Strategie politiche contro il Coronavirus Numeri, analisi e ROI delle strategie dei governi nazionali, di Francesco Esposito


Crescita percentuale di nuovi casi in Italia al 15 marzo 2020

Questa analisi vuole partire dall’articolo di Roberto Buffagni su italiaeilmondo.com e dei commenti seguiti sul sito stesso.

Premessa: siamo in guerra. Se non per l’entità totale del rischio, lo siamo per almeno tre ragioni:

· Per la velocità con cui ci siamo trovati davanti agli occhi il fatto compiuto,

· Per le limitazioni alle libertà personali che dalla fine della seconda guerra mondiale non erano mai state messe in discussione, né durante gli anni di piombo né durante le stragi di mafia

· Per l’impatto sull’economia del Paese.

Eppure il rischio (i soldati e le bombe) non si vede, quindi siamo in guerra pur senza averne contezza.

Economicamente (e sui mercati finanziari) il propagarsi del corona virus è un misto fra l’attacco alle torri gemelle per violenza e imprevedibilità e la crisi del 2008 (o forse del ’29) per profondità. Anzi, probabilmente peggio: infatti i dati del Sole24Ore hanno evidenziato come i mercati americani ci abbiano messo solo 16 giorni per perdere più del 20% dai massimi raggiunti. Per fare un paragone calzante non si può guardare tanto al 2008 (poiché i massimi erano stati raggiunti nel 2007 e la situazione non era già delle più rosee), bensì al ’29. E nel ’29 ci vollero 42 giorni per perdere più del 20% del valore.

Rispetto alle reazioni politiche all’epidemia messe in atto dai vari paesi, in estrema sintesi Buffagni propone di dividerle sulla base di due differenti stili strategici:

· Approccio 1 (economico, breve termine): ci si rassegna al contagio, non contrastandolo, se non con misure estremamente blande, tali da non compromettere la tenuta dell’intero sistema economico e produttivo. Ci si libera, come in guerra, del peso economico (in termini di pensioni e di welfare nel complesso) degli anziani. Ci si rassegna ad un numero di morti che potrebbe essere alto;

· Approccio 2 (sociale, lungo termine): si contrasta il contagio con misure estremamente più limitanti delle libertà personali, con conseguente paralisi, almeno momentanea, del sistema economico. Si punta su una accresciuta unità sociale. Ci si rassegna ad un numero di imprese fallite che potrebbe essere alto.

Come Buffagni indica, Cina, Corea del Sud e Italia seguono il modello 2, pur con strumenti non omogenei. Gran Bretagna, (Germania, Francia) e Stati Uniti seguono (o vorrebbero seguire) il modello 1.

Le ragioni per la scelta strategica di un modello o dell’altro sono più e meno profonde.

Per la Cina si è trattato insieme di:

· Questione culturale di rispetto verso gli anziani, che sono le vittime sacrificali dell’approccio 1;

· Prove di militarizzazione di intere aree urbane;

· Tattica di lungo periodo, infatti la rinnovata e rafforzata unità nazionale potrebbe sostenere una crescita ancora più spiccata nel prossimissimo futuro;

· Asimmetria informativa: sono stati i primi a dover affrontare il virus e hanno dovuto costruire modelli predittivi e risposte adeguate senza sapere esattamente quanto e come fosse contagioso e letale il virus.

Per noi, citando letteralmente Buffagni, “la scelta [italiana] del modello 2 ha ragioni superficiali e consapevoli nei nostri difetti politici e istituzionali, e ragioni profonde e semiconsapevoli nei pregi della civiltà e della cultura a cui, quasi senza più saperlo, l’Italia continua ad ispirarsi, specie nei momenti difficili: siamo stati senz’altro umani e civili, e forse anche strategicamente lungimiranti, senza sapere bene perché”.

Infatti, abbiamo optato per il modello 2, pur con qualche ritardo, deroga e limite intrinseco (per esempio nella capacità di produrre procedure di controllo adeguate mettendo d’accordo Stato centrale e regioni varie), perché incapaci politicamente delle decisioni fortissime necessarie per attuare il modello 1, e perché fondamentalmente inconcepibili per la nostra cultura tendenzialmente cattolica e pacifista.

La cosa interessante, sempre riprendendo Buffagni, è nell’implementazione di tali modelli operativi: infatti la scelta 1 richiede forza e decisione politiche enormi (si immagini Conte a dire “moriranno centinaia di migliaia di persone”), eppure nessun cambio nella vita dei cittadini; al contrario la scelta 2 è politicamente più mite e naturale, eppure impone restrizioni pesantissime.

Di seguito una serie di domande sorgono spontanee, pur con la premessa che non esistono certezze scientifiche sull’evoluzione della curva epidemiologica e quindi non ci sono basi per previsioni che vadano molto oltre il “secondo me” sullo stato sociale ed economico di lungo periodo, ovvero si è nel raggio d’azione della Politica con la P maiuscola, quella che prende decisioni strategiche e non si limita all’esecuzione mera (pur lodevole) di pareri scientifici e tecnici.

· Quale dei due modelli produce sul breve-medio-lungo periodo più morti?
Una prima risposta naturale potrebbe essere l’opzione 1, poiché ci si rassegna in partenza ai morti. Eppure il periodo di isolamento imposto dall’opzione 2 porterà ad una crisi economica profonda con due probabilissime conseguenze: migliaia di aziende fallite che si trascinano dietro molti più disoccupati, welfare potenzialmente ridimensionato per far fronte alla crisi. Dunque sul medio periodo, magari anche in assenza di vaccini e con un ritorno del virus (cosa che la Gran Bretagna ha preventivato fino ad aprile 2021) non è affatto ovvio quale opzione provochi più morti.
La differenza politica tra le due possibilità è tutta nella scelta che si compie: privilegiando la continuità economica si sta sacrificando parte del paese (pur con tutti i se ed i ma della questione, come il tentativo del governo inglese di confinare in casa per 4 mesi gli anziani e far contagiare solo i giovani), nell’altro caso si sta scegliendo di provare a salvarli tutti, almeno in prima istanza.

· Quale dei due modelli è più sostenibile per l’equilibrio socio-economico dei paesi?
Francia e Germania hanno inizialmente provato ad attuare la strategia 1, salvo poi virare sempre di più verso il contenimento coatto del virus.
Questo perché c’è un numero di morti oltre il quale avviene il collasso sociale dello Stato, ovvero cominciano le rivolte. Inoltre, quanto tempo si può resistere continuando a produrre come se niente fosse quando gran parte degli altri paesi del mondo chiude le frontiere e le fabbriche? L’economia di un singolo stato può resistere al fermo di tutti gli altri? Nel mosaico che è la globalizzazione, la risposta è probabilmente no. Nei termini della teoria dei giochi, qual è l’equilibrio più conveniente?
Un peso enorme verrà poi giocato dagli Stati Uniti e dall’evoluzione della loro strategia e della loro situazione sanitaria che, per le elezioni imminenti e per la struttura della sanità (privata), potrebbe trasformarsi in un disastro epocale.
Se gli USA cambiassero verso la strategia di contenimento, naturalmente in ritardo rispetto a Cina ed Europa, per quanto rimarrà fermo il mondo? Alla ripresa completa della Cina non ci sarebbe praticamente mercato estero, il loro mercato interno basterà per evitare un profondo ridimensionamento delle loro ambizioni di crescita?

· L’equilibrio socio-economico da rispettare per evitare una catastrofe è unico per tutti i paesi?
Ovviamente no, e questo è chiaro analizzando la percentuale di morti sui casi totali di corona virus. Uno studio interessante è stato pubblicato su Medium.
Infatti in Corea del Sud la percentuale di morti è molto più bassa che da noi (circa l’1%), ergo lì l’opzione 1 sarebbe stata molto più praticabile che da noi (che abbiamo una percentuale di morti di circa il 7% al 16 marzo), pur consapevoli che un collasso degli ospedali avrebbe alzato il numero totale dei morti per l’impossibilità di curare anche chi avesse problemi diversi dal corona virus.
Queste differenze nel tasso di mortalità dipendono fondamentalmente da tre fattori: come si conteggiano i morti (per corona virus vs con corona virus), come è distribuita l’età della popolazione, quali fasce d’età vengono inizialmente colpite da un contagio. La Corea del Sud è stata fortunata perché, oltre ad avere meno anziani di noi europei, ha avuto la maggior parte dei contagi fra i giovani. Questa è, appunto, fortuna. Per la Germania si sta verificando la stessa cosa, in Francia sono a metà strada.
In linea totalmente teorica l’idea di Boris Johnson di far ammalare solo i giovani isolando gli anziani (come spiegato su NextQuotidiano), se realmente attuabile (e non lo è) produrrebbe probabilmente un impatto accettabile sia economicamente, poiché si tenterebbe di far lavorare tutti come se niente fosse, sia in termini di vite umane, perché sui giovani la mortalità è quasi nulla. Tutto ciò anche indipendentemente dalla presunta immunità di gregge, da dimostrare per questo nuovo virus in assenza di vaccino.

· Potevamo permetterci l’approccio 1? Potremmo dover cambiare in corso d’opera e sacrificare anche noi le vite delle fasce più a rischio?
Dipende dai dati effettivi sulla letalità del virus, sulla sua eventuale ricomparsa in autunno e scomparsa in estate, dai risultati dell’approccio 2 attuale. Di certo, per quanto animati anche da ottime intenzioni, non potremmo permetterci un fermo totale come quello attuale per un anno (seguendo le stime del governo inglese sulla primavera 2021). D’altro canto esiste la possibilità che le misure di contenimento non bastino e che allentandole il virus ricominci l’espansione. Dunque cosa si farebbe in quel caso?
Potremmo dover essere noi a cambiare e scegliere l’approccio 1, cioè il sacrificio e il lavoro come se niente fosse. A quel punto ci troveremmo potenzialmente punto e a capo. Considerando uno studio effettuato su Vo’, citato sul Corriere, il 50% degli infetti non ha sintomi. In extremis, potremmo dover essere pronti ad un sacrificio importante, consolati solo dal fatto che gli asintomatici abbasserebbero la percentuale di morti, pur senza mitigare il dolore (ed il peso, anche politico) dei morti veri. Altrimenti, se lo studio non si dimostrasse veritiero uniformemente su tutto il paese… Meglio non pensarci.

Riferimenti bibliografici

· https://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

· https://24plus.ilsole24ore.com/art/come-siamo-arrivati-ribasso-piu-violento-storia-mercati-peggio-crollo-29-ADtP5uC?cmpid=nl_best24

· https://medium.com/@andreasbackhausab/coronavirus-why-its-so-deadly-in-italy-c4200a15a7bf

· https://www.nextquotidiano.it/coronavirus-azzardo-di-boris-johnson/

· https://www.independent.co.uk/voices/coronavirus-deaths-trump-stock-market-pandemic-economy-bankrupt-italy-a9394891.html

· https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_13/coronavirus-piano-marshall-veneto-moltiplichiamo-tamponi-938c48a8-6552-11ea-86da-7c7313c791fe.shtml

Per altre informazioni: youbiquitous.net oppure instagram.com/fesposi

tratto da https://medium.com/@fesposi.ybq/strategie-politiche-contro-il-coronavirus-6a46b5aa60b7

FAQ CORONAVIRUS 1 del dr. Giuseppe Imbalzano

AI LETTORI_ RIFLETTETE E CHIEDETE_GIUSEPPE IMBALZANO VI RISPONDERA’

FAQ CORONAVIRUS 1

del dr. Giuseppe Imbalzano[1]

 Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.

Cosa è accaduto?

Un nuovo virus animale ha fatto il salto di specie ed ha infettato l’uomo.

È la prima volta?

No. Da sempre accade questo fenomeno tra specie che convivono insieme.

Una situazione come questa era inattesa?

No, da molti anni si preparano “piani pandemici” per evitare di farsi trovare impreparati. Non sappiamo chi sarà, ma qualcosa potrebbe succedere (e a volte succede).

E naturalmente questi piani di sicurezza e di emergenza servono per agire tempestivamente quando la situazione può essere necessaria.

Non sappiamo quando ci sarà un terremoto, ma se non siamo pronti non potremo intervenire con tempi di risposta brevissimi e utili a risolvere il problema per il bene di tutti, chiunque esso sia.

Se non si è pronti, l’intervento sarà tardivo e persino pericoloso ed inefficace.

Le ricette sono tante e se ne sceglie una per cucinare il problema.

La situazione era ignota?

Assolutamente no

Era stato attivato un sistema di allarme internazionale?

Si.

Errori e contraddizioni iniziali dalle informazioni (molto molto contraddittorie) provenienti dalla Cina?

Tanti e a lungo

E allora è indispensabile agire in modo più strutturato, organico e complessivo perché molti interventi vengono ritardati dalla assenza di informazioni tempestive e adeguate

Aerei dalla Cina che vengono fatti atterrare solo a Malpensa e a Fiumicino

Può essere sfuggito qualcuno dei nuovi arrivi? Certamente non tutto era ben determinato.

Anche prima dell’inizio della nostra riorganizzazione (infezioni che risalgono a dicembre dello scorso anno e forse prima, pipistrelli o meno)

Facile prendere il cittadino cinese chiuso in albergo già malato.

Difficile scegliere tra migliaia.

La scelta– la identificazione, secondo protocolli, per tutti i passeggeri, della ‘passenger locator card’ oltre allo scanning termometrico per i passeggeri atterrati.

La misura è efficace? Relativamente. Chi non ha febbre non è identificabile. Pare riesca a ritardare, per un periodo non lungo, lo sbarco dell’infezione nella nuova realtà territoriale.

Abbiamo più tempo per prepararci.

Sospensione dei voli dalla Cina dal 27 gennaio

La misura è efficace? Ormai l’infezione è presente in altre Nazioni e chi deve arrivare in Italia, anche dalla Cina, cerca soluzioni alternative.

E non sa neanche di essere infetto e poi malato. E gli arrivi da altre Nazioni non sono evidenti.

E se non è cinese meno ancora. E possono giungere da altre Nazioni che non abbiamo considerato. Magari italiano di ritorno.

Colpe delle scelte italiane?

Pare comunque difficile gestire un flusso tanto importante con certezze, malattia e con persone che non sono neanche identificabili.

Dare colpe? Polemiche?

Per spirito di autoflagellazione o altro?

Io l’avevo detto? Con quale spirito ed obiettivo?

Non risolve certo il problema di oggi.

Dopo numerose e lunghe informazioni non sempre chiare, con azioni locali che sospendono la circolazione interna ed esterna di 60 milioni di cittadini cinesi.

Dare colpa significa farlo nella piena gratuità di informazione. Siamo tra le Nazioni che hanno il maggiore interscambio economico con quella Nazione a livello mondiale.

I test e i tamponi, oltre ad essere stati predisposti da pochissimi giorni (gennaio), non sono infiniti e vanno testati, valutati e le raccolte di materiale devono essere idonee. Gli esami e i controlli eseguiti adeguatamente. Possono essere negativi ieri e positivi oggi. Possono essere negativi ma l’infezione può insorgere successivamente.

Solo chi ignora può pretendere o fare cose del tutto inefficaci.

Siamo in piena epidemia influenzale.

 

La sintomatologia delle due infezioni, influenza e coronavirus, è differente?

Non certo all’inizio

Come avviene l’infezione?

Semplificando, per contatto diretto (tosse, per via aerea, o contatto con le nostre mucose del materiale virale)

A che distanza? Breve – diciamo 2 metri. Questo materiale quanto resta vitale sulle superfici? Sembra alcune ore.

Si ammalano tutti?

No.

Quelli che si ammalano hanno tutti una patologia grave?

Assolutamente no.

Questo non è certo elemento che favorisca la individuazione dei casi e la soluzione dei problemi

Allora cosa è necessario fare?

Se non è arrivato nessun infetto, nulla.

Se la persona ha superato le barriere doganali nostro malgrado, sicuramente, in caso di malattia, raggiungerà il servizio sanitario in qualsiasi sede o forma, non appena ne avrà esigenza.

Perché la malattia, che per molti è del tutto insignificante, per alcuni vira in modo pericoloso in polmonite virale, non distinguibile dalle altre ma certamente neanche diagnosticabile e risolvibile senza le necessarie azioni di diagnosi e relativa cura.

E se sta male e va in pronto soccorso cosa accade?

Se il pronto soccorso è unico, se la sala d’attesa è unica, se l’ambiente è piccolo, se le persone non sono preparate, la diffusione è certa. Tutti i presenti ne verranno coinvolti.

Se l’ambiente è separato, ha tutti i sistemi di mitigazione del rischio attivati, se i test sono a disposizione e il personale ha idea che ci possa essere un problema reale e un rischio effettivo, la condizione, come nel 1770, colpisce con le pallottole i primi soldati che non sono ben protetti, ma impedisce la diffusione di un virus che non deve, perché nuovo e per il quale non abbiamo armi efficaci di contrasto, entrare nella circolarità quotidiana del nostro sistema sociale.

Ma una buona formazione, la disponibilità di strumenti di sicurezza idonei ne fanno non più dei fantaccini ma dei Signori Professionisti quali sono e di cui dobbiamo solo vantarci per competenza e professionalità di fronte al Mondo intero e dare loro rispetto.

Se non siamo preparati che accade?

Accade ciò che è accaduto.

E’ accaduto per caso o poteva essere evitato?

Chi ha portato il virus? Ormai non ci interessa se non per storia. E per polemica.

Ma non possiamo dire come sia avvenuto certamente e la polemica non risolve il problema.

Ma è possibile che sia arrivato anche prima di quando potessimo fare qualcosa.

 

[1] Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.

 

La riforma dello Stato, di Giancarlo Elia Valori

In calce un articolo particolarmente interessante di Giancarlo Elia Valori che affronta il tema della riforma dello Stato, di fatto il tema della modalità di selezione di una classe dirigente e di esercizio del potere in un contesto altro rispetto al bipolarismo, fase nella quale di fatto si è formata la classe dirigente emersa, già in stato abortivo al suo sorgere, dalle pesanti scorie di una tangentopoli mai terminata, ormai a trenta anni di distanza dal suo inizio. L’uscita di Valori ha coinciso con la drammatica crisi del coronavirus. La concomitanza non è detto che sia voluta, ma non è certo casuale. La crisi pandemica, sia pure ancora incipiente, già colpisce emotivamente le popolazioni e le stesse classi dirigenti, destruttura ulteriormente, in maniera ormai irreversibile, i residui equilibri geopolitici e il sistema di relazioni economiche fondati su una visione unipolare e multilaterale dei rapporti internazionali. Una visione accantonata formalmente dalla Russia di Putin sin dall’importante discorso alla conferenza di Monaco del 2007, ma che verrà ormai sancita definitivamente ob torto collo anche dalle élites dominanti della Cina e degli Stati Uniti lungo un percorso al cui traguardo non si può prefigurare al momento un vincitore certo. Non si deve mai trascurare in politica l’aspetto emotivo di una crisi, specie se dal carattere così dirompente, legato alle modalità stesse di esistenza delle persone e delle formazioni sociali. Accresce le esigenze di efficacia e centralizzazione del potere. Se le formazioni sociali sono sufficientemente articolate ma provviste di una identità forte la realizzazione di questa esigenza produce formazioni e soggetti coesi in grado di navigare con sufficiente autonomia nelle incertezze del multipolarismo; al contrario si rischia la formazione di élites arroccate nelle proprie cittadelle e sempre più dipendenti dal volere degli agenti esterni. Dall’articolo di Valori appare chiaramente questo sentimento. L’esigenza, però, di una redifinizione dei centri e delle modalità di esercizio non può prescindere ed è connaturata agli obbiettivi strategici e alla collocazione geopolitica delle aspiranti nuove élites di potere. La collocazione politica e specificatamente geopolitica di Valori, strettamente e indefettibilmente atlantista e filoisraeliana, tanto per stigmatizzarne un aspetto che da adito a tali perplessità da far temere la mutazione di una azione di trasformazione delle dinamiche di esercizio magari ben intenzionata in quella di una classica operazione trasformistica. Il richiamo alle grandi virtù della tradizione liberale senza citarne i macroscopici difetti, messe a nudo soprattutto nella fase politica di fine ‘800 e di fine ‘900, propedeutiche alle crisi stagnanti e logoranti successive, destano più di qualche sospetto. Una visione di “bene pubblico” insita nell’azione politica di una possibile nuova classe dirigente troppo neutra, tipicamente propria del punto di vista liberale. Non vi è cenno nell’articolo sulla funzione positiva di un conflitto sociale ben indirizzato e sulla funzione di coesione delle associazioni, in un contesto però agli antipodi di quello parassitario, remissivo e decadente dell’Italia presente; manca una caratterizzazione e distinzione tra le figure politiche trainanti ed espressive di una strategia politica e l’azione dei centri strategici più o meno presenti negli ambiti nevralgici di esercizio del potere, nonché un disvelamento delle dinamiche di conflitto interno ai centri e di relazione con i centri esterni al paese; come pure viene sottovalutata colpevolmente la funzione regressiva e ammorbante di gran parte di quei centri accademici e di elaborazione che dovrebbero formare altrimenti élites alternative. La via di formazione di queste ultime si prospetta purtroppo molto più tortuosa, defatigante, approssimativa e avulsa dai centri istituzionali principalmente preposti. Forse è chiede troppo ad un semplice articolo; l’impressione, però, è che queste omissioni svelino il limite di un tema sollevato meritoriamente. Ciò nonostante l’articolo mette in evidenza aspetti, dinamiche virtuose e punti di crisi decisivi, corroborati coraggiosamente dalla rievocazione di figure politiche, quali Cossiga, da riconsiderare e ricollocare storicamente. Buona lettura_Giuseppe Germinario

tratto da https://formiche.net/2020/03/stato-cossiga-costituzione-italia-governo-presidente-del-consiglio/

La riforma dello Stato si può fare. Le istruzioni di Valori

La riforma dello Stato si può fare. Le istruzioni di Valori

A partire dal 1991 la nostra Costituzione è cambiata. Ora si può ancora riformare lo Stato centrale. Ma bisogna stare attenti a…

Fin dal suo messaggio alle Camere del 26 giugno 1991, Francesco Cossiga ebbe chiarissimo che il sistema degli equilibri costituzionali, nel dopo-Guerra fredda, stava inevitabilmente per saltare.
Nella sua visione, c’era un insieme di processi positivi e di altri potenzialmente pericolosi, che avevano messo entrambi in crisi il grande progetto iniziale della Costituzione repubblicana: l’aumento della partecipazione popolare non direttamente politica, poi la trasformazione dei partiti, da non dimenticare nemmeno la fine dell’equilibrio bipartitico della suddetta guerra fredda, poi ancora la diversa collocazione, dopo la “caduta del Muro”, delle forze politiche, infine una ulteriore differenza del ruolo dell’Italia rispetto a quello del mondo dei due blocchi contrapposti.
La Costituzione nasceva dalla Guerra fredda. Finita quest’ultima, doveva cambiare anche la Carta fondamentale e lo Stato.

Poi, per Cossiga c’era un altro elemento strutturale da notare: tutti i partiti immaginavano, in fase costituente, di poter essere, un giorno, collocati all’opposizione, e non si sa nemmeno quanto democratica, quindi programmarono di concerto un sistema di controlli e contrappesi quasi paralizzante.

Niente esecutivi forti e stabili, quindi, solo continue e successive maggioranze deboli, temporanee, e con un grande partito di opposizione, da dover essere escluso, per ovvi motivi internazionali, dal potere: ma che comunque era presente con un meccanismo ad consociandum nelle amministrazioni locali, negli apparati (tutti) poi nel sistema economico, nel potere territoriale.
Un equilibrio paradossale tra centro e periferia che disegnava anche il flebile potere, garantito dalla Costituzione, di poter rimanere nella Nato e in Occidente.

Salvo, poi, dare al Pci e ai suoi alleati il potere di fatto di destabilizzare lentamente il Governo, ma senza destabilizzare, per quanto possibile, il Paese. Ognuno dei due schieramenti si presentava con la capacità di interdire la realizzazione dell’egemonia, termine gramsciano, all’altro. Questa, la destabilizzazione dico, la fecero altri, amici e nemici.

In quegli anni ero molto vicino a Francesco Cossiga, e di queste cose ne parlammo appassionatamente per mesi, prima del suo straordinario messaggio alle Camere. Per il presidente, finita la Guerra fredda, e trasformatasi l’entità, la natura e la forma del sistema politico italiano, occorreva riformare subito la Costituzione e l’intero Stato. Aveva ragione, come spesso gli è capitato, ma oggi siamo davvero alla morte cerebrale e fisica del nostro sistema politico.

Non mi riferisco, ovviamente, a questo o quel partito, ma l’incapacità patologica di reggere le sorti del Paese è ormai evidente in tutti i gruppi parlamentari. Dopo la crisi della fine della Guerra fredda, che parlava di noi, soprattutto di noi, con la trasformazione rapida dell’Est e dei Balcani, la nuova dimensione politica e militare del mondo arabo, la crisi programmata dei vecchi alleati africani e islamici dell’occidente, con le “primavere arabe”, poi il jihad della spada, la conclusione delle nostre alleanze nel Mediterraneo, infine la fine di un automatismo fin troppo facile, nella Nato, e anche tra noi e gli Usa, tutto doveva far pensare, nella povera testa delle nuove classi politiche, che occorreva cambiare soprattutto una cosa: l’architettura costituzionale.
Per evitare, almeno, di entrare nel XXI secolo con un vecchio automezzo degli anni ’60. Ora, siamo alla fine definitiva del sistema politico incompleto che ha seguito, rabborracciato e spesso inane, la fine della Guerra fredda.

Ed è stata la lunga epoca, invece, il post-Guerra fredda italiano, dei modesti succedanei.
Invece di pensare, le classi politiche successive alla guerra fredda si sono baloccate soprattutto con la “comunicazione”. Che non è un sostituto del pensiero, anzi. Chi sa non parla, chi non parla sa, come diceva il saggio cinese Lao-Tzu. Ovvero, abbiamo assistito, dopo la crisi del 1994, generata dall’operazione Tangentopoli, alla creazione del partito-brand pubblicitario, con il solito uomo solo al comando che, però, comanda ben poco e si annoia a far politica, che lascia fare ad altri, ma che poi seleziona i parlamentari con il criterio del casting Tv; poi abbiamo anche avuto il riciclaggio del vecchio Partito democratico Usa, in un lungo remake, con tanto di asinelli e di primarie, e ci mancavano solo gli hot dogs e la pessima senape.

Sembrava un vecchio film di Bud Spencer e Terence Hill. Quando ci si vende, in politica, è bene mascherare l’identità del compratore. Ed è morto, invece, caduto sempre nella rete della operazione Tangentopoli, che operazione infatti fu, il Centro democratico e liberale, in ossequio alla vecchia battuta, detta proprio in Assemblea Costituzionale, di Togliatti: “fuori i pagliacci”. E si perse così, nella cultura politica italiana attuale, il senso della tradizione risorgimentale, liberale, statuale.
Ed è morta proprio la tradizione risorgimentale, asse dello Stato unitario, che era stata inserita nella Costituzione Repubblicana sia dai cattolici che da socialisti, con figure del calibro di Don Sturzo, Costantino MortatiFanfaniMoroLa PiraVittorio FoaMario ZagariPaolo Rossi.

Il cattolicesimo politico è stato certamente anti-risorgimentale, ma non ha distrutto la tradizione dello Stato unitario, questo lo si deve ad altri. Ogni fenomeno politico del post-guerra fredda, in Italia, è quindi stata la continuazione, con altri mezzi, come la guerra in Von Clausewitz, della vecchia guerra fredda, ma a polveri bagnate. Il meccanismo della inutile litigiosità da spot pubblicitario è oggi lo stesso, il livello di scontro è ancora elevatissimo, ma il reale meccanismo costituzionale è figlio di una fase storica definitivamente passata e, anzi, produttrice di sventati anacronismi e inutili, pericolosi, impedimenti.

Cossiga scrisse, dopo i tentativi dell’on. Aldo Bozzi, di De Mita e di Nilde Iotti, fino alla intelligente e sfortunata operazione della Bicamerale di Massimo d’Alema, nel 1997, che venne dopo, un tracciato chiaro e inevitabile: l’uso dell’art.138 Cost. per il rinnovamento della Carta Costituzionale, la fine della sciocca diminutio capitis dell’Esecutivo, che non è un luogo di transazioni, infine il ripensamento, militare, geopolitico, economico del ruolo italiano nel Mediterraneo.

La fine, in altri termini, del vecchio sistema derivato dal Trattato di Parigi del 1947. Chi aveva vinto con il solo eroismo litigioso di De Gaulle, ma che aveva patito la vastissima Repubblica di Vichy, chi poi aveva sofferto il dramma del frazionamento della patria tedesca, con il controllo alleato perfino della emissione dei francobolli, chi aveva patito la dittatura spagnola, tutti si ritrovavano, nel post-guerra fredda, in un nuovo contesto, privo delle leve strategiche del mondo diviso in due blocchi. Era, questa, la riedizione del documento di Camaldoli, insomma, a cui partecipavano anche, lo ricordiamo, laici e cattolici. E che fu poco ascoltato, anche all’inizio. Ritornare lì è ancora essenziale. Leve, quelle strategiche, che allora si trovavano ovunque, peraltro. La pervasività della lotta tra i due blocchi non permetteva una concentrazione del potere e dell’esecutivo.

Cosa fare, allora?
a) garantire la stabilità dell’esecutivo, non tramite alchimie elettorali, ma con garanzie costituzionali, poi b) evitare il frazionismo estremo delle rappresentanze regionali, provinciali, comunali, consortili, o comunque altrimenti ordinate, c) incentrare nel duopolio presidente del Consiglio-presidente della Repubblica, senza eccessive mediazioni, la responsabilità strategica e militare della politica estera italiana, che opera a contrappassi parlamentari post-factum, ma non di più di quelli, d) riformare i servizi, ancora una volta, in modo che siano strumento efficientissimo e potente dell’esecutivo; e anche capaci di azioni efficacissime e immediate, senza inutili noie parlamentari, che casomai lavorano, lo abbiamo detto, ex post, d) riformare il comando dell’economia, che è oggi troppo policefalo e, talvolta, anche acefalo.

Il mondo è fatto di velocità, di decisioni quasi immediate, di mediazioni, quando ci sono, con entità che poco hanno a che fare con i vecchi partiti politici. Altro che Aula: oggi, chi manovra il potere reale, ha a che fare con ben altri gruppi di potere. Occorre uno Stato capace di parlare e talvolta imporsi a questi nuovi attori geopolitici, finanziari, tecnologici. Il mito del mercato che si autoregola va bene per gli studenti di economia che leggono, annoiati, certi manuali che, ai miei tempi, avrebbero fatto ridere generazioni di studiosi.

Occorre dunque velocità e accuratezza insieme dell’esecuzione dell’atto di governo, la cui verifica di legittimità, qualora occorra, è demandata ad altri organi tecnici, non solo a intermediazioni politiche. Che arrivano, se arrivano, in seconda istanza. Cosa proporre, quindi, come riforma dello Stato, dopo che la nostra Repubblica soggiace a una torma di ragazzini che credono di salvare il mondo, come in un vecchio romanzo di Elsa Morante?

1. Un sistema elettorale con una soglia accettabile e razionale per l’entrata in Parlamento, ma non è poi questo il vero problema. Occorre, invece, un sistema elettorale che possa selezionare automaticamente i “campioni” rappresentativi. Ma non è nemmeno questo il punto, addirittura. Occorre, alla fine, che il governo non possa essere sciolto da una serie di costrizioni parlamentari che riprendono il vecchio modello della guerra fredda, ma senza motivo alcuno. Per esempio, la questione militare, che è troppo “commissionata”. Oppure, la inevitabile longa manus dell’Esecutivo sulla Banca d’Italia, al di là di chiacchiere illuministe sull’autonomia, peraltro mai verificatesi nella realtà.

a) La durata del governo liberamente eletto deve essere davvero di cinque anni, con un meccanismo come la tedesca sfiducia costruttiva. Lo so bene che, in questo caso, si arriva rapidamente alla conta (o al mercato) delle vacche, ma questo è sempre l’applicazione di un vecchio detto di Voltaire, “un piccolo male per un grande bene”. Al governo devono arrivare tutte le decisioni essenziali della politica, dell’economia, della strategia globale, senza mediazioni inutili, poi esso deve trattarle, ma com grano salis, e solo quando occorre, in Parlamento. Basta con le mediazioni infinite tra commissioni, sottosegretari avversi, lobbies, apparati burocratici. Chi decide è solo il governo liberamente eletto, poi si vedrà.

b) La regolamentazione delle lobbies. 200 sono oggi le organizzazioni di interessi registrate in Parlamento dal 2017 a oggi, ma in Parlamento Europeo sono 11.882 con ben 7526 persone fisiche accreditate. Se un parlamentare non sa farsi una idea dei problemi da solo, allora vada a casa.
c) Quindi, regolamentazione durissima dei “rappresentanti di interessi”, ma anche una raccolta dei dati di prima mano che sia a disposizione di tutti i parlamentari. Certo, già Costantino Mortati riteneva che il Parlamento futuro fosse soprattutto “in Commissione”, dove si lavorano i particolari e si tralascia la retorica ufficiale, ma qui siamo arrivando a una vera e propria privatizzazione della rappresentanza politica eletta.
d) L’autonomia relativa dei corpi separati, che va sostenuta. Che saranno comandati solo dai vertici politici e non da una infinita mediazione parlamentar-partitica. Basta con la vecchia tradizione per la quale i Servizi di Sicurezza, per esempio, erano obbligati a eseguire gli ordini del Presidente del Consiglio, o alcuni gruppi del Consiglio di Stato per questa o quella corrente politica. Possibilità di interlocuzione, riserva di scelta al ministro o al presidente del Consiglio, responsabilità tecnica e anche politica (Mortati parlava di alta burocrazia come politica) delle burocrazie.

e) Espansione dei settori che davvero contano: Intelligence, controllo delle transazioni finanziarie, ordinamenti di pubblica sicurezza, Forze Armate, Ricerca & Sviluppo, politica tecnologica e di investimenti. Il resto va bene per i consorzi agrari, detto senza offesa per i Consorzi stessi.
f) Ogni scelta futura verso la stabilità del sistema politico italiano avrà a che fare soprattutto con l’ideologia europeista. Anche l’Italia, Paese fondatore, deve utilizzare l’UE à la carte, per quel che gli serve, e rendere tranquillamente inutile quello che non gli serve. Come fanno gli altri Paesi europei, peraltro.

g) La nostra naturale direzione strategica è disegnata dalla geografia: il Mediterraneo, il Medio Oriente, il Maghreb, perfino certe aree dell’Estremo Oriente. Altro non v’è. Quindi, la nostra espansione commerciale, pacifica, in accordo non necessariamente ovvio con gli alleati Nato e Ue deve essere in queste zone, non nel Nord Europa dove, come diceva Napoleone per l’Europa dell’Est, “c’è troppo pieno”. Quindi, mano libera, nei limiti del possibile, in queste aree, ma anche capacità di spostare i limiti del possibile, quando occorra.

h) Una selezione diversa delle cariche pubbliche. Basta con il gioco degli sherpa che, dopo aver fatto i ghost writers, divengono burocrati, ma iniziare a creare burocrati tramite le normali filiere che tutti i Paesi moderni usano. Ovvero le grandi università, le Scuole di eccellenza, i Centri di Ricerca, i think tank di qualità. La porta girevole tra Pubblica amministrazione e professioni, alta cultura, burocrazia, scienza, deve funzionare stabilmente. Basta con questa sceneggiata russoviana e assolutista del Concorso pubblico, si inizi la chiamata ad personam di chi ha amplissimi titoli. La burocrazia, che va riformata ab initio, deve diventare il passaggio naturale, stabile o meno, delle migliori intelligenze del Paese. Quindi, molti posti senza lista di riferimento e indipendenti (lo fa già il mercato, con le società di recruiting) e, poi, una carriera possibile dentro o fuori lo Stato. Magari, tutto questo lo potrebbe fare la presidenza della Repubblica.

i) Basta con la “immonda anzianità”, come la chiamavano i Futuristi. Chi è bravo, verificabilmente bravo, va avanti, chi è solo vecchio rimane dove è. I meccanismi giuridici si possono fare in un attimo, basta volerlo.
j) Elezione dal basso del presidente della Repubblica, che deve avere un peso politico tale da obbligare parti del sistema politico a tacere, quando occorra.
k) Unica Camera. Ma le Regioni avranno, per i loro interessi, le varie strutture di settore che già operano benissimo. Le quali comunicheranno con la presidenza del Consiglio. Se riforma dello Stato dovrà essere, sarà certamente meno ossessivamente regionalista/localista della ormai pluridecennale tradizione politica post-guerra fredda, che credeva di risolvere tutti i busillis del sistema distruggendo lo “Stato centrale”, mostro puerilmente pericoloso. Una ingenuità davvero pericolosa. Il problema è la riforma dello Stato centrale, non la sua diluizione in piccole Patrie. La Svizzera è, infatti, esattamente il contrario: una federazione fortissima e centralizzata che devolve ai Cantoni solo quello che intralcerebbe la Grosse Politik di Berna.

Il governo pericoloso di Don Ferrante atto II, di Massimo Morigi

Il governo pericoloso di Don Ferrante II (Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione)
A parte lo scoramento per la situazione venutasi a creare in Italia in seguito alla diffusione
del Corona virus in Italia (se non sbaglio il primo paese del mondo non asiatico per numero di contagi, un brillante risultato dovuto alle ridicole reazioni governative di tutela della salute pubblica messe in campo non appena si ebbe notizia del pericolo), non ci sarebbe molto da aggiungere a quanto già detto sull’ “Italia e il Mondo” ne Il governo pericolooso di Don Ferrante (https://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-dimassimo-morigi/, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223110210/https://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governopericoloso-di-don-ferrante-di-massimo-morigi/) e, sempre sull’ “Italia e il Mondo” da quanto subito dopo ancor più dettagliatamente argomentato da Andrea Zhok sotto il titolo Coronavirus e struzzi politicamente correttti (all’URL
http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-digiuseppe-germinario/, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223132520/http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus
-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-di-giuseppe-germinario/).

Ma, tuttavia, c’è un piccolo dettaglio, che vale la pena mettere in rilievo. Chi ha avuto la stoica sopportazione di seguirmi in questi anni sulle pagine elettroniche dell’ “Italia e il Mondo” si sarà bene accorto del mio rapporto di odio-amore con Carl Schmitt, e questo non perché lo abbia mai giudicato macchiato dai suoi trascorsi nazisti (come invece tuttora fa il politicamente corretto, sempre confondendo il giudizio sul valore di un pensiero con quello di chi lo esprime; estrema putrefazione di questa mentalità: le contestazioni a Roman Polanski per non farlo partecipare a Cannes perché alcuni decenni fa avrebbe forse commesso una violenza carnale) ma, molto semplicemente ed apparentemente sorprendentemente, dal sottoscritto giudicato non sufficientemente decisionista. Ma ci sono momenti in cui il pur “timido” decisionismo di Carl Schmitt è tuttora la stella polare del moderno pensiero filosofico-politico ed è lo strumento principale per conferire il suggello analitico alle situazioni di crisi politica sulle quali ci dobbiamo confrontare come cittadini e come analisti. E, allora, non tanto di fronte alla tardiva reazione governativa del mese appena trascorso, sulla quale abbiamo già detto, ma di fronte all’altrettanto giuridicamente arlecchinesco Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 31- EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA DA COVID-2019, emesso in data 23 febbraio 2020 (all’Url http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-delconsiglio-dei-ministri-n-31/14163, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223131934/http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-delconsiglio-dei-ministri-n-31/14163), nel quale, testuali parole si recita: «Il Consiglio dei Ministri si è riunito sabato 22 febbraio 2020, alle ore 19.02, presso la sede del Dipartimento della protezione civile, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe Conte. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro. […] Si introduce, inoltre, la facoltà, per le autorità competenti, di adottare ulteriori misure di contenimento, al fine di prevenire la diffusione del virus anche fuori dai casi già elencati. L’attuazione delle misure di contenimento sarà disposta con specifici decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri e il Presidente della Regione competente ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui gli eventi riguardino più regioni. Nei casi di estrema necessità ed urgenza, le
stesse misure potranno essere adottate dalle autorità regionali o locali, ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, fino all’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.», venie subito alla mente l’immortale sentenza del giuspubblicista di Plettenberg: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.» (Carl Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio, e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 33). Già chi è in questo caso il sovrano? e  ha diritto chi di fatto sovrano non lo è più pretendere la sottomissione di coloro verso i quali non sa nemmeno prendere in prima persona provvedimenti eccezionali per difenderli? Se l’attuale epidemia potesse insinuare nella pubblica opinione queste domande, non tutto il male, come si dice, verrrebbe
per nuocere.
Massimo Morigi – 23 febbraio 2019

Il Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale, di Christian Josi

Qui sotto un articolo pubblicato sul periodico Townhall con un resoconto sufficientemente dettagliato e attendibile della vicenda giudiziaria, una vera e propria feroce persecuzione, nella quale è incappato Roger Stone. L’inaudita violenza della campagna mediatica e giudiziaria di questi anni non ha realizzato l’obbiettivo più ambito: la defenestrazione e la neutralizzazione del Presidente Trump. Ne hanno pesantemente condizionato e limitato l’indirizzo e l’agibilità politica costringendolo ad azioni contraddittorie e a legami politici che hanno pesato soprattutto nelle sue scelte di politica estera.  Non potendo eliminare il protagonista, le attenzioni più livide si sono rivolte ai personaggi determinanti che hanno costruito l’ascesa politica di Trump, Roger Stone, che gli hanno offerto supporto di relazioni, Paul Manafort, che gli avrebbero consentito solide basi di sostegno negli apparati di sicurezza e maggiore coerenza in politica estera rispetto ai proclami della campagna presidenziale, il generale Flynn. Una condotta spietata, indice di uno scontro politico feroce, inedito nella sua virulenza e durata, che ha come posta in palio il riconoscimento o meno di un mondo multipolare ormai in atto e la individuazione e le modalità di contrasto degli avversari strategici della potenza americana. Trump al momento è riuscito a venirne fuori pur  se a caro prezzo e riuscirà a contendere a fine anno la presidenza. Con le forze disponibili ha iniziato a reagire, tardivamente, con un vero e proprio repulisti di alcuni apparati importanti (NSC), ma senza disporre di sufficienti ed affidabili ricambi. Ha cominciato a chieder conto anche all’estero, anche in Italia, questa estate delle collusioni nelle macchinazioni ai suoi danni, come nell’affare Mifsud. Alcuni articoli sulla stampa estera,   https://www.telegraph.co.uk/news/2020/02/13/joseph-mifsud-mysterious-professor-trump-russia-scandal-heard-crossfire/?fbclid=IwAR0_pRqbHt9Y6maavGA7Z2utVUUzCowcEGtxdbna7q-RxDJvsjoJGZTXHFY  e nazionale https://www.lastampa.it/topnews/economia-finanza/2020/02/12/news/link-university-gli-affari-a-londra-con-il-falso-arcivescovo-1.38455817?fbclid=IwAR0wTALMQKU5dzxEIJi8TvUZnCqKWaSTPlYSuSclY4TYkLCdq2rjgRFurHQ sembrano il preannuncio di nuove attenzioni nei prossimi giorni, questa volta più circostanziate verso alcuni alti funzionari pubblici, di chiamate a correo e di denuncia delle ovvie  coperture politiche di tali azioni. Alcune di tali coperture ormai troppo al sicuro nei corridoi comunitari di Bruxelles, altri un po’ più esposti e vulnerabili per i riconoscimenti ostentati nell’ultima cena presidenziale di qualche anno fa. Trump è il Presidente degli Stati Uniti, insediatosi per affermare gli interessi degli Stati Uniti secondo il punto di vista di una elite alternativa in via di formazione di quel paese. La virulenza di quello scontro politico e le stesse offerte di una componente di quel teatro, prospettate più o meno esplicitamente, specie nel campo di azione del Mediterraneo, avrebbero potuto essere opportunità di un ricambio positivo di classi dirigenti nel nostro paese. Manca purtroppo la componente soggettiva in grado di cogliere le occasioni. Gli sviluppi dei prossimi giorni potrebbero essere una delle residue circostanze in una congiuntura destinata a chiudersi, in un modo o nell’altro, con le prossime elezioni americane, verso una direzione più definita e delimitata. Il ceto politico alternativo, o presunto tale, sorto in questi ultimi anni in Italia, sembra percorrere ancora una volta una strada opposta e subire il richiamo della foresta ai primi contraccolpi, già così traumatici per soggetti così fragili. Da una parte  torna a prevalere il richiamo e il vincolo europeista. Giancarlo Giorgetti così recita “Il punto è che farà la Cdu-Csu. Andrà a sinistra, verso verdi e socialisti? O si alleerà con i liberali? Da questo dipenderà la politica europea del Partito popolare. E noi dobbiamo essere “potabili” quando arriverà il momento” https://www.corriere.it/politica/20_febbraio_13/resteremo-nell-euro-migranti-si-collaboriora-bruxelles-ha-capito-ed945cec-4e9f-11ea-977d-98a8d6c00ea5.shtml?fbclid=IwAR0_zSZ2S_7Hn_8AV5TgCB-TVwG9PP1822fEZQCNoF07TvJ_rGxKFwqJhxg   

Rivelatore, oltre le intenzioni, l’aggettivo “potabile”. Non si tratta più di essere digeribili, assimilabili, metabolizzabili; bisogna diventare non inquinati, depurati e non tossici, con componenti da eliminare. E’ vero che qualcosa sta cambiando nella UE e nella sua politica economica; molto meno nella collocazione internazionale dei paesi europei. E’ ancora più vero che i cambiamenti che si preannunciano continuano a prevedere il sacrificio del nostro paese senza neppure la sponda offerta in questi ultimi due anni. Su questa base più che un partito nazionale e patriottico, può risorgere un movimento localista sostenitore di un federalismo d’accatto, privo però di uno stato centrale degno di questo nome. L’infamia dell’autorizzazione a procedere ai danni del Ministro dell’Interno Matteo Salvini rappresenta un passo di tale normalizzazione.

Dall’altro un movimento nazionalista fondato sulla religione, su dio e sulla civiltà. La nazione costituita dal popolo eletto che solo una costruzione politica su base religiosa come quella di Israele può permettersi di reggere pur con enormi costi politici e la forza di un paese a postura imperiale può sostenere. Non a caso che l’esplicitazione di un tale orientamento sia scaturita dalla recente partecipazione ad un convegno della Fondazione “Edmund Burke”. Ci aveva già provato tempo fa in Italia e in Europa con scarso successo Bannon; questa operazione appare oggi più promettente. Una base culturale ed ideologica, fideistica, manipolatoria ed elitaria, a dispetto dei reiterati appelli al popolo, da cui era riuscito a rifuggire in gran parte persino il fascismo di Benito Mussolini. Dubito che Giorgia Meloni riesca ancora a cogliere le pesanti implicazioni politiche e geopolitiche di un tale approccio culturale. 

Quello che una volta di più appare chiaro è che ci troviamo in un paese ormai drammaticamente povero di cultura e di cultura politica propria in particolare, ignaro della propria esperienza e tradizione millenaria. Un humus dal quale, più che una classe dirigente ambiziosa e consapevole dei propri limiti, può sorgere e proliferare un ceto politico remissivo e prostrato, il cui rappresentante più mellifluo appare il nostro PdC oppure un ceto tribunizio vittima del proprio impeto cieco e/o del proprio trasformismo più o meno consapevole. Entrambi in cerca di casa come profughi; entrambi però appesi voluttuosamente alla lenza dei pescatori più pazienti ed intraprendenti_Giuseppe Germinario

 

The Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale

Scritto da Christian Josi | Fonte: TownHall | 14 febbraio 2020 19:01

The Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale

La condanna del mio amico e collega Roger Stone è fissata per la prossima settimana a Washington, DC, e il circo che lo assedia è già in piena attività.

Questo caso, o la “strada ferrata”, come viene chiamato più appropriatamente, era concluso prima che iniziasse. Non avrebbe mai avuto una conduzione adeguata in questa sede, con questa giuria e soprattutto con il Giudice di Obama, Amy Berman Jackson e il fosco equipaggio dei pubblici ministeri del Deep-State sul caso (beh, in precedenza sul caso da quando tutti hanno lasciato questa settimana; ma perché Roger ha effettivamente preso una pausa quando il Presidente giustamente si è alzato in piedi per lui). È qualcosa che dovrebbe disturbare terribilmente tutti gli americani, indipendentemente da come potrebbero vedere Roger. Comunque, ho pensato che sarebbe stato un buon momento per rivisitare la narrazione ed evidenziare il modo brutto, vendicativo e davvero incostituzionale in cui questo affare si è svolto.

Come risultato del blackout mediatico sulle “notizie false” riguardanti l’accusa di Stone da parte di Robert Mueller e del Dipartimento di Giustizia (DOJ), pochi americani comprendono come e perché il consulente politico e lealista di lunga data di Trump è stato condannato per aver mentito al Congresso, quanto sia fragile il castello di accuse contro di lui e il modo in cui è stato trascinato in un processo in stile sovietico a Washington, DC, durante il quale il giudice ha precluso ogni efficace linea di difesa e ha accuratamente impilato una giuria anti-Trump composta completamente da democratici liberali.

Roger Stone è, come noto, il veterano stratega repubblicano, autore di bestseller del New York Times, esperto e consulente di lunga data della Trump Organization.

È un ex assistente del senatore Bob Dole, nonché dei presidenti Nixon e Reagan. Stone, 67 anni, è un veterano di 10 campagne presidenziali repubblicane. Il suo ruolo fondamentale nell’emersione politica di Donald Trump è dettagliato nella recente serie del documentario PBS su Donald Trump e nel pluripremiato documentario Netflix “Get Me Roger Stone”. Ha ricoperto il ruolo di Presidente del Comitato esplorativo presidenziale di Donald Trump nel 2000 e 2012 e vive a Fort Lauderdale con la sua affascinante moglie di 29 anni, Nydia Bertran Stone. Il presidente Trump è stato ospite d’onore al loro matrimonio a Washington, DC

Un’intensa indagine multimilionaria di due anni su Roger Stone ad opera del consigliere speciale Robert Mueller, iniziata nel 2017, non ha prodotto prove di collusione russa, nessuna collaborazione con Wikileaks e nessuna prova del fatto che Roger Stone avesse avuto un preavviso sulla fonte o sul contenuto di qualsiasi divulgazione di Wikileaks, comprese le e-mail di John Podesta prima della loro uscita; Robert Mueller alla fine ha accusato Roger Stone di “mentire al Congresso”. (A proposito, quando potremo accusare il Congresso di averci mentito quotidianamente?)

Il mese prima dell’arresto ostentato di Roger Stone, il presidente Trump ha twittato su Twitter: “Non testimonierò mai contro Trump” Questa affermazione è stata recentemente di Roger Stone, in sostanza affermando che non sarà costretto da un estorsore e da un procuratore fuori controllo a inventare bugie e storie sul “presidente Trump” È bello sapere che alcune persone hanno ancora coraggio “(3 dicembre 2018).

Il 25 gennaio 2019 l’FBI ha organizzato uno straordinario raid paramilitare prima dell’alba durante il quale 29 agenti dell’FBI in uniforme SWAT hanno fatto irruzione nella casa di Fort Lauderdale del 67enne consigliere di Trump, a bordo di 17 veicoli corazzati e utilizzando un’unità K-9, un elicottero sopra la testa e due unità anfibie sul canale dietro la casa di Stone per arrestarlo.

I pubblici ministeri sapevano che Stone era rappresentato da un avvocato e che lui aveva parlato con l’avvocato il giorno precedente. La successiva affermazione dei pubblici ministeri secondo cui Stone doveva essere arrestato in questo modo perché era considerato a “rischio di fuga” fu smentita ore dopo quando il governo non si oppose al suo rilascio senza una cauzione in contanti. Stone non aveva né un passaporto valido né un’arma da fuoco quando Il giudice Jackson ha proibito ai suoi avvocati di contestare le azioni dell’FBI in tribunale.

Sebbene la strada in cui viveva Stone fosse sigillata dall’FBI, la CNN era in prima fila a filmare l’arresto notturno di Stone.

Il video di sorveglianza domestica di Stone mostra un equipaggio della CNN che arriva e si installa a soli 25 piedi dalla sua porta di casa 11 minuti prima dell’arrivo dell’FBI con le armi d’assalto sguainate. Josh Campbell, ex assistente speciale del direttore dell’FBI James Comey ora con la CNN, è stato il primo corrispondente di notizie a denunciare l’arresto di Stone. Gli stessi avvocati di Stone hanno appreso dell’arresto del loro cliente da una telefonata di un produttore della CNN. L’FBI ha negato una richiesta FOIA per esibire tutte le e-mail tra l’FBI e la CNN nei giorni precedenti il ​​raid a casa di Stone, questione ora oggetto di una causa separata. Il senatore Lindsay Graham ha rilasciato una lettera al Dipartimento di Giustizia e all’FBI chiedendo chi ha disposto il raid nella casa di Stone. Non esiste alcuna documentazione pubblica di una risposta. Il consigliere speciale Robert Mueller ha rifiutato di commentare se l’ufficio del consulente speciale o l’FBI hanno lasciato la CNN prima dell’arresto di Stone per la TV durante la sua testimonianza al Congresso. Dopo l’arresto di Stone, il presidente Trump stesso ha twittato “Chi ha avvisato la CNN di essere lì?”

Al fine di giustificare i mandati di ricerca per e-mail, messaggi di testo e telefonate di Stone, così come le perquisizioni della casa e dell’ufficio di Stone in Florida e del suo appartamento a New York City, i pubblici ministeri hanno riferito a un giudice federale che avevano una probabile causa di riciclaggio di denaro straniero in contributi per campagne, frodi postali, frodi telefoniche e vari reati informatici tra cui l’accesso non autorizzato a un server di computer.

In realtà i pubblici ministeri non avevano prove del genere oltre al feed Twitter di Stone. Tutti i tweet di Stone erano basati su informazioni disponibili al pubblico. I mandati di perquisizione non hanno trovato conferme di nessuno di questi crimini e Stone è stato infine accusato di mentire al Congresso e di ripetuti tentativi di manomissioni dei testimoni. L’accusa inquisitoria di Stone è stata elaborata dal deputato Mueller Andrew Weissman sulla base dei meta-tag sulla accusa esplosiva spedita via e-mail alla stampa alle 7 del mattino del suo arresto (anche se un magistrato federale non ha denunciato l’accusa fino alle 9 : 30 di quella stessa mattina) in cui Weissman ha lasciato le sue iniziali.

Successivamente, l’ufficio del Special Counsel ha sostenuto che il caso di Stone sarebbe stato sottoposto al giudice Amy Berman Jackson perché avevano affermato che la vicenda era legata al caso non ancora trattato in cui Mueller accusava 75 russi per il presunto hackeraggio del Comitato nazionale democratico, sostenendo che l’indirizzo di posta di Stone è stato trovato da un mandato di ricerca in quel caso.

Il team di Mueller ha affermato che questa indagine è legata a quella di Stone per due motivi: primo, che alcuni “documenti rubati” sono un argomento in entrambi i casi, e in secondo luogo, che i mandati utilizzati nel caso degli hacker russi hanno fatto emergere “certe prove rilevanti” per il caso di Stone . In realtà, nessuna prova del caso di hacking russo è stata introdotta nel processo di Stone. Nulla nell’accusa di Stone avvalorava che avesse accesso a “documenti rubati”. Mueller fu essenzialmente autorizzato a “Judge Shop”, che è ampiamente considerato un abuso della Corte.

Il giudice Jackson, designato da Obama, è un attivista liberale che ha respinto la causa di morte per negligenza contro il segretario di Stato Hillary Clinton, oltre a respingere la causa da parte della Chiesa cattolica contestando il requisito di Obamacare secondo cui i datori di lavoro forniscono una copertura gratuita per la contraccezione e l’aborto.

La decisione di Jackson è stata annullata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Jackson ha anche presieduto il caso dell’ex responsabile della campagna Trump Paul Manafort durante il quale Manafort è stato incarcerato prima e durante il suo processo, nonostante non fosse stato condannato per nessun crimine. Una mozione preliminare per un giudice diverso e una sede diversa depositata dagli avvocati di Stone è stata negata, ovviamente.

Jackson ha decretato la prosecuzione dell’accusa contro ogni mozione degli avvocati di Stone tranne in un caso.

È stato riferito che il giudice spesso sorrideva e alzava gli occhi verso la giuria quando gli avvocati di Stone arringavano in tribunale.

Dopo un processo in stile sovietico di cinque giorni in cui il giudice Jackson ha vietato a Stone di costruire qualsiasi efficace linea di difesa, Stone è stato condannato da una giuria DC democratica su tutti e sette i capi di accusa ai suoi danni e ora affronta l’eventualità di molti, molti anni di prigione. Alcuni sostengono che ci sarà una mossa per prenderlo in custodia al momento della condanna, il che sarebbe una mossa molto insolita in un caso come questo e sottolinea semplicemente il disprezzo del Deep State contro il quale Stone si è scontrato.

Pochi minuti dopo la condanna di Stone, il presidente Trump ha twittato “Ora hanno condannato Roger Stone per aver mentito al Congresso e vogliono concedergli un lungo periodo di detenzione.

Che dire di Crooked Hillary, Comey, Strzok, Page, McCabe, Brennan, Clapper, Schiff, Ohr, Steele e Mueller stesso i qiuali hanno mentito e non sono stati perseguiti. Questo è un doppio standard come mai visto prima nel nostro paese “.

In effetti, Comey, Brennan, Clapper, McCabe, Strzok, Page, Rosenstein, Ohr e Mueller hanno mentito tutti sotto giuramento al Congresso su questioni consequenziali, ma il giudice Jackson ha espressamente vietato agli avvocati difensori di Stone di sostenere che il caso di Stone fosse un esempio di “accusa selettiva”. Naturalmente.

Il presidente Trump ha detto a FOX News alla vigilia di Natale 2019 che Stone era un “bravo ragazzo che piace a molte persone” e che ritiene che “fosse una brava persona” che, insieme al generale Michael Flynn, era stato trattato “molto ingiustamente” nel suo procedimento giudiziario dal consigliere speciale Robert Mueller e dal procuratore degli Stati Uniti per il distretto di Columbia.

Trump ha definito l’accusa di Stone e Flynn una “beffa di poliziotti sporchi”.

Roger Stone è stato incriminato per aver mentito al Congresso, nonostante l’incapacità di Mueller di trovare un crimine di fondo su cui basare la menzogna di Stone.

Al processo, i pubblici ministeri hanno fornito prove del fatto che Stone ha tentato (senza successo) di apprendere il contenuto delle rivelazioni di Wikileaks annunciate (che non è un crimine). Mueller ha criminalizzato le attività politiche perfettamente legali nell’accusa e nella condanna di Stone. Naturalmente.

A supervisionare il caso di Stone per l’Office of Special Counsel c’era Jeannie Rhee, che rappresentava Hillary Clinton e la Clinton Foundation nel grande caso di posta elettronica.

Rhee ha dato il massimo contributo alle campagne di Hillary nel 2008 e 2016 così come di Obama nel 2008. Aaron Zelinsky, ex editorialista di Huffington Post e assistente del procuratore degli Stati Uniti, è stato raccomandato dal procuratore generale Rod Rosenstein per assistere Rhee nell’accusa di Stone. Il caso di Stone alla fine sarebbe stato perseguito dall’assistente procuratore generale Jonathan Kravis, che era stato consigliere associato della Casa Bianca per il presidente Barack Obama. Adam Jed, un funzionario del DOJ di Obama che ha sostenuto con successo che l’atto del Congresso che bandiva il matrimonio gay era incostituzionale, ha completato l’accusa di Mueller contro Stone. Stone è stato perseguito dai suoi oppositori politici faziosi.

L’accusa incriminata di Rhee, avvocato di Hillary Clinton, è probabilmente correlata alla pubblicazione del libro di Stone, “The Clintons ‘War on Women”, che non solo descriveva gli attacchi sessuali seriali di Bill Clinton a più donne, ma anche il ruolo di Hillary nell’intimidazione, nel bullismo e nel silenziamento delle vittime. Ancora più importante, Roger Stone è stato il primo a esporre il collegamento Epstein-Clinton, documentando i 28 voli di Bill Clinton verso il condannato pedofilo nell’isola privata di Jeffrey Epstein e il ruolo di Epstein nella istituzione della Fondazione Clinton.

La violazione del False Statement Act per il quale Stone è stata accusato, richiede non solo che l’affermazione sia falsa, ma anche che sia materiale e che ci fosse l’intenzione di ingannare.

L’affermazione dell’accusa secondo cui Stone ha mentito perché “la verità non porterebbe bene a Donald Trump” è ridicola in considerazione del fatto che il candidato Trump stesso ha parlato apertamente dell’interesse della sua campagna per la divulgazione di Wikileaks:

10 ottobre 2016 a Wilkes-Barre, Pennsylvania: “Questo è appena uscito”, ha detto Trump. “WikiLeaks, adoro WikiLeaks.”

12 ottobre 2016 a Ocala, FL: “Questa roba su Wikileaks è incredibile”, ha detto Trump. “Ti dice il cuore interiore, devi leggerlo.”

13 ottobre 2016 a Cincinnati, OH: “È stato fantastico ciò che è uscito su WikiLeaks.”

31 ottobre 2016 a Warren, MI: “Ne è arrivato un altro oggi”, ha detto Trump. “Questo Wikileaks è come un tesoro.”

4 novembre 2016 a Wilmington, OH: “Scendendo dall’aereo, stavano solo annunciando nuovi WikiLeaks e volevo rimanere lì, ma non volevo farti aspettare”, ha detto Trump. “Ragazzo, adoro leggere quelle WikiLeaks.”

In effetti, il candidato Trump ha menzionato WikiLeaks 141 volte nel mese prima delle elezioni del 2016, secondo MSNBC.

Quindi, cosa stava nascondendo Stone? Stone, che è comparso volontariamente davanti al comitato e non in giudizio, non aveva motivo di mentire su ciò che era un’attività politica completamente legale. Durante il processo di Stone non c’erano testimonianze del fatto che avesse detto a qualsiasi funzionario della campagna Trump di Wikileaks che non avrebbero potuto leggere sul feed Twitter di Stone. Il comitato di intelligence della Camera ha votato per consegnare la testimonianza classificata di Stone su richiesta di Mueller, ma non ha rinviato Stone per l’accusa. Il rapporto finale della commissione non ha rilevato che Stone aveva indotto in errore la commissione.

Anche un’altra narrazione, “manomissione dei testimoni”, è falsa.

Stone aveva già divulgato alla House Intelligence Committee che il conduttore radiofonico progressista e l’impressionista comico Randy Credico, con il quale Stone aveva nobilmente lavorato sulla riforma della giustizia penale, era la sua fonte per quanto riguarda il significato e i tempi delle prossime rivelazioni di Wikileaks alla House Intelligence Committee. Stone ha esortato Credico a far valere i suoi diritti sul Quinto emendamento per non testimoniare davanti al Comitato di intelligence della Camera perché, secondo Stone, Credico ha affermato di aver temuto l’esposizione pubblica nella comunità progressista perché aveva “contribuito a eleggere Trump”. Credico ha ammesso che il suo avvocato gli ha consigliato di far valere i suoi diritti sul Quinto emendamento così come numerosi giornalisti e l’ACLU.

Le accuse sostenute dai pubblici ministeri, secondo cui Stone aveva minacciato di “rubare il cane di Credico” per costringerlo al silenzio, furono specificamente negate da Credico al processo. Il 20 gennaio 2020, Credico ha scritto una lettera al giudice Jackson affermando che “non si è mai sentito minacciato da Stone”. Tuttavia Stone è stato condannato con l’accusa di manipolazione di testimoni. L’accusa ha insistito sul fatto che Credico non era la fonte di Stone riguardo al contenuto generale e rilascio di ottobre delle rivelazioni di Wikileaks, nonostante il rilascio di Stone di una catena di e-mail  indiscutibilmente dimostrano che lo era.

I pubblici ministeri federali hanno insistito sul fatto che il dott. Jerry Corsi era la fonte della limitata conoscenza dei piani di Wikileaks da parte di Stone, ma i pubblici ministeri non hanno prodotto alcuna prova per dimostrarlo e non ha indicato intenzionalmente Corsi come testimone del processo di Stone. Uno scambio di e-mail del 2 agosto tra Stone e Corsi, prodotto dal governo durante il processo, ha dimostrato che i pronostici di Corsi che una grande mole di dati di Wikileaks sarebbe arrivata in agosto e che riguardava la Clinton Foundation erano errati. Uno scambio di testi tra Corsi e Stone il 3 ottobre riconosceva che “Assange non ha nulla e si è preso gioco di se stesso”.

Il criminale condannato Rick Gates ha testimoniato al processo di Stone di aver sentito una conversazione al telefono cellulare tra Stone e Trump mentre era su un SUV sulla strada per l’aeroporto di LaGuardia nell’agosto 2016.

Gates ha ammesso di non poter ascoltare la vera conversazione e che i pubblici ministeri federali non hanno prodotto registrazioni telefoniche o testimoni aggiuntivi per confermare questa affermazione, sebbene Gates abbia affermato che c’erano due agenti dei servizi segreti nel SUV. Sia Trump che Stone hanno negato che questa conversazione abbia mai avuto luogo. Nelle risposte scritte alle domande di Mueller, il presidente Trump ha negato espressamente di aver mai discusso delle rivelazioni di Wikileaks. Gates, condannato per cospirazione e mentendo all’FBI, ricevette solo una condanna a 45 giorni in cambio della sua testimonianza contro Stone. I pubblici ministeri federali hanno anche rifiutato di perseguire Gates per non aver pagato tasse su milioni di dollari di entrate; introiti che ha ammesso di aver sottratto al suo partner Paul Manafort.

Naturalmente, il D.C. La giuria ha ritenuto Stone colpevole di tutte le accuse. Mentre un giurato (un collaboratore di Beto O’Rourke) ha dichiarato al Washington Post che la giuria era “diversa per età, genere, razza, etnia, reddito, istruzione e occupazione”. La sua affermazione è fuorviante per non dire altro. La giuria non includeva repubblicani, né veterani militari, né cattolici della chiesa romana, né uomini neri e nessuno con un’istruzione universitaria inferiore ma includeva un ex candidato democratico al Congresso, due avvocati che lavoravano nelle amministrazioni democratiche, tre giurati con legami con FBI, tre giurati con legami con il Dipartimento di Giustizia e due giurati con legami con la CIA e un incaricato di Obama nella posizione di direttore delle comunicazioni di un dipartimento federale. È ed è sempre stato discutibile se un repubblicano possa ottenere un processo equo nel Distretto di Columbia.

La premessa alla base dell’accusa federale a Roger Stone contenuta nelle prime due pagine del disposto è che i russi hanno violato il DNC e fornito questi dati presumibilmente compromessi con Wikileaks. Tutte le domande a cui Stone avrebbe mentito si riferivano a questa presunta azione, ma il giudice Amy Berman Jackson non avrebbe permesso agli avvocati di Stone di confutare ciò chiamando testimoni forensi come per l’NSA Bill Binney. Avendo basato l’accusa contro Stone su questa premessa, i pubblici ministeri federali ora hanno insistito sul fatto che era irrilevante.

Quando il governo ha ammesso di scoprire che l’FBI non aveva mai ispezionato i server DNC e aveva invece fatto affidamento su una bozza di promemoria redatta da Crowdstrike, una società IT strettamente legata a Hillary Clinton, l’ammissione ha ottenuto un’ampia copertura mediatica.

Il governo ha quindi presentato un’ulteriore risposta al tribunale affermando di avere altre fonti di conferma che il DNC era stato violato dai russi ma ha rifiutato di fornire qualsiasi conferma fattuale di tale affermazione.

Il giudice Jackson ha vietato agli avvocati di Stone di sollevare qualsiasi questione relativa alla cattiva condotta del procuratore speciale, del DOJ, dell’FBI o dei membri del Congresso.

“Non ci saranno indagini sugli investigatori nella mia aula di tribunale”, ha detto, nonostante la nomina del consigliere speciale John Durham, ad opera del procuratore generale Bill Barr, per fare esattamente questo.

Il deputato Adam Schiff ha ammesso che il suo coordinamento con l’ufficio del Consiglio speciale ha violato le regole della Camera in una lettera al presidente del Comitato di intelligence Devin Nunes.

Tuttavia, il giudice Jackson ha proibito agli avvocati di Stone di perseguire queste prove di un “insediamento” di Schiff. Il Washington Post ha riferito che Mueller aveva in anticipo una copia della testimonianza classificata di Stone (un’altra violazione delle regole della Camera) prima della votazione da parte del comitato completo per rilasciare la testimonianza al Consiglio speciale su richiesta di Mueller, ma lo ha fatto senza rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Schiff, il deputato Eric Swallwell e il deputato Joaquin Castro hanno predetto tutti, immediatamente dopo la testimonianza di Stone, che sarebbe stato incriminato per spergiuro – impossibile per loro sapere senza aver visto gli esiti della sorveglianza su Stone.

https://townhall.com/columnists//christianjosi/2020/02/15/the-deep-state-v-roger-j-stone-jr-a-cautionary-tale-n2561371

Intervista a Gérald Olivier – Make America Great Again: tempesta alla Casa Bianca

Una interessante intervista sulla figura di Donald Trump, pur con qualche approssimazione soprattutto nella valutazione di Obama_Giuseppe Germinario

Tra qualche mese, gli americani torneranno alle urne per eleggere il loro nuovo presidente. Donald Trump potrebbe essere quello. Riflessioni su una personalità, un viaggio e un mandato molto insolito.

Intervista di Étienne de Floirac.

 

Qual è stata la carriera professionale e politica di Donald Trump? 

Donald Trump è un imprenditore americano che ha fatto fortuna nel settore immobiliare e nella costruzione di casinò. Cresciuto a Brooklyn, è figlio di un ricco imprenditore immobiliare. Non è partito dal nulla, ma è riuscito a far crescere questa fortuna. Si distinse costruendo edifici con una certa originalità, queste famose torri (le Trump Towers ). Negli anni ’90 e 2000, divenne una star dei reality grazie a un programma chiamato ”  L’apprendista  “, l’Apprenti in francese, in cui interpretava il proprio ruolo di dirigente d’azienda.

 

Quindi è noto al pubblico da diversi anni?

È una personalità negli Stati Uniti, un personaggio pubblico dal 1970. In un primo momento cicoscritto al mercato di New York dove apparteneva a un’élite sociale ed economica, divenne noto in tutto il territorio Americano, grazie alla televisione. La sua trasmissione ebbe molto successo nella America profonda.

Ma Trump è principalmente qualcuno che era fuori dal mondo politico, sebbene osservasse la scena politica. È un americano nutrito del latte americano, con un’identità profondamente americana, ancorato in questo spazio di New York e con l’idea che guadagnare denaro sia un obiettivo legittimo. E che quelli che hanno più di altri hanno fatto di meglio. È un bon vivant, un uomo sessuato, diciamo, di una generazione che forse ha comportamenti che le persone oggi non riconoscono più. Ha sempre visto l’America come un paese generoso nei confronti dei propri cittadini e del resto del mondo.

Perché è stato coinvolto in politica?

Notò, già alla fine degli anni ’70, che l’America si sentiva in colpa per il suo posto nel mondo e che non stava ottenendo i benefici che il suo potere economico avrebbe dovuto giustificare. La molla fu la presidenza di Jimmy Carter dal 1976 al 1980, che fu una delle peggiori della storia americana. È arrivato subito dopo lo scandalo Watergate , il fallimento politico della presidenza di Richard Nixon e anche, dopo la sconfitta in Vietnam , la prima guerra che gli Stati Uniti abbiano mai perso. Il paese stava attraversando un vera situazione di malessere.

Gli Stati Uniti emersero vittoriosi dalla seconda guerra mondiale e come l’unica superpotenza in grado di prendere il posto delle grandi potenze coloniali, Francia e Inghilterra, per stabilire un nuovo ordine mondiale. Questo ordine prevedeva che la macchina economica americana funzionasse alla massima velocità grazie all’energia a basso costo, fornita all’epoca dall’Arabia Saudita e dall’Iran, che i suoi prodotti vendevano in tutto il mondo ad alleati che erano anche partner commerciali; in cambio, gli Stati Uniti difendevano quello che allora veniva chiamato il mondo libero, vale a dire i paesi occidentali, contro la minaccia sovietica.

 

Quindi fu la perdita di potere degli Stati Uniti a spingere Donald Trump a rivolgersi agli affari di stato

Donald Trump osservò che il potere americano imponeva dazi sugli Stati Uniti nei confronti dei suoi alleati, grandi o piccoli, e nei confronti del resto del mondo, in particolare attraverso l’aiuto allo sviluppo. In cambio, i paesi che hanno approfittato di questa generosità erano spesso ingrati e si opponevano agli Stati Uniti nelle grandi organizzazioni internazionali. New York era la sede delle Nazioni Unite e alle Nazioni Unite, in particolare all’interno della sua Assemblea Generale, il nome dell’America veniva sbeffeggiato ogni giorno. A Trump non piaceva. Quindi iniziò a ribellarsi e pensò sempre di più a entrare in politica.

Nel 2000 ha corso per il partito della riforma , ma non ha funzionato. È tornato nel 2016, dopo aver esitato nel 2012 . Il 2016 è stato il momento giusto. L’America stava uscendo da otto anni di presidenza di Obama e molti americani, specialmente nella profonda America, non avevano affatto apprezzato la politica di questo presidente, troppo internazionalista e troppo a sinistra ai loro occhi.

Donald Trump si presenta come anti-Obama

Questo grande momento liberatorio del 2008, quando un afroamericano divenne presidente degli Stati Uniti, si trasformò in una grande delusione . Per quelli che avevano votato per lui e speravano in qualcuno che “cambia il mondo”, cosa che non ha fatto affatto. Una delusione anche per tutti coloro che non avevano votato per lui, ma che erano pronti a riconoscere in lui il presidente di tutti gli americani, e che vedevano un personaggio che non aveva a cuore ciò che avrebbero definito l’interesse primario del loro paese.

Obama era un globalista e un anti- eccezionalista . Era convinto dell’inevitabile declino economico degli Stati Uniti e voleva gestire questo declino riportando l’America in linea. Obama ha creato un doppio shock, sia tra democratici che avversari, e Donald Trump è giunto tra quelli che hanno maggiormente attaccato Obama.

 

Si propone dunque come essere quello che vuole ripristinare l’autorevolezza degli Stati Uniti, dopo un periodo travagliato 

Donald Trump ha inseguito Obama per annullare ciò che aveva messo in atto. Ammira Ronald Reagan e condivide molto di lui, sia nella sua visione del mondo che nel modo di fare politica. Attraverso la prima presidenza Bush , poi Clinton , poi il figlio Bush e infine Obama, aveva visto l’America perdere il suo potere, perdere il suo prestigio e la classe media americana perdere il potere d’acquisto e si presentò per cambiare tutto.

 

Perché, durante le elezioni del 2016, la classe media francese è cresciuta come un uomo contro Donald Trump?

In primo luogo, nessun candidato repubblicano alle elezioni presidenziali americane per quarant’anni ha ricevuto un trattamento favorevole o addirittura imparziale dalla stampa francese. Torniamo a Ronald Reagan. Se leggi Le Monde dagli anni 76 a 79 e guardi gli articoli a lui dedicati, è stato ritratto come un pazzo, un cowboy, un uomo pericoloso. Era quindi la sua visione, quella all’epoca del primo quotidiano in Francia.

 

Ma è vero che Donald Trump, in quanto presunto provocatore, non attira naturalmente le simpatie dei media 

Trump è un anti politicamente corretto , sotto tutti gli aspetti, e più sulla forma che sulla sostanza. Siamo in un mondo in cui i discorsi sono molto controllati e il comportamento codificato in nome della protezione delle minoranze. Questo mondo è nuovo per un’intera generazione, inclusa quella di Trump. Quindi continua ad agire con i codici che hanno preceduto questo mondo. E inevitabilmente scioccante, perché usa un vocabolario che non è più considerato tollerabile.

Quindi, siamo in un mondo globalizzato, perché il commercio e l’immigrazione colpiscono tutti i continenti, l’apertura di un certo numero di frontiere e il concetto stesso di “rifugiato” a livello internazionale, fanno sì che le popolazioni possano muoversi rapidamente. , in un mondo in cui il ravvicinamento reciproco richiede rispetto per gli altri e il famoso “vivere insieme”. Nella globalizzazione tutte le persone e tutte le culture sono uguali. L’ideologia dei diritti umani applica i concetti filosofici occidentali a tutto il mondo, attraverso una forma di standardizzazione egualitaria. Donald Trump non la vede così. Per lui, ci sono paesi ricchi e paesi poveri, paesi liberi e paesi in cui le persone non lo sono, paesi che contribuiscono al benessere generale e paesi che beneficiano della generosità degli altri. Per Donald Trump, esiste una gerarchia economica che funge anche da gerarchia politica. Gli adulti parlano, li ascoltiamo. I più piccoli possono parlare, ma soprattutto devono ascoltare quelli più grandi. La visione “umanista” e internazionalista “rivendica esattamente il contrario e Trump si oppone a questa visione . Non smette mai di imporre il diritto che la sua forza gli concede mentre gli internazionalisti credono solo nella forza del diritto internazionale.

 

Trump è tutt’altro che un “uomo del suo tempo” 

Trump non appartiene al mondo della globalizzazione e quindi avrà questo mondo contro di lui. Il suo modo di presentare gli interessi dell’America va prima contro il pensiero dominante. Trump è un anti-globalista . È nazionalista . Crede nei confini nazionali, crede nelle nazioni e crede che la nazione americana sia una nazione eccezionale, quindi superiore alle altre. Questa gerarchia di popoli è contraria ai dogmi universalistici, relativisti ed egualitari dell’ideologia dei diritti umani.

Come si qualificano e analizzano la politica economica di Donald Trump?

Esiste una dottrina di Trump in economia, ma anche nelle relazioni internazionali. Due slogan hanno consentito all’elezione di Trump: ”  America first  ” e ”  Make America Great Again (Restituire la sua grandezza all’America). Cosa significa questo? Che per Trump, la responsabilità di un politico americano è di prendersi cura dell’America prima di occuparsi del resto del mondo. La politica di Barack Obama era, al contrario, estremamente altruistica. Ha beneficiato il resto del mondo più dell’America. Nella visione di Obama, l’America, essendo il paese più ricco del mondo, ha il dovere di aiutare i più poveri. Trump lo nega. Vede il mondo come conflitto, persino caotico, un mondo di rivalità, in cui domina l’interesse istintivo per la conservazione della specie e di se stesso. La sua visione delle relazioni di potere è “hobbesiana”, si potrebbe dire. Da lì, il ruolo di un politico negli Stati Uniti è di lavorare nell’interesse del suo paese,

 

Donald Trump sembra anche essere nostalgico di un passato defunto che avrebbe dato la sua grandezza agli Stati Uniti

Trump è nato nel 1946, aveva 20 anni nel 1966 e quindi trascorse la sua adolescenza in un periodo in cui l’America era molto prospera. Era il tempo di Elvis Presley , della nascita del rock’n’roll, che segnava la liberazione di tutta questa esuberante, energica giovinezza, che voleva e poteva godersi la vita. All’epoca, sei andato all’università a 18 anni, sei partito a 22 anni, poi una società ti ha assunto senza nemmeno dover inviare un CV e hai ricevuto uno stipendio che ti ha permesso di acquistare una casa dopo sei mesi. Non ti sei preoccupato per il futuro, perché il denaro non era un problema. Alla fine degli anni ’60, entrammo in una fase di sovrapproduzione e crisi culturale.

Donald Trump conobbe l’influenza e l’abbondanza americana e gli Stati Uniti erano un paese che era in grado di far rispettare la sua legge. Guarda la crisi di Suez in cui le vecchie potenze coloniali, Francia e Inghilterra intendono impadronirsi del canale di Suez. Ma il presidente americano Dwight Eisenhower (è un repubblicano, non un democratico) mette fine a questo.

 

A quel tempo, anche gli Stati Uniti erano coinvolti nella guerra fredda. Questo ha segnato il giovane Trump?

Il potere americano è sfidato da un solo paese, l’Unione Sovietica. Ma dalla crisi missilistica cubana del 1962 , il mondo capì o avvertì che i sovietici avevano perso. L’America, con il suo programma spaziale Apollo montato da Kennedy, è in grado di mandare sulla luna un uomo, e persino diversi, in meno di dieci anni. La sensazione generata da questa impresa è che nulla è impossibile per l’America.

Trump è cresciuto in questa America e vorrebbe rianimare questa epoca d’oro. Tuttavia, quando guarda oggi all’America, osserva problemi di droga, armi, disoccupazione, famiglie distrutte, pensioni insufficienti, cure sanitarie troppo costose, integrazione e invecchiamento e infrastrutture insufficienti per una popolazione di 330 milioni. Scopre anche problemi legati all’emergere di minoranze sessuali di cui non eravamo a conoscenza prima. E vede un’America che ha perso la sua lucentezza. Quello che Donald Trump sta cercando di fare è semplicemente ritrovare l’America della sua giovinezza. Essendo un uomo d’affari, non ha alcun freno politico o ideologico. È un capitalista e sa che se liberiamo l’economia, ad esempio attraverso regolamenti più flessibili, diventa un creatore di posti di lavoro e quindi una fonte di crescita … In effetti, le persone avviano attività perché non devono più preoccuparsi di tali standard, restrizioni o limiti. La macchina economica è qualcosa di molto semplice per Trump e, come uomo d’affari, sa come farlo funzionare.

 

Sul fronte ambientale, perché gli Stati Uniti decidono di non giocare al gioco dell’ecologia, che è, per molti paesi, il problema principale negli anni a venire?

Ci sono due ragioni. La prima ragione è che Trump non è convinto della realtà del riscaldamento globale . Il secondo è che l’accordo di Parigi era molto svantaggioso per l’economia americana. È andato contro gli obiettivi di Donald Trump.

Ma cos’è il riscaldamento globale? Abbiamo osservato per un certo numero di anni che nel Nord e nell’Artico si sta verificando lo scioglimento della banchisa e possiamo vedere che qua e là le temperature sono più alte. Molti affermano che questo riscaldamento globale è il risultato delle emissioni di CO2, che sono il prodotto dei paesi industriali. Questi stati devono quindi smettere di essere paesi industrializzati.

Trump mette in discussione questo ragionamento, perché parlare del clima quando si guarda a tre o quattro decenni non ha senso. Siamo in un universo che ha quattro miliardi di anni. Ci sono stati periodi più caldi e più freddi in passato, anche in periodi in cui la Terra non era popolata. Quindi dire che è colpa delle industrie e delle emissioni di CO2 è, per lui, demenziale.

Quindi il tema del riscaldamento globale sarebbe puramente ideologico

Quando emerge questa tesi? Nel 1992, al vertice di Rio . E il 1992 è il primo anno dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che era la potenza nucleare in grado di resistere agli Stati Uniti e trascinare il mondo in una guerra apocalittica, un “armageddon termo-nucleare”. Questa minaccia è scomparsa con la fine dell’Unione Sovietica e la Guerra Fredda? Ma dobbiamo credere che le persone devono sentire una minaccia, perché immediatamente questa paura è stata sostituita da un’altra paura millenaria, quella del riscaldamento globale che ci assicura che la nostra terra sarà invivibile entro pochi decenni se non facciamo nulla.

Allo stesso tempo, gli Stati Uniti sono emersi come i grandi vincitori della guerra fredda e per un certo periodo sono diventati, secondo il neologismo di Hubert Védrine, un ”  iperpotere  “. Per tutti i seguaci dell’internazionalismo, era importante contenere questo potere e favorire l’emergere di paesi che potrebbero competere con esso. La tesi sul riscaldamento globale è tempestiva, perché richiede ai paesi ricchi di ridurre le loro emissioni di CO2 e quindi la loro crescita, ma lascia i paesi poveri ed emergenti liberi di agire in nome del loro diritto allo sviluppo.

 

Trump si oppone quindi alla riduzione delle emissioni di CO2, che sono un mezzo per indebolire economicamente gli Stati Uniti

Per Trump, il riscaldamento globale è solo un concetto ideologico pratico per contenere il potere e la crescita dei paesi industriali, con in testa l’America e favorire quelli dei paesi più poveri. Come presidente degli Stati Uniti con a cuore gli interessi del suo paese, non è naturalmente propenso a seguire le ingiunzioni di coloro che difendono questa tesi.

In secondo luogo, se il riscaldamento globale è un problema globale, richiede soluzioni globali. Che cosa è stato osservato dal 1997 e il famoso protocollo di Kyoto , di cui è erede quello di Parigi? Osserviamo che il primo paese che emette CO2, la Cina , è esente da obblighi. Secondo l’accordo di Parigi, la Cina non ha nessun obbligo prima del 2030 e da allora in poi i suoi impegni saranno puramente volontari … D’altra parte, gli Stati Uniti, un paese ricco e industriale, sono i primi a essere colpiti da restrizioni di ogni tipo . Quindi Trump ha visto nell’accordo di Parigi come un modo per “spennare” l’America. Ha avvertito nella sua campagna elettorale che sarebbe uscito da questo accordo e lo ha fatto. Ha mantenuto la sua promessa, per la quale non possiamo biasimarlo.

 

Passiamo alla politica estera. Trump sembra meno “andare in guerra” rispetto al suo predecessore. È questo un punto di svolta nella politica estera americana?

Trump non andrà in guerra. Ha spesso affermato di essere contro la guerra in Iraq lanciata nel 2003 da George W. Bush. Ma è pronto a fare la guerra se è nell’interesse dell’America. Esiste una dottrina di Trump, quella della pace con la forza, vale a dire che l’unico modo per evitare la guerra è mettere al passo i paesi pericolosi. Questo si chiama dissuasione.

 

Donald Trump desidera mantenere la presenza americana nei tradizionali teatri delle operazioni?

Ci sono ottocento basi militari americane nel mondo e non si pone di chiuderle. Tuttavia, Trump ritiene che gli Stati Uniti si siano impegnati in numerosi teatri per proteggere paesi o risorse e che tali impegni costino più di quanto dichiarino. I paesi protetti a volte sono ingrati, il che lo contraria. Ma è pronto a mantenere questo sistema in atto, perché protegge anche gli Stati Uniti, la cui difesa inizia ben oltre i suoi confini.

A differenza dei neo-conservatori che credono che la democrazia sia un sistema esportabile che pacificherebbe il mondo, Trump crede che ci siano paesi che sono semplicemente impermeabili agli ideali democratici. Non rischierà mai la vita americana per costruire la felicità di alcune persone contro la loro volontà. D’altra parte, andrà sempre a difendere gli interessi americani.

 

Qual è il lato coperto delle carte della sua politica in Iran?

L’Iran è un regime islamico emerso da una rivoluzione avvenuta nel 1979 e che ha cercato di estendere il suo modello all’intera regione, diventando la principale forza destabilizzante in Medio Oriente. Trump ritiene che l’Iran costituisca una minaccia e che dobbiamo affrontarla e contenerla. A differenza di Obama, non vuole venire a patti con l’Iran. Non si fida dei suoi leader e non vuole che un tale regime diventi una potenza nucleare. Non andrà in guerra contro l’Iran, ma proverà a soffocarlo dall’interno con sanzioni. Se è costretto a condurre operazioni militari ad hoc contro l’Iran, le eseguirà senza ulteriori motivi.

L’assassinio di Souleimani va in questa direzione o segna l’inizio di un vero conflitto armato?

L’ assassinio di Souleimani è un atto fondamentale, perché la persona designata è una personalità di spicco nel suo paese. Il modo in cui è stato effettuato l’attacco mostra ai leader iraniani che non sono al sicuro da nessuna parte. Se gli Stati Uniti vorranno mai sbarazzarsi di questo o quello, sarà fatto. Ciò che gli iraniani non sono in grado di fare in cambio. Tuttavia, questo omicidio è arrivato in risposta alle molteplici provocazioni di cui gli iraniani sono stati colpevoli per due anni nella regione, nonché agli attacchi organizzati contro l’ambasciata americana a Baghdad e alla morte di un cittadino americano durante un di questi attacchi. Trump voleva inviare un messaggio chiaro agli iraniani, così come agli americani. Un altro Bengasi sotto il suo mandato non sarebbe possibile.

 

Andiamo in Francia. Alla luce della storia e in particolare della guerra d’indipendenza, Francia e Stati Uniti intrattengono relazioni amichevoli?

Esistono legami storici tra Francia e Stati Uniti. Gli americani hanno partecipato alla rivoluzione francese, in particolare con Thomas Paine, entrambi eletti alla camera dei rappresentanti e deputati alla Convenzione. Al contrario, Lafayette e Rochambeau aiutarono le truppe di Washington . Esistono anche legami ideologici: la Francia, come gli Stati Uniti, è un paese rivoluzionario con un’ideologia universalista. Entrambi credono di essere alla radice della democrazia moderna. Gli Stati Uniti sono venuti due volte per liberare la Francia dall’aggressione tedesca. Vai in Normandia per vedere il sacrificio di migliaia di americani per salvare la Francia e l’Europa. Quindi abbiamo un passato storico ricco e onorevole, di cui entrambe le parti sono orgogliose.

 

Ma le dottrine politiche di Trump e Macron sembrano essere l’opposto dell’altra

Tutto si oppone a loro, in effetti. C’è un’opposizione di generazione e cultura. Macron è un globalista ed è stato educato in un’altra epoca, con altri valori. Macron è un relativista. È qualcuno che è pronto a negare la propria cultura per accettare quella dell’altro. Trump è un nazionalista, orgoglioso della sua cultura, che non cercherà di imporlo agli altri, ma che chiederà a chiunque voglia diventare membro della sua nazione, quindi immigrati, di adottare la sua cultura. Crede nell’assimilazione, la vecchia dottrina francese ora abbandonata con le deplorevoli conseguenze che osserviamo. Quindi tutto si oppone a loro, ma da un punto di vista strategico, c’è una lotta comune contro il terrorismo islamico. L’Europa è molto più minacciata degli Stati Uniti, ma abbiamo uno spazio comune, perché l’islamismo radicale ha dichiarato guerra all’Occidente, senza alcun limite geografico, ideologico o religioso. L’America e la Francia appartengono a questo spazio giudeo-cristiano e hanno interessi comuni nel limitare questo terrorismo e la sua espansione, specialmente in Africa.

Oggi il Sahel è molto importante, perché è l’ultimo baluardo contro il territorio sub-sahariano che potrebbe essere sommerso dall’islamismo. La sola Francia in questo teatro può fare poco e Macron ha un bisogno maggiore di Trump che viceversa. Da un punto di vista economico e commerciale, gli Stati Uniti hanno capito che il potere economico del XXI  secolo sarà la Cina. I blocchi di potere si sono spostati e Trump sembra essere più preoccupato della Cina che per l’Europa.

 

Che dire delle relazioni russo-americane, specialmente dopo i sospetti di hacking delle elezioni americane da parte dei russi, quindi indirettamente, di Vladimir Poutine?

Ci sono punti in comune tra Putin e Trump . Il sistema russo è un sistema autoritario in cui il potere è centralizzato nelle mani del Presidente. Chi crede che le elezioni americane avrebbero potuto essere violate, deviate e influenzate da Mosca, deve essere molto generoso riguardo le capacità di Mosca di influenzare il gioco politico americano. È anche una scusa facile per coloro che hanno perso. Ci siamo avvicinati alle elezioni del 2016 come se fossero state vinte in anticipo. Donald Trump non aveva la possibilità di vincere. Quindi non ci aspettavamo che fosse in grado di farlo. Da lì, quando accade l’improbabile, può essere solo il risultato di imbrogli e interferenze esterne, rimane facile cercare un capro espiatorio, un ruolo che Putin ha svolto. Ma la spiegazione è più fantasia che realtà.

Putin è un personaggio che crede nel realismo nelle relazioni internazionali e che si rende conto che i due paesi, sebbene non si combatteranno più fisicamente, rimangono rivali economici e strategici. Il suo interesse è avere un avversario il più debole possibile. Mettere in dubbio la mente del tuo avversario, mettere qualcuno a capo del paese che è debole o che ha politiche a suo vantaggio è nell’interesse della Russia. Alla fine, Trump è stato legittimamente eletto da un particolare sistema elettorale ed è stato in grado di beneficiare delle peculiarità di questo sistema.

 

Ci sono reminiscenze della guerra fredda tra questi due paesi?

La guerra fredda si concluse nel dicembre 1991 con il crollo dell’Unione Sovietica e la nascita della Federazione Russa. Trent’anni dopo, siamo ancora in un clima di guerra fredda negli Stati Uniti. Non vogliamo spostare le linee, e molti non vogliono che cambiamo il nemico, perché quel nemico è, se oso dire, pratico. Trump si rende conto che quello che Eisenhower ha definito il ”  complesso militare-industriale  “, un sistema in cui i due partiti, democratico e repubblicano, sono ugualmente coinvolti, farà di tutto per distruggere le speranze di riavvicinamento con la Russia.

In realtà, tuttavia, c’è molto da ammettere che questi paesi si avvicinino perché hanno punti di vista complementari.

Per quanto riguarda le imminenti elezioni presidenziali, cosa puoi fare per il mandato di Trump?

Trump vuole essere rieletto, è un candidato e può essere rieletto. Parte in una posizione favorevole, perché il suo bilancio è eccezionale. Nel 2016 non lo conoscevamo, non avevamo idea di cosa avrebbe fatto. Si potrebbero legittimamente porre domande. Alcuni avevano previsto un disastro ecologico e strategico, ma non è successo nulla di catastrofico. Al contrario, l’ America sta andando molto bene da un punto di vista economico. La disoccupazione non è mai stata così bassa. Gli americani, che sono persone sensibili e pragmatiche, sanno benissimo che la migliore politica sociale è, in realtà, una politica economica che genera una forte crescita. Hanno capito che non era nel loro interesse dipendere da un’amministrazione che ti dà l’elemosina, ma avere un vero lavoro, che ti permette di avere una famiglia, vederla prosperare e investire. Negli ultimi quattro anni, questa macchina economica ha funzionato a tutta velocità.

Donald Trump ha liberato il settore energetico , ha autorizzato nuovamente la ricerca di una serie di cose e ha tagliato i regolamenti. Usa la sua forza economica per costringere altri giocatori a venire e investire negli Stati Uniti. È qualcosa che solo lui può fare. Ha un record economico che, per il momento, è quindi estremamente brillante, soprattutto perché il mercato azionario non è mai stato così effervescente. Nel 2019 è cresciuto del 27%.

 

E il mercato azionario?

L’aumento degli indici di borsa rappresenta un considerevole potenziale arricchimento per l’americano medio. Bisogna rendersi conto che gli Stati Uniti hanno 330 milioni di abitanti e 130 milioni di portafogli. Un americano su tre ha investito nel mercato azionario. Questi portafogli azionari sono costituiti principalmente da piani di previdenza. Gli americani hanno il diritto di aprire un conto pensionistico individuale esente da imposta a condizione che non lo tocchi prima dei 60 anni. Alcuni di questi piani beneficiano della partecipazione del datore di lavoro. Se risparmi $ 50 al mese per la pensione, il tuo datore di lavoro deve depositare di tasca propria $ 50 al mese. Per un lungo periodo, questo può produrre molti soldi. Nonostante gli alti e bassi economici a lungo termine, il mercato azionario non scende. Oggi è al suo massimo e un aumento del 25% all’anno può rappresentare un guadagno di decine di migliaia di dollari per i risparmiatori americani.

Il mercato azionario è ai massimi livelli , la disoccupazione è al minimo, l’economia corre a tutta velocità. Gli americani vogliono che duri e sanno che se si scopre, è grazie a Donald Trump. Quindi sarà, per me, un incentivo per le persone a votare per lui.

 

Pensi che Donald Trump sarà di nuovo presidente l’anno prossimo? 

Distinguiamo. Quando osserviamo le cifre, vediamo che la demografia è favorevole ai democratici. Numericamente parlando, ci sono più americani che si identificano con il Partito Democratico che con il Partito Repubblicano. Ma Trump non è il partito repubblicano perché l’ha trasformato. Dietro Trump c’è una base che rimane motivata e mobilitata. La domanda è se Donald Trump è in grado di espandere questa base. Nel 2016, su quasi 130 milioni di voti, ci sono stati meno di centomila voti davvero decisivi. È molto poco Quindi le elezioni saranno nuovamente serrate. Perché Trump vinca, deve mobilitare le sue truppe e alcuni elettori democratici devono unirsi di nuovo a lui. È possibile e verosimilmente probabile. Ma nulla è deciso in anticipo.

Trump ha tutti i media mainstream contro di lui e non è riuscito a convincere le donne, specialmente le periferie e le giovani madri, o le minoranze etniche che continuano a votare per i democratici. Ma penso che ci sarà una defezione in questi due campi. Riuscirà a essere rieletto, ma sarà una battaglia molto difficile, focalizzata sulla mobilitazione che è, inoltre, un punto di forza dei repubblicani.

 

Chi sono i candidati che lo affrontano?

Per il momento, ci sono molti candidati democratici che contendono la nomination; Bernie Sanders , già candidato nel 2016, Joe Biden , ex vicepresidente ed ex senatore che è un democratico centrista, Elisabeth Warren , senatrice del Connecticut e radicale di sinistra, Amy Klobuchar , senatrice del Minnesota, Pete Buttigieg , un giovane sorto dal nulla sindaco di South Bend, Indiana, l’uomo d’affari Tom Steyer e, soprattutto, Michael Bloomberg , ex sindaco di New York. Al momento, non è chiaro quale di questi personaggi dovrà affrontare Trump.

 

Secondo te, quale sarebbe il risultato delle primarie democratiche?

Se è un personaggio di sinistra che vince, Bernie Sanders o Elisabeth Warren, Trump sarà rieletto a mani basse, perché l’America non è così di sinistra come questa gente. Se ha un democratico centrista, unificatore, con soldi e mezzi di comunicazione alle spalle, la battaglia sarà più dura, perché Trump è un personaggio divisivo. Per quanto il suo elettorato adori questa lotta, tanti elettori vorrebbero un’America pacifica.

 

La procedura di impeachment e il recente caso Biden l’hanno indebolita?

La rimozione avrà un impatto minimo. Gli americani capiscono che era un teatrino politico e che si trattava di un approccio destinato a fallire. Assolto dal Senato , Trump ora può tranquillamente dedicarsi alle elezioni. Sebbene il processo si sia svolto dopo il discorso sullo stato dell’Unione , che ha avuto luogo il 4 febbraio, il Presidente è comparso davanti al Congresso e alla nazione trionfante.

tratto da https://www.revueconflits.com/etats-unis-donald-trump-gerald-olivier/

Wellingtoniana e… Salviniana, di Piero Visani

Wellingtoniana e… Salviniana

       Dal momento che mi pare di capire – da certi comportamenti – che non solo si intende insistere in strategie comunicative totalmente errate, ma si vuole pure accentuarle, ricorrerò all’aneddotica, soluzione immaginifica adatta a penetrare (forse…) nelle menti più semplici e meno provvedute…
       Notte fra sabato 17 e domenica 18 giugno 1815. Piana di Waterloo. La giornata è stata afosa e il calare delle tenebre non ha portato refrigerio. Qualche tuono annuncia che presto potrebbe scoppiare un temporale anche di forte intensità, ma per il momento ancora si fa attendere.
       Nel quartier generale britannico, nei pressi di Mont Saint-Jean, gli aiutanti di campo (molti dei quali giovani e giovanissimi rampolli della nobiltà inglese) e gli ufficiali subalterni si affollano intorno al loro comandante, il duca di Wellington, certamente per trarre conforto e sicurezza dalla sua calma glaciale. Per alcuni, che per ragioni anagrafiche non avevano potuto prendere parte alla Guerra Peninsulare in Spagna e Portogallo (1808-1814) contro i francesi, quella che si annunciava per l’indomani era la prima grande battaglia della loro vita (e per non pochi di essi sarebbe stata anche l’ultima…)
       Il desiderio di avere indicazioni su cosa sarebbe potuto accadere il giorno dopo era troppo forte, per cui i più audaci azzardarono a chiederlo al loro comandante: “Vostra Grazia, che cosa accadrà domani?”.
       Con il suo consueto, nobiliare distacco, il “Duca di ferro” [così era soprannominato] li guardò con l’aria serena di un comandante che di battaglie ne aveva vinte molte, contro i francesi, e rispose: “Verranno su alla solita vecchia maniera [si riferiva al fatto che i francesi erano soliti attaccare in colonne di battaglione, invece che in linea] e noi li batteremo alla solita vecchia maniera” [vale a dire con i reparti schierati in linea, che potevano sviluppare un volume di fuoco nettamente superiore a quello dei francesi, come era accaduto a partire dalla battaglia di Maida, in Calabria, nel 1806, ed era continuato per tutta la Guerra Peninsulare, senza che i comandanti francesi – salvo pochissime eccezioni – si accorgessero della natura del problema].
       Questo accadde puntualmente anche il giorno dopo, a Waterloo.
       L’aneddoto serve solo a ricordare che l’iterazione di tattiche e strategie già dimostratesi perdenti in varie occasioni, specie quanto si va all’attacco di gente molto abile nella difesa, serve solo a perdere una volta di più e forse sarebbe meglio cambiarle. Forse…

Antonino Galloni L’altra moneta Womanesimo e Natura, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Antonino Galloni L’altra moneta Womanesimo e Natura (dall’avere all’essere), Ed. Arianna 2019, pp. 159 € 15,00

È inconsueto leggere nel “proemio” del libro che “Al liceo e all’Università mi hanno insegnato che la guerra è la continuazione della politica, con altri mezzi; adesso insegno che l’economia può essere la continuazione della guerra, con vari mezzi”. Il che significa: a) che la politica – e il politico – è determinante; b) che l’economia riproduce – e spesso serve – le stesse distinzioni e finalità del politico. Cioè crea (e supporta) inimicizia ed amicizia, situazioni di comando ed obbedienza. Cosa ovviamente nota al pensiero moderno da Marx a Weber, Schmitt o Wittvogel, ma dimenticata da quello contemporaneo per cui l’economia (lo sviluppo economico) dovrebbe avere come effetto di eliminare il dominio, pacificare, e così subordinare il politico.

L’esprit de commerce limita l’esprit de comquete: che la considerazione di Constant non fosse una regolarità, ma solo una possibilità, più probabile dopo la rivoluzione francese che qualche secolo prima, lo provano, dopo la morte del pensatore di Losanna, le guerre imperialistiche che hanno connotato – in parte – il XIX e XX secolo. Nello stesso periodo, il raggruppamento amico/nemico è stato, almeno fino al collasso del comunismo, determinato (per lo più) da una scriminante economica: la proprietà o meno dei mezzi di produzione.

In tale prospettiva è chiaro che servirsi sempre di moneta a debito – com’è quella che l’istituto d’emissione presta allo Stato – può non essere opportuno, specie in situazioni di crisi. Ricorda Galloni “durante la Prima Guerra Mondiale il Ministro del Tesoro del Regno Unito, trovandosi in difficoltà, scelse di emettere sterline non a debito (non fornite dalla Banca d’Inghilterra), così risolvendo un enorme problema per il suo Paese (e non si può negare che ciò abbia contribuito alla conclusione positiva delle belligeranze per il suo Paese … eppure funzionò” e potrebbe ancora funzionare.

Onde l’economista propone di emettere moneta a sola circolazione nazionale, non convertibile, come mezzo per uscire dalla crisi. Mesi fa, polemizzando con Draghi il quale aveva sostenuto – mal applicando l’albero di Porfirio (la c.d. “divisione esauriente”) e riferendosi ai mini-Bot proposti dalla Lega che questi o sono illegali o generano ulteriore debito – che non era vero né l’uno né l’altro. Infatti perché fossero illegali occorrerebbe che fossero vietati da una legge o un Trattato: ma il Trattato di Lisbona non li vieta. Che aumentino lo stock di debito non è neanche vero, nella proposta leghista, perché da un lato sono liberamente accettati dal creditore, il quale lo fa perché opta di essere pagato subito con quelli e non anni dopo con l’euro. D’altra parte se il creditore li gira in pagamento a qualche (proprio) creditore, anche in tal caso il terzo può liberamente accettarli o meno. Il tutto fu (ampiamente) sperimentato in Germania negli anni ’30 con un mezzo simile: le cambiali MEFO (garantite dallo Stato). Scriveva Schacht, il quale tale sistema aveva ideato e realizzato, che data la garanzia del Reich e il buon saggio d’interesse, gran parte delle cambiali finirono per essere girate a terzi o detenute in attesa della scadenza, piuttosto che presentate per lo sconto alla Reichsbank.

L’effetto (anche) delle cambiali Mefo fu di finanziare gli enormi investimenti pubblici del Terzo Reich (compreso il riarmo). Anche in tal caso “funzionò”. Ma contro tali strumenti alternativi si ricorre ad ogni genere di esorcismo anche a quello della logica.

Dimenticando quello che l’Europa (tanto amata) ci ricorda sempre, da ultimo con la sentenza della Corte UE del 28 gennaio: che i debiti vanno pagati. e alla scadenza. L’inverso di quanto praticato dalla finanza (piddina soprattutto) della seconda repubblica.

Peraltro nascondendo che di tali – o simili – mezzi alternativi d’estinzione delle obbligazioni si era fatto uso con risultati positivi. Dato però che l’assetto di potere economico oggi prevalente è diverso, occorre non intaccarlo. E con buona pace dell’ “ottimo” economico, torniamo così al rapporto di dominio.

Teodoro Klitsche de la Grange

CHI DECIDE PER SALVINI?, di Teodoro Klitsche de la Grange

CHI DECIDE PER SALVINI?

Ha suscitato un vivace dibattito la richiesta di autorizzazione a processare Salvini sulla quale si deve pronunciare la camera d’appartenenza.

Ovviamente il ritornello più battuto dalla maggioranza parlamentare è quello solito: eguaglianza versus privilegio; giustizia versus politica; in minor misura umanità versus sicurezza nazionale.

Da una parte si vuole che la giustizia faccia il suo corso, dall’altra che la politica lo interrompa. Chi ha ragione?

Si può rispondere, in prima battuta: entrambi. Questo perché se una condotta è illecita (giudizio giuridico) o se è politicamente opportuna (giudizio politico) si valutano in base a parametri diversi, hanno corsi differenti e sono entrambi necessari all’esistenza comunitaria. Per cui il fatto che un’azione sia illecita non implica che non sia opportuna e viceversa. Anzi già nella Farsaglia (14 secoli prima di Machiavelli) il contrasto tra norma e opportunità politica è così descritto da Lucano: “Sidera terra ut distant et flamma mari, sic utile recto.Sceptrorum vis tota perit, si pendere iusta incipit, evertitque arces respectus honesti”[1]

Onde nel Principe, dove si legge a proposito del contrasto tra (norma) morale e opportunità politica “è necessario a un principe, volendosi mantenere, imparare a poter essere non buono e usarlo e non usarlo secondo la necessità”, il Segretario fiorentino non faceva che esprimere mutatis mutandis l’esigenza di autonomia della politica. E ancora della prevalenza dell’istituzione politica la cui funzione è la protezione dell’esistenza della comunità.

Dato che, in uno Stato, la protezione comporta anche, sia pure in subordine, di assicurare l’ordine (anche) con l’applicazione del diritto, occorre trovare dei meccanismi in grado di garantire che, nei punti di frizione tra opportunità e politica ed applicazione della legge, si prenda una decisione, necessariamente derogativa del corso normale della giustizia. E così è, anche nei moderni Stati democratici-liberali, nei quali, quando sono in gioco responsabilità politiche, si prescrivono deroghe alla giurisdizione ordinaria. Nel caso dei ministri in Italia la norma relativa (l’autorizzazione a procedere), espressa nella brevità della disposizione è che: a) la camera valuta con giudizio insindacabile; b) se il ministro abbia agito per la tutela di un interesse (ripetuto due volte) pubblico. La camera così non giudica se vi sia illecito, ma soltanto se l’eventuale illecito, anche se commesso, era comunque in funzione di un interesse generale (prevalente). La responsabilità è tutta politica: se l’elettorato non condivide la decisione della Camera, alle prime elezioni può rimandare a casa politici sgraditi.

Così Salvini non sbaglia nel sostenere che aver chiuso i porti era volontà maggioritaria degli italiani (v. risultati elettorali); che rincorrendo interpretazioni, anche ove non peregrine, è voler sopraffare quella volontà: e se proprio gli italiani fossero di opinione diversa dalla Lega, hanno il potere di ridurla alle dimensioni pre-Salvini. La questione è tutta politica e, in una democrazia, rimessa al popolo e non a un collegio di funzionari, i quali per quanto stimabili e giusperiti, non hanno il potere di derogare alle leggi, ma solo di applicarle.

E se anche giuridicamente fondato e condivisibile, la decisione relativa potrebbe essere politicamente inopportuna o contraria alla volontà del “potere maggioritario”: cioè quella del popolo.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

[1] “L’utile dista dall’equo come gli astri dalla terra e il fuoco dal mare. Tutta la forza degli scettri perisce se considera il giusto; il rispetto dell’onestà abbatte i castelli” Pharsalia, VIII, 487-490

BETTINO CRAXI, UNO DEGLI UOMINI POLITICI PIU’ ONESTI NELLA STORIA DEL NOVECENTO ITALIANO, di Giuseppe Angiuli

 

BETTINO CRAXI, UNO DEGLI UOMINI POLITICI PIU’ONESTI NELLA STORIA DEL NOVECENTO ITALIANO

 

 

Il ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi è stato accompagnato da un inatteso clima di curiosità, attenzione e partecipazione emotiva nell’opinione pubblica del nostro Paese, lasciandoci forse intravedere per la prima volta dei barlumi circa la possibilità di aprire finalmente un serio dibattito che conduca ad una radicale riscoperta e ad una giusta ri-valorizzazione della figura del leader socialista, con cui porre fine ad un lungo periodo di ingiusto oblio e di inaccettabile damnatio memoriae nei suoi riguardi.

A determinare tale clima nel Paese non penso abbia contribuito unicamente la programmazione nelle sale cinematografiche della pregevole pellicola di Gianni Amelio dal titolo Hammamet, contraddistinta da una interpretazione straordinariamente realistica dell’attore Pierfrancesco Favino e che, lungi dal fare luce sui torbidi retroscena del Golpe morbido del 1992 passato alla storia come Mani Pulite, è riuscito quanto meno nell’intento di risarcire parzialmente la dignità di Bettino Craxi restituendolo in tutta la sua nuda umanità all’immaginario collettivo degli italiani.

In realtà, a distanza di 20 anni esatti dalla tragica dipartita dello statista milanese – a cui fu di fatto reso impossibile il rientro in Italia per curarsi, senza correre il contestuale rischio di farsi arrestare – vi sono ormai tutte le condizioni per trarre finalmente un serio ed onesto bilancio sulle vicende che portarono alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, con tutto quel che ne è conseguito in termini di trionfo del neo-liberismo e della globalizzazione nonché in termini di drastica riduzione della sfera delle opportunità economiche e dei diritti sociali degli italiani.

In particolare, i nostri concittadini con un po’ di capelli bianchi sul cranio sono oggi perfettamente in grado di operare un serio e crudo confronto fra le condizioni generali di vita in cui si trovava il Belpaese nei tanto vituperati anni ’80 del secolo scorso, quando i socialisti craxiani erano collocati a Palazzo Chigi (all’epoca l’Italia era la quinta potenza industriale al mondo) e le condizioni miserevoli e patetiche in cui esso si trova oggigiorno, dopo una lunga fase di sistematica spoliazione delle nostre ricchezze e di umiliazione della nostra sovranità nazionale e dopo quasi un trentennio di idiozie e scempiaggini (prima fra tutte quella sui meccanismi che avrebbero dato vita alla spirale dell’incremento del nostro debito pubblico) che hanno preso il totale sopravvento nel dibattito politico di casa nostra su qualsiasi ragionamento strategico minimamente dotato di buon senso.

Negli anni ’30 del secolo scorso, Benedetto Croce, con una saggia riflessione che al giorno d’oggi si attaglierebbe perfettamente a tutti i post-dipietristi travagliati ed in particolar modo ai grilloidi a cinque stelle, affermava che la frequente richiesta di onestà in politica altro non è che un «ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli».

E a chi gli domandava che cosa fosse per lui, in fondo, l’essere onesti nella vita politica, il filosofo nativo di Pescasseroli rispondeva così: «L’onestà politica non è altro che la capacità politica, come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze».

Noi siamo d’accordo con Croce e ci permettiamo di aggiungere che a nostro avviso l’uomo politico onesto fino in fondo è colui il quale si dedica con passione alla lotta politica perseguendo una sua precisa visione del mondo e del Governo della cosa pubblica, che è capace di comunicare con trasparenza tale visione ai suoi elettori o seguaci e che, una volta acquisite delle responsabilità dirette verso la collettività, è in grado di ancorare nel modo più possibilmente coerente i suoi atti e comportamenti alle sue parole.

 

La tomba di Bettino Craxi nel cimitero cristiano di Hammamet

Ebbene, se ci si potesse trovare tutti quanti concordi con questa definizione del concetto di onestà nella vita politica, ecco che dovremmo quasi inevitabilmente pervenire alla conclusione per cui Bettino Craxi non soltanto poteva a giusta ragione qualificarsi come un uomo politico di grande onestà intellettuale ma con buona probabilità è stato senz’altro tra i più onesti e capaci fra tutti i dirigenti politici che il nostro Paese abbia avuto nella storia del novecento.

Craxi è stato onesto e capace prima di tutto nell’avere saputo approntare per tempo una rielaborazione critica, seria e lineare del retaggio ideologico ereditato dal pensiero positivista ottocentesco e dai movimenti politici di matrice marxiana[1].

Senza operare alcuna comoda o frettolosa abiura – come avrebbero fatto i post-comunisti appena dopo il collasso della cortina di ferro nel 1989 – appena dopo avere assunto la guida del P.S.I. nel 1976, Craxi seppe rapidamente dotare il suo partito di una visione moderna e realistica del socialismo riformista, una visione che riusciva a collegare sapientemente i meriti con i bisogni, la giustizia sociale con la salvaguardia delle libertà degli individui, le esigenze della crescita, della produttività e dello sviluppo con quelle legate al welfare ed all’ambizione di ascesa dal basso verso l’alto della piramide sociale.

Tale operazione di saggio revisionismo storico del pensiero marxiano – alla cui elaborazione concorse senz’altro in misura determinante l’apporto dottrinale di pensatori del calibro di Luciano Pellicani e Norberto Bobbio – consentì ai socialisti italiani di giungere bene attrezzati alla responsabilità di guidare il nostro Paese, nel corso degli anni ’80 del secolo scorso, muniti di grande credibilità, di sano realismo e di un’indubbia solidità politico-programmatica.

Il contesto che i detrattori di Craxi oggi descrivono in modo caricaturale come quello degli anni bui della «Milano da bere», della corruzione e delle tangenti fu in realtà un periodo di straordinaria ed impetuosa crescita economica dell’intero Paese, un periodo in cui al successo del Made in Italy nel mondo si associavano un’efficace mobilità sociale ed un potere reale d’acquisto dei salari dei lavoratori italiani impensabilmente alto se posto al confronto con quello odierno, un periodo in cui, in fin dei conti, anche alle famiglie di operai italiani era concesso ogni anno il lusso di farsi almeno due settimane di vacanza in riviera romagnola o sulle Dolomiti.

 

 

Sbaglia peraltro chi pensa di potere accostare politicamente ed ideologicamente in modo perfetto le figure di Bettino Craxi e di Silvio Berlusconi, che erano due personalità molto diverse e per certi versi di natura opposta.

Il rapporto di amicizia, complicità e di reciproca convenienza che Craxi strinse con Berlusconi fu dettato in primo luogo dallo stato di necessità in cui venne a trovarsi lo statista socialista: giunto a Palazzo Chigi nel 1983, egli si trovò a dover fronteggiare il fuoco di sbarramento dell’intero gotha economico-finanziario italiano, a cominciare da Cuccia-Mediobanca, Agnelli e De Benedetti con tutto il corollario della grande stampa ad essi connessa: Corriere, Stampa, Repubblica-L’Espresso.

Fu così che Craxi si trovò di fronte alla scelta obbligata di cercare una sponda mediatica nel parvenu Berlusconi, il quale a sua volta, non essendo mai riuscito a fare ingresso in certi salotti che contano, dapprima utilizzò l’amicizia con Craxi per conquistare terreno nel settore televisivo ma poi nel 1992 mollò presto il suo vecchio amico al suo triste destino, cavalcando anch’egli la prima fase dell’ondata giustizialista di Mani Pulite.

Ma Craxi fu un leader di grande onestà anche e soprattutto per il merito di non avere mai smarrito nella sua azione un forte senso della difesa dell’interesse nazionale, in un Paese come l’Italia che da almeno un migliaio di anni si contraddistingue per una strutturale e atavica propensione al particolarismo, al tradimento, ad un’esterofilia figlia della nostra debole autostima come italiani, un sentimento patologico che molto spesso ci induce perfino a vantare e sbandierare pubblicamente la nostra intelligenza col nemico, all’insegna del celebre motto «Franza o Spagna, purchè se magna».

La sua visione dirigista, statalista ed anti-liberista in economia non venne mai meno nel corso degli anni di Governo a partecipazione socialista, allorquando Bettino non mancò di protendersi coraggiosamente a difendere i gioielli delle nostre partecipazioni statali dalle grinfie e dagli appetiti famelici di uomini senza scrupoli del calibro di Carlo De Benedetti il quale già nel 1985, platealmente agevolato da Romano Prodi, con il tentativo maldestro di acquisizione del comparto alimentare dell’IRI (SME) provò con impudenza a mettere in atto le prime prove tecniche di privatizzazioni-svendita.

 

Craxi in compagnia dello storico leader palestinese Yasser Arafat

La notevole abilità e destrezza con cui Bettino Craxi si muoveva sui più complessi scenari della politica estera costituisce la prova più evidente del carattere genuino della sua passione politica, coltivata fin da quando era un ragazzino e che negli anni lo condusse ad instaurare una rete assai fitta e articolata di rapporti politici, in cui un posto d’onore era riservato ai leader laici e socialisteggianti dell’area mediterranea e dei Paesi in via di sviluppo, su tutti il palestinese Yasser Arafat, il somalo Siad Barre e il libico Muhammar Gheddafi (a quest’ultimo Craxi salvò la vita nel 1986, avvertendolo per tempo dell’intenzione degli USA di bombardare il suo quartiere generale a Tripoli).

Con la visione craxiana della politica estera euro-mediterranea l’Italia ha saputo esprimere il meglio della sua credibilità nel campo delle relazioni internazionali, agendo all’insegna di uno spirito di mutua cooperazione con tutti i popoli del bacino mediterraneo, una modalità d’azione che riusciva a coniugare la legittima difesa dei nostri interessi nazionali col rispetto della sacra aspirazione dei popoli del sud del mondo a coltivare il loro diritto alla conquista della sovranità ed il definitivo affrancamento dal colonialismo.

Secondo l’analista Luca Pinasco, «il grande sogno di Craxi era la costruzione di una “terza via socialista” definita “Socialismo Mediterraneo” che vedeva l’Italia leader di un terzo polo, socialista, il quale aggregava Paesi del sud Europa e i Paesi arabi più laici a sud e a est del Mediterraneo, proseguendo nella via già tracciata qualche decennio prima da Enrico Mattei»[2].

Sfortunatamente per Craxi e per il nostro Paese, agli inizi degli anni ’90 del Novecento, dopo il crollo del Muro di Berlino, gli USA iniziarono a guardare all’Europa con un’ottica del tutto nuova,  in un contesto inedito nel quale il nostro Paese aveva ormai perso la sua funzione strategica di contenimento dell’avanzata del comunismo sovietico verso ovest.

 

Antonio Di Pietro a cena con Bruno Contrada e con altri amici fidati il giorno del primo avviso di garanzia a Craxi (dicembre 1992)

L’operazione sporca Mani Pulite, nella cui orchestrazione furono coinvolti senza alcun dubbio alcuni apparati investigativi e/o informativi d’oltre-oceano, si configurò dunque come una precisa strategia di destabilizzazione degli equilibri politici dell’Italia, alla cui guida era previsto che si collocasse una nuova classe politica docilmente addomesticabile o comunque non in grado di opporre alcuna resistenza a tutte le principali dinamiche che avrebbero contraddistinto la successiva fase storica della Seconda Repubblica, nel contesto generale della globalizzazione neo-liberista: privatizzazioni scriteriate, de-industrializzazione del Paese, smantellamento del welfare e delle tradizionali garanzie del mondo del lavoro dipendente e, in politica estera, sudditanza euro-atlantica senza se e senza ma (la manifestazione più clamorosa di tale sudditanza l’avremmo avuta nel 1999 col bombardamento NATO di Belgrado, avvenuto giusto in coincidenza con l’ingresso del primo Presidente del Consiglio “comunista” a Palazzo Chigi).

Bettino Craxi, una volta compresa la natura sostanzialmente e politicamente eversiva – ancorchè formalmente confinata entro i limiti del diritto positivo – dell’azione dei magistrati del pool di Mani Pulite, si rese conto che per lui, soprattutto se fosse andato in carcere, il destino avrebbe riservato una fine assai simile a quella del caffè al cianuro già dispensato a personaggi del calibro di Michele Sindona e Gaspare Pisciotta e fu così che egli, essenzialmente al fine di salvaguardare la sua incolumità fisica, decise di rifugiarsi stabilmente in Tunisia sotto la protezione dell’amico Presidente Ben Alì (il quale nel 1987 era stato aiutato proprio da Craxi e dal nostro SISMI ad ascendere al potere a Tunisi, facendo infuriare i francesi).

Negli anni del suo esilio malinconico di Hammamet, Craxi seppe riordinare i suoi pensieri e ci regalò delle pillole di verità così chiarificatrici sulla natura oligarchica e profondamente penalizzante per l’Italia del processo di costruzione dell’Unione Europea al punto da apparire oggigiorno preveggenti.

Su tutte merita di essere ricordata la sua infausta previsione sui profondi squilibri economici e sociali che l’incauta adozione dell’euro avrebbe ineluttabilmente creato: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro»[3].

Nell’Italia del 2020, la riscoperta della figura di Craxi potrebbe costituire il miglior viatico per l’auspicabile imbocco di una nuova strada per il Paese all’insegna del recupero della dignità nazionale e del rilancio della stessa dimensione della politica al cospetto di organismi oligarchici a carattere sovranazionale che in questi ultimi decenni ci hanno colpito al cuore con delle «limitazioni di sovranità» che sono andate ben aldilà dei confini semantici dettati dall’articolo 11 della nostra carta costituzionale.

Ecco perché per i nostri giovani è oggi essenziale studiare a fondo la figura politica di Bettino Craxi sotto tutti i suoi profili quale dirigente socialista riformista, uomo di Governo, statista, stratega in politica estera, patriota e infine martire dell’indipendenza nazionale.

Per i giustizialisti pedanti come Marco Travaglio, che con la loro voce stridula ancora oggi strepitano e ululano alla luna ripetendo il consueto ritornello stantio del Craxi uomo corrotto e «latitante», la migliore risposta la si può forse attingere da una celebre riflessione di Indro Montanelli (che proprio del Travaglio fu a suo tempo maestro protettore nel periodo di avvio della sua carriera di giornalista), il quale soleva ripetere: «Nella mia vita ho conosciuto farabutti che non erano moralisti ma raramente dei moralisti che non erano farabutti».

 

Giuseppe Angiuli

 

[1] Si legga il significativo discorso tenuto da Craxi nel 1977 a Treviri, in occasione del 30° anniversario della ricostruzione della casa natale di Karl Marx, dal titolo «Marxismo, socialismo e libertà» (http://www.circolorossellimilano.org/MaterialePDF/marxismo_socialismo_liberta_bettino_craxi.pdf). Più noto di tale discorso è il celebre articolo Il Vangelo socialista, pubblicato sul settimanale L’Espresso nel 1978.

[2] L. Pinasco, Bettino Craxi e Giulio Andreotti: il Mediterraneo come spazio vitale, pubbl. in AA. VV., L’Italia nel Mondo – L’altra politica estera italiana dal dopoguerra ad oggi, Circolo Proudhon, 2016, p. 135.

[3] Citazione riportata nel libro Io parlo e continuerò a parlare – Note e appunti sull’Italia vista da Hammamet, a cura di A. Spiri, Oscar Mondadori, 2016.

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