PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA, di Teodoro Klitsche de la Grange

PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA

C’è un “nocciolo duro” che collega il processo di decadenza della classe dirigente della “Seconda repubblica” e in particolare il PD, confermato dalle ultimi elezioni regionali, tutte perse dall’opposizione e l’ultima rovinosamente  (Fedriga ha riportato più del doppio dei voti del candidato PD-M5S ed altri): è la perdita di legittimità delle élite in disfacimento.

L’ironia della Storia ha fatto sì che, con le ultime elezioni politiche il primo partito e la Presidente del Consiglio della “Repubblica nata dalla resistenza” siano gli eredi di coloro che la resistenza l’avevano combattuta e dall’ “arco costituzionale” erano esclusi. Così che attualmente, contrariamente alle litanie ripetute da decenni, la volontà popolare ha rifiutato l’armamentario propagandato – fino a qualche anno fa confortato dal consenso – dal 1945. In un certo senso ha disconosciuto la paternità.

Questo, indipendentemente dal fatto che la “tavola dei valori” che  ispira la nostra costituzione, da non identificare con quella propagandata per decenni dalla sinistra (e non solo) che ne costituisce una versione parziale e ad “usum delphini”, non abbia ancora una sua legittimità, nel senso di una diffusa condivisione.

Gli è che, come scriveva Thomas Hobbes, l’essenza del rapporto politico e quindi del comando-obbedienza, è che chi pretende il comando deve dare protezione (effettiva). Con la conseguenza che se quella protezione non viene data cessa anche l’obbligo di obbedire. Questo è asserito dal filosofo di Malmesbury proprio nell’ultima pagina del Leviathan: di aver scritto il trattato “senza altro scopo che di porre davanti agli occhi degli uomini la mutua relazione tra protezione ed obbedienza; alle quali la condizione della natura umana e le leggi divine – tanto naturali che positive – richiedono un’osservanza inviolabile”.

E nelle pagine precedenti del Leviathan ci dà un saggio di ciò che non da protezione e quindi non serve a pretendere obbedienza. “Casistica” che ha più che qualche carattere di somiglianza con quanto praticato (anche) dalle élite decadenti, e ancor più con i cattivi risultati della loro azione di governo. Ad esempio quando Hobbes paragona la Chiesa cattolica al regno delle fate (e gli ecclesiastici alle fate) anche perché “Quale specie di moneta abbia corso nel regno delle fate non è detto nella storia; ma gli ecclesiastici  invece accettano nelle loro riscossioni la moneta, che noi coniamo, benché, quando debbano fare qualche pagamento, li facciano consistere in canonizzazioni, indulgenze e messe” e così i chierici non lavorano, ma come le fate, vivono approfittando del lavoro degli altri, banchettando con la crema del latte munto dai fedeli (o – per il potere temporale – dai sudditi).

C’è più di un’analogia con i trasferimenti di ricchezza, da tax-payers a tax-consommers operati dai governi delle élite, o ancor più con la predazione diretta (e indiretta) connessa; senza trascurare che ad ogni salasso si accompagna una enunciazione di buone intenzioni, e ancor più lo “scambio” di beni con chiacchiere.

Oppure quando Hobbes mette in guardia dall’insistere nel giustificare l’esercizio del potere col richiamo al titolo giuridico (successione, conquista, consuetudine), invece che all’effettività e risultati ottenuti. O, in senso contrario, col giustificare il proprio potere condannando le malefatte del regime precedente (invece dei risultati propri).

Il potere pubblico, assai più che ai tempi di Hobbes, ha giustificato dallo scorcio del XIX secolo il proprio intervento e così la pubblicizzazione di attività private (soprattutto nell’economia) con gli effetti in termini di sicurezza del futuro. Ma i risultati italiani nell’ultimo trentennio, quando l’influenza del PD (e predecessori) è stata determinante, sono i peggiori dell’area UE (ed euro). Onde i risultati di un’azione di governo esteso all’economia sono pessimi, e pertanto non c’è legittimità “di scambio” (protezione/obbedienza) che possa confortarla. Non resta che rivolgersi ad una legittimità fondata sulle intenzioni conformi a certi valori. Ciò ha un doppio limite: che quei valori debbano essere condivisi dalla maggioranza e, di conseguenza – e a lato – debbano essere ragionevoli.

Tuttavia condivisione ce n’è poca (v. risultati elettorali) e ragionevolezza (nel senso di obiettivi effettivamente alla portata di un’azione di governo) non di più.

Non si capisce infatti come insistere nel primario obiettivo di tutela dei c.d. “diritti umani” di esigue minoranze posponendo loro i “diritti sociali” conseguiti nel XX secolo sia produttivo di consenso, soprattutto maggioritario. Significa scambiare (con gioia?) parte dello stipendio e della pensione per promuovere le unioni tra omosessuali, l’utero in affitto, ecc. ecc. Che ci guadagna la stragrande maggioranza?

Quanto alla ragionevolezza va tenuto conto che il marxismo ha provato il carattere totalmente immaginario del proprio  esito ultimo: la società comunista, cioè il paese dei balocchi. Ma il vizio non è stato perso.

Alla natura umana e all’ordine politico sono connaturali due caratteri: la paura della morte e la preoccupazione per il futuro.

Ambedue strumenti di governo (e di accettazione – consenso) del potere politico. Quanto al primo c’è stato il tentativo di sfruttare come instrumentum regni il Covid, e poi la guerra russo-ucraina. Quest’ultima, contraddittoriamente (per la sinistra) quale lesione alla libertà e sovranità di popolo.

Ma quale beneficio ne abbia tratto il PD (e soci) non si vede.

Quanto all’ansia per il futuro: ossia (anche) della sicurezza economica (propria e di tutti): ma non si capisce quanta tranquillità agli italiani impoveriti possa venire (sia dai risultati che) dalle intenzioni dichiarate di un partito preoccupato di tutt’altro (LGTB et similia).

Hobbes scriveva che concepire il futuro presuppone l’esperienza del passato “Un concetto del futuro è solo una supposizione circa il medesimo derivante dal ricordo di ciò che è passato; e noi, in tanto concepiamo che qualcosa avverrà di qui in avanti, in quanto sappiamo che c’è qualcosa al presente che ha il potere di produrla. E che qualche cosa abbia al presente il potere di produrre in avvenire un’altra cosa, non possiamo concepirlo, se non grazie al ricordo che esso abbia prodotto la stessa cosa già altra volta”. Ricordo che non è dei migliori.

Teodoro Klitsche de la Grange

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LA COSTRUZIONE DEL POLO ASIATICO a cura di Luigi Longo

LA COSTRUZIONE DEL POLO ASIATICO

a cura di Luigi Longo

Ritengo interessante la pubblicazione del documento* della Russia “Il concetto di politica estera della Federazione russa” perché indica la strada e gli strumenti [da intravedere nella logica del documento e da leggere con l’altusseriana lettura sintomale interpretata da Maria Turchetto (Leggere non è semplice, www.aperure-rivista.it, 1999)] per la costruzione del polo asiatico allargato imperniato, per ora, su due grossi centri di grande valenza nella storia mondiale come la Russia e la Cina. La Russia ha decisamente cambiato le relazioni con l’Occidente non fidandosi più degli Stati Uniti né tantomeno della vassalla Europa dopo la continua aggressione statunitense (via Nato-Europa-Ucraina), il sabotaggio del Nord Stream 1 e 2, le sanzioni europee, il furto delle riserve auree russe depositate nelle banche europee, la trappola dei protocolli di Minsk, eccetera. Ha riallacciato, con strategie tendenti alla cooperazione e al coordinamento che la fase multicentrica impone, la relazione con l’Oriente (soprattutto con la Cina, affermata potenza con una crescita straordinaria negli ultimi trenta anni e con l’India potenza in ascesa), con i Paesi dell’Africa, dell’Asia, dell’America latina, del Medio Oriente e del mondo islamico. Inoltre, la Russia è la coprotagonista, insieme alla Cina, nella creazione degli strumenti per raggiungere l’obiettivo del costituendo polo asiatico allargato: l’associazione interstatale dei BRICS, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), l’Unione Economica Eurasiatica (UEE), l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), la RIC (Russia, India, Cina) e di altre associazioni interstatali e organizzazioni internazionali.

Sono pressoché certo che tra dieci anni nel mondo, così affermava nel 2018 il politologo russo Sergej Karaganov, ci saranno due centri economico-geopolitici: la Grande America e la Grande Eurasia. Negli ultimi anni, abbiamo assistito all’emergere di un centro geo economico in Eurasia, sullo sfondo della nuova guerra fredda. Un centro che si sta strutturando attorno a Russia e Cina e che non va visto come una semplice alleanza difensiva, ma piuttosto come un nuovo polo di sviluppo che vuole e può diventare un’alternativa al centro euro atlantico. Per la Russia è inevitabile ritagliarsi il proprio spazio nella grande Eurasia. Al cui centro, certamente, ci sarà la Cina (Orietta Moscatelli, a cura di, Occidente addio. La Russia ha scelto Pechino, conversazione con Sergej Karaganov, in Limes n.11/2018, pag. 277).

Pier Giorgio Ardeni e Francesco Sylos Labini sostengono che << È vero che la guerra in Ucraina ha evidenziato una “rottura” tra l’Occidente e il resto del mondo che va ben oltre il piano strategico-militare, creando una frattura vieppiù apparente anche sul piano economico. L’Africa, l’Asia e anche l’America Latina hanno rapporti economici sempre più stretti con Cina e India ma anche con la Russia. La leadership dei Pca (Paesi capitalisti avanzati, mia precisazione) è ancora assicurata ma potrebbe essere in un futuro non troppo lontano messa in discussione >> (Pier Giorgio Ardeni-Francesco Sylos Labini, Mondo senza pace la responsabilità delle grandi potenze e la necessita di un nuovo equilibrio-economico, www.left.it, 30/3/2023, pp.7-9).

Il documento della Federazione russa è chiaro nel delineare il percorso della costruzione del polo asiatico allargato e nello stesso tempo mantenere aperto il confronto con l’Occidente (al contrario del rapporto “Nato 2030.Uniti per una nuova era degli Usa-Nato aggressivo, arrogante e di chiusura verso l’Oriente) per un mondo multicentrico in equilibrio dinamico a patto che a) gli Stati Uniti saranno pronti ad abbandonare la loro politica di dominio del potere e a rivedere la loro linea anti-russa a favore di un’interazione con la Russia sulla base dei principi di uguaglianza sovrana, di mutuo beneficio e di rispetto degli interessi reciproci; b) ci sia la consapevolezza da parte degli Stati europei che non esiste alternativa alla coesistenza pacifica e alla cooperazione paritaria reciprocamente vantaggiosa con la Russia, l’aumento del livello di indipendenza della loro politica estera e la transizione verso una politica di buon vicinato con la Federazione Russa avranno un effetto positivo sulla sicurezza e sul benessere della regione europea e aiuteranno gli Stati europei a prendere il loro giusto posto nel Grande Partenariato Eurasiatico e in un mondo multipolare.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti è difficile che rinuncino al dominio mondiale assoluto ammantato di democrazia, diritti e menzogne varie considerata la loro storia che dal 4 luglio 1776 (anno della dichiarazione di indipendenza) sono stati in pace solo 18 anni su 246 anni nei quali si sono gradualmente evoluti. Da una neo-nazione in lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna (1775–1783), passando attraverso la monumentale Guerra civile americana (1861–1865) fino a trasformarsi, dopo aver collaborato al trionfo durante la Seconda Guerra Mondiale (1941-1945), nella più grande potenza rimasta al mondo dalla fine del XX secolo ad oggi anche se, per nostra fortuna, in chiaro declino relativo (Redazione, La storia militare degli Stati Uniti sembra un gioco ma non lo è, www.infodata.ilsole24ore.com, 20/2/2020; Giovanni Viansino, Impero romano, impero americano. Ideologie e prassi, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2005). Per questo, per dirla con lo storico Daniele Ganser, gli Usa e la Nato sono un pericolo per la pace del mondo. Essi hanno ignorato molte volte il divieto dell’uso della forza stabilito dalle Nazioni Unite. Negli ultimi settant’anni sono stati in massima parte i paesi della Nato, la maggiore alleanza militare del mondo, guidata dagli Stati Uniti, ad avviare guerre illegali, riuscendo però sempre a farla franca. (Le guerre illegali della Nato, Fazi editore, Roma, 2022, pp. 22-23).

Per quanto concerne l’Europa (ricordo sempre che non è un soggetto politico) è impensabile, in questa fase, che possa avere una politica autonoma se prima non si libererà dalla servitù volontaria statunitense che l’ha portata ad un livello di stupidità (nell’accezione dello storico Carlo Maria Cipolla) impensabile come quella di applicare le sanzioni inefficaci alla Russia contro i suoi stessi interessi economici, politici, sociali e territoriali, per tacere sulla occupazione militare dei suoi territori (sulla robustezza dell’economia russa e sul PIL come indicatore insufficiente per misurare la forza di un Paese con grandi risorse di materie prime come la Russia si rimanda a Pier Giorgio Ardeni e Francesco Sylos Labini, op.cit.).

Al termine di questa introduzione voglio sottolineare la questione della regione artica (trattata nel paragrafo V Binari regionali della politica estera della Federazione Russa del documento e sarà oggetto di attenzione e di approfondimenti successivi) che riguarda la rotta artica, sempre più libera dai ghiacci, che aprirà una nuova e più breve via di comunicazione tra l’Estremo Oriente e l’Europa (Karin Kneissl, La Russia e la rotta artica: le frontiere commerciali si spostano sempre più ad Est, www.comedonchisciotte.org, 16/1/2023). Questo passaggio marittimo a Nord-Est, sviluppato dalla Russia, è destinato a rivoluzionare le relazioni mondiali che libererà la Cina dalle strettoie militari e logistiche statunitensi dell’Oceano Pacifico (i vari Stretti: Luzon, Mindoro, eccetera) oltre a gestire con flessibilità le strozzature presenti nell’Oceano Indiano e nel Mediterraneo (il canale di Suez). Una rotta che sposta gli equilibri geoeconomici ma, soprattutto, quelli geopolitici tra le potenze a favore della Russia e della Cina mettendo seriamente in discussione le strategie militari e territoriali degli Usa sia nel Pacifico sia nell’Atlantico. Sarà uno scenario mondiale molto delicato e pericoloso (più di quello della guerra in Ucraina) e potrebbe significare il passaggio dalla fase multicentrica a quella policentrica, cioè la terza guerra mondiale.

Fonte: Karin Kneissl, 2023. Il Passaggio a Nord-Est aggira le rotte marittime globali degli ultimi due secoli.

Fonte: Limes, 2018

*La traduzione del documento è a cura della redazione così come le parti evidenziate

in grassetto e in corsivo.

 

 

 

IL CONCETTO DI POLITICA ESTERA DELLA FEDERAZIONE RUSSA

(Traduzione non ufficiale)

 

Approvato con Decreto del Presidente della Federazione Russa

  1. 229, 31 marzo 2023.

 

 IL CONCETTO DELLA POLITICA ESTERA DELLA FEDERAZIONE RUSSA

 

  1. Disposizioni generali

 

  1. Il presente Concetto è un documento di pianificazione strategica che fornisce una visione sistemica degli interessi nazionali della Federazione Russa nel settore della politica estera, i principi fondamentali, gli obiettivi strategici, i principali obiettivi e le aree prioritarie della politica estera russa.

 

  1. Il Concetto si basa sulla Costituzione della Federazione Russa, sui principi e sulle norme di diritto internazionale generalmente riconosciuti, sui trattati internazionali della Federazione Russa, sulle leggi federali, su altri statuti e regolamenti della Federazione Russa che disciplinano le attività di politica estera delle autorità federali.

 

  1. Il Concetto specifica alcune disposizioni della Strategia di sicurezza nazionale della Federazione Russa e tiene conto delle disposizioni di base di altri documenti di pianificazione strategica relativi alle relazioni internazionali.

 

  1. Più di mille anni di indipendenza dello Stato, l’eredità culturale dell’epoca precedente, i profondi legami storici con la cultura tradizionale europea e con le altre culture eurasiatiche e la capacità di assicurare la coesistenza armoniosa di diversi popoli, gruppi etnici, religiosi e linguistici su un unico territorio comune, sviluppatasi nel corso di molti secoli, determinano la posizione speciale della Russia come Paese-civiltà unico e come vasta potenza eurasiatica ed euro-pacifica che riunisce il popolo russo e gli altri popoli appartenenti alla comunità culturale e civilizzatrice del mondo russo.

 

  1. Il posto della Russia nel mondo è determinato dalle sue significative risorse in tutti i settori della vita, dal suo status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di partecipante alle principali organizzazioni e associazioni intergovernative, di una delle due maggiori potenze nucleari e di successore (con continuità di personalità giuridica) dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). La Russia, tenendo conto del suo contributo decisivo alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e del suo ruolo attivo nel plasmare il sistema contemporaneo di relazioni internazionali e nell’eliminare il sistema globale del colonialismo, è uno dei centri sovrani dello sviluppo globale che svolge una missione storicamente unica, volta a mantenere l’equilibrio di potere globale e a costruire un sistema internazionale multipolare, nonché a garantire le condizioni per il progressivo sviluppo pacifico dell’umanità sulla base di un’agenda unificante e costruttiva.

 

  1. La Russia persegue una politica estera indipendente e multisettoriale, guidata dai suoi interessi nazionali e dalla consapevolezza della sua speciale responsabilità nel mantenere la pace e la sicurezza a livello globale e regionale. La politica estera russa è pacifica, aperta, prevedibile, coerente e pragmatica e si basa sul rispetto dei principi e delle norme universalmente riconosciute del diritto internazionale e sul desiderio di un’equa cooperazione internazionale per risolvere problemi comuni e promuovere interessi comuni. L’atteggiamento della Russia nei confronti di altri Stati e associazioni interstatali dipende dal carattere costruttivo, neutrale o non ostile delle loro politiche nei confronti della Federazione Russa.

 

  1. Il mondo di oggi: principali tendenze e prospettive di sviluppo

 

  1. L’umanità sta attraversando cambiamenti rivoluzionari. È in corso la formazione di un ordine mondiale multipolare più equo. Il modello squilibrato di sviluppo mondiale, che per secoli ha garantito la crescita economica avanzata delle potenze coloniali attraverso l’appropriazione delle risorse dei territori e degli Stati dipendenti in Asia, Africa e Occidente, sta irrimediabilmente svanendo nel passato. La sovranità e le opportunità competitive delle potenze mondiali non occidentali e dei Paesi leader regionali si stanno rafforzando. La trasformazione strutturale dell’economia mondiale, il suo trasferimento su una nuova base tecnologica (compresa l’introduzione delle tecnologie dell’intelligenza artificiale, delle più recenti tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dell’energia, delle tecnologie biologiche e delle nanotecnologie), la crescita della coscienza nazionale, la diversità culturale e di civiltà e altri fattori oggettivi accelerano il processo di spostamento del potenziale di sviluppo verso nuovi centri di crescita economica e di influenza geopolitica e promuovono la democratizzazione delle relazioni internazionali.

 

  1. I cambiamenti in atto, generalmente favorevoli, non sono tuttavia accolti con favore da alcuni Stati abituati alla logica del dominio globale e del neocolonialismo. Questi Paesi si rifiutano di riconoscere la realtà di un mondo multipolare e di concordare di conseguenza i parametri e i principi dell’ordine mondiale. Si cerca di frenare il corso naturale della storia, di eliminare i concorrenti nella sfera politico-militare ed economica e di reprimere il dissenso. Viene utilizzata un’ampia gamma di strumenti e metodi illegali, tra cui l’introduzione di misure coercitive (sanzioni) in violazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la provocazione di colpi di Stato e conflitti militari, le minacce, i ricatti, la manipolazione della coscienza di alcuni gruppi sociali e di intere nazioni, le azioni offensive e sovversive nello spazio dell’informazione. Una forma diffusa di interferenza negli affari interni degli Stati sovrani è diventata l’imposizione di atteggiamenti ideologici neoliberali distruttivi che vanno contro i valori spirituali e morali tradizionali. Di conseguenza, l’effetto distruttivo si estende a tutte le sfere delle relazioni internazionali.

 

  1. L’ONU e le altre istituzioni multilaterali sono sottoposte a gravi pressioni, il cui scopo, quello di essere piattaforme per l’armonizzazione degli interessi delle principali potenze, viene artificialmente svalutato. Il sistema giuridico internazionale è messo a dura prova: un piccolo gruppo di Stati sta cercando di sostituirlo con il concetto di ordine mondiale basato sulle regole (imposizione di regole, standard e norme che sono state sviluppate senza un’equa partecipazione di tutti gli Stati interessati). Diventa più difficile sviluppare risposte collettive alle sfide e alle minacce transnazionali, come il commercio illegale di armi, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei loro vettori, gli agenti patogeni e le malattie infettive pericolose, l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per scopi illeciti, il terrorismo internazionale, il traffico illecito di stupefacenti, di sostanze psicotrope e dei loro precursori, la criminalità organizzata transnazionale e la corruzione, i disastri naturali e quelli provocati dall’uomo, la migrazione illegale, il degrado ambientale. La cultura del dialogo negli affari internazionali si sta degradando e l’efficacia della diplomazia come strumento di risoluzione pacifica delle controversie sta diminuendo. C’è una grave mancanza di fiducia e di prevedibilità negli affari internazionali.

 

  1. La crisi della globalizzazione economica si sta aggravando. I problemi attuali, anche nel mercato dell’energia e nel settore finanziario, sono causati dal degrado di molti modelli e strumenti di sviluppo precedenti, da soluzioni macroeconomiche irresponsabili (tra cui emissioni incontrollate e accumulo di debiti non garantiti), da misure restrittive unilaterali illegali e dalla concorrenza sleale. L’abuso da parte di alcuni Stati della loro posizione dominante in alcuni ambiti intensifica i processi di frammentazione dell’economia globale e aumenta le disparità di sviluppo degli Stati. Si diffondono nuovi sistemi di pagamento nazionali e transfrontalieri, cresce l’interesse per nuove valute di riserva internazionali e si creano i presupposti per diversificare i meccanismi di cooperazione economica internazionale.

 

  1. Il ruolo del fattore potere nelle relazioni internazionali sta aumentando, le aree di conflitto si stanno espandendo in una serie di regioni strategicamente importanti. La destabilizzazione dell’accumulo e della modernizzazione delle capacità militari offensive e la distruzione del sistema dei trattati sul controllo degli armamenti stanno minando la stabilità strategica. L’uso della forza militare in violazione del diritto internazionale, l’esplorazione dello spazio esterno e dello spazio dell’informazione come nuove sfere d’azione militare, l’offuscamento della linea di demarcazione tra mezzi militari e non militari di confronto interstatale e l’escalation di conflitti armati prolungati in diverse regioni aumentano la minaccia alla sicurezza globale, accrescono il rischio di collisione tra i principali Stati, anche con la partecipazione di potenze nucleari, e la probabilità che tali conflitti si intensifichino e si trasformino in una guerra locale, regionale o globale.

 

  1. Una risposta logica alla crisi dell’ordine mondiale è il rafforzamento della cooperazione tra gli Stati che sono soggetti a pressioni esterne. Si sta intensificando la formazione di meccanismi regionali e transregionali di integrazione economica e di interazione in vari ambiti e la creazione di partenariati multiformi per risolvere problemi comuni. Si stanno adottando anche altre misure (anche unilaterali) per proteggere gli interessi nazionali vitali. L’alto livello di interdipendenza, la portata globale e la natura transnazionale delle sfide e delle minacce limitano la capacità dei singoli Stati, delle alleanze politico-militari e di quelle commerciali ed economiche di garantire sicurezza, stabilità e prosperità. Soluzioni efficaci ai numerosi problemi del nostro tempo e uno sviluppo progressivo e pacifico delle nazioni grandi e piccole e dell’umanità nel suo complesso possono essere raggiunti solo combinando il potenziale degli sforzi in buona fede dell’intera comunità internazionale sulla base dell’equilibrio di potere e interessi.

 

  1. Considerando il rafforzamento della Russia come uno dei principali centri di sviluppo del mondo moderno e la sua politica estera indipendente come una minaccia all’egemonia occidentale, gli Stati Uniti d’America (USA) e i loro satelliti hanno usato le misure adottate dalla Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina per proteggere i propri interessi vitali come pretesto per aggravare la politica anti-russa di lunga data e hanno scatenato un nuovo tipo di guerra ibrida. L’obiettivo è quello di indebolire la Russia in ogni modo possibile, compreso quello di minare il suo ruolo costruttivo di civiltà, il suo potere, le sue capacità economiche e tecnologiche, di limitare la sua sovranità in politica estera e interna, di violare la sua integrità territoriale. Questa politica occidentale è diventata globale ed è ora sancita a livello dottrinale. Non è stata una scelta della Federazione Russa. La Russia non si considera un nemico dell’Occidente, non si sta isolando dall’Occidente e non ha intenzioni ostili nei suoi confronti; la Russia spera che in futuro gli Stati appartenenti alla comunità occidentale si rendano conto che la loro politica di confronto e le loro ambizioni egemoniche sono prive di prospettive, prendano in considerazione le complesse realtà di un mondo multipolare e riprendano una cooperazione pragmatica con la Russia guidata dai principi di uguaglianza sovrana e di rispetto degli interessi reciproci. La Federazione Russa è pronta al dialogo e alla cooperazione su tali basi.

 

  1. In risposta alle azioni ostili dell’Occidente, la Russia intende difendere il proprio diritto all’esistenza e alla libertà di sviluppo con tutti i mezzi disponibili. La Federazione Russa concentrerà la sua energia creativa sui vettori geografici della sua politica estera che hanno evidenti prospettive in termini di espansione della cooperazione internazionale reciprocamente vantaggiosa. La maggioranza dell’umanità è interessata ad avere relazioni costruttive con la Russia e a rafforzare le posizioni della Russia sulla scena internazionale come potenza globale influente che contribuisce in modo decisivo al mantenimento della sicurezza globale e allo sviluppo pacifico degli Stati. Ciò apre un’ampia gamma di opportunità per il successo dell’attività della Federazione Russa sulla scena internazionale.

 

III. Interessi nazionali della Federazione Russa nel settore della politica estera, obiettivi strategici e compiti chiave della politica estera della Federazione Russa

 

  1. Alla luce delle tendenze a lungo termine dello sviluppo mondiale, gli interessi nazionali della Federazione Russa nel campo della politica estera sono i seguenti:

 

1) proteggere il sistema costituzionale, la sovranità, l’indipendenza, lo Stato e l’integrità territoriale della Federazione Russa da qualsiasi influenza esterna distruttiva;

 

2) mantenere la stabilità strategica, rafforzare la pace e la sicurezza internazionale;

 

3) rafforzare le basi giuridiche delle relazioni internazionali;

 

4) proteggere i diritti, le libertà e gli interessi legittimi dei cittadini russi e proteggere le entità russe dall’invasione illegale straniera;

 

5) sviluppare uno spazio informativo sicuro, proteggere la società russa da influenze informative e psicologiche distruttive;

 

6) preservare la nazione russa, costruire il capitale umano e migliorare la qualità della vita e il benessere dei cittadini;

 

7) promuovere lo sviluppo sostenibile dell’economia russa su una nuova base tecnologica;

 

8) promuovere i valori morali e spirituali tradizionali russi, preservare il patrimonio culturale e storico del popolo multietnico della Federazione Russa;

 

9) garantire la protezione dell’ambiente, la conservazione delle risorse naturali e la gestione ambientale, nonché l’adattamento ai cambiamenti climatici.

 

  1. Sulla base dei propri interessi nazionali e delle priorità strategiche nazionali, la Federazione Russa concentra le proprie attività di politica estera sul raggiungimento dei seguenti obiettivi:

 

1) garantire la sicurezza della Federazione Russa, la sua sovranità in tutti i settori e l’integrità territoriale;

 

2) creare un ambiente esterno favorevole allo sviluppo sostenibile della Russia;

 

3) consolidare la posizione della Russia come uno dei centri responsabili, potenti e indipendenti del mondo moderno.

 

  1. Gli obiettivi strategici di politica estera della Federazione Russa sono raggiunti attraverso l’esecuzione dei seguenti compiti principali:

 

1) creare un ordine mondiale equo e sostenibile;

 

2) mantenere la pace e la sicurezza internazionale, la stabilità strategica, assicurare la coesistenza pacifica e il progressivo sviluppo degli Stati e dei popoli;

 

3) contribuire allo sviluppo di risposte efficaci e globali da parte della comunità internazionale alle sfide e alle minacce comuni, compresi i conflitti e le crisi regionali;

 

4) promuovere una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e paritaria con tutti gli Stati esteri e le loro associazioni che adottano una posizione costruttiva, e integrare gli interessi russi attraverso i meccanismi della diplomazia multilaterale;

 

5) contrastare le attività anti-russe condotte dagli Stati stranieri e dalle loro associazioni e creare condizioni favorevoli alla cessazione di tali attività;

 

6) stabilire relazioni di buon vicinato con gli Stati contigui e contribuire alla prevenzione e all’eliminazione di tensioni e conflitti nei loro territori;

 

7) fornire assistenza agli alleati e ai partner russi per promuovere gli interessi comuni, garantire la loro sicurezza e lo sviluppo sostenibile, indipendentemente dal fatto che gli alleati e i partner ricevano o meno il riconoscimento internazionale o l’adesione a organizzazioni internazionali;

 

8) sbloccare e rafforzare la capacità delle associazioni regionali multilaterali e delle strutture di integrazione con la partecipazione della Russia;

 

9) consolidare la posizione della Russia nell’economia mondiale, raggiungere gli obiettivi di sviluppo nazionale della Federazione Russa, garantire la sicurezza economica e realizzare il suo potenziale economico;

 

10) garantire gli interessi della Russia negli oceani, nello spazio e nello spazio aereo del mondo;

 

11) garantire che la Russia sia percepita all’estero in modo obiettivo, consolidare la sua posizione nello spazio informativo internazionale;

 

12) rafforzare il ruolo della Russia nello spazio umanitario globale, consolidare la posizione della lingua russa nel mondo e contribuire alla conservazione all’estero della verità storica e della memoria del ruolo della Russia nella storia mondiale;

 

13) proteggere all’estero, in modo completo ed efficace, i diritti, le libertà e gli interessi legittimi dei cittadini e delle entità russe;

 

14) sviluppare i legami con i connazionali che vivono all’estero e fornire loro pieno sostegno nell’esercizio dei loro diritti, garantire la tutela dei loro interessi e preservare l’identità culturale tutta russa.

 

  1. Priorità di politica estera della Federazione Russa

Creazione di un ordine mondiale equo e sostenibile

 

  1. La Russia punta a un sistema di relazioni internazionali che garantisca una sicurezza affidabile, la conservazione della sua identità culturale e di civiltà e pari opportunità di sviluppo per tutti gli Stati, indipendentemente dalla loro posizione geografica, dalle dimensioni del territorio, dalla capacità demografica, di risorse e militare e dalla struttura politica, economica e sociale. Per soddisfare questi criteri, il sistema di relazioni internazionali dovrebbe essere multipolare e basato sui seguenti principi:

 

1) uguaglianza sovrana degli Stati, rispetto del loro diritto di scegliere modelli di sviluppo e ordine sociale, politico ed economico;

 

2) rifiuto dell’egemonia negli affari internazionali;

 

3) cooperazione basata su un equilibrio di interessi e vantaggi reciproci;

 

4) non interferenza negli affari interni;

 

5) regola del diritto internazionale nel disciplinare le relazioni internazionali, con l’abbandono da parte di tutti gli Stati della politica dei due pesi e delle due misure;

 

6) indivisibilità della sicurezza negli aspetti globali e regionali;

 

7) diversità di culture, civiltà e modelli di organizzazione sociale, non imposizione agli altri Paesi da parte di tutti gli Stati dei loro modelli di sviluppo, ideologia e valori, e affidamento su una linea guida spirituale e morale comune a tutte le religioni tradizionali mondiali e ai sistemi etici secolari;

 

8) una leadership responsabile da parte delle nazioni leader, volta a garantire condizioni di sviluppo stabili e favorevoli, sia per loro stesse che per tutti gli altri Paesi e popoli;

 

9) il ruolo primario degli Stati sovrani nel processo decisionale relativo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

 

  1. Al fine di contribuire ad adattare l’ordine mondiale alle realtà di un mondo multipolare, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) eliminare le vestigia del dominio degli Stati Uniti e di altri Stati ostili negli affari globali, creare le condizioni per consentire a qualsiasi Stato di rinunciare alle ambizioni neocoloniali o egemoniche;

 

2) migliorare i meccanismi internazionali per garantire la sicurezza e lo sviluppo a livello globale e regionale;

 

3) ripristinare il ruolo dell’ONU come meccanismo centrale di coordinamento per conciliare gli interessi degli Stati membri dell’ONU e le loro azioni nel perseguimento degli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite;

 

4) rafforzare la capacità e il ruolo internazionale dell’associazione interstatale dei BRICS, dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE), dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), della RIC (Russia, India, Cina) e di altre associazioni interstatali e organizzazioni internazionali, nonché dei meccanismi a forte partecipazione russa;

 

5) sostenere l’integrazione regionale e sub regionale all’interno di istituzioni multilaterali amichevoli, piattaforme di dialogo e associazioni regionali in Asia-Pacifico, America Latina, Africa e Medio Oriente;

 

6) migliorare la sostenibilità e il progressivo sviluppo del sistema giuridico internazionale;

 

7) garantire a tutti gli Stati un accesso equo ai benefici dell’economia globale e della divisione del lavoro a livello internazionale, nonché alle moderne tecnologie nell’interesse di uno sviluppo equo ed equilibrato (anche per quanto riguarda la sicurezza energetica e alimentare globale);

 

8) intensificare la cooperazione in tutti i settori con gli alleati e i partner della Russia e reprimere i tentativi di Stati ostili di ostacolare tale cooperazione;

 

9) consolidare gli sforzi internazionali per garantire il rispetto e la protezione dei valori spirituali e morali universali e tradizionali (comprese le norme etiche comuni a tutte le religioni mondiali) e contrastare i tentativi di imporre visioni pseudo-umanistiche o altre visioni ideologiche neoliberali, che portano alla perdita da parte dell’umanità dei valori spirituali e morali tradizionali e dell’integrità;

 

10) promuovere il dialogo costruttivo, i partenariati e la fertilizzazione incrociata di varie culture, religioni e civiltà.

 

Stato di diritto nelle relazioni internazionali

 

  1. Garantire lo Stato di diritto nelle relazioni internazionali è uno dei fondamenti di un ordine mondiale giusto e sostenibile, del mantenimento della stabilità globale, della cooperazione pacifica e fruttuosa tra gli Stati e le loro associazioni, nonché un fattore di attenuazione delle tensioni internazionali e di aumento della prevedibilità dello sviluppo mondiale.

 

  1. La Russia sostiene costantemente il rafforzamento dei fondamenti giuridici delle relazioni internazionali e rispetta fedelmente i suoi obblighi giuridici internazionali. Allo stesso tempo, le decisioni degli organismi interstatali adottate sulla base delle disposizioni dei trattati internazionali della Federazione Russa che contrastano con la Costituzione non possono essere eseguite nella Federazione Russa.

 

  1. Il meccanismo di formazione delle norme giuridiche internazionali universali dovrebbe basarsi sulla libera volontà degli Stati sovrani e le Nazioni Unite dovrebbero rimanere la sede principale per il progressivo sviluppo e la codificazione del diritto internazionale. L’ulteriore promozione del concetto di un ordine mondiale basato su regole è a rischio di distruzione del sistema giuridico internazionale e di altre pericolose conseguenze per l’umanità.

 

  1. Nell’interesse di aumentare la sostenibilità del sistema giuridico internazionale, di prevenire la sua frammentazione o il suo decadimento e di evitare l’uso indiscriminato delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, la Federazione Russa intende rendere prioritario il compito di:

 

1) contrastare i tentativi di sostituire, rivedere o interpretare in modo arbitrario i principi del diritto internazionale sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione sui principi del diritto internazionale relativi alle relazioni amichevoli e alla cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite del 24 ottobre 1970;

 

2) sviluppare progressivamente, anche in considerazione della realtà di un mondo multipolare, e codificare il diritto internazionale, principalmente nell’ambito degli sforzi compiuti sotto l’egida delle Nazioni Unite, nonché garantire la partecipazione del maggior numero possibile di Stati ai trattati internazionali delle Nazioni Unite e la loro interpretazione e applicazione universale;

 

3) consolidare gli sforzi compiuti dagli Stati che sostengono il ripristino del rispetto universale del diritto internazionale e il rafforzamento del suo ruolo come base delle relazioni internazionali;

 

4) escludere dalle relazioni internazionali la pratica di adottare misure coercitive unilaterali illegali in violazione della Carta delle Nazioni Unite;

 

5) migliorare il meccanismo di applicazione delle sanzioni internazionali, sulla base della competenza esclusiva del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’imporre tali misure e della necessità di garantirne l’efficacia nel mantenere la pace e la sicurezza internazionale e nel prevenire il deterioramento della situazione umanitaria;

 

6) accelerare il processo di formulazione internazionale e legale del confine di Stato della Federazione Russa e dei suoi confini marittimi, all’interno dei quali esercita i suoi diritti sovrani e la sua giurisdizione, sulla base della necessità di fornire un sostegno incondizionato ai suoi interessi nazionali e dell’importanza di rafforzare le relazioni di buon vicinato, la fiducia e la cooperazione con gli Stati contigui.

 

Rafforzare la pace e la sicurezza internazionale

 

  1. La Federazione Russa parte dall’indivisibilità della sicurezza internazionale (negli aspetti globali e regionali) e cerca di garantirla in egual misura a tutti gli Stati sulla base del principio di reciprocità. Su questa base, la Russia è aperta ad azioni congiunte con tutti gli Stati e le associazioni interstatali interessate per dare forma a un’architettura di sicurezza internazionale rinnovata e più stabile. Al fine di mantenere e rafforzare la pace e la sicurezza internazionale, la Federazione Russa intende prestare attenzione prioritaria a:

 

1) utilizzare mezzi pacifici, in primo luogo la diplomazia, i negoziati, le consultazioni, la mediazione e i buoni uffici, per risolvere le controversie e i conflitti internazionali, risolvendoli sulla base del rispetto reciproco, dei compromessi e dell’equilibrio degli interessi legittimi;

 

2) stabilire un’ampia cooperazione per neutralizzare i tentativi di qualsiasi Stato e associazione interstatale di cercare un dominio globale nella sfera militare, di proiettare il proprio potere al di là della propria area di responsabilità, di assumere la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, di tracciare linee di demarcazione e di garantire la sicurezza di alcuni Stati a scapito degli interessi legittimi di altri Paesi. Tali tentativi sono incompatibili con lo spirito, gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e rappresentano una minaccia di conflitti regionali e di una guerra mondiale per le generazioni presenti e future;

 

3) intensificare gli sforzi politici e diplomatici volti a prevenire l’uso della forza militare in violazione della Carta delle Nazioni Unite, in primo luogo i tentativi di aggirare le prerogative del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e di violare le condizioni di utilizzo del diritto inalienabile all’autodifesa garantito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite;

 

4) adottare misure politiche e diplomatiche per contrastare le interferenze con gli affari interni degli Stati sovrani, principalmente finalizzate a complicare la situazione politica interna, a un cambio di regime incostituzionale o alla violazione dell’integrità territoriale degli Stati;

 

5) garantire la stabilità strategica, eliminando i prerequisiti per lo scatenamento di una guerra globale, i rischi di utilizzo di armi nucleari e di altri tipi di armi di distruzione di massa, dando forma a una rinnovata architettura di sicurezza internazionale, prevenendo e risolvendo i conflitti armati internazionali e interni, affrontando le sfide e le minacce transnazionali in alcune aree della sicurezza internazionale.

 

  1. La Federazione Russa parte dal presupposto che le sue Forze Armate possano essere utilizzate in conformità con i principi e le norme generalmente riconosciute del diritto internazionale, dei trattati internazionali della Federazione Russa e della legislazione della Federazione Russa. La Russia considera l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite come una base giuridica adeguata e da non rivedere per l’uso della forza per autodifesa. L’uso delle Forze Armate della Federazione Russa può affrontare, in particolare, i compiti di respingere e prevenire un attacco armato contro la Russia e (o) i suoi alleati, risolvere le crisi, mantenere (ripristinare) la pace come commissionato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o da altre strutture di sicurezza collettiva con la partecipazione della Russia nella loro area di responsabilità, proteggere i propri cittadini all’estero, combattere il terrorismo internazionale e la pirateria.

 

  1. In caso di atti ostili da parte di Stati stranieri o loro associazioni che minacciano la sovranità e l’integrità territoriale della Federazione Russa, compresi quelli che comportano misure restrittive (sanzioni) di natura politica o economica o l’uso delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la Federazione Russa ritiene lecito adottare le misure simmetriche e asimmetriche necessarie per reprimere tali atti ostili e anche per evitare che si ripetano in futuro.

 

  1. Al fine di garantire la stabilità strategica, eliminare i presupposti per lo scatenamento di una guerra globale e i rischi di utilizzo di armi nucleari e di altri tipi di armi di distruzione di massa, e dare forma a una rinnovata architettura di sicurezza internazionale, la Federazione Russa intende prestare attenzione prioritaria a:

 

1) alla deterrenza strategica, impedendo l’aggravarsi delle relazioni interstatali a un livello tale da provocare conflitti militari, anche con l’uso di armi nucleari e di altri tipi di armi di distruzione di massa;

 

2) rafforzare e sviluppare il sistema di trattati internazionali nei settori della stabilità strategica, del controllo degli armamenti, della prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa, dei loro vettori e dei relativi beni e tecnologie (anche in considerazione del rischio che i componenti di tali armi finiscano nelle mani di attori non statali);

 

3) rafforzare e sviluppare le basi politiche internazionali (accordi) per il mantenimento della stabilità strategica, i regimi di controllo degli armamenti e la non proliferazione di tutti i tipi di armi di distruzione di massa e dei loro vettori, con una considerazione obbligatoriamente completa e coerente di tutti i tipi di armi e dei fattori che influenzano la stabilità strategica;

 

4) prevenire la corsa agli armamenti e impedirne il trasferimento a nuovi contesti, creando le condizioni per un’ulteriore riduzione graduale del potenziale nucleare, tenendo conto di tutti i fattori che incidono sulla stabilità strategica;

 

5) aumentare la prevedibilità delle relazioni internazionali, attuando e, se necessario, migliorando le misure di rafforzamento della fiducia in ambito militare e internazionale e prevenendo gli incidenti armati non intenzionali;

 

6) l’attuazione di garanzie di sicurezza nei confronti degli Stati firmatari di trattati regionali sulle zone libere da armi nucleari;

 

7) controllo degli armamenti convenzionali, lotta al traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro;

 

8) rafforzare la sicurezza nucleare a livello globale e prevenire gli atti di terrorismo nucleare;

 

9) sviluppare la cooperazione nel campo degli usi pacifici dell’energia atomica per soddisfare le esigenze di tutti gli Stati interessati in materia di combustibile e di energia, tenendo conto del diritto di ciascuno Stato di determinare in modo indipendente la propria politica nazionale in questo settore;

 

10) rafforzare il ruolo dei meccanismi multilaterali di controllo delle esportazioni nei settori della garanzia della sicurezza internazionale e della non proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei loro vettori, opponendosi alla trasformazione di questi meccanismi in uno strumento di restrizioni unilaterali che impediscono l’attuazione della legittima cooperazione internazionale.

 

  1. Al fine di rafforzare la sicurezza regionale, prevenire le guerre locali e regionali e risolvere i conflitti armati interni (principalmente sul territorio degli Stati confinanti), la Federazione Russa intende prestare attenzione prioritaria a:

 

1) adottare misure politiche e diplomatiche per prevenire le minacce emergenti o ridurre il livello delle minacce alla sicurezza della Russia provenienti dai territori e dagli Stati confinanti;

 

2) sostenere gli alleati e i partner nel garantire la difesa e la sicurezza, reprimendo i tentativi di interferenza esterna nei loro affari interni;

 

3) sviluppare la cooperazione militare, politico-militare e tecnico-militare con gli alleati e i partner;

 

4) assistenza nella creazione e nel miglioramento dei meccanismi per garantire la sicurezza regionale e risolvere le crisi nelle regioni importanti per gli interessi della Russia;

 

5) il rafforzamento del ruolo della Russia nelle attività di mantenimento della pace (anche nell’ambito della cooperazione con l’ONU, le organizzazioni internazionali regionali e le parti in conflitto), il rafforzamento del mantenimento della pace e del potenziale anti-crisi dell’ONU e della CSTO.

 

  1. Al fine di prevenire l’insorgere di minacce biologiche e garantire la sicurezza biologica, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) indagare sui casi di presunto sviluppo, dispiegamento e uso di armi biologiche e tossiniche, principalmente nei territori degli Stati confinanti;

 

2) prevenire atti terroristici e (o) sabotaggi commessi con l’uso di agenti patogeni pericolosi e mitigare le conseguenze di tali atti e (o) sabotaggi;

 

3) rafforzare la cooperazione con gli alleati e i partner nel campo della sicurezza biologica, principalmente con gli Stati membri della CSTO e della CSI.

 

  1. Al fine di garantire la sicurezza informatica internazionale, contrastare le minacce contro di essa e rafforzare la sovranità russa nel cyberspazio globale, la Federazione Russa intende prestare attenzione prioritaria a:

 

1) rafforzare e migliorare il regime giuridico internazionale per prevenire e risolvere i conflitti interstatali e regolare le attività nel cyberspazio globale;

 

2) definire e migliorare un quadro giuridico internazionale per contrastare gli usi criminali delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione;

 

3) garantire il funzionamento e lo sviluppo sicuri e stabili di Internet, basati sull’equa partecipazione degli Stati alla gestione di questa rete e sulla preclusione del controllo straniero sui suoi segmenti nazionali;

 

4) adottare misure politiche, diplomatiche e di altro tipo volte a contrastare la politica degli Stati ostili di armare il cyberspazio globale, di utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per interferire con gli affari interni degli Stati a fini militari, nonché di limitare l’accesso di altri Stati alle tecnologie avanzate dell’informazione e della comunicazione e di aumentare la loro dipendenza tecnologica.

 

  1. Al fine di sradicare il terrorismo internazionale e proteggere lo Stato e i cittadini russi dagli atti terroristici, la Federazione Russa intende prestare attenzione prioritaria a:

 

1) aumentare l’efficienza e il coordinamento della cooperazione multilaterale in materia di antiterrorismo, anche nell’ambito delle Nazioni Unite;

 

2) rafforzare il ruolo decisivo degli Stati e delle loro autorità competenti nella lotta contro il terrorismo e l’estremismo;

 

3) adottare misure politiche, diplomatiche e di altro tipo volte a contrastare l’uso da parte degli Stati delle organizzazioni terroristiche ed estremiste (comprese quelle neonaziste) come strumento di politica estera e interna;

 

4) combattere la diffusione dell’ideologia terroristica ed estremista (compresi il neonazismo e il nazionalismo radicale), in particolare su Internet;

 

5) identificare individui e organizzazioni coinvolti in attività terroristiche e sopprimere i canali di finanziamento del terrorismo;

 

6) identificare ed eliminare le lacune normative internazionali relative alla cooperazione nel campo dell’antiterrorismo, in particolare tenendo conto dei rischi di attacchi terroristici con l’uso di agenti chimici e biologici;

 

7) rafforzare la cooperazione multiforme con gli alleati e i partner nel campo dell’antiterrorismo, fornendo loro assistenza pratica nelle operazioni antiterrorismo, anche per la protezione dei cristiani in Medio Oriente.

 

  1. Al fine di combattere il traffico illecito e il consumo di stupefacenti e sostanze psicotrope che rappresentano una grave minaccia per la sicurezza internazionale e nazionale, per la salute dei cittadini e per i fondamenti morali e spirituali della società russa, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) rafforzare la cooperazione internazionale al fine di evitare l’indebolimento o la revisione dell’attuale regime globale di controllo delle droghe (compresa la loro legalizzazione per scopi non medici) e contrastare altre iniziative che potrebbero comportare un aumento del traffico e del consumo di droghe illecite;

 

2) fornire assistenza pratica agli alleati e ai partner nello svolgimento delle attività antidroga.

 

  1. Al fine di combattere la criminalità organizzata transnazionale e la corruzione che causano una crescente minaccia alla sicurezza e allo sviluppo sostenibile della Russia, dei suoi alleati e dei suoi partner, la Federazione Russa intende dare priorità al potenziamento della cooperazione internazionale con l’obiettivo di eliminare i paradisi sicuri per i criminali e di rafforzare i meccanismi multilaterali che sono in accordo con gli interessi nazionali della Russia.

 

  1. Al fine di ridurre, nel territorio della Federazione Russa, i rischi derivanti dai disastri naturali e antropici che si verificano al di fuori di esso e di migliorare la resistenza dei Paesi stranieri contro di essi, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) rafforzare il quadro organizzativo e giuridico e migliorare i meccanismi di interazione bilaterale e multilaterale nel settore della protezione della popolazione dalle emergenze naturali e antropiche, costruire la capacità di allerta precoce e di previsione di tali emergenze e superarne le conseguenze;

 

2) fornire assistenza pratica agli Stati esteri nel settore della protezione dalle emergenze naturali e antropiche, compreso l’uso delle tecnologie e dell’esperienza russa uniche nella risposta alle emergenze.

 

  1. Al fine di combattere la migrazione illegale e migliorare la regolamentazione delle migrazioni internazionali, la Federazione Russa intende dare priorità al rafforzamento dell’interazione in questo settore con gli Stati membri della CSI che perseguono una politica costruttiva nei confronti della Federazione Russa.

 

Garantire gli interessi della Federazione Russa nell’Oceano mondiale, nello spazio esterno e nello spazio aereo

 

  1. Ai fini dello studio, dell’esplorazione e dell’utilizzo dell’Oceano mondiale con l’obiettivo di garantire la sicurezza e lo sviluppo della Russia, contrastando le misure restrittive unilaterali da parte degli Stati ostili e delle loro associazioni nei confronti delle attività marine russe, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) garantire un accesso libero, sicuro e completo della Russia agli ambienti vitali, essenziali e di altro tipo, alle comunicazioni di trasporto e alle risorse dell’Oceano mondiale;

 

2) l’esplorazione responsabile ed efficiente delle risorse biologiche, minerarie, energetiche e di altro tipo dell’Oceano mondiale, lo sviluppo di sistemi di condotte marine, la conduzione di ricerche scientifiche, la protezione e la conservazione dell’ambiente marino;

 

3) consolidare i confini esterni della piattaforma continentale della Federazione Russa in conformità con il diritto internazionale e proteggere i suoi diritti sovrani sulla piattaforma continentale.

 

  1. Ai fini dello studio e degli usi pacifici dello spazio esterno, del consolidamento delle sue posizioni di leadership sui mercati dei beni, delle opere e dei servizi spaziali, del rafforzamento del suo status di una delle principali potenze spaziali, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) promuovere la cooperazione internazionale al fine di prevenire una corsa agli armamenti nello spazio extra-atmosferico, in primo luogo sviluppando e concludendo un trattato internazionale in materia e, come passo intermedio, impegnando tutti gli Stati contraenti a non essere i primi a collocare armi nello spazio extra-atmosferico;

 

2) la diversificazione geografica della cooperazione internazionale nella sfera dello spazio extra-atmosferico.

 

  1. Ai fini dell’utilizzo dello spazio aereo internazionale nell’interesse della sicurezza e dello sviluppo della Russia, contrastando le misure restrittive unilaterali da parte dei Paesi ostili e delle loro associazioni nei confronti degli aerei russi, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) garantire un accesso sicuro della Russia allo spazio aereo internazionale (aperto) tenendo conto del principio della libertà di volo;

 

2) la diversificazione geografica delle rotte di volo internazionali per gli aerei russi e lo sviluppo della cooperazione nella sfera del trasporto aereo, della protezione e dell’uso dello spazio aereo con gli Stati che perseguono una politica costruttiva nei confronti della Russia.

 

Cooperazione economica internazionale e sostegno dello sviluppo internazionale

 

  1. Al fine di garantire la sicurezza economica, la sovranità economica, la crescita economica sostenibile, il rinnovamento strutturale e tecnologico, il miglioramento della competitività internazionale dell’economia nazionale, la conservazione delle posizioni di leadership della Russia nell’economia mondiale, la riduzione dei rischi e la cattura delle opportunità derivanti dai profondi cambiamenti nell’economia mondiale e nelle relazioni internazionali, nonché sulla base di azioni ostili da parte di Stati stranieri e delle loro associazioni, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) adeguare il commercio mondiale e i sistemi monetari e finanziari tenendo conto delle realtà del mondo multipolare e delle conseguenze della crisi della globalizzazione economica, in primo luogo al fine di ridurre le possibilità per gli Stati ostili di utilizzare eccessivamente la loro posizione monopolistica o dominante in alcune sfere dell’economia mondiale, e di rafforzare la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo nella gestione economica globale;

 

2) ridurre la dipendenza dell’economia russa dalle azioni ostili degli Stati stranieri, in primo luogo sviluppando un’infrastruttura di pagamento internazionale depoliticizzata, sicura e indipendente dagli Stati ostili e ampliando l’uso delle valute nazionali nei pagamenti con gli alleati e i partner;

 

3) migliorare la presenza russa sui mercati mondiali, aumentando le esportazioni non energetiche e non basate sulle risorse; diversificare geograficamente i legami economici per reindirizzarli verso gli Stati che perseguono una politica costruttiva e neutrale nei confronti della Federazione Russa, pur rimanendo aperti alla cooperazione pragmatica con gli ambienti economici degli Stati ostili;

 

4) migliorare le condizioni di accesso della Russia ai mercati mondiali; proteggere le organizzazioni, gli investimenti, i beni e i servizi russi al di fuori del Paese dalla discriminazione, dalla concorrenza sleale e dai tentativi degli Stati stranieri di regolare unilateralmente i mercati mondiali che sono fondamentali per le esportazioni russe;

 

5) proteggere l’economia russa e i legami commerciali ed economici internazionali dalle azioni ostili degli Stati stranieri, applicando misure economiche speciali in risposta a tali azioni;

 

6) facilitare l’attrazione in Russia di investimenti stranieri, conoscenze e tecnologie avanzate e specialisti di alta qualità;

 

7) promuovere i processi di integrazione economica regionale e interregionale che servono gli interessi della Russia, in primo luogo, all’interno dello Stato dell’Unione, dell’EAEU, della CSI, della SCO, dei BRICS, nonché nell’ottica di dare forma al Grande Partenariato Eurasiatico;

 

8) sfruttare la posizione geografica unica e la capacità di transito della Russia per far progredire l’economia nazionale e rafforzare la connettività dei trasporti e delle infrastrutture in Eurasia.

 

  1. Al fine di aumentare la solidità del sistema di relazioni internazionali contro le crisi, migliorare la situazione sociale ed economica e umanitaria nel mondo, alleviare le conseguenze dei conflitti militari, attuare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, promuovere un atteggiamento positivo verso la Russia nel mondo, la Federazione Russa intende promuovere lo sviluppo internazionale dando priorità allo sviluppo sociale ed economico della Repubblica di Abkhazia, della Repubblica dell’Ossezia del Sud, degli Stati membri dell’EAEU, degli Stati membri della CSI che sostengono le relazioni di buon vicinato con la Russia e degli Stati in via di sviluppo che perseguono una politica costruttiva nei confronti della Federazione Russa.

 

Protezione dell’ambiente e salute globale

 

  1. Al fine di preservare l’ambiente favorevole, migliorarne la qualità e adattare intelligentemente la Russia ai cambiamenti climatici nell’interesse delle generazioni moderne e future, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) promuovere gli sforzi internazionali, scientificamente fondati e non politicizzati, per limitare gli impatti negativi sull’ambiente (compresa la riduzione delle emissioni di gas serra), mantenendo e potenziando le capacità di assorbimento degli ecosistemi;

 

2) espandere la cooperazione con gli alleati e i partner al fine di contrastare la politicizzazione dell’attività internazionale orientata alla natura e al clima, in primo luogo la sua attuazione con l’obiettivo di una concorrenza sleale, l’interferenza negli affari interni degli Stati e la limitazione della sovranità degli Stati in relazione alle loro risorse naturali;

 

3) mantenere il diritto di ogni Stato di scegliere per sé i meccanismi e i metodi più adatti per la protezione dell’ambiente e l’adattamento al cambiamento climatico;

 

4) facilitare l’elaborazione di norme uniformi, comprensibili e globali di regolamentazione ambientale del clima, tenendo conto dell’Accordo sul clima di Parigi del 12 dicembre 2015, adottato nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 9 maggio 1992;

 

5) aumentare l’efficienza della cooperazione internazionale nel settore dello sviluppo e dell’introduzione di tecnologie all’avanguardia che permettano la conservazione di un ambiente favorevole e la sua migliore qualità, nonché l’adattamento degli Stati ai cambiamenti climatici;

 

6) prevenire il danneggiamento transfrontaliero dell’ambiente della Federazione Russa, in primo luogo la trasmissione al suo territorio, attraverso il confine, di agenti contaminanti (comprese le sostanze radioattive), di quarantena, di parassiti delle colture altamente pericolosi e nocivi, di agenti anticrittogamici, di piante e micro agenti indesiderati.

 

  1. Al fine di proteggere la salute e garantire il benessere sociale della popolazione della Russia e di altri Stati, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) aumentare l’efficienza della cooperazione internazionale nel settore della sanità e prevenire la sua politicizzazione, anche all’interno delle organizzazioni internazionali;

 

2) consolidare gli sforzi internazionali per prevenire l’estensione di pericolose malattie infettive, rispondere in modo tempestivo ed efficiente alle emergenze sanitarie ed epidemiologiche, combattere le malattie croniche non contagiose, superare le conseguenze sociali ed economiche di pandemie ed epidemie;

 

3) aumentare l’efficienza della ricerca scientifica internazionale in campo sanitario, finalizzata principalmente allo sviluppo e all’introduzione di nuovi mezzi di prevenzione, diagnostica e trattamento delle malattie.

 

Cooperazione umanitaria internazionale

 

  1. Allo scopo di rafforzare il ruolo della Russia nello spazio umanitario mondiale, di formare un atteggiamento positivo al riguardo all’estero, di migliorare le posizioni della lingua russa nel mondo, di contrastare la campagna di russofobia condotta dagli Stati stranieri ostili e dalle loro associazioni, nonché di migliorare la comprensione e la fiducia reciproca tra gli Stati, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) sensibilizzare e proteggere dalla discriminazione all’esterno del Paese gli sviluppi nazionali nella sfera della cultura, delle scienze e delle arti, nonché rafforzare l’immagine della Russia come Stato attraente per la vita, il lavoro, l’istruzione e il turismo;

 

2) promuovere la lingua russa e rafforzare il suo status di lingua di comunicazione internazionale, una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite e di molte altre organizzazioni internazionali; promuoverne l’apprendimento e l’uso all’estero (principalmente negli Stati membri della CSI); preservare e rafforzare il ruolo della lingua russa nella comunicazione interetnica e interstatale, anche all’interno delle organizzazioni internazionali; proteggere la lingua russa dalla discriminazione all’estero;

 

3) sviluppare meccanismi di diplomazia pubblica con la partecipazione di rappresentanti e istituzioni della società civile con un atteggiamento costruttivo nei confronti della Russia, nonché di scienziati politici, rappresentanti della comunità scientifica ed esperta, giovani, volontari, movimenti di ricerca e altri movimenti sociali;

 

4) promuovere lo sviluppo delle relazioni internazionali tra le organizzazioni religiose appartenenti alle religioni tradizionali della Russia e proteggere la Chiesa ortodossa russa dalla discriminazione all’estero, anche al fine di garantire l’unità dell’Ortodossia;

 

5) contribuire alla creazione di un unico spazio umanitario della Federazione Russa e degli Stati membri della CSI, preservando i secolari legami civili e spirituali tra il popolo russo e i popoli di questi Stati;

 

6) garantire il libero accesso degli atleti e delle organizzazioni sportive russe alle attività sportive internazionali, facilitando la loro depoliticizzazione, migliorando il lavoro delle organizzazioni sportive internazionali intergovernative e pubbliche e sviluppando nuove forme di cooperazione sportiva internazionale con gli Stati che perseguono una politica costruttiva nei confronti della Russia.

 

  1. Allo scopo di contrastare la falsificazione della storia, l’incitamento all’odio contro la Russia, la diffusione dell’ideologia del neonazismo, dell’esclusività razziale e nazionale e del nazionalismo aggressivo, e di rafforzare le basi morali, giuridiche e istituzionali delle relazioni internazionali contemporanee basate principalmente sugli esiti universalmente riconosciuti della Seconda Guerra Mondiale, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) diffondere all’estero informazioni accurate sul ruolo e sul posto della Russia nella storia mondiale e nella formazione di un giusto ordine mondiale, compreso il contributo decisivo dell’Unione Sovietica alla vittoria sulla Germania nazista e alla fondazione delle Nazioni Unite, la sua ampia assistenza alla decolonizzazione e alla formazione dello Stato dei popoli di Africa, Asia e America Latina;

 

2) adottare, sia nell’ambito delle piattaforme internazionali pertinenti sia a livello di relazioni bilaterali con i partner stranieri, le misure necessarie per contrastare la distorsione delle informazioni su eventi significativi della storia mondiale relativi agli interessi russi, compresa la soppressione dei crimini, la riabilitazione e la glorificazione dei nazisti tedeschi, dei militaristi giapponesi e dei loro collaboratori;

 

3) adottare misure di risposta contro gli Stati stranieri e le loro associazioni, i funzionari stranieri, le organizzazioni e i cittadini coinvolti in atti ostili contro i siti russi di importanza storica e commemorativa situati all’estero;

 

4) promuovere una cooperazione internazionale costruttiva per preservare il patrimonio storico e culturale.

 

Protezione dei cittadini e delle organizzazioni russe dalle violazioni illegali da parte di stranieri, il sostegno ai connazionali all’estero, cooperazione internazionale nel campo dei diritti umani.

 

  1. Al fine di proteggere i diritti, le libertà e gli interessi legittimi dei cittadini russi (compresi i minori) e delle organizzazioni russe dalle violazioni illegali straniere e di contrastare la campagna di russofobia scatenata da Stati ostili, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) monitorare le azioni ostili contro i cittadini e le organizzazioni russe, come l’uso di misure restrittive (sanzioni) di natura politica o economica, azioni legali infondate, la commissione di crimini, la discriminazione, l’incitamento all’odio;

 

2) intraprendere azioni esecutive e misure economiche speciali contro gli Stati stranieri e le loro associazioni, i funzionari stranieri, le organizzazioni e i cittadini coinvolti in atti ostili contro i cittadini e le organizzazioni russe e nella violazione dei diritti e delle libertà fondamentali dei connazionali residenti all’estero;

 

3) migliorare l’efficacia dei meccanismi globali, regionali e bilaterali per la protezione internazionale dei diritti, delle libertà e degli interessi legittimi dei cittadini russi e la protezione delle organizzazioni russe, nonché sviluppare nuovi meccanismi in questo settore, ove necessario.

 

  1. Al fine di sviluppare i legami con i connazionali che vivono all’estero e fornire loro un sostegno completo (dato il loro significativo contributo alla conservazione e alla diffusione della lingua e della cultura russa) in relazione alla loro sistematica discriminazione in diversi Stati, la Federazione Russa, in quanto nucleo della comunità civile del mondo russo, intende dare priorità a:

 

1) promuovere il consolidamento dei connazionali residenti all’estero che hanno un atteggiamento costruttivo nei confronti della Russia e sostenerli nella tutela dei loro diritti e interessi legittimi negli Stati in cui risiedono, in primo luogo negli Stati ostili, nel preservare la loro identità culturale e linguistica tutta russa, i valori spirituali e morali russi e i legami con la loro Madrepatria storica;

 

2) assistere il reinsediamento volontario nella Federazione Russa dei connazionali che hanno un atteggiamento costruttivo nei confronti della Russia, in particolare di coloro che subiscono discriminazioni nei loro Stati di residenza.

 

  1. La Russia riconosce e garantisce i diritti e le libertà umane e civili in conformità con i principi e le norme generalmente riconosciuti del diritto internazionale e considera la rinuncia all’ipocrisia e l’attuazione fedele da parte degli Stati dei loro obblighi in questo settore come una condizione per lo sviluppo progressivo e armonioso dell’umanità. Al fine di promuovere il rispetto e l’osservanza dei diritti umani e delle libertà nel mondo, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) garantire che gli interessi della Russia e le sue caratteristiche nazionali, sociali, culturali, spirituali, morali e storiche siano presi in considerazione nel rafforzamento delle norme giuridiche internazionali e dei meccanismi internazionali nel campo dei diritti umani;

 

2) monitorare e rendere pubblica la situazione reale dell’osservanza dei diritti umani e delle libertà nel mondo, soprattutto negli Stati che rivendicano la loro posizione esclusiva nelle questioni relative ai diritti umani e nella definizione degli standard internazionali in questo settore;

 

3) sradicare le politiche dei due pesi e delle due misure nella cooperazione internazionale sui diritti umani, rendendola non politicizzata, equa e reciprocamente rispettosa;

 

4) contrastare l’uso delle questioni relative ai diritti umani come strumento di pressione esterna, di interferenza negli affari interni degli Stati e di influenza distruttiva sulle attività delle organizzazioni internazionali;

 

5) intervenire contro gli Stati stranieri e le loro associazioni, i funzionari stranieri, le organizzazioni e i cittadini coinvolti in violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

 

Supporto informativo alla politica estera della Federazione Russa

 

  1. Allo scopo di formare una percezione obiettiva della Russia all’estero, di rafforzare la sua posizione nello spazio informativo globale, di contrastare la campagna coordinata di propaganda anti-russa condotta su base sistematica da Stati ostili e che coinvolge la disinformazione, la diffamazione e l’incitamento all’odio, e di garantire il libero accesso della popolazione degli Stati stranieri a informazioni accurate, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) mettere a disposizione del più ampio pubblico straniero possibile informazioni veritiere sulla politica estera e interna della Federazione Russa, sulla sua storia e sui suoi risultati nelle varie sfere della vita e altre informazioni accurate sulla Russia;

 

2) facilitare la diffusione di informazioni all’estero per promuovere la pace e la comprensione internazionale, sviluppare e stabilire relazioni amichevoli tra gli Stati, rafforzare i valori spirituali e morali tradizionali come principio unificante per tutta l’umanità e rafforzare il ruolo della Russia nello spazio umanitario globale;

 

3) garantire la protezione dalle discriminazioni all’estero e contribuire a rafforzare la posizione dei mezzi di informazione e comunicazione russi, comprese le piattaforme informative digitali nazionali, nello spazio informativo globale, nonché dei mezzi di comunicazione dei connazionali residenti all’estero che hanno un atteggiamento costruttivo nei confronti della Russia;

 

4) migliorare gli strumenti e i metodi di supporto informativo per le attività di politica estera della Federazione Russa, compreso un uso più efficace delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione, inclusi i social network;

 

5) migliorare i meccanismi e le norme internazionali di regolamentazione e protezione dei mezzi di informazione e comunicazione, per garantire il libero accesso ad essi e per creare e diffondere informazioni;

 

6) la creazione di un ambiente che consenta ai media stranieri di operare in Russia sulla base della reciprocità;

 

7) l’ulteriore formazione di uno spazio informativo comune della Federazione Russa e degli Stati membri della CSI, aumentando la cooperazione nella sfera dell’informazione da parte degli Stati che perseguono una politica costruttiva nei confronti della Russia.

 

  1. Binari regionali della politica estera della Federazione Russa

 

Vicino estero

 

  1. La cosa più importante per la sicurezza, la stabilità, l’integrità territoriale e lo sviluppo sociale ed economico della Russia, che rafforza la sua posizione come uno dei centri sovrani influenti dello sviluppo e della civiltà mondiale, è garantire relazioni di buon vicinato sostenibili a lungo termine e combinare i punti di forza in vari campi con gli Stati membri della CSI, che sono legati alla Russia da tradizioni secolari di statualista comune, profonda interdipendenza in vari campi, lingua comune e culture vicine. Al fine di trasformare ulteriormente il vicino estero in una zona di pace, buon vicinato, sviluppo sostenibile e prosperità, la Federazione Russa intende dare priorità a:

 

1) prevenire e risolvere i conflitti armati, migliorare le relazioni interstatali e garantire la stabilità nel vicino estero, anche impedendo l’istigazione di “rivoluzioni colorate” e altri tentativi di interferire negli affari interni degli alleati e dei partner della Russia;

 

2) garantire la protezione della Russia, dei suoi alleati e dei suoi partner in qualsiasi scenario militare e politico nel mondo, rafforzando il sistema di sicurezza regionale basato sul principio dell’indivisibilità della sicurezza e sul ruolo chiave della Russia nel mantenimento e nel rafforzamento della sicurezza regionale, sulla complementarietà dello Stato dell’Unione, sulla CSTO e su altre forme di interazione tra la Russia e i suoi alleati e partner nella sfera della difesa e della sicurezza;

 

3) contrastare il dispiegamento o il rafforzamento delle infrastrutture militari di Stati ostili e altre minacce alla sicurezza della Russia nel vicino estero;

 

4) approfondire i processi di integrazione, che servono agli interessi della Russia, e la cooperazione strategica con la Repubblica di Bielorussia, rafforzando il sistema di cooperazione globale reciprocamente vantaggioso basato sui potenziali combinati della CSI e dell’UEE, nonché sviluppando ulteriori formati multilaterali, compreso un meccanismo di interazione tra la Russia e gli Stati della regione dell’Asia centrale;

 

5) creare uno spazio economico e politico integrato in Eurasia nel lungo periodo;

 

6) prevenire e contrastare le azioni ostili di Stati stranieri e delle loro alleanze, che provocano processi di disintegrazione nel vicino estero e creano ostacoli all’esercizio del diritto sovrano degli alleati e dei partner della Russia di approfondire la loro cooperazione globale con la Russia;

 

7) liberare il potenziale economico del buon vicinato, in primo luogo con gli Stati membri dell’EAEU e con gli Stati interessati a sviluppare relazioni economiche con la Russia, al fine di formare un più ampio contorno di integrazione in Eurasia;

 

8) sostenere in modo completo la Repubblica di Abkhazia e la Repubblica dell’Ossezia del Sud, promuovendo la scelta volontaria, basata sul diritto internazionale, dei popoli di questi Stati a favore di una più profonda integrazione con la Russia;

 

9) rafforzare la cooperazione nella zona del Mar Caspio, partendo dal presupposto che la soluzione di tutte le questioni relative a questa regione rientra nella competenza esclusiva dei cinque Stati del Caspio.

 

L’Artico

 

  1. La Russia sta cercando di preservare la pace e la stabilità, di migliorare la sostenibilità ambientale, di ridurre le minacce alla sicurezza nazionale nell’Artico, di creare condizioni internazionali favorevoli per lo sviluppo sociale ed economico della zona artica della Federazione Russa (anche per proteggere l’habitat originale e i mezzi di sostentamento tradizionali delle popolazioni indigene che vi abitano), nonché di far progredire la Via del Mare del Nord come corridoio di trasporto nazionale competitivo, rendendone possibile l’uso internazionale per i trasporti tra Europa e Asia. Nel perseguire questi obiettivi, la Federazione Russa si concentrerà su:

 

1) risolvere pacificamente le questioni internazionali relative all’Artico, partendo dalla premessa della speciale responsabilità degli Stati artici per lo sviluppo sostenibile della regione e della sufficienza della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 per regolare le relazioni interstatali nell’Oceano Artico (compresa la protezione dell’ambiente marino e la delimitazione delle aree marittime);

 

2) contrastare la politica degli Stati ostili volta a militarizzare la regione e a limitare la capacità della Russia di esercitare i propri diritti sovrani nella zona artica della Federazione Russa;

 

3) garantire l’inalterabilità del regime giuridico internazionale storicamente stabilito per le acque marittime interne della Federazione Russa;

 

4) stabilire una cooperazione reciprocamente vantaggiosa con gli Stati non artici che perseguono una politica costruttiva nei confronti della Russia e sono interessati alle attività internazionali nell’Artico, compreso lo sviluppo delle infrastrutture della Northern Sea Route.

 

Continente eurasiatico

 

Repubblica Popolare Cinese, Repubblica dell’India

 

  1. Per raggiungere gli obiettivi strategici e i principali obiettivi della politica estera della Federazione Russa è particolarmente importante approfondire i legami e migliorare il coordinamento con i centri sovrani globali di potere e di sviluppo che si trovano nel continente eurasiatico e che sono impegnati in approcci che coincidono in linea di principio con gli approcci russi al futuro ordine mondiale e alle soluzioni dei problemi chiave della politica mondiale.

 

  1. La Russia mira a rafforzare ulteriormente il partenariato globale e la cooperazione strategica con la Repubblica Popolare Cinese e si concentra sullo sviluppo di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa in tutti i settori, sulla fornitura di assistenza reciproca e sul miglioramento del coordinamento nell’arena internazionale per garantire la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo sostenibile a livello globale e regionale, sia in Eurasia che in altre parti del mondo.

 

  1. La Russia continuerà a costruire un partenariato strategico particolarmente privilegiato con la Repubblica dell’India al fine di migliorare ed espandere la cooperazione in tutti i settori su base reciprocamente vantaggiosa e porre particolare enfasi sull’aumento del volume del commercio bilaterale, sul rafforzamento degli investimenti e dei legami tecnologici e sulla garanzia della loro resistenza alle azioni distruttive di Stati ostili e delle loro alleanze.

 

  1. La Russia cerca di trasformare l’Eurasia in uno spazio continentale comune di pace, stabilità, fiducia reciproca, sviluppo e prosperità. Il raggiungimento di questo obiettivo implica:

 

1) un rafforzamento globale del potenziale e del ruolo della SCO nel garantire la sicurezza in Eurasia e nel promuoverne lo sviluppo sostenibile, potenziando le attività dell’Organizzazione alla luce delle attuali realtà geopolitiche;

 

2) creazione dell’ampio contorno di integrazione del Grande Partenariato Eurasiatico, combinando il potenziale di tutti gli Stati, le organizzazioni regionali e le associazioni eurasiatiche, sulla base dell’UEEA, della SCO e dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), nonché della congiunzione dei piani di sviluppo dell’UEEA e dell’iniziativa cinese “One Belt One Road”, mantenendo la possibilità per tutti gli Stati e le associazioni multilaterali interessati del continente eurasiatico di partecipare a questo partenariato e, di conseguenza, la creazione di una rete di organizzazioni partner in Eurasia;

 

3) il rafforzamento dell’interconnettività economica e dei trasporti in Eurasia, anche attraverso l’ammodernamento e l’aumento della capacità della linea principale Baikal-Amur e della ferrovia transiberiana; il rapido avvio del corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud; il miglioramento delle infrastrutture del Corridoio di transito internazionale Europa occidentale-Cina occidentale, delle regioni del Mar Caspio e del Mar Nero e della Via del Mare del Nord; la creazione di zone di sviluppo e corridoi economici in Eurasia, compreso il corridoio economico Cina-Mongolia-Russia, nonché una maggiore cooperazione regionale nello sviluppo digitale e l’istituzione di un partenariato energetico.

 

4) una soluzione globale in Afghanistan, l’assistenza nella costruzione di uno Stato sovrano, pacifico e neutrale, con un’economia e un sistema politico stabili, che soddisfi gli interessi di tutti i gruppi etnici che vi abitano e apra prospettive di integrazione dell’Afghanistan nello spazio eurasiatico di cooperazione.

 

La regione Asia-Pacifico

 

  1. Dato il potenziale multiforme in crescita dinamica della regione Asia-Pacifico, la Federazione Russa si concentrerà su:

 

1) aumentare la cooperazione economica, di sicurezza, umanitaria e di altro tipo con gli Stati della regione e con gli Stati membri dell’ASEAN;

 

2) creare un’architettura globale, aperta, indivisibile, trasparente, multilaterale ed equa di sicurezza e di cooperazione reciprocamente vantaggiosa nella regione, basata su approcci collettivi e non allineati, nonché liberare il potenziale della regione con l’obiettivo di creare un grande partenariato eurasiatico;

 

3) promuovere un dialogo costruttivo e non politicizzato e la cooperazione interstatale in vari settori, anche con l’aiuto delle opportunità offerte dal forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico;

 

4) contrastare i tentativi di minare il sistema regionale di alleanze multilaterali per la sicurezza e lo sviluppo sulla base dell’ASEAN, che poggia sui principi del consenso e dell’uguaglianza dei suoi partecipanti;

 

5) sviluppare un’ampia cooperazione internazionale per contrastare le politiche volte a tracciare linee di divisione nella regione.

 

Il mondo islamico

 

  1. Gli Stati della civiltà islamica amichevole, che ha grandi prospettive di affermarsi come centro indipendente dello sviluppo mondiale all’interno di un mondo policentrico, sono sempre più richiesti e partner affidabili della Russia nel garantire la sicurezza e la stabilità e nel risolvere i problemi economici a livello globale e regionale. La Russia cerca di rafforzare la cooperazione globale e reciprocamente vantaggiosa con gli Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica, rispettando i loro sistemi sociali e politici e i tradizionali valori spirituali e morali. Nel perseguire questi obiettivi, la Federazione Russa si concentrerà su:

 

1) sviluppare una cooperazione completa e fiduciosa con la Repubblica islamica dell’Iran, fornire un sostegno completo alla Repubblica araba siriana e approfondire i partenariati multiformi e reciprocamente vantaggiosi con la Repubblica di Turchia, il Regno dell’Arabia Saudita, la Repubblica araba d’Egitto e gli altri Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica, data la portata della loro sovranità e la costruttività della loro politica nei confronti della Federazione russa;

 

2) la creazione di un’architettura globale e sostenibile di sicurezza e cooperazione regionale in Medio Oriente e Nord Africa, basata sulla combinazione delle capacità di tutti gli Stati e delle alleanze interstatali della regione, tra cui la Lega degli Stati arabi e il Consiglio di cooperazione del Golfo. La Russia intende cooperare attivamente con tutti gli Stati e le associazioni interstatali interessate al fine di attuare il Concetto di sicurezza collettiva della Russia per la regione del Golfo Persico, considerando l’attuazione di questa iniziativa come un passo importante verso una normalizzazione sostenibile e completa della situazione in Medio Oriente;

 

3) promuovere il dialogo e la comprensione interreligiosa e interculturale, consolidare gli sforzi per proteggere i valori spirituali e morali tradizionali e combattere l’islamofobia, anche attraverso l’Organizzazione della cooperazione islamica;

 

4) riconciliare le differenze e normalizzare le relazioni tra gli Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica, nonché tra questi Stati e i loro vicini (in primo luogo la Repubblica islamica dell’Iran e i Paesi arabi, la Repubblica araba siriana e i suoi vicini, i Paesi arabi e lo Stato di Israele), anche nell’ambito degli sforzi volti a una soluzione globale e duratura della questione palestinese;

 

5) contribuire a risolvere e superare le conseguenze dei conflitti armati in Medio Oriente, Nord Africa, Asia meridionale e sudorientale e in altre regioni in cui si trovano Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica;

 

6) liberare il potenziale economico degli Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica in vista della creazione del Grande partenariato eurasiatico.

 

Africa

 

  1. La Russia è solidale con gli Stati africani nel loro desiderio di un mondo policentrico più equo e di eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche, che stanno crescendo a causa delle sofisticate politiche neocoloniali di alcuni Stati sviluppati nei confronti dell’Africa. La Federazione Russa intende sostenere ulteriormente l’affermazione dell’Africa come centro distintivo e influente dello sviluppo mondiale, dando priorità a:

 

1) sostenere la sovranità e l’indipendenza degli Stati africani interessati, anche attraverso l’assistenza alla sicurezza, tra cui la sicurezza alimentare ed energetica, nonché la cooperazione militare e tecnico-militare;

 

2) assistenza nella risoluzione e nel superamento delle conseguenze dei conflitti armati in Africa, in particolare quelli interetnici ed etnici, sostenendo il ruolo guida degli Stati africani in questi sforzi, sulla base del principio “problemi africani – soluzione africana”;

 

3) rafforzare e approfondire la cooperazione russo-africana in vari ambiti su base bilaterale e multilaterale, principalmente nell’ambito dell’Unione africana e del Forum di partenariato Russia-Africa;

 

4) incrementare il commercio e gli investimenti con gli Stati africani e le strutture di integrazione africane (in primo luogo l’Area continentale di libero scambio dell’Africa, la Banca africana per l’import-export e altre importanti organizzazioni subregionali), anche attraverso l’UEEA;

 

5) promuovere e sviluppare legami in ambito umanitario, tra cui la cooperazione scientifica, la formazione del personale nazionale, il rafforzamento dei sistemi sanitari, la fornitura di altra assistenza, la promozione del dialogo interculturale, la tutela dei valori spirituali e morali tradizionali e il diritto alla libertà di religione.

 

America Latina e Caraibi

 

  1. Dato il progressivo rafforzamento della sovranità e del potenziale multiforme degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, la Federazione Russa intende sviluppare le relazioni con essi su una base pragmatica, non ideologizzata e reciprocamente vantaggiosa, prestando attenzione prioritaria a:

 

1) sostenere gli Stati latinoamericani interessati e sottoposti a pressioni da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati nel garantire la sovranità e l’indipendenza, anche attraverso la promozione e l’espansione della sicurezza, della cooperazione militare e tecnico-militare;

 

2) rafforzare l’amicizia, la comprensione reciproca e approfondire il partenariato multiforme e reciprocamente vantaggioso con la Repubblica Federativa del Brasile, la Repubblica di Cuba, la Repubblica del Nicaragua, la Repubblica Bolivariana del Venezuela, sviluppare le relazioni con altri Stati latinoamericani, tenendo conto del grado di indipendenza e di costruttività della loro politica nei confronti della Federazione Russa;

 

3) incrementare il commercio e gli investimenti reciproci con gli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, anche attraverso la cooperazione con la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, il Mercato Comune del Sud. Il Sistema di Integrazione Centroamericano, l’Alleanza Bolivariana per i Popoli delle Americhe, l’Alleanza del Pacifico e la Comunità dei Caraibi;

 

4) espandere i legami culturali, scientifici, educativi, sportivi, turistici e umanitari con gli Stati della regione.

 

Regione europea

 

  1. La maggior parte degli Stati europei persegue una politica aggressiva nei confronti della Russia, volta a creare minacce alla sicurezza e alla sovranità della Federazione Russa, a ottenere vantaggi economici unilaterali, a minare la stabilità politica interna e a erodere i tradizionali valori spirituali e morali russi, nonché a creare ostacoli alla cooperazione della Russia con alleati e partner. A questo proposito, la Federazione Russa intende difendere coerentemente i propri interessi nazionali dando priorità a:

1) ridurre e neutralizzare le minacce alla sicurezza, all’integrità territoriale, alla sovranità, ai valori spirituali e morali tradizionali e allo sviluppo socio-economico della Russia, dei suoi alleati e partner da parte di Stati europei ostili, dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa;

 

2) creare le condizioni per la cessazione delle azioni ostili da parte degli Stati europei e delle loro associazioni, per il completo rifiuto della linea anti-russa (compresa l’interferenza negli affari interni della Russia) da parte di questi Stati e delle loro associazioni, e per la loro transizione verso una politica a lungo termine di buon vicinato e di cooperazione reciprocamente vantaggiosa con la Russia;

 

3) la formazione di un nuovo modello di coesistenza da parte degli Stati europei per garantire lo sviluppo sicuro, sovrano e progressivo della Russia, dei suoi alleati e partner, e una pace duratura nella parte europea dell’Eurasia, tenendo conto del potenziale dei formati multilaterali, compresa l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

 

  1. I prerequisiti oggettivi per la formazione di un nuovo modello di coesistenza con gli Stati europei sono la vicinanza geografica, i profondi legami culturali, umanitari ed economici storicamente sviluppati tra i popoli e gli Stati della parte europea dell’Eurasia. Il principale fattore che complica la normalizzazione delle relazioni tra la Russia e gli Stati europei è la linea strategica degli Stati Uniti e dei loro singoli alleati di tracciare e approfondire le linee di divisione nella regione europea al fine di indebolire e minare la competitività delle economie della Russia e degli Stati europei, nonché di limitare la sovranità degli Stati europei e garantire il dominio globale degli Stati Uniti.

 

  1. La consapevolezza da parte degli Stati europei che non esiste alternativa alla coesistenza pacifica e alla cooperazione paritaria reciprocamente vantaggiosa con la Russia, l’aumento del livello di indipendenza della loro politica estera e la transizione verso una politica di buon vicinato con la Federazione Russa avranno un effetto positivo sulla sicurezza e sul benessere della regione europea e aiuteranno gli Stati europei a prendere il loro giusto posto nel Grande Partenariato Eurasiatico e in un mondo multipolare.

 

Gli Stati Uniti e gli altri Stati anglosassoni

 

  1. Il percorso della Russia nei confronti degli Stati Uniti ha un carattere combinato, tenendo conto del ruolo di questo Stato come uno dei centri sovrani influenti dello sviluppo mondiale e allo stesso tempo il principale ispiratore, organizzatore ed esecutore della politica aggressiva anti-russa dell’Occidente collettivo, fonte di grandi rischi per la sicurezza della Federazione Russa, la pace internazionale, uno sviluppo equilibrato, equo e progressivo dell’umanità.

 

  1. La Federazione Russa è interessata a mantenere la parità strategica, la coesistenza pacifica con gli Stati Uniti e la creazione di un equilibrio di interessi tra la Russia e gli Stati Uniti, tenendo conto del loro status di grandi potenze nucleari e della loro speciale responsabilità per la stabilità strategica e la sicurezza internazionale in generale. Le prospettive di formare un tale modello di relazioni tra Stati Uniti e Russia dipendono dalla misura in cui gli Stati Uniti saranno pronti ad abbandonare la loro politica di dominio del potere e a rivedere la loro linea anti-russa a favore di un’interazione con la Russia sulla base dei principi di uguaglianza sovrana, di mutuo beneficio e di rispetto degli interessi reciproci.

 

  1. La Federazione Russa intende costruire relazioni con altri Stati anglosassoni a seconda del grado di disponibilità ad abbandonare il loro atteggiamento ostile nei confronti della Russia e a rispettare i suoi legittimi interessi.

 

Antartide

 

  1. La Russia è interessata a preservare l’Antartide come spazio demilitarizzato di pace, stabilità e cooperazione, a mantenere la sostenibilità ambientale e ad espandere la propria presenza nella regione. A tal fine, la Federazione Russa intende prestare attenzione prioritaria alla conservazione, all’effettiva attuazione e al progressivo sviluppo del Sistema del Trattato Antartico del 1° dicembre 1959.

 

  1. Formazione e attuazione della politica estera della Federazione Russa

 

  1. Il Presidente della Federazione Russa, agendo in conformità con la Costituzione della Federazione Russa e le leggi federali, definisce le linee principali della politica estera, dirige la politica estera del Paese e, in qualità di capo dello Stato, rappresenta la Federazione Russa nelle relazioni internazionali.

 

  1. Il Consiglio della Federazione dell’Assemblea Federale della Federazione Russa e la Duma di Stato dell’Assemblea Federale della Federazione Russa, nell’ambito della loro autorità, configurano il quadro legislativo per la politica estera e l’attuazione degli obblighi internazionali della Federazione Russa, nonché contribuiscono all’adempimento dei compiti della diplomazia parlamentare.

 

  1. Il Governo della Federazione Russa prende misure per attuare la politica estera e la cooperazione internazionale.

 

  1. Il Consiglio di Stato della Federazione Russa partecipa allo sviluppo dei compiti e degli obiettivi strategici della politica estera, assiste il Presidente della Federazione Russa nella determinazione delle principali direzioni della politica estera.

 

  1. Il Consiglio di sicurezza della Federazione Russa definisce le principali direzioni della politica estera e militare, prevede, identifica, analizza e valuta le minacce alla sicurezza nazionale della Russia, sviluppa misure per neutralizzarle, prepara proposte per il Presidente della Federazione Russa riguardo all’adozione di misure economiche speciali al fine di garantire la sicurezza nazionale, esamina le questioni di cooperazione internazionale relative al mantenimento della sicurezza, coordina gli sforzi degli organi esecutivi federali e degli organi esecutivi delle entità costitutive della Federazione Russa per attuare le decisioni adottate dal Presidente della Federazione Russa al fine di garantire gli interessi nazionali e la sicurezza nazionale, proteggere la sovranità della Federazione Russa, la sua indipendenza e integrità statale, prevenire le minacce esterne alla sicurezza nazionale.

 

  1. Il Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa sviluppa una strategia generale della politica estera della Federazione Russa e presenta le relative proposte al Presidente della Federazione Russa, attua il corso della politica estera, coordina le attività degli organi esecutivi federali nel settore delle relazioni internazionali e della cooperazione internazionale e coordina le relazioni internazionali dei soggetti della Federazione Russa.

 

  1. L’Agenzia federale per gli affari della Comunità degli Stati Indipendenti, i connazionali all’estero e la cooperazione umanitaria internazionale assiste il Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa nel perseguire una linea di politica estera uniforme in termini di coordinamento e attuazione dei programmi di cooperazione umanitaria internazionale, nonché nell’attuazione della politica statale nel campo dell’assistenza internazionale allo sviluppo a livello bilaterale.

 

  1. Altri organi esecutivi federali svolgono attività internazionali in conformità alle loro competenze, al principio dell’integrità della politica estera e in coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa.

 

  1. Le entità costitutive della Federazione Russa si impegnano in contatti economici internazionali ed esteri in conformità con le loro competenze e in coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa, tenendo conto dell’importante ruolo della cooperazione interregionale e transfrontaliera nello sviluppo delle relazioni tra la Federazione Russa e gli Stati esteri.

 

  1. Nella preparazione e nell’attuazione delle decisioni di politica estera, gli organi esecutivi federali collaborano con le camere dell’Assemblea federale della Federazione Russa, con i partiti politici russi, con la Camera civica della Federazione Russa, con le organizzazioni senza scopo di lucro, con la comunità accademica e degli esperti, con le associazioni culturali e umanitarie, con la Chiesa ortodossa russa e con le altre associazioni religiose tradizionali russe, con gli ambienti economici e con i mass media, contribuendo alla loro partecipazione alla cooperazione internazionale. L’ampio coinvolgimento di forze sociali costruttive nel processo di politica estera promuove il consenso nazionale sulla politica estera, ne assiste l’attuazione e svolge un ruolo importante in termini di risoluzione più efficace di un’ampia gamma di questioni dell’agenda internazionale.

 

  1. Le risorse extra-bilancio raccolte su base volontaria attraverso il partenariato pubblico-privato possono essere utilizzate per finanziare le attività di politica estera.

https://mid.ru/ru/detail-material-page/1860586/?lang=en

 

 

ELEMENTI DI STORIA DELL’ORTODOSSIA RUSSA (cap. 3-4-5), di Daniele Lanza

ELEMENTI DI STORIA DELL’ORTODOSSIA RUSSA (cap. 3)
[*riduzione all’estremo, per chi vuole capire qualcosa di Russia e delle sue dinamiche] – “Nasce il Patriarcato moscovita”
—–
Diciamo prima di tutto che la chiesa russa ortodossa dai suoi esordi – ovvero dei primi 3 secoli di vita – è una chiesa il cui epicentro è la capitale della RUS medievale (Kiev): quest’ultima e il suo territorio, benchè regno indipendente di grandi dimensioni, costituisce – sul piano della suddivisione organizzativa ecclesiale – una branca di Costantinopoli (in senso religioso). L’intero spazio territoriale assieme ai propri abitanti è amministrativamente inquadrato – per lo schema greco/ortodosso – sotto l’egida del “Metropolita di Kiev e della RUS” : in pratica il regno degli slavi, sul piano spirituale è un settore, una propaggine (gigantesca!) dei patriarchi greci di Bisanzio che ne scelgono il metropolita (massima autorità religiosa responsabile).
La chiesa russa nasce – come naturale che sia – come estensione di Bisanzio (una sua sotto suddivisione) e la cosa è considerata l’ordine costituito per centinaia di anni. Anche in questo caso (come nella precedente frattura Roma-Costantinopoli), un’alterazione radicale del contesto sociopolitico genera a sua volta un disequilibrio che va ad intaccare in profondità complessi sistemi di identificazione: l’invasione mongola da est e la sudditanza plurisecolare all’elemento dominante, determinano da subito un declino rapidissimo della vecchia capitale RUS. Kiev, più volte saccheggiata (1237-40), perde il suo ruolo egemone, in particolare cessa di essere la sede del metropolita ortodosso il quale decide di spostarsi in zone della (ormai frazionata) RUS meno soggette ad incursioni: la scelta ricade su Vladimir nel 1299 e una generazione più tardi su MOSCA (1325), che sono, in successione, le capitali del dinamico e combattivo principato omonimo (il Principato di Vladimir, il più combattivo ed attivo tra tutti i potentati sorti sulle ceneri della RUS, e suo promesso successore, come si vedrà nei secoli a venire). Per così dire la “fiaccola” della chiesa ortodossa russa si sposta – per ragioni strategiche – sensibilmente più a settentrione, malgrado il fatto che continuerà per molto tempo a mantenere la sua denominazione originaria antecedente all’invasione mongola (Metropoli di Kiev e della RUS).
La culla della chiesa ortodossa non è più dunque Kiev, ma Mosca, il cui principato nel XIV-XV secolo è l’alfiere della riscossa degli slavi orientali, politicamente sempre più coesi attorno ad esso (…). Trascorre poco più di un secolo prima che una serie di avvenimenti imprimano una svolta inaspettata al quadro: nell’anno 1435 (al tempo della signorie italiane per intendersi), Mosca sceglie il proprio metropolita – tale Jonah di Ryazan e Murom – il quale dovrebbe recarsi in Costantinopoli per la sua ordinazione, come di rito. Vuole la sorte che esattamente negli stessi anni deflagra una guerra civile dinastica per la successione al trono (che vede contrapposti il figlio e il fratello, rispettivamente, del precedente principe) il che comporta che il prescelto di Mosca a divenire metropolita NON si presenta nei tempi stabiliti a Costantinopoli……….ove – stanchi di aspettare – ne scelgono e ne ordinano uno dei propri (Isidoro, un colto prelato greco di Tessalonica). Costui raggiunta Mosca e inizialmente distintosi per erudizione e capacità diplomatiche, partecipa pochi anni dopo al CONCILIO DI FIRENZE (leggere bene da ora in avanti).
Cosa sarebbe il Concilio di Firenze? In parole poverissime è l’ultima carta della chiesa cattolico romana per cercare di riunire cristiani cattolici e ortodossi in un’UNICA chiesa (a quasi 400 anni dallo strappo del 1054). Isidoro, da evoluto e diplomatico bizantino è FAVOREVOLE a tale unione, dimenticandosi di un fatto fondamentale ovvero che non è più soltanto un diplomatico di Bisanzio, ma anche e soprattutto il metropolita del mondo slavo: un cosmo assai più conservatore della cosmopolita Bisanzio (laddove peraltro NON tutti erano d’accordo alla riunione con Roma), oramai consolidato nella propria tradizione ortodossa e deciso a non lasciarla. Isidoro al suo ritorno a Mosca viene incarcerato quasi subito e quindi espulso, mentre viene ripreso Jonah di Ryazan dopo un certo numero di anni di incertezze (e vuoto decisionale in Costantinopoli): in pratica, per la prima volta il principato di Mosca impone il proprio candidato alla guida della chiesa ortodossa anziché quello ordinato dalla casa madre (Costantinopoli). Siamo nell’anno 1448 : è l’esordio di quella che sarà l’indipendenza della chiesa ortodossa russa rispetto a zone estere rispetto alla Russia stessa.
Ironia del flusso della storia: un tentativo di riavvicinamento tra l’occidente cattolico e l’oriente ortodosso – la volontà di ricucire uno scisma di molti secoli prima – non soltanto NON funziona, ma a sua volta determina uno scisma ulteriore, in seno alla chiesa ortodossa medesima (che vede Mosca scindersi da Costantinopoli , verso un percorso indipendente). Anziché avere un’unica chiesa universale alla metà del 400……….ne abbiamo ora TRE (?!) : Roma, Costantinopoli e Mosca, nuova arrivata. O, se vogliamo vedere le cose da un’altra prospettiva, Roma da ora in avanti invece che un solo centro dell’ortodossia….se ne ritrova DUE (…).
Il rompicapo, il triello, dura tuttavia molto poco: i turchi ottomani sono alle porte e Costantinopoli è inghiottita nel giro di un decennio (1453). Praticamente Costantinopoli non fa a tempo a ricucire lo strappo con Mosca, o malinteso amministrativo, se così vogliamo chiamarlo.
Costantinopoli sprofonda nell’abbraccio ottomano, perdendo ogni credibilità reale sul piano geopolitico (piano nel quale invece la potenza di Mosca sta sorgendo). Da qui in avanti, tutti i metropoliti della chiesa ortodossa in Russia saranno ordinati all’interno del paese come già detto: l’ortodossia russa assume un carattere del tutto particolare rispetto ai suoi analoghi, in senso AUTOCTONO. Vederla su un piano filosofico/sociologico è complesso dal momento che la dinamica in azione accosta due caratteristiche tra loro antitetiche: da un lato il cosmopolitismo insito nell’ortodossia greca, il suo universalismo ellenico di fondo (…), dall’altro la più tipica autoctonia slavo orientale, impermeabile al cambiamento, sicura nella sua fortezza geografica, nel suo heartland difficilmente raggiungibile.
Non sarò io sciogliere l’enigma di questa unione di opposti soprariportata, ma (mi segua il lettore), è una chiave profonda di accesso all’identità russa, una sua indecifrabile contraddizione.
Lo status quo quindi permane in una compagine geopolitica tumultuosa: gli ottomani avanzano nei Balcani, mentre a Mosca non soltanto non ci si pensa più a tornare sotto Costantinopoli, ma anzi – si pensa – perché non divenire NOI la nuova Costantinopoli? (tanto quella vecchia ha cessato di esistere). Un capovolgimento radicale di ruoli reso possibile dalla situazione straordinaria: se fino a poco tempo prima la chiesa ortodossa russa era sotto-suddivisione di Costantinopoli, ora con Mosca autoeletta a “Terza Roma” sono gli ALTRI che possono diventare – teoricamente – sotto suddivisione di mosca. Nella prospettiva occidentale il quadro si complica quindi: dopo quasi 1000 anni di battibecchi non c’è più da trattare con Costantinopoli (con la quale ci si era combattuti, ma ci si conosceva bene), ma con questo ancor più lontano e misterioso stato moscovita. La questione in realtà dal punto di vista dell’organizzazione ecclesiale è più intricata di quanto sembra: tecnicamente la ”Metropoli di Kiev e RUS” – suddivisione bizantina per la Russia medievale – non ha mai cessato di esistere. Viene a configurarsi quindi una specie di “cluster” o sovrapposizione di denominazioni: per un breve periodo si parla di Russia “alta” (incentrata su Mosca) oppure Russia “bassa” (incentrata su Kiev), ma è una partizione destinata ad avere vita breve, dato che i continui successi militari di Mosca modificano dalle fondamenta gli assetti fondamentali dell’epoca. Il piccolo – ma dinamico – principato moscovita, è alla testa di un moto di aggregazione territoriale e conquiste strabiliante: nel giro di mezzo secolo (1450-1500) diventa lo stato più esteso d’Europa e nel cinquantennio successivo (1500-1550) diventa la potenza egemone nello scacchiere estremo orientale del continente, abbattendo tutte le potenze turche circostanti. Il prestigio e lo status quo che ne ricava sono immensi: il regno di Ivan IV (alla testa dei cui eserciti compaiono i vessilli con l’immagine di Cristo) è una grande potenza emergente e per giunta è il sommo difensore della fede ortodossa. Toglierle o anche solo contestarle il primato dell’esser centro della propria chiesa diventa cosa infattibile: col passare del tempo quindi la vecchia denominazione facente riferimento a Kiev, si sbiadisce fino a scomparire e arrivati al culmine della potenza di Ivan IV, l’autocefalia della chiesa ortodossa moscovita è oramai un dato de facto accettato. A coronamento dell’opera avverrà anche una ufficializzazione: attorno al 1590 tutti i patriarcati esistenti riconoscono ufficialmente l’esistenza di una chiesa ortodossa russa autocefala e non soltanto……..quest’ultima viene elevata al rango di PATRIARCATO (che va ad affiancarsi agli altri già esistenti, tra cui quelli antichi).
Riassumendo: a partire dal 15° secolo si verifica uno spostamento geografico della sede spirituale (che riflette i mutamenti geopolitici dell’era) da Kiev a MOSCA e quest’ultima come atto ulteriore si affranca dalla stessa casa madre (Costantinopoli, che tra l’altro non esiste più come soggetto libero), diventando una chiesa del tutto autonoma: il PATRIARCATO DI MOSCA che sorge si configura quindi come un’entità sì ortodossa, ma non più dipendente da zone esterne al paese (col linguaggio di oggi si potrebbe definire come il sorgere di una chiesa “nazionale”).
(CONTINUA)
ELEMENTI DI STORIA DELL’ORTODOSSIA RUSSA (cap. 4)
[*riduzione all’estremo, per chi vuole capire qualcosa di Russia e delle sue dinamiche] – “Nasce il Patriarcato moscovita”
—–
E così ci siamo arrivati.
Alla fine del 16° secolo nel mentre che in Europa un protestante diventa re di Francia accettando il cattolicesimo (Enrico IV), ad una grande distanza viene sancita l’esistenza di un nuovo patriarcato che va ad affiancarsi a quelli antichi (la pentarchia di era romana) e quelli venuti dopo: quello di MOSCA, che pur rimanendo in comunione con gli altri patriarcati ortodossi, a questo punto acquisisce de facto un prestigio politico enorme.
In pratica abbiamo un potente stato indipendente (il principato di Mosca) ed una chiesa “propria” che ne riflette la cultura e i valori (il patriarcato di Mosca), senza negargli quello slancio all’espansione, quella carica messianica di universalità che gli serve ora più che mai. Compatibilità perfetta di materia e spirito (a differenza di svariati casi europei – tra cui quello italico, che nemmeno citiamo – di interferenze tra cattolicesimo romano e governi nazionali): ci troviamo quindi tra le mani – per così esprimersi – lo ZARATO DI RUSSIA.
Questa piccola Roma (terza) si muove come una trottola sul proprio scacchiere (del tutto negletto agli europei d’occidente) mietendo successi ai 4 punti cardinali: vessilli e stendardi recanti l’effigie del Cristo sono alla testa dei suoi eserciti verso gli Urali, la Siberia, verso Il mar Caspio e anche verso il Baltico e l’artico (ancora non esisteva una bandiera nazionale russa, in senso moderno: si usavano immagini del Cristo ortodosso per identificare la russità). Passano circa 100 anni dal tempo dell’ascesa di Ivan IV, ed ora l’estensione dei possedimenti dello tsarato è sterminata: si va dai margini dello scacchiere europeo sino ai confini con la Cina e le rive del Pacifico. Uno stato così grande si ritrova inevitabilmente in contrapposizione con tanti altri attori del palcoscenico geopolitico del suo tempo, tanto in Asia quanto in Europa: da quest’ultima arrivano le minacce maggiori, vale a dire la potenza polacca (tanti interventi in merito**). A cavallo tra 500 e 600 (epoca dei “torbidi”, ossia un periodo di grave instabilità politica legata ad un sistema di successione che collassa) lo stesso stato russo è in pericolo quando le armate dei sovrani di Polonia arrivano sino a Mosca (venendone poi però respinte). Seguono decenni di ripresa sotto la dinastia Romanov (1613, insediamento) fino ad un altro confronto significativo, che ci riporta ai giorni nostri in un certo senso: nuovo confronto diretto contro il regno di Polonia innescato dalla rivolta cosacca del 1648 (Khelmintsky). Per contrarre una lunga storia (potrei riproporre i vecchi post*) diciamo che lo zarato di Russia cavalca la rivolta dell’HETMANATO cosacco (corrispondente alla zona più centrale dell’odierna Ucraina) : quest’ultimo fu uno stato temporaneo fondato dai rivoltosi cosacchi – strenui sostenitori della fede ortodossa – contro l’espansionismo e la dominanza culturale polacca che implicava un’inesorabile avanzata del cattolicesimo in terre da sempre ortodosse (si era iniziato a creare una chiesa UNIATA, ovvero di rito orientale, ma sotto il pontefice di Roma: un compromesso al fine di incorporare e fidelizzare le popolazioni rutene locali, occidentalizzandone la fede)
Da questa rivolta culturale (che involve anche la fede) dei cosacchi ortodossi contro la nobiltà polacca nasce una guerra in cui Mosca interviene con successo, arrivando a tagliare in due il dominio polacco sull’attuale territorio ucraino (il grande fiume DNEPR sarà linea di divisione tra Russia ortodossa e domini polacchi). Pochi anni dopo , col trattato di Pereslav del 1654, il ribelle stato cosacco viene a sua volta incorporato nel più grande stato russo (…). Non è il luogo per riportare lo svolgimento di questa fase storica, ma si può andare a rivedere una mia miniserie in proposito**)
Nell’essenza lo zarato nel corso del secolo 17° inizia ad estendersi anche a occidente, in direzione della Polonia, in veste di “soccorritore” di entità ortodosse contro potenza di altra fede (a partire dall’entità cosacca che ha incorporato). Questo è passaggio fondamentale: si comprende subito quanto la fede possa costituire elemento degli equilibri territoriali e del gioco geopolitico, di quanto possa essere utilizzata in questo senso (da notare che TUTTE le potenze, cattoliche, protestanti e musulmane, fecero la medesima cosa). Si arriva presto alla conclusione che potrebbe essere un grande vantaggio presentarsi come grande protettore delle fede ortodossa in una eventuale marcia verso occidente (e più tardi verso i Balcani). Questo tuttavia pone un problema non indifferente all’epoca: perché l’operazione sia credibile, occorre che l’ortodossia della chiesa russa sia CONFORME il più possibile a quella dei territori ortodossi coi quali si vorrebbe tessere relazioni, cosa non scontata. Non scontata poiché nei secoli in cui la chiesa ortodossa russa si era sviluppata per conto proprio aveva iniziato a divergere in molti elementi rispetto al canone universalmente seguito dalle altre chiese autocefale (NON mi addentro in questo settore per impossibilità di tempo e preparazione effettiva in materia prettamente teologica) : sta di fatto che occorreva quindi riadattare o meglio AGGIORNARE la chiesa nazionale appianando le differenze con le altre esistenti e quindi standardizzarla.
“STANDARDIZZARE” è il verbo chiave, signori. Si rendeva indispensabile standardizzare la chiesa ortodossa russa, riformarla, spogliandola di quanto aveva sviluppato di divergente rispetto alle altre (tra cui il concetto stesso di Terza Roma in un certo senso, spogliandola dell’eccezionalismo particolare che aveva nutrito). Da qui nasce la RIFORMA dell’ortodossia russa che si consuma nella seconda metà di questo secolo : un evento che nella storiografia russa è chiamato “strappo”, ossia strappo dalla tradizione secolare precedente. Lo stato russo – nella persona del proprio tsar – prende in mano la situazione e decide di trasformare di forza la propria chiesa, adattarla ai propri bisogni. La data fondamentale è il 1667, quando diviene effettiva la cesura rispetto al passato. L’operazione riesce per la decisione con cui viene portata avanti e la chiesa russa verrà “standardizzata” al restante ecumene ortodosso………lasciando tuttavia sul campo una minoranza di popolazione che NON volle accettare il cambiamento: questi ribelli della fede rifiutano un progresso alla fede imposto dallo stato e permangono alla fede come la concepivano, subendone una cascata di conseguenze (emarginazione, clandestinità ed altro). L’appellativo che venne dato loro è di “VECCHI CREDENTI”.
Mi fermo qui anzitempo, ma allego una riedizione di un mio intervento di anni orsono (***) su questa realtà, che caratterizza lo sviluppo dell’ortodossia verso la fine del secolo 17°……..
(CONTINUA)
(Nota tecnica dal cap. 4 di elementi di storia ortodossa)
VECCHI CREDENTI / старообря́дцы
Non è assolutamente lecito tralasciare questo punto che è tra i più intriganti nella storia della chiesa greco ortodossa russa.
Le tensioni geopolitiche del XVII° sec. come abbiamo visto, sono di importanza tale da assumere un carattere assai più ampio….geoculturale potremmo dire, di lunghissimo periodo. La nascita della chiesa uniate in Ucraina ne è un esempio.
Ora, esiste anche una seconda conseguenza sul piano religioso che si sviluppa a partire dalla tormentata metà di tale secolo : un effetto collaterale che incide sulle questioni interne dello zarato di Russia.
Così come i polacchi dal canto loro tentano di preparare il terreno culturale favorendo la diffusione di uno stadio intermedio della cristianità che punta ad occidente (uniati), anche lo zar Alessio I dal canto suo si attiva per creare un contesto maggiormente favorevole ad un eventuale assorbimento delle popolazioni rutene ed ortodosse sotto la guida di Mosca. Vista la comune ortodossia parrebbe scontato…..invece non lo è. Esiste un PROBLEMA non da poco : l’ortodossia russa (se ne prende atto fino in fondo solo nel 1650 a seguito di un’indagine teologica ufficiale) è notevolmente divergente dall’insieme delle altre chiese greco ortodosse facenti capo a patriarcati esteri. In pratica la chiesa ortodossa RUSSA costituisce un unicum nella grande famiglia delle chiese greco ortodosse che la cristianità conta.
Le differenze sono copiose (formule rituali, testi, consuetudini) e agli occhi di un contemporaneo prive di peso, ma per uno slavo di 4 secoli orsono sono invece fondamentali. Perchè tutto questo ? Inizialmente si sostenne che per effetto cumulativo di errori e inesattezze di copisti ed altro. In realtà (come dimostra la ricerca contemporanea più precisa) era avvenuto che mentre l’ensamble delle chiese greco ortodosse (a partire dallo stesso patriarcato di Costantinopoli) si erano evolute ed aggiornate via via col passare dei secoli, secondo uno schema che assicurava una relativa uniformità tra i differenti paesi, la chiesa ortodossa RUSSA non aveva preso parte a tale processo di modernizzazione rimanendo ancorata ad una fase più antica, senza mutamenti (i suoi testi risulteranno infatti essere più antichi rispetto alle altre chiese greco ortodosse).
Tale stato di sospensione temporale, di arcaismo della chiesa russa, se da un lato oltremodo affascinante per lo studioso odierno, diventa insostenibile nel contesto geopolitico della metà del 600 : le popolazioni rutene, seppur ortodosse, potrebbero risultare turbate da quella che più che una difesa della comune ortodossia greca, pare il predominio di un arcaico patriarcato di Mosca.
In parole ancor più semplici, lo zarato di Russia che intende palesarsi come difensore della fede rutena (contro la prepotente avanzata dei cattolici polacchi ) rischia seriamente di esser percepito a sua volta come un’entità estranea o peggio, un invasore.
Che fare ? L’unica soluzione possibile per ovviare al problema……riformare la chiesa ortodossa russa, al fine di uniformarla a tutte le altre : standardizzarla al fine di renderla accettabile agli occhi di tutto il mondo greco ortodosso. Il patriarca moscovita NIKON, sostenuto fortemente dallo zar, procede ad una revisione generale che diventa una grande riforma che prende forma tra il 1652 e il 1667.
La riforma ha successo e la chiesa russa “ritorna in pari” col cosmo ortodosso coevo, ma non senza resistenze : una frazione della popolazione e del clero NON accetta la riforma. Arduo per la mentalità del tempo accettare senza batter ciglio……il modo di interpretare la fede non può esser soggetto a revisioni quanto una qualsiasi norma amministrativa (!!). Non si può attuare con fredda burocrazia e per ragioni di calcolo politico tale mutamento in così poco tempo : una piccola parte della società decide quindi di non adeguarsi e rimanere fedele alla VECCHIA FEDE, senza tener conto della riforma voluta dalla corona…….costoro verranno appellati in più di un modo nelle generazioni a venire (eretici, scismatici, etc.), ma il nome con cui vengono ricordati oggi è “vecchi credenti”.
Il rifiuto di aderire alla riforma istituzionale verrà immediatamente punita con persecuzione e morte : gli elementi che non riusciranno a conformarsi al nuovo corso saranno banditi, allontanati, fino a confinarne l’esistenza fisica ai margini dell’immenso corpo della Russia. Comunità di vecchi credenti si perpetuano di secolo in secolo negli angoli più remoti e selvaggi di tutto il continente zarista……..attorno agli Urali, alle soglie dell’artico (Arkhangelsk) e in qualsiasi luogo periferico rispetto al cuore del paese. L’isolamento geografico favorisce in certi casi anche una permanenza di tali comunità ad uno stile di vita più conservatore ed arcaico rispetto alla popolazione generale.
Coloro che chiamiamo “vecchi credenti” non sono peraltro un blocco omogeneo in quanto si tratta di una definizione ombrello che riunisce una piccola e rutilante schiera di sette dalle differenti sfumature e nomi, riunite in un’unica categoria per ragioni di comodo : una delle differenze che spiccano maggiormente è quella tra quanti hanno ancora un clero e i “bezpopovtzi” (che NON riconoscono nemmeno più l’esistenza di un clero).
Dopo la repressioni iniziale (e la vittoria definitiva della riforma dal 1685) , i vecchi credenti continueranno ad esistere ai margini della società, verso il fondo di essa, come eretici e visionari condannati dalla chiesa ufficiale e soggetti alla benevolenza o alla severità del regnante del momento. Con la costituzione del 1905 non sono più penalizzati dallo stato centrale (mentre la condanna da parte della chiesa durerà fino al 1971 ufficialmente).
La consistenza demografica effettiva di questo segmento della società è oggetto di dubbi e dibattiti : senza dubbio il censimento del 1897 (che accorda un paio di milioni ai vecchi credenti) sottovaluta decisamente il fenomeno, che tra l’altro al tempo si trova ancora nella semilegalità e soggetto al discredito sociale. C’è ragione di crede più vicina al vero la stima riportata da Leon Poliakov (“L’epopée des vieux-croyants”) che invece corrisponde a 10-12 milioni di abitanti (più o meno apertamente) assommandone tutte le sfumature, ovvero quasi il 10% della popolazione dell’impero zarista alla vigilia del primo conflitto mondiale : una proporzione enorme se si considera la natura talvolta estrema dei vecchi credenti (come e più che i protestanti in occidente).
Fosse esatta tale stima (mi piace crederlo, ma non lo garantisco), significherebbe che l’ortodossia russa alle soglie del XX° secolo a dispetto del suo apparente torpore era letteralmente percorsa da scosse millenaristiche e visionarie impregnato di un latente messianismo fino alle fondamenta. Humus dei fermenti bolscevichi ? Il legame tra questi vetero-visionari e i rivoluzionari di Lenin è quanto mi affascina di più…….
ELEMENTI DI STORIA DELL’ORTODOSSIA RUSSA (cap. 5)
[*riduzione all’estremo, per chi vuole capire qualcosa di Russia e delle sue dinamiche] – “Pietro il grande: chiesa e stato”
—–
Ci si era fermati sul termine del secolo 17°: cala il sipario sull’era – A) della crisi di successione che mette a rischio lo stato russo di fronte ai polacchi, – B) la successiva rivincita una generazione dopo allorchè lo zarato approfittano della rivolta cosacca per infliggere un duro colpo al regno di Polonia (ovvero inglobano tutta l’Ucraina orientale sino allo spartiacque del Dnpr) ed infine – C) l’avvento al trono di Pietro I…..che pone le basi essenziali per lo sviluppo nazionale per il secolo ancora successivo.
Gli ultimi due punti (B e C ) hanno effetti considerevoli sulla chiesa ortodossa russa, e costituiscono i nodi nevralgici tramite i quali essa transita verso la tarda età moderna, uscendo da un passato che portava ancora i segni della rinascita tardo-medievale che precede l’unificazione russa (…).
Come si è già visto, tra il 1654-1667 si consuma il “RASKOL” ovvero lo strappo tra la chiesa ufficiale (cui viene dettato l’imperativo di conformarsi alle altre chiese ortodosse rispetto alle quali aveva visto uno sviluppo divergente nei secoli passati) ed una piccola minoranza della società che rimarrà legata alla tradizione precedente (i vecchi credenti) da allora in avanti. Il processo di standardizzazione richiederà molti anni, ma vedrà un sostanziale successo con l’emergere di una chiesa ortodossa russa allineata alle altre: essenzialmente – saltando molti punti teologicamente rilevanti, e riducendo tutto all’aspetto più ideologico – viene meno l’interpretazione eccezionalistica di Mosca come “Terza Roma”, fatto tuttavia compensato da una standardizzazione internazionale nei confronti delle altre chiese che pertanto apre le porte a futura collaborazione (permettendo allo stato russo di interpretare un ruolo di difesa dell’ortodossia al di fuori dei propri confini).
Tutto questo è solo una PRIMA fase in quello che potremmo definire processo di razionalizzazione moderno della chiesa russa. Il SECONDO combacia cronologicamente con l’avvento di Pietro il grande.
Innumerevoli le riforme di quest’ultimo nella sua opera di stabilire una differente traiettoria storica per l’intero paese dei secoli a venire: la chiesa semplicemente non poteva passare indenne alla più magmatica finestra di tempo della storia russa.
Cosa significa – per l’ortodossia russa – la parentesi petrina ? Significa la sua riduzione a strumento di stato in termini grezzi. In pratica il patriarcato di Mosca cessa di esistere……ovvero dopo la morta dell’ultimo legittimo patriarca (1700), l’allora tsar Pietro impedisce che venga eletto un successore stabilendo invece la creazione di un “SANTISSIMO SINODO” : quest’ultimo era formato da un gruppo dei 10-12 massimi rappresentanti del clero, nominati dall’imperatore in persona, che costituivano il più alto corpo della chiesa ortodossa russa…..riorganizzata sul medesimo modello delle chiese luterane nei regni di Prussia e Svezia (anche questo nell’ottica occidentalizzatrice di Pietro il grande). La chiesa razionalizzata quasi a mo di ministero (…) e che come tale funzionerà per i successivi anni di storia imperiale, dall’esordio petrino sino alla sua conclusione storica con la rivoluzione (1721-1917).
In pratica la chiesa ortodossa russa in un lasso di tempo di 50 anni risulta prima standardizzata….e quindi del tutto statalizzata: un processo di razionalizzazione che ci porta dalla Terza Roma a secolarizzarsi quanto un ministero di governo (per chi del pubblico nostrano sia stupito, occorre ricordare che solo nella chiesa cattolica si verifica un fenomeno di discordanza tra governante e chiesa: nei contesti nazionali protestanti e ortodossi – chiese indipendenti ed autocefale per natura – questa discordanza si manifesta molto meno, coincidendo invece regnante e guida spirituale). Questa lunga parentesi che segue, vede la chiesa come componente dello stato dunque (il quale a sua volta si era incredibilmente esteso per conquista geografica).
Il santo sinodo sotto il controllo dei vari tsar, farà la sua storia, fino al momento in cui un evento storico altrettanto poderoso che l’avvento di Pietro I non riuscirà a rimettere in moto l’intera situazione (rivoluzione del 1917: solo da quest’anno, dalla rivoluzione di febbraio, si ristabilisce il patriarcato di Mosca. La rinascita del patriarcato a seguito della fine dell’autocrazia è tuttavia solo una breve illusione: una nuova forma di razionalizzazione – questa volta atea – è alle porte).

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Stati Uniti, un regime senza più maschere_con Gianfranco Campa

Ci sono due modi di apprezzare le conversazioni con Gianfranco Campa. Uno non esclude l’altro. Uno è quello di soffermarsi sulla superficie della cronaca. Una sequenza intrigante di fatti ed aneddoti utili a caratterizzare lo stato di una nazione e lo spessore dei personaggi che lo governano. L’altro richiede un approccio più riflessivo e distaccato. Si possono osservare in tal modo, o per lo meno intuire le modalità di formazione e messa in atto delle decisioni, le dinamiche di esercizio del potere, l’importanza della visione e della maturità di una classe dirigente a cui è legato il destino di una nazione. Si scoprirà che gli apparati, le istituzioni per funzionare sono mossi da centri decisori che agiscono in strutture ed istituzioni, ma si formano nel tempo attraverso una rete informale di relazioni interna ed esterna ad esse. Un solido e saldo esercizio del potere richiede un equilibrio dinamico tra relazioni informali e funzioni istituzionali difficile da conservare nel tempo. Accanto e all’interno della forza di inerzia e della logica di funzionamento degli apparati agiscono la visione e le scelte dei soggetti, in cooperazione e conflitto tra di loro. Negli Stati Uniti questo equilibrio da tempo si sta dissolvendo e sembra ormai sul punto di precipitare. Da qui le forzature e i colpi di mano che spesso riescono a ferire ed annichilire l’avversario, divenuto ormai il nemico, ma che contestualmente erodono pericolosamente ed inesorabilmente la maschera di imparzialità e di legittimità del potere istituzionale. L’attuale classe dirigente statunitense vive ormai in questo stato, prigioniera di una catena di decisioni ed errori dalla quale sarà sempre più difficile liberarsi e la cui stretta spinge a decisioni sempre più distruttive e catastrofiche. L’immagine di un ex presidente, papabile di ridiventarlo, sotto le forche caudine di una giustizia arbitraria, privo del suo inseparabile stemma a stelle e strisce sul bavero della giacca può sembrare banale. E’ il segno inquietante, invece, di una parte significativa di popolo e di un suo rappresentante che non si riconoscono più in una istituzione. Mala tempora currunt. Buon ascolto. Pur con qualche difetto tecnico di trasmissione, ascoltate attentamente. Giuseppe Germinario

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L’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è stato super significativo, di Andrew Korybko

L’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è stato super significativo

Andrew Korybko
2 ore fa

La visita di Zelensky è destinata a plasmare il corso della guerra per procura tra NATO e Russia nei prossimi tre mesi, prima del vertice del blocco all’inizio di luglio. Il ruolo di Varsavia nei prossimi eventi influenzerà fortemente l’operato di Kiev in questo momento cruciale del conflitto, da cui la tempistica con cui il leader ucraino ha deciso di incontrare la sua controparte. Per quanto Zelensky stia pianificando tutto con cura, tuttavia, potrebbe ancora fallire nel ribaltare le sorti della sua parte.

Simbolismo e sostanza

Il primo viaggio di Stato di Zelensky in Polonia dall’inizio dell’operazione speciale russa dello scorso anno si è svolto all’inizio della settimana, durante il quale è stato insignito della più alta onorificenza civile del Paese ospitante, l’Ordine dell’Aquila Bianca. La sua visita è avvenuta in un momento cruciale della guerra per procura tra la NATO e la Russia, il che aggiunge un elemento di intrigo alla visita, così come il suo simbolismo. Il presente articolo analizzerà quindi quanto sopra per comprendere meglio l’importanza dell’ultimo viaggio di Zelensky.

Le ultime dinamiche strategico-militari

Per cominciare, a metà febbraio il capo della NATO ha dichiarato che il suo blocco è in una cosiddetta “gara logistica”/”guerra di logoramento” con la Russia, che Mosca sta vincendo, come dimostra la sua continua resistenza militare e l’osservazione di Zelensky, alla fine del mese scorso, di essere a corto di munizioni. Il fondatore di Wagner Prigozhin ha anche recentemente rivendicato la vittoria nella battaglia di Artyomovsk/Bakhmut, dopo che il suo gruppo ha catturato il centro amministrativo della città, il che ha provocato un’inversione di rotta da parte del leader ucraino.

A fine febbraio aveva detto che le sue forze avrebbero potuto abbandonare l’area se le perdite fossero diventate irragionevoli, ma il mese scorso ha dichiarato alla CNN che la perdita di quella città avrebbe potuto portare la Russia a conquistare il resto del Donbass. Zelensky si è poi basato su questa previsione per avvertire, poco più di una settimana fa, che sarà sottoposto a pressioni in patria e all’estero per “scendere a compromessi” con Mosca se ciò accadrà, ma ora è tornato alla sua posizione precedente dopo aver preconizzato al pubblico un possibile ritiro.

Resta da vedere cosa succederà alla fine, ma non c’è dubbio che le dinamiche strategico-militari favoriscano la Russia. Questo non è un pio desiderio, ma si basa sui dettagli schiaccianti contenuti nel reportage del Washington Post della metà del mese scorso sulla scarsa efficienza delle forze di Kiev. Tenendo presente questo contesto più ampio, è chiaro che l’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è avvenuto davvero in un momento cruciale del conflitto.

La Confederazione polacco-ucraina di fatto

Per quanto riguarda il simbolismo, la Polonia è uno dei principali alleati dell’Ucraina, tanto che lo scorso maggio, durante la visita del Presidente Duda a Kiev, i due Paesi hanno dichiarato la loro reciproca intenzione di eliminare tutti i confini tra loro. Questo li ha portati a fondersi gradualmente in una confederazione de facto, che fa avanzare il progetto geopolitico della Polonia di ripristinare il suo commonwealth perduto per perseguire il suo grande obiettivo strategico di tornare a essere una Grande Potenza.

La riaffermazione da parte di Zelensky del reciproco intento di eliminare tutti i confini tra i due Paesi durante il suo ultimo viaggio in Polonia avvalora questa valutazione, così come la spinta di un lobbista neoconservatore a favore di questo progetto geopolitico in un recente articolo per l’influente rivista Foreign Policy. Nell’ottica di legittimare lo status dell’Ucraina come protettorato de facto del suo Paese, Duda ha dichiarato che Varsavia sta cercando di ottenere ulteriori garanzie di sicurezza per il suo vicino in vista del prossimo vertice NATO di quest’estate.

Problemi polacco-ucraini

Per quanto i due vogliano fondere gradualmente i loro Paesi in una confederazione di fatto, rimangono ancora alcuni ostacoli molto seri sulla loro strada. Per cominciare, c’è ovviamente la questione del finanziamento di questo progetto geopolitico, che la Polonia non può permettersi. In secondo luogo, i polacchi sono disgustati dalla glorificazione dell’Ucraina del collaboratore fascista e genocida di Hitler, Bandera. Più lo Stato polacco lo tollera, nonostante la sua occasionale retorica in difesa della verità storica, più i polacchi medi si arrabbiano.

Partendo da questa osservazione, la terza sfida a questo progetto geopolitico è l’aumento del sentimento anti-establishment in Polonia, che potrebbe portare il partito della Confederazione a conquistare un numero di voti tale da costringere il partito al governo a formare una coalizione di governo con loro. Questo risultato potrebbe mettere in crisi questi piani, ritardandone indefinitamente l’attuazione, soprattutto se la Confederazione trovasse un modo per bloccare i finanziamenti necessari e/o le garanzie di sicurezza.

Le prospettive di un intervento militare polacco

Prima delle prossime elezioni, tuttavia, possono ancora accadere molte cose, tra cui un intervento militare polacco in Ucraina. L’ambasciatore polacco in Francia ha tuonato alla fine del mese scorso che “se l’Ucraina non difende la sua indipendenza, non avremo altra scelta che entrare nel conflitto. I nostri valori fondamentali, che sono la pietra angolare della nostra civiltà, la nostra cultura saranno in grave pericolo, quindi non abbiamo scelta”. Anche se l’ambasciata ha detto che le sue parole erano decontestualizzate, l’intento era chiaro.

La Russia ha messo in guardia da tempo su questo scenario, che potrebbe rappresentare un’escalation senza precedenti nella guerra per procura della NATO contro di essa, in quanto la Polonia è un membro ufficiale del blocco, i cui Paesi hanno obblighi di difesa reciproca. Un intervento polacco potrebbe quindi servire da filo conduttore per l’alleanza anti-russa per formalizzare il suo ruolo in questo conflitto, soprattutto nel caso in cui la Polonia annunci la sua “unificazione” con l’Ucraina e la porti sotto il suo ombrello.

Sebbene questa sequenza di eventi rimanga speculativa, è comunque fondata su una base fattuale come è stato spiegato finora in questo pezzo, soprattutto considerando le svantaggiose dinamiche strategico-militari che hanno gettato una nuvola sull’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia. Tornando a queste, e tenendo conto delle parole dell’ambasciatore polacco in Francia e dei leader dei due Paesi che hanno ribadito la volontà di eliminare ogni confine tra loro, gli osservatori non dovrebbero scartare la possibilità che ciò avvenga.

Variabili dello scenario

In effetti, potrebbe verificarsi prima delle prossime elezioni autunnali, nel caso in cui la conquista di Artyomovsk da parte della Russia la portasse ad attraversare il resto del Donbass, come previsto da Zelensky, il che potrebbe spingere la Polonia a intervenire secondo le condizioni stabilite dal suo ambasciatore in Francia. Le uniche variabili che potrebbero credibilmente controbilanciare questo scenario sono la Russia che continua a fare solo progressi frammentari sul terreno o Kiev che accetta un cessate il fuoco con Mosca prima di riprendere i colloqui di pace.

Le possibilità della prima ipotesi potrebbero essere rafforzate da un afflusso di armi moderne occidentali in Ucraina, mentre quelle della seconda potrebbero essere ridotte dalla Polonia che promette tutto il sostegno necessario a Kiev per non sentirsi costretta dalle circostanze a negoziare con la Russia. È qui che probabilmente risiede lo scopo dell’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia, ovvero esplorare esattamente ciò che Varsavia potrebbe fornire in questo senso, per valutare meglio se valga la pena di prenderlo seriamente in considerazione in questo momento cruciale del conflitto.

Rivalutare la richiesta di Duda alla NATO

In un’intervista rilasciata a Le Figaro all’inizio di febbraio, Duda ha lasciato intendere di temere che la Francia possa cercare di mediare un cessate il fuoco, il cui scenario potrebbe essere favorito dal viaggio in corso di Macron in Cina, il cui piano di pace in 12 punti è stato elogiato dal Presidente Putin durante la visita del suo omologo a Mosca il mese scorso. Le dinamiche politiche di questo conflitto sono quindi altrettanto svantaggiose, dal punto di vista comune di Kiev e Varsavia, di quelle strategico-militari, poiché entrambe puntano a un imminente cessate il fuoco.

Questa osservazione aggiunge un ulteriore contesto alla richiesta di Duda che la NATO dia all’Ucraina maggiori garanzie di sicurezza. La sua dichiarazione può ora essere interpretata sia come un’allusione a un prossimo intervento militare polacco (indipendentemente dal fatto che questo sia preceduto dalla formalizzazione della loro confederazione), sia come un suggerimento che tali garanzie potrebbero essere presto estese per rassicurare Kiev del sostegno duraturo del blocco nel caso in cui fosse costretta dalle circostanze ad accettare un cessate il fuoco con la Russia (indipendentemente da chi potrebbe mediarlo).

L’imminente controffensiva ucraina

Il desiderio di Duda che ciò avvenga nei prossimi tre mesi, prima del vertice NATO di inizio luglio, pone una scadenza concreta alla sua richiesta, che coincide con la prevista controffensiva di Kiev. A questo proposito, il precedente rapporto del Washington Post ha mitigato le aspettative sul suo successo, così come l’ultima valutazione dell’ex comandante delle forze terrestri polacche. Waldemar Skrzypczak ha dichiarato ai principali media polacchi che l’Ucraina “non è pronta” per questo e che “ora è il momento dei politici”.

Ai cinici che potrebbero affermare che questo ufficiale in pensione non dispone di informazioni accurate sulle dinamiche strategico-militari del conflitto, va ricordato ciò che il capo di Stato Maggiore in carica delle Forze Armate polacche, il generale Rajmund Andrzejczak, ha dichiarato ai media finanziati pubblicamente a fine gennaio. Ha avvertito che il tempo sta per scadere per Kiev, ha confermato che la potenza militare della Russia rimane ancora formidabile e ha espresso la seria preoccupazione che l’Ucraina possa alla fine essere sconfitta.

Nonostante questa terribile analisi del più alto funzionario militare polacco, che è indiscutibilmente in grado di ricevere le informazioni classificate più aggiornate sulla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina, Kiev probabilmente tenterà comunque la sua prevista controffensiva. Questo influenzerà a sua volta se la Polonia formalizzerà la loro confederazione de facto e/o interverrà militarmente a suo sostegno, quali garanzie di sicurezza la NATO potrebbe dare a Kiev e se si raggiungerà un cessate il fuoco prima del vertice estivo del blocco.

Riflessioni conclusive

Questo approfondimento porta a concludere che l’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è stato super significativo, in quanto destinato a plasmare il corso della guerra per procura tra NATO e Russia nei prossimi tre mesi. Il ruolo di Varsavia nei prossimi eventi influenzerà fortemente l’operato di Kiev in questo momento cruciale del conflitto, da cui il tempismo con cui il leader ucraino ha deciso di incontrare la sua controparte. Per quanto Zelensky stia pianificando tutto con cura, tuttavia, potrebbe ancora fallire nel ribaltare le sorti della sua parte.

https://korybko.substack.com/p/zelenskys-latest-trip-to-poland-was

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La de-dollarizzazione del commercio brasiliano-cinese fa più luce sulla grande strategia di Lula, di Andrew Korybko

Nonostante Lula promuova il multipolarismo finanziario a spese indiscutibili del dollaro, è solidamente allineato con i liberal-globalisti al potere negli Stati Uniti, soprattutto a livello di politica interna e socio-culturale.

Breve contesto

All’inizio di questa settimana il Brasile e la Cina hanno raggiunto un accordo per la de-dollarizzazione del loro commercio, che accelererà i processi di multipolarità finanziaria nel contesto della transizione sistemica globale. La tempistica è stata curiosa, tuttavia, dal momento che il ministro dell’Agricoltura brasiliano Carlos Favaro ha dichiarato ai media lo scorso fine settimana che “tutte le azioni di governo sono rinviate” a causa della cancellazione del viaggio programmato da Lula dopo essersi ammalato. Anche se lo ha riprogrammato per l’11-14 aprile, le parti hanno deciso di firmarlo la scorsa settimana invece di aspettare fino ad allora.

Inoltre, ciò è avvenuto nella stessa settimana in cui gli Stati Uniti hanno ospitato il secondo “Vertice per la democrazia”, al quale Lula non ha partecipato in video come previsto con il pretesto della sua recente malattia. Ciononostante, ha inviato una lunga dichiarazione che i media alleati hanno riportato erroneamente come filo-russa, la cui descrizione è screditata da fatti verificabili provenienti da fonti ufficiali qui e dal testo stesso che è stato poi pubblicato integralmente qui. La Russia non è affatto menzionata e il testo sembra una lettera d’amore ai democratici statunitensi.

L’allineamento ideologico di Lula con i liberali-globalisti statunitensi

Lula è ideologicamente allineato con i liberali-globalisti, che gli intrepidi lettori possono approfondire consultando la raccolta di articoli condivisa alla fine di questa analisi qui. Non sorprende quindi che nella sua lettera abbia insinuato che l’opposizione brasiliana sia “estremista”, abbia condannato la “disinformazione” che, a suo dire, sta guidando quest’ultima come pretesto per imporre potenzialmente più censura nel prossimo futuro, come parte della sua campagna di consolidamento del potere sostenuta dagli Stati Uniti, e abbia elogiato le persone “LGBTQIA+”.

Queste agende, che il presidente ha presentato al “Summit per la democrazia”, sono in linea con le cause propagandate in tutto il mondo dal finanziatore della Rivoluzione Colorata George Soros, che ha appoggiato entusiasticamente Lula nel suo discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a metà febbraio. L’ultimo paragrafo, riguardante in particolare le persone LGBTQIA+, contraddice direttamente il sostegno ufficiale della Russia ai valori morali tradizionali, come promulgato nel suo nuovo concetto di politica estera che può essere letto qui.

Nell’ottavo paragrafo, la Russia avverte che “Una forma diffusa di interferenza negli affari interni degli Stati sovrani è diventata l’imposizione di atteggiamenti ideologici neoliberali distruttivi che vanno contro i valori spirituali e morali tradizionali”. Questo passaggio giustifica l’obiettivo ufficiale di difendere i valori morali tradizionali, citato una dozzina di volte, spiega perché la Russia ha vietato la propaganda LGBT+ e aggiunge un contesto alla conclusione del Presidente Putin secondo cui l’élite liberale promuove la pedofilia.

Gestire la percezione statunitense della politica di multipolarità finanziaria del Brasile

La dimensione socio-culturale della visione del mondo di Lula è quindi opposta a quella della Russia, che presumibilmente considera “bigotta” e “fascista”, proprio come fanno in genere i suoi sostenitori liberal-sinistri. Tuttavia, questi due Paesi BRICS condividono l’obiettivo comune del multipolarismo finanziario, spiegando così la sua decisione di de-dollarizzare il commercio brasiliano-cinese. Tornando a questo sviluppo, la sua tempistica suggerisce che Lula ha voluto che ciò avvenisse in modo relativamente più silenzioso rispetto al suo annuncio mentre era in piedi con la sua controparte.

Poiché era già stato concordato, la sua sfida era quindi quella di gestire la percezione degli Stati Uniti, poiché non voleva rischiare di offendere i suoi colleghi “guerrieri della giustizia sociale”, come AOC e Bernie Sanders, entrambi incontrati durante il suo viaggio a Washington a febbraio. Lula voleva anche evitare di offendere il suo nuovo amico Biden, dopo che i due avevano concordato di rafforzare in modo globale la partnership strategica dei loro Paesi nella loro dichiarazione congiunta, che può essere letta sul sito ufficiale della Casa Bianca qui e analizzata qui.

A tal fine, la sua ultima malattia è stata politicamente conveniente, nel senso che gli ha permesso di posticipare il suo viaggio programmato in modo che non coincidesse con il secondo “Vertice per la democrazia” degli Stati Uniti e quindi di autorizzare la firma dell’accordo di de-dollarizzazione in sua assenza con un’attenzione relativamente minore. Come spiegato in precedenza, ha voluto fare del suo meglio per gestire la percezione degli Stati Uniti su questo sviluppo che fa avanzare l’obiettivo del Brasile di multipolarità finanziaria a spese indiscutibili del dollaro.

Lo scenario della competizione ideologica russo-brasiliana in Africa

Per quanto i suoi alleati mediatici e i sicofanti dei social media sostengano il contrario, è comunque di fatto falso descrivere Lula come contrario agli Stati Uniti, come dimostrato dalla sua dichiarazione già citata ai partecipanti al vertice della scorsa settimana e da quella congiunta con Biden a febbraio, anch’essa linkata in precedenza. Nonostante la sua promozione del multipolarismo finanziario a spese indiscutibili del dollaro, è solidamente allineato con i liberal-globalisti al potere negli Stati Uniti, soprattutto in ambito politico e socio-culturale.

Le due dichiarazioni citate dimostrano che Lula condivide la missione liberal-globalista di Biden di delegittimare le rispettive opposizioni come “estremiste”, di preparare l’imposizione di una maggiore censura con il suddetto pretesto e di propagandare le cause LGBT+ in piena collaborazione tra loro. Quest’ultima parte contraddice direttamente uno dei precetti chiave contenuti nel nuovo concetto di politica estera della Russia, ovvero la difesa dei valori morali tradizionali, e costituisce quindi una minaccia ibrida.

Comunque sia, il Brasile come Stato non è una minaccia per la Russia, ma la sua potenziale propagazione di cause LGBT+ in collusione con gli Stati Uniti in Paesi terzi in cui anche Mosca ha interessi, come quelli tradizionalmente conservatori in Africa come l’Uganda, potrebbe costituire una sfida asimmetrica non amichevole. Russia e Brasile potrebbero quindi trovarsi a competere per i cuori e le menti in quei Paesi, con la prima che difende le restrizioni sulla propaganda LGBT+ e il secondo che agita i locali contro di esse.

L’immaginario del Brasile come equilibratore tra Cina e Stati Uniti

Per quanto riguarda la Cina, invece, non ci si aspetta che il Brasile si scontri o entri in competizione con essa in alcun modo, poiché Lula prevede che il suo Paese sia in equilibrio tra la Cina e gli Stati Uniti. Da un lato, la Cina è il principale partner economico del Brasile e un alleato nel perseguire il comune obiettivo del multipolarismo finanziario. Dall’altro lato, gli Stati Uniti sono il principale partner brasiliano in materia di sicurezza e oggi sono anche una fonte di ispirazione per i suoi liberali-globalisti, che si ispirano al Partito Democratico al potere.

La questione è stata accennata di sfuggita in questa analisi, che ha interpretato l’elogio della Cina fatto dal ministro degli Esteri Vieira in un’intervista come “la possibilità che il Brasile tenti di trovare un equilibrio tra il leader statunitense del Miliardo d’oro, con cui Lula si è politicamente allineato, contro la Russia, e il motore economico cinese dell’Intesa sino-russa”. A prescindere dal successo di questo approccio, gli osservatori dovrebbero notare che la Russia non dovrebbe avere un ruolo di primo piano nella grande strategia di Lula.

Il commercio continuerà probabilmente a crescere in quanto reciprocamente vantaggioso, ma i legami politici potrebbero presto peggiorare nel caso in cui Lula estradasse una sospetta spia negli Stati Uniti per affrontare le accuse invece di deportarla in Russia, cosa che i lettori possono approfondire qui. Il potenziale viaggio del Ministro degli Esteri Lavrov in Brasile questo mese si concentrerà probabilmente su questo tema, esplorando anche la possibilità di espandere ulteriormente i loro legami economici, in particolare nel settore energetico, come suggerito dall’ambasciatore del Paese in Russia.

Sfatare la “grande bugia” della sinistra brasiliana

La nomina da parte di Lula dell’ex Presidente Rousseff alla guida della Nuova Banca di Sviluppo (NDB) dei BRICS dovrebbe quindi essere interpretata nel contesto dell’avanzamento degli obiettivi di multipolarità finanziaria del Brasile, invece di avere a che fare con la Russia come i suoi alleati mediatici e i sicofanti dei social media stanno facendo credere. La “Grande Bugia” della sinistra brasiliana e dei suoi sostenitori all’estero è che Lula è filo-russo, anche se i fatti dimostrano che è politicamente allineato con gli Stati Uniti contro la Russia nella guerra per procura con la NATO.

Faranno girare qualsiasi cosa faccia per mentire che è segretamente alleato con la Russia contro gli Stati Uniti, nonostante i fatti citati in questa analisi da fonti ufficiali sfatino completamente questa teoria letterale della cospirazione. Questo fatto “politicamente scomodo” non può mai essere riconosciuto apertamente, nemmeno nell’ipotesi che Lula estradi la sospetta spia negli Stati Uniti per affrontare le accuse, invece di deportarla in Russia, poiché i propagandisti temono che ciò riveli la verità sulla visione del mondo liberal-globalista di Lula, allineata agli Stati Uniti.

Nella loro mente, la falsa percezione di Lula come “rivoluzionario multipolare che si oppone all’egemonia statunitense” deve essere mantenuta a tutti i costi, per evitare che la suddetta verità sulla sua visione del mondo provochi una rivolta politica tra la base del Partito dei Lavoratori che lo costringa a ricalibrare la sua grande strategia. Questo spiega perché stanno spingendo così attivamente l’ultima narrativa di disinformazione che sostiene falsamente che il suo accordo di de-dollarizzazione con gli Stati Uniti significhi che egli è contrario e allineato con la Russia.

Il futuro delle relazioni russo-brasiliane

In realtà, la Russia è considerata da Lula solo un partner commerciale e un Paese con cui cooperare per perseguire i comuni obiettivi di multipolarità finanziaria. È ferocemente contrario alla sua difesa ufficiale dei valori morali tradizionali e soprattutto alle mosse militari che è stata costretta a fare per difendere le sue linee rosse di sicurezza nazionale in Ucraina dopo che la NATO le ha clandestinamente oltrepassate. Lula non lo dirà mai apertamente, ma con ogni probabilità pensa che la Russia sia “bigotta”, “fascista” e “imperialista”.

Nonostante ciò, continuerà a cooperare con la Russia su questioni di interesse comune, come spiegato, ma nessuno dei due può fare affidamento sull’altro, come la Russia può fare affidamento sull’India, partner dei BRICS, che Lula probabilmente ritiene anch’essa guidata da “bigotti” e “fascisti”, in accordo con la sua visione del mondo liberal-globalista. I limiti artificiali imposti alla loro partnership sono dovuti all’ideologia radicale del leader brasiliano, che tutti gli osservatori onesti devono riconoscere se aspirano ad analizzare accuratamente la sua grande strategia futura.

https://korybko.substack.com/p/the-de-dollarization-of-brazilian

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Ucraina, il conflitto 31a puntata La morsa del regime_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Tocca alla chiesa ortodossa subire la morsa sempre più soffocante del regime ucraino e sempre più spesso il suo tallone. L’obbiettivo è di renderla una istituzione del tutto collaterale ed asservita ai suoi voleri. Si tratta comunque di una operazione posticcia, tesa alla manipolazione ideologica della popolazione. Il vero retroterra culturale e gli idoli e simboli che sostengono e motivano la leadership sono di altra natura e risalgono a quanto di peggio abbia prodotto il ‘900. Nel frattempo il fronte continua a subire lenti ma costanti spostamenti grazie alla spinta dell’esercito russo. Nel frattempo dal cappello russo, a detta degli occidentali ormai a corto di sorprese, continuano ad uscire invece novità dell’arsenale disponibile. La costante rimane il carattere sempre più terroristico che sta assumendo la resistenza ucraina. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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La Turchia ed Erdogan! Un leader al tramonto? La continuità di una politica Con Antonio de Martini

Da diverse settimane si sente parlare poco di Turchia e del suo leader Erdogan. Il disastro sismico che ha colpito il sud-est del paese ha imposto certamente una maggiore attenzione ai problemi e alle politiche interne. L’attuale discrezione, però, appare più una scelta del sistema mediatico occidentale che una assenza e un disorientamento della leadership turca. Mancano in effetti pochi mesi alla scadenza elettorale. Qualche colpo sembra che Erdogan, dopo venti anni di dominio, stia perdendo; l’opposizione composita, d’altro canto, non sembra vivere una condizione migliore. Tutti fattori che spingono a credere che, a prescindere dal destino politico di un leader logorato dal tempo, le politiche e la spregiudicata postura geopolitica di quella nazione non cambierà significativamente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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L’OSSESSIONE DELL’ASSOLUTO, di Teodoro Klitsche de la Grange

NOTA

Questo articolo era pubblicato sul BEHEMOTH” N. 48 del 2010. Dato che è
ripetuto spesso l’insieme delle illusioni di cui la tesi lì criticata fa
parte, pare opportuno ripubblicarlo per i lettori de “L’Italia e il mondo”

Teodoro Klitsche de la Grange

L’OSSESSIONE DELL’ASSOLUTO (*)

  1. Alcuni contributi, apparsi sulla stampa[1] sostengono una tesi tanto spesso ripetuta – ed altrettanto contraddetta – ovvero che credere in Dio fa si che l’assoluto esista in politica, che questa sia la condizione perché si configuri come necessario il rapporto (presupposto del politico) di comando-obbedienza e che anche il presupposto dell’amico-nemico derivi o almeno sia rinfocolato dalla credenza in Dio.

Nel fascicolo-supplemento di MicroMega Flores D’Arcais pone il problema, così sintetizzato: “Che Dio esista o non esista, tutto è permesso. All’incombere del nichilismo non possiamo sottrarci: questa è la condizione umana, perché l’uomo è il Dio della norma. Ma l’ateismo (metodologico, ovviamente) è la condizione di possibilità della morale e della politica, perché solo escludendo Dio dalla argomentazione e dalla decisione pubblica (etsi Deus non daretur), la creazione della norma comune può avvenire in forma democratica” Sostiene il direttore di “Micromega” che, contrariamente alla nota espressione di Dostoevskij “ Se Dio esiste… tutto è permesso perché il mondo è un’ordalia senza fine, dove giostrano e si scontrano (spesso a morte) profeti e sovrani del «Dio lo vuole» pretese inconciliabili di essere ciascuno l’ermeneuta esclusivo del Sacro… Se Dio esiste,  il destino della terra è il nichilismo di una eterna ordalia, dove tutto è permesso, e l’unica legge effettiva è il «vae victis». Se Hitler avesse vinto, il suo successo sarebbe suonato divina conferma della sua pretesa di avere «Gott mit uns»… Se Dio esiste, non vi può essere potere se non di Dio e da Dio. Se Dio esiste, tutto il dovere degli uomini si risolve nell’obbedirlo. Non può esistere un potere autonomo, poiché l’autos-nomos,  il  darsi da sé la propria legge, sarebbe solo ribellione contro Dio”; tuttavia  “anche se Dio non esiste, tutto è permesso, Senza Dio non c’è autorità trascendente alla cui legge obbedire: Ogni morale è possibile: Se Dio non esiste è inevitabile l’autos-nomos, ciascuno è legge a se stesso… Chi deciderà, allora, l’autos del nomos? La guerra la forza, il successo. Se Dio non esiste non vi è infatti alcun nomos che sia sovrumano. Se non viene da Dio e non fa tutt’uno con lui, la Grundnorm che regge l’intero edificio delle norme, per dirla con Kelsen e positivamente, è un fatto, una decisione”; per cui “ Che Dio esista o non esista, dunque, non si sfugge: tutto è permesso: Questa è la condizione umana ineludibile: L’uomo è l’animale a rischio di nichilismo. Questo rischio è la sua natura. E per affrontare questo rischio, o semplicemente per convincerci, l’esistenza di Dio è irrilevante. Ci sia un Dio o sia solo la nostra illusione, all’incombere del nichilismo non possiamo sottrarci, tutto è permesso, sempre e comunque: In altri termini: l’uomo è il creatore e signore della norma”.

In altre parole il richiamo alla divinità, contrariamente a quanto pensato da tanti, sarebbe fonte non di ordine, ma, semmai, di disordine: guerra, tirannide, oppressione. “Solo aver messo Dio tra parentesi, averlo estromesso dalla sfera pubblica, ha salvato l’Occidente dall’annientamento delle guerre civili”. E prosegue “La creazione della norma è creazione in senso proprio: ex nihilo. Che Dio esista o non esista, l’uomo è il Dio della norma. Non esiste una norma già data in natura. In natura esistono solo fatti, eventi. Essere, non dover essere. Essere il creatore della norma è invece il solo imperativo che la natura impone all’uomo”. Ma quale norma? “Una norma qualsiasi, purché funzioni. Tutte quelle che hanno funzionato e che funzioneranno nel garantire a homo sapiens sapiens periodi di sorpravvivenza sono perciò stesso leggi naturali, norme che obbediscono alla natura umana e la rispettano”. Ma tra queste leggi naturali, vi sono anche, e prima delle norme, quelle che regolano esistenza e funzionamento delle società umane. In particolare quelle che Miglio chiamava le “costanti del politico” e Freund, in un altro contesto, e con un significato parzialmente diverso, i presupposti del politico. Che sono insopprimibili: malgrado da oltre venticinque secoli gli uomini stiano immaginando società senza distinzione di amico/nemico, senza comando/obbedienza e senza pubblico/privato, non si ha notizia di alcuna società umana – se non (forse) quella di Robinson Crusoe con Venerdì – in cui non ci sia stato chi comanda e chi obbedisce, cosa è pubblico e cosa è privato, chi è amico e chi nemico. L’ultimo grandioso tentativo di realizzare un quissimile di tali ricorrenti illusioni è stato il marxismo-leninismo, con l’edificazione del socialismo reale nella prospettiva (futura)\ della “società senza classi”; collassato dopo qualche decennio per implosione, senza neppure una guerra (diretta e combattuta con mezzi militari) che ne provocasse la caduta. E’ caduto da se per rigetto spontaneo (come nei trapianti d’organo mal riusciti) da parte di quelle società umane dominate dalla classe dei “rivoluzionari di professione”.

La stessa sorte di Dio, scrive Flores, subiscono le altre, per così dire, ipostatizzazioni (la Natura, la Ragione, la Storia): tutte occultanti chi, sotto le stesse, cerca di presentare come “oggettive e cogenti le proprie convinzioni. Che, invece, se presentate in nome proprio, di individuo pensante e fallibile, sarebbero sottoposte” alla critica e perfino al compromesso. Verità assoluta quindi nel primo caso, opinione relativa nel secondo “Qui la convinzione più ferma e intransigente apre comunque i propri valori al dubbio, nel primo caso ogni tolleranza è sempre e al massimo concessione provvisoria… attribuire a Dio la propria opinione è delirio di onnipotenza, che maldestramente occulta il timore di non avere argomenti umani sufficienti”. Per cui  l’ateismo metodologico è la “condizione di possibilità della morale e della politica… Perché argomentare la norma sotto responsabilità propria, anziché in nome di Dio, non elimina il rischio del nichilismo morale (sempre incombente…) che accompagna ogni Logos che si pretenda assoluto”.

Quindi “Escludere Dio dalla argomentazione e dalla decisione pubblica è condizione essenziale perché la creazione della norma comune possa avvenire in forma democratica. Non a caso, demos-cratia implica che la legge può avere quale unico «fondamento» gli uomini stessi, la loro sovranità. E il disincanto del mondo che la precede”.

Tuttavia tale presupposto, cioè di rimettere alla decisione delle comunità umane la modellazione  delle istituzioni (e quindi, anche delle norme) era già nella dottrina del diritto divino provvidenziale, comune a buona parte della teologia cristiana.

Per la quale il potere costituente (come l’avrebbe denominato, secoli dopo, l’abbè Sieyès) è stato dato da Dio alle comunità umane e perciò queste hanno facoltà di darsi le istituzioni, i governanti e le leggi che vogliono. Non possono tuttavia violare la legge naturale. Ma su questa espressione bisogna intendersi: legge naturale non significa solo quella (positiva) data da Dio – come il Decalogo – ma anche quella dell’ordine delle cose. Ad esempio le comunità umane possono decidere di governarsi come aristocrazie piuttosto che democrazie, o come monarchie invece che “stati misti”, ma non di non darsi un[2] ordinamento politico, perché contrario alla natura dell’uomo (zoon politikon). Per cui non darsi un ordine politico non comporta di “uscire” dalla politica o dalla storia, ma soltanto che sarà un altro popolo (un’altra comunità o gruppo umano) a imporre quell’ordine, comandando e, all’occorrenza, identificando il nemico.

Continua Flores “La laicità, cioè la metanorma «etsi Deus non daretur», è dunque la precondizione, e la democrazia (il potere simmetrico di tutti e di ciascuno) è la chance effettiva per addomesticare lo spettro sempre incombente del nichilismo”.

E ateismo “significa semplicemente privarsi di Dio. Rinunciare all’Assoluto nello spazio pubblico, privarsi in esso sia di Dio che degli Idola che lo surrogano (Storia, Natura, Destino), significa esattamente assumere e praticare l’a-teismo metodologico quale virtù civica. Il comune orizzonte di valore cui siamo arrivati è dunque l’argomentazione razionale – e non un qualsiasi dogmatismo – come strumento della con-vivenza tra individui uguali. L’argomentazione, cioè i fatti accertabili più la logica. Solo su questa pietra di a-teismo metodologico e civico è possibile sottrarsi al baratro del relativismo nichilista”.

  1. Invero il ragionamento di Flores è contrario sia a ciò che hanno sostenuto i credenti (la fede in Dio è un elemento necessario dell’ordine) sia molti non credenti: i quali non hanno fede in Dio, ma considerano la religione utile instrumentum regni. Oltre a coloro che ritengono che, anche senza la fede in Dio, (ricorrendo cioè ai surrogati) l’assoluto è sempre presente nella politica (e nella storia).

Ed è questo l’aspetto che più interessa: In effetti Flores fa un ragionamento che presuppone (e crede) alla possibilità di costruire una politica senza Assoluto: ma questa credenza, tante volte ripetuta è, sul piano fenomenologico infondata e, peraltro, contraddittoria.

Fu avanzata durante (e dopo) la Rivoluzione Francese (ovviamente                                       non da tutti i rivoluzionari e pensatori borghesi) nella forma della “limitazione” alla sovranità, attribuita alla costituzione inglese; cui risposero, tra i primi, negli anni successivi sia de Maistre che de Bonald.

Il primo sostenendo “Ma quando i tre poteri che in Inghilterra costituiscono la sovranità sono d’accordo, che cosa possono fare? Bisogna rispondere con Blackstone: TUTTO. E che cosa si può fare legalmente contro di loro? NIENTE”; il secondo “ In uno Stato occorre sempre qualcosa d’assoluto, in difetto del quale non si può governare. Quando l’assoluto è nella costituzione, l’amministrazione può esser senza rischio moderata ed anche debole: ma quando la costituzione è debole, occorre che l’amministrazione sia assai forte”. Dimostrando così che il potere sovrano, cioè quello assoluto per definizione, non solo non può essere limitato ma non può esserlo perché verrebbe meno la condizione prima dell’unità (e dell’esistenza) politica. Né è da credere che anche “nell’altro campo” si pensasse, da molti, qualcosa di diverso: Sieyès faceva del potere costituente, assoluto, il modellatore della forma politica, di fronte al quale non c’è limite positivo: “La Nazione esiste prima di ogni cosa, essa è l’origine di tutto: La sua volontà è sempre conforme alla legge, essa è la legge stessa: Prima di esso e al di sopra di essa non c’è che il diritto naturale”. Lo stesso Kant formula il principio che “il sovrano nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo )”, in perfetta analogia col rapporto “dell’uomo con un ente che ha soltanto diritti e nessun dovere (Dio)”.

Essere “assoluto” in termini politici (e giuridici) significa proprio questo: avere solo diritti e nessun dovere. Per cui tutte le teorie che credevano di poter “limitare” la sovranità, cioè l’ “assoluto” politico finiscono per rivelarsi delle mere illusioni, magari seducenti, e persino, in una certa misura, da difendere e coltivare. Senza mai però prenderle troppo alla lettera e seguirle in ogni possibile  sviluppo perché in definitiva non portano da nessuna parte; e soprattutto non conducono a quella cui vorrebbero approdare.

In realtà rinunciare all’assoluto significa rinunciare al politico (e alla politica): questa richiede sempre la possibilità di conservare (e innovare) l’ordine comunitario; di fronteggiare le situazioni eccezionali, in primis (ma non solo) le guerre. Il detto romano Salus rei publicae suprema lex esprime precisamente il rapporto tra potere e legge (e norma), come tra potere ed ordine.

Proprio la storia del secolo passato ha dato infatti la più netta conferma che anche regimi  improntati all’ateismo ideologico (come il comunismo e il nazismo) non hanno potuto fare a  meno dell’assoluto politico (il partito, il politburò in un caso; il führer nell’altro): anzi hanno portato l’assolutismo alla sua forma più estrema e “potenziata”: il totalitarismo. Il che significa che anche credendo di eliminare l’Assoluto dalla metafisica (o negando la metafisica), non lo si elimina dalla politica. L’unica differenza è di aver sostituito la teologia con l’ideologia; e i teologi con gli ideologi. Anzi le stesse democrazie liberali, quando si trovavano in situazioni eccezionali prescrivono (e concedono) ai loro governi poteri eccezionali, come notava, tra molti, Sorokin: per cui nello stato d’eccezione tutti i governi diventano assoluti. Come sosteneva Hauriou, il potere di fatto non fa che rare apparizioni nei periodi di crisi o di “vacanza di legalità”; e non potendo avere un fondamento giuridico, si regge sul fondo (fond) metafisico o teologico. Perché l’uomo, come scriveva De Maistre, si trova tra due abissi: quello del dispotismo e quello, opposto, dell’anarchia. E realisticamente è questa la condizione (politica) umana, dalla quale è illusorio pensare di affrancarsi. Così le democrazie liberali, accanto ai principi dello Stato borghese, non solo si fondano su un principio politico “puro” (democratico, aristocratico e monarchico), ma si sono servite di un’ampia gamma di strumenti (organi straordinari; sospensioni, deroghe e rotture della Costituzione; misure d’emergenza, stati d’assedio) volti a contemperare l’aspirazione  alla libertà politica e  civile con la necessità , almeno in certi frangenti, di un potere assoluto (o comunque legibus solutus).

Vero è che Flores scrive di “ateismo metodologico” che appare essenzialmente come la rimozione di Dio dalla sfera pubblica, e, in tal senso, comportamenti pubblici etsi Deus non daretur: il che significa che nel privato uno può credere, purché non porti tale fede nei rapporti pubblici. Ciò vuol dire ritenere, quale punto fermo, quei valori di tolleranza e dialogo; tuttavia questi non assicurano che non vi sia necessità del comando, né possibilità del nemico. Anzi questi è, sicuramente, colui che non crede nella tolleranza e nel dialogo. Roosevelt e Churchill erano sicuramente “dialoganti” e “tolleranti” ma il tutto non impedì loro di distruggere con bombardamenti terroristici  Hiroshima e Dresda, Amburgo e Nagasaki, per debellare (“resa incondizionata”, che è proprio l’opposto del trattato di pace come inteso nello jus publicum europeaum) quei nemici che a quei valori (e procedure) non credevano. E qualcosa d’analogo accade nell’ordinamento interno. In politica e nelle comunità ordinate c’è sempre il momento dell’assoluto, di ciò che non è ulteriormente discutibile, quale oggetto (e conseguenza) di decisioni irrevocabili. Dal giudicato tra condomini (partendo dal basso) e risalendo fino agli atti espressione di sovranità (come quelli costituenti o dello stato d’eccezione, le rotture costituzionali e così via). In fondo aveva ragione Locke quando diceva che, in certi frangenti, non c’è che l’appello al cielo (quindi all’Assoluto). E ancor di più Vico nel sostenere, distinguendo tra certum e verum, che certum ab auctoritate, verum a ratione. La certezza richiede l’autorità, la verità la ragione, e non sempre, per così dire, coincidono: anzi, non coincidono spesso e, in ogni caso una comunità può prosperare senza verità assolute (la “religione ufficiale”, cioè pubblica), ma non senza certezze. E l’esigenza di queste porta, in ogni caso, al momento in cui la discussione cessa e la decisione interviene senza possibilità d’appello; in questo senso  assoluta.

E’ perciò appare quanto meno imprudente l’affermazione che passare all’”ateismo metodologico” significa realizzare (un elemento del) “disincanto” del mondo mentre invece appare, al contrario, un reincantamento, col sostituire all’assoluto un qualcosa che assoluto non è o si pensa che non lo sia, ma alla fine, per necessità, e magari suo malgrado, lo deve diventare.

  1. Di reincantamento, ancora, occorre a pieno titolo parlare quando Flores sostiene che se si consegna Dio (o, i di esso surrogati) alla sfera privata, a decidere le norme è ciascuno di noi.

Da una parte, a questa è sottesa l’antica aspirazione alla “legge senza comando” (cioè non eteronoma) dall’altra non è chiaro in che modo la teologia cristiana possa aver contrastato la concezione che la comunità possa darsi leggi positive. Anzi se si parte sia dal pensiero tomista che da quello di molte sette protestanti, è proprio il contrario: la dottrina del diritto divino provvidenziale è, secolarizzata, la base (forse principale) delle democrazie liberali, come notavano Hauriou e Carré de Malberg (tra gli altri). La teologia cristiana, nel presupposto della libertà di coscienza del cristiano, dell’autorità della legge divina, della distinzione tra potere temporale e spirituale, è stata il lievito della società e dello Stato moderno. Ad esempio Hauriou sintetizza così la dottrina teologico-politica dei tomisti e (poi) dei pensatori controrivoluzionari: “…La dottrina del diritto divino provvidenziale (de Maistre e de Bonald) secondo cui il potere, nel suo principio fondamentale fa parte dell’ordine provvidenziale del mondo, ma è a disposizione dei governanti mediante mezzi umani; questa dottrina permette altrettanto adeguatamente sia la giustificazione del potere minoritario, esercitato da un’élite, che del potere maggioritario, esercitato dalla maggioranza del popolo (vox populi vox Dei)”[3] per concludere “La teologia cattolica pone il primato della libertà umana: l’ordine divino si propone all’uomo per mezzo della grazia”.[4]

In effetti la concezione/integrazione di S. Tommaso all’originale frase di S. Paolo “Non est potestas nisi a Deo”, cui l’Aquinate aggiunse “per populum” è stata fondamentale per la secolarizzazione del potere e della “titolarità” della politica agli uomini, per di più con avallo divino.

Otto von Gierke, pur dando un’importanza decisiva alla teologia protestante per la formazione dello Stato moderno, non trascura la dottrina della Seconda Scolastica, e scrive che i più accaniti avversari della Riforma, “particolarmente i  Domenicani ed i Gesuiti impugnarono tutte le loro armi spirituali a favore di una costruzione puramente temporale dello Stato e del diritto di sovranità… Anche i maggiori teorici di questa tendenza sono d’accordo nel ritenere che l’unione statale abbia le sue radici nel diritto naturale, che in forza di questo spetti alla collettività associata la sovranità sui suoi membri, e che ogni diritto dei governanti provenga dal volere della collettività alla quale il diritto naturale attribuisce la facoltà e l’obbligo di trasmettere i propri poteri”[5]. Altri giuristi hanno condiviso questa impostazione[6].

Certo non si può dire altrettanto di altre religioni: non foss’altro perché, come scriveva Gaetano Mosca, per lo più non conoscono la netta distinzione tra potere spirituale e temporale: nella quale, si deve concordare con Flores (e con Mosca), consiste il primo fondamento della libertà. Ma questo è connotato peculiare del cristianesimo; estraneo a (quasi) tutte le altre confessioni religiose, e neppure del tutto estraneo al cristianesimo orientale (anche se moderatamente). Giustiniano si attribuiva, coerentemente alla visione cesaropapista, la cura di vigilare sui “vera Dei dogmata[7].

Quello che appare, parimenti, illusorio è il tentativo di risolvere l’eteronomia del comando (giuridico) nell’autonomia, “propria” di quello morale. Malgrado l’accenno al concetto funzionalistico (quindi tendenzialmente eteronomo) di norma, Flores poi pensa che tramite il voto (e il consenso) si raggiunga (o ci si avvicini) all’autos-nomos: il che è vero – in parte – ma, come al solito è necessario badare a non trarne le estreme conseguenze. Cioè credere che si realizzi la piena autonomia non foss’altro perché, per la minoranza dissenziente la norma promulgata dopo il dia-logos resta comunque eteronoma. E assoluta: perché Flores mette in guardia dalla “democrazia totalitaria” dal “dispotismo delle maggioranze”, e scrive giustamente che “la democrazia liberale nasce come correttivo e antidoto ai rischi di dispotismo della maggioranza. Il costituzionalismo esprime questo limite e questa sequenza con il nome di diritti dell’uomo inalienabili”.

Solo che quando si scrive di diritti inalienabili, intangibili, insopprimibili, inviolabili e così via, non si fa altro che scomodare… l’assoluto, perché significa che, in luogo della volontà sovrana, diventano assoluti quei diritti (e perciò non possono essere conculcati da quella, la quale, come scriveva, tra i tanti, Orlando, così diventa non più… sovrana).

L’assoluto tolto di qua, rispunta di là, come scriveva de Bonald (v. sopra). Cosa notata nello stesso fascicolo di Micromega da Vattimo il  quale scrive, peraltro, che dovrebbe chiamarsi nichilismo proprio la tesi di Flores del prender atto che la norma dipende solo da noi “anche per rispettare il «diritto» di Nietzsche che l’ha battezzato appunto così”. Il quale in “Umano, troppo umano” scriveva “Ma dove il diritto non è più, come da noi, tradizione, esso può essere solo imposto, solo costrizione; noi tutti non abbiamo più un senso tradizionale del diritto, perciò dobbiamo accontentarci di diritti arbitrari, che sono espressione della necessità che esista un diritto”.

Che esista un diritto è necessario e connaturale all’esistenza di un gruppo umano (ubi societas ibi jus), che sia “partecipato” e in certa misura “consensuale” è auspicabile ma non indispensabile all’esistenza del gruppo.

La quale è peraltro imperativo altrettanto assoluto nei regimi democratico-liberali che negli altri: tutti antepongono la salvaguardia dell’esistenza comunitaria a quella degli individui.

Persino la nostra Costituzione così irenica e politicamente emasculata scomoda il sacro e definisce “sacro dovere” del cittadino la difesa (e l’eventualità di morire) per la Patria, cioè per la comunità e l’unità politica: segno evidente di quale è la “scala” di priorità.

  1. Questa tesi della negazione dell’Assoluto metafisico, come necessità-presupposto per negare l’assoluto politico, è uno degli idola della modernità più ricorrenti (e più smentiti). Nell’essere ateo- anche se “metodologico”- s’intravede il desiderio di sentirsi indipendenti dal mondo e dalle costanti che regolano le società umane.

Fu accusato di ateismo un filosofo come Spinoza che, considerando comunque la grandiosità (e l’imprevedibilità) delle forze della natura,  la condensò nella formula “Deus sive natura” Il che significa non negare l’Assoluto ma toglierlo dal cielo, senza pertanto pretendere d’eliminarlo dalla terra. Per cui, in realtà l’”ateismo” moderno è, per lo più, alla fine, una sorta di panteismo, come sosteneva Donoso Cortés. Marx credeva di aver trovato la “soluzione dell’enigma della storia” col comunismo, clavis universalis  per l’interpretazione (ed il controllo) del mondo, almeno storico (economico e sociale). I fatti hanno provato che non era così: il comunismo è crollato senza aver , neppure alla lontana, realizzato il sogno della società senza classi, cioè l’uscita dell’uomo dalla storia. L’assoluto (Dio, la Ragione, la Storia) ha fagocitato (e poi rimosso) il colossale incidente storico costituito dal socialismo reale. Il quale è stato, peraltro e contraddittoriamente, quanto di più assoluto (politicamente) potesse essere realizzato.

V’è di più: ad analizzare la nozione di diritto naturale e di Nazione di Sieyès, il quale non fa che applicare le teorie giusnaturalistiche (da S. Tommaso a Spinoza) questo conferma che l’assoluto appartiene alla natura ed alla Storia e non è possibile agli uomini modificarlo: quod est naturale habenti naturam immutabilem, scriveva S. Tommaso. E Spinoza identificando potere e diritto (naturale): tantum juris quantum potentiae. Da cui deriva che dove non c’è potentia (non è concretamente possibile) non c’è neppure jus.

E per l’appunto, che possibilità c’è di indurre gli uomini ad essere atei metodologici, (che è come dire essere buoni, ragionevoli e così via) quando ancora oggi (tre secoli dopo l’illuminismo) non lo sono? Ed essere atei metodologici garantisce che non ammazzeranno il prossimo, tra l’altro, perché la pensa diversamente? Non c’è solo Osama da convincere a non uccidere qualche migliaio di civili, (tanto per ricordare chi è motivato dalla religione a condurre una guerra, senza limiti, e al quale un po’ di ateismo metodologico farebbe bene); ma anche i coreani, i tutsi e gli huto, l’Eta, gli osseti e i ceceni, i kosovari e i serbi e così via.

Tutti conflitti che non hanno alcun motivo riconducibile alla religione, ma piuttosto, e per lo più, a quello di costituire una propria unità politica su basi etniche e/o nazionali. E sarebbe un elenco sterminato citare tutte le guerre del passato fatte per ragioni non teologico-religiose, ma molto terrene: da quelle che Flores identifica come surrogati dell’Assoluto (Razza, Partito, ecc.) a quelle che con l’assoluto avevano assai poco da spartire: in particolare quelle fatte per il vile denaro (in questo caso promosso ad “assoluto”) o per interessi di potenza ovvero di (mera) conservazione della propria esistenza. Ma appena c’è guerra fa capolino, anzi interviene a vele spiegate, l’assoluto. É per questo de De Maistre sosteneva che “la guerra è divina in se stessa, perché è una legge del mondo”[8]. Lo stesso per la sovranità, assoluta per definizione: perché non dipende dalla volontà umana, ma dalla necessità naturale (e storica) il vivere in società ed essere governati[9]. Per cui l’assoluto esiste nella natura e nella storia, sulla terra anche se (forse) non in cielo. E dato che esiste, nelle forme più varie e non solo in quelle che ricorda Flores, è necessario tenerne conto; almeno quanto è illusorio pensare di aver trovato rimedi – mai sperimentati – contro le avversità (e le scomodità) della natura e della storia.

L’aspirazione ad eliminare l’assoluto dall’universo politico-giuridico è comunque pervicace nella modernità. Per tentare di realizzarla si sono seguite principalmente due vie, che presuppongono ambedue una concezione dell’uomo che le colloca – sotto il profilo morale o intellettuale- in una visione ottimistica. La prima è che possa formularsi un progetto razionale di organizzazione della società che permetta di risolvere (o addirittura d’impedire) l’insorgere dei conflitti; l’altra che comunque l’uomo abbia dei caratteri positivi tali (razionalità, bontà, perfettibilità – l’elenco più lungo lo fa Carl Schmitt nel Der begriff des politischen) da poter accettare quel progetto, realizzarlo e conservarlo.

Flores ha “scoperto che l’ateismo metodologico è consustanziale alla democrazia liberale, ed entrambi mettono capo all’individuo realmente esistente come soggetto di potere/libertà. Solo queste scelte di valore consentono di affrontare conflitti altrimenti irrisolvibili nel pluralismo di una società multiculturale”. Nella realtà occorre che gli individui realmente esistenti  siano d’accordo su quelle scelte di valore (e d’istituzioni conseguenti). E con ciò si ritorna all’origine: se non sono d’accordo, riemerge l’assoluto: o come guerra (assoluta o meno, non importa, perché  in ogni caso, significa che tale soluzione non elimina il conflitto); o come potere (largamente) “eteronomo“ e irresistibile, che assicura l’ordine intracomunitario. Il difficile è convenire su quella determinata scelta di valori (e d’istituzioni e norme conseguenti): non foss’altro perché, come scriveva Weber, il mondo dei valori è “politeista” onde non produce unità, ma conflitti. “Tra i valori, cioè, si tratta di ultima analisi, ovunque e sempre, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione, come tra «dio» e il «demonio». Tra di loro non è possibile nessuna relativizzazzione e nessun compromesso”. Per promulgare norme condivise, occorre che vi sia un “fondo” unitario, quello che per la nazione Renan identifica con il sentimento dei sacrifici compiuti e di quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. E cioè la volontà di vivere in comunità[10] Per cui quel che conta è che i valori di riferimento (e ancor più le radici comuni) non siano così configgenti e divaricate da non permettere un compromesso. Una comunità di credenti nella medesima religione, con la medesima lingua, costumi e diritto simili è assai più unita e gestibile di un’altra divisa tra atei e credenti, parlante tre o quattro lingue diverse, con consuetudini e diritti configgenti. È l’omogeneità (tra e) degli individui esistenti in una comunità a determinare – in gran parte – la possibilità di operare col massimo dei consensi. La disomogeneità, il pluralismo delle culture compresenti lo rende assai più difficile se non impossibile. Tant’è che spesso, per quelle differenze, unità politiche si frantumano o non possono costituirsi.

Sarebbe certo auspicabile che palestinesi ed israeliani potessero passare sopra alle differenze di religione, di cultura, di consuetudini, di diritto, al sentimento ostile cresciuto in quasi un secolo di scontri, e agli interessi in contrasto, convertendosi all’ateismo metodologico e costituire così un ordinamento comune. Anche se ragionassero etsi deus non daretur resterebbero quei macigni a separarli e mantenerli due popoli distinti. La cui possibilità di raggiungere la pace è conservare le distinzioni e organizzarle in due unità politiche: cioè in due Stati. Che proprio per essere omogenei saranno, come è Israele, e con tutta probabilità sarà il futuro Stato palestinese, largamente confessionali. E lo stesso è accaduto, limitandoci al secolo scorso, per tutti quei tentativi di far convivere in una stessa unità politica popoli distinti per religione, ma anche per (tanti) altri motivi: ad esempio gli irlandesi cattolici, “secessionisti” dall’unità politica con la Gran Bretagna; o la maggioranza arabo-berbera dell’Algeria, determinata a non essere l’outremer della Francia; o i popoli delle (defunte) URSS e Iugoslavia, diversi (a tacer d’altro) per lingua e/o razza e/o religione. E si potrebbe continuare a lungo in questa enumerazione.

Ma perché è così difficile far convivere in uno stesso ordinamento popoli che si sentono diversi per le ragioni più varie? La risposta probabilmente la dette due secoli fa De Maistre, che, criticando la dichiarazione dei diritti dell’uomo (e i progetti e le idee) della Costituzione francese del 1795, scriveva di non aver mai conosciuto in tutta la sua vita l’uomo, ma solo francesi, tedeschi, italiani, russi. Gli è che le differenze sono concrete e appartengono al mondo reale di ciò che esiste; l’ateismo metodologico, come tante altre simili, a quello delle idee.

I romani, veri maestri nell’arte dell’integrazione, come riconoscevano loro stessi da Cicerone nella Pro Balbo a Tacito negli Annales[11], praticavano il sistema d’integrare nella cittadinanza romana e poi nella classe dirigente i capi delle popolazioni sottomesse; di portare i loro dei nel Pantheon (come elemento rappresentativo-simbolico della pax deorum); di rispettarne al massimo possibile le consuetudini e il diritto. Solo così – e dopo parecchi secoli – l’orbis divenne urbs, pur mantenendo i propri dei; adorando Serapide o Mitra, Sol invictus o Tanit, ciascuno era, civis romanus governato dallo stesso potere imperiale, nella medesima unità politica (e indubbiamente il raggiungimento di questo traguardo fu agevolato dalla tolleranza del politeismo).

Quell’unità che è funzione dell’assoluto politico: ed è stata soddisfacentemente (e storicamente, al meglio) realizzata con lo Stato moderno (che nella sovranità ha  il “proprio” essenziale)

In questo le tesi di Flores appaiono emblematiche di un liberalismo (parziale ed) estenuato (perciò decadente). Parziale perché scambiano i principi dello Stato e della democrazia borghese (come fatto all’art. 16 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789) per l’alfa e l’omega del pensiero politico (e istituzionale) liberale. Mentre lo Stato borghese è il risultato della combinazione (almeno) tra uno (o più) principi politici (democrazia, aristocrazia, monarchia) costitutivi del potere, con quelli liberali (di limite al potere). Peraltro il liberalismo si regge su una concezione “problematica” dell’uomo: la quale se non arriva al pessimismo antropologico della teologia protestante presuppone comunque l’uomo peccatore, soggetto a traviamenti della volontà (e ad errori). Onde la necessità della Costituzione liberale è stata esposta nel più chiaro dei modi da Madison nel Federalista: se gli uomini fossero angeli, non ci sarebbe alcun bisogno di un governo; se a governare fossero gli angeli non sussisterebbe la necessità di controllo sul governo, ma dato che gli uomini non sono angeli, sono necessari i governi e i controlli sui governi.

Questa concezione antropologica corrisponde esattamente a quella tomista che reputa necessario il governo, ma controllabili (dalla comunità) i governanti, proprio perché uomini come tutti gli altri[12]

Per cui appare contrario ad un approccio realistico (e fenomenologico) alla politica l’affermazione di Flores che l’individuo “non la comunità è il soggetto la cui insopprimibile libertà dev’essere tutelata dalla Costituzione liberale”. Mentre, di sacro c’è, tra l’altro anche nella nostra Costituzione, come scritto, solo il dovere di difendere e (anche) di morire per la patria (art. 52). Perché anche le Costituzioni liberali non hanno appreso quella lezione e fanno come tutte le altre. E per fortuna: se le democrazie liberali avessero avuto la convinzione che Flores attribuisce alla “costituzione ideale” liberale, ora saremmo tutti inquadrati a cantare, marciando, die Fahne hoch o l’Internazionale. Peraltro Flores ne è, fino a un certo punto, consapevole (e lo scrive); ma il lettore s’interroga se non faccia parte dell’armamentario delle utopie – e degli idola – di certa modernità contestare la realtà delle cose enfatizzando certi aspetti particolari, magari encomiabili e condivisibili, ma comunque relegati in seconda fila e praticabili solo in situazioni normali. Perché a metterli davanti, ad anteporli, ad assolutizzarli (sempre e dovunque) c’è la sicurezza di distruggere il tutto: quel tutto di cui non è colta l’essenza, col rifiutare un’analisi fenomenologica e non assiologica della realtà.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

(*) Questo articolo è la rielaborazione di un intervento già pubblicato nel 2009 sul sito “Politicamente.net”.

[1]  V. il fascicolo (supplemento) Micromega di ottobre 2008 “Dio, nichilismo e democrazia”, v. anche, di recente, l’intervento di G. Zagrebelsky su Repubblica del 14/10/2010 (La neolingua di Berlusconi)

[2] Sul punto ci permettiamo rinviare a quanto scritto in Diritto divino provvidenziale e dottrina dello Stato borghese in Behemoth n. 41, pp. 25 ss.

[3] V. M. Hauriou Précis de droit constitutionnel Paris 1929 p. 29 ss. ( i corsivi sono nostri) ; v. sul diritto divino provvidenziale J. Barthélemy e Paul Duez Traité de droit constitutionnel Paris 1929 p. 67 ss. ; R. Carré de Malberg Contribution à la théorie generale de l’État Paris 1929, Tome 2° p. 149 ss.., v. Anche (meno diffusamente) A. Esmein Eléments de droit constitutionnel français et comparé. Paris 1914 p. 281 e 283 ; L. Duguit L’État, le droit objectif et la loi positive, Paris 1901.

[4] Ma anche in diversi documenti e scritti della teologia politica protestante è ribadito il concetto della potestas “costituente” del popolo.

[5] v. Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien (i corsivi sono nostri) , trad. it. Torino 1974 pp. 69-71.

[6] Tra gli altri ricordiamo Barthélemy-Duez op. cit. p. 68 « Si enfin Saint Paul a dit : « Omnis potestas a Deo », les théologiens ont indiqué le sens de cette parole en ajoutant : « per popolum ». Le pouvoir, qui est de droit divin, appartient au peuple : c’est la thèse de Sain Thomas, de Bellarmin, de Suarez.

[7] Novella VI “Quomodo oporteat”.

[8] Soirées de Saint-Pétersbourg, trad. it. 1971, pp. 399 ss. E lo argomenta in vario modo ripetendo « la guerra è divina ». Proudhon lo apprezzava scrivendo che proprio per il fatto di dichiararne l’essenza divina, e così misteriosa, dimostrava di averci capito qualcosa. La guerre et la paix, trad. it., Lanciano 1974, p. 51.

[9] Du Pape, Lib. II, cap. 10: “L’uomo dovendo dunque vivere necessariamente in società e necessariamente essere governato, la sua volontà non conta nulla nell’instaurare il governo; perché dal fatto che i popoli non hanno la scelta e che la sovranità risulta direttamente dalla natura umana, neanche i sovrani esistono per la grazia dei popoli: la sovranità non essendo effetto della loro volontà che la stessa esistenza sociale”.

[10] E prosegue “Abbiamo scacciato dalla politica le astrazioni metafisiche e teologiche. Cosa resta, dopo? Restano l’uomo,  i suoi desideri” E. Renan Qu’est-ce que une nation, trad. it., a cura N. Iannello e C. Lottieri, Treviglio 1996, p. 18. Anche Renan pensava di aver liberato la politica della metafisica e della Teologia. Solo lo faceva sulla base del sentimento comunitario, della storia, della volontà umana, e non della possibilità di darsi una legislazione comune. La quale presuppone quella, e non ne è il presupposto.

[11] Per Cicerone Pro Balbo, capp. VIII-XI; per Tacito il discorso, che riporta, di Claudio per l’ammissione al Senato delle grandi famiglie galliche Annales XI, 24.

[12] Diversamente da come succede nella dottrina del diritto divino soprannaturale, la quale nega il diritto di resistenza, il potere costituente del popolo (e quindi il tirannicidio). Probabilmente espressa per la prima volta, dall’Ambrosiaster nel commento dell’Epistola ai Romani, “L’apostolo chiama uomini di comando (principes) quei re che vengono eletti per migliorare il modo di vivere e proibire quanto è contrario al bene, avendo in sé l’immagine di Dio, affinché tutti siano sottoposti a uno solo”, quindi ripresa successivamente (tra gli altri) da Lutero e da Bossuet; anche se comunque, essendo per il cristianesimo l’uomo comunque peccatore anche il governante è tale, e quindi la dottrina in esame, va intesa nel senso che il governante non ha giudice su questa terra (non è soggetto al giudizio di altri uomini).

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