libera da interferenze esterne a livello tecnologico a 28-60 nm, non solo avrà una base industriale per il continuo progresso tecnologico, ma formerà presto un altro vantaggio competitivo. L’industria cinese ha una capacità senza pari: fintanto che sa come realizzare un certo prodotto, può rapidamente rendere il costo di questo prodotto il più basso al mondo, occupando così una grande fetta di mercato.

Se la Cina occupa una quota importante nel mercato mondiale dei chip di processo maturi, guadagnerà anche una posizione di “contrattazione”: se gli Stati Uniti bloccano il 20% dei prodotti di processo avanzati, noi bloccheremo ugualmente l’80% dei prodotti di processo maturi. Auto americane La fabbrica non utilizzerà chip di processo avanzati (il prezzo aumenterà se l’auto viene utilizzata). Inoltre, dal momento che tutte le aziende (compresa TSMC) che monopolizzano i prodotti di processo avanzati fanno molto affidamento su prodotti di processo maturi per mantenere la redditività, la perdita di questo mercato scuoterà seriamente la loro fiducia nel bloccare la Cina.

Dare pieno gioco ai vantaggi del “sistema nazionale” per far fronte al blocco dei chip

Observer.com: Hai analizzato il ruolo del “sistema nazionale” nell’innovazione indipendente cinese, quindi nel risolvere i problemi dei chip e dei colli di bottiglia tecnologici chiave, come la produzione completamente indipendente che hai citato, il “nuovo sistema nazionale” cinese Come si gioca un ruolo efficace?

Lu Feng: Consentitemi di ribadire che la cosiddetta produzione completamente indipendente, utilizzando tutte le apparecchiature e i materiali domestici, richiede un processo e non sarà raggiunto dall’oggi al domani. Ma dobbiamo seguire questo obiettivo, cioè stabilire la nostra fondazione per l’industria dei circuiti integrati. Dopo il completamento, le nostre società di apparecchiature a monte e le società di materiali possono unirsi alla catena del progresso tecnologico; la progettazione di chip a valle non sarà limitata dagli Stati Uniti nel modo in cui desidera svilupparsi. Questo è un punto chiave e afferrare questo punto chiave può aprire l’intera catena industriale.

Nel successo di “due bombe e una barca” (riferito a bombe atomiche, missili e sottomarini nucleari), il “Comitato speciale centrale” ha svolto un ruolo importante. La ragione diretta dell’istituzione del Comitato speciale centrale era che coincideva con il triennio di difficoltà economiche e molti ministri del governo chiedevano lo smantellamento della bomba atomica. L’opposizione ha risvegliato i vertici e si è invece decisa a implementare completamente la leadership centralizzata, anche per superare i vincoli del sistema dipartimentale sui principali compiti strategici del Paese.

La prima caratteristica del Comitato Centrale Speciale è che è direttamente responsabile di fronte al Comitato Centrale del Partito; la seconda è che afferra direttamente il progetto, come disegnare il piano e come portare a termine il compito senza alcuna gestione intermedia. I membri del comitato speciale del Comitato centrale sono composti da diversi vicepremier e capi di ministeri e commissioni, ma Zhou Enlai, che all’epoca era il direttore del comitato speciale, ha chiarito durante la riunione che personalmente non hanno potenza. Pertanto, i ministeri e le commissioni hanno solo potere esecutivo e nessun potere decisionale sui progetti di competenza di apposite commissioni, aggirando così gli inconvenienti della gestione multidipartimentale.

Discutendo oggi del nuovo sistema nazionale, la nostra ricerca ha rilevato che la caratteristica fondamentale del sistema nazionale storico è che è necessario istituire un’apposita organizzazione decisionale ed esecutiva direttamente responsabile nei confronti dei vertici per svolgere e completare le principali attività strategiche del Paese compiti, altrimenti sarà difficile mobilitare il potere dell ‘”intero paese”.

Per il sistema industriale cinese di oggi, dopo che il nostro grande progetto di aeromobili è stato completato, rimane solo il difetto a livello industriale dei circuiti integrati, quindi questo è un compito importante che la Cina deve risolvere. Il progetto “due bombe, una barca e una stella” ha dato il buon esempio per la costruzione delle fondamenta dell’odierna industria dei circuiti integrati.

La mia idea personale è che il Comitato Centrale del Partito possa creare un’organizzazione simile al Comitato Centrale Speciale, che è direttamente responsabile nei confronti del Comitato Centrale del Partito in alto e afferra direttamente questo progetto in basso, perché nessun singolo dipartimento può gestire questo importante compito da solo.

Di fronte al blocco degli Stati Uniti, la Cina deve raggiungere l’indipendenza nei principali collegamenti come progettazione di chip, produzione, attrezzature e materiali, quindi il compito principale deve essere quello di coltivare una catena industriale che formi un rapporto domanda-offerta tra vari collegamenti e il proprio ciclo.l’abilità è l’obiettivo generale.

Ovviamente, la realizzazione di questo obiettivo deve basarsi sul meccanismo di mercato, ma non può affidarsi completamente al meccanismo di mercato. In altre parole, poiché lo sviluppo dell’industria dei circuiti integrati in Cina deve basarsi sulla capacità delle imprese di crescere attraverso la concorrenza di mercato, lo sviluppo di questo settore non deve solo avvalersi dei meccanismi di mercato, ma anche coordinare varie forze tra cui i meccanismi di mercato, altrimenti sarà una svolta impossibile. Pertanto, lo sviluppo dell’industria dei circuiti integrati richiede una nuova era di “Comitato centrale” per guidare direttamente i principali compiti dei circuiti integrati.

Lo sviluppo di capacità di produzione indipendenti è un anello chiave per l’apertura della catena industriale cinese dei circuiti integrati. Se la prima fase non può essere prodotta interamente a livello nazionale, la seconda fase può essere realizzata. In breve, dobbiamo decidere di muoverci in questa direzione.

Il successo o il fallimento del progetto segue completamente il principio della commercializzazione. Aderendo al principio della commercializzazione ha due significati: primo, il progetto dipende completamente dall’impresa. Che si tratti di un’impresa esistente o di una nuova impresa, il numero di chip le imprese manifatturiere possono anche essere più di una. Questo perché la garanzia ultima del successo del progetto è che l’impresa sviluppi capacità sufficienti. In secondo luogo, il criterio per il successo di un progetto è se può produrre prodotti che soddisfino la domanda del mercato in termini di prezzo e prestazioni e siano competitivi sul mercato. Per le aziende di attrezzature e materiali, è se la linea di produzione può essere utilizzata e tutti i prodotti in uscita devono essere su scala industriale. I campioni e le linee di test sono inutili, deve essere un prodotto che può essere prodotto in serie.

Come per la dimostrazione del piano di realizzazione del grande aereo, il consenso del comitato di dimostrazione è che l’ente responsabile per l’attuazione dei progetti nazionali deve essere un’impresa costituita secondo il moderno sistema di impresa, in modo da garantire che il progetto del grande aereo possa essere direttamente trasferito all’operazione commerciale dopo il completamento. I fatti hanno dimostrato che COMAC, nata secondo questo principio, non solo ha organizzato la ricerca e lo sviluppo, ma ha anche coordinato la catena industriale nell’intero processo dallo sviluppo e test di volo di grandi velivoli alla vendita e all’esercizio, e sta ora passando in esercizio commerciale senza ostacoli. Per la costruzione della fondazione della catena industriale cinese dei circuiti integrati, il grande progetto di aeromobili è un’ottima dimostrazione.

L’attuazione di progetti di produzione completamente autonomi deve basarsi anche su un coordinamento al di fuori dei meccanismi di mercato. L’obiettivo del progetto di produzione indipendente include l’utilizzo della linea di produzione per guidare lo sviluppo indipendente di attrezzature e materiali e fornire servizi di produzione per chip autoprogettati. Pertanto, l’implementazione del progetto deve essere accompagnata dalla collaborazione di molte aziende nel catena industriale. Nelle condizioni strutturali esistenti, questo tipo di cooperazione non può essere formato rapidamente solo attraverso la consultazione tra le imprese (almeno ci saranno rischi finanziari al di là della capacità delle imprese), e deve essere coordinato direttamente dalle agenzie statali che svolgono compiti importanti.

Il principio fondamentale di questo tipo di coordinamento è che la linea di produzione deve utilizzare attrezzature e materiali domestici, i prodotti delle imprese di attrezzature e materiali devono soddisfare i requisiti della linea di produzione e l’impresa di progettazione di chip deve supportare la produzione e il collaudo della produzione linea, e utilizzare questo come unico motivo per finanziare le imprese. Naturalmente, un certo lavoro di coordinamento può essere svolto in parte attraverso il meccanismo del mercato, ad esempio il soggetto responsabile del progetto di produzione decide se le attrezzature e i materiali sviluppati per esso soddisfano i requisiti della linea di produzione, ecc., ma la realizzazione del progetto completo la produzione indipendente è la natura fondamentale di questo importante compito.

Impadronendosi della piena autoproduzione, il potere nazionale si è impossessato della leva per invertire la struttura del mercato. Approfittando dell’opportunità del blocco degli Stati Uniti per trasformare condizioni sfavorevoli in condizioni favorevoli, lo stato sostiene le vendite di chip completamente autoprodotti da una politica che apre opportunità di vendita e progresso tecnologico per le aziende di attrezzature e materiali. Quando tutte le aziende cinesi della catena industriale potranno stabilire collegamenti tra domanda e offerta e quando tutte le tecnologie nazionali potranno essere applicate, si formerà la base industriale dei circuiti integrati cinesi. A quel tempo, l’industria cinese dei circuiti integrati poteva resistere alla repressione del governo degli Stati Uniti e fare affidamento principalmente sul potere della concorrenza di mercato per promuovere lo sviluppo del settore.

La caratteristica killer: domanda bloccata, che offre opportunità di sviluppo alle società cinesi di chip locali

Observer.com: Pertanto, nella guerra tecnologica sino-americana, la Cina non sembra reagire, non è che la Cina non abbia modo.

Lu Feng: Sento che la Cina non è ancora in grado di prendere una decisione sulla politica. La ragione dell’incapacità di prendere una decisione potrebbe essere che non ha pensato a una strategia globale e potrebbe anche essere correlata alla mancanza di effettiva capacità di attuazione.

Prima di tutto, dobbiamo avere fiducia. Quando ho partecipato alla dimostrazione del piano di attuazione del grande progetto aeronautico quasi 20 anni fa, abbiamo riavviato il grande progetto aeronautico dopo 28 anni di stagnazione e quasi tutti i talenti e le tecnologie sono stati tagliati. Ma guardandolo ora, ce l’abbiamo ancora fatta. Quindi in questo mondo ci sono solo tecnologie che i cinesi non osano fare a causa delle barriere psicologiche, e non c’è tecnologia che i cinesi non possano fare.

Il 25 luglio 2022, il velivolo C919 è stato sottoposto a un volo di prova funzionale e di affidabilità e le guide a terra hanno guidato il velivolo nella piazzola. Tao Ran/foto

In risposta al blocco tecnologico degli Stati Uniti, l’intero pensiero strategico della Cina deve essere cambiato. Mentre gli Stati Uniti hanno vantaggi tecnologici, la Cina non è tutta svantaggiata. Poiché gli Stati Uniti hanno utilizzato “armi nucleari” contro la Cina, anche la Cina dovrebbe utilizzare le proprie “armi nucleari” per contrattaccare. Più specificamente, il mezzo utilizzato dagli Stati Uniti per sopprimere la Cina è controllare l’offerta di semiconduttori, quindi la Cina dovrebbe e può controllare la domanda di semiconduttori.

Per diversi anni, gli Stati Uniti hanno voluto soffocare il collo della Cina e fare soldi nel mercato cinese, quindi la risposta della Cina è che dal momento che vuoi soffocarmi, non ti permetterò di fare soldi. Se gli Stati Uniti implementano con la forza il “disaccoppiamento” nella tecnologia e nell’industria, la Cina deve imporre sanzioni a tutte le società straniere che implementano l’ordine di disaccoppiamento nel mercato cinese.

L ‘”arma nucleare” degli Stati Uniti è la tecnologia e l ‘”arma nucleare” della Cina è il mercato “Arma nucleare” contro “arma nucleare”, chi ha paura di chi? ——Se c’è un mercato ma non la tecnologia, la tecnologia può essere sviluppata; se c’è la tecnologia ma non il mercato, la tecnologia alla fine porterà a un vicolo cieco. In breve, la Cina deve sviluppare la propria industria dei circuiti integrati e non permetterà mai agli Stati Uniti di avere entrambi.

Le entrate del gigante della litografia olandese ASML provengono principalmente da macchine litografiche DUV mature, non da quelle più avanzate. Ora gli Stati Uniti richiedono alle proprie società di interrompere la fornitura di apparecchiature per la produzione di chip di fascia alta alla Cina e richiedono anche ai propri alleati di partecipare al contenimento delle industrie cinesi. Ma al momento Asmer non è d’accordo. Se le aziende negli Stati Uniti e altri alleati degli Stati Uniti lo fanno, equivale agli Stati Uniti che bloccano l’offerta di aziende nella catena dell’industria cinese dei chip, quindi perché non rimaniamo bloccati nella domanda di quelle aziende?

Non dovremmo aver paura di tornare alla situazione della “pace del terrore” Possiamo richiedere a qualsiasi azienda che attui le sanzioni statunitensi contro la Cina di accettare la revisione del governo cinese per le sue vendite nel mercato cinese. In questo modo, devono pesare quando sono complici degli Stati Uniti. È stata l’altra parte a sanzionare per prima la Cina, non la violazione del libero scambio da parte della Cina.

Il rapporto finanziario di ASML per il terzo trimestre del 2022 mostra che DUV con processi maturi, inclusi Arf e KrF, ha il volume di vendite maggiore e il volume delle vendite delle macchine litografiche EUV più avanzate è piccolo, ma il volume delle vendite non deve essere sottovalutato.

Se ASML vuole seguire la politica degli Stati Uniti e smettere di esportare le macchine litografiche più avanzate in Cina, dopo aver implementato sanzioni reciproche, possiamo bloccare le vendite delle sue macchine litografiche ordinarie sul mercato (infatti, il volume delle vendite di macchine litografiche ordinarie macchine litografiche e quantità maggiori). Ciò potrebbe rendere più facile per le aziende cinesi come Shanghai Microelectronics aprire il mercato interno per le loro macchine litografiche.

Se Nvidia segue il divieto del governo degli Stati Uniti e smette di vendere i chip più avanzati in Cina, allora possiamo vietare la vendita dei chip di fascia media e bassa di Nvidia in Cina. Allo stesso modo, le aziende nel campo dei chip di fascia bassa in Cina potrebbero avere maggiori opportunità di sviluppo. Alla fine, nessuno può impedire alle aziende che possono realizzare prodotti di fascia bassa di continuare ad avanzare verso la fascia alta.

Per trattare con la Cina, il governo degli Stati Uniti ha adottato una strategia globale per bloccare la tecnologia cinese a tutti i livelli, ma possono solo bloccare l’offerta; pertanto, la Cina può anche adottare una strategia globale per gestire i propri bisogni, vale a dire la grande Cina mercato, come Tutte le società straniere che sanzionano la Cina nel campo della tecnologia imporranno controlli sui loro ordini. Allo stesso tempo, dobbiamo sviluppare fermamente la catena industriale locale dei circuiti integrati cinesi.

Se la Cina lo farà davvero, le nostre aree deboli come le apparecchiature per la produzione di chip e i materiali per chip si svilupperanno. Spetta ora al governo cinese prendere una decisione e fare una scelta. Se costruiamo le fondamenta industriali, chi avrà più paura in quel momento? Non sono i cinesi ad aver paura, ma gli americani.

L’analisi di cui sopra può spiegare perché è necessaria un’istituzione speciale in grado di coordinare centralmente le politiche a livello nazionale. Se lo sviluppo dell’industria dei circuiti integrati è definito come un compito importante, allora questo compito è molto più complicato di “due bombe, una barca e una stella”, perché comporterà una maggiore crescita aziendale, concorrenza di mercato e coordinamento politico indiretto.

Questa complessità pone requisiti più elevati per le istituzioni speciali per svolgere compiti importanti: deve avere una comprensione più profonda delle leggi sull’industria, sulla tecnologia e sulla concorrenza di mercato, essere più capace di comunicare con le imprese e utilizzare i meccanismi di mercato, e formulare e coordinare la portata delle politiche più ampie . Per questa istituzione, l’autorizzazione del governo centrale e l’esercizio indipendente del potere sono ovviamente le condizioni necessarie per il suo effettivo funzionamento, ma oltre a ciò, deve anche disporre di capacità sufficienti ed è probabile che richieda innovazioni organizzative, come l’aumento del contatto diretto con le imprese, l'”interfaccia” per interagire con il mercato (lo storico “Comitato Centrale” non aveva questa funzione).

Di fronte al blocco tecnologico, dobbiamo cercare la cooperazione nella lotta

Observer.com: Alcune persone potrebbero pensare che se la Cina inizia a impegnarsi in una produzione completamente indipendente, cioè se la Cina chiarisce la sua intenzione di separarsi, il rapporto tra Cina e Stati Uniti e i suoi alleati potrebbe diventare sempre più rigido, e anche gli Stati Uniti e l’Occidente saranno più severi a breve termine, imponendo il divieto di esportazione di tecnologia in Cina. In questo modo ci sarà la “pace terroristica o l’equilibrio del terrore” che lei ha detto, sarà per questo che finora non ci siamo decisi a contrastarla?

Lu Feng: Gli Stati Uniti hanno preso l’iniziativa in questa faccenda. Finora, può darsi che solo poche persone stiano pensando a come contrastare il blocco tecnologico statunitense.

A mio parere, il ruolo delle sovvenzioni non è così grande come immaginato: il “big chip fund” e i precedenti grandi progetti speciali lo hanno dimostrato. Perché questo non coglie il punto strategico.

In realtà il mondo non si può disaccoppiare e disaccoppiare non fa bene a nessuno, questo è il nostro punto di partenza e lo penso anch’io. Ma se l’altra parte vuole spezzarci e separarci con la forza, dobbiamo contrattaccare. Il mio principio è occhio per occhio e occhio per occhio, non si può dire che mentre gli Stati Uniti e le sue aziende stanno implementando il divieto tecnologico alla Cina, le aziende americane stanno guadagnando dalla Cina e ne stanno approfittando sia all’interno che all’esterno, il che influenzerà lo sviluppo della Cina.

La Cina non può ritirarsi, perché se ti ritiri, guadagneranno un centimetro. Non è necessario che la Cina abbia paura: gli Stati Uniti hanno i loro vantaggi, ma dobbiamo vedere i nostri vantaggi.

Dobbiamo vedere che il sistema industriale molto completo della Cina è la risorsa strategica della Cina, la fonte della forza della Cina e il vantaggio della Cina. Questo sistema industriale comprende industrie sia di fascia bassa che di fascia alta, sia i servizi di ricerca e sviluppo tecnologico che le industrie ad alta intensità di manodopera sono importanti e non possono essere sostituite l’una con l’altra. Negli ultimi anni, al fine di ridurre la capacità produttiva e trasformare e aggiornare, un gran numero di capacità produttive di fascia bassa è stato costretto a chiudere e girare, il che ha effettivamente causato un grande impatto sul sistema industriale cinese. Poiché le industrie tradizionali sono i maggiori clienti delle industrie high-tech, se le industrie tradizionali vengono compresse, anche le industrie high-tech ne risentiranno.

Per quanto riguarda l’industria dei circuiti integrati, le tecnologie di fascia alta di Huawei e di altre società sono state bloccate e hanno causato discussioni pubbliche, ma dobbiamo vedere che ci sono un gran numero di aziende di fascia bassa dietro queste tecnologie di fascia alta, che offre ottime condizioni per scoperte tecnologiche in questo settore. Il motivo per cui la Cina ha una domanda così ampia di circuiti integrati è perché le industrie cinesi a valle si stanno sviluppando bene, il che evidenzia invece le carenze delle industrie a monte. Questa situazione non è altro che un requisito più urgente per l’industria cinese per fare progressi nell’upstream. Se qualcuno pensa che l’industria a monte dovrebbe essere sviluppata a costo di eliminare l’industria a valle, questa è la pratica di “cercare il pesce da un albero”.

Immagina che nel 2020 l’industria cinese passerà alla produzione di mascherine, che dopo lo scoppio dell’epidemia diventeranno presto un bene pubblico globale e daranno un grande contributo alla lotta globale contro l’epidemia. Oltre ai materiali high-tech come il tessuto soffiato a fusione, il processo di produzione delle maschere è una produzione ad alta intensità di manodopera di fascia bassa, ma è indispensabile. Pertanto, dobbiamo aderire allo sviluppo generale dell’industria e fare scoperte chiave su questa premessa.

Observer.com: Dal momento che non sosteni il disaccoppiamento, come può la Cina non disaccoppiare, ma anche stabilire la nostra produzione locale completamente indipendente nel campo dei circuiti integrati?

Lu Feng : L’innovazione indipendente non riguarda lo sviluppo della tecnologia a porte chiuse, ma l’insistere nel fare la tecnologia da soli, ma anche nell’imparare dagli altri. Quindi, come possiamo ottenere un’innovazione indipendente cooperando con gli Stati Uniti e altri alleati occidentali su un piano di parità? La nostra strategia dovrebbe essere quella di cercare la cooperazione nella lotta e insistere sullo sviluppo della tecnologia e dell’industria da soli in condizioni aperte. Se rinunciamo alla lotta, saremo bloccati unilateralmente dagli Stati Uniti. Abbiamo anche i nostri vantaggi e dovremmo sfruttare appieno i nostri vantaggi e fare ciò che dovremmo fare.

Non ci aspettiamo che le aziende cinesi siano le più forti in tutte le aree dell’industria dei semiconduttori. Perché è difficile per noi farlo. Quello che speriamo è stabilire un rapporto commerciale paritario, e coesistere con il mondo; ognuno ha i suoi vantaggi, ma non accettiamo un rapporto diseguale, poiché gli Stati Uniti possono bloccare senza scrupoli gli altri.

C’è un detto in dialetto di Pechino per descrivere la natura umana: vedere una persona amata non può sopprimere la propria rabbia. Se ci pensi bene, questa frase esprime effettivamente la natura umana. Quanto più la Cina arretra, tanto più numerosi e pesanti saranno i colpi che subirà. Pertanto, in questo momento, i pugni della Cina devono essere induriti e deve sviluppare la capacità di strangolare la “gola” dell’avversario. Solo allora l’altra parte ammetterà che apparteniamo tutti a una “comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.

Questo articolo è un manoscritto esclusivo di Observer.com.Il contenuto dell’articolo è puramente l’opinione personale dell’autore e non rappresenta l’opinione della piattaforma.Senza autorizzazione, non è consentito ristampare, altrimenti sarà perseguita la responsabilità legale. Segui Observer.com WeChat guanchacn e leggi articoli interessanti ogni giorno.

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Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 3a parte

Massimo Morigi (per chi non volesse rileggere l’introduzione passare direttamente al link da pag 72)

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

Segue sul link sottostante a partire da pag 72 (per chi ha già letto la prima parte)

TERZA PARTE DELLO STATO DELLE COSE ULTIMA RELIGIONE POLITICA

Un anno di guerra in Ucraina (riepilogo ragionato), di Roberto Buffagni

Un anno di guerra in Ucraina

Riepilogo ragionato del conflitto fino all’attuale quarta fase, trasformativa, della guerra

 

In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.

Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

 

Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale.

Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.

Negli anni tra il 2008 e il 2022, gli USA integrano gradualmente l’Ucraina nella NATO, sebbene de facto e non de jure. Nel 2014 danno impulso alla destabilizzazione del governo in carica e all’insediamento di un governo ucraino a loro favorevole, e negli anni seguenti portano a livello di preparazione e armamento NATO le FFAA ucraine. Nel 2014 la Federazione russa si annette la Crimea, senza conflitto militare. Il 2021 vede una significativa accelerazione del processo di integrazione de facto dell’Ucraina nella NATO: importanti forniture di armamenti, grandi esercitazioni militari in comune, e nel novembre 2021 rinnovo della convenzione bilaterale USA – Ucraina che ribadisce la comune intenzione di integrare l’Ucraina nella NATO anche de jure.

Secondo questa interpretazione eziologica, dal punto di vista russo la guerra in Ucraina è una guerra preventiva in difesa di interessi vitali russi, e non una guerra imperialistica di annessione/conquista che, se coronata da successo, può preludere a ulteriori espansioni territoriali russe in Europa. Quest’ultima è invece la definizione della natura e degli scopi dell’intervento russo adottata dagli Stati occidentali.

 

Prima fase della guerra (dal 24 febbraio alla primavera 2022). Escalation militare russa: invasione dell’Ucraina. Escalation politica occidentale: rifiuto di ogni trattativa diplomatica.

Nel dicembre 2021 la Federazione russa, che nei mesi precedenti ha schierato alla frontiera ucraina un contingente militare pronto all’intervento, propone agli USA una soluzione diplomatica, nell’insolita forma di bozza di trattato resa pubblica. Le principali richieste russe sono, in sostanza: Ucraina neutrale e applicazione effettuale degli accordi di Minsk per la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, dove dal 2014 è in corso una guerra civile appoggiata ufficiosamente dai governi ucraino e russo. Gli Stati Uniti non rispondono alla proposta in forma ritenuta soddisfacente dai russi (rinviano, traccheggiano, ricorrono alla “strategic ambiguity”).

Il 24 febbraio 2022 la Federazione russa interviene militarmente in Ucraina. Non è possibile sapere con certezza perché abbia scelto proprio questo momento. Forse – ma è solo una mia inferenza logica – perché in base alle informazioni in suo possesso, la Federazione russa ritiene che l’esercito ucraino stia per intervenire in forze contro le milizie del Donbass, schierando poi il grosso delle truppe nelle postazioni difensive fortificate ivi costruite nel corso degli anni, in modo da prevenire il possibile intervento militare russo e renderlo molto più difficile, costoso, incerto.

I russi intervengono con un contingente militare di circa 180-200.000 uomini, in condizioni di inferiorità numerica di 3:1 circa rispetto all’esercito ucraino, sebbene i manuali tattici prescrivano una proporzione inversa attaccanti/difensori (almeno 3:1 a favore dell’attaccante, per compensare il vantaggio della difesa). Sviluppano attacchi su cinque direttrici, sia al Sudest, sia al Nordovest dell’Ucraina. Gli attacchi nel Nordovest sono attacchi secondari, un’ampia manovra diversiva volta a fissare truppe ucraine a difesa di Kiev e degli altri centri interessati dalla manovra, per modellare il campo di battaglia nel Sudest, nel Donbass, dove si dirigono gli attacchi principali. Così interpretando la manovra russa aderisco all’articolata interpretazione che ne ha dato “Marinus”, probabilmente pseudonimo del Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines, nello studio pubblicato sui numeri di giugno e agosto 2022 della “Marine Corps Gazette”, che ho tradotto in italiano, commentato e pubblicato sui siti citati in apertura.

Nel giro di tre-quattro settimane la manovra diversiva russa ha successo. A fine marzo, le truppe russe che hanno sviluppato gli attacchi secondari nel Nordovest si ritirano, mentre il grosso delle forze russe si schiera in quasi tutto il Donbass, infliggendo pesanti perdite anzitutto materiali all’esercito ucraino grazie alla netta superiorità nella potenza di fuoco d’artiglieria e missilistico. L’azione militare russa evita accuratamente di coinvolgere i civili, non tocca le infrastrutture a doppio uso civile e militare (es., la rete elettrica) e si configura insomma come “diplomazia armata”: i russi tentano di ottenere, con una moderata pressione militare, gli obiettivi che non hanno raggiunto con la pluriennale, crescente pressione diplomatica.

Fino alla fine di marzo 2022 pare che la “diplomazia armata” russa possa avere successo: tra il 24 febbraio e la fine di marzo si tengono sette incontri diplomatici tra Russia e Ucraina, e a fine marzo il presidente Zelensky dichiara ufficialmente a media russi indipendenti di essere pronto a trattare la neutralità dell’Ucraina e la soluzione del problema delle popolazioni russofone del Donbass.

 

Prima escalation politica occidentale

Ma il 7 aprile 2022 il Premier britannico Boris Johnson fa visita al presidente ucraino Zelensky, e dichiara ufficialmente che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [defied the odds] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo “. Da quel momento in poi, cessa ogni rapporto diplomatico tra Ucraina e Federazione russa.

L’interpretazione conforme la quale la piccola Ucraina ha sconfitto sul campo la grande Russia si fonda su una lettura delle prime settimane di guerra radicalmente diversa da quella che ho proposto più sopra. Secondo questa interpretazione, obiettivo russo sarebbe stato la presa di Kiev e il “regime change”, il rovesciamento del governo ucraino e la sua sostituzione con un governo fantoccio favorevole alla Russia, e gli attacchi nel Nordovest sarebbero attacchi principali falliti, non attacchi secondari nel quadro di un’ampia manovra diversiva. È una interpretazione possibile, che se rispondente al vero denuncia una grave inadeguatezza militare e politica della Federazione russa: impossibile raggiungere obiettivi tanto ambiziosi con un dispiegamento di forze così ridotto e una così bassa intensità del conflitto.

Su questa interpretazione dei fatti militari, errata o corretta, in buonafede o strumentale che sia, fanno leva le fazioni più oltranziste nel campo occidentale e nel governo ucraino. Si cristallizza in Occidente la certezza ufficiale che sia possibile infliggere una sconfitta militare decisiva alla Russia, e che sia dunque realistico proporsi obiettivi strategici massimalisti, quali il dissanguamento della Russia e la sua destabilizzazione politica per mezzo sia della pressione militare, sia delle sanzioni economiche, sia dell’attivazione delle forze centrifughe. Obiettivo finale, l’espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, l’insediamento di un governo favorevole all’Occidente, eventualmente la frammentazione politica della Federazione russa.

Questi obiettivi massimalisti vengono rivendicati ufficialmente il 24 aprile dai Segretari alla Difesa e di Stato USA. I paesi europei e NATO, tranne la Turchia e l’Ungheria, si allineano senza fiatare e votano con maggioranze parlamentari schiaccianti durissime sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina. Le storicamente neutrali Svezia e Finlandia annunciano la loro intenzione di chiedere l’adesione alla NATO.

La “diplomazia armata” russa è fallita.

 

Seconda fase della guerra (primavera – metà estate 2022). Conquista russa del Donbass. La condizione di possibilità di una vittoria ucraina.

Prosegue con successo la conquista russa del Donbass, con scontri urbani molto violenti, casa per casa, a Mariupol e altrove. Le truppe russe impegnate sulla linea di contatto col nemico sono principalmente le milizie del Donbass, le formazioni di volontari ceceni, e il gruppo Wagner. Le formazioni dell’esercito regolare russo agiscono anzitutto (non solo) in appoggio, con l’artiglieria, i missili e il comando operativo. L’azione militare russa continua a non interessare le infrastrutture a doppio uso, militare e civile, dell’Ucraina.

Il rapporto tra le perdite ucraine e le perdite russe è nettamente sfavorevole agli ucraini, sia per la superiorità della potenza di fuoco russa, sia perché le operazioni militari ucraine sono fortemente influenzate dalla necessità di giustificare, presso i governi e le opinioni pubbliche occidentali, il colossale e quasi unanime sostegno politico e finanziario all’Ucraina, che ha gravi ricadute politico-economiche sui paesi europei, anzitutto la Germania che si vede esclusa dalla fornitura di energia russa a basso prezzo sulla quale basa le sue fortune economiche da decenni.

In sintesi gli ucraini sono costretti a “vendere” con i risultati sul campo, con una inflessibile resistenza e una costante aggressività, la sostenibilità politica dell’indispensabile appoggio occidentale: deve essere e restare plausibile la prospettiva di una futura vittoria militare dell’Ucraina sulla Russia.

Ovviamente la valorosa resistenza ucraina non va ascritta a ciò soltanto: per un’ampia quota della popolazione, il conflitto con la Russia è divenuto una guerra di liberazione nazionale, che si integra con una guerra civile e con una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti d’America – NATO.

 

La condizione di possibilità di una vittoria militare ucraina

La condizione di possibilità una vittoria militare decisiva dell’Ucraina sulla Russia, però, si fonda su un presupposto.

È il presupposto che fa da principio ordinatore della strategia di deterrenza du faible au fort elaborata dal gen. Gallois in vista della creazione della force de frappe nucleare francese: rendere sfavorevole, per il fort (la potenza più forte), il rapporto costi/benefici della vittoria sul faible (la potenza più debole). Impiegando a fondo le sue maggiori risorse, la grande potenza nucleare che aggredisse la Francia potrebbe senz’altro distruggerla totalmente, ma l’attivazione della force de frappe nucleare del faible infliggerebbe comunque al fort danni politicamente inaccettabili.

In parole povere ma chiare: per vincere, la potenza più debole deve fare in modo che per la potenza più forte, il gioco della vittoria non valga la candela di una guerra a oltranza. L’Ucraina è il faible, la Russia il fort.

Anche con l’aiuto occidentale, le risorse strategiche ucraine (popolazione, potenza latente economica, potenza manifesta militare, truppe mobilitate e mobilitabili, profondità strategica) restano di interi ordini di grandezza inferiori alle risorse strategiche russe, perché la Russia ha 145 MLN di abitanti, può mobilitare un massimo di 25 MLN di uomini, ha enormi risorse naturali e la capacità di trasformarle, un’ampia base industriale militare, e una profondità strategica di 11 fusi orari. (“Profondità strategica” è lo spazio amico entro il quale un esercito attaccato e respinto può ripiegare, riorganizzarsi, passare al contrattacco, come fecero appunto i sovietici dopo la devastante serie di sfondamenti della Wehrmacht all’esordio dell’Operazione Barbarossa, quando i sovietici trasferirono oltre la catena degli Urali milioni di uomini e numerose industrie strategiche situate nella Russia europea, e fecero affluire verso il fronte i reparti militari di stanza in Oriente, integrandoli con i reparti sfuggiti agli accerchiamenti tedeschi).

Ripeto: una potenza nettamente più debole può vincere contro una potenza nettamente più forte solo se rende il rapporto costi/benefici della vittoria sfavorevole per la potenza nemica. È una vittoria a caro prezzo (guerra del Vietnam: caduti USA 58.000, caduti Vietnam 849.000 + 300-500.000 dispersi, stime governative) ma è una vittoria possibile.

È così che Vietnam e Afghanistan hanno vinto contro USA e URSS, che disponevano entrambe di risorse strategiche di gran lunga superiori. Se le due potenze maggiori avessero deciso di impegnare a fondo le loro risorse strategiche, Vietnam e Afghanistan non avrebbero potuto evitare una sconfitta totale. USA e URSS non lo hanno fatto perché lo hanno ritenuto politicamente insostenibile: perdite troppo elevate, impegno politico, economico e militare a lunga scadenza inaccettabile, crescente opposizione interna alla guerra, etc. In sintesi USA e URSS hanno deciso di perdere perché hanno valutato che per loro, il rapporto costi/benefici della sconfitta fosse più vantaggioso del rapporto costi/benefici della vittoria.

 

La posta in gioco per la Russia

Ma gli obiettivi strategici dichiarati ufficialmente dal governo USA e rilanciati da NATO e paesi europei sono obiettivi massimalisti: dissanguamento e permanente indebolimento della potenza economica e militare russa, destabilizzazione del governo, attivazione delle forze centrifughe interne alla Federazione russa, espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, possibile sua frammentazione politica. Particolarmente temibile, per la Russia che si è formata storicamente come impero multietnico, multinazionale, multireligioso, la possibilità di un’attivazione delle forze centrifughe etniche, religiose, nazionali, in uno scenario analogo allo jugoslavo degli anni Novanta.

Gli obiettivi dichiarati dall’Occidente configurano insomma una minaccia esistenziale per il governo, lo Stato, la società e le nazioni russe. I dirigenti russi dunque si persuadono che nella guerra ucraina sia in gioco la posta assoluta, sono disposti letteralmente a tutto per vincerla, e lo dicono ripetutamente in forma ufficiale. Saranno dunque disposti, anzi costretti a impiegare a fondo tutte le risorse strategiche russe per vincere la guerra: per vincere l’Ucraina, ed eventualmente, se si arrivasse a un conflitto diretto, anche la NATO.

Viene così a cadere la condizione di possibilità di una futura vittoria ucraina: che per la Russia il gioco della vittoria sull’Ucraina non valga la candela della guerra a oltranza. Per vincere la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ottenere la vittoria decisiva su una Federazione russa disposta o meglio obbligata ad impegnare a fondo, per tutto il tempo necessario, tutte le sue risorse strategiche: in sintesi, farla capitolare.

Al contempo gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, impegnandosi pubblicamente a raggiungere obiettivi massimalistici, si chiudono lo spazio di manovra diplomatica e fanno salire fino al cielo la posta politica in gioco per le loro classi dirigenti, che rischiano di essere spazzate via da una sconfitta; malgrado che un esito sfavorevole della guerra non danneggi, in quanto tale, gli interessi vitali delle loro nazioni, nessuna delle quali rischia la destabilizzazione o peggio in seguito a una sconfitta ucraina.

L’unica nazione del campo occidentale che rischia tutto è l’Ucraina, che da una prosecuzione della guerra a oltranza e da una probabile sconfitta può attendersi solo terribili sciagure.

 

Terza fase della guerra (fine estate – autunno 2022). Successo della controffensiva ucraina. Escalation politica russa: annessione di quattro oblast del Donbass. Escalation militare russa: bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile. Guerra di manovra e guerra d’attrito.

Le forze russe si attestano nel Donbass, occupando quasi il 20% dell’intero territorio ucraino e schierandosi su un fronte di 1.500 km circa. Il dispositivo militare ucraino si riorganizza, amplia la mobilitazione richiamando i riservisti ed estendendo la coscrizione obbligatoria fino ai 60 anni, viene rifornito di nuovi armamenti occidentali (in larga misura equipaggiamenti ex – sovietici) in sostituzione di quelli distrutti nelle fasi precedenti del conflitto, viene innervato da un più vasto e intenso coinvolgimento di personale di comando NATO e da una più capillare strutturazione delle funzioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), e nel settembre 2022 sferra una controffensiva in forze con direttrice principale su Kharkiv.

La controffensiva ucraina ha successo. I russi devono arretrare su tutto il fronte, ripiegando più o meno ordinatamente. Motivo: la coperta russa è troppo corta. I reparti russi hanno conquistato vasti territori che non sono in grado di tenere con l’esiguo numero di truppe impegnate nella “operazione militare speciale”. Essi dunque devono resistere ripiegando il più ordinatamente possibile, accorciare il fronte, ridurre i territori da difendere e fortificarli per attestarvisi, riconfigurare il dispositivo militare e rinforzarlo.

La Russia si adatta alla nuova realtà sul terreno. Viene nominato un comandante generale delle operazioni in Ucraina, il gen. Surovikin. Il governo propone alla Duma, che la vota all’unanimità, la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti. Vengono mobilitate anche le industrie militari, che lavoreranno su tre turni di otto ore.

 

Escalation politica russa: annessione dei quattro oblast del Donbass

Il governo propone alla Duma, che nell’ottobre la vota all’unanimità, l’annessione di quattro oblast del Donbass: le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, previo plebiscito organizzato dalle autorità di occupazione russe.

È la più decisiva escalation politica di tutta la guerra, perché con essa la Russia si brucia le navi alle spalle e annuncia implicitamente la propria ferma volontà di impegnare a oltranza tutte le proprie risorse strategiche per ottenere la vittoria sull’Ucraina e sui suoi alleati. Per far recedere la Russia dall’annessione, riconsegnando all’Ucraina territori che per la Federazione russa sono formalmente divenuti territorio nazionale, l’Ucraina e i suoi alleati dovrebbero infliggere una sconfitta decisiva a tutta la Federazione russa, e farla capitolare.

 

Escalation militare russa. Bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile

Riconfigurato il dispositivo militare intorno all’unità di comando e consolidato il fronte, mentre si svolge tra varie difficoltà la mobilitazione dei riservisti (è la prima mobilitazione da ottant’anni e l’apparato amministrativo e logistico russo non è pronto; centinaia di migliaia di russi varcano le frontiere per evitare il richiamo) il comandante generale Surovikin decide l’escalation militare. Per la prima volta vengono interessati da una serie incessante di fitti bombardamenti missilistici gli obiettivi a doppio uso, civile e militare, in particolare la rete elettrica ucraina ma in generale le infrastrutture quali ferrovie, fabbriche, depositi di materiale militare e civile, etc. La Russia non prende di mira i civili, ma bersagliando le infrastrutture a doppio uso provoca gravi disagi alla popolazione, compromette il normale svolgimento della vita quotidiana, e ovviamente provoca “danni collaterali”, vittime civili colpite per errore dai suoi missili e dal fuoco contraereo ucraino.

Il gen. Surovikin prende anche la decisione, politicamente difficile e impopolare ma corretta, di abbandonare Kherson, importante centro testé formalmente annesso al territorio nazionale russo, e di far ripiegare le truppe che la occupano sulla sponda meridionale del fiume Dnepr. La decisione operativa consente di non sprecare forze per prevenire una controffensiva in un punto delicato, concentrando invece gli sforzi nel Donbass. Ne conseguiranno vantaggiosi risultati concreti sul campo di battaglia.

 

Guerra di manovra, guerra d’attrito. L’ esempio storico dell’Operazione Barbarossa

La “guerra di manovra”, in tedesco Bewegungskrieg, “guerra di movimento”, è l’opposto simmetrico della “guerra d’attrito”, Stellungskrieg, “guerra di posizione”. Ogni guerra combina, in percentuali diverse, manovra e attrito. La guerra d’attrito punta a logorare gradualmente le capacità di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di una forza superiore; la guerra di manovra punta a distruggere rapidamente le capacità di combattimento del nemico trovando o creando, e sfruttando abilmente, lo Schwerpunkt, il punto decisivo vitale e debolmente difeso dello schieramento nemico, contro il quale sferrare un rapido, determinante attacco in forze.  Il vantaggio della manovra sull’attrito sembra ovvio: la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva, ma minaccia anche la possibilità di una sconfitta altrettanto rapida e decisiva, perché attaccare è sempre rischioso e il nemico può sempre dire la sua. Come sottolinea Clausewitz, non esiste la “scienza della vittoria”, e la logica che governa la guerra non è lineare ma paradossale, come illustra il detto romano “si vis pacem para bellum”. La guerra di manovra viene privilegiata degli eserciti che scontano un evidente svantaggio nella guerra d’attrito: eserciti meno numerosi, con capacità materiali o logistiche inferiori a quelle del nemico.

In questa fase il conflitto ucraino, che nelle due fasi precedenti ha visto una combinazione di manovra e attrito, si stabilizza in forma di guerra d’attrito, il tipo di conflitto dove pesa di più la disparità di risorse strategiche tra i contendenti. Nella guerra d’attrito, infatti, quel che più conta per la vittoria è la rispettiva capacità di generare durevolmente forze umane e materiali. È il campo in cui la Russia ha il maggior vantaggio relativo sull’Ucraina.

Accresce il vantaggio russo il fatto politico essenziale che l’Ucraina dipende in tutto e per tutto dall’appoggio occidentale, e che i dirigenti occidentali devono giustificare presso le opinioni pubbliche e l’elettorato il crescente costo politico-economico di questo appoggio. Dunque gli ucraini sono costretti dalla ragion politica a inviare costantemente truppe, anche insufficienti o impreparate, sulla linea di contatto con i russi, mantenendo vivo il conflitto, rinnovando in Occidente l’ammirazione per la loro capacità di resistenza, e alimentando la persuasione che la vittoria finale ucraina sia possibile.

Dal punto di vista militare, in realtà, agli ucraini converrebbe prendersi una pausa, riorganizzare le riserve, rinforzarle e addestrarle, e risparmiare uomini e mezzi in vista di controffensive future. Una potenza dotata di risorse strategiche nettamente inferiori al nemico, infatti, può sperare di vincerlo soltanto con un’abile, aggressiva e rapida, soprattutto rapida guerra di manovra: in una guerra d’attrito, il tempo lavora per la potenza con le maggiori risorse strategiche.

Furono queste considerazioni fondamentali a dettare la forma in cui si è sviluppata e ordinata la potenza militare prussiana prima e tedesca poi, ossia dei maestri di un’aggressiva e rapida guerra di manovra. Sia la Prussia sia la Germania, infatti, hanno dovuto fare i conti con la propria situazione geopolitica: esposizione su più fronti al centro d’Europa, frontiere indifese da ostacoli naturali, limitate risorse naturali e umane; e hanno tentato di risolvere la difficile equazione mettendo a punto un dispositivo militare altamente preparato a condurre con la massima aggressività e perizia rapide guerre di manovra. Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.

Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.

È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.

Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.

 

Quarta fase trasformativa della guerra (fine autunno 2022 – inverno 2022/23). Due fazioni nei centri direttivi statunitensi: escalation o de-escalation del conflitto? Tre fatti significativi. Stime delle perdite ucraine e russe. Previsioni. La doppia trappola strategica.

Ritengo trasformativa la presente fase della guerra perché soltanto in questa fase viene chiaramente in luce la sua natura di doppia trappola strategica.

Nella quarta fase della guerra si verificano tre fatti significativi.

Sabotaggio del Northstream 2

Nel novembre 2022 un sabotaggio subacqueo rende inutilizzabile il Northstream 2, il gasdotto costruito per trasportare il metano russo in Germania attraverso il Mar Baltico, senza passare per l’Ucraina. L’inchiesta entra subito in stallo, per l’impossibilità politica di individuarne gli autori: infatti la logica del cui prodest suggerisce che responsabili ultimi dell’attentato siano gli Stati Uniti. Probabilmente, l’operazione è frutto di una collaborazione tra Royal Navy britannica e forze speciali polacche. Motivo del sabotaggio: nella classe dirigente tedesca crescono le preoccupazioni per i disastrosi effetti a lunga scadenza (progressiva disindustrializzazione della Germania) della cessazione di forniture d’energia russa a buon mercato. Il sabotaggio del gasdotto è un vero e proprio atto di guerra contro la Germania, volto a intimidirla perché si allinei senza esitazioni alla strategia di contrapposizione frontale alla Russia decisa dagli USA. L’intimidazione ha successo. Intimidita la Germania, l’unico Stato europeo che non aderisca perinde ac cadaver alla linea statunitense è la piccola Ungheria; nella NATO, l’unico Stato con un elevato grado di autonomia politica è la Turchia.

 

Dichiarazioni pubbliche del gen. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto USA

Nel novembre e di nuovo nel dicembre 2022 il gen. Mark Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto statunitense, rilascia irrituali dichiarazioni pubbliche, invitando all’apertura di una trattativa diplomatica con la Russia, e asserendo che “agli ucraini non si può chiedere di più”. Le dichiarazioni irrituali di Milley sono evidente indizio che nei centri decisionali statunitensi confliggono due grandi fazioni: una incentrata nell’establishment bipartisan che dirige la politica estera, favorevole alla prosecuzione a oltranza della guerra in Ucraina ed eventualmente a una sua escalation; e un’altra, incardinata nel Pentagono, favorevole a una de-escalation del conflitto. Il fatto che Milley comunichi pubblicamente le sue posizioni prova che nel dibattito interno all’Amministrazione USA la posizione del Pentagono è minoritaria e teme di restarlo, e che lo scontro tra le due posizioni è molto aspro.

A ulteriore riprova dell’esistenza di questi schieramenti interni alla direzione statunitense, il recentissimo studio pubblicato dalla RAND Corp., Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict[1], [in nota riferimento bibliografico e traduzione italiana dell’abstract] che analizza, dal punto di vista dell’interesse nazionale USA, i costi di un prolungamento della guerra ucraina, raccomanda la de-escalation, e la cauta instaurazione di un processo diplomatico che porti a una conclusione negoziata del conflitto. La RAND Corporation è un importante e prestigioso centro studi che sin dalla sua fondazione fornisce analisi e progetti soprattutto al Pentagono.

 

Riconfigurazione della struttura di comando russo, annuncio di riforma delle FFAA russe

Nel gennaio 2023, il governo russo riconfigura il comando militare delle operazioni in Ucraina, e annuncia una più generale riforma strutturale delle sue Forze Armate. Il militare russo più alto in grado, generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle FFAA russe, viene insignito del comando generale delle operazioni in Ucraina, mentre il gen. Surovikin riprende il suo precedente ruolo di Comandante delle Forze Aerospaziali. Il governo ristabilisce i distretti militari di Mosca e Leningrado, ordina la formazione di un nuovo gruppo d’armate in Carelia, alla frontiera finlandese, e la creazione di dodici nuove divisioni dell’esercito. Annuncia altresì che entro il 2026 aumenterà le dimensioni del suo dispositivo militare in servizio permanente effettivo, portandole a 1,5 MLN di uomini. Nel contempo, i massimi dirigenti russi iniziano a dichiarare pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina è, in realtà, una guerra tra Russia e NATO. Queste inedite dichiarazioni pubbliche hanno anche – come sempre in guerra – una valenza propagandistica interna, ma interpretate alla luce delle riforme militari in corso suggeriscono con un elevato grado di plausibilità che i decisori russi si preparano per il caso peggiore, ossia per un intervento diretto delle forze occidentali nel conflitto ucraino.

 

Prosegue la guerra d’attrito. Stime delle perdite ucraine e russe

Nel frattempo, sul terreno ucraino la guerra d’attrito continua. Continuano gli attacchi missilistici alle infrastrutture ucraine a doppio uso, civile e militare. Il dispositivo militare russo si consolida sulle posizioni difensive occupate e rafforzate dopo il ripiegamento. Continua e si perfeziona l’addestramento dei riservisti richiamati, e la logistica si adegua gradualmente all’arrivo dei rinforzi e alla prosecuzione degli intensi, costanti attacchi missilistici. I reparti russi sferrano attacchi incrementali sulle linee difensive ucraine, con ridotto impiego di truppe e larghissima, prolungata preparazione d’artiglieria, per limitare il più possibile le proprie perdite. Gli ucraini, intrappolati dalla necessità politica di resistere sempre e comunque e appena possibile attaccare, per giustificare il sostegno occidentale, cordone ombelicale della prosecuzione della guerra, non sono in grado di contrattaccare in forze, ma resistono anche oltre i vantaggi militari della resistenza e subiscono gravissime perdite di uomini e di materiali.

È impossibile, finché dura la guerra, avere dati certi delle perdite. Mentre scrivo, a fine gennaio 2023, fonti occidentali quali Strategic Forecasting, un’importante agenzia di intelligence privata che abitualmente collabora con la CIA, parla di più di 300.000 morti ucraini, per un totale di perdite irrecuperabili intorno ai 400.000 uomini. Le più recenti valutazioni occidentali, non ufficiali, delle perdite irrecuperabili russe parlano di 20.000 morti e 30.000 tra dispersi e feriti gravi. Pur con tutte le necessarie cautele, è abbastanza verisimile che il rapporto tra perdite ucraine e perdite russe si situi tra 10:1 e 5:1. Nelle grandi battaglie della IIGM, il rapporto di perdite tra lo sconfitto e il vincitore fu intorno a 1,3 – 1,5: 1. L’esercito ucraino non sembra essere in grado di preparare, nel prossimo futuro, una controffensiva su grande scala: per l’elevatissimo numero di perdite, soprattutto di ufficiali e sottufficiali veterani; per la scarsità di materiale bellico, nonostante i rinnovati invii di armi occidentali; per la crescente disorganizzazione delle strutture di comando militare; per la crescente, progressiva degradazione delle condizioni economiche e sociali dell’intera Ucraina.

 

Scelte operative dell’Alto Comando russo. Previsioni.

In sintesi, nella quarta fase della guerra comincia a risultare chiaro che il dispositivo militare russo ha raggiunto, o è sul punto di raggiungere, le condizioni necessarie e sufficienti a imprimere al conflitto la direzione voluta dal suo comando militare e politico.

Ovviamente, solo l’Alto Comando russo sa, o saprà, quale sia questa direzione, ma attualmente esso pare in grado di:

  1. proseguire la guerra d’attrito, applicando costantemente sul dispositivo militare ucraino, e sull’intera società ed economia ucraine, la sua forza superiore: così risparmiando la propria risorsa più preziosa, gli uomini. Gli uomini sono la risorsa russa più preziosa dal punto di vista politico, per evidenti ragioni rafforzate dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali russe del 2024. Sono la risorsa più preziosa anche dal punto di vista militare, e in special modo lo sono i veterani, che devono addestrare e integrare nei reparti i riservisti richiamati, nessuno dei quali ha esperienza diretta di una guerra a così alta intensità (non ce l’ha nessuno al mondo tranne chi vi ha partecipato, nell’uno o nell’altro schieramento)
  2. passare all’offensiva su grande scala, su una o più direttrici. Prevedibili obiettivi strategici, l’annientamento progressivo della capacità di combattere dell’esercito ucraino; la riconquista delle porzioni territoriali dei quattro oblast annessi alla Russia, e riprese dall’Ucraina in seguito al ripiegamento russo; l’occupazione e l’annessione alla Russia di Odessa e dell’intero territorio della Novorossiya, in modo da escludere l’Ucraina dall’accesso al mare.

Probabilmente, nelle valutazioni dell’Alto Comando russo sono presenti, e non in secondo piano, le previsioni sulla reazione occidentale all’una e all’altra decisione operativa russa. Proseguire la guerra d’attrito consente alle direzioni occidentali di rinviare le decisioni strategico-politiche su escalation o de-escalation, e probabilmente avvantaggia la fazione favorevole alla de-escalation, dandole il tempo di organizzarsi meglio, trovare alleati, diffondere pubblicamente i suoi argomenti. Passare all’offensiva le obbliga a scegliere in tempi brevi, brevissimi se l’offensiva ha presto un chiaro successo. La fazione statunitense favorevole alla de-escalation è tuttora minoritaria: la situazione sul campo la favorisce, ma le manca l’appoggio aperto di almeno uno tra i più importanti alleati europei.

A mio avviso, per la Russia è vantaggioso evitare un’accelerazione del conflitto, sia per i rischi di fallimento e i costi umani sempre associati alle azioni offensive su grande scala, sia per non servire una carta decisiva al “partito della guerra a oltranza” statunitense, che sull’onda dell’emozione potrebbe iniziare una diretta, formale implicazione di forze occidentali nella guerra; per esempio, il varo di una “coalizione dei volonterosi” come proposto nel novembre 2022 a dal gen. (a riposo) David Petraeus, ossia con truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera, ma non in quanto membri della NATO, in seguito a una richiesta di aiuto militare del governo ucraino: un escamotage giuridico per evitare un aperto conflitto diretto NATO – Russia, che rischierebbe di interessare anche il territorio statunitense.

Quindi, se devo arrischiare una previsione, penso che la Russia continuerà ancora a lungo la guerra d’attrito.

 

Vittoria decisiva della sola Ucraina. Vittoria decisiva con intervento diretto occidentale. Possibilità e probabilità

In estrema sintesi, a un anno dall’inizio della guerra risulta chiaro che una decisiva vittoria militare ucraina sulla Russia è materialmente impossibile, per quanto possano proseguire, o anche aumentare, nelle forme attuali, gli aiuti occidentali. La situazione può cambiare solo con un diretto coinvolgimento di truppe occidentali.

Comincia però ad albeggiare il dubbio, anche nelle direzioni politico-militari occidentali, che un diretto coinvolgimento di truppe occidentali nella guerra non basti ad assicurare, o almeno a rendere altamente probabile, la vittoria decisiva sulla Russia. Dubbiosi sono soprattutto i militari: per questo la fazione statunitense favorevole alla de-escalation si incardina sul Pentagono. Motivi:

  1. l’attuale dispositivo militare dell’intera NATO, Stati Uniti compresi, non è concepito e preparato per una guerra convenzionale ad alta intensità contro un nemico capace di condurla, come la Russia. Dalla fine della Guerra Fredda, tutte le nazioni NATO hanno fortemente ridotto i loro eserciti, dismesso gran parte delle strutture logistiche militari, indirizzato la struttura e l’addestramento delle loro FFAA, e la produzione delle loro industrie militari, a conflitti di breve durata contro nemici nettamente inferiori, in genere appartenenti al “Grande Sud del mondo”; una decisione tutto sommato ragionevole, finché la NATO non si è contrapposta alla Russia, che in effetti non la minacciava affatto.
  2. La Russia, invece, ha strutturato le sue FFAA e la sua industria militare in vista di una guerra difensiva contro la NATO, come è nella tradizione storica di un paese che da sempre deve fronteggiare e respingere grandi invasioni del suo territorio. Sinora ha privilegiato la difesa di ultima istanza, la triade nucleare, ma come prova la guerra in Ucraina non ha abbandonato la preparazione convenzionale e la sta rafforzando. Essa ha inoltre guadagnato, in settori decisivi come la missilistica e la difesa contraerea, la superiorità relativa rispetto agli Stati Uniti. Per compensare lo svantaggio ci vogliono anni.
  3. Un riarmo occidentale è molto arduo, il suo esito incerto, i tempi lunghi. I finanziamenti, anche massicci, non bastano: il denaro può comprare solo quel che già esiste, e quel che già esiste non basta. Per far esistere quello che manca, è necessario anzitutto determinare politicamente la strategia di sicurezza collettiva della NATO, un processo molto complicato e difficile anche per la frammentazione dei centri decisionali. Se il nemico principale della NATO è la Russia, è indispensabile, come minimo, e giusto per cominciare: costruire un alto numero di cacciabombardieri da impiegare in appoggio alla fanteria, e in grado di sopravvivere alle difese missilistiche russe; costruire le infrastrutture logistiche necessarie a un’ampia proiezione delle forze in caso di crisi, con la relativa pianificazione; varare un grande programma di difesa antiaerea integrata del territorio europeo; varare un vasto programma di reclutamento e addestramento truppe, in specie di ufficiali e sottufficiali. Al riguardo, è bene tenere presente che la rinuncia da parte di tutti i paesi NATO alla coscrizione obbligatoria ha provocato la perdita di ingenti riserve addestrate alle quali far ricorso in caso di necessità. In sostanza, in caso di una guerra che ci coinvolga, prenda tempi lunghi e sconti perdite rilevanti, mobilitazioni come quelle indette da Mosca e dall’Ucraina sono quasi impossibili, per i paesi dell’Europa Occidentale. Segue un lungo eccetera.
  4. Ovviamente, un diretto coinvolgimento occidentale nella guerra impedirebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sul contenimento della Cina, rinsalderebbe l’alleanza di quest’ultima con la Russia, esporrebbe gli USA a una possibile guerra su due fronti contro due grandi potenze nucleari, e aumenterebbe progressivamente il rischio che nel conflitto con la Russia facciano capolino le armi atomiche. Quanto più diretto e intenso il conflitto convenzionale tra due grandi potenze nucleari come Russia e USA, tanto più probabile che il contendente che si credesse esposto a una probabile sconfitta decisiva mediti seriamente di impiegare le armi nucleari.
  5. Altrettanto ovviamente, in un conflitto diretto tra forze occidentali e Russia le perdite occidentali si conterebbero a decine di migliaia, un costo umano difficile da giustificare politicamente.

 

La doppia trappola strategica

Con l’allargamento a Est della NATO, e insistendo per includervi l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso una trappola strategica alla Russia, costringendola a scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo: accettare il divieto di avere una sfera d’influenza, e la minacciosa presenza di un bastione militare occidentale sulla soglia della Russia europea; oppure intervenire militarmente, assumendosi il grave rischio di un conflitto con la NATO, e compromettendo i propri rapporti politici ed economici con l’Europa. Questa è la prima ganascia della trappola strategica in cui la Russia è entrata ad occhi aperti, dopo aver tentato per quattordici anni di evitarla.

Gli Stati Uniti, però, hanno gravemente sottovalutato le capacità di resistenza e di reazione, militari, economiche, politiche e sociali della Federazione russa, e altrettanto sopravvalutato sia il prestigio deterrente della propria forza, sia le proprie attuali capacità e potenzialità militari ed economiche.  Si trovano dunque a dover scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo.

La prima alternativa è la riduzione del danno, una de-escalation del conflitto ucraino che si risolve in una netta sconfitta politico-diplomatica, una pesante perdita di prestigio deterrente, la possibile apertura di faglie di crisi nel sistema di alleanze, e seri contraccolpi politici interni, es. una grave delegittimazione complessiva della classe dirigente.

La seconda alternativa è la fuga in avanti, una escalation a oltranza del conflitto, con l’eventuale – anzi probabile, perché necessario – coinvolgimento diretto di truppe occidentali; il rischio di una guerra convenzionale ad alta intensità per la quale gli USA e la NATO non sono preparati; il possibile futuro interessamento del territorio nazionale statunitense, e in prospettiva, la crescente possibilità di una degenerazione nucleare dello scontro.

Questa è la seconda ganascia della doppia trappola strategica, e ora si richiude sugli Stati Uniti che l’hanno tesa: ma vi sono entrati a occhi chiusi, e solo ora cominciano a vederla.

Ate, la dea che acceca, «da principio seduce l’uomo con amiche sembianze, ma poi lo trascina in reti donde speranza non c’è che mortale fugga e si salvi» (Eschilo, I persiani, 96-100)

Roberto Buffagni

 

[1] Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

Abstract: “La discussione sulla guerra Russia-Ucraina a Washington è sempre più dominata dalla questione di come potrebbe finire. Per informare questa discussione, questa Prospettiva identifica i modi in cui la guerra potrebbe evolversi e in quale modo le traiettorie alternative influenzerebbero gli interessi degli Stati Uniti. Gli autori sostengono che, oltre a ridurre al minimo i rischi di una grave escalation, gli interessi degli Stati Uniti sarebbero meglio serviti evitando un conflitto prolungato. I costi e i rischi di una lunga guerra in Ucraina sono significativi e superano i possibili benefici di una tale traiettoria per gli Stati Uniti. Sebbene Washington non possa determinare da sola la durata della guerra, può adottare misure che rendano più probabile un’eventuale conclusione negoziata del conflitto. Attingendo alla letteratura sulla cessazione della guerra, gli autori identificano i principali ostacoli ai colloqui Russia-Ucraina, come il reciproco ottimismo sul futuro della guerra e il reciproco pessimismo sulle implicazioni della pace. La prospettiva evidenzia quattro strumenti politici che gli Stati Uniti potrebbero utilizzare per mitigare questi ostacoli: chiarire i piani per il futuro sostegno all’Ucraina, assumere impegni per la sicurezza dell’Ucraina, rilasciare assicurazioni sulla neutralità del paese e stabilire le condizioni per la revoca delle sanzioni alla Russia.”

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Carri armati e tragedia, di Michael Brenner

Mai nella memoria è stato così scoraggiante capire cosa sta succedendo durante una grave crisi internazionale come con la vicenda Ucraina.

Quella triste verità deve molto alla totale assenza di resoconti veritieri e analisi interpretative oneste da parte del MSM. Ci vengono servite porzioni pesanti di falsità, fantasia e farragine mescolate grossolanamente in una narrazione il cui rapporto con la realtà è tenue.

L’inghiottimento quasi universale di questa confezione è reso possibile dall’abdicazione della responsabilità – intellettuale e politica – da parte della classe politica americana, dall’alto e potente di Washington attraverso la galassia di carri armati senza pensiero e accademia egocentrica.

Ora, la legione di sceneggiatori di questa storia immaginaria sta lavorando con rinnovata energia per incorporare alcuni nuovi elementi: la decisione del presidente Joe Biden/NATO di inviare una serie eclettica di armature per sostenere le vacillanti forze dell’Ucraina; e le prove crescenti dello smantellamento paralizzante e incrementale del suo esercito da parte dell’esercito superiore della Russia.

Come sempre, quella reazione si rivela un esercizio di comportamento di evitamento. I circa 100 carri armati previsti per arrivare in modo frammentario nel corso del prossimo anno saranno un “punto di svolta”. L’esercito di Putin è una comprovata “tigre di carta”. La “democrazia” è destinata a prevalere sulla barbarie dispotica.

O così ci viene detto in dosi da far rivoltare lo stomaco di olio di serpente. Immagino che tutti abbiamo dei modi per divertirci.

Una confutazione sistematica di questa costruzione mitica è superflua e futile. È stato fatto nell’ultimo anno da analisti capaci, esperti e premurosi che sanno davvero di cosa stanno parlando: il colonnello Douglas Macgregor, il professor Jeffrey Sachs, il colonnello Scott Ritter e una manciata di altri che insieme sono relegati in oscuri siti web e disprezzati da il MSM.

Ecco un’analisi acuta di Ritter in Consortium News dell’effettivo valore militare dell’infusione di carri armati e altre armature e di ciò che questa mossa fa presagire per la traiettoria della guerra.)

A titolo di introduzione, aggiungo la mia personale valutazione dell’attuale quadro strategico e di dove siamo diretti. Si basa sull’inferenza – in una certa misura – così come sulla mia lettura della genealogia del conflitto. I punti principali sono espressi in frasi schiette e dichiarative. Ciò mi sembra necessario per rompere la nebbia delle fabbricazioni (bugie) e delle distorsioni calcolate che oscurano ciò che dovrebbe essere evidente.

Punti di partenza 

Il vertice della NATO dell’aprile 2008 a Bucarest, in Romania, dove le “aspirazioni dell’Ucraina ad aderire alla NATO” sono state formalmente accolte. (Archivio della Cancelleria del Presidente della Repubblica di Polonia, Wikimedia Commons)

Il punto di partenza della crisi è stato nel febbraio 2014, quando l’amministrazione Obama ha ispirato e orchestrato un colpo di stato a Kiev che ha usurpato il presidente democraticamente eletto Viktor Yanukovich. Victoria Nuland, assistente del segretario di stato degli Stati Uniti, era lì a Maidan Square a guidare il tifo e connivenza insieme a suo fratello nella rivoluzione colorata, l’ambasciatore Geoffrey Pyatt.

Hanno collaborato con gruppi ultranazionalisti estremisti e violenti con i quali Washington aveva attivamente coltivato legami per un certo numero di anni. Quegli ultras dominano ancora oggi i servizi di sicurezza ucraini e l’organo politico chiave del governo, il Consiglio di sicurezza.

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Il golpe di Maidan è stato il culmine del radicato obiettivo americano di incorporare un’Ucraina anti-russa nell’orbita organizzativa occidentale: la NATO in primis, come aveva cercato di fare il presidente George W. Bush già nel 2008.

Il picchetto di una Russia tenuta ai margini di un’Europa diretta dagli americani era stato un obiettivo sin dal 1991. L’emergere di un leader forte e altamente efficace come rappresentato da Vladimir Putin ha accelerato la necessità percepita di mantenere la Russia debole e inscatolata.

In cima al furgone, il leader ucraino dell’opposizione di estrema destra Oleh Tyahnybok, a sinistra, insieme a Vitali Klitschko e Arseniy Yatsenyuk, al centro, rivolgendosi ai manifestanti di Euromaidan, 27 novembre 2013. (Ivan Bandura, CC BY 2.0, Wikimedia Commons)

L’insurrezione/secessione del Donbass, provocata dal Primo colpo di Stato accompagnato dall’ascesa al potere di elementi rabbiosi a Kiev dediti a soggiogare i circa 10 milioni di russi del paese, portò all’autonomia delle oblast di Donetsk e Luhansk, nonché all’integrazione delle Crimea (storicamente e demograficamente parte della Russia) nella Federazione Russa.

Da quel momento in poi, gli Stati Uniti hanno elaborato ed eseguito una strategia per invertire entrambi i turni, per rimettere la Russia al suo posto e tracciare una netta linea di separazione tra essa e tutta l’Europa a ovest.

L’Ucraina divenne di fatto un protettorato americano. I ministeri chiave sono stati salati con consiglieri americani, incluso il Ministero delle finanze guidato da un cittadino americano inviato da Washington. È stato intrapreso un massiccio programma di armamento, addestramento e in generale di ricostituzione dell’esercito ucraino. (Negli anni del presidente Barack Obama, il supervisore del progetto era il vicepresidente Joe Biden.)

7 dicembre 2015: il vicepresidente degli Stati Uniti Biden e il presidente ucraino Petro Poroshenko a Kiev. (Ambasciata USA Kiev, Flickr)

Washington ha anche usato la sua influenza per indebolire gli accordi di Minsk II in cui Ucraina e Russia hanno firmato una formula per la risoluzione pacifica della questione del Donbass, presumibilmente sottoscritta da Germania e Francia e approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ora sappiamo da sincere testimonianze pubbliche che Kiev, Berlino e Parigi non avevano alcuna intenzione fin dall’inizio di attuarlo. Piuttosto, era un espediente per guadagnare tempo per rafforzare l’Ucraina al punto da poter riconquistare i territori “perduti” infliggendo una sconfitta militare alla Russia.

[Correlato:  SCOTT RITTER: Merkel rivela la doppiezza di West ]

L’amministrazione Biden ha fatto i preparativi per aumentare le tensioni al punto da rendere inevitabile un conflitto armato. Il bombardamento sporadico della città di Donetsk (dove 14.000 civili sono stati uccisi tra il 2015 e il 2002, secondo una stima ufficiale di una commissione delle Nazioni Unite) è stato moltiplicato, le unità dell’esercito ucraino si sono radunate in massa lungo il confine delimitato. La Russia ha anticipato. Il resto è storia.

(Tutta la recitazione di cui sopra è una questione di pubblico dominio e documentata.)

Marzo 2015: i civili passano mentre l’OSCE monitora il movimento di armi pesanti nell’Ucraina orientale. (OSCE, CC BY-NC-ND 2.0)

Dove siamo ora?

Qui, l’inferenza ha la precedenza.

L’amministrazione Biden si è impegnata all’escalation con il dispiegamento di sistemi di armi pesanti precedentemente preclusi. Ha armato con forza anche i suoi alleati dell’Europa occidentale per fornire armamenti. Come mai? Le persone che guidano la politica a Washington non possono sopportare la prospettiva di una sconfitta.

Vale a dire, uno schiacciamento russo dell’esercito ucraino, la sua incorporazione delle rivendicate quattro province e la fatua narrativa occidentale mostrata come poco più di una serie di bugie. È stato investito troppo in termini di prestigio, denaro e capitale politico perché tale risultato fosse tollerato.

Inoltre, proprio come l’Ucraina è stata usata cinicamente come strumento per mettere in ginocchio la Russia, così la snaturazione della Russia come potenza è vista come parte integrante del confronto globale con la Cina che domina tutto il pensiero strategico.

L’opzione di elaborare termini di coesistenza e concorrenza non coercitiva con la Cina è stata respinta a titolo definitivo. Quasi tutta la classe politica americana è determinata a rafforzare l’egemonia globale del paese e si sta attrezzando per farlo. Il resto del paese deve ancora essere informato ed è troppo distratto per preoccuparsi di prestare attenzione ai segni evidenti di ciò che sta accadendo.

Il programma strategico è stato delineato nel famigerato promemoria del marzo 1991 di Paul Wolfowitz, l’allora sottosegretario per la politica del Pentagono, sulla prevenzione dell’ascesa di qualsiasi superpotenza rivale. Questa è diventata Scrittura per la maggior parte della comunità di politica estera.

(I suoi contenuti, insieme alla genesi dei neo-con che l’hanno adottata molto tempo fa come scrittura sacra, hanno compiuto la trasformazione storica da una sola setta all’essere la fede dottrinale semi-ufficiale dell’intero impero americano.)

2 ottobre 1991: Paul Wolfowitz, a destra, come sottosegretario alla difesa per la politica, durante la conferenza stampa sull’operazione Desert Storm. Gen. Norman Schwarzkopf al centro. (Lietmotiv via Flickr)

L’assoluto fallimento nel far crollare l’economia russa, aprendo così la strada al cambiamento politico a Mosca, e rendendo inutile il suo supplemento al potere cinese è una delusione; ma ciò non turba i veri credenti. Gli Stati Uniti hanno unificato un occidente collettivo imbrigliato come le sue pedine volenterose che acconsentono a qualunque mossa Washington voglia che seguano.

L’evento segnale che sottolinea quella straordinaria subordinazione fu l’accordo della Germania per consentire agli Stati Uniti (e soci) di far saltare in aria gli oleodotti Nordstrom, che i successivi governi di Berlino avevano ritenuto essenziali per soddisfare il fabbisogno energetico dell’industria tedesca.

Si può razionalizzare come la disponibilità del cancelliere Olaf Scholz a “prenderne uno per la squadra”. Quale squadra? Quale prevalente interesse nazionale? Gli annali della storia non registrano un caso paragonabile di uno stato sovrano che si è inflitto un danno così grave di sua spontanea volontà.

Mappa delle esplosioni causate ai gasdotti Nord Stream il 26 settembre 2022. (FactsWithoutBias1, CC-By-SA 4.0, Wikimedia Commons)

Un ulteriore vantaggio della vicenda ucraina, agli occhi dei politici americani, è la cristallizzazione di un sistema internazionale la cui struttura di base è bipolare – un mondo “noi contro loro” simile alla Guerra Fredda – conveniente nella misura in cui pone pochi richieste di immaginazione intellettuale o di abile diplomazia per le quali non hanno né attitudine né appetito.

Tutti i membri del collettivo West hanno aderito al piano di escalation di Biden. Così anche, ovviamente, le fazioni dominanti nel governo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Ci sono buone ragioni per pensare che lo scopo dell’improvvisa visita del direttore della CIA William Burns a Kiev pochi giorni prima dell’annuncio del dispiegamento del carro armato Abrams fosse quello di garantire che non ci fossero disertori nella cerchia ristretta di Zelensky o altri alti funzionari che avrebbero potuto raffreddarsi. piedi alla prospettiva che l’Ucraina diventi il ​​campo di battaglia di una guerra russo-americana con effetti simili a quelli che aveva subito dal 1941 al 1944.

La visita di Burns è stata seguita quasi immediatamente da una massiccia epurazione dei ranghi dirigenziali insieme ai funzionari di livello inferiore. La linea ufficiale, accettata dal sempre flessibile MSM, è stata che questa epurazione rappresentava una virtuosa campagna anticorruzione, anche se nel bel mezzo di una guerra su vasta scala.

Ci è stato detto che Burns è venuto fin lì per chiarire alcuni problemi minori (e forse per fare il bagno?). Lo stesso Zelenskyj era diventato una risorsa troppo preziosa come annunciato salvatore dell’Ucraina per sbarazzarsi di se stesso, come lo era Ngo Dinh Diem in Vietnam nel 1963.

Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky mostra un regalo fatto dal presidente della Camera Nancy Pelosi dopo il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il ​​21 dicembre 2022. (C-Span still)

Burns ha senza dubbio offerto garanzie di essere al sicuro, chiunque altro sarebbe stato gettato in mare. È quasi impossibile vedere come gli obiettivi degli Stati Uniti possano essere raggiunti in Ucraina. Tuttavia, i neo-conservatori non hanno alcuna “marcia indietro” – per usare l’appropriata frase dell’analista Alexander Mercouris.

Hanno istigato una crociata volta a garantire il dominio globale dell’America, per sempre e subito. L’Ucraina è una stazione di passaggio sulla strada per quella Gerusalemme visionaria. Nel loro grande schema, tuttavia, non sono riusciti a preoccuparsi di una strategia coerente e fattibile per risolvere l’attuale crisi.

Per quanto riguarda il presidente Joe Biden, sembra essere solo nominalmente al comando. È stato interamente catturato dai neoconservatori. Non sente altre voci. Come un falco istintivo per tutta la vita, si sporge nella loro direzione. È vecchio e debole.

Prima della fine dell’anno, è probabile che tutti noi affronteremo il momento della verità. Le forze russe saranno sul Dnepr e, in alcuni punti, oltre. L’esercito ucraino sarà allo stremo, nonostante Abrams, Leopard II, Challenger, Bradley ecc. Cosa fa allora il gruppo di Biden ingannato e incapace? Tutto è possibile.

Michael Brenner è professore di affari internazionali all’Università di Pittsburgh. mbren@pitt.edu

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La coalizione di carri armati della NATO è un’escalation, ma il suo significato non dovrebbe essere esagerato, di Andrew Korybko

Entrambe le parti dovrebbero astenersi dall’indulgere nel cosiddetto “copio” e smettere di far girare questa mossa come se fosse un punto di svolta o uno squib umido poiché non è né l’uno né l’altro. Sicuramente è un’escalation, ma non porterà nemmeno alla vittoria “inevitabile” di Kiev. Come ha recentemente affermato l’esperto militare russo Mikhail Khodaryonok, “il campo di battaglia è l’unica cartina di tornasole”, che presto tutti guarderanno svolgersi in tempo reale.

”Una risposta tangibile alla “nuova narrativa”

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I paesi della NATO hanno finalmente deciso di formare una coalizione per l’invio di carri armati moderni in Ucraina dopo un dibattito tra di loro su questo sviluppo, che rappresenta l’ultima escalation nella loro guerra per procura  contro la Russia. Le capacità militari di Kiev alla fine saranno quindi rafforzate al punto in cui potrebbe avere maggiori possibilità di sfondare la linea di controllo (LOC) che è rimasta congelata  per la maggior parte dell’ultimo semestre con poche eccezioni, quelle ovviamente nelle Regioni di Kharkov e Cherson ..

La tempistica di questa mossa è importante poiché dà credito alle osservazioni “politicamente scorrette” sulle reali dinamiche strategico-militari di questo conflitto che i media occidentali del Mainstream (MSM) guidati dagli Stati Uniti fino a poco tempo fa avevano insabbiato. Prima di metà gennaio, la “narrativa ufficiale” era una delle presunte “inevitabili” vittorie di Kiev, ma americani polacchi ,  e persino alcuni funzionari ucraini si sono coordinati per spostarla decisamente in una situazione in cui ora sono seriamente preoccupati per la possibile sconfitta di Kiev.

Questo capovolgimento narrativo è avvenuto nel mezzo delle dinamiche sempre più destabilizzanti del “deep state” dell’Ucraina,  caratterizzate dalle feroci lotte interne dei servizi di sicurezza che persino la “Radio Free Europe/Radio Liberty” gestita dallo stato statunitense ha tacitamente riconosciuto mettendo in discussione il capo dell’intelligence militare  che si è lamentato di questo. Quell’intrigo a sua volta ha catalizzato l’epurazione de facto di vasta portata di Zelenskyj di funzionari militari, regionali e della sicurezza all’inizio della settimana, che sembra aver consolidato con successo il suo potere, almeno per ora.

I paesi della NATO si sono quindi sentiti abbastanza a proprio agio nel formare la coalizione precedentemente descritta di cui hanno discusso già nell’ultimo mese, poiché opportunisti speculativi e pacifisti all’interno del regime del loro delegato ora hanno meno possibilità di controbilanciare i loro piani. Riguardo a loro, non è chiaro quanto del precedente dibattito guidato dai tedeschi su questo fosse sincero e fino a che punto avrebbe potuto essere messo in scena per ragioni di gestione della percezione al fine di spostare il bisogno dell’opinione pubblica su questo tema.

Obiettivi logistici e politici supplementari

In ogni caso, il risultato è lo stesso, vale a dire che la NATO sta intensificando la sua guerra per procura contro la Russia attraverso l’Ucraina attraverso la formazione di una coalizione di carri armati che potrebbe benissimo evolversi rapidamente in una che invii presto altre armi moderne a Kiev come jet e armi di lunga durata. missili a gittata .  La ragione di questa previsione è che il “mission creep” è chiaramente in atto per cui quell’alleanza anti-russa è ora spinta a garantire un cosiddetto “ritorno sull’investimento” tangibile sul campo dopo aver già dato a Kiev oltre $ 100 miliardi ..

La loro coalizione appena assemblata avanza anche importanti obiettivi logistici e politici accanto a quelli militari evidenti. Per quanto riguarda il primo, aiuta ad alleviare la wellben nota pressione -sui loro complessi militari-industriali (MIC) cambiando la natura delle armi inviate a Kiev invece di rischiare l’ulteriore esaurimento delle scorte esistenti che si sono già esaurite. Per quanto riguarda il secondo, questa cosiddetta “condivisione degli oneri” rafforza l’ egemonia recentemente riaffermata degli Stati Uniti sull’Europa.

Minimizzando questo sviluppo

Per passare a una spiegazione del motivo per cui il significato di questa escalation non dovrebbe essere esagerato, occorre innanzitutto ricordare agli osservatori che sta avvenendo proprio nel momento in cui Kiev viene gradualmente respinta dal Donbass dopo Russia’s liberation of Soledarla liberazione di Soledar da parte della Russia .  Le dinamiche strategico-militari sul campo hanno finalmente cominciato a superare l’impasse precedente che ha ampiamente caratterizzato l’ultimo semestre e a favore della Russia, da qui l’urgenza con cui la NATO ha riunito la sua coalizione di carri armati.

A dire il vero, questo in teoria sarebbe potuto accadere all’inizio dell’operazione speciale della Russia, ma il Golden Billion ,  dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti era impreparato alla reazione cinetica di Mosca all’attraversamento delle sue linee rosse di sicurezza nazionale in Ucraina e pensava anche che avrebbero potuto paralizzare il Cremlino a buon mercato. Ecco perché nell’ultimo anno hanno eliminato attrezzature obsolete dalle loro scorte invece di dare immediatamente la priorità alle armi moderne come i carri armati che stanno per inviare. Il motivo per cui ora stanno inviando attrezzature molto più costose e moderne è perché la Russia ha distrutto tutte quelle armi obsolete che erano già state inviate lì. Questa osservazione conferma quanto siano formidabili le sue forze armate che sono state in grado di eliminare una quota così ampia delle scorte della NATO in meno di un anno intero, riuscendo comunque a congelare la LOC fino ad ora. Dal momento che un cessate il fuoco è politicamente fuori discussione per quell’alleanza anti-russa, hanno quindi deciso di intensificare.

Il nuovo modello di guerra per procura della NATO

In nessuna circostanza possono de facto riconoscere i guadagni sul campo della Russia in quelle che erano le ex regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, poiché ciò dimostrerebbe che questa grande potenza eurasiatica è stata in grado di resistere con successo all’assalto senza precedenti della guerra per procura della NATO contro di essa. Le conseguenze politiche di ciò esporrebbero i limiti militari di questo blocco  Nuova Guerra Fredda  che ridurrebbe quindi le possibilità che possano esportare il loro nuovo modello di guerra per procura altrove in futuro.

Il suddetto modello di cui sono stati i pionieri nel corso dell’attuale conflitto è nuovo nel senso di come è destinato a intensificare i dilemmi della sicurezza regionale al fine di far pendere l’ago della bilancia a favore della NATO. Per riassumere, le capacità militari di uno stato più piccolo vengono rapidamente sviluppate con il supporto di quel blocco al fine di metterlo nella posizione di ricattare eventualmente il suo vicino più grande, dopodiché quello stato preso di mira è costretto a capitolare o intraprendere un’azione cinetica transfrontaliera per neutralizzare la minaccia.

Il primo porterebbe inevitabilmente la NATO a costringere quel più grande stato adiacente a una serie di infinite concessioni unilaterali volte a neutralizzare alla fine la sua autonomia strategica e quindi a trasformarlo in uno stato vassallo. Il secondo, nel frattempo, indurrebbe immediatamente la NATO a correre al sostegno del suo delegato, nello stesso modo in cui ha appena fatto con l’Ucraina, per perpetuare indefinitamente una guerra per procura volta a erodere le capacità militari di quel più grande stato adiacente parallelamente alla produzione del pretesto per le sanzioni.

Il potente colpo della Russia ai piani per procura della NATO

La Russia è l’attuale obiettivo del nuovo modello di guerra per procura della NATO, ma si prevede che anche Cina and e Iran finiranno nel mirino della perfezione di questo modello (o almeno delle sue modifiche) nel corso del conflitto ucraino, a meno che non scelgano di capitolare prima. Detto questo, se questo stesso modello viene screditato in Ucraina quando la Russia dimostra che il delegato regionale della NATO non può difendere il territorio che rivendica con il suo sostegno, allora altri attori regionali potrebbero esitare a replicare il ruolo di guerra per procura di Kiev.

Dopotutto, vedrebbero che rischiano tangibilmente di perdere parecchio seguendo i complotti di guerra per procura regionale di quel blocco invece di vincere immensamente come la NATO aveva affermato in precedenza che l’Ucraina “inevitabilmente” avrebbe resistito fino a quando i suoi membri americani e polacchi non avessero decisamente ribaltato il “narrativa ufficiale” su questa guerra per procura. Inoltre, altri potenziali delegati vedono già che la Russia ha distrutto le scorte obsolete della NATO che erano già state inviate in Ucraina, il che significa che il blocco ora ha meno da risparmiare per altri delegati.

Allo stato attuale, il nuovo modello di guerra per procura della NATO ha già subito un duro colpo poiché la Russia ha esaurito con successo le sue scorte obsolete e quindi ha portato quel blocco ad avere molto meno da dare agli altri in qualsiasi momento fino a quando il suo MIC non reintegra le sue perdite, il che è previsto impiegare almeno qualche anno. Pertanto, non si può dare per scontato che il suo invio di armi più moderne farà una differenza significativa sul campo, poiché anche la Russia potrebbe benissimo distruggerle.

Keen Insight From Mikhail KhodaryonokIntuizione acuta da Mikhail Khodaryonok

A questo punto è importante fare riferimento all’intuizione recentemente condivisa da Mikhail Khodaryonok nella sua ultima analisi per RT . . Quell’esperto militare ha affermato in modo convincente che il numero di carri armati che probabilmente verranno inviati in Ucraina sarà insufficiente per cambiare seriamente le dinamiche lungo la LOC, sebbene abbia anche riconosciuto che “Il campo di battaglia è l’unica cartina di tornasole per i vantaggi e gli svantaggi di qualsiasi tipo di arma o equipaggiamento militare”.

Ha ragione su entrambi i fronti, anche se la visione strategica più ampia condivisa finora in questa analisi aggiunge credito alla conclusione di Khodaryonok secondo cui il significato di quest’ultima escalation non dovrebbe essere esagerato poiché la Russia ha dimostrato fino a questo punto di poter gestire tali sviluppi. Naturalmente, l’introduzione di armi più moderne in questa guerra per procura è sicuramente un nuovo fattore che dovrebbe essere preso sul serio, ma sarebbe stato più significativo se fosse successo un anno fa invece che adesso.

L’ultima possibilità di Kiev

La tempistica di questo sviluppo suggerisce che si sta ricorrendo a esso come un disperato tentativo disperato per garantire almeno che la LOC rimanga congelata dopo che le dinamiche strategico-militari hanno finalmente iniziato a muoversi a favore della Russia su di essa facendo gradualmente progressi tangibili nel Donbass seguendo l’azione di Soledar liberazione. La NATO spera che cambierà le regole del gioco consentendo a Kiev di invertire quest’ultima tendenza e quindi riconquistare parte del territorio che rivendica, ma tale risultato non può essere dato per scontato come è stato spiegato.

Se l’invio di carri armati più moderni in Ucraina non riesce a raggiungere l’obiettivo minimo della NATO di congelare almeno il LOC, allora non si può escludere che potrebbe presto inviare jet più moderni e missili a lungo raggio troppo presi dal panico per preservare il blocco del blocco. reputazione che rischierebbe di essere rovinata dalle conquiste della Russia. Le percezioni globali di questa alleanza guidata dagli Stati Uniti andrebbero in frantumi se Mosca continuasse a fare progressi tangibili sul campo, nonostante quei carri armati più moderni che il blocco ha inviato in Ucraina.

Pensieri conclusivi

Lo scenario peggiore è che la NATO possa intervenire formalmente nel conflitto (a livello multilaterale o solo attraverso la Polonia )  per stabilire una netta linea rossa nella sabbia da qualche parte all’interno del resto dell’Ucraina se i suoi più moderni carri armati, jet e lunghi tutti i missili a lungo raggio non riescono a fermare il rullo compressore russo. È troppo presto per prevedere con sicurezza che quegli eventi si svolgeranno, ma è anche troppo presto per liquidarli a priori, soprattutto se si considerano i calcoli militari, politici, di soft power e strategici della NATO.

Come dichiarato dal titolo di questa analisi, la coalizione di carri armati anti-russi è quindi davvero un’escalation, ma anche il suo significato non dovrebbe essere esagerato. Entrambe le parti dovrebbero astenersi dall’indulgere nel cosiddetto ” copiumcopio ”  e smettere di far girare questa mossa come se fosse un punto di svolta o uno squib umido poiché non è né l’uno né l’altro. Sicuramente è un’escalation, ma non porterà nemmeno alla vittoria “inevitabile” di Kiev. Come ha detto Khodaryonok, “il campo di battaglia è l’unica cartina di tornasole”, che presto tutti guarderanno svolgersi in tempo reale.

https://korybko.substack.com/p/natos-tank-coalition-is-an-escalation

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Amico, nemico e cobelligerante: qualifiche giuridiche in guerra di Victor MARTIGNAC

La guerra richiama le armi ma anche la legge. La qualificazione giuridica dei belligeranti nasce sempre per stabilire un ordine e le responsabilità di ciascuno. L’Ucraina non fa eccezione a questa regola: tra amico, nemico e cobelligerante è aperto un vero e proprio dibattito legale.

Il dibattito mediatico si è concentrato sulla nozione di “cobelligeranza”, in particolare a seguito delle consegne di armi all’Ucraina. Il dibattito è stato particolarmente aperto a seguito dell’invio dei fucili CAESAR, poi riemerso con acutezza grazie all’annuncio ufficiale di una consegna di veicoli AMX-10 RC. La disciplina giuridica dovrebbe essere in grado di qualificare fatti o atti politici in linguaggio teorico; e la guerra, nonostante il suo carattere trans o interstatale , non sfugge alla sua regola positiva .

Questioni legali

Tuttavia, il diritto internazionale, esso stesso frutto contemporaneo di un equilibrio tra grandi potenze, non può emanciparsi dallo stato di fatto delle relazioni internazionali. Tuttavia, questo consenso giuridico sembra essersi infranto sulle sponde della guerra russo-ucraina, lasciando lì un abissale vuoto qualificante, che le autorità politiche occidentali hanno rapidamente colmato, descrivendo Vladimir Putin come un “criminale di guerra”, responsabile di un “genocidio ” e anche di essere a capo di uno “Stato promotore del terrorismo”. Quanto allo stesso Vladimir Putin, ha ritenuto fondato drappeggiare l’invasione del territorio limitrofo di “legittima difesa”. [1]In realtà assistiamo, dietro queste beffe, ad uno spostamento sia morale del diritto di guerra, che però non ha più nulla di universale, e che i giuristi, irascibili su questi temi, tendono spesso ad accentuare in abstracto con irrimediabili consolidando l’incertezza generalizzata relativa allo stato di belligeranza.

In realtà, gli attuali dibattiti sulla cobelligeranza hanno un effetto positivo sul pensiero giuridico. Richiamano il diritto della guerra ai rapporti di inimicizia e di amicizia, senza dover trascrivere né la morale universale del giusto contro l’ingiusto, né la sola volontà degli Stati di definire essi stessi le proprie guerre – ad esempio come “operazione speciale” – o designarsi come belligeranti. Tuttavia, più la dottrina occidentale persiste nel perseguire il suo studio legalistico e depotenziante della guerra in Ucraina, più sprofonda in un groviglio di norma morale e norma giuridica, e finisce per essere solo uno scriba fuori terra. Tuttavia, lo studio legale avrebbe dovuto attenersi al principio che i poteri non hanno idee.– secondo l’adagio di Alain. La questione della (co-)belligeranza è quindi interessante nella misura in cui l’osservazione dei fatti internazionali mette nuovamente in discussione cosa significhi, in diritto, essere un belligerante. A questo proposito, spinge il giurista francese a riconoscere i lamenti del sorgere di nuovi rapporti interstatali, e a manifestare pirronismo, sia in merito alla definizione di belligeranza che in ordine alla validità del diritto internazionale. In breve, dovremmo evitare di concordare con noi stessi che andiamo d’accordo perfettamente, [2] e mettere in discussione la questione legale se non attraverso una lettura inappropriata.

La risposta penale alla guerra

Se è innegabile che la Russia abbia attaccato l’Ucraina e violato il diritto internazionale che intendeva rispettare, l’atteggiamento dei giuristi tende talvolta a condannare in globo l’ingiustizia sotto l’angolo penalista. Infatti, ogni considerazione giuridica sul tema di questa guerra non può che scaturire dall’unico reato di aggressione, spazzando via nel suo cammino le altre questioni giuridiche alla confluenza di guerra e rapporti politici – di cui il tema della belligeranza. Dobbiamo trovare l’origine di questo approccio nella sentenza del Tribunale di Norimberga del 1945, in cui si afferma che “iniziare una guerra di aggressione […] non è solo un crimine internazionale: è il supremo crimine internazionale, diverso dagli altri crimini di guerra solo in quanto li contiene tutti[3] ”. A questo proposito, alcuni accademici hanno già sentito parlare di piegare il caso condannando penalmente la Russia [4] , perché dal 1945, ricorda la dottrina, la guerra “in tutte le sue forme” è diventata “fuorilegge [5] ”. Secondo questo ragionamento, anche se i paesi occidentali passassero all’invio di truppe per combattere contro la Russia, alla fine sarebbero responsabili solo di una giusta legge contro il crimine. [6] Da questo punto di vista la guerra, e la belligeranza che se ne portava, non è più nemmeno una virgola; è esplicitamente bandito dalla ganga legale, che lo rifiuta come contraddizione in séa favore di una sussunzione al reato secondo i termini della Carta delle Nazioni Unite che richiama esclusivamente i termini “aggressione” e “legittima difesa” per designare situazioni di belligeranza.

Questa neutralizzazione assiologica della guerra e la vacuità giuridica che essa comporta dovette tuttavia confrontarsi con questioni realistiche relative alla cobelligeranza, provocando un certo disagio da parte dei giuristi nel darvi una risposta. Così, per il professore e accademico Serge Sur, la posizione giuridica della Francia si troverebbe in un percorso azzardato tra neutralità e cobelligeranza, [7] in una sorta di posizione mediana, precaria e provvisoria. Per altri, seguendo un’interpretazione giurisprudenziale del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, la cobelligeranza potrebbe essere osservata legalmente solo se le nostre truppe combattessero direttamente contro la Russia. [8]Quest’ultima giustificazione dimentica, però, che questa giustizia eccezionale – e quindi la validità delle sue decisioni – è stata approvata solo dopo un lento e laborioso compromesso politico, poi deciso dal Consiglio di Sicurezza.

La trappola legalistica della qualificazione di belligeranza

Rifiutando di mettere in discussione i fondamenti positivi del diritto di guerra, le tesi legaliste finiscono poi per sprofondare in un dedalo di ipotesi a volte stravaganti, come la volontà di condannare Vladimir Putin davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI) o di ritirare la Federazione Russa come un membro permanente del Consiglio di sicurezza. Ricordiamo, a tutti gli effetti, che la giurisdizione della CPI, la cui giurisdizione la Russia non riconosce in alcun modo, non giudica in contumacia. Inoltre, la sanzione più pesante cercherebbe di impedire ai comandanti russi identificati di recarsi negli Stati firmatari dello Statuto di Roma. Da questa constatazione è nato il sogno di istituire un tribunale penale ad hoc e revocare l’immunità di Vladimir Putin. [9]Il legalista può ancora avvalersi delle misure provvisorie prescritte dalla Corte Internazionale di Giustizia nell’ordinanza del 16 marzo 2022, ma la giurisdizione della giurisdizione dipende anche qui dal principio cardine del consenso di ciascuna parte a che il conflitto sia risolto da i giudici. La criminalizzazione della guerra, nonostante l’iniqua aggressione, dipende soprattutto da un accordo tra le volontà dei poteri o più semplicemente dal diritto alla forza, fondamenti in gran parte dimenticati. Tuttavia, seguendo l’esempio di quanto pensava il famoso internazionalista Louis Renault, se dobbiamo cercare i principi volti a vincolare i belligeranti, non possiamo negare totalmente l’esistenza di questi ultimi in diritto, anche se fossero considerati criminali. [10]

In realtà, più il giurista si limita a leggere la legge senza ammetterne i fondamenti, più sprofonda in una dimensione speciosa e pubblicamente ossequiosa del proprio quadro di lettura della belligeranza. Questo spostamento morale si scontra però violentemente con la propria aporia, perché incapace di qualificare idealmente la permanente ridefinizione della cosa internazionale. Tuttavia, come scrive saggiamente Bossuet, «è difficile che le arti della pace si uniscano perfettamente con i vantaggi della guerra [11] ”, vale a dire che è improbabile che garantisca allo stesso tempo pace, polizia e sicurezza internazionale, negando le basi della guerra. Il diritto internazionale deve liberarsi dei suoi luoghi comuni se vuole rimanere rilevante di fronte al conflitto, di cui una delle parti non è uno Stato qualsiasi, ma la prima potenza nucleare: nessun punto giuridico valido al di fuori della realtà! Quanto al giurista, lungi dall’essere un travetto incastrato tra legalismo e giudizi di valore, ha a disposizione altri materiali per riflettere sulla belligeranza come concetto a sé stante, in particolare i criteri di amicizia, inimicizia e neutralità.

Difficile tornare alla dichiarazione di guerra come criterio di belligeranza

Innanzitutto, ci sembra essenziale sottoporre al tema della belligeranza la prima nozione che viene in mente a tutti: la dichiarazione di guerra. [12]È attraverso di esso, infatti, che uno Stato tradizionalmente fa sapere al suo nemico che sta entrando in uno stato di belligeranza. Alcuni hanno anche notato, senza molta più convinzione, che il mancato uso della dichiarazione di guerra equivaleva quindi di diritto all’assenza di belligeranza. Questa affermazione è pertinente? La domanda richiede una doppia risposta negativa. In primo luogo, dal punto di vista del diritto della Carta delle Nazioni Unite, questa dichiarazione non potrebbe bastare per la legalità della guerra, così come un’eventuale dichiarazione della Russia verrebbe immediatamente condannata come illegittima. In secondo luogo, dal solo punto di vista del diritto costituzionale francese, anche questa affermazione è diventata obsoleta, ma possiamo esprimerla in modo un po’ più prolisso.

È vero che l’influenza del diritto internazionale condannava questa nozione di dichiarazione unilaterale dello Stato, ma, in Francia, questa influenza era tanto più conveniente in quanto escludeva la necessità del voto del Parlamento, prescritta dall’articolo 35 della Costituzione . Nell’ambito dell’operazione di coalizione Desert Storm , il primo ministro francese ha ricordato al riguardo che l’andare in guerra è inteso alla luce di “principi, che al vocabolario della guerra preferiscono quello dell’operazione di polizia internazionale [13]“. La dichiarazione è sempre rimasta lettera morta sotto la Quinta Repubblica e, a meno che l’Assemblea nazionale non si ricordi dei doveri che le sono conferiti da questo articolo, la Francia rimarrà costituzionalmente non belligerante fino a quando il suo capo degli eserciti non avrà dichiarato di impegnarsi in questo percorso – e la storia ha dimostrato che era del tutto possibile impegnarsi molto lontano nella belligeranza senza rivendicarla legalmente: durante la guerra d’Algeria, questo ragionamento è stato utilizzato, ad esempio, per giustificare il rifiuto dell’applicazione delle Convenzioni di Ginevra ai prigionieri davanti al aula della Corte di Cassazione. [14]Inutile, quindi, impantanarsi in un nonsenso giuridico del tutto insidioso del solo criterio della dichiarazione di guerra per determinare lo stato di belligeranza, perché si può essere nemico e belligerante senza aver dichiarato guerra. Basti ricordare che tale strumento, pur avendo una missione intrinseca di trasparenza, non ha più, allo stato di diritto, una risonanza positiva per identificare giuridicamente la belligeranza. Il realismo, e la sua parte di “empirismo abbastanza rozzo [15] ” come lo qualificava fatalmente  la dottrina della fine dell’Ottocento [ 16] , riecheggia in ogni caso le eterne affermazioni di un eminente giureconsulto del Settecentosecolo, Cornelius van Bynkershoek, secondo il quale «una guerra può cominciare dalla dichiarazione, d’altra parte può anche nascere da un reciproco scambio di violenza [17] », ogni dichiarazione si riassume in una «solennità [… ] vuoto tra le nazioni . [19]

Una possibile ridefinizione teorica della (co-)belligeranza attraverso il prisma dei nuovi rapporti di stato

Occorre quindi considerare i rapporti di belligeranza diversi dalla sola carica ufficiale che uno Stato intende concedersi, senza per questo emanciparsi dall’esistenza positiva di una guerra e dei rapporti di belligeranza – a meno che non si possa qualificare tale da far sì che Vladimir Putin un pirata internazionale e di abolire una volta per tutte il termine guerra dal vocabolario giuridico; il dibattito filosofico è aperto. La dottrina internazionalista prebellica ha riflettuto su questo tema dei rapporti belligeranti dal punto di vista degli atteggiamenti di Stati terzi nei confronti di due parti dirette di un conflitto aperto. Questo ragionamento sembra più pertinente per stabilire un’analisi giuridica di un diritto di guerra “classico”. Infatti, oltre all’equilibrio internazionale sconvolto dall’azione di un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, un certo numero di paesi cosiddetti “non allineati” ha scelto deliberatamente di non prendere parte al conflitto aiutando in modo significativo l’una o l’altra delle parti. Se è vero che il 2 marzo e il 12 ottobre 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza — anche se le sue decisioni non sono vincolanti e non possono sostituirsi a quelle del Consiglio di sicurezza come alcuni hanno accennato — risoluzioni che condannano l’aggressione russa e l’annessione di Territori ucraini, trentacinque di questi paesi hanno taciuto, tra cui, tra gli altri e non meno importanti, Cina, Algeria e India. Questi stessi Stati, che peraltro hanno partecipato congiuntamente alle esercitazioni militari Se è vero che il 2 marzo e il 12 ottobre 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza — anche se le sue decisioni non sono vincolanti e non possono sostituirsi a quelle del Consiglio di sicurezza come alcuni hanno accennato — risoluzioni che condannano l’aggressione russa e l’annessione di Territori ucraini, trentacinque di questi paesi hanno taciuto, tra cui, tra gli altri e non meno importanti, Cina, Algeria e India. Questi stessi Stati, che peraltro hanno partecipato congiuntamente alle esercitazioni militari Se è vero che il 2 marzo e il 12 ottobre 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza — anche se le sue decisioni non sono vincolanti e non possono sostituirsi a quelle del Consiglio di sicurezza come alcuni hanno accennato — risoluzioni che condannano l’aggressione russa e l’annessione di Territori ucraini, trentacinque di questi paesi hanno taciuto, tra cui, tra gli altri e non meno importanti, Cina, Algeria e India. Questi stessi Stati, che peraltro hanno partecipato congiuntamente alle esercitazioni militari votato a stragrande maggioranza — anche se le sue decisioni non sono vincolanti e non possono sostituire quelle del Consiglio di sicurezza, come alcuni hanno suggerito — risoluzioni che condannano l’aggressione russa e l’annessione dei territori ucraini, trentacinque di questi paesi tacciono, compresi, tra gli altri e non ultime Cina, Algeria e India. Questi stessi Stati, che peraltro hanno partecipato congiuntamente alle esercitazioni militari votato a stragrande maggioranza — anche se le sue decisioni non sono vincolanti e non possono sostituire quelle del Consiglio di sicurezza, come alcuni hanno suggerito — risoluzioni che condannano l’aggressione russa e l’annessione dei territori ucraini, trentacinque di questi paesi tacciono, compresi, tra gli altri e non ultime Cina, Algeria e India. Questi stessi Stati, che peraltro hanno partecipato congiuntamente alle esercitazioni militariVostok nel settembre 2022, rimangono così positivamente e volontariamente neutrali rispetto al conflitto stesso, senza astenersi dal mantenere relazioni amichevoli con la Russia. Quanto ad altri astensionisti come il Marocco, l’Iraq o l’Iran, i rispettivi interessi regionali vietano loro di congelare i rapporti con Vladimir Putin. Anche gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, dal canto loro, hanno mostrato la loro neutralità rifiutandosi di votare le risoluzioni dell’Assemblea Generale, approfittando al contempo di nuove e succose alleanze commerciali.

L’accentuato compiacimento e l’amicizia di questi “nuovi neutrali” nei confronti dello Stato russo non sono però sinonimo di affetto nei confronti di Vladimir Putin: l’ amicizia è qui intesa nel senso di conoscenza  ; è meno a causa di uno stato emotivo di amicizia derivante dall’etimologia amo – “amare” – che per voler andare d’accordo – “legare” – con la Russia. Questa posizione non ha fatto uscire gli Stati dalla loro neutralità rispetto alla questione specifica della guerra in Ucraina. Infatti, la neutralità è intesa in senso classico come neutralità parziale ; lungi dall’essere un ossimoro, questa nozione è soprattutto un semplice atteggiamento negativo nei confronti di un conflitto, o, se si preferisce, la volontà positiva di non schierarsi direttamente. Grozio, nel capitolo XVII del libro III della Legge di guerra e di pace , fa risalire questo diritto all’antichità, dove Livio, Cicerone e Plutarco ne espressero l’estensione con sconcertante semplicità: una nazione può affermare di essere neutrale, ma perde il diritto di pace ed entra in belligeranza quando favorisce una delle parti in conflitto. In altre parole, tra nemici, il neutrale rischia sempre di essere un amico non dichiarato; Jean Bodin [20] nel XVI secolo e Bynkershoeck [21] nel XVIII secolosecolo perpetua questa concezione politica del neutrale, consacrando il suo status di parte interessata costante, agendo ora secondo la sua posizione di forza, ora a causa della sua posizione di debolezza. La prosecuzione del commercio, inoltre, è indicativa della posizione del neutrale interessato, che può mostrarsi pubblicamente in posizione di inimicizia con uno dei belligeranti pur rimanendo cauto nelle sue azioni; da qui l’adagio: “la veste del nemico non confisca quella dell’amico ” [22] – che si addiceva perfettamente agli importatori occidentali di petrolio russo, anche se avveniva attraverso la raffinazione al di fuori della giurisdizione territoriale di Mosca.

Della necessaria scelta tra neutralità e belligeranza

Qualsiasi parzialità rimane quindi ovviamente presente nei rapporti statali, ma quando scoppia una guerra tra due Stati, questa neutralità è sempre attenta a non ribaltarsi nell’aiutare l’uno o l’altro in vista della vittoria. La parzialità quindi non autorizza tutte le schivate. Al contrario, un palese aiuto militare a uno Stato terzo in conflitto porrebbe quest’ultimo in una certa posizione di belligeranza. L’apertura dei porti alle fregate, l’assicurazione del passaggio terrestre delle truppe, ecc. sono tutti criteri di belligeranza. [23] L’invio di armamenti, l’addestramento di soldati, i divieti di spazio aereo, gli attacchi informatici e le sanzioni economiche non apparterrebbero alla stessa categoria? Cos’altro possiamo dire sull’adesione alla NATO durante la guerra?[24] La dottrina rifiutò allora di immergere il diritto nell’oceano fittizio delle neutralità “imperfette” o “benevole”, per declinare sempre una serie infinitesimale di situazioni, l’una altrettanto astrusa dell’altra. [25] Riassumiamo con questa affermazione che “ neutrale ha il necessario correlativo bellicoso [26] ”.

Resta quindi difficile rivendicare l’unico “diritto naturale all’autodifesa” garantito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. In primo luogo, tutte le parti lo rivendicano. Anche la Cina lo usa sulla questione di Taiwan. La giustizia naturale che ogni campo intende difendere con ardore ci riporta alle parole di Proudhon in Guerra e Pace  : “La guerra non è l’insulto dell’uno che solleva la legittima difesa dell’altro. È un principio, un’istituzione, un credo. [27]  » Poi, sebbene questa nozione sia un diritto naturale, rimane tuttavia soggetta alla verifica dei fatti. Se non avesse resistito così formidabile, [28]L’Ucraina avrebbe potuto ancora rivendicare il suo diritto naturale di fronte al giudizio positivo della Storia? Infine, l’autodifesa collettiva prevista dallo stesso articolo 51 richiede in ultima analisi , per essere ratificata e valida nei confronti dell’ONU, una decisione del Consiglio di sicurezza… [29] L’autodifesa collettiva non può essere spinta al parossismo di una giustificazione penale di una delle parti, fondata su un’obiettiva e giusta neutralità di un equilibrio internazionale, se questo supremo equilibrio viene infranto. Anche la neutralità oggettiva, storicamente riconosciuta in più aree geografiche [30] con l’intento di evitare radicalmente ogni conflitto nel tempo, [31] presuppone «un equilibrioStati, che impedisce ai forti di costringere i deboli. [32]  La neutralità non ha quindi nulla a che fare con un diritto oggettivo o assoluto – nel senso di absolutus , “slegato” – e non esiste uno spazio giuridico indivisibile tra neutralità interessata e belligeranza. Gli Stati, per “articolato pragmatismo [33]  “, hanno solo il tempo libero di muoversi su una linea di cresta legale che separa i due schieramenti di belligeranza durante una guerra, ma un passo verso l’amicizia decisiva verso l’uno li conduce irrimediabilmente all’inimicizia verso l’altro .

Leggi anche:

Hegel e la filosofia del diritto. Intervista a Thibaut Gress

[1] Va detto che questa affermazione, portata dagli Stati Uniti davanti al tribunale delle Nazioni Unite durante l’invasione di Panama nel dicembre 1989, servì da piacevole precedente.

[2] La formula è mutuata da: P. VALERY, Lettere ad un amico , Gallimard, 1978

[3] Sentenza del Tribunale militare internazionale, in: Processo a grandi criminali di guerra davanti al Tribunale militare internazionale, Norimberga, 14 novembre 1945-1 ottobre 1946, t. io , pag. 197

[4] A. DE NANTEUIL, “Fate la legge, non la guerra. Quale quadro per la guerra secondo il diritto internazionale alla luce della situazione ucraina? », La Semaine Juridique , Edizione Generale n° 39, 3 ottobre 2022, dott. 1099, online: <https://www-lexis360intelligence-fr>

[5] I. PREZAS, “Fasc. 450: Delitto di aggressione”, JurisClasseur , 13 novembre 2014, online: <https://www-lexis360intelligence-fr>

[6] È d’altronde questa stessa speranza di giustizia universale che guidò i rivoluzionari francesi nel 1792 ad affermare che essi non facevano «la guerra di nazione in nazione, ma la giusta difesa di un popolo libero contro un’aggressione ingiusta»: A. Corvisier, Storia militare della Francia , t. 2, Parigi, University Press of France, 1992

[7] S. SUR, “La guerra del diritto nel conflitto ucraino”, La Semaine Juridique , Edizione Generale n° 20-21, 23 maggio 2022, dottr. 660., online: <https://www-lexis360intelligence-fr>

[8] J. GRIGNON, “Cobelligeranza” o quando uno Stato diventa parte di un conflitto armato? », Strategic brief , n° 39, 6 maggio 2022, online: < https://www.irsem.fr/>

[9] Questo desiderio è stato affermato in particolare dall’ex capo dell’Ufficio centrale contro i crimini contro l’umanità (OCLCH) Éric Émereaux.

[10] L. RENAULT, “L’applicazione del diritto penale agli atti di guerra”, Estratto dal Journal de Clunet 1915 ( anno 42 ) p. 313-344 , Parigi, Marchal e Godde, 1915, p. 6 e segg.

[11] J.-B. BOSSUET, Discorso sulla storia universale , Parigi, Librairie Hachette et Cie, 1877, p. 436

[12] Ciò che era o non era materia di guerra è sempre stato oggetto di qualificazione giuridica da parte del belligerante stesso: dall’Eneide alle lettere di sfida durante la terza e la settima crociata, e fino alla dichiarazione di guerra, il diritto di un partito promuoveva la sua funzione qualificante della cosa della guerra ponendo il proprio cursore di identificazione teorica.

[13] Dichiarazione di Michel Rocard del 15 gennaio 1991, online: <https://www.vie-publique.fr/>; Il Parlamento è rimasto senza parole; il discorso non si era avvalso dell’articolo 35 della Costituzione, ma si era basato sui commi 1 e 4 dell’articolo 49, cioè una dichiarazione che in pratica non impegna la responsabilità del Governo.

[14] Cass. Penale. 4 settembre 1961 Becetti e Henni , Boll. Delitto, pag. 706

[15] T. FUNCK-BRETANO; A. SOREL, Précis du droit des gens , 3a ed., Paris, Librairie Plon, 1900, p. 235

[16] Questo periodo è segnato dalle aggressioni spontanee e bellicose del Giappone, nel 1894 contro la Cina e nel 1904 contro la Russia.

[17] C. VAN BYNKERSHOEK, I due libri di questioni di diritto pubblico , Limoges, “Cahiers de l’Institut d’anthropologie juridique n. 25”, Pulim, 2010, p. 52

[18] Il Trattato di Vestfalia, che ha fondato il moderno diritto delle genti, egli afferma, che nasce dai conflitti tra le ribelli Province Unite e il Regno di Spagna, “è iniziato con violenza reciproca, senza alcuna dichiarazione. Dubiterai, perché non è stato dichiarato, il diritto alla vittoria, il diritto alla pace che seguì nel 1648? » ; Ibid ., p. 55-56

[19] Anche la dottrina inglese, come William Edward Hall, era dominata dall’idea che la guerra fosse legalmente scatenata dal primo atto di ostilità.

[20] J. BODIN, sei libri della Repubblica , Parigi, Librairie Générale Française, 1991, in particolare capitolo VII, libro primo

[21] C. VAN BYNKERSHOEK, op. cit. , p. 69

[22] Cfr. E. SCHNAKENBOURG, Tra guerra e pace. Neutralità e relazioni internazionali, secoli XVII-XVIII , Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2003, p. 28

[23] P. FAUCHILLE, Trattato di diritto internazionale pubblico , t. 2, 8a ed., Parigi, A. Rousseau, 1921 p. 93

[24] Su tale questione, la dottrina prebellica riteneva che se le passate alleanze militari non innestassero direttamente uno stato di belligeranza ma riportassero le parti ad una semplice “neutralità imperfetta”, il fatto di aderirvi dopo l’inizio delle ostilità potrebbe , al contrario, servire come criterio di belligeranza: Ibid ., p. 642-643

[25] Ibid .

[26] Ibid ., p. 954

[27] PROUDHON (P.-J.), Guerra e pace: ricerca sul principio e costruzione del diritto delle nazioni , “Opera completa di P.-J. Proudhon”, Lipsia Livorno: International Library A. Lacroix , Verboeckhoven & Cie, Parigi Bruxelles, 1869, p. 291

[28] Va detto che, come scrive Montaigne nei suoi Saggi , «rende pericoloso aggredire un uomo, al quale avete privato di ogni mezzo di fuga se non con le armi: perché è maestra violenta che necessità».

[29] Questa è la nostra interpretazione degli articoli 43§1, 48§1, 49 e 51 della Carta delle Nazioni Unite.

[30] Gli esempi più noti sono Venezia, la Confederazione Svizzera, Malta, le città di Liegi e Cracovia o anche il Ducato di Hanvore.

[31] S. SCHOPFER, Il principio giuridico della neutralità e il suo sviluppo nella storia del diritto di guerra , Losanna, Corbaz, 1894, p. 61 e segg.

[32] P. FAUCHILLE, op. cit. , p. 639

[33] B. Courmont, L’anno strategico 2023 , <https://www-cairn-info>

https://www.revueconflits.com/lami-lennemi-et-le-cobelligerant-les-qualifications-juridiques-en-guerre/

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