L’egemonia americana e i suoi pericoli, del Ministero degli Esteri di Cina_a cura di Violetta Piccolo

L’egemonia americana e i suoi pericoli. La nuova denuncia cinese che smaschera le false narrative del predominio statunitense durante la Nuova Guerra Fredda.

di  Violetta Piccolo

 

In questo articolo presentiamo la traduzione dal cinese di uno dei più assertivi documenti che negli ultimi tempi la Cina ha prodotto: si tratta del documento redatto dal Ministero degli Esteri cinese dello scorso 20 febbraio 2023, dal titolo “La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli”, ribattuto dall’Agenzia Xinhua, che insieme al documento in dodici punti del giorno successivo sulla Global Security Initiative hanno dato avvio alla presenza del soggetto politico cinese nel ruolo di potenza che primeggia e si smarca dalle mire di conquista americane nella sua regione di influenza nell’Indo-Pacifico, nonché punta nientemeno al ruolo di pacificatore per il conflitto ucraino in corso. Questi due documenti, usciti in concomitanza del prossimo avvio del nuovo premierato cinese e come premessa del prossimo incontro di Xi Jinping alla Conferenza sulla Sicurezza di Bo’ao che si terrà in aprile, danno una maggiore visione del contributo cinese allo smascheramento della strenua politica militarista interventista americana e si aggiungono alla nuova fase che ritaglia un possibile ruolo di preminenza cinese verso la risoluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Trattandosi di un documento sulla declinazione dei metodi e della pervasività dell’imperialismo americano, che riporta sia le condizioni a livello globale e internazionale dell’economia che quelle del suo continuo ingaggio al militarismo fino all’egemonia culturale e le varie declinazioni di essi, vogliamo presentare alcuni punti essenziali del testo per fare un confronto con l’attuale stato dell’arte della controparte americana. Il documento si svolge su un asse dedicato in cinque punti, che introducono sia l’ambito politico che economico, sia quello militare che quello tecnologico e infine culturale: in particolare sono da notare i rimandi alla Dottrina Monroe[1] e al suo uso spregiudicato, dalla sfera di influenza americana fino all’allargamento che porta ad inglobare l’intera comunità internazionale nel concetto di “esportazione della democrazia”. In questo senso la parte cinese vuole fare notare come nel corso della storia degli ultimi duecento anni, col caso che al 2023 ricorrerà appunto l’anniversario dei duecento anni dalla sua implementazione, gli Stati Uniti si siano serviti di questa teoria per dominare e per soggiogare con guerre che ne giustificavano la sua sicurezza nazionale il loro ambito di sfera allargata, che tuttavia negli ultimi cinquant’anni ha di fatto reso internazionalizzato. Come sostiene Vijay Prashad nel suo articolo sulla letalità della Dottrina Monroe “(…)Nel 2023 la Dottrina Monroe, sviluppata in un periodo in cui gli Stati Uniti affermavano la loro egemonia sull’emisfero americano, compirà 200 anni. Oggi, lo spirito maligno della Dottrina Monroe non solo continua, ma il governo statunitense lo ha perfino esteso in una sorta di Dottrina Monroe Globale[2]. Per affermare questa assurda pretesa sull’intero pianeta, gli Stati Uniti hanno perseguito una politica[3] di “indebolimento” di quelli che considerano “rivali alla pari”, ossia Cina e Russia”. La guerra in Ucraina ha spostato l’asse dell’ordine mondiale: dando luogo all’intervento militare in Ucraina, la Russia e la Cina, come controparte ad essa “alleata” sostenitrice, hanno dato vita ad una contestazione dell’ordine unipolare attualmente presente, a partire dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, quello che così ferocemente gli americani contendono come primato. Bisogna qui ricordare che la crescente egemonia americana si è fondamentalmente basata sugli ultimi 20 anni di interventismo militare, dalle guerre in Afghanistan a quelle in Iraq, suscitando l’opposizione ormai evidente della comunità internazionale: secondo il disegno della Difesa americana, tuttavia, stando alla trascrizione della relazione rilasciata allo US Department of Defense nella persona del Segretario alla Difesa, gen. James Mattis, del gennaio 2018 sulla National Defense Strategy americana, si possono comprendere le direzioni di questa, e con le sue parole intendere gli obiettivi e le finalità che rendono pervasiva la Dottrina Monroe. Diceva infatti il generale che “(…) il documento o rapporto n. 68 del Consiglio di sicurezza nazionale è stato un faro durante la Guerra Fredda. Ha guidato molte cose.” E prosegue così: “(…)Lo sfondo che si ha qui rende questo un luogo adatto per introdurre il nostro riassunto non classificato del documento classificato. Sapete, alcune parti sono segrete perché dobbiamo un certo grado di riservatezza alle truppe che porteranno avanti questa strategia. È, come ha notato il decano, la Prima Strategia di difesa nazionale della nostra nazione in 10 anni. Credo che sia un obbligo morale per i leader spiegare chiaramente ai subordinati del Dipartimento della Difesa cosa ci aspettiamo da loro. È stato progettato per proteggere gli interessi nazionali vitali dell’America. E questa strategia di difesa è stata inquadrata, come ha notato il decano, dalla National Security Strategy del presidente Trump. E solo un paio di parole per mostrarvi cosa intendo dire quando parlo del fatto che è stato “inquadrato”; e cioè che è all’interno del quadro di tale strategia di sicurezza nazionale. Nello specifico, dove afferma che dobbiamo “proteggere il popolo americano, la patria e lo stile di vita americano”. E prosegue dicendo “e preservare la pace con la forza”. Quelle sono parole tratte dalla Strategia di Sicurezza Nazionale e portiamo quei temi all’interno del Pentagono, dove diciamo: “Cosa significa per noi?” Naturalmente, la sicurezza nazionale è molto più che una semplice difesa; questa è la nostra parte di responsabilità. Oggi, l’esercito americano rivendica un’era di scopi strategici e siamo attenti alle realtà di un mondo che cambia e consapevoli della necessità di proteggere i nostri valori e i paesi che stanno con noi. L’esercito americano protegge il nostro modo di vivere e voglio sottolineare che protegge anche una sfera di idee. Non si tratta solo di proteggere parte della geografia. Questa è una strategia di difesa che guiderà i nostri sforzi in tutti i campi. Il mondo, per citare George Shultz, è inondato dal cambiamento, definito dalla crescente volatilità globale e incertezza con la competizione tra le Grandi Potenze, tra le nazioni, che sta diventando una realtà ancora una volta. Anche se continueremo a perseguire la campagna contro i terroristi in cui siamo impegnati oggi, ma la competizione tra Grandi Potenze, non il terrorismo, è ora l’obiettivo principale della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Questa strategia è adatta al nostro tempo, fornendo al popolo americano i militari necessari per proteggere il nostro stile di vita, stare dalla parte dei nostri alleati e essere all’altezza della nostra responsabilità di trasmettere intatte alla prossima generazione quelle libertà di cui tutti noi godiamo qui oggi. Adattandosi alle realtà odierne, questa strategia espande il nostro spazio competitivo, dà priorità alla preparazione alla guerra, fornisce una direzione chiara per cambiamenti significativi alla velocità della rilevanza e costruisce una forza più letale per competere strategicamente. Questa strategia fa una valutazione chiara del nostro ambiente di sicurezza, con un occhio attento al posto dell’America nel mondo. Ciò ha richiesto alcune scelte difficili, signore e signori, e le abbiamo fatte sulla base di un precetto fondamentale, vale a dire che l’America può permettersi la sopravvivenza. Affrontiamo crescenti minacce da parte di potenze revisioniste così diverse tra loro come Cina e Russia, nazioni che cercano di creare un mondo coerente con i loro modelli autoritari, perseguendo l’autorità di veto sulle decisioni economiche, diplomatiche e di sicurezza di altre nazioni. Regimi canaglia come la Corea del Nord e l’Iran persistono nell’intraprendere azioni fuorilegge che minacciano la stabilità regionale e persino globale. Opprimendo la propria gente e distruggendo la dignità e i diritti umani della propria gente, spingono le loro visioni distorte verso l’esterno. E nonostante la sconfitta del califfato fisico dell’ISIS, organizzazioni estremiste violente come l’ISIS o l’Hezbollah libanese o al Qaida continuano a seminare odio, distruggere la pace e uccidere innocenti in tutto il mondo. In questo momento di cambiamento, il nostro esercito è ancora forte. Eppure il nostro vantaggio competitivo si è eroso in ogni dominio di guerra, aria, terra, mare, spazio e cyberspazio, e continua a erodersi. Il rapido cambiamento tecnologico, l’impatto negativo sulla prontezza militare è il risultato del più lungo periodo di combattimento a lungo termine nella storia della nostra nazione e dei limiti di spesa per la difesa, perché abbiamo operato anche per nove negli ultimi 10 anni, con continue risoluzioni che hanno creato un sovraccarico e militari con risorse insufficienti. Il ruolo dei nostri militari è mantenere la pace; per mantenere la pace per un altro anno, un altro mese, un’altra settimana, un altro giorno. Per garantire che i nostri diplomatici che stanno lavorando per risolvere i problemi lo facciano da una posizione di forza e dando fiducia agli alleati in noi. Questa fiducia è sostenuta dalla certezza che i nostri militari vinceranno se la diplomazia dovesse fallire. Quando ha svelato la sua strategia di sicurezza nazionale, il presidente Trump ha dichiarato: “La debolezza è la via più sicura per il conflitto e la forza indiscussa è il mezzo di difesa più sicuro”. Signore e signori, non c’è spazio per l’autocompiacimento, e la storia dimostra chiaramente che l’America non ha un diritto preordinato alla vittoria sul campo di battaglia. Semplicemente, dobbiamo essere i migliori se vogliamo che i valori nati dall’Illuminismo sopravvivano. Spetta a noi schierare una forza più letale se la nostra nazione vuole mantenere la capacità di difendere noi stessi e ciò che rappresentiamo. Le tre principali linee di azione della strategia di difesa ripristineranno il nostro relativo vantaggio militare. Costruiremo una forza più letale. Rafforzeremo le nostre alleanze tradizionali e costruiremo nuove partnership con altre nazioni. E allo stesso tempo riformeremo le pratiche commerciali del nostro dipartimento per prestazioni e convenienza .

Alla luce di quanto viene descritto sopra è difficile non dare le dovute ragioni alla controparte cinese quando stila un documento come quello che si sta per leggere e che denuncia apertamente le violazioni in campo internazionale da parte degli Stati Uniti. In questa prima parte dunque è evidente cosa mette in rilievo il documento cinese quando parla della politica egemonica americana e della sua declinazione militarista[4]. Infatti, come nota un recente articolo del China Daily riportato dall’agenzia ChinaMil, nei siti dei quotidiani cinesi viene ormai ripresa la disastrosa pratica militare e tecnologica americana, suggerendo che “Alcuni “documenti interni di Twitter” recentemente divulgati da un giornalista investigativo degli Stati Uniti hanno rivelato come diverse agenzie governative statunitensi stiano manipolando i social media per portare avanti la loro agenda. Il governo degli Stati Uniti ha da tempo creato una rete di rumors e voci contrastanti per manipolare l’opinione pubblica, demonizzare altri paesi e continuare l’egemonia degli Stati Uniti. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti lanciarono l'”Operation Mockingbird”, comprando almeno 400 giornalisti e 25 grandi organizzazioni in tutto il mondo per diffondere false informazioni. Gli Stati Uniti continuano a inventare menzogne, dall’uso di detersivo per bucato come prova schiacciante per bombardare l’Iraq detentore di “armi di distruzione di massa”, all’uso di video messe in scena fatti dai “Caschi bianchi” per bombardare in modo simile la Siria, e per far emergere la “presunzione di colpa” sull’origine del COVID 19. L’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo ha persino ammesso: “Mentiamo, imbrogliamo, rubiamo. Questa è la gloria della continua esplorazione e progresso dell’America”. Gli Stati Uniti hanno spesso lanciato “guerre di opinione pubblica”, utilizzando false informazioni come strumento contro altri Paesi. Dal tramare “rivoluzioni colorate” in tutto il mondo, all’usare la “sicurezza nazionale” come pretesto per sopprimere le compagnie straniere, fino alla fabbricazione di bugie come “genocidio” e “campi di lavoro forzato” nello Xinjiang, gli Stati Uniti hanno sempre spacciato i loro tentativi di sovversione come “promozione della democrazia”, e mirate contro il calpestio della vita come “protezione dei diritti umani”. L’uso senza princìpi della disinformazione nel cyberspazio è diventata l’arma preferita degli Stati Uniti in questa Nuova Guerra Fredda. Secondo un rapporto del Centre for Responsible Technology dell’Australia Institute, 5.752 account Twitter, molti dei quali controllati a distanza da “bot” siti negli Stati Uniti, sono diventati virali per un breve periodo nel 2020 per poter ritwittare voci sull’origine del COVID-19. Gli Stati Uniti hanno creato reti di disinformazione che lanciano attacchi mirati contro Paesi che non amano in più lingue. Tale fabbricazione di bugie ha danneggiato la fiducia delle persone negli Stati Uniti. Un recente sondaggio della Gallup/Knight Foundation ha rilevato che il 50% dei cittadini statunitensi ritiene che la maggior parte delle testate giornalistiche nazionali fuorvii intenzionalmente il pubblico. Un sondaggio condotto dallo US News and World Report e dalla Wharton School dell’Università della Pennsylvania e da altre istituzioni ha rilevato che la fiducia globale negli Stati Uniti è diminuita del 50% dal 2016. Inventare e diffondere menzogne non può aiutare gli Stati Uniti a guadagnare una vera influenza. Gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di ingannare il mondo e calunniare altri Paesi con menzogne.” Questo quanto riportato dall’agenzia e che fa il paio con il documento di diretta denuncia del ministero degli Esteri da noi tradotto. Il che dimostra quanto sia ormai smascherata e resa inefficace come strategia quella per la paventata sicurezza nazionale statunitense. Il documento, poi, oltre a delineare un quadro di tipo istituzionale interno agli Stati Uniti, descrive ambiti ad esso collegati sul piano delle manovre internazionali con cui si consegue l’obiettivo: in particolare, due sono i punti presi di mira, ovvero quello economico e tecnologico, andando a denunciare sia l’effetto destabilizzante del dollaro che le potenziali negatività subite dalle altre economie nazionali dopo lo scoppio del recente conflitto in Ucraina con la Russia. Se la Russia ha incontrato le prime difficoltà superando brillantemente le sanzioni imposte, queste si sono tuttavia altresì riversate con un effetto domino negli Stati dell’Asia centrale e soprattutto nell’Eurozona e nei Paesi in via di sviluppo. Come indica il documento, è a questi soggetti che l’indebolimento economico ha davvero reso nell’ultimo triennio post-pandemico difficile recuperare il potere valutario delle proprie monete, anche a causa dei forti rialzi delle materie prime e del comparto energetico. Infatti, oltre al primo punto sulla politica americana che ne mette in questione il concetto di unipolarità attraverso la contestazione aperta della dottrina succitata, il testo del documento fa riferimento alla pratica vessatoria dell’uso della dollarizzazione in campo economico. A questo proposito, un recente articolo del South China Morning Post dell’editorialista Alex Lo[5] ha messo in evidenza come il nuovo ambasciatore statunitense in Cina, Nicholas Burns, in uno dei suoi tweet ha decretato come “rozza propaganda indegna di una Grande Potenza” il documento stilato dal Ministero degli Esteri cinese, evidenziando che in realtà la controparte cinese ha solamente esposto l’ovvio, il già noto e abusato sistema di intervento tipico degli americani, i quali sono stati per così dire usando una formula gergale “presi con le dita nella marmellata”. Si fa anche riferimento allo stesso studio citato nel documento cinese proveniente dalla Tufts University, in cui il Center for Strategic Studies diretto dalla professoressa di scienze politiche e relazioni internazionali Monica Duffy Toft raccoglie nel suo database un progetto di ricerca sulla sicurezza e gli interventi militari nella storia americana chiamato[6] “The Military Intervention Project. The Center for Strategic Studies Revamps Data on U.S. Military Intervention”. In questo caso, facendo riferimento e prendendo spunto a piene mani dalla nutrita raccolta che va dal 1776 al 2019 della Fletcher School of Law and Diplomacy at Tufts University,  diviene sempre più difficile poter sfuggire alle denunce dei vari abusi effettuati da parte americana, dato che il sostegno dei dati raccolti inchiodano alle proprie responsabilità il governo degli Stati Uniti, per il quale effettivamente vengono ad essere imputati casi di sponsorizzazione di colpi di Stato, eversione, cambi di regime e un uso sproporzionato della forza, risultando in veri e propri crimini di guerra che hanno lasciato sul suolo milioni di morti e dispersi tra militari e soprattutto vittime civili innocenti.  L’ambasciatore Burns non è nuovo a questo tipo di infelici uscite, come ricorda già il Global Times in un articolo del 27 febbraio scorso[7] quanto a misure economiche controverse da parte cinese e altri abusi che vengono affibbiati alla controparte. In realtà, sebbene queste imbarazzanti e aperte dichiarazioni siano avvenute durante un Convegno dello scorso 15 febbraio nell’ambito dello scambio con l’American Chamber of Commerce al quale Burns era stato invitato, sono poi subito state dismesse frettolosamente e grossolanamente con un tweet dalla stessa Camera di Commercio Americana in Cina. Tuttavia, l’articolo è corredato di ampie dimostrazioni raccolte da dichiarazioni in forma privata e anonima fatte dai presenti all’evento, in cui si dice che “L’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina Nicholas Burns ha criticato apertamente la Cina quando si è rivolto alla 22esima Cena Annuale di Gala della Camera di Commercio Americana (AmCham China), causando insoddisfazione tra il personale di AmCham China e i rappresentanti dell’industria. Alcuni dirigenti dell’US-China Business Council hanno affermato che riconsidereranno se invitare Burns alla celebrazione del 50° anniversario del Consiglio quest’anno, ha appreso il Global Times da una fonte. Alcuni dirigenti dell’azienda lo chiamavano “American Wolf Warrior”. Il 15 febbraio, circa 350 rappresentanti dei settori politici e imprenditoriali cinesi e statunitensi hanno partecipato alla Cena di Gala Annuale di AmCham China, durante la quale Burns ha tenuto un discorso. Ha criticato il commercio cinese, le imprese statali, i sussidi all’industria, la sicurezza informatica e la regolamentazione, le misure antiepidemiche e le politiche sui diritti umani, e ha persino menzionato il recente incidente del pallone spia. Le sue critiche alla Cina hanno causato insoddisfazione tra i partecipanti. Giovedì una fonte a conoscenza della questione ha dichiarato al Global Times che un membro dello staff di AmCham China ha affermato che mentre Burns pronunciava il discorso, “l’atmosfera era estremamente imbarazzante”. Burns ha sollevato molte volte contenuti sensibili durante la cena, nonostante sia l’evento di più alto livello organizzato dalla Camera ogni anno. “Quasi tutti gli argomenti che la Camera voleva evitare sono stati menzionati da lui”, ha detto la fonte.” Questo ancora una volta a dimostrazione del fatto che il documento redatto dal Ministero degli Esteri cinese non sortisce alcuna nuova sorpresa, in realtà, ma quello che semmai solleva sono pesanti dubbi e accuse sulla attuale condotta del governo statunitense e sulla continua brutalità con cui interviene, interferendo nelle politiche dei Paesi che vuole minare, nella sfera politica, economica, militare, tecnologica e persino culturale. A ragion veduta l’editorialista Alex Lo viene citato anche nel documento del Ministero qui tradotto e riportato, poiché –come si apprende- già aveva individuato che la Tufts University aveva rilasciato documentazione investigativa sulle guerre condotte dagli Stati Uniti in un lasso temporale storico che va appunto dall’avvenuta Guerra per l’Indipendenza fino ai giorni nostri, e così il documento riporta: “Nelle parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio il paese più bellicoso del mondo. Secondo il rapporto della Tufts University “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno condotto quasi 400 interventi militari in tutto il mondo a partire dal 1776 al 2019, di cui il 34% ha preso di mira la regione nell’America Latina e i Caraibi, il 23% l’Asia orientale e il Pacifico, il 14% il Medio Oriente e il Nord Africa, e il 13% l’Europa. Attualmente, l’intervento militare statunitense in Medio Oriente, Nord Africa e Africa Sub-sahariana è in aumento. L’editorialista del “South China Morning Post” Alex Lo ha sottolineato che dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, gli Stati Uniti raramente distinguono tra diplomazia e guerra. Nel secolo scorso, i governi democraticamente eletti in molti Paesi in via di sviluppo sono stati rovesciati e sono stati immediatamente sostituiti da regimi fantoccio filoamericani. Oggi, dall’Ucraina all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dalla Siria al Pakistan e allo Yemen, gli Stati Uniti sono risoluti come sempre nel ripetere la loro usuale tattica, conducendo guerre per procura, a bassa intensità e con droni.” Sempre nel suo recente articolo datato 6 marzo 2023 per il South China Morning Post il giornalista Alex Lo raccomanda una comparazione che ulteriormente ce ne fosse bisogno va a conferma dell’imperialismo pervasivo americano e delle sue strategie messe in atto anche in campo economico: a conferma del documento che è stato riprodotto dal Ministero, il giornalista cita come fonte autorevole e non confondibile con forme di propaganda la stessa Federal Reserve. Si chiede se infatti la questione più ironica non stia proprio nella sezione III del documento, quella definita egemonia economica, in cui si discute del saccheggio e sfruttamento che avviene col ricorso della moneta americana: infatti in essa il Ministero degli Esteri afferma che “l’egemonia del dollaro USA è la principale fonte di instabilità e incertezza nell’economia mondiale”. Ebbene, proprio attraverso questa seconda importante leva dopo quella politica e militare, il dollaro, la Federal Reserve Bank di New York mette in evidenza nel suo documento appena rilasciato online lo scorso 1°marzo 2023, dal titolo “The Dollar’s Imperial Circle”[8], che – in linguaggio accademico- “[Le aziende] nel blocco dei mercati emergenti fissano i loro prezzi all’esportazione in dollari, mentre le aziende nei paesi ad economia avanzata fissano i prezzi all’esportazione nella propria valuta.” E ancora: “(u)n dollaro più forte crea quindi uno svantaggio competitivo per le economie dei mercati emergenti. Partiamo anche dal presupposto che vi siano vincoli finanziari tali che le imprese debbano contrarre prestiti in dollari per finanziare gli acquisti di input intermedi importati… Queste due forze rendono l’apprezzamento del dollaro particolarmente dannoso per il settore manifatturiero nelle economie dei mercati emergenti”. Quindi come spiega lo stesso giornalista, i ricercatori dimostrano come il prezzo in dollari delle esportazioni in tutto il mondo possa travolgere le economie emergenti, rendendo i loro beni meno competitivi e il finanziamento basato sul dollaro più costoso. Questi possono essere dannosi per i paesi dipendenti dal commercio, ma non per gli Stati Uniti. I ricercatori della Fed scrivono: “Il ruolo egemonico del dollaro nel commercio internazionale e nella finanza si è ampliato, mentre l’esposizione dell’economia statunitense all’economia globale è stata relativamente stagnante. Questa dicotomia crea le condizioni affinché il dollaro agisca come una forza pro ciclica che si autoavvera”. Come spiega lo stesso Lo, il termine pro ciclico, che qui ha una rilevanza enorme, dimostra che il “brutto” termine è portatore di reali disastri nell’economia reale della gente: è un termine economico tecnico che mette in guardia sugli effetti degli aumenti dei tassi di interesse statunitensi e dei costi del prezzo in dollari sulla fatturazione commerciale e sul commercio e il finanziamento basati sul dollaro, in quanto ne amplificano i cicli economici rendendo molto instabile e volatile l’economia mondiale. Questa dichiarazione aperta della Federal Reserve stessa dovrebbe far rizzare i capelli a tutto il mondo e in particolare dovrebbe ridimensionare le pretese accuse rivolte non solo dall’ambasciatore Burns, ma da tutto l’establishment dell’Amministrazione Biden verso il governo –a quanto pare molto ben informato- cinese. Infatti, e concludiamo così il pezzo editoriale lasciandovi alla lettura del documento tradotto in italiano, è interessante chiedersi come fa anche il giornalista se questa pretesa accusa di propaganda rivolta al governo cinese che va tanto di moda da parte degli americani non dimostri che anche la loro massima istituzione, la Fed, non sia piena zeppa di propagandisti in salsa cinese. Ma il governo cinese, come dichiara nello stesso documento, sa bene che “(d)urante la pandemia di Covid-19, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari nel mercato globale, lasciando che altri Paesi, in particolare le economie emergenti, ne pagassero il prezzo.” E che “(n)el 2022, la Federal Reserve metterà fine alla sua politica  monetaria ultraespansiva, passando ad una politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse, causando turbolenze nel mercato finanziario internazionale, procurando all’Euro e ad altre valute una diminuzione brusca del valore, che toccherà un nuovo minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, molti fra i Paesi in via di Sviluppo subiranno una forte inflazione, un deprezzamento della valuta e un deflusso di capitali. Questo è esattamente quello che il Segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, una volta molto trionfalmente ma piuttosto incisivamente fece notare: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema”.  Vi auguriamo una buona lettura.

 

https://www.mfa.gov.cn/web/wjbxw_new/202302/t20230220_11027619.shtml?fbclid=IwAR3x__ICYL15oCyVLwXkQKFfHaaX_2RZxUDB_YxICxgmUrGzETUSp7wx6xk

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La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli

20-02-2023 16:13

                  La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli

Febbraio 2023

Indice

Introduzione

1) La spericolata egemonia politica —— Diffondere il proprio peso

2) La presuntuosa egemonia militare —— Uso sfrenato della forza

3) La predatoria egemonia economica —— Saccheggio e sfruttamento

4) L’opprimente egemonia tecnologica —— Monopolio e Oppressione

5) La demagogica egemonia culturale —— Spargere false narrative

Conclusioni

 

Introduzione

All’indomani del lungo corso delle due Guerre mondiali e della Guerra Fredda, gli Stati Uniti guadagnando il primato della Potenza numero uno su scala globale, sono divenuti ancora più spregiudicati, interferendo brutalmente negli affari interni di altri Paesi, cercando, mantenendo e abusando dell’egemonia, divenendo artefici della penetrazione più sovversiva, lanciando ad ogni angolo del mondo delle guerre, e danneggiando in modo pericoloso la comunità internazionale. Gli Stati Uniti sono usi a servirsi della facciata della democrazia, della libertà, dei diritti umani, lanciando le Rivoluzioni colorate, istigando dispute territoriali regionali, arrivando persino direttamente all’intervento armato. Gli Stati Uniti aderiscono pienamente alla mentalità da Guerra Fredda, si impegnano nelle politiche di alleanze a blocchi per provocare l’opposizione e il confronto.

Gli Stati Uniti hanno allargato ed esportato il principio della sicurezza nazionale, hanno abusato del sistema di controllo sulle esportazioni, rafforzando il sistema delle sanzioni unilaterali. Si servono di un approccio selettivo quanto alle leggi e le regole internazionali quando sono in accordo con esse, e quando ne divergono, le scartano o le aboliscono sotto la bandiera dell’ “ordine internazionale basato su regole”, cercando di preservare così l’interesse privato del proprio diritto, le proprie “leggi consuetudinarie”.

Il presente rapporto si concentra sulla trattazione dei seguenti fatti, per mettere a nudo una varietà di azioni malvage e subdole di cui gli Stati Uniti abusano sotto il profilo dell’egemonia politica, militare, economica, finanziaria, tecnologica e culturale, in modo da chiarire ulteriormente alla comunità internazionale il grave danno che gli Stati Uniti da parte loro hanno arrecato alla pace e alla stabilità, nonché alla prosperità dei popoli in tutti i Paesi del mondo.

 

1) La spericolata egemonia politica —— Spargere il proprio peso

Gli Stati Uniti hanno per lungo tempo sventagliato la bandiera della cosiddetta democrazia e dei diritti umani, tentando di plasmare sul proprio metro di valori e sistema politico quelli degli altri Paesi e l’ordine mondiale.

◆Esistono svariati esempi di quello che possiamo definire l’interferenza politica degli Stati Uniti in altri Paesi, come l’uso in nome della “salvaguardia della democrazia” della “Nuova Dottrina Monroe” nell’America latina, la promozione delle “Rivoluzioni colorate” in Europa e in Asia, l’istigazione delle “Primavere arabe” in Asia occidentale e nel Nord Africa, esportando in diversi contesti caos e disastri.

Nel 1823 gli Stati Uniti emanarono la “Dichiarazione Monroe”, in cui si dichiarava che “l’America è l’America degli americani”, in realtà considerando che “l’America è l’America degli statunitensi”: da quel momento in avanti, le politiche successive dei governi in America latina e nei Caraibi sono tutte state votate all’ingerenza politica, all’intervento militare e al cambio di regime. Sia che si tratti dei 61 anni di blocco e ostilità verso Cuba, come del rovesciamento del governo di Allende in Cile, la massima prodotta dalla politica statunitense nella regione è stata “quelli che si sottomettono prospereranno, quelli che resistono periranno”. A partire dal 2003 in poi, con la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia, la “Rivoluzione Arancione” in Ucraina e la “Rivoluzione dei Tulipani” in Kirghizistan, si sono verificati una serie di eventi senza soluzione di continuità: il Dipartimento di Stato americano ha riconosciuto apertamente di aver svolto “un ruolo centrale” per questi “cambi di regime”. Gli Stati Uniti si sono anche intromessi negli affari interni della politica delle Filippine: nel 1986 e nel 2001 nel nome delle “Rivoluzioni del potere al popolo” hanno estromesso dal potere rispettivamente gli ex presidenti Ferdinand Marcos e Joseph Estrada. Nel gennaio del 2023 l’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha pubblicato il suo libro “Never Give an Inch. Fighting for the America I Love”, nel quale rivela che gli Stati Uniti avevano pianificato di intervenire in Venezuela con l’intenzione di costringere il governo Maduro a raggiungere un accordo con l’opposizione per privare il Venezuela della sua capacità di ottenere valuta estera attraverso l’esportazione di petrolio e oro e, imponendo un’elevata pressione economica, e così influenzare le elezioni presidenziali del 2018.

◆Gli Stati Uniti adottano fondamentalmente un doppio standard nelle regolamentazioni internazionali, e mettono al primo posto l’interesse della loro propria parte, arrivando ad allontanarsi dalle regole dei Trattati e a ritirarsi dalle organizzazioni internazionali, fino ad anteporre la legge del proprio Paese su quella internazionale. Nell’Aprile del 2017, l’amministrazione Trump ha annunciato che avrebbe tagliato tutti i fondi per la spesa verso l’organizzazione del Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA), con il pretesto che la presente organizzazione “sostenesse o partecipasse a politiche di aborto forzato o di  sterilizzazione involontaria”. Gli Stati Uniti si sono ritirati, inoltre, due volte dall’UNESCO, nel 1984 e nel 2017. Nel 2017, hanno annunciato il loro ritiro dal “Paris Agreement” sui cambiamenti climatici. Nel 2018, hanno annunciato il loro ritiro dal Consiglio ONU per i Diritti Umani adducendo la motivazione che l’organizzazione fosse falsata dal difetto di “pregiudizio” nei confronti di Israele e che ci fossero effettivi problemi a “mantenere protetti i diritti umani fondamentali”. Nel 2019, gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dal Trattato sulle Forze nucleari a Medio raggio (INF), con l’occasione di cercare una incontrollata ripresa dello sviluppo dell’arsenale di armamenti avanzati. Nel 2020, ha annunciato la sua uscita dal Trattato sui Cieli Aperti.

Gli Stati Uniti, inoltre, sono divenuti una grave “pietra d’inciampo” nel processo del controllo sulle armi biologiche, per la loro opposizione a tenere negoziazioni sul protocollo per le ispezioni sulle stesse da parte della Convenzione sulle Armi Biologiche (BWC), impedendo da parte della comunità internazionale verifiche sulle attività dei Paesi riguardo gli armamenti biologici. Essendo l’unico Paese in dotazione di un arsenale di armi chimiche, gli Stati Uniti hanno ripetutamente rinviato la distruzione di queste armi e rimangono restii nell’adempiere ai loro obblighi. Ciò è divenuto il maggior ostacolo alla realizzazione di un “mondo libero dalle armi chimiche”.

◆ Gli Stati uniti si servono del sistema delle alleanze per dare forma a piccoli blocchi: nella regione Indo-Pacifico sta sviluppando a forza una “Indo-Pacific Strategy”, assemblando dei piccoli circoli esclusivi come i “Five Eyes”, formazioni come il “QUAD”e l’AUKUS, cercando di coinvolgere i Paesi della regione e fargli assumere una posizione. Queste pratiche sono essenzialmente volte a creare divisione nella regione, esacerbare il confronto e minare la pace.

◆ Gli Stati Uniti emettono giudizi arbitrari sulla democrazia negli altri Paesi, e costruiscono una falsa narrativa del tipo “democrazia contro autoritarismo” per istigare allo straniamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto. Nel Dicembre 2021, gli Stati Uniti hanno ospitato il primo “Summit for Democracy”, che ha attirato le critiche e l’opposizione da svariati Paesi per aver reso ridicolo lo spirito democratico e aver così diviso il mondo. Nel Marzo 2023, gli Stati Uniti, tuttavia, ospiteranno un nuovo “Summit for Democracy”, che resterà sgradito e senza supporto esterno.

2) La presuntuosa egemonia militare —— Uso sfrenato della forza

 

La storia degli Stati Uniti è disseminata di violenza ed espansionismo. Fin dall’acquisizione dell’indipendenza nel 1776, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di espandersi attraverso l’uso della forza: hanno massacrato gli Indigeni, invaso il Canada, mosso guerra contro il Messico, istigato la guerra Ispano-americana, e infine annesso le Hawaii. Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno fatto in modo di provocare o hanno lanciato una serie di guerre che includono quelle di Corea, del Vietnam, del Golfo, del Kosovo, quella in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria, abusando della propria egemonia militare in favore dell’apertura all’espansionismo.

Negli ultimi anni, il bilancio medio annuo militare si aggira intorno ai 700 miliardi di dollari, arrivando a rappresentare il 40% della spesa mondiale complessiva, ovvero superando quella dei primi 15 Paesi dietro di loro messi insieme. Gli Stati Uniti attualmente dispongono all’incirca di 800 basi militari all’estero, con un contingente di 173,000 truppe di stanza in 159 Paesi.

Come indicato dal libro “America Invades: How We’ve Invaded or been Militarily Involved with almost Every Country on Earth”, gli Stati Uniti hanno combattuto o sono stati coinvolti militarmente in quasi tutti gli oltre 190 Paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite, con solo tre eccezioni: questi 3 Paesi sono riusciti a “sopravvivere” grazie al fatto che gli Stati Uniti non li hanno trovati sulle mappe.

◆Nelle parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio il paese più bellicoso del mondo. Secondo il rapporto della Tufts University “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno condotto quasi 400 interventi militari in tutto il mondo a partire dal 1776 al 2019, di cui il 34% ha preso di mira la regione nell’America Latina e i Caraibi, il 23% l’Asia orientale e il Pacifico, il 14% il Medio Oriente e il Nord Africa, e il 13% l’Europa. Attualmente, l’intervento militare statunitense in Medio Oriente, Nord Africa e Africa Sub-sahariana è in aumento.

L’editorialista del “South China Morning Post” Alex Lo ha sottolineato che dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, gli Stati Uniti raramente distinguono tra diplomazia e guerra.

Nel secolo scorso, i governi democraticamente eletti in molti paesi in via di sviluppo sono stati rovesciati e sono stati immediatamente sostituiti da regimi fantoccio filoamericani. Oggi, dall’Ucraina all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dalla Siria al Pakistan e allo Yemen, gli Stati Uniti sono risoluti come sempre nel ripetere la loro usuale tattica, conducendo guerre per procura, a bassa intensità e con droni.

◆L’egemonia militare degli Stati Uniti ha condotto a delle tragedie umanitarie. A partire dal 2001, le guerre e le operazioni militari lanciate dagli Stati Uniti in nome dell’antiterrorismo hanno causato più di 900.000 morti, di cui circa 335.000 civili, milioni di feriti e decine di milioni di sfollati. La guerra in Iraq nel 2003 ha provocato la morte di circa 200.000-250.000 civili, più di 16.000 persone sono state uccise direttamente dall’esercito statunitense, lasciando sul campo oltre 1 milione di persone rimaste senza abitazione.

Gli Stati Uniti hanno creato 37 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Dal 2012 in poi, il solo numero dei rifugiati siriani è decuplicato. Dal 2016 al 2019, la Siria ha registrato 33.584 morti civili durante la guerra, di cui 3.833 sono stati uccisi dai bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti, metà dei quali erano donne e bambini. Come ha riferito la stessa rete televisiva pubblica statunitense Public Broadcasting Sevice (PBS) il 9 novembre 2018, il solo attacco aereo statunitense sulla città di Raqqa ha provocato la morte di 1.600 civili siriani.

La ventennale guerra in Afghanistan ha ridotto l’Afghanistan ad una totale devastazione. Un totale di 47.000 civili afgani e da 66.000 a 69.000 soldati e poliziotti afgani che non avevano avuto nulla a che fare con l’Incidente dell’11 Settembre hanno perso la vita nelle operazioni militari statunitensi, e oltre 10 milioni di persone sono state sfollate. La guerra in Afghanistan ha distrutto le basi dello sviluppo economico locale e impoverito il popolo afghano. Dopo la “Disfatta di Kabul” nel 2021, gli Stati Uniti hanno annunciato il congelamento di circa 9,5 miliardi di dollari di attività della banca centrale afgana, che è stato considerato un vero e proprio “saccheggio “.

Nel settembre 2022, il Ministro degli Interni turco Soylu ha dichiarato durante un convegno che gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra per procura in Siria, trasformato l’Afghanistan in un campo a cielo aperto per la piantagione di oppio e una fabbrica per la lavorazione dell’eroina, gettato il Pakistan nel tumulto e infine reso perpetua la guerra civile in Libia. Indipendentemente da quale Paese abbia risorse sotterranee, gli Stati Uniti faranno comunque tutto ciò che è in loro potere pur di saccheggiare e poi sottomettere quelle popolazioni lì localizzate.

L’esercito statunitense ha anche fatto largo impiego di metodi spaventosi per condurre le guerre: durante la guerra di Corea, quella in Vietnam, la guerra nel Golfo, la guerra del Kosovo, quella in Afghanistan e infine quella in Iraq sono stati utilizzati un gran numero di armi biologiche e chimiche e bombe a grappolo (cluster bombs), bombe a gas e petrolio, bombe a grafite e bombe all’uranio impoverito, causando danni a un gran numero di strutture civili, innumerevoli vittime civili innocenti e un inquinamento ambientale ecologico duraturo.

 

3) La predatoria egemonia economica —— Saccheggio e sfruttamento

 

Dopo la Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti sono stati alla guida dell’istituzione del Sistema di Bretton Woods, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale e hanno così fondato il Sistema Monetario Internazionale come nucleo centrale basato sul dollaro USA congiuntamente al Piano Marshall. Gli Stati Uniti hanno anche predisposto l’egemonia istituzionale in campo economico e finanziario internazionale facendo ricorso anche alla manipolazione delle regole del sistema internazionale, come il voto ponderato e come l’approvazione maggioritaria di oltre l’85% sugli accordi internazionali e predisponendo una serie di regolamenti commerciali interni. Con lo status del dollaro USA come principale valuta di riserva internazionale, gli Stati Uniti spillano danaro con il “signoraggio” da tutto il mondo e si servono del suo controllo sulle organizzazioni internazionali per costringere altri paesi a servire la strategia politica ed economica degli Stati Uniti.

◆Gli Stati Uniti utilizzano il “signoraggio” per accaparrarsi la ricchezza mondiale. In virtù del costo di soli circa 17 centesimi per una banconota da 100 dollari, gli Stati Uniti si riservano di fare in modo che gli altri Paesi garantiscano la fornitura agli Stati Uniti di beni e materiali per un valore corrispettivo di 100 dollari effettivi per ottenerne una. Come sosteneva l’ex Presidente francese Charles de Gaulle più di mezzo secolo fa, “gli Stati Uniti godono dei superprivilegi e di un deficit senza lacrime determinati dal dollaro, usando una carta straccia priva di valore per saccheggiare le risorse e le fabbriche di altre nazioni”.

◆L’egemonia del dollaro è la principale fonte di instabilità e incertezza economica su scala mondiale. Sullo sfondo della nuova pandemia da Coronavirus, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari sul mercato globale, mentre altri Paesi, in particolare le economie emergenti, ne stanno pagando il prezzo. Nel 2022, la Federal Reserve metterà fine alla sua politica  monetaria ultraespansiva, passando ad una politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse, causando turbolenze nel mercato finanziario internazionale, procurando all’Euro e ad altre valute una diminuzione brusca del valore, che toccherà un nuovo minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, molti fra i Paesi in via di Sviluppo subiranno una forte inflazione, un deprezzamento della valuta e un deflusso di capitali. Questo è esattamente quello che il Segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, una volta molto trionfalmente ma piuttosto incisivamente fece notare: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema”.

◆Con il loro controllo, gli Stati Uniti manipolano le organizzazioni economiche e finanziarie internazionali e allo stesso tempo impongono limiti ai loro aiuti ad altri paesi. I paesi beneficiari sono tenuti a promuovere la liberalizzazione finanziaria e l’apertura dei mercati finanziari, in modo che le politiche economiche dei paesi riceventi siano in linea con la strategia statunitense e riducano gli ostacoli alla penetrazione e alla speculazione del capitale statunitense. Secondo le statistiche del Review of International Political Economy, dal 1985 al 2014, il Fondo monetario internazionale ha realizzato 1.550 progetti di sostegno al debito per 131 paesi membri, con 55.465 clausole politiche aggiuntive allegate.

◆Gli Stati Uniti si servono della coercizione economica per sopprimere gli avversari. Negli anni ’80, per eliminare la minaccia economica posta dal Giappone, controllare ed usare il Giappone per servire gli obiettivi strategici statunitensi contro l’Unione Sovietica e dominare il mondo, gli Stati Uniti hanno ancora una volta eseguito una diplomazia finanziaria egemonica sfruttandola contro il Giappone, firmando con esso il “Plaza Accord” e forzando lo yen ad apprezzarsi, in modo da aprire il mercato finanziario e riformarne il sistema. Il “Plaza Accord” ha inferto un duro colpo alla vitalità dell’economia giapponese, e da allora il Giappone è entrato in quelli che poi sono stati definiti i “Trent’anni perduti”.

◆L’egemonia economico-finanziaria statunitense è stata ridotta ad un’arma geopolitica. Gli Stati Uniti si impegnano in sanzioni unilaterali e in una “giurisdizione a braccio lungo”, formulano e si basano su leggi nazionali quali l’International Emergency Economic Powers Act, il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act e il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act  e introducono una serie di Executive Order, imponendo sanzioni contro specifici Paesi, organizzazioni o persino individui. Secondo le statistiche, dal 2000 al 2021 le sanzioni verso l’estero statunitensi sono aumentate del 933%. La sola Amministrazione Trump ha imposto oltre 3,900 sanzioni, il che equivale a sventolare il “bastone sanzionatorio” mediamente 3 volte al giorno. Fino ad ora, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche a quasi 40 Paesi nel mondo, tra cui Cuba, Cina , Russia, Corea del Nord (DPRK), Iran e Venezuela, colpendo quasi la metà della popolazione mondiale. Gli “Stati Uniti d’America” sono così diventati gli “Stati Uniti delle Sanzioni”. La “giurisdizione a braccio lungo”  è stata completamente ridotta a strumento per sopprimere i concorrenti commerciali coi poteri dello Stato e per interferire con le normali transazioni commerciali internazionali a favore degli Stati Uniti, discostandosi completamente da quel concetto di economia di libero mercato che gli Stati Uniti vanno da tempo pubblicizzando.

 

4) L’opprimente egemonia tecnologica —— Monopolio e Oppressione

Gli Stati Uniti si sono impegnati nell’oppressione monopolistica in campo scientifico, tecnologico ed economico e votati al blocco tecnologico nel campo dell’High-tech  per frenare lo sviluppo tecnologico ed economico degli altri Paesi.

◆Gli Stati Uniti esercitano il monopolio della proprietà intellettuale nel nome della protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Utilizzando la posizione di debolezza, in particolare dei paesi in via di sviluppo, in materia di proprietà intellettuale e approfittando di una vacante posizione in materia di soggetti istituzionali correlati, attuano il monopolio e si impossessano di alti profitti da monopolio. Nel 1994, gli Stati Uniti hanno favorito la promozione dell’“Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS)” (Accordo commerciale in materia di diritti di proprietà intellettuale) , avviando un percorso e uno standard americanizzati di imposizione per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, nel tentativo di consolidare il loro vantaggio monopolistico tecnologico. Negli anni’80, gli Stati Uniti inclusero l’adozione dell’avvio all’indagine “301” per colpire lo sviluppo dell’industria giapponese di semiconduttori, creando una leva di scambio come potere contrattuale attraverso accordi multilaterali per i negoziati bilaterali, minacciando di elencare il Giappone come Paese commerciale sleale, imponendo misure come il prelievo di tariffe ritorsive ed altri mezzi, per costringere il Giappone a firmare l’”Accordo sui semiconduttori USA-Giappone” (U.S.-Japan Semiconductor Agreement) e per indurre le aziende giapponesi di semiconduttori a ritirarsi quasi completamente dalla concorrenza sul mercato globale, facendo scendere la loro quota dal 50% al 10%. Allo stesso tempo, col sostegno del governo degli Stati Uniti, un gran numero di società di semiconduttori statunitensi ha colto l’occasione per conquistare la propria quota di mercato.

◆Gli Stati Uniti assumono le questioni scientifico-tecnologiche in modo politicizzato, si armano delle stesse e le riusano in modo militarizzato e ideologico. Gli Stati Uniti sono usi alla generalizzazione del concetto di sicurezza nazionale, hanno utilizzato il peso del potere statale per sopprimere e sanzionare la società cinese Huawei, limitando l’ingresso dei prodotti Huawei sul mercato statunitense, interrompendo la fornitura di chip e sistemi operativi, costringendo in tutto il mondo altri Paesi a vietare che Huawei partecipi alla costruzione della rete 5G locale e in più sono arrivati ad istigare il Canada perché detenesse senza ragionevole motivo il CFO (Direttore finanziario) di Huawei Meng Wanzhou per quasi 3 anni. Gli Stati Uniti hanno anche inventato vari pretesti per dare la caccia e sopprimere le società cinesi dell’high-tech dotate di capacità competitive internazionali,  includendo oltre 1000 società cinesi in vari elenchi sanzionatori. In compenso, gli Stati Uniti possono anche vantare un controllo sulle tecnologie di alta fascia come le biotecnologie e l’intelligenza artificiale, rafforzando il sistema di controllo sulle esportazioni, forzando con il rigore il controllo sugli investimenti, in special modo reprimendo l’utilizzo di programmi e app di social media cinesi come Tik Tok e WeChat, ecc. ed esercitare pressioni su Paesi Bassi e Giappone per limitare le esportazioni verso la Cina di chip e tecnologie con le relative apparecchiature ad essi collegate. Gli Stati Uniti adottano anche un doppio standard nella loro politica sul personale scientifico e tecnologico di talento proveniente dalla Cina. Dal giugno 2018, alcuni studenti cinesi specializzandi in settori dell’high-tech si sono visti ridurre il periodo di validità del visto, divieti e molestie ingiustificati ripetutamente si sono verificati per studiosi cinesi che vanno negli Stati Uniti a condurre ricerca con scambi accademici e per studenti cinesi che studiano come studenti all’estero negli Stati Uniti, dando avvio a un’indagine su larga scala contro studiosi cinesi negli Stati Uniti, per escludere e reprimere i gruppi di ricerca scientifica cinesi.

◆Gli Stati Uniti nel nome della democrazia e della sua protezione mantengono solida l’egemonia tecnologica. Creano “piccoli club”  tecnologici come il “Chips Alliance” o il “Clean Network” ecc., affibiano una sorta di etichetta di “diritti umani e democrazia” all’high-tech, politicizzando ed ideologizzando le questioni tecniche, per trovare pretesti da fabbricare per poi imporre blocchi tecnologici ad altri Paesi. Nel maggio 2019, gli Stati Uniti hanno corteggiato 32 Paesi in modo che tenessero nella Repubblica Ceca la “Conferenza di Praga sulla Sicurezza 5G” (Prague 5G Security Conference) per emettere la “Proposta di Praga” nel tentativo di escludere i prodotti 5G con tecnologia cinese. Nell’aprile 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato il “5G Clean Path”, progettando di costruire un’alleanza tecnologica nel campo del 5G con la “democrazia” come legame ideologico tra i partners partecipanti e la “cybersicurezza” come obiettivo. L’essenza delle suddette misure statunitensi è mantenere l’egemonia tecnologica attraverso alleanze tecnologiche.

◆Gli Stati Uniti abusano dell’egemonia tecnologica impegnandosi in attacchi informatici e con la sorveglianza per le intercettazioni. Gli Stati Uniti sono la più grande famiglia al mondo per il furto di segreti informatici, tanto da essere annoverati già da tempo come l’ “Impero degli Hackers” tra i più famigerati. Gli attacchi informatici e i sistemi di individuazione e sorveglianza negli Stati Uniti non conoscono battuta d’arresto e sono pervasivi, ed esistono varietà di modi infiniti per rubare segreti, incluso tra questi il metodo dell’uso delle stazioni di base analogiche per i telefoni cellulari in cui il segnale viene collegato al telefono cellulare per rubare i dati, oppure il metodo che controlla il cellulare attraverso l’uso delle app, oppure l’hackeraggio attraverso i server cloud, o ancora si possono rubare segreti tramite l’uso dei cavi ottici sottomarini, e la lista prosegue. Gli Stati Uniti attuano un controllo e una sorveglianza “indiscriminati”. Tutto per essi rientra nel raggio del monitoraggio e controllo, dal concorrente all’alleato, perfino incluso l’ex Cancelliere tedesco Angela Merkel o diversi presidenti francesi e altri leader alleati. Il “Prism “, il “Dirtbox”, l’ “Irritant Horn”, il ” Telescreen Operation ” e altri incidenti di monitoraggio e attacco della rete statunitense, confermano e sono la prova che tutti gli alleati e i partner degli Stati Uniti sono strettamente monitorati dagli Stati Uniti. Le intercettazioni compiute dagli Stati Uniti verso i suoi partner e alleati hanno già suscitato l’indignazione pubblica della comunità internazionale. Assange, il fondatore del sito web “WikiLeaks” che ha esposto il programma di sorveglianza degli Stati Uniti, ha dichiarato che “non si deve aspettarsi un comportamento dignitoso e rispettoso da parte di questa “superpotenza di sorveglianza”. Esiste solo una regola, ed è che non ci sono regole”.

 

5) La demagogica egemonia culturale —— Spargere false narrative

L’espansione globale della cultura americana è una parte importante della sua strategia estera. Gli Stati Uniti sono usi ad utilizzare la cultura per rafforzare e mantenere la loro posizione egemonica nel mondo.

◆Gli Stati Uniti impiantano una visione dei valori americani in prodotti commerciali come i film. Attraverso prodotti cinematografici e televisivi,libri e vari media nonché finanziamenti a istituzioni culturali senza scopo di lucro, la visione dei valori e degli stili di vita americani vengono “incorporati e distribuiti”,  creando uno spazio culturale e di opinione pubblica dominato dallo stile della cultura americana e promuovendo così l’egemonia culturale. Lo studioso americano John Yemma ha sottolineato nel suo articolo “The Americanization of the World” che per quanto riguarda l’espansione culturale, le vere armi degli Stati Uniti sono l’industria cinematografica di Hollywood, la fabbrica di design dell’immagine su Madison Avenue e le linee di produzione di Mattel e Coca Cola. Gli Stati Uniti promuovono l’egemonia culturale in varie forme e i film americani, che rappresentano oltre il 70% della quota mondiale, ne sono uno dei canali principali. I film americani sono capaci di fare uso di background multiculturali per creare una forte attrazione per tutti i gruppi etnici. Mentre i film di Hollywood continuano ad essere distribuiti incessantemente in tutto il mondo, gli Stati Uniti ne hanno sommerso all’interno la visione dei propri valori, esagerandoli enormemente.

◆L’egemonia culturale americana è passata dall'”intervento diretto” alla “penetrazione mediatica” fino alla “sveglia mondiale”: quando interferisce negli affari interni di altri paesi, si affida maggiormente ai media occidentali dominati dagli Stati Uniti, per incitare l’opinione pubblica globale. Il governo degli Stati Uniti esamina rigorosamente tutte le società di social media e richiede l’attuazione delle direttive del governo. Fox Business Network ha riferito che, il 27 dicembre 2022, il CEO di Twitter Musk ha dichiarato che tutte le piattaforme di social media stanno collaborando con il governo degli Stati Uniti per censurare i contenuti. La direzione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti è soggetta all’intervento del governo per limitare ogni discorso sfavorevole. Google spesso fa sparire le pagine collegate. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti manipola i social media. Nel dicembre 2022, il sito web investigativo indipendente statunitense “The Intercept” ha rivelato che, nel luglio 2017, Nathaniel Kahler, ufficiale del Comando Centrale degli Stati Uniti ha inviato un modulo al team di politica pubblica di Twitter, incaricando di aumentare la presenza di 52 account in lingua araba, richiedendo un servizio prioritario per 6 di essi, uno dei quali era specializzato nella promozione e giustificazione di attacchi militari con droni statunitensi nello Yemen, come ad esempio che gli attacchi erano precisi e che uccidevano soltanto terroristi, non civili. Secondo la richiesta di Kahler, Twitter ha inserito questi account in lingua araba in una “lista bianca” per amplificarne determinate informazioni.

◆Gli Stati Uniti perseguono un doppio standard di libertà di stampa e sopprimono brutalmente i media di altri paesi. Attraverso l’utilizzo di vari mezzi fanno in modo di “silenziare” i media di altri paesi. Ad oggi, ai principali media russi come la tv russa Russia Today e l’agenzia di stampa Sputnik è stato ovunque vietato lo sbarco negli Stati Uniti e in Europa; gli account ufficiali russi sono stati pubblicamente limitati da piattaforme come Twitter, Facebook e Youtube; i canali e le applicazioni russi sono stati bloccati da Netflix, Apple, Google App Store, ecc. e rimossi direttamente dagli scaffali; i contenuti relativi alla Russia sono stati oggetto di una rigida censura senza precedenti.

◆Gli Stati Uniti hanno abusato dell’egemonia culturale per “far evolvere pacificamente” i paesi socialisti. Vengono istituiti mezzi di informazione e organizzazioni di media culturali mirati specificamente contro i paesi socialisti. Inoltre, le stazioni radio sostenute dagli Stati Uniti responsabili di infiltrazioni ideologiche, al pari delle reti televisive, ricevono ingenti fondi dal governo, utilizzano dozzine di lingue, istigando la propaganda contro i paesi socialisti 24 ore su 24. Gli Stati Uniti utilizzano informazioni false come strumento per attaccare altri paesi e hanno costituito una catena industriale di opinione pubblica formata da “denaro nero, opinioni distorte e bocche sostenitrici”. Forniscono un flusso costante di “denaro nero” ad alcuni gruppi e individui per sostenerli nell’elaborare “opinioni distorte”, così da influenzare l’opinione pubblica internazionale.

 

Conclusioni

 

Mentre una causa giusta ottiene un ampio sostegno da parte di molti sostenitori, una causa ingiusta condanna il suo persecutore a rimanere un emarginato alla fine. Gli atti di bullismo egemonico, tirannia egemonica ed il saccheggio profittevole, esercitati con forza e con il sotterfugio, inclusi i giochi a somma zero, sono profondamente dannosi mentre la tendenza storica di pace, sviluppo e cooperazione sono un  vantaggio per tutti irresistibile. Gli Stati Uniti sfidano la verità con il potere e calpestano la giustizia con l’interesse personale. Queste pratiche egemoniche di unilateralismo, supremazia e regressione stanno suscitando critiche e opposizioni sempre più forti da parte della comunità internazionale.

I paesi dovrebbero rispettarsi l’un l’altro e trattarsi da pari a pari. I grandi Paesi dovrebbero comportarsi in modo consono al loro status e prendere l’iniziativa nel perseguire un nuovo modello di relazioni tra Stati caratterizzato dal dialogo e dalla partnership, non dal confronto o dall’alleanza. La Cina si oppone a tutte le forme di egemonismo e politica di potere e rifiuta l’ingerenza negli affari interni di altri paesi. Gli Stati Uniti devono condurre un serio esame di coscienza. Devono esaminare criticamente ciò che hanno compiuto, lasciare da parte la loro arroganza e il loro pregiudizio e abbandonare le proprie pratiche egemoniche, ultradominanti e prepotenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] https://poterealpopolo.org/dottrina-monroe-globale/#:~:text=Nel%202023%20la%20Dottrina%20Monroe,sorta%20di%20Dottrina%20Monroe%20Globale.

[2] https://www.peoplesworld.org/article/ukraine-war-shifts-world-order-makes-socialism-more-necessary-than-ever/

3 https://www.defense.gov/News/Transcripts/Transcript/Article/1420042/remarks-by-secretary-mattis-on-the-national-defense-strategy/

[4] http://eng.chinamil.com.cn/OPINIONS_209196/Opinions_209197/16204882.html

[5] http://www.scmp.com/comment/opinion/article/3212559/are-us-fed-economists-chinese-propagandists-too

[6] https://fletcher.tufts.edu/faculty-research/security

[7] https://www.globaltimes.cn/page/202302/1286303.shtml

[8] https://libertystreeteconomics.newyorkfed.org/2023/03/the-dollars-imperial-circle/

 

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Crescendo rossiniano. Toni sempre più duri. Scelte politiche sempre più nette. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://www.globaltimes.cn/page/202303/1286861.shtml

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Pubblicato: Mar 07, 2023 11:35 PM

Martedì il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha risposto alle domande dei giornalisti nazionali ed esteri sulla politica estera e le relazioni esterne della Cina. La conferenza stampa del ministro degli Esteri è uno dei momenti salienti delle due sessioni annuali. In particolare, quella di quest’anno è la prima conferenza stampa dopo tre anni in cui il ministro degli Esteri cinese incontra la stampa di persona e la prima da quando Qin ha assunto l’incarico. Naturalmente ha ricevuto l’attenzione di tutte le parti.

 

In 114 minuti, Qin ha risposto a un totale di 14 domande, utilizzando un linguaggio vivace e umoristico per spiegare in modo vivace gli obiettivi e le missioni della diplomazia cinese, oltre a esprimere chiaramente le proposte e la posizione del Paese sulle relazioni con i Paesi principali, sulla diplomazia di vicinato e sui temi caldi. Le sue parole riflettevano la continuità e la certezza della diplomazia cinese, nonché lo stile personale di Qin. La sincerità, la franchezza, l’ampiezza di vedute e la fiducia in se stessi sono le impressioni più evidenti di questa conferenza stampa.

 

La stampa ha coperto una gamma molto ampia di argomenti, senza evitare i temi più scottanti che interessano il mondo. Ad esempio, per quanto riguarda gli scambi con l’estero, Qin ha espresso la sua ferma volontà di sviluppare l’amicizia e la cooperazione con altri Paesi, osservando che la Cina genererà nuove opportunità per il mondo con il suo nuovo sviluppo. Parlando dell’Iniziativa Belt and Road, ha detto che “la sua cooperazione è condotta attraverso la consultazione e le sue partnership sono costruite con amicizia e buona fede“. In effetti, dalla conferenza stampa, il mondo intuisce che la Cina salvaguarderà con fermezza i suoi interessi fondamentali e sarà sempre un costruttore della pace mondiale, un contributo allo sviluppo globale e un difensore dell’ordine internazionale. Questo è anche lo stile generale della diplomazia cinese nella nuova era.

 

L’opinione pubblica internazionale ha prestato particolare attenzione alla dichiarazione di Qin sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti, che da un lato sottolinea l’importanza di questa relazione bilaterale e dall’altro mostra le preoccupazioni realistiche del mondo esterno riguardo alle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Qin ha sottolineato senza mezzi termini che la percezione e la visione della Cina da parte degli Stati Uniti sono seriamente distorte, come “il primo bottone di una camicia messo male“. Se gli Stati Uniti non tirano il freno e continuano a percorrere la strada sbagliata, “ci saranno sicuramente conflitti e scontri“. Ha inoltre affermato che le relazioni tra Cina e Stati Uniti dovrebbero essere determinate dagli interessi comuni e dalle responsabilità condivise dei due Paesi e dall’amicizia tra i popoli cinese e americano, piuttosto che dalla politica interna degli Stati Uniti o dall’isterico neo-maccartismo. Questo non è solo un avvertimento a Washington, ma dimostra anche l’atteggiamento responsabile e serio della Cina nei confronti delle relazioni Cina-USA.

 

Abbiamo notato che alcuni media occidentali stanno esaminando questa conferenza stampa con la lente d’ingrandimento, cercando di etichettare la diplomazia cinese come “moderata” o “dura”, ma si tratta chiaramente di un errore di orientamento. In realtà, Qin ha chiarito in conferenza stampa che la cosiddetta “diplomazia del lupo guerriero” è una trappola narrativa. Nella diplomazia cinese non mancano la buona volontà e la gentilezza, ma se dovessero trovarsi di fronte a sciacalli o lupi, i diplomatici cinesi non avrebbero altra scelta che affrontarli di petto e proteggere la nostra madrepatria, ha detto Qin. In altre parole, ovunque si trovino gli interessi nazionali della Cina e la moralità del mantenimento della pace e della stabilità, i diplomatici cinesi saranno lì.

 

“Vale la pena sottolineare che la trappola narrativa menzionata da Qin è proprio il mezzo spregevole che Washington ha ripetutamente usato negli ultimi anni per cercare interessi geopolitici privati. Approfittando della sua egemonia sull’opinione pubblica, Washington ha costantemente teso trappole narrative come la “trappola del debito cinese“, le “regole dell’ordine internazionale” e la “democrazia contro l’autoritarismo” e, diffamando continuamente la Cina, tenta di metterla in difficoltà e di coprire le proprie azioni impopolari di iniziare una nuova guerra fredda sotto il nome di “competizione“. È chiaro che la politica statunitense nei confronti della Cina si è completamente allontanata da un percorso razionale e sano, e gli Stati Uniti non possono aspettarsi che la Cina non risponda con parole o azioni. È assolutamente impossibile”.

Allo stesso tempo, Qin ha anche affermato che il popolo americano, proprio come quello cinese, è amichevole, gentile e sincero, e desidera una vita e un mondo migliori. Pur affrontando di petto i lupi, la diplomazia cinese non ha mai rinunciato a perseguire l’unità, la cooperazione e lo sviluppo pacifico. Ciò si riflette in modo evidente nella crescente cerchia di amicizie della Cina. La Cina ha sempre più nuovi amici e vecchi amici sempre più vicini. Agli occhi della stragrande maggioranza dei Paesi normali della comunità internazionale, la Cina è un buon vicino e un partner amichevole, entusiasta e disposto a condividere. Alcuni media e l’opinione pubblica occidentali sostengono che la diplomazia cinese stia diventando sempre più “dura“, e alcuni si sono sentiti addirittura presi di mira durante la conferenza stampa, il che dimostra chi sono i “lupi” nelle relazioni internazionali di oggi – lo sanno molto bene.

 

Una Cina che si concentra sempre sullo sviluppo, con grandi certezze e un forte senso di responsabilità, porterà al mondo un senso di stabilità e di fermezza, che sarà trasmesso innanzitutto attraverso la diplomazia. Come ha detto Qin, il nuovo viaggio della diplomazia cinese sarà una spedizione con glorie e sogni, ma anche un lungo viaggio attraverso mari tempestosi. Più difficile sarà la missione, più glorioso sarà il suo compimento. Ci auguriamo che la diplomazia cinese nella nuova era possa ottenere risultati ancora più straordinari sotto la guida del Pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia.

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Lo Stato delle Cose dell’Ultima Religione Politica Italiana: il Mazzinianesimo (integrale), di Massimo Morigi

 

 

Monica Vitti, nella parte di Giuliana in una scena del film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni, girato nel 1964 a Ravenna

 

 

“L’ Italia e il Mondo” pubblica ora in un’unica soluzione il saggio di Massimo Morigi Lo Stato delle Cose dell’Ultima Religione Politica Italiana: il Mazzinianesimo.  Con due “piccole” differenze rispetto alla pubblicazione in quattro puntate. La prima che   al saggio introduttivo alla biografia su Arnaldo Guerrini e alla biografia stessa sul martire repubblicano ed antifascista sono state aggiunte le scansioni PDF degli originali delle tre “veline di Guerrini” che erano pur presenti da p. 83 a p. 89 del saggio ma che vi erano riportati solo nella loro trascrizione ma non nella loro autentica immagine. È un po’ un’emersione fantasmatica dalla notte dei tempi, tanto più, come preciseremo ora, che l’archivio dai quali questi importanti documenti erano stati recuperati e riconsegnati alla storia degli uomini ora probabilmente non esiste più. La seconda differenza è che il saggio che nella sua interezza “L’Italia e il Mondo” propone ai suoi lettori contiene anche una commemorazione dell’avvocato Vincenzo Cicognani di Lugo, che non solo fu amico e collaboratore di Arnaldo Guerrini (ed anche fra i fondatori del Partito d’Azione) ma che di quell’archivio che serbava i tre importantissimi documenti redatti da Arnaldo Guerrini era stato il creatore ed il custode e che, probabilmente a causa, mettiamola così, di una notevole insensibilità storica da parte di chi avrebbe dovuto custodirlo, oggi non esiste più. Leggerete anche che per Morigi l’occasione per commemorare Vincenzo Cicognani è stata l’ultima ricorrenza del IX Febbraio, col quale quest’anno i residuali mazziniani italiani hanno celebrato il 174° anniversario della fondazione della Repubblica Romana del 1849. Siamo sempre in tema di spettrali “emergenze”  ma, come ben si vede anche in questi giorni, anche (se non soprattutto) di queste fantasmatiche apparizioni politico-religiose, così nel bene come nel male, è indissolubilmente impastata e generata la geopolitica…

Giuseppe Germinario

https://ia801605.us.archive.org/31/items/repubblicanesimo-repubblicanesimo-geopolitico-neomarxismo-monica-vitti/Repubblicanesimo%2C%20Repubblicanesimo%20Geopolitico%2C%20Neomarxismo%2C%20Monica%20Vitti.pdf

Ecologia o delirio ?_di Davide Gionco

Ecologia o delirio ?
Le politiche ambientali dell’Unione Europea, l’idealità totalmente slegata dalla realtà.

di Davide Gionco

L’UE e gli ecologisti monotematici
L’Unione Europea è governata da ecologisti. Almeno in teoria.
Nulla fanno per evitare la diffusione delle microplastiche nell’ambiente e di altri composti chimici che portano effetti avversi gravi sulla salute umana: glifosato, PFAS, grafene, sostanze nanotecnologiche, radioattività, ecc..
Nulla fanno per evitare la diffusione di armi che uccidono molto più dell’effetto serra, anzi, fanno di tutto per aumentarne la produzione, così come per diffondere la mentalità di guerra.
Ma ci difendono dall’unico grave pericolo preso in considerazione dalla narrativa dei mass media: le emissioni di CO2 che portano al cambiamento climatico.
Da questa ideologia scaturiscono le proposte del piano “Fit for 55”.

Naturalmente non si propongono limitazioni all’importazione di prodotti commerciali contenenti energia fossile consumata in altri continenti, che causano emissioni di CO2 esattamente come se lo facessimo in Europa. Le limitazioni al consumo di energia vengono imposte unicamente in Europa, così che il risultato, alla fine, sarà comunque insufficiente rispetto all’obiettivo prefissato, dato che gli altri, fuori dall’Europa, avranno continuato ad inquinare, anche grazie agli acquisti di merci estere da parte dei paesi dell’UE.

In realtà l’unico motivo sicuro per cui l’UE dovrebbe affrancarsi dalle energie fossili è che si libererebbe dai condizionamenti da parte dei paesi fornitori di gas e di petrolio. L’autosufficienza energetica è qualcosa che può offrire ad un governo molti margini di azione nella politica internazionale e garantire una maggiore stabilità dei prezzi per famiglie ed imprese.

Chiudiamo qui la discussione sulla opportunità o meno di perseguire l’obiettivo primario di perseguire la riduzione delle emissioni di CO2. Assumiamo che si tratti dell’obiettivo giusto da perseguire e valutiamo la razionalità e l’efficacia delle soluzioni proposte.
La sensazione è che da parte della Commissione Europea e dei mezzi di informazione (che sanno solo fungere da amplificatore) è che vi sia una idealità totalmente slegata dalla realtà.
Un conto è che una singola persona, una singola famiglia, una singola impresa passi dall’auto a benzina all’auto elettrica o che installi una pompa di calore o che metta l’isolamento termico ad un edificio. Un altro conto è che a farlo siano centinaia di milioni di persone in tutta Europa o 60 milioni di persone in tutta Italia.

Ci sono dei problemi di fattore scala, come si dice fra noi ingegneri. Infatti è prima necessario verificare che filiere produttive dispongano di quanto necessario (materie prime, manodopera, capitali) per fare fronte all’aumento della domanda del mercato.

 

Il caso delle auto elettriche
Se un cliente si presenta da un autorivenditore per acquistare un’auto elettrica, questi non avrà problemi a vendergli una singola auto elettrica. Né la rete elettrica avrà, successivamente, problemi a rendere disponibile la necessaria energia elettrica per il funzionamento di una singola auto elettrica. Né ci saranno problemi, quando sarà ora di smaltire la batteria dell’auto, a trovare un modo sostenibile per farlo,
Ma ben diverso è che si presentino da tutti gli autorivenditori in Italia 20 milioni di italiani, ciascuno ordinando un’auto elettrica. In quel caso per rispondere all’ordinativo sarà necessario fare i conti con la capacità del sistema di produrre nel tempo richiesto tempi brevi una tale quantità di automobili. E’ evidente che i produttori non sarebbero pronti per passare da 100 mila auto vendute elettriche vendute in Italia nel 2022 a 1,3 milioni l’anno (totale delle auto vendute in Italia nel 2022), 13 volte tanto.
Per fare fronte a questa nuova domanda, infatti, sarà necessario reperire in sufficiente quantità le materie prime per i nuovi motori elettrici e per le batterie, le quali non sono prodotte scrivendo numeri sul computer, come si fa quando si scrive una norma, ma sono estratte dal pianeta terra, con implicazioni ambientali, sociali, geopolitiche, con il rischio di guerre per il controllo delle risorse.
Oltre a questo sarà anche necessario organizzarsi per smaltire, in modo ecologicamente sostenibile, le batterie elettriche esauste, per quantitativi 13 volte superiori a quelli attuali.

E si dovrebbe anche fare i conti con la disponibilità di energia elettrica, che dovrebbe aumentare considerevolmente rispetto all’attuale produzione.
Dove la prendiamo? Che cosa significa aumentare a tali livelli di disponibilità di energia elettrica?
Nel 2020 l’Italia aveva un consumo di energia elettrica di 319 TWh, di cui solo 273 TWh prodotti in Italia (e 46 TWh importati) e di cui 182 TWh provenienti da fonti non rinnovabili e solo 91 TWh da fonti rinnovabili.
A questo si andrebbero aggiungere altri 65 TWh l’anno per sostituire l’energia fossile delle auto termiche con energia elettrica da fonti rinnovabili.
L’Unione Europea ha proposto che dal 2035 vi sia il divieto di produrre auto termiche in Europa, per evitare di emettere CO2 con i motori termici. Ma questo significherà anche organizzarsi per aumentare la produzione elettrica da fonti rinnovabili di 182 + 65 = 247 TWh/anno rispetto ai 91 TWh/anno attuali, con un incremento pari a 2,7 volte. Oltre al fatto che dovremmo assicurarci che anche i 46 TWh/anno che importiamo provengano da fonti rinnovabili-
A chi parla di costruire nuove centrali nucleari risponderei che, dal momento della decisione, ci vogliono 14-15 anni prima di mettere in servizio una centrale nucleare (quindi saremmo già in ritardo per il 2035). E, anche in questo caso, dovremmo fare i conti con la disponibilità di ingegneri e di personale tecnico per progettarle e realizzarle, considerando che questo avverrebbe simultaneamente in tutta Europa.

In sostanza stiamo parlando di ideologia pura, di cifre teoriche scritte sulla carta, senza tenere conto della fattibilità concreta di quanto proposto.

Non a caso lo scorso mese di dicembre 2022 il CEO della Toyota, primo produttore al mondo di automobili (qualcosa ne sanno) ha detto chiaramente che al momento non siamo ancora pronti, sia per il fatto di non disporre di sufficiente energia elettrica per tutte queste auto. Se, infatti, l’energia elettrica necessaria fosse prodotta da fonti fossili, i rendimenti sarebbero peggiori di quelli attuali e inquineremmo ancora di più.

Oltre alla sostanziale impossibilità e non convenienza tecnica è anche necessario affrontare il discorso economico: quante famiglie sono in grado di permettersi di acquistare un’auto elettrica nuova da 30-40 mila euro nei prossimi anni a venire? Dove trovare tutti questi soldi, se non sommergendo di debiti le famiglie, a solo vantaggio degli istituti di credito finanziario?

Il caso delle case ecologiche
Il discorso si fa ancora più insostenibile nel caso dell’obbligo imposto dalla UE di portare tutti gli edifici almeno in classe energetica E entro il 01.01.2030 ed entro la classe D entro il 01.01.2033.
Sarebbe certamente una cosa utile. Anche per chi non fosse convinto dell’utilità ambientale, sarebbe certamente utile per il portafoglio che abitassimo tutti in case energeticamente efficienti, perché questo ci consentirebbe di ridurre il peso delle bollette per il riscaldamento e la nostra dipendenza estera da fonti energetiche fossili.

Quello che pare una emerita assurdità è pretendere che tutti i proprietari (compreso lo Stato) di edifici di classe energetica inferiore alla E riescano a realizzare i necessari interventi di ristrutturazione edilizia da qui al 31.12.2029. E poi, in soli 2 anni, fare lo stesso per gli edifici in classe E, a portare almeno in classe D.

Secondo i dati forniti dall’ENEA, i lavori di ristrutturazione energetica degli edifici trainati dal Superbonus 110% hanno portato in 3 anni di lavori a ristrutturare 360’000 edifici, saturando di lavoro il settore dell’edilizia.
Quindi, lavorando a pieno regime, il settore è in grado di ristrutturare al massimo 120’000 edifici ogni anno.
Considerando che gli edifici in Italia di classe energetica inferiore alla E sono 8,8 milioni, questo significa che, disponendo dell’attuale forza lavoro, servirebbero 73 anni per completare i lavori richiesti (entro fine 2029, meno di 7 anni) dalla UE. Oppure, in alternativa, servirebbe moltiplicare almeno di 10 volte la forza lavoro nel settore delle ristrutturazioni energetiche. Considerando che oggi l’edilizia occupa 2 milioni di persone, dovremmo istantaneamente passare a 20 milioni di lavoratori nel settore (ovviamente da formare e a cui fornire le necessarie attrezzature), sapendo che attualmente in Italia siamo in tutto 18-19 milioni di lavoratori.
Ovvero dovrebbe tutti lavorare nell’edilizia (compresi i disoccupati), tralasciando tutte le altre attività lavorative.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che, addirittura, sarebbero previsto, per chi non si adegua, il divieto di affittare o di vendere tali immobili.
Se anche il governo non avesse affossato il Superbonus 110%, non tanto riducendo la quota di detrazioni all’80%, ma soprattutto vietando la cedibilità dei crediti fiscali, il che taglierà fuori dal beneficio la grande maggioranza dei proprietari, fiscalmente incapienti, con l’attuale forza lavoro si potrebbero mettere a norma solo 840’000 edifici nei tempi imposti dalla UE, lasciando quasi 8 milioni di edifici fuori norma, sui 12 milioni esistenti in tutta Italia. Ovvero 2 edifici su 3 non sarebbero più né affittabili, né vendibili.
Si tratta, quindi, non solo di una disposizione impossibile, ma delirante.
E’ solo il caso di far notare che nessuno dei geni che ci governano, né dei geni che fanno finta di fare opposizione, se ne sia accorto. Quantomeno non si è sentito nessuno che abbia denunciato l’impossibilità delle richieste della UE, con la proposta di rispedirle al mittente.

Conclusioni
La prima conclusione da tratte è che in Europa e in Italia non siamo governati da ecologisti, ma da persone in preda ad un delirio ideologico.
Infatti concentrano tutte le attenzioni ad un solo aspetto, forse neppure il più urgente, delle questioni ambientali, senza occuparsi di tutti gli altri aspetti.
In secondo luogo vogliono imporre ai cittadini europei ed al mondo produttivo delle misure fattivamente impossibili da realizzare e con conseguenze catastrofiche certe sull’economia.
Se dobbiamo impegnarsi a salvaguardare il pianeta, lo dobbiamo fare per il nostro benessere e dei nostri discendenti.
Se le misure proposte portano inevitabilmente a sommergere di debiti cittadini e imprese, a devastare l’ambiente in altre zone del pianeta, a bloccare il mercato immobiliare, impedendo alla gente di cambiare casa o di vendere un immobile, a doversi privare dei mezzi di trasporto…
E tutto questo senza incidere più di tanto sull’effetto serra, dato che il resto del mondo continuerà ad inquinare come e più di oggi.

Nel frattempo gli stessi che ci governano trascurano, per ossequio alle varie lobbies industriali, tante altre questioni che riguardano la qualità di vita della gente, come la diffusione di altre sostanze inquinanti nell’ambiente, nei cibi, nei farmaci. Come la crescita della produzione e vendita di armi, che porta inevitabilmente all’aumento di morti ed al maggior potere dei produttori di armi nei confronti dei decisori politici. Ricordiamoci che “L’Italia ripudia la guerra”. Non lo abbiamo scritto a caso nella Costituzione.

Vorrei chiedere ai nostri politici ed ai giornalisti che fanno informazione di liberarsi da questi folli condizionamenti ideologici, perché la storia ci insegna quanti morti sono arrivati dalle derive ideologiche nei decisori politici.
Chiediamoci se l’attuale modello economico, che punta a trasformare tutto in business, incurante degli “effetti collaterali” (sulle persone, sull’ambiente), sia davvero un modello economico adeguato pert gli obiettivi che ci prefissiamo.
Va bene usare le ideologie per pensare ad un mondo migliore, ma impariamo a fare sempre i conti con la realtà. Diversamente rischiamo di raggiungere risultati molto diversi da quelli sognati.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7], di Daniele Lanza

Vista la gravità dell’episodio di questi giorni a Berlino (più ci si pensa più ne diventa nitida la gravità estrema), ripubblico una vecchia serie di riflessioni in merito all’identità dello stato tedesco nell’ultimo secolo, che scrissi svariati anni fa in coincidenza dei festeggiamenti per la fine del conflitto mondiale :”IL CICLO DEI VINTI” in 7 parti.
Dato che la crisi dell’ultimo anno ha costituito una prova del 9, gettando luce sulle identità e sulle fedeltà di ognuno di noi e di ogni stato (i periodi di crisi hanno questo effetto) e in generale sull’ASSENZA di una comunità europea realmente indipendente ed efficace……..suggerisco di ripassarne i fondamentali iniziando proprio dal suo tassello più importante che è la GERMANIA contemporanea.
Buona (ri)lettura.
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco. Da leggere ma senza impegno)
Antichissimo buon senso orientale ci ricorda che ad ogni evento che determini un guadagno da una parte, sempre ed inevitabilmente corrisponde una perdita di analoga entità da un’altra : quest’ultima, la perdente, può essere più vicina a noi e quindi immediatamente percepibile, oppure – al contrario – meno prossima o addirittura remota, tanto da sfuggirci e darci l’illusoria impressione che il nostro successo si sia verificato senza danno, senza vittime. Di pia illusione si tratta naturalmente…..poichè per legge empirica (diciamo), ad un surplus aritmeticamente quantificabile in un determinato luogo, DEVE corrispondere un deficit altrove : possiamo infischiarcene di questo “altrove” certamente, concludere sulla base dei nostri valori e priorità che non ci riguardi (è a tutti gli effetti un diritto), ma decidere che non esista e far finta di nulla…..è una comodità che qualsiasi rigore intellettuale non consente (per dire : un governante può anche lavarsi le mani del fatto che milioni di suoi sudditi siano scalzi o soffrano carestie, ma NON può difendersi affermando di ignorare la situazione. Nel caso che veramente la ignori, mal gliene incolga – ogni riferimento all’ultimo tsar non è casuale).
La letteratura moderna ribadisce il concetto con la “teoria della somma zero” di Marx.
Mi duole prendere le cose troppo alla lontana, ma quanto avete appena letto costituisce la premessa filosofica, il senso di fondo, di quanto cercherò di esprimere in quanti capitoli sgorgheranno dalla mia tastiera da qui in avanti…….è a questo incipit che mi riallaccerò al momento dell’epilogo, chiudendo il cerchio.
Dunque…la storia – nella sua totalità – non si ferma mai, nel senso che laddove una storyline finisce, ipso facto ne nasce un’altra che prosegue (semplicemente si sostituiscono gli attori) : è la dinamica convenzionale considerando che tutto è correlato e che molto spesso una vicenda nasce dalle ceneri o dall’esaurimento di una ad essa anteriore. Orbene, questo perenne passaggio di testimone dalle alterne fortune genera naturalmente memorie differenti : tutto ciò che simboleggia gaudio e stimolo per la parte vincente in entrata -una data ad esempio – corrisponde, all’inverso, a triste epilogo per quella che soccombe, in uscita (elementare questione di prospettiva). Nel nostro caso si parla della GERMANIA, intesa come stato nazionale tanto per andare al punto senza tirarla avanti con altri fronzoli.
Il 9 maggio tutti cannoni – virtuali – di Russia (mio secondo paese), nonché di un’altra mezza dozzina di paesi del suo “commonwealth” culturale post-sovietico, sparano in commemorazione delle 75 estati trascorse dal momento in cui le forze armate germaniche firmano la capitolazione davanti al comando sovietico, concludendo il conflitto mondiale in Europa.
Il 9 maggio NESSUN cannone spara in Germania e mai lo farà. Indifferenza, un giorno come qualsiasi altro….anche in questo la tragedia del vinto : a prescindere dal tributo di sangue versato o dal valore dimostrato, lo attende l’oblio. In quanto sconfitto, diventa “male” secondo il metro di giustizia del nuovo contesto plasmato dai suoi vincitori, al punto che l’opzione più conveniente è la dimenticanza per l’appunto.
Da generazioni ogni 9 maggio milioni di adolescenti di Mosca, Leningrado, Ekaterinburg dilagano per le strade e i corsi principali contribuendo all’oceanico pubblico che segue la parata in un turbine variopinto di drappi, bandiere, striscioni, nastri, fiocchi medaglie, e qualsiasi cosa possa luccicare sotto il sole della tarda primavera, in ricordo di nonni e bisnonni.
Nel medesimo giorno i loro coetanei di Francoforte, Berlino e Amburgo sono a casa dopo un normale giorno di lezioni tra i banchi : loro nemmeno SANNO (non tutti) cosa sia stato o cosa abbia fatto il nonno o il bisnonno. E’ quasi come se non li avessero o almeno non li hanno per quanto concerne quella capsula temporale che segue l’anno 1933 e precede il 1945…pazienza per quanti di questi nonni e bis. sopravvissero e si costruirono un’esistenza nella generazione a venire, ma per coloro che ebbero sventura di cadere sul campo di battaglia la faccenda si fa problematica dato che la finestra temporale 33-45 come si è detto è zona morta.
Ecco, siamo di fronte a un triangolo delle Bermuda della memoria collettiva tedesca (come ben si sa), un buco nero che inghiotte e dissolve visi e voci, dissolvendoli riducendoli a un nebbioso e remoto mare di sagome che emette un lamento confuso : zona morta anche per i morti – scusate il gioco di parole – dove non muoiono esattamente, ma piuttosto vengono discretamente rimossi dalla linea temporale. Sì perché una morte eroica fa frastuono, attira l’attenzione pubblica…. è problematica ! L’autorità tedesca post-bellica NON poteva parlar bene dei propri uomini in uniforme, ma nemmeno male (perché aldilà del bene o del male, l’atto stesso del parlare, tiene in vita la cosa) ragion per cui si opta per la soluzione meno compromettente ed efficace : miniaturizzazione, compressione, vaporizzazione (passatemi qualche verbo originale) del soggetto tabù.
E allora ?? Quel golia chiamato “Wehrmacht” ha ancora da lamentarsi ?! Un conflitto convenzionale non demolisce demograficamente mezza dozzina di nazionalità diverse al passare di un singolo esercito ! Dire che si è passato il segno è limitativo, imbarazzante. Una dirigenza politica come quella del reich e coloro che maggiormente la sostennero (tra cui le forze armate) lanciatasi in un progetto di ambizione e incognite fuori scala, deve accettare le leggi dell’azzardo il che prevede ritrovarsi obliterati dal tavolo da gioco se qualcosa va male, le scuse non esistono nemmeno se si vede il gioco dal loro stesso punto di vista (…).
Il nodo – alla base del dibattito sull’identità tedesca dal dopoguerra in avanti – è questo, la posta in gioco : ci si è giocati integralmente il proprio paese come in una partita e quando questo accade, non soltanto la frazione più direttamente responsabile, ma tutto e tutti ne subiranno il peso…sarà la patria nella sua totalità – il concetto di essa – a pagare un tributo. La Germania non è solo nel novero dei paesi sconfitti dalla guerra, ma in quello dei paesi SCOMPARSI a seguito della guerra dal momento che le statualità post-conflitto non saranno la continuazione del paese “tradizionale” nato nel XIX° secolo : in questo senso è proprio la Germania tradizionale ad essere la prima vittima del nazionalsocialismo.
Il 9 maggio si aprono le porte al sorgere della “patria – superpotenza” diretta da Mosca, mentre conversamente, il medesimo giorno muore la “vecchia patria” in Germania.
(CONTINUA…)

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Verso il tripolarismo: Il golden billion, l’intesa sino-russa e il Sud globale _ di Andrew Korybko

Verso il tripolarismo: Il golden billion, l’intesa sino-russa e il Sud globale

Andrew Korybko
14 ore fa

L’imminente evoluzione della transizione sistemica globale verso il tri-multipolarismo potrebbe vedere il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India diventare i poli più importanti delle relazioni internazionali, al di sotto dei quali si troverebbero le potenze in ascesa e i gruppi regionali. Tutti gli attori si bilancerebbero l’un l’altro, allineandosi all’interno e tra i rispettivi livelli, il che potrebbe portare a stabilizzare gli affari globali molto più di quanto abbiano fatto i precedenti ordini unipolari e bimultipolari.

Le relazioni internazionali stanno correndo verso la tripolarità a un ritmo sorprendente, come risultato dei drammatici eventi che si sono verificati nell’ultimo anno e soprattutto nell’ultimo mese. I lettori che non hanno seguito da vicino questo megatrend potrebbero essere colti di sorpresa da questa valutazione, per cui è necessario che esaminino le seguenti analisi che collocheranno tutto nel contesto appropriato. Dopo averle elencate, verranno riassunte per comodità prima di spiegare cosa accadrà prossimamente:

Briefing di base

* 7 ottobre 2021: “Verso il bimultipolarismo”.

* 16 dicembre 2021: “Il Neo-NAM: dalla visione alla realtà”

* 15 marzo 2022: “Perché gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia rispetto alla Cina?”

* 26 marzo 2022: “La Russia sta conducendo una lotta esistenziale in difesa della sua indipendenza e sovranità”.

* 22 maggio 2022: “Russia, Iran e India stanno creando un terzo polo di influenza nelle relazioni internazionali”.

* 6 giugno 2022: “L’India è l’insostituibile forza di equilibrio nella transizione sistemica globale”.

* 20 giugno 2022: “Verso la doppia tripolarità: Una grande strategia indiana per l’era della complessità”.

* 5 agosto 2022: “Il Ministero degli Esteri russo ha spiegato in modo esauriente la transizione sistemica globale”.

* 1 ottobre 2022: “Il conflitto ucraino potrebbe aver già fatto deragliare la traiettoria della superpotenza cinese”.

* 29 ottobre 2022: “L’importanza di inquadrare correttamente la nuova guerra fredda”.

* 19 novembre 2022: “Analizzare l’interazione tra Stati Uniti, Cina, Russia e India nella transizione sistemica globale”.

* 29 novembre 2022: “L’evoluzione delle percezioni dei principali attori nel corso del conflitto ucraino”.

* 14 dicembre 2022: “La neutralità di principio dell’India produce grandi benefici strategici”.

* 28 dicembre 2022: “I cinque modi in cui gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’Europa nel 2022”.

* 1 gennaio 2023: “Il New York Times ha cercato di gettare ombra sull’ascesa globale dell’India”.

* 7 gennaio 2023: “Il vertice indiano sul Sud globale è l’evento multilaterale più importante degli ultimi decenni”.

* 11 gennaio 2023: “Smascherare l’agenda narrativa dei media occidentali nel distorcere la nuova distensione sino-americana”.

* 4 febbraio 2023: “L’incidente del palloncino cinese potrebbe spostare in modo decisivo le dinamiche dello ‘Stato profondo’ di Cina e Stati Uniti”.

* 14 febbraio 2023: “L’autodichiarazione della NATO sulla ‘corsa alla logistica’ conferma la crisi militare-industriale del blocco”.

* 26 febbraio 2023: “La Cina sembra stia ricalibrando il suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia”.

* 28 febbraio 2023: “Quanto cambierebbe drasticamente il mondo se la Cina armasse la Russia?”.

* 1 marzo 2023: “I forum globali come l’ONU e il G20 stanno gradualmente perdendo la loro importanza”.

* 1 marzo 2023: “La Germania mente: Le spedizioni di armi cinesi alla Russia non violerebbero il diritto internazionale”.

La “nuova distensione

Per semplificare eccessivamente la confluenza di queste complesse tendenze, gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia per facilitare il contenimento della Cina, ergo l’ultima fase del conflitto ucraino che hanno provocato attraverso l’operazione speciale di Mosca in corso in quel paese. Nel corso della guerra per procura tra NATO e Russia che ne è seguita, gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia unipolare sull’UE, destabilizzando al contempo il sistema globalizzato da cui dipende la grande strategia della Cina, che ha così ottenuto un vantaggio su Pechino.

Ciò ha a sua volta spinto il presidente Xi a lanciare un tentativo di “nuova distensione” durante il vertice del G20 di Bali di metà novembre, durante il quale sperava che Cina e Stati Uniti potessero raggiungere una serie di compromessi reciproci volti a stabilire una “nuova normalità” nei loro legami. Lo scopo era quello di ritardare la fine dell’ordine mondiale bimultipolare, all’interno del quale queste due superpotenze esercitavano la massima influenza sulle relazioni internazionali, messa in discussione dall’ascesa dell’India nell’ultimo anno.

L’influenza dell’India che cambia le carte in tavola

Lo Stato dell’Asia meridionale è diventato in questo periodo una Grande Potenza di rilevanza globale grazie al suo magistrale gioco di equilibri tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud globale guidato dai BRICS e dalla SCO, di cui fa parte. Il suo ruolo di kingmaker nella nuova guerra fredda tra i due Paesi per la direzione della transizione sistemica globale ha permesso al resto del Sud globale di crescere sulla scia dell’India, rivoluzionando così le relazioni internazionali e accelerando l’emergere del tri-multipolarismo.

La suddetta sequenza di eventi ha conferito alla “Nuova distensione” sino-americana un senso di urgenza, poiché entrambe le superpotenze avevano motivi di interesse personale per riprendere il controllo congiunto di questi processi, sebbene il loro tentativo di riavvicinamento sia stato inaspettatamente deragliato dall’incidente del palloncino. La rinnovata influenza delle fazioni della linea dura sulla definizione delle politiche, che si è verificata all’indomani di quell’incidente, ha interrotto bruscamente i loro incipienti colloqui e li ha posti sulla traiettoria di un’intensa rivalità.

I grandi ricalcoli strategici della Cina

Parallelamente a questo sviluppo, la NATO ha dichiarato di essere in una cosiddetta “gara logistica”/”guerra di logoramento” con la Russia, il che implica che raddoppierà il suo sostegno militare a Kiev anche a spese del soddisfacimento delle esigenze minime di sicurezza nazionale dei suoi membri. Se questo blocco dovesse riuscire a fare breccia lungo la Linea di Controllo (LOC), potrebbe catalizzare lo scenario peggiore della “balcanizzazione” della Russia se queste dinamiche strategico-militari svantaggiose dovessero andare fuori controllo.

Sia il Presidente Putin che il suo predecessore Medvedev hanno recentemente messo in guardia da questa possibilità, che per ora rimane improbabile ma non può essere scartata, contribuendo così alla graduale ricalibrazione dell’approccio cinese alla guerra per procura tra NATO e Russia, in concomitanza con la fine della “Nuova distensione”. Ciò ha portato la Repubblica Popolare a considerare seriamente l’invio di aiuti letali al suo partner strategico per compensare lo scenario peggiore, provocando così le minacce di sanzioni da parte dell’Occidente.

“La grande triforcazione

Nel caso in cui la Cina si senta costretta dalla NATO ad aiutare la Russia in questo modo e il Miliardo d’Oro imponga sanzioni contro di essa in risposta, si prevede che potrebbe seguire un “decoupling” cino-europeo avviato dagli Stati Uniti sulla falsariga del precedente russo-europeo avviato dagli Stati Uniti. Il rapporto esclusivo di Reuters di mercoledì, che citava quattro funzionari statunitensi senza nome e altre fonti, ha ampliato il credito allo scenario precedente, rivelando che il “Golden Billion” sta effettivamente discutendo di sanzioni multilaterali.

Se questi due sviluppi dovessero verificarsi – la Cina che arma la Russia e poi viene sanzionata dal Miliardo d’Oro in modo tale da provocare il loro “disaccoppiamento” (graduale o istantaneo) – allora le relazioni internazionali entrerebbero in un periodo di tri-multipolarità caratterizzato dalla prominenza di tre poli che esercitano la maggiore influenza sugli affari globali, ma la cui influenza non sarebbe tuttavia assoluta, poiché sarà tenuta in qualche modo sotto controllo dalle potenze in ascesa e dai gruppi regionali.

L’ordine mondiale trimultipolare

I tre poli previsti sono il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India, che probabilmente continuerà a riunirsi informalmente in un nuovo Movimento dei non allineati (“Neo-NAM”). All’interno di quest’ultimo risiederanno potenze in ascesa come il Brasile, l’Iran, il Sudafrica e la Turchia, oltre a gruppi regionali come l’Unione Africana (UA), l’ASEAN e la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC).

Ciascuna di queste tre categorie di attori – i tre poli, le potenze in ascesa e i gruppi regionali che si collocano al di sotto dei primi in questa gerarchia internazionale informale – dovrebbe bilanciarsi a vicenda attraverso un allineamento multiplo all’interno e tra i rispettivi livelli. Il ruolo dell’India sarà il più importante di tutti, poiché è in grado di facilitare il commercio tra il Miliardo d’oro e l’Intesa sino-russa nel caso in cui il loro potenziale “disaccoppiamento” venga portato all’estremo, cosa che non si può escludere.

Il ruolo di kingmaker dell’India

Inoltre, il fatto che l’India abbia ospitato virtualmente il vertice Voice Of Global South ha posizionato questo Stato-civiltà come centro di gravità per i suoi colleghi in via di sviluppo, il che rafforza la probabilità che il Neo-NAM continui a riunirsi informalmente attorno ad esso. Da lì, l’India può promuovere le proprie piattaforme finanziarie, tecnologiche e di altro tipo per fornire agli Stati del Sud globale una terza scelta neutrale tra il Miliardo d’oro e l’Intesa sino-russa nella nuova guerra fredda.

Anche le potenze in ascesa e i gruppi regionali che partecipano al Neo-NAM, non ufficialmente guidato dall’India, potrebbero sviluppare le proprie piattaforme, ma quella indiana potrebbe diventare lo standard per facilitare l’impegno tra loro nelle fasi iniziali. Parallelamente, i forum globali come l’ONU e il G20 non avranno più molto significato se non quello di fungere da club di discussione, mentre i gruppi regionali e guidati da interessi sostituiranno il loro ruolo precedente nel promuovere una cooperazione tangibile tra i Paesi.

Riflessioni conclusive

L’imminente evoluzione della transizione sistemica globale verso la tripolarità potrebbe vedere il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India diventare i poli più importanti delle relazioni internazionali, al di sotto dei quali si troverebbero le potenze in ascesa e i gruppi regionali. Tutti gli attori si bilancerebbero l’un l’altro, allineandosi all’interno e tra i rispettivi livelli, il che potrebbe portare a stabilizzare gli affari globali molto più di quanto abbiano fatto i precedenti ordini unipolari e bimultipolari.

https://korybko.substack.com/p/towards-tri-multipolarity-the-golden

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Voi e l’esercito di chi?_di Aurelien

Voi e l’esercito di chi?

La NATO farebbe bene a rimanere fuori dall’Ucraina.

di Aurelien

https://aurelien2022.substack.com/p/you-and-whose-army

 

I will do such things –
What they are yet I know not, but they shall be
The terrors of the Earth! – 
Shakespeare, King Lear.

 

Politici ignoranti e opinionisti confusi hanno fatto rumore di recente, minacciando, o addirittura fantasticando, su una sorta di intervento formale della NATO in Ucraina. In generale, non hanno idea di cosa stiano parlando e di quali sarebbero le implicazioni pratiche di un intervento. Ecco alcuni esempi del perché è un’idea stupida.

 

Nel gennaio del 1990, mi trovavo nel quartier generale della NATO a Bruxelles per una riunione di routine. Era una di quelle giornate fredde e umide in cui il Belgio è specializzato, ma c’era molto di più dietro l’atmosfera gelida e da mausoleo dei corridoi deserti. Negli ultimi mesi, il terreno si era continuamente mosso sotto i piedi della NATO e, non molto prima di Natale, la Romania, l’ultimo rimasuglio del Patto di Varsavia, era andata in fiamme. Nessuno aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo la settimana successiva, per non parlare del mese successivo, e la NATO cominciava ad assomigliare a un manifestante con un cartello per una causa già superata. Le capitali nazionali facevano fatica a tenere il passo con ciò che stava accadendo. Ho chiesto a un collega appena tornato da Washington cosa dicevano i falchi dell’Amministrazione Bush. La risposta è stata: “Sono sotto shock”.

 

Il fatto che la NATO esista ancora quasi trentacinque anni dopo, e che ora abbia il doppio dei membri di allora, ha incoraggiato alcune persone che non hanno prestato attenzione a credere che la NATO sia ancora la stessa potente organizzazione militare che era nel 1989, e che quindi basti minacciare un suo coinvolgimento formale in Ucraina, e i russi si allontaneranno. Non potrebbero essere più pericolosamente in errore.

Il fatto che la NATO sia sopravvissuta dopo il 1989 è stata una sorpresa per alcuni. Ma, come ho sottolineato, l’Alleanza aveva in realtà una serie di scopi utili per gli Stati europei e, in ogni caso, il mondo stava cambiando così rapidamente che non solo era impossibile trovare un accordo intorno a con che cosa sostituirla, ma era anche impossibile sapere che tipo di compiti avrebbe dovuto svolgere una futura organizzazione. Le organizzazioni non si chiudono all’improvviso e, in ogni caso, la NATO aveva ancora molto da fare. Quel giorno del gennaio 1990, la NATO era ancora profondamente coinvolta nei negoziati per il controllo degli armamenti a Vienna, che avevano finalmente dato una degna sepoltura alla Guerra Fredda, e continuava ad avere molto da fare, mentre i partner negoziali dall’altra parte del tavolo iniziavano ad avere quelli che si potrebbero definire problemi di coordinamento, e uno di loro si avvicinava al nostro lato del tavolo. Quando quella saga e le relative complicazioni furono finalmente risolte, la NATO si ritrovò in Bosnia, poi ad accogliere nuovi membri in un modo che non era stato previsto, poi in Kosovo, poi in Afghanistan. Tutto questo è stato essenzialmente improvvisato: non c’era un piano generale, se non un consenso pervasivo sul fatto che la NATO era più utile che no, e che era necessario trovarle cose da fare per mantenerla in vita.

 

Ma dietro le quinte stavano cambiando molte cose. La struttura militare della NATO, creata in preda al panico dopo la guerra di Corea e sempre pronta a mobilitarsi con breve preavviso, non serviva più a nulla. All’inizio lentamente, poi sempre più rapidamente, i contingenti nazionali che avevano costituito le sue forze permanenti cominciarono a sciogliersi. Una dopo l’altra, le nazioni europee abbandonarono il servizio di leva nazionale, ridussero radicalmente le dimensioni delle loro forze militari e sospesero le procedure di mobilitazione. Le forze statunitensi tornarono progressivamente a casa. La generazione di equipaggiamenti militari che stava entrando in servizio all’epoca è stata infine dispiegata, in numero ridotto, e per la maggior parte è ancora in servizio. I carri armati e gli aerei che la NATO intende inviare in Ucraina (il Challenger II, il Leopard II, l’F-16) sono essenzialmente progetti degli anni ’70, anche se molto aggiornati.

 

Il riconoscimento che la capacità della NATO di condurre una guerra seria è l’ombra di ciò che era un tempo sta lentamente iniziando a diffondersi nella comunità strategica, che non vi ha prestato attenzione nell’ultima generazione o giù di lì, perché aveva lo sguardo fisso sull’Afghanistan e sull’Iraq. Ma in realtà la situazione è molto peggiore, e come spesso accade i veri problemi sono nascosti nelle complessità tecniche. Ne tratterò brevemente alcuni, per spiegare perché l’intervento della NATO in Ucraina non è realmente possibile, se fosse possibile non sarebbe auspicabile, e anche se fosse auspicabile sarebbe totalmente inefficace, e persino pericoloso. Poiché non ho una formazione militare, lascerò questa parte agli esperti e mi concentrerò sulle questioni più ampie.

 

Dato che di recente i britannici hanno emesso alcuni dei rumori più bellicosi, analizziamo cosa è cambiato in quel paese dai tempi della Guerra Fredda. Nel 1989, l’esercito britannico del Reno poteva schierare un corpo d’armata completo di quattro divisioni, circa 55.000 soldati, pronti a essere rinforzati in guerra da quasi altrettanti riservisti e unità regolari provenienti dal Regno Unito. (C’era anche una potente componente aerea. Durante la cosiddetta fase di transizione verso la guerra, la mobilitazione sarebbe avvenuta con poteri bellici d’emergenza, togliendo le persone dai posti di lavoro e requisendo le risorse logistiche e di trasporto per trasferire decine di migliaia di combattenti in Europa, mentre le famiglie venivano evacuate nella direzione opposta. Il governo normale sarebbe stato sostituito e il Parlamento si sarebbe, di fatto, dissolto. Decine di migliaia di altre truppe sarebbero state mobilitate per la difesa interna. Si sarebbero introdotte misure di difesa civile per far fronte ai bombardamenti e alle operazioni di sabotaggio previsti. Il governo stesso sarebbe stato disperso e i ministri avrebbero operato come commissari regionali.

Anche sul continente, naturalmente, si stavano prendendo disposizioni simili. Milioni di riservisti sarebbero stati richiamati, inviati alle loro unità e, in alcuni casi, trasferiti a centinaia di chilometri nelle loro sedi di guerra. La vita ordinaria si sarebbe di fatto fermata, perché la mobilitazione avrebbe richiesto tutte le risorse delle nazioni coinvolte. Questo è il significato della “guerra” moderna: perché i russi dovrebbero accettare ora un accordo che ci causa meno problemi? Perché dovrebbero accettare una sorta di “guerra light”, limitata solo all’Ucraina?

 

C’è quindi da chiedersi se le nullità che parlano di “guerra” con la Russia abbiano una qualche idea di cosa significhi, e se capiscano come al giorno d’oggi non esistano nemmeno i meccanismi più elementari per renderla possibile. Tanto per cominciare, la guerra non è solo qualcosa che facciamo agli altri. Non si tratta di salutare i ragazzi che salpano per andare a combattere in un paese straniero, ma di combattere deliberatamente con qualcuno che può farci molto più male di quanto noi possiamo farne a lui. Le implicazioni pratiche sono molteplici: vediamo solo alcune delle più importanti.

 

Oggi nessuno “dichiara guerra”. Dopo il processo di Norimberga e la Carta delle Nazioni Unite, in cui le nazioni si impegnano ad astenersi dall’uso della forza, non è più possibile iniziare proattivamente uno stato di guerra con un’altra nazione. Dire, come alcuni hanno fatto, “siamo in guerra con la Russia” non ha quindi alcun senso, se non come slogan politico. Non ha alcuna forza legale. L’unico organo in grado di “dichiarare guerra” è il Consiglio di Sicurezza, e questo non accadrà in questo caso. Poiché i russi si sono guardati bene dall’attaccare il territorio della NATO o dall’impegnare deliberatamente le forze della NATO, non si può parlare di “stato di guerra” con le nazioni della NATO.  Esiste invece uno stato di “conflitto armato”, che ha una sua definizione: essenzialmente violenza armata prolungata tra Stati o tra Stati e altri gruppi armati. Ma il “conflitto armato” è appunto uno stato di cose, non un processo o una dichiarazione, ed esiste o non esiste come questione di fatto e di diritto. Quindi, se è ovvio che esiste un conflitto armato in Ucraina, è altrettanto ovvio che gli Stati occidentali non ne sono parte. È quindi difficile capire come le fantasie dei politici bellicosi possano effettivamente realizzarsi.

 

L’unico modo in cui ciò potrebbe potenzialmente avvenire sarebbe se l’Ucraina facesse una richiesta formale di assistenza militare agli Stati occidentali. È così che i russi hanno giustificato le loro operazioni in Ucraina, sostenendo che stanno assistendo le repubbliche secessioniste nell’esercizio del loro diritto di autodifesa, che è preservato (anche se ovviamente non è stato stabilito) dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ma non è chiaro cosa significherebbe in pratica e fino a che punto le forze occidentali potrebbero effettivamente spingersi. Attacchi diretti al territorio russo, ad esempio, sarebbero probabilmente esclusi se si utilizzasse questo argomento.

Ma mettiamo che in qualche modo questi problemi possano essere superati e che si annunci con gioia che le nazioni della NATO entreranno nel conflitto come belligeranti a tutti gli effetti. Questo farebbe tremare i russi, non è vero? In realtà no. Vedete, se siamo in stato di guerra con un altro Paese e siamo liberi di attaccarlo, allora anche lui è libero di attaccarci. Non c’è modo di circoscrivere un simile conflitto all’Ucraina e non c’è motivo per cui i russi dovrebbero volerlo fare. Quindi la prima conseguenza è che le nazioni della NATO, le forze della NATO e gli obiettivi della NATO sarebbero esposti all’attacco immediato della Russia, in un momento in cui i sottocomitati stanno ancora lavorando a Bruxelles per cercare di generare forze. Cosa farebbero quindi i russi?

 

In uno stato di guerra, qualsiasi “obiettivo militare” può essere attaccato. In pratica, oggi questo significa unità militari, quartieri generali militari, la catena decisionale politica per la guerra e le infrastrutture di trasporto, energia, industria ecc. necessarie per sostenerla. Ora non sappiamo, e i russi ovviamente non ce lo diranno, quali siano le loro capacità di attacco a lungo raggio con armi convenzionali. Non sappiamo, ad esempio, di quali capacità dispongano per bombardare gli Stati Uniti con munizioni convenzionali da navi e sottomarini e se intendano usarle, ma non sarebbe saggio escludere questa possibilità. Ma dobbiamo presumere, anche solo a fini di pianificazione, che abbiano modo di colpire obiettivi importanti nella maggior parte o in tutti i Paesi occidentali, con missili lanciati da aerei, navi o sottomarini. Se limitiamo in modo molto prudente le capacità russe all’attacco di venticinque obiettivi principali, cosa potrebbero fare, tenendo presente che la NATO non ha una difesa efficace contro tali attacchi? Alcuni obiettivi sono ovvi: il Pentagono e la Casa Bianca, ad esempio, o le sedi della CIA e della NSA. Il quartier generale della NATO a Bruxelles non resisterebbe a lungo, così come il suo quartier generale militare a Mons. Anche i ministeri della Difesa, i quartieri generali militari e le cancellerie delle principali potenze europee possono essere considerati obiettivi probabili.

 

Ma ovviamente i russi non sono obbligati a consegnare una lista di obiettivi e quindi, in pratica, gli Stati occidentali dovrebbero considerare centinaia di siti come potenziali bersagli, a seconda delle scorte di missili di cui i russi dispongono e di come decidono di usarli. Ovviamente, tutti gli aeroporti militari sarebbero potenziali obiettivi. Ma mentre si concentrano le forze di terra in un momento di tensione, si disperdono le forze aeree. Durante la Guerra Fredda, molti Paesi tenevano in stand-by campi d’aviazione di riserva: mi stupirei se ce ne fossero molti oggi. In pratica, gli aerei dovrebbero essere dispersi in aeroporti civili, che diventerebbero obiettivi militari e dovrebbero essere chiusi ai voli civili. Tutte le basi militari, le guarnigioni militari, i quartieri generali, le strutture di stoccaggio delle munizioni, i depositi di riparazione, le basi navali, i porti civili in cui le navi militari potrebbero essere disperse, le strutture di raccolta dell’intelligence e i principali snodi di trasporto, tra le altre cose, dovrebbero essere considerati obiettivi potenziali.

 

Tutto questo è importante per due motivi. In primo luogo, nessun governo oggi ha preso provvedimenti seri per continuare a gestire il Paese durante una guerra convenzionale, con il rischio di attacchi aerei e missilistici. All’inizio della Guerra Fredda, i governi avevano previsto di nascondersi in rifugi speciali durante la fase convenzionale di una guerra, alcuni dei quali esistono ancora. Ma verso la fine, le armi nucleari erano diventate così precise e potenti che si riteneva molto improbabile che una di queste strutture potesse sopravvivere a un successivo attacco nucleare, e quindi tendevano a cadere in disuso. Quindi, di fatto, i Paesi della NATO non solo non sono in grado di difendersi da un attacco missilistico convenzionale, ma non hanno nemmeno i mezzi per proteggere la cosiddetta “continuità di governo” da tali attacchi. Quindi un missile sul Palazzo dell’Eliseo, uno sul Ministero della Difesa e uno sul Quartier Generale delle Forze di Terra a Lille, e questo sarebbe tutto per la Francia, ad esempio.

 

In secondo luogo, sebbene la nuova generazione di missili russi sia presumibilmente piuttosto precisa, dobbiamo ricordare che la precisione è relativa e non può essere garantita. La precisione viene normalmente espressa in base a una misura nota come Errore Circolare Probabile, o CEP. Si tratta del raggio dal bersaglio entro il quale si prevede che il cinquanta per cento dei missili cadrà. Non vengono fornite garanzie su dove atterrerà il restante cinquanta per cento. Quindi, se un missile ha un CEP di 200 metri, il cinquanta per cento delle volte si prevede che atterri entro un cerchio di 400 metri di diametro, il cui epicentro è il bersaglio previsto. Alla luce di ciò, del raggio d’azione delle esplosioni e della tendenza di alcuni missili a perdersi, si può affermare che chiunque o qualsiasi edificio si trovi nel raggio di un chilometro da un potenziale obiettivo di alto valore è potenzialmente a rischio. In tutto il mondo occidentale, centinaia di migliaia di persone vivono spesso vicino ad aeroporti, porti marittimi e sedi centrali. (Il quartier generale permanente del Regno Unito si trova in un tranquillo sobborgo di Londra).

In molte città europee, le strutture governative e militari sono raggruppate nel centro della capitale. Ciò significa che gran parte del centro stesso della città sarebbe a rischio. Nella maggior parte dei Paesi non è affatto chiaro dove il governo potrebbe trasferirsi, in caso di crisi, per continuare a operare. Anche se fosse possibile evacuare le figure di spicco del governo in un luogo nominalmente più sicuro, sarebbe necessario chiudere completamente al pubblico almeno il centro di alcune città (poiché alcuni servizi governativi dovrebbero rimanere e quindi essere obiettivi) e non ci sarebbe modo di prevenire l’evacuazione spontanea di decine o centinaia di migliaia di residenti comuni. In effetti, con i moderni livelli di possesso di automobili, le autostrade sarebbero presto intasate di persone in fuga da siti che si prevede, o si dice, siano sulla lista degli obiettivi russi. Nessun governo moderno ha piani per l’evacuazione e l’alloggio di un gran numero di rifugiati, al giorno d’oggi, e nemmeno per gestire un esodo popolare spontaneo. Tutto questo, ovviamente, comincerebbe ad accadere prima che il primo missile russo venga lanciato, ammesso che ne venga lanciato uno. Il fatto che i governi occidentali debbano spiegare che non esiste una difesa efficace contro tali missili, e che non ci sono piani né strutture per proteggere la popolazione civile da essi, non aiuterebbe nemmeno a calmare il clima politico. Nessun governo occidentale ha le forze o i piani disponibili per contenere il panico e la confusione che probabilmente ne deriverebbero.

 

Ma sicuramente, direte voi, l’opinione pubblica occidentale sarà confortata dal pensiero che le proprie forze stanno eseguendo una punizione contro la Russia? Non è detto. Semplicemente, le nazioni occidentali hanno visto una scarsa necessità di missili convenzionali a lungo raggio e non si sono impegnate molto per svilupparli. I più noti sono i missili da crociera subsonici della famiglia Tomahawk, con gittate che si aggirano per lo più intorno ai 1000-1500 km e con una testata di circa 500 kg (più o meno equivalente a una singola bomba sganciata da un bombardiere tedesco nel 1940). Queste armi possono essere efficaci, ma vengono lanciate da navi e sottomarini e quindi i bersagli devono essere abbastanza vicini al mare. A questo punto è utile prendere una mappa.

 

La prima cosa che colpisce è che la Russia è un posto grande. La seconda è che Mosca è molto lontana. I missili Tomahawk lanciati dal Baltico o dal Mediterraneo orientale potrebbero avere la gittata necessaria per raggiungere Mosca, almeno in teoria. D’altra parte, come la stessa opinionista ricorda di aver detto, la Russia ha ereditato dall’Unione Sovietica il sistema di difesa aerea più completo del mondo. Quale sia la sua efficacia contro i missili da crociera subsonici ma a bassa quota, non lo sanno nemmeno gli esperti. Detto questo, la NATO non può rappresentare per la Russia la stessa minaccia che i nuovi missili russi possono rappresentare per i Paesi della NATO, e si deve presumere che i russi sarebbero in grado di individuare e colpire il sistema di lancio della NATO stessa. Gli aerei con equipaggio che tentano di sganciare bombe convenzionali su Mosca da basi in Europa, anche se ne avessero il raggio d’azione, potrebbero subire perdite tali che nessun governo ne riterrebbe utile l’uso.

 

Ma supponiamo che le città e le aree bersaglio possano essere evacuate in sicurezza e che i governi e le economie occidentali possano essere messi in condizioni di guerra. La potenza aerea e i missili saranno inefficaci, quindi l’unica vera opzione è quella di formare e dispiegare una forza multinazionale meccanizzata di qualche tipo, presumibilmente per aiutare gli ucraini a recuperare il territorio che rivendicano come proprio.

 

Ebbene, fermiamoci qui. Le nazioni occidentali non sanno più come fare queste cose. Sto parlando della dottrina militare: l’insieme dei principi che indicano ai comandanti come combattere. La NATO non ne ha per le operazioni offensive meccanizzate lontano dal territorio nazionale, e non ne ha mai avute. Durante la Guerra Fredda l’orientamento della NATO, e quindi la sua dottrina, era difensivo. Il presupposto era che le sue forze avrebbero affrontato un attacco da parte di un nemico più grande e più potente, e che avrebbero condotto una ritirata combattiva, sperando di fermare l’incursione nemica il più vicino possibile al confine con la Germania interna. In ogni momento, quindi, le forze della NATO avrebbero ripiegato sulle proprie linee di rifornimento, verso le proprie riserve e i propri depositi di manutenzione e rifornimento, mentre le forze nemiche si sarebbero progressivamente allontanate dalle loro.

 

Per quanto ne so, i comandanti della NATO non si sono mai addestrati o esercitati per una guerra meccanizzata aggressiva a lunga distanza, e non esiste una dottrina al riguardo, il che significa che nessuno sa come farla, né tanto meno come integrare le forze di terra con quelle aeree e con altri mezzi. In Bosnia, la NATO era un esercito di occupazione, che non combatteva. Dopo la campagna aerea contro la Serbia, la situazione in Kosovo era simile. In Afghanistan, la NATO in quanto tale si è schierata solo dopo la sconfitta del regime talebano e la maggior parte delle sue attività sono state di controinsurrezione su piccola scala. L’equivalente più vicino al tipo di operazione che sarebbe necessaria in Ucraina (anche se allora con forze soverchianti e completa superiorità aerea) è stato l’Iraq del 2003, ma i comandanti anziani di quell’epoca sono andati in pensione da tempo e la conoscenza istituzionale è andata perduta.

Inoltre, sebbene negli eserciti occidentali esistano ancora unità a dimensione di brigata, si tratta sempre più di formazioni amministrative, che raramente o mai si addestrano insieme. Qualsiasi forza occidentale dovrebbe passare settimane o mesi ad addestrarsi insieme, con tanto di riservisti mobilitati, prima di poter essere considerata pronta a schierarsi. Poi, naturalmente, dovrebbe addestrarsi con brigate di altre nazioni, il tutto in assenza di una dottrina militare coerente e concordata. Poiché a quel punto la NATO avrebbe inevitabilmente dovuto ammettere di essere in stato di guerra con la Russia, si può solo sperare che i russi, sportivamente, non prendano di mira le unità mentre si addestrano.

 

E soprattutto, quale sarebbe l’obiettivo? “Uccidere russi” non è un obiettivo militare. Quando il Comandante supremo delle Forze Alleate in Europa si presenta al Consiglio Nord Atlantico dopo tutti questi preparativi e dice “cosa volete che faccia?”, sarà meglio che riceva una risposta. Ma non c’è, o per essere precisi non c’è nemmeno una risposta che risponda al clamore politico. Con notevoli difficoltà (vedi sotto) alcune unità militari occidentali potrebbero essere trasportate nell’Ucraina occidentale, dove potrebbero formare un presidio improvvisato intorno ad alcune delle principali città ucraine. Questo potrebbe essere politicamente efficace nel breve termine, ma le forze stesse sarebbero completamente esposte, poiché potrebbero essere attaccate dai russi senza essere in grado di rispondere. E non è certo quanto a lungo le opinioni pubbliche occidentali accetterebbero di avere i loro interi eserciti utilizzabili legati in una posizione statica in Ucraina. Inoltre, molte unità da combattimento europee dipendono pesantemente dai riservisti: l’unica unità da combattimento seria dell’esercito olandese, ad esempio, la 43esima brigata meccanizzata con la sua manciata di carri armati, conta sui riservisti per circa un quarto della sua forza operativa: per quanto tempo è possibile tenerli lontani dal loro lavoro e dalle loro famiglie?

 

Ma ovviamente, per cominciare, bisogna portarli fino a quel punto. Nella Guerra Fredda, le truppe della NATO (e anche quelle sovietiche) si trovavano essenzialmente nelle posizioni in cui avevano combattuto nel 1945. In entrambi i casi, hanno occupato strutture esistenti della Wehrmacht. Nel corso dei decenni, nuove unità e nuove attrezzature sono state costruite a poco a poco, sono stati edificati alloggi e così via. Questo tipo di infrastruttura dovrebbe essere riprodotta in Ucraina e, anche se venissero utilizzate le strutture dell’UAF, ci sarebbe comunque un massiccio programma di dispiegamento e di costruzione di infrastrutture che richiederebbe anni.

 

E in ogni caso, i combattimenti non sono lì. Si svolgono a circa mille chilometri a est, quindi le truppe della NATO dovrebbero spostarsi di nuovo, a una distanza pari all’incirca a quella che separa Parigi da Monaco, solo per raggiungere il luogo dei combattimenti. Non credo ci siano precedenti nella storia per questo tipo di movimento di attrezzature pesanti e di uomini su una tale distanza, sotto attacco aereo e missilistico, e a contatto con forze superiori.

 

I carri armati occidentali della Guerra Fredda, come il Leopard, il Challenger e l’M1, sono stati costruiti per combattere una guerra difensiva. Sebbene alcuni modelli fossero più leggeri di altri, tutti dovevano utilizzare le eccellenti infrastrutture, i solidi ponti e i sistemi ferroviari dell’Europa occidentale e iniziare la guerra non molto lontano dal luogo in cui erano stanziati. Il solo fatto di portarli in prima linea, con i loro veicoli per il recupero e i pezzi di ricambio, ecc. sarebbe stata una sfida. Ma ovviamente c’è di più. Anche i veicoli cingolati corazzati “leggeri” non possono facilmente muoversi lungo alcune strade senza danneggiarle, o attraversare tutti i ponti. Per avere un’idea di cosa comporterebbe lo spostamento di una brigata, anche su terreni permissivi, date un’occhiata a questo diagramma di una tipica brigata di fanteria corazzata britannica. Vedrete che ha circa 500 veicoli da combattimento, di cui circa il dieci per cento sono carri armati principali, che a loro volta richiederebbero grandi e pesanti trasportatori per spostarli a qualsiasi distanza. A questi vanno aggiunti i veicoli di recupero, i veicoli per le riparazioni, i veicoli per i meccanici, i veicoli medici e tutta una serie di veicoli di trasporto e di rifornimento. Tutto questo potrebbe facilmente portare a una colonna lunga una decina di chilometri, che deve viaggiare lungo percorsi autorizzati e protetti attraverso la maggior parte dell’Europa. (Per tacere dell’attraversamento del Canale della Manica). Una volta in posizione, la Brigata dovrebbe essere rifornita, fornita di nafta, olio e lubrificanti, ricambi e materiali di consumo, officine e un piccolo ospedale. Se dovesse entrare in azione, le vittime dovrebbero essere evacuate, i rinforzi dispiegati e le attrezzature danneggiate riparate, se possibile, poiché è improbabile che possano essere sostituite. E questa è solo una Brigata di un Paese.

 

Quante brigate di questo tipo la NATO potrebbe effettivamente schierare? Nessuno lo sa, ma la stima migliore sembra essere tra le sei e le dieci, tenendo presente che, se siamo in guerra con la Russia, potrebbe essere utile avere anche qualche truppa in patria. Lascio agli esperti militari giudicare il valore di una forza meccanizzata leggera di queste dimensioni, ma onestamente dubito che Mosca sia troppo preoccupata.

 

E questo è il problema. L’Occidente è così inebriato dalla percezione della propria potenza che presume che anche gli altri lo siano. Dopo tutto, gli Stati Uniti spendono per la difesa molto più della Russia, quindi dovrebbero essere molto più potenti, no? Ebbene, in alcuni settori, come i gruppi tattici di portaerei, lo sono. Ma i russi non vogliono giocare a questo gioco: vogliono giocare alla guerra terrestre/ aerea ad alta intensità in Europa, un gioco a cui l’Occidente ha sostanzialmente rinunciato una generazione fa e che può giocare solo per una o due settimane al massimo prima di esaurire le munizioni. L’altra illusione è che l’Occidente sia intoccabile. Non oserebbero mai lanciare un missile sul quartier generale della NATO, vero? Voglio dire, se lo facessero, noi… noi… beh, cosa faremmo? Le minacce nucleari sono riconosciute come pericolose, inutili e irrilevanti. Come Re Lear nella citazione all’inizio di questo saggio, la NATO farà… qualcosa, quando capirà cosa. Ma se fossi nei russi sarei scettico: dopo tutto, ricordate cosa è successo a Lear.

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DIRITTO DIVINO PROVVIDENZIALE E DOTTRINA DELLO STATO BORGHESE, di Teodoro Klitsche de la Grange

DIRITTO DIVINO PROVVIDENZIALE

E DOTTRINA DELLO STATO BORGHESE

  1. E’ tradizionale nella dottrina del diritto francese, di uno Stato formato da otto secoli di monarchia, iniziare la trattazione dei poteri pubblici dalla giustificazione teologica del potere stesso[1]. A cui si fa seguire l’esposizione della teoria del diritto divino e la distinzione tra “doctrine du droit divin surnaturel” e “doctrine du droit divin providentiel” attribuendo l’affermazione della prima ai Re di Francia (Barthélemy – Duez) e particolarmente a Luigi XIV e Luigi XV, ovvero a Bossuet (Hauriou); mentre per la seconda l’attribuzione è concorde a de Maistre e de Bonald[2]. La distinzione tra le due concezioni è così esposta da Hauriou: “La dottrina teologica ha avuto due forme successive in Francia: 1) la dottrina del diritto divino soprannaturale (Bossuet) che consiste nel sostenere che Dio stesso sceglie i governanti e l’investe dei loro poteri: questa concezione è compatibile solo con la monarchia assoluta; 2) La dottrina del diritto divino provvidenziale (de Maistre e de Bonald) secondo cui il potere, nel suo principio fondamentale fa parte dell’ordine provvidenziale del mondo, ma è a disposizione dei governanti mediante mezzi umani; questa dottrina permette altrettanto adeguatamente sia la giustificazione del potere minoritario, esercitato da un’élite, che del potere maggioritario, esercitato dalla maggioranza del popolo (vox populi vox Dei)” e prosegue sottolineando i vantaggi di questa seconda teoria: 1) di significare che l’istinto del potere è nella natura umana, e in tal senso, pre-sociale; 2) di collocare l’origine del potere al di sopra sia della collettività sociale, sia del diritto dei governanti, sia di chiunque: ossia di non portare a nessun assolutismo; è la più propizia alla libertà; 3) provenendo da Dio il potere è per natura orientato verso la ragione, la giustizia ed il bene comune.

E soprattutto come appare dal contesto sistematico di tali considerazioni, permette di ricollegare pouvoir de fait e pouvoir de droit, di “aprire” cioè il diritto ai mutamenti della storia. In un senso più specifico, di fondare il potere costituente (umano) al di sopra della stessa costituzione. Barthélemy e Duez sostengono, del pari, che la dottrina del diritto divino provvidenziale non è necessariamente aristocratica o monarchica, perché ogni uomo o classe può essere scelto dalla Provvidenza per eseguire i propri disegni: quindi non è contraria alla democrazia[3]. Sia Barthélemy che Carré de Malberg considerano la dottrina del diritto divino provvidenziale come già formulata da S. Tommaso e seguita dalla maggior parte dei teologi cattolici[4].

Tale concezione tuttavia non è considerata da tutti i giuristi un “antecedente” della democrazia moderna. Jellinek, nello scrivere della democrazia – e delle repubbliche – moderne le ricollega alle concezioni della Riforma, in particolare a quelle calviniste[5]. Otto Von Gierke ritiene che fu “la Riforma a far rivivere con nuova energia il pensiero teocratico. Attraverso tutte le differenze delle loro concezioni, Lutero, Melantone, Zwinglio e Calvino concordano nell’insistere sulla funzione cristiana e quindi sul diritto divino dei governanti. Anzi, dato che per un verso sottomettono più o meno decisamente allo Stato il dominio della Chiesa e per l’altro legittimano l’esistenza dello Stato in base all’adempimento dei suoi doveri religiosi, essi conferiscono al principio di S. Paolo omnis potestas a Deo una portata fino allora sconosciuta”. Tuttavia non trascura la dottrina della Seconda Scolastica, e scrive che i più accaniti avversari della Riforma, “particolarmente i  Domenicani ed i Gesuiti impugnarono tutte le loro armi spirituali a favore di una costruzione puramente temporale dello Stato e del diritto di sovranità” (anche per sostenere la tesi della potestas indirecta implicante una limitata subordinazione dello Stato alla Chiesa) “Lasciando però fuori causa i rapporti con la Chiesa, essi svilupparono in effetti una dottrina dello Stato scevra di qualsiasi presupposto dogmatico, su fondamenti puramente filosofici: Questo vale non soltanto per gli autentici monarcomachi di questo gruppo: Anche i maggiori teorici di questa tendenza sono d’accordo nel ritenere che l’unione statale abbia le sue radici nel diritto naturale, che in forza di questo spetti alla collettività associata la sovranità sui suoi membri, e che ogni diritto dei governanti provenga dal volere della collettività alla quale il diritto naturale attribuisce la facoltà e l’obbligo di trasmettere i propri poteri”[6]

Carl Schmitt sostiene  “Secondo la concezione medievale solo Dio ha una potestas constituens, per quanto di questa si possa parlare: La frase:” Ogni potere (o autorità) viene da Dio” (Non est enim potestas nisi a Deo, Rom. 13,1) significa  il potere costituente di Dio. Anche la letteratura politica dell’epoca della Riforma si attiene a ciò, soprattutto la teoria dei monarcomachi calvinisti” e continua che, con la dottrina del pouvoir constituant di Sieyés, è la nazione il soggetto del potere costituente, malgrado lo sviluppo dell’assolutismo  “Nel XVII secolo il principe assoluto non è ancora definito come soggetto del potere costituente, ma solo perché l’idea di una libera decisione totale, presa dagli uomini, sulla forma e la specie della propria esistenza politica assai lentamente poteva svilupparsi in azione politica: Le conseguenze delle concezioni teologiche-cristiane del potere costituente di Dio nel XVIII secolo,nonostante l’illuminismo, erano ancora troppo forti e vitali”.[7]

  1. Resta da vedere in che misura la teoria del pouvoir constituant – e di riflesso della sovranità nazionale – sia il risultato non solo dell’Illuminismo, delle concezioni di Rousseau e dei giacobini, ma della teologia politica cristiana e più specificamente, della teoria del diritto divino “provvidenziale”.

Che la concezione di Sieyés fosse la secolarizzazione della teologia politica, con la Nazione onnipotente al posto del Dio Onnipotente è chiaro; meno è se tale concezione fosse tributaria delle riflessioni dei filosofi del XVII secolo – in particolare Hobbes e Spinoza (e, poi, Rousseau) – o della teologia cattolica e riformata, in particolare del XVI e XVII secolo [8], ovvero dei giuristi   teorici   del diritto naturale. In effetti i connotati di tale concezione, che valgono a distinguerla, sono, oltre a quelli indicati da Hauriou, altri, presenti nel pensiero dell’abate rivoluzionario.

Sieyés sostiene che la “La Nazione esiste prima di ogni cosa, essa è l’origine di tutto: La sua volontà è sempre conforme alla legge, essa è la legge stessa: Prima di essa e al di sopra di essa non c’è che il diritto naturale” e prosegue “ In ogni sua parte la Costituzione non è opera del potere costituito, ma del potere costituente: Nessun tipo di potere delegato può cambiare alcunchè delle condizioni della propria delega. E’ in tal senso e non in altro che le leggi costituzionali sono fondamentali. Le prime, quelle costitutive del potere legislativo, vengono fondate dalla volontà nazionale prima di qualunque Costituzione, Esse ne formano il primo gradino”[9]. Insiste ripetutamente sul concetto di volontà, “che è al di fuori di ogni forma” e che “ una Nazione non può né alienare né interdire a se stessa la facoltà di volere; e qualunque sia la sua volontà, non può perdere il diritto di mutarla qualora il suo interesse lo esiga”; per cui “ Quand’anche le fosse concesso, una Nazione non deve insabbiarsi nelle pastoie di una forma positiva: equivarrebbe a rischiare di perdere irrevocabilmente la propria libertà, perché sarebbe sufficiente una sola occasione favorevole alla tirannia, per legare i popoli, con il pretesto della Costituzione, ad una forma che impedirebbe loro di esprimere liberamente la propria volontà, e di liberarsi dunque dalle catene del dispotismo”; è chiaro che in tal modo, viene  fondato il “diritto” della comunità a darsi la forma istituzionale che preferisce senza che la volontà morfopoietica  della Nazione possa essere sottoposta ad alcun vincolo giuridico.

In effetti tale concezione di Sieyés significa che non esiste un diritto al potere di chicchessia per investitura divina, ma solo la potestas della comunità di darsi la forma che preferisce: la modellazione della forma, e quindi il diritto e la scelta di chi esercita il potere è rimesso alla volontà e all’opera umana. In qualche misura “aggiorna” il pensiero della teologia cristiana, e tomista in particolare, sulla tirannide, basato sul principio che “tota respublica superior est rege[10].

Parimenti in Sieyés è naturale la tendenza umana ad associarsi: l’uomo è un animale politico, come sempre ripetuto dalla teologia cristiana, per cui è naturalmente portato ad associarsi: l’istinto politico – dell’ordine e del potere –  è quindi naturale e, addirittura, pre-sociale, come sostiene Hauriou. E i teologi in vario modo avevano argomentato sia il carattere di legge naturale che la ragionevolezza dell’ aggregazione degli uomini in società; per lo più spiegandolo con la debolezza umana, non avendo l’uomo armi naturali come zanne, artigli e dovendo difendersi dalle fiere[11], nonchè  dagli altri uomini; da ciò la necessità  di costituire un potere comune e far rispettare la legge[12]. Non dissimile dalle rappresentazioni dei teologi è quanto scriveva Sieyés: “Esiste, a dire il vero, una grande ineguaglianza di mezzi fra gli uomini. La natura li crea forti o deboli; ad alcuni concede un’intelligenza, mentre ad altri la rifiuta. Ne consegue che vi sarà fra essi ineguaglianza di lavoro, ineguaglianza di risultati, ineguaglianza di consumo o di godimento; ma non ne consegue che possa esservi ineguaglianza di diritti”, per cui “il diritto del debole sul forte è lo stesso di quello del forte sul debole. Quando il forte riesce ad opprimere il debole, produce un effetto senza produrre un obbligo. Lungi dall’imporre un nuovo dovere al debole, rianima in esso il dovere naturale ed imperituro di resistere all’oppressore” e “Dunque una società fondata sulla reciproca utilità è in sintonia con i mezzi naturali che si offrono all’uomo per raggiungere il proprio fine; in tal senso questa unione è un bene, e non un sacrificio e l’ordine sociale diviene un’estensione, un complemento dell’ordine naturale……”[13]; la associazione in  società è ragionevole perché lo stato sociale non tende a degradare, ad avvilire gli uomini,ma, al contrario, a nobilitarli, a perfezionarli. Dunque “la società non indebolisce, non riduce i mezzi particolari che ogni individuo apporta all’associazione per sua personale  utilità; al contrario, li accresce;; li moltiplica, sviluppando le facoltà morali e fisiche; li accresce ancora attraverso il fondamentale concorso dei lavori e dei pubblici soccorsi” e “L’uomo, entrando in società, non sacrifica dunque una parte della sua libertà: anche quando non esisteva il vincolo sociale, nessuno aveva il diritto di nuocere  ad un altro” e “Lungi dal limitare la libertà individuale, lo stato sociale ne amplifica e ne assicura il godimento; esso allontana una moltitudine di ostacoli e di pericoli ai quali era esposta, quando era garantita unicamente dalla forza privata, e la affida al controllo onnipotente dell’intera associazione. Così, poiché nello stato sociale l’uomo accresce i suoi mezzi morali e fisici, sottraendosi nello stesso tempo all’inquietudine che ne accompagna l’uso, non è errato affermare che la libertà è più completa e assoluta nell’ordine sociale di quanto non possa esserlo nello stato detto di natura”. Diversamente da quanto affermava Rousseau, quindi il giudizio sullo stato sociale è positivo, come sempre sostenuto dalla teologia cristiana. Non c’è nulla dell’accorato inizio del Contrat social : “L’uomo è nato libero ed è ovunque in catene”, né della spiegazione che Rousseau da dello stato sociale nel  Discours sur l’origine de l’inégalité parmi les hommes , come soluzione che favorisce i più ricchi, che assicurano  col potere pubblico le proprie posizioni.[14]

  1. D’altra parte la concezione di Sieyés si distingue da quella del diritto divino soprannaturale, comune a Bossuet, come a Lutero e Calvino.

Lutero ritiene che la ribellione ai poteri costituiti sia contraria alle Sacre Scritture e che il cristiano, anche se vessato da un potere malvagio , deve sottomettersi e rimettersi alla volontà (e diritto) divino[15], perché farsi giustizia da soli significa abusare di un diritto che appartiene solo a Dio. Calvino contesta la tesi degli anabatttisti che non sia  lecito  al cristiano essere magistrato o  sovrano[16], perché è “manifestamente contrario alla Scrittura che non ci debba essere più alcuna forma di governo”[17]; i governanti “ricevono la loro autorità da (Dio), e ne rappresentano la persona essendo in qualche  modo i suoi vicari;” condanna rivolte e sollevazioni popolari[18], poiché si deve essere sempre sottomessi alla volontà di Dio che ha    costituito dei re sui regni.[19]

Bossuet spiega il noto passo dell’Epistola ai Romani di S. Paolo così: i principi agiscono come ministri di Dio e suoi luogotenenti in terra; il loro trono non è quello di un uomo,ma quello di Dio stesso; la persona del Re è sacra, anche se non cristiano come Ciro  , perché  rappresenta sempre la maestà Divina[20]. L’autorità è ad immagine di Dio: il principe è l’immagine materiale della (di Dio) immortale autorità. Nel principe l’uomo può morire ma l’autorità non muore mai[21]; il solo principio che possa assicurare              la stabilità degli Stati è che ogni suddito deve rispettare l’esercizio dei poteri  e dei giudizi pubblici[22] . D’altra parte, secondo Bossuet solo al principe appartiene il potere di comandare legittimamente e a lui solo l’esercizio della coazione. Se così non fosse lo Stato (la comunità) ricadrebbe nell’anarchia[23]; da cui è uscita proprio perché si è costituita (è divenuta) popolo sotto un sovrano.[24]

  1. In effetti, come si può notare, la concezione del pouvoir constituant presenta una stretta affinità con la concezione del diritto divino provvidenziale con la quale condivide i principali punti di contatto: Che poi la teoria sia in se, come cennato, la secolarizzazione della teologia cristiana, con la Nazione cui vengono attribuiti i connotati di Dio è ancor più evidente: l’assenza di limiti (giuridici) – l’onnipotenza della volontà della nazione; la sua capacità di “creazione” dell’ordine, donando con la costituzione da un lato un ordinamento (una forma) che “supera” il caos, e dall’altro la stessa capacità di azione (ed esistenza) politica; la risoluzione della distinzione/antitesi tra essere e dover-essere[25]:

Ma non è men vero che, nella sua difesa della “bontà” dell’associazione degli uomini Sieyés riprendeva quanto sempre sostenuto dalla teologia cristiana: in effetti già S.Agostino legava ordine, pace, e civitas[26], sottolineando la concordia, che, nelle cose “temporali” vi era tra la città terrena e quella celeste[27]. D’altra parte la concezione del diritto divino provvidenziale è stata esposta sotto altri profili, più articolati di quelli fin qui ricordati, da S. Roberto Bellarmino. Questi, nel confutare anch’egli le tesi degli anabattisti, adduce cinque prove, tre delle quali “logiche” (deduttivo-razionali) e due “storiche”. Di particolare interesse è la distinzione tra autorità (voluta da Dio è quindi buona in se, facendo parte dell’ordine della creazione) e chi la esercita, cioè il governante (che, quale essere umano è sempre soggetto al peccato ed all’errore): “A quanto dicono in contrario gli Anabattisti affermo innanzi tutto non essere vero che i re e i principi siano generalmente malvagi: non si tratta infatti qui di uno Stato particolare, ma del potere politico in generale, e in questo senso fu re e principe anche Abramo.” E prosegue: “gli esempi dei re malvagi non provano che il potere politico sia malvagio in se stesso; spesso infatti i cattivi si servono di cose buone; gli esempi invece dei re buoni provano che il potere politico è buono, perché i buoni non si servono di cose cattive. Di più: i principi cattivi sono spesso più di giovamento che di danno, come fu di Saul, Salomone e altri. Del resto è ancora più utile per uno Stato avere un principe cattivo che non averne nessuno; dove infatti non ce n’è alcuno, lo Stato non può conservarsi a lungo: Salomone stesso lo disse, Prov., c. 11: Dove non c’è un principe, il popolo va in rovina; invece dove c’è, anche se cattivo, viene almeno conservata l’unità del popolo[28]. Meglio un cattivo governante che l’anarchia del non-governo.

Sul potere politico “A questo proposito però son da farsi alcune osservazioni. La prima è questa: il potere politico in generale, cioè non considerato nelle sue forme particolari di monarchia, aristocrazia o democrazia, viene immediatamente soltanto da Dio, poiché è una conseguenza necessaria della natura dell’uomo”; ed in origine risiede nella moltitudine “Essendo infatti questo potere di diritto divino, questo diritto non diede il potere a un qualche uomo particolare; lo diede quindi a tutta la moltitudine.” E “lo stesso diritto naturale trasferisce il potere politico dalla moltitudine a uno o a più individui. La moltitudine infatti non può esercitare essa stessa questo potere, e perciò è obbligata a trasferirlo a uno o ad alcuni pochi individui. Pertanto il potere dei principi, considerato in generale, è esso pure di diritto naturale e divino, e il genere umano, anche se tutti gli uomini in ciò s’accordassero, non potrebbe stabilire il contrario, che cioè non vi fossero principi e capi.”; tuttavia “le forme particolari di regime politico sono “de jure gentium” e non di diritto naturale, poiché è chiaro che dipende dalla libera volontà della moltitudine stabilire che governi un re o alcuni consoli o altri magistrati; e, se v’è una legittima causa, la moltitudine può mutare un regime monarchico in aristocratico o democratico e viceversa, come sappiamo che è avvenuto a Roma”. La conclusione è “da quanto è stato detto segue che il potere politico, considerato in particolare, viene certamente da Dio, mediante però una deliberazione e un’elezione umana, come tutto ciò che è “de jure gentium”. Questo “jus gentium” è come una conseguenza dedotta dal diritto naturale mediante un intervento umano. In tali tesi di Bellarmino sono chiari i presupposti di altrettanti capisaldi del pensiero politico e costituzionalistico moderno; la distinzione tra l’autorità (buona e necessaria perché ordinata da Dio) e chi la esercita (uomo e quindi peccatore, come coloro che sono governati)[29]. Questo è il fondamento della concezione sviluppata nello Stato borghese per cui, proprio perché i governanti non sono degli angeli, occorrono dei controlli su di essi, come scritto nel Federalista[30]. Il che ha portato all’incremento eccezionale nell’organizzazione delle democrazie liberali, del sistema giuridico (e politico) dei “freni e contrappesi”; e, parimenti, alla impossibilità di controlli giuridici sul sovrano (soggetto solo a limitazioni di carattere etico, religioso ed ontologico cioè di “diritto naturale” non di diritto positivo, comunque non suscettibili di coazione). Conferma ad un tempo la necessità del potere politico (di diritto divino) e l’accidentalità delle forme in cui è ordinato e dei soggetti scelti ad esercitarlo. Ribadisce la distinzione tra “titolarità” del potere politico a tutta la moltitudine, obbligata a trasferirla a uno o più, per “diritto naturale” (cioè per necessità oggettiva) e così afferma il carattere necessario della rappresentanza; mentre le forme in cui si organizza, che non sono di diritto naturale (v. sopra) dipendono dalla libera volontà della moltitudine che può sempre cambiarle proprio perché non di diritto naturale ma de jure gentium. E il tutto può avvenire per decisione (con un “atto”) il che anticipa anche la concezione del moderno costituzionalismo che vede la costituzione (per lo più) come deliberazione del potere costituente.

  1. Anche tali ultime tesi sono transitate nel diritto e, ancor più, nella dottrina (politica e) giuridica dello Stato democratico liberale. A volerne ricordare una, la più importante: nella Dichiarazione dei diritti dell’uno e del cittadino, all’art. 3 così si proclama “Le principe de toute souveraineté réside essentiellement dans la nation. Nul corps, nul individu, ne peut exercer d’autorité qui n’en émane expressément». Questa dichiarazione in cui alla “moltitudine” si sostituisce la Nazione, sempre contrapposta ai pouvoirs constituées, fu ripetuta in forme simili in tutte le successive  costituzioni francesi (tranne, ovviamente in quella del  1814)[31].

Hauriou sostiene che il diritto non sfugge alla regola che, dietro ogni fisica,        c’è una metafisica. La quale normalmente,non si manifesta, anzi è occultata accuratamente da uno strato di diritto, e così rimane, se ci si ferma all’apparenza (come è normale in una situazione normale, cioè quasi sempre). Ma “ quando il rivestimento giuridico viene a mancare, come nel potere di fatto, si ricade sul fondo metafisico o teologico”[32].  Il che succede quando si produce un cambiamento rivoluzionario radicale. Per la Francia moderna questo si è ripetuto – scrive Hauriou nel 1929 – almeno quattro volte dopo la rivoluzione del 1789. Il potere di fatto tende a diventare – e per lo più vi riesce – un potere di diritto: ma per far questo una legge è completamente inutile “Un gouvernement provisoire n’a jamais fait voter une loi pour déclarer qu’il devenait légitime”.[33] In tali vicende la régle de droit non trova impiego, anzi spesso è convalidata dalla giurisprudenza gran parte del diritto creato da tali governi, anche se non ratificato: questo perché, scrive Hauriou, il  governo è necessario, un governo di fatto è meglio che nessun governo, e il potere è una cosa naturale e d’origine divina. E conclude “Tel est l’enseignement de la morale théologique; tel est celui de la sagesse et telle est la pratique”.[34]

C’è da chiedersi per quale ragione la concezione del diritto divino provvidenziale sia presente così vistosamente nella teoria del diritto e nello Stato borghese. Le risposte potrebbero essere diverse e concorrenti: che in effetti la filosofia moderna, specie quella del XVII e XVIII secolo è largamente tributaria del diritto naturale e della teologia della Seconda Scolastica e che attraverso questa “secolarizzazione” sia arrivata ai costituenti francesi e di qui al costituzionalismo europeo; o perché a far la rivoluzione è stata una nazione cattolica come la Francia, e in essa vi avuto grande importanza un sacerdote come l’abbé Sieyès[35], educato dai Gesuiti; ma l’argomento che pare più importante – e preferibile- è che tale concezione, come ben visto da Hauriou permette di spiegare in modo a un tempo realistico e razionale il rapporto tra fatto e diritto, essere e dover essere, potere ed ordine, trasformazione e conservazione, libertà e necessità. In effetti la diversa concezione del diritto divino soprannaturale porta in se difetti analoghi a quelli che Hauriou individuava nelle teorie del diritto, ad esso contemporanee, di Duguit e di Kelsen, che accomunava come sistemi statici. Tali sistemi “si presentano volentieri come oggettivi, e lo sono effettivamente perché eliminano l’opera dell’uomo che è la sorgente del soggettivo; ma sono soprattutto statici per la loro concezione erronea dell’ordine sociale, e sotto questo aspetto statico li esamineremo perché rende manifesta la loro incompatibilità con la vita”[36]. Nel sistema di Kelsen l’ordine giuridico e statale è considerato l’espressione di un imperativo categorico della ragion pratica; peraltro è un “monismo idealistico”, dove Stato e diritto si confondono[37]. E in effetti è il profilo statico che prevale su quello dinamico[38]. Per cui se tale teoria riesce ad evitare la concezione del potere di dominio, non evita il dominio di un imperativo categorico che comporta un ordine sociale necessitante[39]. Ma il giogo di una filosofia del genere “serait pour le droit pire que celui de la théologie. La théologie catholique pose le primat de la liberté humaine: l’ordre divin se propose à l’homme par la grace ». Invece nel sistema di Kelsen l’ ordine del “panteismo idealista” s’impone come necessità costrittiva. Per cui conclude che in Francia non avrà fortuna “parce que ses tendances sont inconciliables avec celles du droit. Seule une philosophie de la liberté créatrice est compatible avec lui. ». Quanto al sistema di Duguit, questo prende come punto di partenza « la notion positiviste d’un ordre des choses sociales conçu comme le prolongement de l’ordre des choses physiques. De cet ordre des choses découlent des normes. » ; la sua grande preoccupazione è sopprimere il potere come fonte del diritto. Ma questo comporta la staticità del sistema, per la negazione « du pouvoir subjectif de création du droit, le mouvement juridique, qui résulte surtout des forces subjectives, est arreté ». E, tranne i casi di eccezioni nel sistema « le droit ne peut se développer que dans la mesure des normes établies ou par l’établissement de nouvelles normes, mais c’est là une formation coutumière d’une extreme lenteur. Le système tend donc vers l’immobilité coutumière ». E ne conclude che il sistema di Duguit è, come quello di Kelsen “impropre à la vie”.

In effetti, ad analizzare le conseguenze della dottrina del diritto divino soprannaturale, si vede che, ovviamente per ragioni diverse, presenta gli stessi inconvenienti di quelle di Kelsen e di Duguit. In primo luogo d’essere statica, poiché cristallizza i rapporti di potere e le regole per accedervi: chi ha il potere, ha diritto al comando e a pretendere l’obbedienza che gli si deve; ogni innovazione è, non provenendo da chi detiene il potere, contro il diritto divino. In secondo luogo di mettere il diritto davanti al fatto, che è proprio il contrario di quanto succede, ad esempio in diritto internazionale, dove è il fatto del controllo di uno Stato (della popolazione e del territorio), e non la legalità dell’insediamento, a fare d’un governo rivoluzionario un interlocutore internazionale. Se così non fosse, se ci si dovesse basare sul criterio di “diritto divino soprannaturale” (o di una pura valutazione “normativa”), l’Italia  dovrebbe essere rappresentata da un Savoia[40], la Germania da un Hohenzollern e la Russia da un Romanov. Con l’effetto di porre in contrapposizione il diritto con la realtà (e la vita); e di rendere (anche) inidoneo quello a indirizzare questa. C’è inoltre un’antitesi radicale tra la distinzione di Bellarmino tra autorità e governante (peccatore) e quel “vous étes des dieux” rivolto da Bossuet ai monarchi: che giustamente Hauriou ritiene compatibile solo con la monarchia assoluta.

Ma la fortuna della concezione del diritto divino provvidenziale non è solo di essere “dinamica”, e cioè realistica, ma anche di spiegare il rapporto tra forza e diritto, sempre in termini realistici. Ritenendo necessario il vivere in società e sotto un governo ma non le relative forme, è aperta all’innovazione e al carattere nomogenetico della forza, finalizzata a garantire l’esistenza comunitaria Il tasso d’innovazione che questo introduce serve a garantirne l’adattamento alle mutevoli condizioni della storia, cioè la vitalità. Il realismo della concezione in esame è dato  essenzialmente dal rapporto delineato tra legge naturale e jus gentium; in altri termini tra necessità e libertà umana.

Riconoscendo che tra le leggi di natura v’è quella di associarsi sotto un governo politico, la teologia cristiana aveva individuato una delle “costanti”, definite da Miglio come le regolarità della politica[41]; in quanto tali immodificabili dalla volontà umana. Che, di converso, le utopie “assolute”[42], ritengono di poter modificare, credendo di aver trovato “la soluzione dell’enigma della Storia”, come scriveva il giovane Marx[43]; dalla storia puntualmente smentita, col crollo pressochè contemporaneo di quasi tutti i regimi del socialismo reale, che di quella visione utopistica erano le realizzazioni.

Ma la credenza di poter modificare le “regolarità”, che si rivela particolarmente chiara nel caso, come il comunismo, di utopie realizzate – e confinate sollecitamente nell’archivio della storia – non è esclusiva di quelle, essendo presente sia pure in misura più limitata in altre concezioni ideologiche, da certi tipi di pacifismo a frange liberali (non al liberalismo, che mantiene un’impostazione realistica, com’è evidente dalla concezione “problematica” dell’uomo, derivata sia dalla teologia cristiana che dal pensiero politico).

A questa immutabilità delle “costanti” si contrappone- e la integra – la mutevolezza delle forme politiche, rimesse al potere-e quindi alla libertà- delle comunità umane: tale concezione fonda la libertà politica nel senso primario della libera “conformazione” dell’ordinamento sociale e politico: in ciò è la specificazione, all’interno della comunità della definizione di S. Tommaso “Liber est qui sui causa est”: non esser limitati se non dalla legge divina (e naturale), della quale nessuno è dispensato[44]. Di tal guisa questa concezione riconosce alle comunità umane tutta la libertà possibile, senza alcun vincolo giuridico se non auto-impostosi dalle stesse.

Inoltre ritornando sul carattere della dinamicità, è il caso di ricordare che Hauriou, come altri grandi giuristi, non ricollega il concetto di ordine sociale alla “conformità” tra norme e comportamenti, cioè a qualcosa di statico, ma a tutt’altro ovvero al movimento “lento e uniforme” della comunità umana. Su questo concetto ritorna più volte specificando che è il movimento “d’un insieme ordinato, è il risultato di una organizzazione e risulta da ciò che l’ordine è essenzialmente organizzazione”; e per chiarire il concetto ricorre a un paragone biologico. Come gli organismi viventi conservano la forma (che cambia, ma lentamente), pur soggetti a un ricambio di cellule e tessuti estremamente rapido, così i gruppi sociali si comportano come organismi viventi, a condizione d’essere organizzati, e durano secoli conservando una forma simile, pur essendo del tutto mutate le “cellule”, cioè gli uomini[45]. E per tali ragioni, cioè (anche) per la capacità di adattarsi alla vita politica e sociale, giudicava che la dottrina del diritto divino provvidenziale, ponendo l’origine del potere al di sopra della collettività sociale e di chiunque altro, non conduce ad alcun assolutismo, ed è quindi la più propizia alla libertà. Non solo alle individuali, ma anche a quella della comunità di darsi la forma che preferisce.

  1. Avevamo iniziato col chiederci il perché nella dottrina francese a cavallo tra XIX e XX secolo sono considerate attentamente le dottrine del diritto divino, e in particolare quella “provvidenziale”. Nei limiti del presente scritto ne abbiamo individuata qualche ragione, per lo più tra quelle già indicate dallo stesso Hauriou, relative all’essenza dell’ordinamento e del rapporto) sociale e politico.

C’è anche un’altra ragione, implicita nel pensiero del doyen: è che Hauriou era un convinto sostenitore della civiltà (e del pensiero) occidentale, cui dedica alcune delle pagine più interessanti, anche per chi le legge oggigiorno. La civiltà occidentale – scrive – per la sua forza, la sua attività e per le sue idee, domina il mondo, ma non lo ha completamente assimilato. Nello stesso tempo sta subendo una delle sue crisi interne[46]; molti dubitano del valore dei suoi caposaldi. Anche se la civiltà sedentaria probabilmente sopravvivrà in forme parzialmente diverse, i popoli europei rischiano di sparire in una tormenta, dopo molte sofferenze. In questo frangente non è il nemico esterno, ma quello interno il più pericoloso[47]; perciò – continua Hauriou – non si deve dubitare della civiltà occidentale, poiché quanto da essa realizzato “en fait d’oeuvres de beauté et de vérité intellectuelle, est devenu classique, c’est-à-dire a réalisé l’idéal humain[48]. Lo stesso comunismo, allora da poco realizzato in Russia, gli appare incompatibile con la società sedentaria ed individualista, e, piuttosto che una fase “estrema” della modernità, gli pare un ritorno alle forme giuridiche tipiche delle società nomadi[49]. Di questa civiltà occidentale fanno parte tanto la libertà che la proprietà; il diritto romano e la teologia cristiana; la scienza come l’arte. La dottrina del diritto divino provvidenziale esprime alcune delle idee base su cui si può modellare l’organizzazione sociale dell’ “ordre individualiste”.

Contrariamente all’attenzione che la dottrina francese rivolge alla concezione in esame è raro leggere analoghe considerazioni altrove, soprattutto in Italia. Ad esempio a consultare la voce “Democrazia” del classico “Dizionario di politica” si può leggere di tutto, da Erodoto a Rousseau, dalle democrazie degli antichi a quelle socialiste (ed oltre): manca tuttavia qualsiasi cenno a questa, che probabilmente ha influenzato la forma dello Stato contemporaneo non meno delle altre[50] e le cui tracce sono (largamente) presenti nella nostra Carta Costituzionale; e, il che è parimenti rilevante, le conseguenze di questa sono, oggi più che ieri, e malgrado tutti gli sforzi contrari, common sense.

[1] V. M. Hauriou Précis de droit constitutionnel Paris 1929 p. 29 ss. ; J. Barthélemy e Paul Duez Traité de droit constitutionnel Paris 1929 p. 67 ss. ; R. Carré de Malberg Contribution à la théorie generale de l’État Paris 1929, Tome 2° p. 149 ss.., v. Anche (meno diffusamente) A. Esmein Eléments de droit constitutionnel français et comparé. Paris 1914 p. 281 e 283 ; L. Duguit L’État, le droit objectif et la loi positive, Paris 1901

[2] Ovviamente sintetizziamo, perché in effetti deriva da S. Tommaso, come Barthélemy , Duez  (e Carrè de Malberg ricordano).

[3] « La doctrine du droit divin providentiel ne répugne donc pas nécessairement à la démocratie par la volonté de Dieu, donc divine », Op. cit. p. 68

[4] Barthélemy-Duez op. cit. « Si enfin Saint Paul a dit : « Omnis potestas a Deo », les théologiens ont indiqué le sens de cette parole en ajoutant : « per popolum ». Le pouvoir, qui est de droit divin, appartient au peuple : c’est la thèse de Sain Thomas, de Bellarmin, de Suarez; Carré de Malberg scrive : La parole de saint Paul «omnis potestas a Deo » ne signifie que les Gouvernements ou leurs chefs soient directement créés désignés par Dieu (doctrine du droit divin surnaturel) ; elle ne signifie pas davantage qu’ils soient indirectement  par la façon dont la Providence divine dirige le coirs des éveneméts (droit divin providentiel). Mais, le principe de l’origine divine du pouvoir doit  etre entendu seulement en ce sens, précisé par saint Thomas d’Aquin (Somme théologique, 2° partie,I, question 96, art. 4), que Dieu, ayant créé l’homme sociable, a aussi voulu le pouvoir social, attendu qu’il n’est pas de société qui puisse subsister sans une autorité supérieure douée de la puissance de commander  à chacun en vue du bien de tous. Ainsi, le pouvoir, envisagé en soi, procéde de Dieu ;  il est, en son essence, d’origine divine, en ce que sa nécessité découle des lois memes qui conditionnent l’ordre social, lois dont Dieu est l’auter ;  mais il n’e demeure  pas moins certain que, dans les domaine des réalités positives, le pouvoir ne peut etre organise que par des moyens humains. En d’autres termes, c’est aux hommes qu’il appartit de régler ses formes et ses conditions d’exercice, comme aussi de déterminer ses titulaires ». Op. cit. p. 151

[5] “Questa esigenza si afferma per la prima volta in conseguenza delle dottrine politiche, che si vennero maturando nelle lotte della Riforma. Già altrove fu spiegato come la dottrina calvinistica, che della comunità fa il titolare del reggimento della Chiesa, si sia sviluppata nella Scozia, nell’Olanda ed in Inghilterra in una teoria, la quale rappresenta anche l’ordinamento laico come un prodotto della volontà comune ed eleva la pretesa che al popolo, unificato nello Stato mediante un contratto, debba competere durevolmente il potere supremo nello Stato e che da esso debba anche essere esercitato” G. Jellinek La dottrina generale del diritto dello Stato, trad. it. di M. Petrozziello, Milano 1949, p. 254

[6] v. Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien (i corsivi sono nostri) , trad. it. Torino 1974 pp. 69-71; e così prosegue “ Questa dottrina si presenta nella sua completezza soprattutto presso il geniale e profondo Suarez: Questi fa derivare direttamente e necessariamente il potere sovrano dal “corpo politico e mistico” che gli uomini singoli costituiscono per un atto di unione assolutamente libero, sebbene corrispondente alla ragione naturale e quindi alla volontà divina. Non sono però i singoli che con la loro volontà stabiliscono la sovranità della collettività sopra i propri membri : essi infatti non possiedono inizialmente alcuno dei diritti sorti con la collettività stessa (per es. il diritto di vita e di morte e il vincolo di coscienza), né, volendo l’associazione, possono impedire che divenga sovrana. Ma nemmeno è Dio ad attribuire, con un atto particolare alla collettività (come al Papa), la sovranità, pur essendo, in qualità di “primus auctor”, la fonte di ogni potere. Il potere sovrano spetta piuttosto ad essa “ex vi rationis naturalis”, e Dio lo concede come “ proprietas consequens naturam” , “ medio dictamine rationis naturalis ostendentis, Deum sufficienter providisse hunano generi et consequenter illi dedisse potestatem ad suam conservationem et convenienter gubernationem necessariam”.

[7]  Verfassungslehore, trad. it. di A. Caracciolo,   Milano 1984 p. 112

[8]  Si tenga presente che appare evidente l’ influsso del pensiero teologico su Hobbes, ed ancora più su Spinoza e sui  giusnaturalisti  “giuristi”  come Grozio e Vattel

[9] Qu’est-ce-que le Tièrs état, trad. it. in Opere, tomo I°, Milano 1993, p. 255.

[10] V. F. Suarez De charitate  Disp. 13 De bello sectio VIII° ; v. Anche Juan De Mariana De rege et regis institutione, trad. it., Napoli 1996, Lib. I, cap. VI°, p. 54. S. Tommaso d’Aquino, De regimine principum, Lib. I°, cap. VI°; v. anche F. Suarez Defensio fidei catholicae et apostolicae…, Lib. III, 3 (sulla attribuzione solo alla comunità perfetta del supremo potere civile).

[11]“ Quello che è stato detto è sufficiente a dimostrare che l’uomo ha bisogno delle forze e dell’aiuto altrui, dal momento che da solo non è capace di procurarsi tutti gli aiuti per vivere, nemmeno la più piccola parte di quelli. Si aggiunga a tutto questo la debolezza del suo corpo per respingere le forze esterne ed evitare gli attentati alla sua persona: La vita degli uomini, infatti, non era sicura dalle numerose bestie feroci, quando ancora la terra non era stata coltivata e le erbacce estirpate e distrutte.” v. Juan de Mariana op. cit. p. 18, S. Tommaso op. cit. Cap. I°, “Naturale autem est homini ut sit animal sociale et politicum, in multitudine vivens, magis etiam quam omnia alia animalia, quod quidem naturalis necessitas declarat. Aliis enim animalibus natura praeparavit cibum, tegumenta pilorum defensionem, ut dentes, cornua, unguens, vel saltem velocitament ad fugam. Homo autem institutus est nullo horum sibi a  natura praeparato, sed loco omnium data est ei ratio, per quam sibi haec omnia officio manuum posset praeparare, ad quae omnia praeparanda unus homo non sufficit. Nam unus homo per se sufficienter vitam transigere non posset”; v. anche il Compendio di dottrina sociale della Chiesa dove la tesi è ribadita “ La Chiesa si è confrontata con diverse concezioni dell’autorità, avendo sempre cura di difenderne e di proporne un modello fondato sulla natura sociale delle persone:”Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura” e poiché non vi può essere “società che si sostenga, se non c’è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l’autorità che la regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio”” L’autorità politica  è pertanto necessaria a motivo dei compiti che le sono attribuiti e deve essere una componente positiva ed insostituibile della convivenza civile”” (prgf. 393) (Roma, 2004)

[12] E gli stessi uomini, confidando ciascuno sommamente nelle proprie forze, alla stregua di una bestia feroce e solitaria, che alcuni atterrisce ed altri teme, si appropriarono, senza che nessuno potesse proibirlo, dei beni e della vita dei più deboli, specialmente quando, formata una certa società con altri, le mani di molti irrompevano nei campi, tra le greggi e le case, saccheggiando e rubando ogni cosa, con pericolo anche della vita di chi tentasse resistere loro: Aspetto miserabile della vicenda! Ovunque ladrocini, scorrerie e stragi si esercitavano impunemente senza lasciare alcun riparo all’innocenza ed alla debolezza altrui. Così, poiché la vita di ognuno era esposta ai mali esterni, e neppure i consanguinei tra loro e i congiunti si astenevano da mutue violenze, quanti erano oppressi dai più forti, cominciarono a stringersi con altri in un mutuo accordo di società e a rivolgersi ad uno solo che primeggiasse in giustizia e lealtà, con l’aiuto del quale fossero impediti i soprusi interni ed esterni; dovendo instaurare la giustizia, tutti, dai superiori agli inferiori, furono sottomessi ad una stessa legge. Da qui sorsero per la prima volta l’aggregazione urbana e la regia potestà, che a quel tempo non si ottenevano con ricchezze e intrighi, ma con moderazione, onore e provata virtù ” vJuan de Mariana op. loc. cit.

[13] Reconnaissance et exposition raisonée…..in  Sieyés Opere  cit. p 383 ss.

[14] Così Rousseau vi descrive l’origine della società civile “Questa fu e dovette essere l’origine della società e delle leggi, che diedero nuove pastoie al debole e nuova forza al ricco, distrussero irrimediabilmente la libertà naturale, stabilirono per sempre la legge della proprietà e della disuguaglianza, di un’abile usurpazione fecero un diritto irrevocabile, e per il profitto di alcuni ambiziosi assoggettarono per sempre il genere umano al lavoro, alla servitù e alla miseria” in R. Parenti “Il pensiero liberale e democratico nei secoli XVII e XVIII°”, Napoli 1973 p. 117.

[15] V. ad es. Esortazione della pace… in Oevreus tomo IV Ginevra p. 157 v. anche “I soldati possono essere in stato di graziaop. cit. p. 243

[16] v. “Pertanto, noi dobbiamo considerare se essere cristiano ed essere magistrato, oppure sovrano di uno Stato,siano cose incompatibili al punto che per essere l’uno, un uomo sia costretto a rinunciare ad essere l’altro. Pongo una prima domanda: se esercitare l’ufficio di magistrato oppure di sovrano di uno Stato è una condizione che contrasta con la vocazione dei credenti, come mai se ne sono valsi i giudici dell’Antico testamento, e così pure i re giusti – come Davide, Ezechia, Iosia – e anche alcuni profeti come Daniele?” Calvino Opere scelte, tomo II, Torino 2006

[17] op. cit. p. 205

[18]Mais si ceux qui, par la volonté de Dieu, vivent sous des princes, et sont leurs sujets naturels, transférent cela a eux, pour etre tentés de faire quelque révolte ou changement, ce sera non seulement une folle et inutile spéculation, mais aussi méchante et pernicieuseL’institution chrétienne, tomoIV Lib.  IV   Cap. XX

[19] “ Car si c’est  son plasir de constituer des rois sur les royaumes, et sur les peuples libres d’autres supérieures quelconques, c’eest à nous de nous rendre sujets et obèissant aux supèrieurs quels qu’ils soient qui domineront au lieu où nous vivrons »  op. ult. cit.

[20]  Politique de Bossuet (Raccolta di brani di Bossuet) Paris, p. 80 – 81

[21] “N’importe, vous etes des dieux, encore que vous mouriez, et votre autorité ne meurt pas; cet esprit de royauté passe tout entier à vos  successeur, et imprime partout la meme crainte, le meme respect, la meme vénération; L’homme meurt, il est vrai; mais le Roi, disons-nous, ne meurt jamais: l’image de Dieu est immortelle” op. cit. P.82

[22] Op. cit. p. 91

[23] Op. cit. p. 111

[24] Op. cit. p. 84

[25] Com’è palese dalla frase (v. sopra). “La nazione esiste prima di ogni cosa, essa è l’origine di tutto. La sua volontà è sempre conforme alla legge, essa è la legge stessa”.

[26] v. De Civitate Dei, lib. XIX, cap. XII-XVIII

[27] Op. cit., lib. XIX, cap. XVIII

[28] in Scritti politici, Bologna, 1950, p. 231

[29] E’ bene precisare che anche secondo la concezione del diritto divino soprannaturale, il governante, essendo uomo, è peccatore e comunque soggetto ad errore. La differenza (essenziale) consiste nel quis judicabit?. Infatti secondo la prima è solo Dio che può giudicare il sovrano (v. sopra, in particolare Lutero, che ritiene usurpazione del potere divino da parte dell’uomo giudicare – e ribellarsi – al sovrano); mentre per i teologi – giuristi ricordati il re può essere giudicato – e detronizzato – dalla comunità. Analoghe considerazioni si trovano nelle pagine di Thomas Müntzer “i prìncipi non sono i signori ma i servitori della spada; essi non devono fare ciò che gli aggrada (Deuteroniomio 17:18-20), ma ciò che è giusto. Perciò bisogna, secondo l’antica e buona consuetudine, che il popolo sia presente quando si giudica secondo la legge di Dio (Numeri 15:35). E perché? Qualora le autorità intendessero pervertire il giudizio, allora i cristiani che le stanno intorno devono impedirlo e non tollerarlo, poiché si dovrà rendere conto a Dio del sangue innocente” (Salmo 79:10). V. Scritti politici, Torino 1972, pp. 192-193.

[30] Federalist papers n. 10, trad. It, p. 96; è noto che la tematica del potenziale conflitto d’interessi tra governati e governanti attraverso tutto il pensiero politico e giurispubblicistico, a partire dalla filosofia greca e medievale fino ai giorni nostri, con gli elitisti e la scuola di “public choice”. Per più dettagliati riferimenti ci sia consentito rimandare al nostro scritto “Interesse generale ed espropriazione”  Consiglio di Stato, p. II aprile 1982.

[31] Carré de Malberg op. cit. Tome II p. 167

[32]  Op. cit. p. 29

[33] Op. cit p. 31 In effetti una legge del genere sarebbe oltreché inutile, anche un frutto d’umorismo involontario

[34]  Op. cit. p. 33

[35] V. G. Troisi Spagnoli Vita di Sieyès in Opere, cit. p. 31 (e seguenti)

[36] op. cit. p. 8

[37]Mais notre auteur n’est pas seulement kantiste, il est aussi, il le déclare lui-meme, panthéiste idéaliste et par conséquent moniste. Son monisme va se traduire immédiatement par un second postulat, à savoir que, dans le plan statique, l’Etat et le Droit se confondent.”, op. Cit.  p. 9; e poco dopo “Dans ce système exclusivement idéaliste, les êtres réels disparaissent, n’étant tous représentés que par des ordonnancements de règles.”

[38]N’oublions pas que, pour lui, le plan dynamique reste dominé par le plan statique et que, par suite, les sources du droit positif resteront dominées et limitées par le droit transcendant.” Op. cit. p. 10

[39]Le primat de la liberté est remplacé par celui de l’ordre et de l’autorité. La maxime fondamentale n’est plus: “Tout ce qui n’est pas défendu est permis jusqu’à la limite”, elle est: “Tout ce qui n’est pas conforme à la constitution hypothétique est sans valeur juridique.”, op. cit. p. 11

[40] Almeno a voler considerare gli eventi del 1944 e 1946, e particolarmente il referendum del 2 giugno 1946 come inidoneo e/o illegittimo.

[41] V. Presentazione a «Le categorie del politico” p. 13, Bologna 1972.

[42] Intendiamo come tali quelle che si possono ricondurre all’assunto di poter modificare la natura (umana) come il marxismo o (talune eresie chialiastiche); v. sul punto Behemoth n. 40 (recensione a Gnerre) p. 68.

[43] E’ il caso di ricordare il periodo nei Manoscritti economico filosofici del 1844, di cui quella frase è la conclusione “il comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie. E’ la soluzione dell’enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione”.

[44] Sulle varie accezioni del diritto naturale e sulle forme di giusnaturalismo (per volontà divina, quale legge naturale e quale dottrina della ragione) v. G. Fassò “Giusnaturalismo” in Dizionario di politica, cit. vol. II, p. 94.

[45]On verra dès lors, des organismes sociaux traverser des siècles, alors que leur matière humaine et une grande partie des situations sociales qu’ils contiennent auront été renouvelées, parce qu’ils ont un gouvernement et parce que leurs équilibres essentiels ayant été maintenus, les formes auront survécu”, op. cit. p. 71

[46]Au XIX siècle, l’esprit critique l’avaint emporté sur l’esprit de foi créatrice. Il en est résulté que beaucoup d’Occidentaux se sont pris eux-memes à douter de la valeur de leurs directives. Cette défalillance passagère serait sans importance, si elle ne coincidait pas avec l’esprit de résistance qui se marque chez les populations moins évoluées qui nous entourent. », op. cit. P.55.

[47] Op. cit. p. 56

[48] Op. loc. cit.

[49] « Il est possible que des sociétés nomades, avec leur faible population et leurs habitudes de subsistance à base de produits spontanés, aient vécu sous des régimes communistes; il n’y avait point d’obstacle majeur, puisqu’il n’y avait pas à assurer la production”. Op. cit. p. 43. v.

[50] Fanno eccezione i cenni nella voce “Assolutismo” di  R. De Mattei in Edd, vol. III pp. 917-923, e nella voce “Democrazia” di G. Fassò in Noviss. Digesto it. vol. V p. 442 ss.

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Ucraina, il conflitto 29a puntata. Guerra e terrorismo_ con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il regime di Kiev, per la verità i suoi mentori, si sta rivelando un vero maestro nella narrazione mediatica e nella coltivazione degli strumenti, anche i più ibridi, di guerra. Gli episodi di arbitrio verso i prigionieri, l’utilizzo di armi proibite, l’indifferenza e l’utilizzo della popolazione civile come strumento di guerra fanno ormai parte dell’armamentario utilizzato. Questa volta, però, la soglia dell’esplicito attacco terroristico è stata oltrepassata ampiamente con l’incursione in due villaggi russi al confine e la deliberata uccisione di civili. Elementi idonei a trascinare la giunta e i comandi ucraino verso quel tribunale di guerra che gli occidentali vorrebbero costruire su misura su Putin. Il regime di Kiev è ormai alle strette e solo l’incapacità e l’impossibilità statunitense di poter uscire dal vicolo cieco in cui l’amministrazione di Biden si è cacciata, se non a rischio di un confronto diretto su larga scala, sta impedendo la mala sorte per personaggi tragicomici ed aguzzini senza scrupoli. La novità è che piuttosto che scompaginare l’area dissidente o indifferente all’esorcismo russofobo, l’oltranzismo atlantista sta polarizzando sempre più le dinamiche geopolitiche in schieramenti sempre più delineati. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Potere dell’innovazione Perché la tecnologia definirà il futuro della geopolitica Di Eric Schmidt

Tralascio le ovvie considerazioni riguardanti le autonome capacità operative del regime ucraino che consentono di sostenere il confronto militare con la Russia. E’ indubbio, comunque, che la competenza tecnologica sia stato uno degli ambiti fondamentali di addestramento dell’esercito ucraino sulla base del retroterra accumulato nel periodo sovietico. L’autore omette un aspetto importante delle modalità di svolgimento della competizione tecnologica: la capacità di determinare gli standard, di regolare il mercato e di intervenire politicamente su di esso. Il predominio tecnologico statunitense è zeppo di esempi di predazioni, sabotaggi, interventi costrittivi sui mercati ai danni indifferentemente di avversari ed alleati. Anche in questo ambito la competizione tra il bene e il male non ha fondamento reale. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Quando le forze russe marciarono su Kiev nel febbraio 2022, pochi pensavano che l’Ucraina potesse sopravvivere. La Russia aveva più del doppio dei soldati dell’Ucraina. Il suo bilancio militare era più di dieci volte superiore. La comunità di intelligence statunitense stimava che Kyiv sarebbe caduta nel giro di una o due settimane al massimo.
Messa alle strette con le armi e gli equipaggiamenti, l’Ucraina si rivolse a un settore in cui aveva un vantaggio sul nemico: la tecnologia. Poco dopo l’invasione, il governo ucraino ha caricato tutti i suoi dati critici sul cloud, in modo da poter salvaguardare le informazioni e continuare a funzionare anche se i missili russi avessero ridotto in macerie gli uffici ministeriali. Il Ministero per la Trasformazione Digitale del Paese, istituito dal Presidente ucraino Volodymyr Zelensky solo due anni prima, ha riutilizzato la sua applicazione mobile di e-government, Diia, per la raccolta di informazioni open-source, in modo che i cittadini potessero caricare foto e video delle unità militari nemiche. Con l’infrastruttura di comunicazione in pericolo, gli ucraini si sono rivolti ai satelliti Starlink e alle stazioni di terra fornite da SpaceX per rimanere in contatto. Quando la Russia ha inviato droni di fabbricazione iraniana oltre il confine, l’Ucraina ha acquistato i propri droni appositamente progettati per intercettare i loro attacchi, mentre i suoi militari hanno imparato a usare armi sconosciute fornite dagli alleati occidentali. Nel gioco del gatto e del topo dell’innovazione, l’Ucraina si è semplicemente dimostrata più agile. E così quella che la Russia aveva immaginato come un’invasione facile e veloce si è rivelata tutt’altro.
Il successo dell’Ucraina può essere attribuito in parte alla determinazione del popolo ucraino, alla debolezza dell’esercito russo e alla forza del sostegno occidentale. Ma è anche merito di una nuova forza determinante della politica internazionale: il potere dell’innovazione. Il potere di innovazione è la capacità di inventare, adottare e adattare nuove tecnologie. Contribuisce sia al potere duro che a quello morbido. I sistemi d’arma ad alta tecnologia aumentano la potenza militare, le nuove piattaforme e gli standard che le regolano forniscono una leva economica e la ricerca e le tecnologie all’avanguardia aumentano il fascino globale. Esiste una lunga tradizione di Stati che sfruttano l’innovazione per proiettare potere all’estero, ma ciò che è cambiato è la natura auto-perpetuante dei progressi scientifici. Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, in particolare, non solo aprono nuove aree di scoperta scientifica, ma accelerano anche questo stesso processo. L’intelligenza artificiale potenzia la capacità di scienziati e ingegneri di scoprire tecnologie sempre più potenti, favorendo i progressi dell’intelligenza artificiale stessa e di altri campi, e rimodellando così il mondo.

La capacità di innovare più velocemente e meglio – la base su cui poggia oggi il potere militare, economico e culturale – determinerà l’esito della competizione tra grandi potenze tra Stati Uniti e Cina. Per ora, gli Stati Uniti restano in testa. Ma la Cina sta recuperando terreno in molti settori e ha già fatto passi da gigante in altri. Per uscire vittoriosi da questa competizione che segna un secolo, non basterà fare le solite cose. Il governo degli Stati Uniti dovrà invece superare i suoi impulsi burocratici ottusi, creare condizioni favorevoli all’innovazione e investire negli strumenti e nei talenti necessari a innescare il circolo virtuoso del progresso tecnologico. Deve impegnarsi a promuovere l’innovazione al servizio del Paese e della democrazia. In gioco c’è niente di meno che il futuro delle società libere, dei mercati aperti, dei governi democratici e del più ampio ordine mondiale.

LA CONOSCENZA È POTERE
Il nesso tra innovazione tecnologica e dominio globale risale a secoli fa, dai moschetti che il conquistador Francisco Pizarro brandì per sconfiggere l’Impero Inca alle navi a vapore che il commodoro Matthew Perry comandò per forzare l’apertura del Giappone. Ma la velocità con cui l’innovazione sta avvenendo non ha precedenti. Questo cambiamento è più evidente che in una delle tecnologie fondamentali del nostro tempo: l’intelligenza artificiale.

I sistemi di intelligenza artificiale di oggi possono già fornire vantaggi chiave in ambito militare, dove sono in grado di analizzare milioni di input, identificare modelli e avvisare i comandanti dell’attività nemica. L’esercito ucraino, ad esempio, ha utilizzato l’intelligenza artificiale per analizzare in modo efficiente i dati di intelligence, sorveglianza e ricognizione provenienti da diverse fonti. Sempre più spesso, tuttavia, i sistemi di IA non si limiteranno ad assistere il processo decisionale umano, ma inizieranno a prendere decisioni in prima persona. John Boyd, stratega militare e colonnello dell’aeronautica statunitense, ha coniato il termine “OODA loop” (osservare, orientare, decidere, agire) per descrivere il processo decisionale in combattimento. L’intelligenza artificiale sarà in grado di eseguire ogni parte del ciclo OODA molto più velocemente. Il conflitto può avvenire alla velocità dei computer, non a quella delle persone. Di conseguenza, i sistemi di comando e controllo che si affidano a decisori umani – o, peggio, a complesse gerarchie militari – perderanno terreno rispetto a sistemi più veloci ed efficienti che affiancano le macchine agli uomini.

Nelle epoche precedenti, le tecnologie che hanno plasmato la geopolitica – dal bronzo all’acciaio, dall’energia a vapore alla fissione nucleare – erano in gran parte singolari. Esisteva una chiara soglia di padronanza tecnologica e, una volta raggiunta, il campo di gioco era livellato. L’intelligenza artificiale, al contrario, è di natura generativa. Presentando una piattaforma per la continua innovazione scientifica e tecnologica, può portare a un’ulteriore innovazione. Questo fenomeno rende l’era dell’intelligenza artificiale fondamentalmente diversa dall’età del bronzo o dell’acciaio. Piuttosto che la ricchezza di risorse naturali o la padronanza di una determinata tecnologia, la fonte del potere di un Paese risiede ora nella sua capacità di innovare continuamente.

Questo circolo virtuoso sarà sempre più veloce. Una volta che l’informatica quantistica sarà diventata maggiorenne, i computer superveloci permetteranno di elaborare quantità sempre maggiori di dati, producendo sistemi di intelligenza artificiale sempre più intelligenti. Questi sistemi di intelligenza artificiale, a loro volta, saranno in grado di produrre innovazioni rivoluzionarie in altri campi emergenti, dalla biologia sintetica alla produzione di semiconduttori. L’intelligenza artificiale cambierà la natura stessa della ricerca scientifica. Invece di fare progressi uno studio alla volta, gli scienziati scopriranno le risposte a domande antiche analizzando serie di dati enormi, liberando le menti più intelligenti del mondo per dedicare più tempo allo sviluppo di nuove idee. In quanto tecnologia di base, l’IA sarà fondamentale nella corsa al potere dell’innovazione, essendo alla base di innumerevoli sviluppi futuri nella scoperta di farmaci, nella terapia genetica, nella scienza dei materiali, nell’energia pulita e nell’IA stessa. Gli aerei più veloci non hanno aiutato a costruire aerei più veloci, ma i computer più veloci aiuteranno a costruire computer più veloci.

Ancora più potente dell’intelligenza artificiale di oggi è una tecnologia più completa – per ora, data l’attuale potenza di calcolo, ancora ipotetica – chiamata “intelligenza artificiale generale” o AGI. Mentre l’intelligenza artificiale tradizionale è progettata per risolvere un problema specifico, l’intelligenza artificiale generale dovrebbe essere in grado di eseguire qualsiasi compito mentale che un essere umano può svolgere e anche di più. Immaginate un sistema di intelligenza artificiale in grado di rispondere a domande apparentemente intrattabili, come il modo migliore per insegnare l’inglese a un milione di bambini o per curare un caso di Alzheimer. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale è ancora lontano anni, forse addirittura decenni, ma il Paese che svilupperà per primo questa tecnologia avrà un enorme vantaggio, in quanto potrebbe utilizzare l’Intelligenza Artificiale per sviluppare versioni sempre più avanzate dell’Intelligenza Artificiale, guadagnando così un vantaggio in tutti gli altri settori della scienza e della tecnologia. Una svolta in questo campo potrebbe inaugurare un’era di predominio non dissimile dal breve periodo di superiorità nucleare di cui godettero gli Stati Uniti alla fine degli anni Quaranta.

Mentre molti degli effetti più trasformativi dell’intelligenza artificiale sono ancora lontani, l’innovazione nei droni sta già sconvolgendo il campo di battaglia. Nel 2020, l’Azerbaigian ha utilizzato droni di fabbricazione turca e israeliana per ottenere un vantaggio decisivo nella sua guerra contro l’Armenia nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, ottenendo vittorie sul campo di battaglia dopo oltre due decenni di stallo militare. Allo stesso modo, la flotta di droni dell’Ucraina – molti dei quali sono modelli commerciali a basso costo riutilizzati per la ricognizione dietro le linee nemiche – ha giocato un ruolo fondamentale nei suoi successi.

I droni offrono vantaggi distinti rispetto alle armi tradizionali: sono più piccoli e più economici, offrono capacità di sorveglianza senza pari e riducono l’esposizione al rischio dei soldati. I marines in guerra urbana, ad esempio, potrebbero essere accompagnati da microdroni che fungono da occhi e orecchie. Col tempo, i Paesi miglioreranno l’hardware e il software dei droni per superare i loro rivali. Alla fine, i droni autonomi armati – non solo i veicoli aerei senza equipaggio, ma anche quelli a terra – sostituiranno del tutto i soldati e l’artiglieria con equipaggio. Immaginate un sottomarino autonomo in grado di spostare rapidamente i rifornimenti in acque contese o un camion autonomo in grado di trovare il percorso ottimale per trasportare piccoli lanciamissili su terreni accidentati. Sciami di droni, collegati in rete e coordinati dall’intelligenza artificiale, potrebbero sopraffare le formazioni di carri armati e fanteria sul campo. Nel Mar Nero, l’Ucraina ha usato i droni per attaccare le navi e i rifornimenti russi, aiutando un Paese con una marina minuscola a contrastare la potente flotta russa del Mar Nero. L’Ucraina offre un’anteprima dei conflitti futuri: guerre che saranno combattute e vinte da uomini e macchine che lavorano insieme.

Come dimostrano gli sviluppi dei droni, il potere dell’innovazione è alla base del potere militare. Innanzitutto, il dominio tecnologico in settori cruciali rafforza la capacità di un Paese di fare la guerra e quindi la sua capacità di deterrenza. Ma l’innovazione plasma anche il potere economico, dando agli Stati un’influenza sulle catene di approvvigionamento e la capacità di stabilire le regole per gli altri. I Paesi che dipendono dalle risorse naturali o dal commercio, soprattutto quelli che devono importare beni rari o fondamentali, devono affrontare vulnerabilità che altri non hanno.

Si pensi al potere che la Cina può esercitare sui Paesi a cui fornisce hardware per le comunicazioni. Non sorprende che i Paesi che dipendono dalle infrastrutture fornite dalla Cina – come molti Paesi africani, dove i componenti prodotti da Huawei costituiscono circa il 70% delle reti 4G – siano stati restii a criticare le violazioni cinesi dei diritti umani. Il primato di Taiwan nella produzione di semiconduttori, inoltre, costituisce un potente deterrente contro l’invasione, dal momento che la Cina ha poco interesse a distruggere la sua principale fonte di microchip. L’influenza è anche per i Paesi pionieri delle nuove tecnologie. Gli Stati Uniti, grazie al loro ruolo nella fondazione di Internet, hanno goduto per decenni di un posto a sedere al tavolo della definizione dei regolamenti di Internet. Durante la Primavera araba, ad esempio, il fatto che gli Stati Uniti fossero sede di aziende tecnologiche che fornivano la spina dorsale di Internet ha permesso a tali aziende di rifiutare le richieste di censura dei governi arabi.

Meno ovvio ma altrettanto cruciale, l’innovazione tecnologica rafforza il soft power di un Paese. Hollywood e aziende tecnologiche come Netflix e YouTube hanno creato una serie di contenuti per una base di consumatori sempre più globale, contribuendo nel contempo a diffondere i valori americani. Questi servizi di streaming proiettano lo stile di vita americano nei salotti di tutto il mondo. Allo stesso modo, il prestigio associato alle università statunitensi e le opportunità di creazione di ricchezza create dalle aziende americane attraggono gli aspiranti da tutto il mondo. In breve, la capacità di un Paese di proiettare potere nella sfera internazionale – militarmente, economicamente e culturalmente – dipende dalla sua capacità di innovare più velocemente e meglio dei suoi concorrenti.

CORSA AL VERTICE
Il motivo principale per cui oggi l’innovazione offre un vantaggio così massiccio è che genera altra innovazione. In parte, ciò avviene grazie alla dipendenza dal percorso che deriva dai gruppi di scienziati che attraggono, insegnano e formano altri grandi scienziati nelle università di ricerca e nelle grandi aziende tecnologiche. Ma lo fa anche perché l’innovazione si costruisce da sola. L’innovazione si basa su un ciclo di invenzione, adozione e adattamento, un ciclo di feedback che alimenta ancora più innovazione. Se un anello della catena si rompe, si rompe anche la capacità di un Paese di innovare in modo efficace.

Un vantaggio nell’invenzione si basa in genere su anni di ricerca precedente. Si pensi al modo in cui gli Stati Uniti hanno guidato il mondo nell’era delle telecomunicazioni 4G. L’introduzione delle reti 4G in tutto il Paese ha facilitato lo sviluppo di applicazioni mobili come Uber, che richiedevano connessioni dati cellulari più veloci. Grazie a questo vantaggio, Uber ha potuto perfezionare il suo prodotto negli Stati Uniti per poterlo diffondere nei Paesi in via di sviluppo. Questo ha portato ad avere molti più clienti e molti più feedback da incorporare, mentre l’azienda adattava il suo prodotto a nuovi mercati e a nuove versioni.

Ma il fossato attorno ai Paesi che godono di vantaggi strutturali nella tecnologia si sta riducendo. Grazie anche alla ricerca accademica più accessibile e all’ascesa del software open-source, le tecnologie si diffondono più rapidamente in tutto il mondo. La disponibilità di nuovi progressi ha aiutato i concorrenti a recuperare a velocità record, come ha fatto la Cina con il 4G. Sebbene alcuni dei recenti successi tecnologici della Cina derivino dallo spionaggio economico e dal mancato rispetto dei brevetti, gran parte di essi sono dovuti a sforzi innovativi, piuttosto che derivativi, per adattare e implementare le nuove tecnologie.

In effetti, le aziende cinesi hanno avuto un successo clamoroso nell’adottare e commercializzare le scoperte tecnologiche straniere. Nel 2015, il Partito Comunista Cinese ha definito la sua strategia “Made in China 2025” per raggiungere l’autosufficienza in settori ad alta tecnologia come le telecomunicazioni e l’IA. Nell’ambito di questa strategia, ha annunciato un piano economico di “doppia circolazione”, con il quale la Cina intende incrementare la domanda interna ed estera dei suoi prodotti. Attraverso partenariati pubblico-privato, sovvenzioni dirette alle aziende private e sostegno alle aziende statali, Pechino ha versato miliardi di dollari per assicurarsi di essere in vantaggio nella corsa alla supremazia tecnologica. Finora i risultati sono contrastanti. La Cina è in vantaggio rispetto agli Stati Uniti in alcune tecnologie, ma è in ritardo in altre.

È difficile dire se la Cina prenderà il comando nel campo dell’IA, ma gli alti funzionari di Pechino pensano che lo farà. Nel 2017, Pechino ha annunciato l’intenzione di diventare il leader mondiale dell’intelligenza artificiale entro il 2030 e potrebbe raggiungere questo obiettivo anche prima del previsto. La Cina ha già raggiunto il suo obiettivo di diventare leader mondiale nella tecnologia di sorveglianza basata sull’IA, che non solo utilizza per controllare i dissidenti in patria, ma vende anche ai governi autoritari all’estero. La Cina è ancora indietro rispetto agli Stati Uniti nell’attrarre le migliori menti nel campo dell’IA, con quasi il 60% dei ricercatori di alto livello che lavorano nelle università statunitensi. Ma le leggi sulla privacy poco rigorose, la raccolta obbligatoria di dati e i finanziamenti governativi mirati danno al Paese un vantaggio fondamentale. Infatti, è già leader nella produzione di veicoli autonomi.

Per ora, gli Stati Uniti sono ancora in vantaggio nel calcolo quantistico. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, la Cina ha investito almeno 10 miliardi di dollari nella tecnologia quantistica, circa dieci volte di più del governo statunitense. La Cina sta lavorando per costruire computer quantistici così potenti da poter facilmente decifrare la crittografia odierna. Il Paese sta anche investendo molto nelle reti quantistiche – un modo di trasmettere informazioni sotto forma di bit quantistici – presumibilmente nella speranza che tali reti siano impermeabili al monitoraggio di altre agenzie di intelligence. Ancora più allarmante è il fatto che il governo cinese potrebbe già archiviare le comunicazioni rubate e intercettate con l’obiettivo di decriptarle una volta in possesso della potenza di calcolo necessaria per farlo, una strategia nota come “archivia ora, decripta dopo”. Quando i computer quantistici diventeranno sufficientemente veloci, tutte le comunicazioni criptate con metodi non quantistici saranno a rischio di intercettazione, il che aumenta la posta in gioco per raggiungere per primi questa svolta.

La Cina sta anche cercando di recuperare il ritardo accumulato dagli Stati Uniti nel campo della biologia sintetica. Gli scienziati in questo campo stanno lavorando su una serie di nuovi sviluppi biologici, tra cui il cemento prodotto da microbi che assorbe l’anidride carbonica, le colture con una maggiore capacità di sequestrare il carbonio e i sostituti della carne a base vegetale. Queste tecnologie sono molto promettenti per combattere il cambiamento climatico e creare posti di lavoro, ma dal 2019 gli investimenti privati cinesi nella biologia sintetica hanno superato quelli statunitensi.

Anche per quanto riguarda i semiconduttori, la Cina ha piani ambiziosi. Il governo cinese sta finanziando sforzi senza precedenti per diventare leader nella produzione di semiconduttori entro il 2030. Attualmente le aziende cinesi creano i cosiddetti chip a “sette nanometri”, ma Pechino si è spinta oltre, annunciando l’intenzione di produrre internamente la nuova generazione di chip a “cinque nanometri”. Per ora, gli Stati Uniti continuano a superare la Cina nella progettazione di semiconduttori, così come Taiwan e la Corea del Sud. Nell’ottobre del 2022, l’amministrazione Biden ha compiuto l’importante passo di bloccare le vendite in Cina delle principali aziende statunitensi produttrici di chip per computer di intelligenza artificiale, nell’ambito di un pacchetto di restrizioni pubblicato dal Dipartimento del Commercio. Tuttavia, le aziende cinesi controllano l’85% della lavorazione dei minerali di terre rare che entrano in questi chip e in altri componenti elettronici critici, offrendo un importante punto di forza rispetto ai loro concorrenti.

UNA BATTAGLIA DI SISTEMI
La competizione tra Stati Uniti e Cina è una competizione tra sistemi, oltre che tra Stati. Nel modello cinese di fusione civile-militare, il governo promuove la competizione interna e finanzia i vincitori emergenti come “campioni nazionali”. Queste aziende svolgono un duplice ruolo, massimizzando il successo commerciale e promuovendo gli interessi della sicurezza nazionale cinese. Il modello americano, invece, si basa su un insieme più eterogeneo di attori privati. Il governo federale finanzia la scienza di base, ma lascia in gran parte l’innovazione e la commercializzazione al mercato.

Per molto tempo, la triplice collaborazione tra governo, industria e università è stata la fonte principale dell’innovazione americana. Questa collaborazione ha portato a molte scoperte tecnologiche, dallo sbarco sulla Luna a Internet. Ma con la fine della Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti è diventato restio a stanziare fondi per la ricerca applicata e ha persino ridotto l’importo destinato alla ricerca fondamentale. Sebbene la spesa privata sia decollata, nell’ultimo mezzo secolo gli investimenti pubblici si sono stabilizzati. Nel 2015, la quota di finanziamenti pubblici per la ricerca di base è scesa sotto il 50% per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo essersi aggirata intorno al 70% negli anni Sessanta. Nel frattempo, la geometria dell’innovazione – il ruolo rispettivo degli attori pubblici e privati nel guidare il progresso tecnologico – è cambiata dai tempi della Guerra Fredda, in modi che non sempre hanno prodotto ciò di cui il Paese ha bisogno. L’ascesa del capitale di rischio ha contribuito ad accelerare l’adozione e la commercializzazione, ma ha fatto poco per affrontare problemi scientifici di ordine superiore.

Le ragioni della riluttanza di Washington a finanziare la scienza che è alla base del potere innovativo sono strutturali. L’innovazione richiede rischi e, a volte, fallimenti, cosa che i politici sono restii ad accettare. L’innovazione può richiedere investimenti a lungo termine, ma il governo degli Stati Uniti opera su un ciclo di bilancio di un solo anno e, al massimo, su un ciclo politico di due anni. Nonostante questi ostacoli, la Silicon Valley (insieme ad altre zone calde degli Stati Uniti) è riuscita a incoraggiare l’innovazione. La storia del successo americano si basa su un potente mix di ambizione stimolante, regimi legali e fiscali favorevoli alle startup e una cultura di apertura che consente a imprenditori e ricercatori di iterare e migliorare le nuove idee.

Il sistema di immigrazione degli Stati Uniti, ormai obsoleto, impedisce a troppe persone di talento di venire.
Tuttavia, questo potrebbe non essere sufficiente. Il sostegno del governo ha svolto a lungo un ruolo cruciale nell’avviare l’innovazione negli Stati Uniti, e la ricerca in tecnologie che oggi sembrano stravaganti potrebbe rivelarsi fondamentale in un futuro non troppo lontano. Nel 2013, ad esempio, la Defense Advanced Research Projects Agency ha investito in vaccini a RNA messaggero, collaborando con l’azienda biotecnologica Moderna, che in seguito avrebbe sviluppato e consegnato un vaccino COVID-19 in tempi record. Ma questi esempi sono più rari di quanto dovrebbero.

La competizione con la Cina richiede una rivitalizzazione dell’interazione tra governo, settore privato e università. Proprio come la Guerra Fredda portò alla creazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale, l’odierna competizione tecnologica dovrebbe stimolare un ripensamento delle strutture politiche esistenti. Come ha raccomandato la Commissione per la Sicurezza Nazionale sull’Intelligenza Artificiale (da me presieduta), un nuovo “Consiglio per la competitività tecnologica”, ispirato all’NSC, potrebbe aiutare a coordinare l’azione degli attori privati e a sviluppare un piano nazionale per far progredire le tecnologie emergenti cruciali. Un segnale promettente: il Congresso sembra aver riconosciuto la necessità di un sostegno decisivo. Nel 2022, con un voto bipartisan, ha approvato il CHIPS and Science Act, che prevede un finanziamento di 200 miliardi di dollari per la R&S scientifica nei prossimi dieci anni.

INVESTIRE NEL FUTURO
Nell’ambito degli sforzi per rimanere una superpotenza dell’innovazione, gli Stati Uniti dovranno investire miliardi di dollari in settori chiave della competizione tecnologica. Per quanto riguarda i semiconduttori, forse la tecnologia più vitale oggi, il governo americano dovrebbe raddoppiare i suoi sforzi per le catene di approvvigionamento onshore e “friend shore”, trasferendole negli Stati Uniti o in Paesi amici. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, il governo dovrebbe finanziare la ricerca e lo sviluppo nel campo della microelettronica, accumulare i minerali di terre rare (come il litio e il cobalto) necessari per le batterie e i veicoli elettrici e investire in nuove tecnologie in grado di sostituire le batterie agli ioni di litio e di compensare il dominio cinese sulle risorse. Nel frattempo, la diffusione del 5G negli Stati Uniti è stata lenta, in parte perché le agenzie governative, in particolare il Dipartimento della Difesa, controllano la maggior parte dello spettro radio ad alta frequenza utilizzato dal 5G. Per recuperare il ritardo rispetto alla Cina, il Pentagono dovrebbe aprire una parte maggiore dello spettro agli attori privati.

Gli Stati Uniti dovranno investire in tutte le fasi del ciclo dell’innovazione, finanziando non solo la ricerca di base ma anche la commercializzazione. Un’innovazione significativa richiede sia l’invenzione che l’implementazione, la capacità di eseguire e commercializzare le nuove invenzioni su scala. Questo è spesso il principale ostacolo. La ricerca sulle auto elettriche, ad esempio, ha aiutato General Motors a portare il suo primo modello sul mercato nel 1996, ma ci sono voluti altri due decenni prima che Tesla producesse in serie un modello commercialmente valido. Ogni nuova tecnologia, dall’IA all’informatica quantistica alla biologia sintetica, deve essere perseguita con il chiaro obiettivo della commercializzazione.

Oltre a investire direttamente nelle tecnologie che alimentano la forza dell’innovazione, gli Stati Uniti devono investire nel fattore che sta alla base dell’innovazione: il talento. Gli Stati Uniti vantano le migliori startup, aziende storiche e università del mondo, che attirano i migliori e i più brillanti da tutto il mondo. Tuttavia, troppe persone di talento non possono venire negli Stati Uniti a causa del sistema di immigrazione obsoleto. Invece di creare un percorso facile verso la green card per gli stranieri che conseguono lauree STEM in scuole americane, il sistema attuale rende inutilmente difficile per i migliori laureati contribuire all’economia statunitense.

Gli Stati Uniti hanno un vantaggio asimmetrico quando si tratta di assumere immigrati altamente qualificati, e il loro invidiabile tenore di vita e le abbondanti opportunità spiegano perché il Paese ha attratto la maggior parte delle menti più brillanti del mondo nel campo dell’IA. Più della metà dei ricercatori di IA che lavorano negli Stati Uniti proviene dall’estero e la domanda di talenti di IA supera ancora di gran lunga l’offerta. Se gli Stati Uniti chiudono le porte agli immigrati di talento, rischiano di perdere il loro vantaggio innovativo. Così come il Progetto Manhattan è stato guidato in gran parte da rifugiati ed emigrati dall’Europa, la prossima scoperta tecnologica americana si baserà quasi certamente sugli immigrati.

LA MIGLIORE DIFESA
Nell’ambito dei suoi sforzi per tradurre l’innovazione in hard power, gli Stati Uniti devono ripensare radicalmente alcune delle loro politiche di difesa. Durante la Guerra Fredda, il Paese ha progettato diverse strategie di “compensazione” per controbilanciare la superiorità numerica sovietica attraverso la strategia militare e le innovazioni tecnologiche. Oggi Washington ha bisogno di quella che lo Special Competitive Studies Project ha definito una strategia “Offset-X”, un approccio competitivo attraverso il quale gli Stati Uniti possono mantenere la superiorità tecnologica e militare.

Dato che i militari e le economie moderne si basano sulle infrastrutture digitali, è probabile che qualsiasi futura guerra tra grandi potenze inizi con un attacco informatico. Le difese informatiche degli Stati Uniti, quindi, hanno bisogno di un tempo di risposta più veloce del tempo di reazione degli esseri umani. Avendo affrontato continui attacchi informatici anche in tempo di pace, gli Stati Uniti dovrebbero armarsi di ridondanza, creando sistemi di backup e percorsi alternativi per i flussi di dati.

Ciò che inizia nel cyberspazio potrebbe facilmente degenerare nel regno fisico, e anche in questo caso gli Stati Uniti dovranno affrontare nuove sfide. Per contrastare eventuali attacchi di droni a sciame, devono investire in sistemi di artiglieria e missili difensivi. Per migliorare la consapevolezza del campo di battaglia, le forze armate statunitensi dovrebbero concentrarsi sul dispiegamento di una rete di sensori poco costosi alimentati dall’intelligenza artificiale per monitorare le aree contese, un approccio che spesso è più efficace di un singolo sistema squisitamente realizzato. Poiché l’intelligence umana diventa sempre più difficile da ottenere, gli Stati Uniti dovranno fare sempre più affidamento sulla più grande costellazione di sensori di qualsiasi Paese, che va dal mare allo spazio. Dovranno inoltre concentrarsi maggiormente sull’intelligence open-source, dato che oggi la maggior parte dei dati del mondo è disponibile pubblicamente. Senza questa capacità, gli Stati Uniti rischiano di essere sorpresi dai loro fallimenti di intelligence.

Nella sfida del secolo – la rivalità degli Stati Uniti con la Cina – il fattore decisivo sarà il potere dell’innovazione.
Quando si tratta di combattere davvero, le unità militari dovrebbero essere collegate in rete e decentralizzate per superare meglio gli avversari. Di fronte ad avversari con gerarchie militari rigide, gli Stati Uniti potrebbero ottenere un vantaggio utilizzando unità più piccole e connesse, i cui membri sono abili nel prendere decisioni in rete, utilizzando gli strumenti dell’intelligenza artificiale a loro vantaggio. Ad esempio, una singola unità potrebbe riunire capacità di raccolta di informazioni, attacchi missilistici a lungo raggio e guerra elettronica. Il Pentagono deve fornire ai comandanti sul campo di battaglia tutte le informazioni migliori e permettere loro di fare le scelte migliori sul campo.

L’esercito americano deve anche imparare a integrare le nuove tecnologie nel processo di approvvigionamento, nei piani di battaglia e nel combattimento. Nei quattro anni in cui ho presieduto il Defense Innovation Board, sono rimasto sbalordito da quanto fosse difficile farlo. Uno dei principali colli di bottiglia è rappresentato dall’oneroso processo di approvvigionamento del Pentagono: i principali sistemi d’arma richiedono più di dieci anni per essere progettati, sviluppati e distribuiti. Il Dipartimento della Difesa dovrebbe ispirarsi al modo in cui l’industria tecnologica progetta i prodotti. Dovrebbe costruire i missili come le aziende costruiscono le auto elettriche, utilizzando uno studio di progettazione per sviluppare e simulare il software, alla ricerca di innovazioni dieci volte più veloci ed economiche rispetto ai processi attuali. L’attuale sistema di approvvigionamento è particolarmente inadatto a un futuro in cui la supremazia del software si rivelerà decisiva sul campo di battaglia.

Gli Stati Uniti spendono quattro volte di più di qualsiasi altro Paese per l’acquisto di sistemi militari, ma il prezzo è un parametro insufficiente per giudicare la forza innovativa. Nell’aprile 2022, le forze ucraine hanno lanciato due missili Neptune contro la Moskva, una nave da guerra russa di 600 piedi, affondandola. La nave è costata 750 milioni di dollari; i missili, 500.000 dollari l’uno. Allo stesso modo, il missile ipersonico antinave all’avanguardia della Cina, l’YJ-21, potrebbe un giorno affondare una portaerei statunitense da 10 miliardi di dollari. Il governo americano dovrebbe pensarci due volte prima di impegnare altri 10 miliardi di dollari e dieci anni per una nave del genere. Spesso ha più senso acquistare molti prodotti a basso costo invece di investire in pochi progetti di prestigio ad alto costo.

GIOCARE PER VINCERE
Nella gara del secolo – la rivalità degli Stati Uniti con la Cina – il fattore decisivo sarà il potere dell’innovazione. I progressi tecnologici dei prossimi cinque-dieci anni determineranno quale Paese avrà la meglio in questa competizione mondiale. La sfida per gli Stati Uniti, tuttavia, è che i funzionari governativi sono incentivati a evitare i rischi e a concentrarsi sul breve termine, lasciando il Paese cronicamente sottoinvestito nelle tecnologie del futuro.

Se la necessità è la madre dell’invenzione, la guerra è la levatrice dell’innovazione. Parlando con gli ucraini durante una visita a Kiev nell’autunno del 2022, ho sentito dire da molti che i primi mesi di guerra sono stati i più produttivi della loro vita. L’ultima guerra veramente globale degli Stati Uniti – la Seconda Guerra Mondiale – ha portato all’adozione diffusa della penicillina, a una rivoluzione nella tecnologia nucleare e a una svolta nell’informatica. Ora gli Stati Uniti devono innovare in tempo di pace, più velocemente che mai. Non riuscendo a farlo, stanno erodendo la loro capacità di dissuadere e, se necessario, di combattere e vincere la prossima guerra.

L’alternativa potrebbe essere disastrosa. I missili ipersonici potrebbero lasciare gli Stati Uniti senza difese e i cyberattacchi potrebbero paralizzare la rete elettrica del Paese. Forse ancora più importante, la guerra del futuro prenderà di mira gli individui in modi completamente nuovi: Stati autoritari come la Cina e la Russia potrebbero essere in grado di raccogliere dati individuali sulle abitudini di acquisto degli americani, sulla loro posizione e persino sui profili del DNA, consentendo campagne di disinformazione su misura e persino attacchi biologici e assassinii mirati. Per evitare questi orrori, gli Stati Uniti devono assicurarsi di essere all’avanguardia rispetto ai loro concorrenti tecnologici.

I principi che hanno definito la vita negli Stati Uniti – libertà, capitalismo, impegno individuale – erano quelli giusti per il passato e lo saranno anche per il futuro. Questi valori fondamentali sono alla base di un ecosistema dell’innovazione che è ancora l’invidia del mondo. Hanno permesso di realizzare innovazioni che hanno trasformato la vita quotidiana in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno iniziato la corsa all’innovazione in pole position, ma non possono essere certi di rimanervi. Il vecchio mantra della Silicon Valley vale non solo per l’industria ma anche per la geopolitica: innovare o morire.

ERIC SCHMIDT è presidente dello Special Competitive Studies Project ed ex amministratore delegato e presidente di Google. È coautore, con Henry Kissinger e Daniel Huttenlocher, di The Age of AI: And Our Human Future.

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