Temo che la guerra in Europa durerà a lungo e si estenderà. Di Claudio Martinotti Doria

Sono mesi che non scrivo più nulla sulla guerra in Ucraina e sulla situazione geopolitica generale, perché non sono un grafomane e non amo ripetermi e annoiare.

Altri autori e analisti hanno scritto quanto avrei riportato io stesso e quindi non intendevo sovrappormi vanamente. Inoltre c’è il pericolo ascrivibile alla scarsa memoria degli italiani, anche tra i miei lettori vi saranno quelli che non ricordano certamente quanto scritto in precedenza e rischierei di far la figura di chi arriva in ritardo a rilevare certi fatti, quando in realtà li avevo previsti e/o anticipati.

Mi riferisco ad esempio al numero dei soldati ucraini morti dall’inizio del conflitto.

Diverse fonti autorevoli occidentali da qualche giorno ammettono che potrebbero essere oltre 350mila, e per loro, asserviti alla propaganda istituzionale NATO-USA, simili affermazioni sono gravi e importanti, perché fino a poco prima era vietato affermare che fossero anche solo 100mila, i media mainstream si regolavano in base alle colossali menzogne della propaganda ucraina, che ne ammettevano poche decine di migliaia.

Qualche ottuso commentatore anche nei media cosiddetti indipendenti insiste ancora su cifre dimezzate rispetto a queste ultime, per significare come siano quasi tutti indottrinati e poco “indipendenti”, quantomeno nei ragionamenti.

Personalmente queste cifre le avevo fornite nei miei ultimi scritti di alcuni mesi fa, andrebbero ovviamente riviste al rialzo, considerando che solo negli ultimi giorni, con la fantomatica “controffensiva” ucraina, che tale non è, ma è tecnicamente un’offensiva e nei risultati è una farsa, un fallimento totale, le vittime sono tornate a essere un migliaio al giorno, tra morti e feriti gravi. Quanti morti vi sono stati tra gli ucraini non lo sapremo mai, anche perché le autorità naziste vietano di occuparsene e di parlarne, vietano l’accesso ai luoghi dove si potrebbero raccogliere dati, vietano le riprese video, distribuiscono i funerali in tutti i cimiteri del vastissimo paese, moltissimi cadaveri li hanno abbandonati al fronte facendoli seppellire ai russi, ecc.. Quando dico “vietano” intendo dire che finisci in galera (o peggio) se violi le regole imposte dal regime nazista di Kiev.

Inoltre pare assai verosimile che in due settimane le forze armate abbiano perso centinaia di mezzi corazzati, alcuni analisti occidentali (non russi) stimano queste perdite nel 30% di quanto disponevano gli ucraini per affrontare i russi e ricacciarli, come da loro velleitariamente dichiarato.

Allo stato dell’arte tutto quanto si poteva facilmente prevedere, se dotati di capacità neuronali di analisi e ragionamento (i nostri leader politici europei sono pertanto esonerati), si sta avverando. Non basta dotare di mezzi un esercito se questo non è fortemente motivato, sufficientemente addestrato, guidato da leader credibili, comandato da ufficiali minimamente carismatici, empatici e capaci, ecc.. L’esercito ucraino è allo sbando da parecchi mesi, e insistere su questa fantomatica offensiva serviva solo politicamente per la propaganda, per guadagnare tempo, si sapeva o si doveva prevederne l’esito, ed era sicuramente meglio evitare questo ennesimo fallimento, che era inevitabile.

I russi si erano preparati da mesi all’offensiva ucraina e hanno pure cambiato tattiche, creando difese mobili e dinamiche, che sono queste che hanno inferto duri colpi ai tentativi di avanzata dei reparti d’assalto ucraini.

Questi ultimi non sono mai arrivati neppure alle prime linee difensive russe, e dopo ve ne sono altre due da affrontare, quindi figuriamoci riuscire ad arrivare al Mare d’Azov e alla Crimea, pura illusione letale da minorati psichici.

Anche il comando supremo ucraino ha cambiato alcune tattiche, dopo le prime batoste subite e la perdita di centinaia di mezzi corazzati, anche quelli famosi che avrebbero dovuto cambiare le sorti della guerra, secondo la narrazione occidentale. Adesso combattono come si faceva oltre un secolo fa: mandano all’attacco solo la fanteria, coperta dai fumogeni. Ma vi rendete conto? Ma lo sanno i loro comandati (leggasi USA-NATO) CHE I RUSSI HANNO IN DOTAZIONE MEZZI DI RILEVAMENTO TERMICO, INFRAROSSI, DRONI CON SISTEMI OTTICI ULTRAMODERNI, satelliti militari che inquadrano anche un singolo metro quadrato? Solo per citare qualcosa di cui dispongono, tra le miriadi d’innovazioni tecnologiche militari in loro possesso e/o che presto disporranno perché in fase avanzata di progettazione e collaudo. Perché la Russia è un ciclopico paese dove la cultura è di casa, possiede da secoli le migliori accademie del mondo dove si formano centinaia di migliaia di giovani. Alcuni dei quali diverranno dei geni nel loro settore di competenza. Ecco perché hanno anticipato gli USA e non solo, con i missili ipersonici e tante altre armi avveniristiche e dalla potenza distruttiva mirata e apocalittica, non intercettabili, neppure immaginabili in Occidente nella loro concezione progettuale.

Tornando alle modalità primitive di combattere dell’esercito ucraino, a parte le mine che vengono ormai facilmente collocate dai droni, basterebbe un proiettile di artiglieria per uccidere decine di soldati, anche se sparpagliati, a causa delle schegge provocate dall’esplosione, e in aperta campagna non ci sono ripari, i cespugli e arbusti nascondono alla vista ma non evitano i proiettili.

Stanno pertanto mandano al massacro migliaia di soldati come fossero carne da macello. Che lo facciano gli USA-NATO non ci sorprende, lo hanno fatto capire fin dall’inizio del conflitto che gli ucraini erano solo utili idioti e che la guerra ai russi sarebbe durata fino all’ultimo ucraino, ma gli ucraini sono tutti d’accordo a prestarsi e a fare questa fine? Li hanno forse drogati e ipnotizzati?

Pare di no, perché sempre più reparti schierati al fronte si stanno arrendendo ai russi, magari dopo la morte del loro ufficiale (non mi stupirei fosse stata indotta), e non perché circondati e senza munizioni ma per scelta deliberata.

Sono chiari segnali che i soldati ucraini non intendono più combattere per favorire gli interessi stranieri e delle loro corrotte oligarchie. Dovranno combattere fino alla fine solo i soldati nazisti, perché sanno che sono nella lista nera dei russi, ma i nazisti nella loro maggioranza sono stati finora utilizzati per “catturare” i renitenti al servizio militare, quelli che si nascondevano ai richiami, numerosi e disertati in massa, alla faccia di Zelensky che mentiva spudoratamente parlando di file interminabili di volontari che volevano combattere. Ma quando mai?

Ci sono centinaia di video on line di testimonianze di civili che filmano vere e proprie aggressioni, sequestri di persona, arresti, violenze eseguite da nazisti su giovani per strada o padri di famiglia nelle loro case, per obbligarli ad arruolarsi e andare a combattere. E spesso tali persone si difendono, anche se poi vengono sopraffatte, tranne rari casi in cui intervengono anche i vicini per solidarietà e cacciano i nazisti.

Queste situazioni rivelano un’Ucraina in pieno conflitto sociale, nel caos più assoluto, prossima all’implosione, non certo in grado di affrontare un altro inverno di guerra.

La NATO a questo punto starà sicuramente ordendo qualche piano insidioso e perverso, ai limiti dell’aberrazione (fino a spingersi a una III Guerra Mondiale), per provocare un casus belli da attribuire ai russi (eseguito dagli ucraini o loro agenti infiltrati) che giustifichi un intervento se non diretto quantomeno indiretto, di qualche paese limitrofo (i cosiddetti “volenterosi”).

Dovendo scegliere, “a caso” direi la Polonia, che si sta preparando da parecchio a tale ipotesi, portando al 4% del PIL la spesa militare e raddoppiando gli effettivi dell’esercito (da 150 a 300mila), essendosi inoltre nel frattempo nazificata al suo interno a livello istituzionale e militare, divenendo profondamente russo-fobica e velleitaria verso la Galizia ucraina che vorrebbe annettersi, e in cambio della partecipazione alla guerra contro la Russia che potrebbe negargliela?

Ma questi polacchi, sono veramente convinti di poter sconfiggere i russi? Come lo erano 85 anni fa nei confronti dei tedeschi? Perché la Storia, quella con la esse maiuscola, non si apprende nei libri di scuola ma dai pochi storici seri e indipendenti, solo da loro, leggendo i loro libri, si viene a sapere che la Polonia a fine anni ‘30 non era affatto una vittima sacrificale debole e indifesa preda dei tedeschi espansionisti, ma era dominata dagli alti ranghi dell’esercito, fieri e autoritari, guerrafondai convinti di essere invincibili come nella migliore tradizione militare del paese.

Fino all’ultimo si sarebbe potuto evitare il II conflitto mondiale, se non fosse che la perfida Albione che voleva la guerra (non certo Chamberlain, ma Churchill si, lui e coloro i cui interessi rappresentava), aveva convinto l’élite militare che dominava la Polonia, che sarebbe stata protetta tempestivamente dall’Impero Britannico e dalla Francia, mentre poi l’abbandonò al suo destino, usandola solo come casus belli.

Potrebbe avvenire di nuovo, come sapete la Storia si ripete, perché gli uomini non apprendono da essa, anzi spesso non la conoscono proprio, la ripudiano. Dopo l’Ucraina la seconda vittima della cinica e spietata egemonia USA potrebbe essere la Polonia, consumata l’Ucraina potrebbe toccare alla Polonia, che di nuovo si sovrastima nelle sue capacità, perché lascia prevalere i sentimenti ostili all’intelligenza, prevale il desiderio di annettersi la Galizia e forse Kaliningrad per espandere e uniformare il territorio nazionale nella GRANDE POLONIA, con il beneplacito degli USA-NATO. Forse addirittura a scapito della Bielorussia, nei cui confronti sta organizzando milizie armate da infiltrare nel paese confinante per provocare conflitti civili interni, una sorta di golpe su emulazione degli USA. come fu l’Euromaidan in Ucraina nel 2014,

Le manie di grandezza della Polonia causeranno molte sofferenze all’Europa, le stanno già causando, perché sono loro i peggiori fomentatori di odio e conflitti bellici su incarico angloamericano, sono loro a portare la discordia, a sabotare, a fornire mercenari, a compiere le operazioni sporche, ecc.. Si stanno rivelando una vera e propria disgrazia per l’UE, ed è un paradosso tragico, perché è il popolo che ha maggiormente sofferto a causa della II Guerra Mondiale, in proporzione ancora di più dei russi, avendo perso oltre un quarto della popolazione durante i sei anni di conflitto.

Altra disgrazia per l’UE è stato il riconoscimento del Kosovo sottratto alla Serbia con la violenza per volontà americana, una regione servita agli USA come colonia per insediare la loro base militare più grande del continente, addestrare mercenari islamici per le loro operazioni sporche, organizzare traffici criminali di ogni tipo e crudeltà, per attizzare il fuoco della guerra nei Balcani in qualsiasi momento, contro la Serbia ovviamente, l’ultimo paese europeo rimasto fedele alla Russia. E purtroppo noi italiani avremo di nuovo modo di vergognarci in caso di conflitto, perché useranno di nuovo le nostre basi militari per aggredire la Serbia.

Mi dispiace ma non ci sarà una chiosa traboccante di speranza, ancor meno di ottimismo, non ci sono le condizioni, aspettatevi che la guerra si estenda (forse vicino ai nostri confini) e che duri a lungo, con tutto quello che ne consegue.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

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Osservazioni del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan sul rinnovamento della leadership economica americana_ a cura di Giuseppe Germinario

Questo del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, tenuto il 27 aprile scorso, è un discorso particolarmente importante ed interessante. Un altro punto della ardua parabola che stanno seguendo, per meglio dire, che sono costrette a seguire le amministrazioni statunitensi di fronte alle attuali dinamiche geopolitiche. Nel giro di quaranta anni siamo al quasi compimento di una giravolta epocale. All’inizio la chiave di volta del trionfo di un mondo globalizzato e unificato doveva essere il connubio inscindibile tra liberal democrazia e libero mercato. Alle prime insopprimibili difficoltà il legame indissolubile comincia ad allentarsi: anche i regimi zoppicanti o dichiaratamente illiberali potranno trovare una qualche ospitalità ed accondiscendenza purché accettino le regole del libero mercato. Il primo a riconoscerlo esplicitamente è stato proprio Biden, appena un anno fa. Jake Sullivan ha quasi chiuso il cerchio, sembra attraversare finalmente il Rubicone. Il mercato non è più il totem cui sacrificare il resto, ma una variabile da regolare sulla base delle esigenze della sicurezza nazionale, nella fattispecie statunitense, sulla necessità di ridurre le diseguaglianze e di ricostruire su basi solide il benessere e la funzione equilibratrice e dinamica dei ceti medi. Il Consigliere attribuisce esplicitamente allo Stato e agli investimenti e all’intervento pubblici diretti in economia il compito di orientare ed incentivare il settore privato e di innescare un processo virtuoso di riequilibrio e di reindustrializzazione dell’economia statunitense. Non si limita solo a questo. Offre ai “volenterosi”, incapaci di rompere il guscio di appartenenza, l’opportunità di inserirsi nel circuito di questa nuova configurazione delle relazioni politico-economiche e di beneficiare a loro volta delle implicazioni sulla ricostruzione e ricostruzione dei ceti medi, sulla riduzione delle diseguaglianze e sulle garanzie di sicurezza strategica a guida statunitense e compartecipazione degli alleati. Per gli ambiti residui, pur rilevanti, Sullivan non chiude le porte agli stati competitori ed avversari, ma sottintende con risolutezza che a gestirle dovrà essere il centro egemone dell’area in fase di delimitazione, gli Stati Uniti. Un ribaltamento radicale e un costrutto tanto ambizioso quanto tardivo che sorvola elegantemente su incoerenze, omissioni e propositi reconditi; che, in particolare, non coglie, o non vuol cogliere adeguatamente il contesto entro il quale intende realizzarsi.

Intanto va precisato che non si tratta di passare da un libero mercato, sin troppo spontaneo e semplificato, ad uno regolato, delimitato ed occupato dallo stesso arbitro. Ogni mercato, compreso il più “libero” ed esteso, è comunque regolato e presuppone un regolatore comunque presente ed attivo nel campo di gioco. L’eccessiva delirante ambizione, e frenesia universalistica del regolatore e l’opportunismo intelligente e spregiudicato degli attori emergenti hanno progressivamente piegato ad “usum Delphini” le cosiddette regole e fatto saltare il banco. E’ un sistema di relazioni, per altro ancora vigente, sia pure seriamente intaccato, che poggia su un presupposto ed ha una sua logica cogente. La condizione è che il regolatore, nella fattispecie gli Stati Uniti, detenga la supremazia militare e tecnologica, il controllo sostanziale delle leve finanziarie e valutarie e la supervisione manageriale del mondo imprenditoriale, specie multinazionale. La logica è quella di un drenaggio generale verso il centro regolatore di valute, di finanze e di risorse, queste ultime progressivamente estratte e prodotte nelle semiperiferie e nelle periferie. IL corollario, però, di questa dinamica non è stato l’estinzione o l’indebolimento degli stati, ma una loro ridefinizione dei compiti a seconda della postura e delle ambizioni dei centri decisori. Per gli Stati Uniti, nella fattispecie, una sottovalutazione del livello di coesione sociale interna necessario a garantire la proiezione esterna e la stabilità interna, altrimenti garantita approssimativamente da interventi assistenzialistici. Per gli stati emergenti o di fatto già emersi un assorbimento a guida politica delle capacità tecnologiche e strategiche legate allo sviluppo manifatturiero ed organizzativo delle imprese con il corollario di un crescente tessuto di ceti medi professionalizzati e di accumulo di potenza latente.

Una dinamica appena intuita dalla presidenza Obama, colta in pieno e con realismo pragmatico da quella di Trump, a prescindere dalle controversie del suo percorso e ricodificata in termini estremamente aggressivi e avventuristi da una parte sia verso gli avversari dichiarati che verso le forze “amiche”  e dall’altra circoscritta essenzialmente agli ambiti dei semiconduttori e della conversione energetica dall’attuale amministrazione Biden. In quest’ottica l’intento inclusivo che informa l’intervento di Sullivan assume piuttosto i tratti di un canto delle sirene e di un adescamento per almeno due ragioni e un pesante retaggio. 

  • il classico drenaggio finanziario si sta facendo sempre più esigente e occupa uno spazio geopolitico progressivamente più ristretto;
  • agli Stati Uniti occorre riacquisire capacità produttive, competenze professionali e manageriali, capitali. E’ questo il vero cambiamento di paradigma del circuito economico-finanziario incentrato sugli Stati Uniti. In questa ottica l’accenno alla collaborazione internazionale assume un significato sinistro soprattutto per quell’area, i paesi dell’Europa Occidentale, che più hanno beneficiato delle politiche economiche statunitensi del secondo dopoguerra, non a caso richiamate da Sullivan. I dati confermano il destino manifesto cui si sta condannando il continente europeo, a cominciare dai duecento miliardi su seicento totali di investimenti produttivi acquisiti dall’estero, per finire con il trasferimento di importanti aziende, tecnologie ed intere filiere specie dalle aree europee più elette. Con le privatizzazioni e le partecipazioni azionarie statunitensi varate a partire dagli anni ’90 e lo spostamento dell’orbita d’attrazione dei manager, vedi in Italia quello dell’ENI e di Leonardo, ma lo stesso e su scala più ampia vale per Francia e Germania, questa svolta trova un terreno fertile ed una resistenza flebile. L’attuale conformazione della Unione Europea è, per altro, costruita per garantire il successo di questo proposito predatorio. Il modello di ricostruzione dei ceti medi offerto all’esterno assume tutti i contorni di una riconformazione di una borghesia compradora dedita, tutt’al più, a funzioni di ordine e di gestione, al meglio, di semplici opifici. Esattamente quello che i nostri avevano intenzione di riservare alla Cina e dalla cui classe dirigente sono stati beffati; esattamente quello a cui paiono condannati, per complicità e passiva accondiscendenza, i nostri centri decisori.

Quanto ai retaggi, ne risulta almeno uno impossibile da superare, almeno in tempi ragionevoli e nelle regioni esterne all’Europa: la perdita di credibilità e di autorevolezza di un paese che ha seminato per un trentennio caos e destabilizzazione prima in maniera selettiva (Jugoslavia), poi generalizzata (primavere arabe) sino all’avvio di interventi armati proditori. Un addomesticamento sfacciato delle stesse regole formulate dai decisori statunitensi e dagli stessi spesso e volentieri eluse e riesumate a piacimento. Una caduta giunta a livelli di autentica derisione e di contestuale diffidenza da parte di classi dirigenti di paesi più o meno emergenti dei vari continenti. Il re è sempre più nudo e per ribadire la propria supremazia è costretto a ricorre sempre più alla forza, ma con esiti sempre più incerti e controproducenti. La pochezza e la irrilevanza degli appigli ai quali si è aggrappato Sullivan dice molto sul reale stato dell’arte della politica statunitense. L’ergersi a paladino dell’emancipazione dagli imperialismi altrui assume il sapore di una beffarda ed offensiva caricatura verso nuove classi dirigenti sempre più avvezze a sfruttare gli spazi aperti dal contenzioso geopolitico dei paesi emersi più significativi. Il passato di predazione e di destabilizzazione è ancora un presente tuttora operante per essere glissato e rimosso dai quattro quinti della popolazione e dei paesi del mondo. Tanto più inquietante se a cambiare il paradigma sono esattamente gli stessi centri, incapaci di ricambio, che hanno trascinato il mondo in questa situazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario 

Osservazioni del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan sul rinnovamento della leadership economica americana alla Brookings Institution
CASA
SALA BRIEFING
DISCORSI E OSSERVAZIONI
COME SONO STATI PRONUNCIATI

Vorrei iniziare ringraziando tutti voi per aver concesso a un Consigliere per la Sicurezza Nazionale di discutere di economia.

Come molti di voi sanno, la settimana scorsa il Segretario Yellen ha tenuto un importante discorso sulla nostra politica economica nei confronti della Cina. Oggi vorrei soffermarmi sulla nostra politica economica internazionale in senso lato, in particolare per quanto riguarda l’impegno principale del Presidente Biden – anzi, la sua indicazione quotidiana – di integrare più profondamente la politica interna e la politica estera.

Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno guidato un mondo frammentato nella costruzione di un nuovo ordine economico internazionale. Hanno fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone. Hanno sostenuto entusiasmanti rivoluzioni tecnologiche. E ha aiutato gli Stati Uniti e molte altre nazioni del mondo a raggiungere nuovi livelli di prosperità.

Ma gli ultimi decenni hanno rivelato delle crepe in queste fondamenta. Il cambiamento dell’economia globale ha lasciato indietro molti lavoratori americani e le loro comunità.
Una crisi finanziaria ha scosso la classe media. Una pandemia ha messo in luce la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento. Il cambiamento del clima ha minacciato vite e mezzi di sussistenza. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha sottolineato i rischi dell’eccessiva dipendenza.

Questo momento richiede quindi la formazione di un nuovo consenso.

Ecco perché gli Stati Uniti, sotto la guida del Presidente Biden, stanno perseguendo una moderna strategia industriale e di innovazione, sia a livello nazionale che con i partner di tutto il mondo. Una strategia che investa nelle fonti della nostra forza economica e tecnologica, che promuova catene di approvvigionamento globali diversificate e resilienti, che stabilisca standard elevati per tutto ciò che riguarda il lavoro e l’ambiente, la tecnologia affidabile e il buon governo, e che impieghi i capitali per realizzare beni pubblici come il clima e la salute.

L’idea che il “nuovo consenso di Washington”, come è stato definito da alcuni, riguardi in qualche modo solo l’America, o l’America e l’Occidente ad esclusione di altri, è semplicemente sbagliata.

Questa strategia costruirà un ordine economico globale più equo e duraturo, a beneficio di noi stessi e dei cittadini di tutto il mondo.

Oggi, quindi, vorrei illustrare ciò che stiamo cercando di fare. Inizierò definendo le sfide che vediamo, le sfide che dobbiamo affrontare. Per affrontarle, abbiamo dovuto rivedere alcuni vecchi presupposti. Poi illustrerò, passo dopo passo, come il nostro approccio è stato concepito per affrontare queste sfide.

Quando il Presidente Biden è entrato in carica più di due anni fa, il Paese si trovava ad affrontare, dal nostro punto di vista, quattro sfide fondamentali.

In primo luogo, la base industriale americana era stata svuotata.

La visione dell’investimento pubblico che aveva animato il progetto americano negli anni del dopoguerra – e in realtà per gran parte della nostra storia – era svanita. Aveva lasciato il posto a un insieme di idee che sostenevano la riduzione delle tasse e la deregolamentazione, la privatizzazione a scapito dell’azione pubblica e la liberalizzazione del commercio come fine a se stessa.

Alla base di tutte queste politiche c’era un presupposto: che i mercati allocano sempre il capitale in modo produttivo ed efficiente, indipendentemente da ciò che fanno i nostri concorrenti, da quanto grandi siano le sfide che condividiamo e da quante barriere di protezione abbiamo abbattuto.

Ora, nessuno – di certo non io – sta scartando il potere dei mercati. Ma in nome di un’efficienza di mercato troppo semplicistica, intere catene di fornitura di beni strategici – insieme alle industrie e ai posti di lavoro che li producono – si sono trasferite all’estero. E il postulato secondo cui una profonda liberalizzazione del commercio avrebbe aiutato l’America a esportare beni, non posti di lavoro e capacità, è stata una promessa fatta ma non mantenuta.

Un altro presupposto implicito era che il tipo di crescita non fosse importante. Tutta la crescita era una buona crescita. Così, varie riforme si sono combinate per privilegiare alcuni settori dell’economia, come la finanza, mentre altri settori essenziali, come i semiconduttori e le infrastrutture, si sono atrofizzati. La nostra capacità industriale, che è fondamentale per la capacità di qualsiasi Paese di continuare a innovare, ha subito un vero e proprio colpo.

Gli shock di una crisi finanziaria globale e di una pandemia globale hanno messo a nudo i limiti di queste ipotesi prevalenti.

La seconda sfida che abbiamo affrontato è stata quella di adattarci a un nuovo ambiente definito dalla competizione geopolitica e di sicurezza, con importanti impatti economici.

Gran parte della politica economica internazionale degli ultimi decenni si era basata sulla premessa che l’integrazione economica avrebbe reso le nazioni più responsabili e aperte, e che l’ordine globale sarebbe stato più pacifico e cooperativo – che portare i Paesi nell’ordine basato sulle regole li avrebbe incentivati ad aderire alle sue regole.

Non è andata così. In alcuni casi sì, in molti altri no.

Quando il Presidente Biden è entrato in carica, abbiamo dovuto fare i conti con la realtà che una grande economia non di mercato era stata integrata nell’ordine economico internazionale in un modo che poneva notevoli sfide.

La Repubblica Popolare Cinese ha continuato a sovvenzionare in modo massiccio sia i settori industriali tradizionali, come l’acciaio, sia le industrie chiave del futuro, come l’energia pulita, le infrastrutture digitali e le biotecnologie avanzate. L’America non ha perso solo l’industria manifatturiera, ma ha eroso la propria competitività in tecnologie critiche che avrebbero definito il futuro.

L’integrazione economica non ha impedito alla Cina di espandere le sue ambizioni militari nella regione, né alla Russia di invadere i suoi vicini democratici. Nessuno dei due Paesi è diventato più responsabile o collaborativo.

E ignorare le dipendenze economiche che si erano accumulate nei decenni di liberalizzazione era diventato davvero pericoloso: dall’incertezza energetica in Europa alle vulnerabilità della catena di approvvigionamento di attrezzature mediche, semiconduttori e minerali critici. Si trattava di dipendenze che potevano essere sfruttate per ottenere una leva economica o geopolitica.

La terza sfida che abbiamo affrontato è stata l’accelerazione della crisi climatica e l’urgente necessità di una transizione energetica giusta ed efficiente.

Quando il Presidente Biden è entrato in carica, eravamo drammaticamente al di sotto delle nostre ambizioni climatiche, senza un percorso chiaro verso abbondanti forniture di energia pulita stabile e conveniente, nonostante i migliori sforzi dell’amministrazione Obama-Biden per fare progressi significativi.

Troppe persone credevano che dovessimo scegliere tra la crescita economica e il raggiungimento degli obiettivi climatici.

Il Presidente Biden ha visto le cose in modo completamente diverso. Come ha spesso detto, quando sente parlare di “clima” pensa a “posti di lavoro”. Ritiene che la costruzione di un’economia a energia pulita del XXI secolo sia una delle opportunità di crescita più significative del XXI secolo, ma che per sfruttare questa opportunità l’America abbia bisogno di una strategia di investimento deliberata e concreta per promuovere l’innovazione, ridurre i costi e creare buoni posti di lavoro.

Infine, abbiamo affrontato la sfida della disuguaglianza e dei suoi danni alla democrazia.

In questo caso, l’ipotesi prevalente era che la crescita abilitata dal commercio sarebbe stata una crescita inclusiva – che i guadagni del commercio avrebbero finito per essere ampiamente condivisi all’interno delle nazioni. Ma il fatto è che questi guadagni non hanno raggiunto molti lavoratori. La classe media americana ha perso terreno, mentre i ricchi hanno fatto meglio che mai. E le comunità manifatturiere americane sono state svuotate, mentre le industrie all’avanguardia si sono trasferite nelle aree metropolitane.

Ora, le cause della disuguaglianza economica – come molti di voi sanno meglio di me – sono complesse e includono sfide strutturali come la rivoluzione digitale. Ma la chiave di tutto è rappresentata da decenni di politiche economiche “trickle-down”, come tagli fiscali regressivi, tagli profondi agli investimenti pubblici, concentrazioni aziendali incontrollate e misure attive per minare il movimento sindacale che inizialmente ha costruito la classe media americana.

Gli sforzi per adottare un approccio diverso durante l’amministrazione Obama – compresi gli sforzi per approvare politiche per affrontare il cambiamento climatico, investire nelle infrastrutture, espandere la rete di sicurezza sociale e proteggere i diritti dei lavoratori a organizzarsi – sono stati bloccati dall’opposizione repubblicana.

E francamente, anche le nostre politiche economiche interne non hanno tenuto pienamente conto delle conseguenze delle nostre politiche economiche internazionali.

Ad esempio, il cosiddetto “shock cinese”, che ha colpito in modo particolarmente duro sacche della nostra industria manifatturiera nazionale, con impatti ampi e duraturi, non è stato adeguatamente previsto e non è stato affrontato in modo adeguato nel momento in cui si è manifestato.

E collettivamente, queste forze hanno incrinato le fondamenta socioeconomiche su cui poggia qualsiasi democrazia forte e resistente.

Ora, queste quattro sfide non erano esclusiva degli Stati Uniti. Anche le economie consolidate ed emergenti le stavano affrontando, in alcuni casi più acutamente di noi.

Quando il Presidente Biden è entrato in carica, sapeva che la soluzione a ognuna di queste sfide consisteva nel ripristinare una mentalità economica favorevole alla costruzione. E questo è il cuore del nostro approccio economico. Costruire. Costruire capacità, costruire resilienza, costruire inclusione, in patria e con i partner all’estero. La capacità di produrre e innovare e di fornire beni pubblici come infrastrutture fisiche e digitali forti ed energia pulita su scala. La capacità di resistere alle catastrofi naturali e agli shock geopolitici. E l’inclusività per garantire una classe media americana forte e vivace e maggiori opportunità per i lavoratori di tutto il mondo.

Tutto questo fa parte di quella che abbiamo definito una politica estera per la classe media.

Il primo passo consiste nel gettare nuove basi in patria, con una moderna strategia industriale americana.

Il mio amico ed ex collega Brian Deese ha parlato a lungo di questa nuova strategia industriale e vi raccomando le sue osservazioni, perché sono migliori di quelle che potrei fare io sull’argomento. Ma riassumendo:

Una moderna strategia industriale americana identifica settori specifici che sono fondamentali per la crescita economica, strategici dal punto di vista della sicurezza nazionale e in cui l’industria privata da sola non è in grado di fare gli investimenti necessari per garantire le nostre ambizioni nazionali.

In questi settori vengono effettuati investimenti pubblici mirati che liberano la forza e l’ingegno dei mercati privati, del capitalismo e della concorrenza per gettare le basi di una crescita a lungo termine.

Aiuta le imprese americane a fare ciò che le imprese americane sanno fare meglio: innovare, scalare e competere.

Si tratta di favorire gli investimenti privati, non di sostituirli. Si tratta di fare investimenti a lungo termine in settori vitali per il nostro benessere nazionale, non di scegliere vincitori e vinti.

E ha una lunga tradizione in questo Paese. Infatti, anche quando il termine “politica industriale” è passato di moda, in qualche forma è rimasta silenziosamente al lavoro per l’America, dalla DARPA e Internet alla NASA e ai satelliti commerciali.

Ora, guardando al corso degli ultimi due anni, i primi risultati di questa strategia sono notevoli.

Il Financial Times ha riportato che gli investimenti su larga scala nella produzione di semiconduttori e di energia pulita sono già aumentati di 20 volte dal 2019, e un terzo degli investimenti annunciati da agosto riguarda un investitore straniero che investe qui negli Stati Uniti.

Abbiamo stimato che il totale del capitale pubblico e degli investimenti privati derivanti dall’agenda del Presidente Biden ammonterà a circa 3.500 miliardi di dollari nel prossimo decennio.

Consideriamo i semiconduttori, che sono tanto essenziali per i nostri beni di consumo di oggi quanto per le tecnologie che daranno forma al nostro futuro, dall’intelligenza artificiale all’informatica quantistica alla biologia sintetica.

Oggi l’America produce solo il 10% circa dei semiconduttori mondiali e la produzione, in generale e soprattutto per quanto riguarda i chip più avanzati, è geograficamente concentrata altrove.

Questo crea un rischio economico critico e una vulnerabilità per la sicurezza nazionale. Grazie alla legge bipartisan CHIPS and Science Act, abbiamo già assistito a un aumento di ordini di grandezza degli investimenti nell’industria americana dei semiconduttori. E siamo ancora agli inizi.

Oppure consideriamo i minerali critici, la spina dorsale del futuro dell’energia pulita. Oggi gli Stati Uniti producono solo il 4% del litio, il 13% del cobalto, lo 0% del nichel e lo 0% della grafite necessari per soddisfare l’attuale domanda di veicoli elettrici. Nel frattempo, oltre l’80% dei minerali critici viene lavorato da un solo Paese, la Cina.

Le catene di approvvigionamento di energia pulita rischiano di essere armate come il petrolio negli anni ’70 o il gas naturale in Europa nel 2022. Quindi, attraverso gli investimenti nell’Inflation Reduction Act e nella Bipartisan Infrastructure Law, stiamo agendo.

Allo stesso tempo, non è fattibile o auspicabile costruire tutto a livello nazionale. Il nostro obiettivo non è l’autarchia, ma la resilienza e la sicurezza delle nostre catene di approvvigionamento.

Ora, costruire la nostra capacità interna è il punto di partenza. Ma lo sforzo si estende oltre i nostri confini. E questo mi porta alla seconda fase della nostra strategia: lavorare con i nostri partner per garantire che anche loro costruiscano capacità, resilienza e inclusione.

Il nostro messaggio a loro è stato coerente: Porteremo avanti la nostra strategia industriale a casa, ma ci impegniamo senza ambiguità a non lasciare indietro i nostri amici. Vogliamo che si uniscano a noi. Anzi, abbiamo bisogno che si uniscano a noi.

La creazione di un’economia sicura e sostenibile di fronte alle realtà economiche e geopolitiche richiederà a tutti i nostri alleati e partner di fare di più, e non c’è tempo da perdere. Per settori come i semiconduttori e l’energia pulita, non siamo neanche lontanamente vicini al punto di saturazione globale degli investimenti necessari, pubblici o privati.

In definitiva, il nostro obiettivo è una base tecno-industriale forte, resiliente e all’avanguardia su cui gli Stati Uniti e i loro partner affini, sia le economie consolidate che quelle emergenti, possano investire e fare affidamento insieme.

Il Presidente Biden e il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ne hanno parlato qui a Washington il mese scorso.

Hanno rilasciato una dichiarazione molto importante che, se non avete letto, vi invito a leggere. Il fulcro della dichiarazione è il seguente: al centro della transizione energetica devono esserci coraggiosi investimenti pubblici nelle nostre rispettive capacità industriali. La Presidente von der Leyen e il Presidente Biden si sono impegnati a lavorare insieme per garantire che le catene di approvvigionamento del futuro siano resilienti, sicure e rispecchino i nostri valori, compreso quello del lavoro.

Nella dichiarazione hanno illustrato le misure pratiche per raggiungere questi obiettivi, come l’allineamento dei rispettivi incentivi per l’energia pulita su entrambe le sponde dell’Atlantico e l’avvio di un negoziato sulle catene di approvvigionamento di minerali e batterie essenziali.

Poco dopo, il Presidente Biden si è recato in Canada. Insieme al Primo Ministro Justin Trudeau ha istituito una task force per accelerare la cooperazione tra Canada e Stati Uniti esattamente con lo stesso obiettivo: garantire l’approvvigionamento di energia pulita e creare posti di lavoro per la classe media su entrambi i lati del confine.

E pochi giorni dopo, gli Stati Uniti e il Giappone hanno firmato un accordo che approfondisce la nostra cooperazione sulle catene di approvvigionamento di minerali critici.

Stiamo quindi sfruttando l’Inflation Reduction Act per costruire un ecosistema di produzione di energia pulita radicato nelle catene di approvvigionamento qui in Nord America ed esteso all’Europa, al Giappone e altrove.

È così che trasformeremo l’IRA da fonte di attrito a fonte di forza e affidabilità. Sospetto che sentirete parlare ancora di questo al vertice del G7 a Hiroshima il mese prossimo.

La nostra cooperazione con i partner non si limita all’energia pulita.

Per esempio, stiamo lavorando con i nostri partner – Europa, Repubblica di Corea, Giappone, Taiwan e India – per coordinare i nostri approcci agli incentivi per i semiconduttori.

Le proiezioni degli analisti sulla destinazione degli investimenti nei semiconduttori nei prossimi tre anni sono cambiate drasticamente, e gli Stati Uniti e i partner chiave sono ora in cima alle classifiche.

Vorrei anche sottolineare che la nostra cooperazione con i partner non si limita alle democrazie industriali avanzate.

Fondamentalmente, dobbiamo – e intendiamo farlo – sfatare l’idea che i partenariati più importanti per l’America siano solo quelli con le economie consolidate. Non solo dicendolo, ma anche dimostrandolo. Dimostrandolo con l’India su tutto, dall’idrogeno ai semiconduttori. Dimostrandolo con l’Angola sull’energia solare a zero emissioni. Dimostrandolo con l’Indonesia, con la sua Just Energy Transition Partnership. Dimostrarlo con il Brasile, con una crescita rispettosa del clima.

Questo mi porta al terzo passo della nostra strategia: andare oltre i tradizionali accordi commerciali per passare a nuovi partenariati economici internazionali innovativi incentrati sulle sfide fondamentali del nostro tempo.

Il principale progetto economico internazionale degli anni ’90 è stato la riduzione delle tariffe. In media, le tariffe applicate dagli Stati Uniti sono state quasi dimezzate nel corso degli anni Novanta. Oggi, nel 2023, il nostro tasso tariffario medio ponderato per il commercio è pari al 2,4%, un valore storicamente basso rispetto ad altri Paesi.

Naturalmente, queste tariffe non sono uniformi e c’è ancora del lavoro da fare per ridurre i livelli tariffari in molti altri Paesi. Come ha detto l’ambasciatore Tai, “non abbiamo rinunciato alla liberalizzazione del mercato”. Intendiamo perseguire accordi commerciali moderni. Ma definire o misurare la nostra intera politica sulla base della riduzione delle tariffe doganali non coglie un aspetto importante.

Chiedere quale sia la nostra politica commerciale oggi – inquadrata come un piano per ridurre ulteriormente le tariffe – è semplicemente la domanda sbagliata. La domanda giusta è: come si inserisce il commercio nella nostra politica economica internazionale e quali problemi cerca di risolvere?

Il progetto degli anni 2020 e 2030 è diverso da quello degli anni Novanta.

Conosciamo i problemi che dobbiamo risolvere oggi: Creare catene di approvvigionamento diversificate e resilienti. Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per una giusta transizione energetica pulita e una crescita economica sostenibile. Creare buoni posti di lavoro lungo il percorso, posti di lavoro che sostengano le famiglie. Garantire la fiducia, la sicurezza e l’apertura della nostra infrastruttura digitale. Fermare la corsa al ribasso nella tassazione delle imprese. Rafforzare le tutele per il lavoro e l’ambiente. Affrontare la corruzione. Si tratta di una serie di priorità fondamentali diverse dalla semplice riduzione delle tariffe.

Abbiamo progettato gli elementi di un’ambiziosa iniziativa economica regionale, l’Indo-Pacific Economic Framework, per concentrarci su questi problemi e risolverli. Stiamo negoziando con tredici Paesi dell’Indo-Pacifico capitoli che accelereranno la transizione verso l’energia pulita, implementeranno l’equità fiscale e combatteranno la corruzione, stabiliranno standard elevati per la tecnologia e garantiranno catene di approvvigionamento più resistenti per beni e fattori di produzione essenziali.

Permettetemi di parlare un po’ più concretamente. Se l’IPEF fosse stato in funzione quando il COVID ha devastato le nostre catene di approvvigionamento e le fabbriche erano ferme, saremmo stati in grado di reagire più rapidamente – aziende e governi insieme – passando a nuove opzioni per l’approvvigionamento e la condivisione dei dati in tempo reale. Ecco come può apparire un nuovo approccio a questo e a molti altri problemi.

Il nostro nuovo Partenariato delle Americhe per la prosperità economica, lanciato con alcuni dei nostri partner chiave qui nelle Americhe, mira allo stesso insieme di obiettivi di base.

Nel frattempo, attraverso il Consiglio per il commercio e la tecnologia tra Stati Uniti e Unione Europea e il coordinamento trilaterale con il Giappone e la Corea, stiamo coordinando le nostre strategie industriali per completarci a vicenda ed evitare una corsa al ribasso da parte di tutti coloro che competono per gli stessi obiettivi.

Alcuni hanno guardato a queste iniziative dicendo: “Ma non sono accordi di libero scambio tradizionali”. È proprio questo il punto. Per i problemi che stiamo cercando di risolvere oggi, il modello tradizionale non è sufficiente.

L’era dei rattoppi politici a posteriori e delle vaghe promesse di ridistribuzione è finita. Abbiamo bisogno di un nuovo approccio.

In poche parole: nel mondo di oggi, la politica commerciale non deve limitarsi alla riduzione delle tariffe e deve essere pienamente integrata nella nostra strategia economica, sia all’interno che all’estero.

Allo stesso tempo, l’Amministrazione Biden sta sviluppando una nuova strategia globale per il lavoro che fa avanzare i diritti dei lavoratori attraverso la diplomazia, e la sveleremo nelle prossime settimane.

La strategia si basa su strumenti come il meccanismo di risposta rapida del lavoro nell’USMCA, che fa rispettare i diritti di associazione e contrattazione collettiva dei lavoratori. Proprio questa settimana, infatti, abbiamo risolto il nostro ottavo caso con un accordo che ha migliorato le condizioni di lavoro: una vittoria per i lavoratori messicani e per la competitività americana.

Stiamo continuando a guidare un accordo storico con 136 Paesi per porre finalmente fine alla corsa al ribasso sulle imposte societarie che danneggiano la classe media e i lavoratori. Ora il Congresso deve dare seguito alla legislazione di attuazione, e noi stiamo lavorando per farlo.

Inoltre, stiamo adottando un altro tipo di approccio nuovo che riteniamo un’impronta fondamentale per il futuro: collegare il commercio e il clima in un modo che non è mai stato fatto prima. L’accordo globale sull’acciaio e l’alluminio che stiamo negoziando con l’Unione Europea potrebbe essere il primo grande accordo commerciale ad affrontare sia l’intensità delle emissioni che l’eccesso di capacità. E se riusciamo ad applicarlo all’acciaio e all’alluminio, possiamo valutare come applicarlo anche ad altri settori. Possiamo contribuire a creare un circolo virtuoso e garantire che i nostri concorrenti non ottengano vantaggi degradando il pianeta.

Ora, per coloro che hanno posto la domanda, l’Amministrazione Biden è ancora impegnata nell’OMC e nei valori condivisi su cui si basa: concorrenza leale, apertura, trasparenza e stato di diritto. Ma le sfide serie, in particolare le pratiche e le politiche economiche non di mercato, minacciano questi valori fondamentali. Ecco perché stiamo lavorando con molti altri membri dell’OMC per riformare il sistema commerciale multilaterale in modo che sia vantaggioso per i lavoratori, che tenga conto dei legittimi interessi di sicurezza nazionale e che affronti questioni urgenti che non sono pienamente integrate nell’attuale quadro dell’OMC, come lo sviluppo sostenibile e la transizione verso l’energia pulita.

In sintesi, in un mondo trasformato dalla transizione verso l’energia pulita, da economie emergenti dinamiche, dalla ricerca della resilienza della catena di approvvigionamento, dalla digitalizzazione, dall’intelligenza artificiale e dalla rivoluzione delle biotecnologie, il gioco non è più lo stesso.

La nostra politica economica internazionale deve adattarsi al mondo così com’è, in modo da poter costruire il mondo che vogliamo.

Questo mi porta al quarto passo della nostra strategia: mobilitare trilioni di investimenti nelle economie emergenti – con soluzioni che quei Paesi stanno elaborando da soli, ma con capitali resi possibili da un diverso marchio di diplomazia statunitense.

Abbiamo avviato un grande sforzo per far evolvere le banche multilaterali di sviluppo in modo che siano all’altezza delle sfide di oggi. Il 2023 è un anno importante.

Come ha sottolineato il Segretario Yellen, dobbiamo aggiornare i modelli operativi delle banche, soprattutto della Banca Mondiale, ma anche delle banche di sviluppo regionali. Dobbiamo ampliare i loro bilanci per affrontare i cambiamenti climatici, le pandemie, la fragilità e i conflitti. E dobbiamo ampliare l’accesso a finanziamenti agevolati e di alta qualità per i Paesi a basso e medio reddito, che devono affrontare sfide che vanno oltre i confini di ogni singola nazione.

Il mese scorso abbiamo assistito a un primo passo in avanti su questa agenda, ma dovremo fare molto di più.

E siamo entusiasti della nuova leadership di Ajay Banga alla Banca Mondiale per trasformare questa visione in realtà.

Contemporaneamente all’evoluzione delle banche multilaterali di sviluppo, abbiamo lanciato un grande sforzo per colmare il divario infrastrutturale nei Paesi a basso e medio reddito. Lo chiamiamo Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali (PGII). Il PGII mobiliterà centinaia di miliardi di dollari in finanziamenti per infrastrutture energetiche, fisiche e digitali da qui alla fine del decennio.

A differenza dei finanziamenti previsti dalla Belt and Road Initiative, i progetti del PGII sono trasparenti, di alto livello e al servizio di una crescita a lungo termine, inclusiva e sostenibile. In poco meno di un anno dall’avvio di questa iniziativa, abbiamo già realizzato investimenti significativi, dalle miniere necessarie per alimentare i veicoli elettrici ai cavi di telecomunicazione sottomarini globali.

Allo stesso tempo, siamo anche impegnati ad affrontare le difficoltà del debito di un numero sempre maggiore di Paesi vulnerabili. Abbiamo bisogno di un vero sollievo, non solo di “proroghe e finzioni”. E dobbiamo che tutti i creditori bilaterali, ufficiali e privati, condividano l’onere.

Tra questi c’è anche la Cina, che ha lavorato per costruire la sua influenza attraverso prestiti massicci al mondo emergente, quasi sempre con vincoli. Condividiamo l’opinione di molti altri che la Cina debba ora farsi avanti come forza costruttiva nell’assistenza ai Paesi in difficoltà.

Infine, stiamo proteggendo le nostre tecnologie fondamentali con un piccolo cortile e un’alta recinzione.

Come ho già detto in precedenza, il nostro compito è quello di inaugurare una nuova ondata di rivoluzione digitale che garantisca che le tecnologie di nuova generazione lavorino a favore, e non contro, le nostre democrazie e la nostra sicurezza.

Abbiamo implementato restrizioni accuratamente personalizzate sulle esportazioni in Cina delle tecnologie più avanzate per i semiconduttori. Queste restrizioni si basano su semplici preoccupazioni di sicurezza nazionale. I principali alleati e partner hanno seguito il nostro esempio, in linea con le loro preoccupazioni in materia di sicurezza.

Stiamo anche migliorando lo screening degli investimenti stranieri in aree critiche per la sicurezza nazionale. E stiamo facendo progressi nell’affrontare gli investimenti in uscita in tecnologie sensibili con un nesso fondamentale con la sicurezza nazionale.

Si tratta di misure su misura. Non sono, come dice Pechino, un “blocco tecnologico”. Non sono rivolte alle economie emergenti. Si concentrano su una fetta ristretta di tecnologia e su un piccolo numero di Paesi che intendono sfidarci militarmente.

Una parola sulla Cina in senso più ampio. Come ha detto di recente la Presidente von der Leyen, noi siamo per il de-risking e la diversificazione, non per il disaccoppiamento. Continueremo a investire nelle nostre capacità e in catene di approvvigionamento sicure e resistenti. Continueremo a spingere per ottenere condizioni di parità per i nostri lavoratori e le nostre aziende e a difenderci dagli abusi.

I nostri controlli sulle esportazioni rimarranno strettamente concentrati sulla tecnologia che potrebbe alterare l’equilibrio militare. Stiamo semplicemente assicurando che la tecnologia statunitense e alleata non venga usata contro di noi. Non stiamo tagliando gli scambi commerciali.

In realtà, gli Stati Uniti continuano ad avere relazioni commerciali e di investimento molto importanti con la Cina. L’anno scorso il commercio bilaterale tra Stati Uniti e Cina ha stabilito un nuovo record.

Ora, se ci si allontana dall’economia, siamo in competizione con la Cina su più dimensioni, ma non cerchiamo il confronto o il conflitto. Cerchiamo di gestire la concorrenza in modo responsabile e di collaborare con la Cina dove è possibile. Il Presidente Biden ha detto chiaramente che gli Stati Uniti e la Cina possono e devono collaborare su sfide globali come il clima, la stabilità macroeconomica, la sicurezza sanitaria e alimentare.

Per gestire la concorrenza in modo responsabile, in definitiva, occorrono due parti disposte a collaborare. È necessario un certo grado di maturità strategica per accettare che dobbiamo mantenere aperte le linee di comunicazione anche quando intraprendiamo azioni per competere.

Come ha detto la scorsa settimana il Segretario Yellen nel suo discorso su questo tema, possiamo difendere i nostri interessi di sicurezza nazionale, avere una sana competizione economica e lavorare insieme dove possibile, ma la Cina deve essere disposta a fare la sua parte.

Quindi, che cosa significa avere successo?

Il mondo ha bisogno di un sistema economico internazionale che funzioni per i nostri salariati, per le nostre industrie, per il nostro clima, per la nostra sicurezza nazionale e per i Paesi più poveri e vulnerabili del mondo.

Ciò significa sostituire un approccio unico incentrato sui presupposti troppo semplici che ho esposto all’inizio del mio discorso con uno che incoraggi investimenti mirati e necessari in luoghi che i mercati privati non sono in grado di affrontare da soli, anche se continuiamo a sfruttare la potenza dei mercati e dell’integrazione.

Significa dare spazio ai partner di tutto il mondo per ripristinare i patti tra i governi e i loro elettori e lavoratori.

Significa fondare questo nuovo approccio su una profonda cooperazione e trasparenza, per garantire che i nostri investimenti e quelli dei partner si rafforzino e siano vantaggiosi per entrambi.

E significa ritornare alla convinzione fondamentale che abbiamo sostenuto per la prima volta 80 anni fa: che l’America dovrebbe essere al centro di un sistema finanziario internazionale vibrante che permetta ai partner di tutto il mondo di ridurre la povertà e aumentare la prosperità condivisa. E che una rete di sicurezza sociale funzionante per i Paesi più vulnerabili del mondo sia essenziale per i nostri interessi fondamentali.

Significa anche costruire nuove norme che ci permettano di affrontare le sfide poste dall’intersezione tra tecnologia avanzata e sicurezza nazionale, senza ostacolare il commercio e l’innovazione in senso lato.

Questa strategia richiederà risolutezza, un impegno dedicato a superare le barriere che hanno impedito a questo Paese e ai nostri partner di costruire in modo rapido, efficiente ed equo come abbiamo potuto fare in passato.

Ma è la strada più sicura per ripristinare la classe media, per produrre una transizione energetica pulita giusta ed efficace, per garantire le catene di approvvigionamento critiche e, attraverso tutto questo, per ripristinare la fiducia nella democrazia stessa.

Come sempre, per avere successo abbiamo bisogno della piena collaborazione bipartisan del Congresso.

Abbiamo bisogno del sostegno del Congresso per rilanciare la capacità unica dell’America di attrarre e trattenere i talenti più brillanti di tutto il mondo.

Abbiamo bisogno della piena collaborazione del Congresso nelle nostre iniziative di riforma dei finanziamenti allo sviluppo.

E dobbiamo raddoppiare gli investimenti in infrastrutture, innovazione ed energia pulita. La nostra sicurezza nazionale e la nostra vitalità economica dipendono da questo.

Permettetemi di concludere con questo.

Il Presidente Kennedy amava dire che “una marea crescente solleva tutte le barche”. Nel corso degli anni, i sostenitori dell’economia trickle-down si sono appropriati di questa frase per i loro usi.

Ma il Presidente Kennedy non stava dicendo che ciò che è buono per i ricchi è buono per la classe operaia. Stava dicendo che siamo tutti coinvolti in questa situazione.

E guardate cosa ha detto dopo: “Se una parte del Paese è ferma, prima o poi la marea calante fa cadere tutte le barche”.

Questo vale per il nostro Paese. È vero per il nostro mondo. Alla fine, economicamente, col tempo, ci alzeremo o cadremo insieme.

E questo vale sia per la forza delle nostre democrazie sia per la forza delle nostre economie.

Nel perseguire questa strategia in patria e all’estero, ci sarà un ragionevole dibattito. E ci vorrà del tempo. L’ordine internazionale che è emerso dopo la fine della Seconda guerra mondiale e poi della Guerra fredda non è stato costruito in una notte. Non lo sarà nemmeno questo.

Ma insieme possiamo lavorare per risollevare tutti i cittadini, le comunità e le industrie americane, e possiamo fare lo stesso con i nostri amici e partner in tutto il mondo.

Questa è la visione che l’Amministrazione Biden deve e vuole realizzare.

Questo è ciò che ci guida nel prendere le nostre decisioni politiche all’intersezione tra economia, sicurezza nazionale e democrazia.

E questo è il lavoro che faremo non solo come governo, ma con ogni elemento degli Stati Uniti e con il sostegno e l’aiuto dei partner, sia all’interno che all’esterno del governo, in tutto il mondo.

https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2023/04/27/remarks-by-national-security-advisor-jake-sullivan-on-renewing-american-economic-leadership-at-the-brookings-institution/

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L’Europa è seria riguardo all’autodifesa o al free riding?_ Di Emma Ashford

Con l’aumentare della tensione USA-Cina, aumenta anche la discussione sul fatto che gli stati europei stiano facendo la loro parte.

Di  , editorialista di Foreign Policy e senior fellow del programma Reimagining US Grand Strategy presso lo Stimson Center, e  , editorialista di Foreign Policy e vicepresidente e direttore senior dello Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council .

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Il presidente francese Emmanuel Macron fa un gesto mentre tiene un discorso al forum sulla sicurezza regionale Globsec a Bratislava, in Slovacchia, il 31 maggio.
Il presidente francese Emmanuel Macron fa un gesto mentre tiene un discorso al forum sulla sicurezza regionale Globsec a Bratislava, in Slovacchia, il 31 maggio.
Il presidente francese Emmanuel Macron fa un gesto mentre tiene un discorso al forum sulla sicurezza regionale Globsec a Bratislava, in Slovacchia, il 31 maggio. MICHAL CIZEK/AFP TRAMITE GETTY IMAGES

Matt Kroenig: Ciao Emma! Spero che ti stia godendo questo bel clima primaverile. Sono appena tornato da Stoccolma, dove ho avuto alcune discussioni affascinanti con funzionari del ministero degli esteri e del nuovo consiglio di sicurezza nazionale.

È discutibile

Ho anche avuto un po’ di tempo libero per visitare i musei e, tra le altre cose, ho potuto vedere il cavallo scuoiato, impagliato e montato del re Gustavo Adolfo il Grande!

Emma Ashford: Curiosità: quel cavallo ha partecipato a più azioni militari contro la Russia di alcuni dei nostri alleati europei di free riding.

Quindi gli svedesi entreranno a far parte della NATO? Ora che abbiamo avuto le elezioni turche, ho sentito che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan potrebbe cedere e lasciarli aderire.

MK: Beh, a loro avviso, Erdogan non avrebbe ceduto, ma sarebbe stato all’altezza della sua fine dell’accordo. La Svezia e la Turchia hanno concluso un accordo al vertice della NATO a Madrid lo scorso anno, e la Svezia ha seguito la sua parte, approvando una nuova legislazione per criminalizzare l’appartenenza a un’organizzazione terroristica, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

Quindi, ora tocca a Erdogan. L’auspicio di Stoccolma è che la nuova normativa gli permetta di dirsi soddisfatto e che approverà l’ingresso della Svezia nell’alleanza prima del vertice di luglio a Vilnius, in Lituania.

Erdogan potrebbe anche dire, però, che ha bisogno di più tempo per vedere come funziona nella pratica la nuova legge svedese. Ad esempio, la Svezia perseguirà effettivamente i membri del PKK ai sensi di questa legge? Quindi, potrebbe rimandare la decisione.

Tuttavia, Stoccolma sta principalmente pianificando, come se si trattasse di quando, non se, entrerà a far parte della NATO.

Come Macron ha detto senza mezzi termini alla conferenza GLOBSEC di questa settimana: gli europei possono permettersi di lasciare la loro sicurezza nelle mani degli elettori americani ?

EA: Ad essere onesti, non è certo la domanda più importante per coloro che sono preoccupati per la sicurezza europea. La Svezia non è poi così significativa in termini di difesa, Gustavus Adolphus e il suo cavallo impagliato a parte. Forse è per questo che le conversazioni a Washington negli ultimi mesi si sono concentrate principalmente su questioni più importanti: chi dovrebbe garantire la sicurezza europea? Gli Stati Uniti dovrebbero dare la priorità all’Asia rispetto all’Europa? E, come ha detto senza mezzi termini il presidente francese Emmanuel Macron alla conferenza GLOBSEC di questa settimana a Bratislava, in Slovacchia: gli europei possono permettersi di lasciare la loro sicurezza nelle mani degli elettori americani ?

MK: Macron è semplicemente francese. Altri leader europei sono stati chiari sul fatto che parla per la Francia, ma non per l’Europa. Dopo la visita di Macron in Cina, ad esempio, un gruppo di legislatori europei si è sentito obbligato a rilasciare una dichiarazione in cui si affermava: “Va sottolineato che le parole [di Macron] sono gravemente in disaccordo con il sentimento diffuso nelle legislature europee e oltre”.

C’è un modello di sicurezza transatlantica che ha funzionato per tre quarti di secolo, con il contributo degli Stati Uniti e delle potenze europee. Gli alleati europei (come la Germania) devono fare di più, ma non c’è motivo di ripensare radicalmente questo modello di successo.

EA: Sono completamente in disaccordo. Come ho scritto con alcuni colleghi la scorsa settimana, Macron potrebbe essere eccessivamente schietto, ma sta facendo le domande giuste. L’Europa vuole essere un vassallo degli Stati Uniti o un partner capace di reggersi sulle proprie gambe? E perché, quasi 80 anni dopo la decisione degli Stati Uniti di aiutare l’Europa a rimettersi in piedi dopo la seconda guerra mondiale, Washington sta ancora fornendo la parte del leone in finanziamenti, armi e truppe per la sicurezza europea?

È vero che questo modello ha funzionato per molto tempo. Ma le circostanze globali stanno cambiando e ci sono dei costi per continuare a farlo! Gli Stati Uniti sono in relativo declino, la Cina è in crescita e ci sono minacce urgenti altrove che richiedono anche l’attenzione degli Stati Uniti. Continuare a concentrarsi sull’Europa ha costi di opportunità per la base industriale della difesa degli Stati Uniti e per la posizione militare. La politica del dopoguerra degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa ebbe un enorme successo! Perché gli americani hanno così paura di abbracciare il nostro successo e adottare un approccio più diretto alla sicurezza europea?

MK: Ho così tanto da dire, non so da dove cominciare. In primo luogo, gli Stati Uniti stanno crescendo. La sua quota del PIL globale è aumentata negli ultimi anni, mentre la crescita della Cina si sta stabilizzando. Washington ei suoi alleati possono gestire contemporaneamente Mosca e Pechino.

EA: Tutto dipende da quale misura usi. La quota degli Stati Uniti sul PIL globale è aumentata. Ma la Cina l’ha superata per alcune misure del reddito nazionale lordo e sta colmando il divario in termini di ricchezza nazionale totale. Nel contesto storico, gli Stati Uniti sono relativamente più deboli di quanto non fossero durante la Guerra Fredda; e in un contesto regionale, il quadro è anche peggiore. Il Lowy Asia Power Index , che tenta di costruire un quadro completo delle risorse militari, economiche e politiche in una regione, suggerisce che gli Stati Uniti e la Cina sono sempre più alla pari in Asia. Quindi puoi selezionare alcuni dati per dimostrare che non ci sono problemi, ma penso che uno sguardo più ampio suggerisca che le cose non sono così rosee.

Non importa che abbiamo appena avuto una resa dei conti sul tetto del debito e sulla spesa pubblica a Washington! Dici “Washington e i suoi alleati possono gestire Mosca e Pechino” – sono d’accordo. Ma con i crescenti vincoli sugli Stati Uniti, quegli alleati devono fare di più. Questo non dovrebbe essere controverso.

MK: La Cina ha superato economicamente gli Stati Uniti solo se si tiene conto della parità di potere d’acquisto. Ciò potrebbe avere senso per i tagli di capelli ma non per la geopolitica.

EA: Mi dispiace, ma non vedo perché dovrebbe essere così. Le armi cinesi sono più economiche; i cinesi ottengono più soldi per il loro dollaro. Letteralmente, nel caso delle spese militari! Questo è un punto che il presidente del Joint Chiefs of Staff Gen. Mark Milley ha fatto al Congresso.
La Germania o la Francia improvvisamente faranno un passo avanti e guideranno le questioni di difesa e sicurezza europee? Negli ultimi anni, il loro istinto è stato più quello di placare la Russia che di resisterle.

MK: Questo è vero. Anche gli ufficiali militari cinesi costano meno. Ma ottieni quello per cui paghi. Gli ufficiali militari statunitensi sono meglio addestrati, istruiti e curati.

Inoltre, per l’influenza internazionale, il commercio, gli aiuti, ecc., i numeri sono assoluti. La Cina non ottiene un bonus perché i noodles sono economici a Nanchino. Gli studiosi di relazioni internazionali usano tipicamente il PIL nominale per misurare il potere per questo motivo.

Sarebbe interessante, tuttavia, che qualcuno facesse uno studio più approfondito su dove gli aggiustamenti della parità di potere d’acquisto siano importanti per il potere e l’influenza internazionale, e dove invece no. Se uno studio del genere esiste, non l’ho visto.

Ma stiamo andando un po’ fuori strada.

Penso che siamo d’accordo sul fatto che gli Stati Uniti ei loro alleati debbano fare di più per la loro difesa collettiva sia in Europa che in Asia. La domanda è come farlo. Io sostengo che il modello tradizionale, in cui gli Stati Uniti guidano e gli alleati contribuiscono, è l’unica soluzione praticabile.

La mia più grande critica all’articolo stimolante di te e dei tuoi colleghi, e altri simili, è che l’alternativa che proponi non è delineata in alcun dettaglio. Dici che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi sull’Asia e che “l’Europa” dovrebbe “farsi avanti” per provvedere alla difesa dell’Europa. Non so cosa significhi.

Se vuoi che il tuo piano venga adottato, penso che dovresti fornire qualche dettaglio in più su come funzionerebbe.

EA: Beh, sono abbastanza sicuro di poter dire lo stesso della tua affermazione secondo cui “il modello attuale funziona”. Questo ha bisogno di un po’ più di dettagli, per essere sicuro. L’inerzia non è certo una strategia.

Ci sono un sacco di ottimi articoli e libri là fuori che descrivono in dettaglio come sarebbe un approccio più diretto degli Stati Uniti alla sicurezza europea. Barry Posen, ad esempio, ha diversi buoni pezzi che esplorano le ramificazioni della difesa, i costi e i rischi del trasferimento di maggiori responsabilità agli stati europei. Oppure ecco un fantastico forum del Center on Security Studies di Zurigo, con una varietà di autori. Ci sono molti dettagli là fuori se guardi, e molte persone intelligenti su entrambe le sponde dell’Atlantico stanno riflettendo su questo problema.

Ma in generale, farei un paio di punti chiave: 1) Il cambiamento dovrà essere graduale, forse fino a un decennio, per dare agli Stati europei il tempo di avviare la necessaria produzione industriale della difesa e costruire la necessaria forze, e 2) è importante notare che un approccio più diretto alla sicurezza europea non significa che gli Stati Uniti usciranno dalla NATO, né che si disimpegneranno dall’Europa. Affida semplicemente la responsabilità primaria della difesa agli stati europei, rendendo gli Stati Uniti più un backup e meno una prima risorsa.

MK: Ma gli Stati Uniti dovranno continuare a guidare o non funzionerà. Cos’è questa “Europa” di cui parli? La Germania o la Francia (i due pesi massimi dell’economia in Europa) improvvisamente faranno un passo avanti e guideranno le questioni di difesa e sicurezza europee? Negli ultimi anni, il loro istinto è stato più quello di placare la Russia che di resisterle. I paesi dell’Europa orientale si affideranno a Berlino e Parigi per guidare la sicurezza europea? Non credo. Washington può fidarsi di Parigi e Berlino per garantire gli interessi degli Stati Uniti in Europa? La risposta è no. E la deterrenza nucleare? La Germania passerà al nucleare in violazione del Trattato di non proliferazione nucleare? La Francia costruirà fino a 1.500 armi nucleari (un aumento di sette volte) come contrappeso all’enorme arsenale russo?

Queste sono grandi domande e le risposte significano quasi sempre che Washington e il popolo americano si troverebbero in una situazione molto peggiore se tentassero di esternalizzare i loro importanti interessi in Europa a Macron!
L’articolo 5 della NATO dovrebbe essere perfettamente sufficiente per la credibilità senza truppe statunitensi in prima linea.
EA: Matt, sono inglese. Non c’è bisogno che mi diciate che il concetto di “europeo” come identità è fortemente contestato.

Ma il fatto è che l’Europa si è unita in molti altri settori, anche dove ci sono interessi divergenti. La Comunità europea (e successivamente l’Unione) ha costruito un’area di libero scambio nonostante l’opposizione interna di gruppi potenti come gli agricoltori. L’euro è riuscito a sopravvivere alle crisi finanziarie degli ultimi due decenni con tutti i suoi membri intatti. Gli stati europei tendono ad essere relativamente bravi a superare i problemi di azione collettiva quando vogliono.

Per molti versi, è degno di nota il fatto che l’unica area in cui l’Europa continua a lottare per riunirsi sia la difesa, l’area in cui gli Stati Uniti hanno sempre risolto il problema dell’azione collettiva, eliminando la necessità di un compromesso.

Hai ragione sul fatto che gli stati europei non hanno necessariamente tutti le stesse opinioni sulla difesa e sulla politica estera. Forse il risultato finale sarà una sorta di accordo di difesa minilaterale, in cui stati come la Polonia si concentreranno sulla Russia e stati come l’Italia e la Grecia si concentreranno sul Mediterraneo. Ma dire semplicemente “non può succedere” non è una risposta soddisfacente. Gli stati europei si alzeranno in difesa se necessario, il che significa che il governo degli Stati Uniti deve essere chiaro e coerente sulle sue intenzioni e aiutare con una transizione ordinata nella sicurezza europea.

MK: Non sto dicendo “non può succedere” perché non so ancora cosa sia “esso”. Dire che la Polonia si prenderà cura della Russia non ha senso. La Polonia costruirà armi nucleari?

EA: Se gli Stati Uniti non lasciano la NATO, allora il suo ombrello nucleare continua ad applicarsi. E anche i francesi e gli inglesi sono potenze nucleari.

MK: Va bene. Quindi, se l’alleanza continuerà a fare affidamento sugli Stati Uniti per la deterrenza strategica, allora Washington dovrà continuare a svolgere un importante ruolo di leadership. Per essere credibili, gli Stati Uniti dovranno anche mantenere le forze in Europa, idealmente in prima linea, per collegare le forze strategiche statunitensi a una grande guerra convenzionale in Europa. È quello che avete in mente anche voi e i vostri colleghi?

Se sì, qual è il nuovo modello? La Germania fornisce più uomini, carri armati e artiglieria? Mi sembra fantastico, ma non sono sicuro che sia il cambiamento radicale che sembri chiedere.

EA: No. L’articolo 5 della NATO dovrebbe essere perfettamente sufficiente per la credibilità senza truppe statunitensi in prima linea. E onestamente non importa l’esatta composizione della forza nell’Europa orientale fintanto che è europea piuttosto che americana. Ci sono una varietà di opzioni che potrebbero funzionare: Germania e Francia che si fanno avanti, Stati dell’Europa orientale che uniscono le loro risorse e approfondiscono la cooperazione in materia di difesa con il Regno Unito, ecc. Spetterà agli europei decidere.

Ci sono alcuni pezzi eccellenti del Center for Strategic and International Studies proprio qui a Washington che esplorano come alcuni di questi cambiamenti potrebbero apparire in pratica per la difesa aerea , la logistica e le forze navali.

Solo gli Stati Uniti hanno il potere e il diffuso sentimento di buona volontà all’interno dell’Europa per guidare l’alleanza transatlantica.

MK: Questi articoli esaminano i pezzi in cui gli stati europei possono contribuire di più. Sarebbe il benvenuto.

Mi sto un po’ frustrando. So com’è l’attuale architettura di sicurezza transatlantica. Continuo a non capire l’alternativa che proponi.

EA: Non capisco cosa ci sia di così difficile da capire. Una divisione del lavoro all’interno della NATO in cui gli stati europei portano la maggior parte dell’onere – e svolgono la maggior parte del lavoro in termini pratici – di scoraggiare la Russia, difendersi e proteggere le frontiere dell’Europa, mentre gli Stati Uniti adottano un approccio più diretto per concentrarsi sull’Asia, ma è disponibile a fornire risorse e aiuti se una grave crisi lo richiede. Questa è una vera partnership, ed è dove credo che gli Stati Uniti e l’Europa debbano andare se si vuole che la relazione transatlantica continui a prosperare.

Va bene per gli Stati Uniti, va bene per gli alleati americani in Asia, va bene per gli stati europei. Dopotutto, come ha sottolineato Macron, quale Stato si sentirebbe a suo agio nel mettere la propria difesa ai capricci degli elettori di un altro Paese? Con il riscaldamento delle primarie repubblicane degli Stati Uniti, puoi scommettere che nei prossimi mesi sentirai parlare di più sui free rider europei.

MK: Penso che solo gli Stati Uniti abbiano il potere e il diffuso sentimento di buona volontà all’interno dell’Europa per guidare l’alleanza transatlantica. Dovrebbe continuare a fornire una visione d’insieme e un coordinamento. Solo Washington può fornire deterrenza strategica contro la Russia. E penso anche che gli stati europei dovrebbero fornire più dadi e bulloni della difesa convenzionale, dagli aerei ai carri armati al personale, ecc.

Allora, siamo d’accordo o no? Penso che stiamo esaurendo lo spazio, quindi potremmo aver bisogno di tornare su questo in una colonna futura.

EA: Non siamo d’accordo. Ma possiamo essere d’accordo su questo: non passerà molto tempo prima che Macron faccia un’altra dichiarazione da prima pagina che infastidisce i transatlantici di Washington!

MK: C’est la vie.

Emma Ashford è editorialista presso Foreign Policy e senior fellow del programma Reimagining US Grand Strategy presso lo Stimson Center, assistente professore aggiunto presso la Georgetown University e autrice di Oil, the State, and War. Twitter:  @EmmaMAshford

Matthew Kroenig è editorialista presso Foreign Policy e vice presidente e direttore senior dello Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council e professore presso il Department of Government e la Edmund A. Walsh School of Foreign Service presso la Georgetown University. Il suo ultimo libro è The Return of Great Power Rivalry: Democracy Versus Autocracy From the Ancient World to the US and China . Twitter:  @matthewkroenig

https://foreignpolicy.com/2023/06/02/nato-macron-defense-europe-spending-free-riding/

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Per proteggere l’Europa, l’Ucraina deve entrare nella NATO, subito. Nessun Paese è più bravo a fermare la Russia_Di Andriy Zagorodnyuk

Italia e il mondo mantiene il proprio punto di vista, ma fornisce elementi alternativi per comprendere i termini di uno scontro politico e geopolitico sempre più acceso. Giuseppe Germinario

Per proteggere l’Europa, l’Ucraina deve entrare nella NATO, subito.
Nessun Paese è più bravo a fermare la Russia
Di Andriy Zagorodnyuk
1 giugno 2023
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg a Kiev, aprile 2023
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg a Kiev, aprile 2023

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https://www.foreignaffairs.com/ukraine/protect-europe-let-ukraine-join-nato-right-now

A luglio, i capi dei 31 Paesi della NATO si riuniranno a Vilnius, in Lituania, per un vertice, il quarto da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Come in tutti gli ultimi tre, i lavori saranno dominati da come affrontare il conflitto. I leader dei Paesi prenderanno in considerazione ciò di cui Kyiv ha bisogno per continuare a combattere e ciò che i loro Stati possono offrire. Daranno il benvenuto alla Finlandia, che si è unita all’Unione in aprile, spinta dall’invasione. Discuteranno della richiesta di adesione della Svezia. Hanno invitato il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e discuteranno della candidatura dell’Ucraina. Se il passato è prologo, affermeranno che Kiev è sulla buona strada per entrare nell’organizzazione.

“Tutti gli alleati della NATO hanno concordato che l’Ucraina diventerà un membro”, ha dichiarato in aprile il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg. “Il futuro dell’Ucraina è nella NATO”.

Gli ucraini, tuttavia, hanno già sentito questa frase molte volte. Per buona parte degli ultimi vent’anni, Kiev ha cercato di aderire alla NATO. E per la maggior parte degli ultimi due decenni, la NATO l’ha lasciata a bocca asciutta. Nel 2008, l’Alleanza ha promesso di far entrare l’Ucraina, ma non ha mai preso seriamente in considerazione la sua richiesta. Anzi, ha prima concluso che ammettere il Paese non valeva la pena di danneggiare le relazioni tra Occidente e Russia. Poi, dopo l’annessione della Crimea da parte del Cremlino nel 2014, la NATO ha deciso che l’adesione dell’Ucraina avrebbe richiesto troppo all’alleanza e troppo poco in cambio.

Ma questo prima che la Russia lanciasse la sua invasione su larga scala. Nei 15 mesi successivi, tutto è cambiato. I legami dell’Occidente con la Russia si sono rapidamente sciolti. Gli Stati della NATO hanno iniziato a rifornire l’Ucraina di aiuti militari. Kiev ha usato questa assistenza per fermare gli attacchi della Russia e far arretrare il Paese. Ha costretto il Cremlino a consumare munizioni e equipaggiamenti a un ritmo sbalorditivo, riducendo la forza complessiva della Russia. Così facendo, l’Ucraina ha dimostrato di non essere un peso per la NATO, ma di essere una risorsa incredibile. La NATO esiste per aiutare a proteggere l’Europa e, dall’inizio dell’invasione di Mosca, nessun altro Stato ha fatto di più per mantenere l’Europa al sicuro.

Eppure non c’è ancora un vero movimento per far entrare il Paese nell’organizzazione. I governi europei possono aver smesso di preoccuparsi di mantenere buone relazioni con Mosca, ma sono preoccupati di allargare la guerra ai loro Paesi e considerano l’ammissione alla NATO come un modo sicuro per aggravarla. Il trattato dell’organizzazione, dopo tutto, dichiara che un attacco a un membro deve essere trattato come un attacco a tutti. Il Presidente russo Vladimir Putin ha detto chiaramente che l’organizzazione è la sua arcinemesi. Si teme che possa allargare la guerra se l’Ucraina viene coinvolta.

Questi timori, tuttavia, sono del tutto fuorvianti. Contrariamente a un’idea sbagliata diffusa, il trattato della NATO non prevede che i membri inviino truppe per difendere uno Stato NATO attaccato. E l’idea che Putin possa avere un’escalation significativa perché l’Ucraina è entrata a far parte dell’Alleanza riflette un’incomprensione della storia recente. Gli Stati europei hanno passato anni a ignorare la richiesta di adesione dell’Ucraina alla NATO proprio per evitare di inimicarsi Mosca – e con un effetto nullo.

È quindi giunto il momento di permettere all’Ucraina di entrare nell’Alleanza, non prima o dopo, ma adesso. Entrando nell’Alleanza, il Paese si assicurerà un futuro come parte dell’Occidente e potrà essere certo che gli Stati Uniti e l’Europa continueranno ad aiutarlo a combattere contro Mosca. Anche l’Europa trarrà vantaggi in termini di sicurezza permettendo all’Ucraina di entrare nell’alleanza. È ormai evidente che il continente non è pronto a difendersi da solo e che i suoi politici hanno ampiamente sopravvalutato la sua sicurezza. In effetti, l’Europa non sarà mai al sicuro dalla Russia finché non sarà in grado di fermare militarmente gli attacchi di Mosca. E nessuno Stato è più qualificato dell’Ucraina per farlo.

Con il suo massiccio sostegno all’Ucraina negli ultimi 15 mesi, l’Alleanza ha in sostanza già pagato tutti i costi dell’ammissione dell’Ucraina. Consentendo al Paese di aderire ora, la NATO potrebbe iniziare a raccoglierne i frutti. L’Ucraina è la migliore speranza per il continente di ristabilire la pace e lo stato di diritto sui fianchi orientali della NATO. Dovrebbe essere accolta e abbracciata.

DA IMPENSABILE A INDISPENSABILE
L’Ucraina non ha sempre voluto far parte della NATO. Quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza nel 1991, ha evitato attivamente le alleanze militari. La costituzione dello Stato dichiarava formalmente che sarebbe stato neutrale e il governo ucraino non intendeva costruire un grande esercito permanente. Il governo ucraino ha persino smantellato il suo arsenale nucleare, ereditato dall’Unione Sovietica. In cambio, Kiev firmò un accordo di una pagina con Londra, Mosca e Washington in cui i firmatari promettevano di rispettare la sovranità dell’Ucraina.

Fu subito chiaro che la promessa di Mosca era priva di significato. La Russia ha iniziato a condurre operazioni segrete e ibride in Ucraina negli anni immediatamente successivi all’inizio del millennio. Nel corso degli anni ’80 ha intensificato le sue attività, che includevano la corruzione e la diffusione di informazioni errate. Di conseguenza, nel 2008 il Paese si è rivolto alla NATO chiedendo di potervi aderire. Nella Dichiarazione di Bucarest del 2008, l’Alleanza ha dato un sì provvisorio. Ma il percorso offerto era deliberatamente vago. Non c’era un calendario o una scadenza per l’ascesa dell’Ucraina, ma solo la promessa che un giorno sarebbe successo.

Questa esitazione è arrivata per gentile concessione di Putin, che ha partecipato alla conferenza di Bucarest e ha fatto pressioni sulla NATO affinché respingesse la candidatura di Kiev. Era un periodo in cui l’Occidente e la Russia stavano stringendo profondi legami economici e il primo cercava di corteggiare la seconda. Integrandosi con la Russia, molti Stati europei ritenevano che, oltre a far crescere le proprie economie, avrebbero potuto mitigare il comportamento peggiore di Mosca. Anche nel 2010, la NATO considerava la Russia un partner stretto e sperava di poter collaborare con il Cremlino. Queste speranze sono continuate anche dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014 e l’inizio di una guerra nell’est dell’Ucraina. Così come la lunga attesa dell’Ucraina. Le azioni della Russia hanno reso evidente che la neutralità ucraina non avrebbe mantenuto la pace in Europa – l’Ucraina non era allineata al momento dell’attacco di Mosca – ma l’annessione ha reso Washington e i Paesi dell’Europa occidentale meno propensi ad ammettere Kiev. Ora, temono, l’accettazione dell’Ucraina non solo farebbe arrabbiare Mosca, ma trascinerebbe anche la NATO in un conflitto.

L’Ucraina ha dimostrato che le sue forze armate non sono un caso di carità.
I calcoli dell’Occidente sono cambiati, tuttavia, nel momento in cui le forze russe hanno iniziato a marciare verso Kiev nel febbraio 2022. L’invasione su larga scala da parte del Cremlino ha reso evidente che la Russia non è una potenza con cui l’Europa possa commerciare e che le relazioni economiche non impediranno a Mosca di violare il diritto internazionale. La NATO, che un tempo esitava a fornire all’Ucraina armi che avrebbe potuto usare per l’autodifesa, ha iniziato a offrirle sofisticati sistemi offensivi. Oggi, gli Stati della NATO hanno armato Kiev con carri armati di prim’ordine, razzi a corto raggio e missili a lungo raggio. L’Ucraina sembra persino pronta a ricevere jet da combattimento di fabbricazione occidentale.

In cambio, l’Ucraina ha dimostrato che le sue forze armate non sono un caso di carità. Nel processo di allontanamento delle forze russe, ha creato centinaia di migliaia di soldati altamente addestrati. L’esercito ha anche fornito ai suoi comandanti e al personale civile una profonda conoscenza di come sconfiggere le forze russe. Il Paese ha un’enorme base industriale che, nonostante gli sforzi di Mosca, rimane intatta. Non è esagerato dire che, data la loro esperienza e le loro capacità di guerra terrestre, le forze armate ucraine potrebbero essere le migliori di tutta l’Europa.

Per la NATO, quindi, l’Ucraina dovrebbe essere un membro estremamente attraente per tutta una serie di ragioni, soprattutto se si considera che l’architettura di sicurezza dell’organizzazione ha così tanti difetti, riconosciuti e non. Consideriamo, ad esempio, la sua industria della difesa. Nonostante gli anni di crescente aggressione russa, gli Stati europei hanno lasciato che le loro forniture militari e i loro produttori si atrofizzassero dopo la Guerra Fredda. Di conseguenza, quando è scoppiata la guerra in Ucraina, la maggior parte di essi ha scoperto che le proprie scorte di armi e munizioni erano scese a livelli pericolosamente bassi. Alcuni Stati, tra cui Germania e Regno Unito, hanno dichiarato di avere solo pochi giorni di scorte. Anche i loro appaltatori militari sono riluttanti ad assumere personale e quindi faticano ad aumentare la produzione. Di conseguenza, questi Stati potrebbero aver bisogno dei produttori ucraini per contribuire a rifornire le loro scorte.

La NATO ha chiaramente bisogno di una forza più grande e meglio equipaggiata.
Potrebbe anche avere bisogno delle forze ucraine. La maggior parte delle forze armate europee sono progettate per avere un piccolo numero di truppe altamente addestrate che utilizzano attrezzature ad alta tecnologia e a guida di precisione per sconfiggere i loro nemici. Ma la guerra in Ucraina ha dimostrato che questo sistema non è efficace contro un avversario come la Russia, che combatte lanciando uomini e munizioni contro i suoi obiettivi (e che è abile nel distruggere sistemi ad alta tecnologia). La società paramilitare russa Wagner è stata inoltre pioniera di uno stile di combattimento che prevede l’invio di orde di soldati di fanteria contro gli obiettivi, il che limita l’efficacia dei grandi mezzi di fuoco, tra cui l’aviazione e l’artiglieria. L’Ucraina ha dovuto dispiegare un gran numero di truppe per tenere a bada questo assalto e la velocità con cui sia la Russia che l’Ucraina hanno consumato munizioni e armi ha superato di gran lunga le stime iniziali. La NATO ha chiaramente bisogno di una forza più grande e meglio equipaggiata se vuole assicurarsi di non essere vittima di future aggressioni russe. Le grandi e talentuose forze armate ucraine devono farne parte.

L’Ucraina ha un altro vantaggio che, per la NATO, è inestimabile: è fisicamente vicina alla Russia. Secondo l’attuale strategia dell’organizzazione, gli Stati in prima linea dovrebbero resistere a un attacco russo fino a quando l’Europa occidentale e gli Stati Uniti potrebbero arrivare e inondare l’est con i loro soldati. È una mossa rischiosa. Come ha dimostrato l’invasione di Mosca, anche le forze russe poco addestrate possono talvolta conquistare grandi quantità di territorio in pochi giorni. Se Mosca cercasse di prendere il controllo di territori in Estonia, Lettonia o Lituania, le truppe americane potrebbero arrivare solo quando è troppo tardi. Le unità ucraine, invece, sono vicine. Potrebbero arrivare velocemente sul campo di battaglia e poi fare quello che hanno fatto con grande successo negli ultimi 15 mesi: allontanare la Russia.

L’idea che Kiev possa aiutare altri Paesi a combattere contro Mosca potrebbe sembrare prematura, dato che l’Ucraina è attualmente impegnata a combattere la Russia in patria. È vero che, al momento, Kiev non ha molte truppe a disposizione. Ma nemmeno Mosca. Se la Russia attacca altrove in Europa, probabilmente lo farà quando la guerra in Ucraina avrà raggiunto una fase di calma, quando entrambi gli Stati avranno soldati pronti.

NESSUNA BUONA RAGIONE
I leader occidentali sono consapevoli che l’esercito ucraino è molto potente. “Le forze ucraine hanno una capacità e un coraggio formidabili, come abbiamo visto in tutti i casi”, ha dichiarato il Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ai giornalisti in aprile. Stoltenberg ha dichiarato ai giornalisti di credere “assolutamente” che Kiev possa sconfiggere Mosca, citando “il coraggio, le capacità e la determinazione delle forze armate ucraine”. Persino Yevgeny Prigozhin, il leader assassino di Wagner, ha affermato che l’Ucraina è “uno degli eserciti più forti” al mondo. Gli ucraini, ha dichiarato, sono “come i greci o i romani al loro apice”.

Eppure i politici occidentali continuano a non prendere sul serio la candidatura dell’Ucraina alla NATO. A maggio, ad esempio, Stoltenberg ha avvertito che, anche se l’Ucraina alla fine entrerà a far parte della NATO, diventare un membro “nel bel mezzo di una guerra non è all’ordine del giorno”. Il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha affermato che, sebbene la porta per l’Ucraina si sia aperta, si è trattato solo di “uno spiraglio”. Ora, ha continuato, “non è il momento di decidere”.

Né Stoltenberg né Pistorius hanno detto esattamente perché sono contrari ad accelerare la richiesta dell’Ucraina, come il blocco ha fatto con la Finlandia. Ma il loro ragionamento è abbastanza facile da dedurre. La NATO non si fa più illusioni sulla natura della Russia e non sottovaluta più il potere degli ucraini. Ma i membri della NATO non vogliono entrare in guerra con la Russia. E nelle loro menti, ammettere l’Ucraina alla NATO nel bel mezzo di questo conflitto potrebbe fare esattamente questo.

L’Ucraina potrebbe anche essere già uno Stato della NATO.
Questo timore deriva, in parte, dall’articolo 5 della NATO, che dichiara che un attacco armato contro uno dei membri dell’organizzazione “sarà considerato un attacco contro tutti”. La maggior parte degli osservatori casuali crede che questo significhi che gli Stati della NATO sono obbligati a inviare truppe per difendere uno Stato membro che è stato attaccato. Ma non è così. L’articolo 5 stabilisce che ogni membro deve intraprendere “le azioni che ritiene necessarie” per aiutare una parte attaccata – un linguaggio che dà ai membri della NATO una grande flessibilità. Quando gli Stati Uniti hanno invocato l’articolo 5 dopo l’11 settembre, ad esempio, molti Stati della NATO non hanno inviato truppe per combattere i Talebani.

Secondo questo standard, l’Ucraina potrebbe anche essere già uno Stato della NATO. Riceve decine di miliardi di dollari di aiuti dai Paesi partner sotto forma di armamenti sofisticati. Ha beneficiato di un ampio addestramento militare occidentale. Riceve informazioni dettagliate dagli Stati Uniti. E non ha mai chiesto alla NATO di dispiegare truppe sul terreno. Non ne ha motivo: a differenza dei piccoli Stati della NATO, l’Ucraina ha una vasta forza militare che può affrontare i russi da sola.

Alcuni analisti occidentali temono ancora che l’ammissione dell’Ucraina alla NATO possa provocare un’escalation. Putin ha ripetutamente dichiarato che la Russia non permetterà mai all’Ucraina di entrare nella NATO, e quindi alcuni politici temono che l’ammissione di Kiev possa provocare Putin ad allargare il conflitto. Ma ciò si basa su un fraintendimento fondamentale delle motivazioni di Putin. La preoccupazione ultima del Cremlino non è mai stata quella di far entrare l’Ucraina nella NATO, nonostante quello che Putin può dire in pubblico. È invece che l’Ucraina si opponga alle aspirazioni coloniali di Putin. E la Russia ha già reagito con un’escalation a questo timore, invadendo l’Ucraina. Le ripetute assicurazioni dell’Occidente che l’Ucraina non sarebbe entrata nella NATO non sono servite a fermarlo.

ASSOLUTAMENTE NECESSARIO
L’Ucraina dovrebbe entrare subito nella NATO. Ma purtroppo dovrà quasi certamente aspettare. È necessario un voto unanime per aggiungere un Paese all’Alleanza e ci sono ancora troppi governi che si oppongono alla sua ascesa.

Ma a Vilnius, la NATO dovrebbe almeno andare oltre le vaghe promesse sul futuro dell’Ucraina e passare ai fatti, aiutando Kyiv a entrare nell’organizzazione. È tempo che gli Stati occidentali si oppongano con fermezza ai prepotenti e smettano di dare voce alla Russia (o a qualsiasi altro Stato esterno) nell’architettura di sicurezza di un’organizzazione che la considera un avversario. È invece giunto il momento che la NATO inizi a rafforzarsi, e il coinvolgimento dell’Ucraina è essenziale per realizzare questo compito. Nessuno Stato, dopo tutto, sa meglio di altri come contrastare il Cremlino. In effetti, nessun Paese ha più esperienza attuale nel combattere guerre su larga scala. L’unico avversario dell’Ucraina è la Russia stessa.

E fondamentalmente, l’Occidente deve accettare che la minaccia della Russia non è destinata a scomparire. Le ambizioni imperiali della Russia vanno oltre l’Ucraina. Sono più profonde del solo Putin. L’intera leadership russa è intrisa di odio verso l’Occidente e orientata a ricreare un impero. Minaccerà l’Europa orientale anche se Kyiv dovesse ottenere una vittoria completa e anche se Putin venisse cacciato dall’incarico.

Per tenere a bada la Russia, il mondo democratico ha bisogno di un esercito integrato che fermi e scoraggi l’aggressione del Cremlino. La NATO può essere questa forza. Ma per farlo, deve smettere di vedere l’Ucraina come un vicino molesto che sta cercando di entrare nel suo rifugio. Deve invece riconoscere l’Ucraina per quello che è: la migliore forza di polizia del mondo e uno Stato che può fare molto per garantire la sicurezza dell’Europa. La NATO, quindi, deve ammettere l’Ucraina.

ANDRIY ZAGORODNYUK è presidente del Centro per le strategie di difesa. Dal 2019 al 2020 è stato Ministro della Difesa dell’Ucraina.
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Per la Moldavia, un vertice europeo attira più sostegno per scongiurare l’influenza russa_di Stratfor

Continua a stringersi la tenaglia intorno alla Russia. L’Occidente a guida statunitense, piuttosto che creare una zona franca, neutrale o di collegamento con la Russia, spinge i confini della NATO sempre più a ridosso del limite russo, vellicando ed istigando le contrapposizioni etniche e le ambizioni espansioniste dei paesi minori della Europa Orientale. I beoti europei si stanno scavando per la terza volta in poco più di un secolo la fosse dentro la quale languire. Tutta una serie di dirigenti, figure mediocri coltivate certosinamente nella scuola di Soros, da Sanin, a Sandu, a Trudeau a decine di esponenti italiani, tedeschi, ect, stanno seminando tempesta e raccogliendo frutti avvelenati. Giuseppe Germinario

Per la Moldavia, un vertice europeo attira più sostegno per scongiurare l’influenza russa

6 MIN LETTURA 1 giugno 2023 | 20:20 GMT

I leader europei posano per una foto prima del vertice della Comunità politica europea (CPE) a Bulboaca, in Moldavia, il 1° giugno 2023. 

I leader europei posano per una foto prima del vertice della Comunità politica europea (CPE) a Bulboaca, in Moldavia, il 1° giugno 2023.

(Carl Court/Getty Images)

Il sostegno dell’UE e una serie di iniziative interne daranno alla Moldova più strumenti per mantenere il suo corso filo-occidentale, ma non ridurranno del tutto le forze politiche filo-russe, che continueranno a fomentare disordini fino alle elezioni presidenziali del prossimo anno.Il 1° giugno la Moldavia ha ospitato il secondo vertice della Comunità politica europea (CPE), che l’UE ei paesi europei non membri hanno lanciato lo scorso anno come forum per discutere le questioni che interessano il continente a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Quasi 50 capi di stato e di governo europei, tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, hanno partecipato all’incontro, che si è tenuto a soli 20 chilometri (circa 12 miglia) dal confine ucraino in quello che i leader hanno definito un messaggio a Mosca. Il vertice ha segnato un ritorno sotto i riflettori globali per la Moldavia, che ha combattuto mesi di volatilità sociale, economica e politica legata al conflitto in corso tra la Russia e la vicina Ucraina. Nell’ultimo anno, il piccolo paese europeo ha affrontato un complotto russo trapelato per rovesciare il suo governo,minacce di interruzioni di energia , proteste in corso organizzate da moldavi filo-russi e sforzi di destabilizzazione relativi alla regione separatista della Transdniestria . In questo contesto, il vertice europeo ha visto diversi annunci di sostegno politico ed economico alla Moldavia e affermazioni delle sue aspirazioni ad entrare nell’Unione Europea, nel tentativo di sostenere la presidente filo- occidentale del Paese Maya Sandu . In combinazione con diversi sviluppi prima del vertice, questo aiuto ha lo scopo di evitare che le condizioni di vita in Moldavia peggiorino ulteriormente nei prossimi mesi, il che avrebbe potuto far deragliare il corso politico europeista del paese erodendo ulteriormente il sostegno all’amministrazione Sandu a favore del pro -Movimento di opposizione russo.

  • L’inflazione annuale in Moldavia è stata di circa il 28% nel 2022, trainata in gran parte dagli alti prezzi dell’energia. In risposta alla crisi del costo della vita, le forze politiche filo-russe nel paese hanno organizzato regolarmente dalla scorsa estate proteste contro il presidente Sandu e il suo Partito di Azione e Solidarietà al governo. Mentre l’inflazione è diminuita e le condizioni economiche generali sono migliorate negli ultimi mesi, i sondaggi mostrano che anche il sostegno al partito di Sandu è diminuito a favore dei partiti filo-russi.
  • In una conferenza stampa con Sandu il 31 maggio, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha giustificato un nuovo pacchetto di sostegno per la Moldavia sottolineando che Chisinau ha “incarnato [ied] i valori fondamentali dell’Europa” di unità, solidarietà e resilienza nell’ultimo anno “collegando il suo destino all’Unione Europea”, accogliendo oltre 700.000 rifugiati ucraini e mantenendo il sostegno agli sforzi bellici dell’Ucraina nonostante l’ energia russa e il “ricatto” politico.
  • Il 9 febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto ai leader dell’UE che il suo paese aveva intercettato e condiviso con il governo moldavo i piani russi per “distruggere” la Moldavia, cosa che i servizi di intelligence moldavi hanno successivamente confermato. Il giorno seguente, Sandu ha supervisionato una riorganizzazione del governo che l’ha vista nominare come primo ministro Dorin Recean, suo consigliere per le politiche di sicurezza e difesa, Dorin Recean, una mossa percepita dagli osservatori come un segno della determinazione delle forze filoeuropee a prendere una linea più dura contro influenza russa.

Nuove iniziative governative e un maggiore sostegno estero rafforzeranno la capacità della Moldavia di mantenere la stabilità interna e il suo corso europeista.Il 29 maggio, Sandu ha annunciato il lancio di nuove iniziative per combattere le minacce ibride russe, tra cui la creazione di un centro nazionale per la difesa informativa e la lotta alla propaganda, noto come PATRIOT, con la missione di coordinare la politica dello stato in materia di sicurezza informatica e lotta alla disinformazione a il livello nazionale. La nuova iniziativa, che secondo Sandu dovrebbe essere inviata al parlamento entro la fine di giugno, è particolarmente importante perché la Moldavia è considerata uno dei paesi europei più vulnerabili alla disinformazione russa e alle operazioni informatiche. L’iniziativa sosterrà anche una missione civile dell’UE svelata il 24 aprile volta a sviluppare capacità per gestire attacchi ibridi. L’Unione europea ha ulteriormente rafforzato il sostegno alla Moldavia il 30 maggio, annunciando che stava raddoppiando la sua assistenza macrofinanziaria precedentemente concordata al paese a 295 milioni di euro. Inoltre, il 31 maggio, von der Leyen ha annunciato un nuovo pacchetto di sostegno in cinque parti per la Moldavia per affrontare l’impatto della guerra in Ucraina alle sue porte e accelerare la sua integrazione nell’Unione Europea. Ciò porterà il sostegno totale dell’UE alla Moldova a 1,6 miliardi di euro, quasi triplicando l’obiettivo di sostegno del blocco rispetto all’obiettivo iniziale fissato nell’ottobre 2021.

  • La Moldova ha presentato domanda di adesione all’UE nel marzo 2022, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. L’Unione europea ha concesso alla Moldova lo status di candidato nel giugno 2022 per inviare a Chisinau (e Mosca) un messaggio di sostegno politico al paese. Mentre lo status della Moldavia come candidato all’UE significa che il paese si qualifica per il sostegno finanziario, politico e istituzionale del blocco, è improbabile che Chisinau diventi presto membro dell’UE a causa dello scetticismo di molti membri attuali sull’espansione del blocco.
  • Il nuovo piano di sostegno dell’Unione Europea abbasserà le tariffe di roaming tra il blocco e la Moldavia, rendendo più economico per le persone e le aziende in Moldavia e negli Stati membri dell’UE telefonare, inviare SMS e inviarsi dati a vicenda. Il piano fornirà anche più di 100 milioni di euro per coprire i bisogni immediati di Chisinau nella sfera energetica, insieme ad altri 40 milioni di euro per l’esercito moldavo a corto di liquidità.
  • Il 26 ottobre, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato 12 entità e nove individui (compresi gli oligarchi moldavi Vlad Plahotniuc e Ilan Shor) per aver sequestrato e corrotto le istituzioni politiche ed economiche della Moldavia e aver guidato gli sforzi per installare una leadership filo-russa nel paese. Il 30 maggio, l’Unione Europea ha imposto sanzioni simili a Plahotniuc e Shor, tra gli altri politici filo-russi in Moldavia. Ma a differenza delle sanzioni statunitensi, le nuove sanzioni dell’UE hanno preso di mira anche la leader del movimento di protesta contro il governo di Sandu, Marina Tauber, che è stata arrestata il 1° maggio all’aeroporto di Chisinau mentre cercava di fuggire in Israele per unirsi a Shor. Le sanzioni contro Tauber forniranno terreno per un’azione più dura contro altri leader del movimento filo-russo ancora in Moldavia.

Sebbene sia improbabile che depongano il governo moldavo, le forze filo-russe nel paese rimangono potenti e continueranno a organizzare regolarmente proteste prima delle elezioni presidenziali del 2024.Il 21 maggio, il presidente Sandu ha convocato una manifestazione pro-UE nel centro di Chisinau. Il suo obiettivo era dimostrare il continuo sostegno pubblico al percorso di integrazione europeista del governo, nonostante le difficoltà economiche causate dall’invasione russa della vicina Ucraina. La polizia ha stimato che almeno 75.000 persone hanno partecipato alla manifestazione, facendo impallidire le più comuni manifestazioni filo-russe, che raramente hanno attirato più di 20.000 sostenitori. Tuttavia, con l’inflazione destinata a rimanere elevata mentre infuria la guerra della porta accanto della Russia, le forze politiche filo-russe continueranno probabilmente a cercare di sfruttare le lamentele economiche dei moldavi e a organizzare proteste antigovernative. Tali sforzi si intensificheranno con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2024, dove i rivali di Sandu cercheranno di estrometterla per iniziare a rallentare i progressi nell’integrazione della Moldavia nell’UE.

  • Il 15 maggio, Evghenia Gutul, 36 anni, del partito filo-russo Shor ha vinto le elezioni per guidare la regione semi-autonoma della Gagauzia della Moldavia. Le forze filo-russe hanno ampiamente dominato la scena politica della Gagauzia sin dall’indipendenza della Moldavia nel 1991.
  • Ma la vittoria di Gutul – e il fatto che abbia prevalso in un ballottaggio contro un altro candidato filo-russo – sottolinea comunque che i livelli di sentimento filo-russo rimangono alti in Moldavia, nonostante i cambiamenti generazionali e le nuove realtà geopolitiche dal 2022.

https://worldview.stratfor.com/article/moldova-european-summit-draws-more-support-ward-russian-influence

BALTENDEUTSCHE (tedeschi del Baltico*) (cap. 3 e 4 di 4), di Daniele Lanza

BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 3 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Abbiamo pertanto estoni e lettoni pacificati in un perenne servaggio medievale sotto i loro naturali superiori che parlano un idioma differente (hochdeutsche, pare) a prescindere dal tormentato mutamento di confini di quella che più che una mappa geografica pare uno scacchiere bellico permanente tra (1) Polonia (2) Svezia (3) Russia. E’ per secoli a tutti gli effetti una zona cuscinetto tra le parti.
Gli equilibri vengono alterati sensibilmente solo nella tarda età moderna in quanto possiamo dire che il primo 1/4 del secolo XVIII° costituisce la svolta storica nell’esistenza dei tedeschi del Baltico.
Pietro il grande vince nettamente il conflitto che conosciamo come “grande guerra del nord” (1700-1721) sui manuali : con tale vittoria (decisiva la vittoria del 1709 a Poltava nell’attuale Ucraina orientale, dove si erano incautamente spinte le armate svedesi), il neonato impero russo incorpora in blocco tutta la regione del Baltico con cui confina. Vittoria russa di grande magnitudo storica, comporta l’avanzata di tale civilizzazione verso occidente, come a “bucare” quasi il millenario isolamento dello heartland slavo/russo aprendosi con sciabole e cannoni la via fino al mare : un mare aperto, solcato da altri popoli da sempre, quasi un boccaporto del paese verso il mondo esterno.
Aldilà di considerazioni di carattere così generale, diciamo più brevemente che i popoli della Livonia (odierni lettoni ed estoni) diventano d’un tratto sudditi dell’imperatore di Russia e, assieme ad essi, la loro elite rappresentata perfettamente nell’aristocrazia del tempo.
L’aristocrazia baltica (interamente germanica) entra improvvisamente a far parte dell’insieme molto più grande che è l’aristocrazia imperiale russa (quest’ultima è un autentico macro aggregato di TUTTE le elite locali degli sterminati territori che compongono il continente russo) : la fine di tutto ? NO ! Il vero gioco inizia ora anzi………………….
L’evento geopolitico dell’annesione baltica è qualcosa di parallelo al macroscopico mutamento di prospettiva, fortemente voluto dall’imperatore : la Russia diventa (deve diventare) qualcosa di “occidentale” o almeno il più possibile. La riforme petrine cambiano il volto del paese e la sua traiettoria storica.
Nel contesto di questa nuova мировоззрения (“visone del mondo”) tutto ciò che può servire allo stato nella sua marcia per uniformarsi all’occidente è desiderato, rincoso, bene accetto.
Si verifica pertanto la seguente situazione : che la nostra piccola nobiltà baltica di stampo germanico si ritrova come elevata al di sopra del proprio eterno ruolo egemone (di provincia) per esser proiettata in un meccanismo infinitamente più grande e complesso che regolerà l’esistenza di uno stato-continente come la Russia imperiale. L’aristocrazia balto-germanica è l’unica consistente elite di stampo occidentale che sia al tempo stesso suddita del sovrano di Russia : essa diviene pertanto per molti versi un modello VIVENTE di quella direzione in cui dovrebbe incamminarsi l’intero paese nella sua rivoluzione dello spirito (…).
I nobili del Baltico di antica ascendenza tedesca si risvegliano letteralmente alle soglie del 1700, strappati alle proprie secolari prerogative locali ed inseriti in un differente genere di “gioco” di ordine di grandezza che rende insignificante il sonnolento vivere quotidiano della piccola provincia baltica : essi incarnano ora, loro malgrado, il PRISMA attraverso il quale la Russia scruta ed intepreta il modo “altro” da sè (l’occidente)……tale ruolo chiave nell’insondabile processo di metamorfosi identitaria che caratterizza l’esistenza di un paese che dal Baltico arriva al Pacifico, trasfigura anche la stessa aristocrazia baltica, che da strato nobiliare locale si ritrova in un ruolo via via dilatato , diventando a tutti gli effetti un segmento di lusso dell’aristocrazia imperiale russa tra il XVIII° e XIX° secolo.
L’estrema vicinanza della nuova capitale (San Pietroburgo) al loro abitato atavico ne facilita la presenza e la diffusione nei gangli del potere. Tra il 1710 ed il 1880 godono di un’autonomia senza paragoni nel contesto dell’amministrazione dell’impero (Caterina II faciliterà ulteriormente il processo), seguitando a controllare la loro base nativa nel Baltico quanto ricoprendo incarichi ancor più importanti : alla metà dell’800 quasi la metà dei governatori delle “gubernje” che compongono l’impero portano un cognome tedesco. Nella capitale la lingua tedesca è indispensabile per tutte le portinerie (assieme a russo e polacco).
La stessa dinastia regnante Romanov è in realtà genealogicamente tedesca per 7/10……..
(continua)
 
BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 4 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Pieno 19° secolo, porta dell’età contemporanea. La popolazione tedesca del Baltico conta percentuali minuscole, ma preziose : all’incirca il 5-6% della popolazione di Lettonia ed Estonia al tempo del primo censimento imperiale (1897), concentrati soprattutto nei centri cittadini dove raggiungono anche un 1/10 delle anime. Molti se si considera che il nerbo delle professioni liberali e o che richiedono istruzione…buona parte della media borghesia dell’intero paese è costituita da loro, nonchè la totalità dell’aristocrazia : quest’ultima detiene il 50% di tutte le terre utili presenti sul Baltico. Fin qui ordinario in tutte le aristocrazie più conservatrici nell’Europa del tempo.
Oltre a tutto ciò tuttavia, L’aristorazia balto-germanica è anche divenuta il fiore all’occhiello dell’impero russo nella sua totalità dal momento che le circostanze storiche hanno determinato il paradosso : anzichè slavizzare le elite del Baltico, accade l’esatto opposto, ovvero che l’impero si fa “germanizzare” da esse (suonerà inaudito per la sensibilità nazionalista/rivoluzionaria che verrà).
Sarà per l’appunto la contemporaneità a estinguere tale gruppo sociale. A differenza di quanto enfatizzato da più parti NON è l’Unione Sovietica a liquidare questo segmento della società, quanto una spinta nazionalistica decisamente anteriore : a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo l’età dei nazionalismi è sorgente di crescente resisteza da parte di una massa nativa oramai consapevole e cosciente del proprio status, nonchè in generale in Russia di insofferenza nei confronti di un elemento sempre più percepito come estraneo secondo il metro dell’identitarismo etnico che vuole un ritorno alla origini più incontaminate dello stato russo (una chiave di lettura della rivoluzione d’ottobre è quella nazionalista/primitivista, che strappa il paese alla collocazione “occidentale” che gli si è voluto imprimere dai tempi di Pietro il grande per riportarlo, tramite il socialismo, su un sentiero maggiormente autoctono e adatto alla psiche slavo orientale.. Ritornare alle origini…ritornare alla retta via. Eliminando o riducendo ai minimi termini l’elemento più alieno).
Già con la prima guerra mondiale iniziano i primi contenuti flussi mi gratori verso l’estero, che si intensificano al momento della rivoluzione : nel momento della verità (i momenti più critici della storia lo sono…) l’aristocrazia tedesca del Baltica svela il suo volto, invocando a gran voce la scissione territoriale di Estonia e Lettonia dal corpo del defunto impero russo.
In parole più grezze, accertata la conclusione storica (in realtà ancora PRIMA del conflitto tra bianchi e rossi) della loro fonte di prestigio, che il vecchio stato autocratico in fondo era, si dichiarano (primi mesi del 1918) dapprima favorevoli ad un’annessione diretta del loro Baltico all’impero del Kaiser…..successivamente ad una soluzione intermedia quale la creazione di un ducato unito del Baltico come area di influenza di Berlino.
I nazionalisti russi esageravano sulle presunte infedeltà dei tedeschi del Baltico nei confronti della madre Russia (in effetti il tedesco raramente “tradisce” anche quando soddisfatto non è…), quanto è vero che questi retroscena sono quantomai singolari (penso).
Si ha la faccia di bronzo di invocare il trattato di NYSTAD (firmato con la Svezia reale 200 anni prima, ai tempi di Pietro il grande !), come base LEGALE per pretendere un’indipendenza dall’impero.
I bolscevichi (tanto patrioti quanto i bianchi, consapevolmente o meno) seduta stante ne fanno arrestare a migliaia e rilasciati solo dopo Brest Litovsk.
A questo punto diventa esodo vero e proprio, che nel periodo tra le 2 guerre mondiali rapidamente abbassa la densità della popolazione tedesca del Baltico dato che costoro dalla fine dell’impero sono ormai stretti tra 2 fuochi : da oriente uno stato socialista e rivoluzionario che ne odia anche solo il ricordo, qual reminiscenza dello zarismo più reazionario e “straniero” “non-nazionale”…….dall’altro, letteralmente nel cortile di casa propria, un’ondata etno-nazionalista, ora di massa, di estoni e lettoni, determinata a privarli dell’antico status.
Morale della situazione : gli antichi dominatori nel giro di una generazione hanno perso molto del loro potere e sono in procinto di perderlo del tutto. Nella loro culla ancestrale sono ormai visti come nemici ed ostacolo alla democrazia da nativi a lungo subordinati…….e un ritorno eventuale della Russia (ora sovietica ) sarebbe anche peggio in quanto portatrice latente di un identitarismo russo (popolare, democratico o come preferite) determinato ad eradicarne sistematicamente la reazionaria presenza.
Nonostante negli anni 30 rappresentino ANCORA una potenza culturale sul territorio (scuole, organizzazione, etc.) molti dei superstiti si decidono per il passo finale : il patto Von Ribbentrop- Molotov prevede nelle sue clausole uno spostamento di popolazioni che coinvolge proprio loro, i tedeschi del Baltico come elemento che DEVE rientrare nella grande patria del REICH.
Dopo questo, il 90% del balto-germanici ha oramai lasciato Lettonia ed Estonia (ora sovietiche e russizzate col tempo da Stalin) : i restanti finiranno per lasciare precipitosamente i loro manieri a seguito del sisma bellico che a poco verrà. Quando Stalin nel dopoguerra vorrà far piazza pulita dei rimasti scoprirà che ne sono rimasti ben pochi…………
Come detto questo gruppo sociale, residuo di un passato remotissimo e medievale è vittima non tanto dei sovietici, quanto della nuova era, quella delle ideologie : l’ideologia identitaria e nazionalista opera come uno schiacciasassi dell’identità, un’energia che uniforma tutto e tutti, annientando interi microuniversi dell’identità come quello dei nostri simpatici (sì ?) amici del Baltico……
Se l’assenza di ideologia dell’identità aveva permesso loro di prosperare per 7 secoli in territorio estraneo, sono bastati 30/40 anni nell’ideologico XX° secolo per comprimerne la presenza al quasi zero percentuale. Massima parte è ritornata nella Germania (stato che non aveva mai visto prima).
I loro manieri sono oggi hotel lussuosi e ben tenuti sulle rive di fiumi e laghi, dove si passa l’estate…….

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BALTENDEUTSCHE (1 e 2 di 4), di Daniele Lanza

BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 1 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Premessa essenziale : se anche al profano (penso) è nota la presenza e profonda influenza storica dell’elemento tedesco nel continente russo, è necessario sottolienare che l’espressione “origini tedesche” può significare cose assai differenti.
Il punto è che storicamente la presenza germanica in terra russa è il risultato, sintesi di fenomeni migratori avvenuti in epoche differenti ed in circostanze del tutto differenti il che da vita a gruppi sociali ed identità divergenti nonostante l’apparentemente comune ascendenza etnica. Nella sostanza i due nuclei più importanti sono i “Tedeschi del Volga” (universalmente noti, credo) e quelli del Baltico : di questi ultimi offro una breve descrizione oggi.
Signori e signore…………i più attenti tra voi avranno più o meno seguito le mie scanzonate sintesi sulla storia di PRUSSIA : ebbene, torniamo là al principio di tutto, facciamo un lunghissimo passo indietro fino agli albori…………
Ancora PRIMA della conquista vera e propria delle tribù prussiane da parte dell’ordine teutonico era già iniziata una penetrazione germanica nel Baltico, in forma di iniziativa militare : per esser esaurienti, Papa Innocenzo III assai prima che il suo successore (una generazione dopo) autorizzasse l’impresa teutonica, aveva già emesso a sua volta una bolla a proposito della cristianizzazione della terra LIVONICA (o patria dei “livi”. Con “livonico” allora si intendeva tutto l’elemento umano che oggi conosciamo come “estoni” e “lettoni”, grossomodo…..) : all’appello risponde un ordine cavalleresco germanico, nato come lontana branca dell’ordine templare inizialmente, ma poi divenuto entità indipendente sotto il nome di “FRATELLI DELLA SPADA”. Più precisamente “Fratres militiæ Christi Livoniae”, ossia fratelli livonici della spada (varianti in diverse lingue). Quando il pontefice riconosce quest’ordine guerriero, corrono gli stessi anni dell’organizzazione della 4° crociata….ossia 1202-1204. Le cose sono fatte in contemporanea.
I fratelli della spada, iniziano la loro piccola crociata da Riga e per una generazione mietono successi, arrivando a fondare laddove si trovavano le popolazioni livoniche pagane (la vecchia Livonia) un proprio territorio autonomo che assumerà il nome di “TERRA MARIANA” (Maarjamaa, l’appellativo estone romantico del XIX°-XX° sec., di questo antico potentato).
Questa “Terra mariana” verrà poi ancora gradualmente ingrandita da provincie limitrofe fino a comprendere uno spazio geografico che corrisponde più o meno alla Lettonia ed Estonia di oggi.
Insomma, decadi prima che i teutonici si mettessero all’opera, i fratelli livonici della spada si erano già costruiti una propria Terrasanta un po più a nord, ponendo le fondamenta di una duratura penetrazione germanica nella regione : nel 1215 è dichiarato territorio sotto il controllo di Roma e della Santa sede (nominalmente, chiaro).
D’altra parte tuttavia grava il fatto che i fratelli della spada non possiedono i numeri e le risorse per attuare una politica di germanizzazione su grande scala (paragonabile a quella teutonica in Prussia), rimanendo in tal modo l’elemento germanico una sottilissima presenza su una massa nativa sempre sul piede di guerra : in effetti a 30 anni dall’inizio dell’impresa la nostra cosiddetta Terra mariana è un territorio ancora NON del tutto pacificato.
Una battaglia dall’esito infelice (Saule) contro i lituani ancora pagani, rischia di annientare l’ordine e tutto quanto ha tentato di costruire : a questo punto il contesto storico offre loro una sola via di salvezza, che pare essere la più congeniale………..
I fratelli della spada accettano di fondersi nel più fortunato alveo dell’ordine teutonico : in breve, l’ordine livonico dei frateli della spada, sconfitto e morente si “salva” trasformandosi in una branca autonoma (conservano il nome , come un marchio) dell’ordine teutonico e portando in dote quanto sono riusciti a creare in una generazione ; la Terra mariana per logica conseguenza diventa parte della sfera di influenza teutonica, come una vicina colonia che diverrà presto parte dello stato monastico teutonico (pur mantenendo la propria denominazione). Correva l’anno 1236.
Da questo punto in avanti i fratelli della spada e la loro culla in terra mariana divenuti un sottoinsieme della potenza teutonica ne seguono fortune e cadute nel corso dei secoli successivi, fino alla conclusione storica di quest’ultima, ovvero il suo tracollo geopolitico nel tardo medievo a seguito delle sconfitte contro i monarchi polacchi nel corso del 400.
Attenzione ! La fine della potenza teutonica (e la scomparsa dello stesso ordine livonico della spada) NON comporta tuttavia la scomparsa dell’elemento germanico ormai insediatosi nel Baltico, anzi…………
(prosegue).
 
BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 2 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Ricapitoliamo : dopo 200 anni di successi, lo stato monastico dell’ordine teutonico collassa nel giro di una cinquantina di anni (secolo XIV°).
Nel suo disfacimento e declassamento a ducato vassallo dei re di Polonia, esso perde tutti i territori aggregati alla Prussia nel corso dell’età d’oro…..in primo luogo la nostra vecchia Livonia (o terra mariana). Se l’esistenza di una potenza germanica è (per il momento) tramontata sullo sponde del Baltico, non lo è tuttavia la presenza fisica e sociale di un elemento germanico sul territorio…….proviamo a spiegarne per quanto possibile questa dinamica.
Nel corso di 2 secoli sotto l’ombrello teutonico, era andata rafforzandosi una presenza tedesca nel territorio mariano : nulla di impressionante su un piano prettamente numerico, giusto una scarsa minoranza in mezzo alla massa autoctona (paragonabile ad un sottile foglio di carta appoggiato ad uno spesso tavolo), ma dotata di TUTTO il potere che la compagine socioculturale medievale può loro dare. I tedeschi nella Livonia costituiscono l’elite, la classe dominante (etno-culturalmente ben demarcata) la cui durata supererà il mezzo millennio (700 anni, tutti).
Dedico giusto una riga in più solo per sottolineare la particolarità di questa “durata”.
La minoranza tedesca del Baltico pur mantenendo salda coscienza della propria origine si fonde gradualmente con la massa autoctona. ATTENZIONE : “fondersi” in questo caso non significa “sciogliersi” all’interno di tale massa, bensì più cautamente appoggiarvisi sulla superficie, aderirvi fino ad apparire una cosa sola (l’elemento germanico non si preclude di cooptare ed aggregare elementi nativi laddove serva) : i tedeschi, per così dire, diventano parte integrante delle terre che abitano, parte dell’ecosistema (!) assieme (quasi in “armonia”, perlomeno nella compagine pre-moderna) all’elemento nativo estone/lettone preesistente a loro, pur mantenendo una linea di divisione.
Riformulo in modo ancor più essenziale : l’elemento tedesco anzichè mantenersi del tutto “straniero” (cosa che l’avrebbe condannato), diventa tutt’uno col proprio territorio e quindi col substrato etnico estone/lettone, senza tuttavia rinunciare al proprio status etno/sociale, configurandosi pertanto come un lenzuolo che va a ricoprire il mobile (…). In pratica essi diventano “lo strato superiore del substrato” (passatemi il gioco di parole).
I tedeschi diventano “baltici” tanto quanto gli autoctoni (questi ultimi tuttavia ridotti al duro servaggio della gleba) rispetto ai quali esiste una divisione sociale che tra l’altro, parla anche un’altra lingua (pare una contraddizione in termini…..”unità nella divisione”). Ritengo che sia il cuore dell’etnogenesi del “tedesco del baltico”.
Tale processo porta un vantaggio storico non calcolabile.
Divenendo i tedeschi “parte integrante” del territorio, la loro presenza NON è più dipendente dalle fortune di una specifica potenza dominante o da una particolare congiuntura storico-politica, bensì è un elemento FISSO che trascende le sorti del dominatore di turno : non importa CHI il turbine della storia designi come vincitore del momento (che sia il re di Polonia o lo zar di Russia o i monarchi svedesi)………i tedeschi del Baltico rimangono sempre lì, inamovibili, in fin dei conti al servizio di chi prevarrà nella determinata situazione.
L’artistocrazia baltica (totalmente tedesca), slegata dalle mutevoli sorti dei regnanti russi, svedesi o polacchi, naviga senza troppe scosse i flutti della storia, in privilegiata beatitudine……
Ragion per cui, il collasso dello stato teutonico, tanto quanto i cambiamenti di bandiera e gli assestamenti geopolitici dei 250 anni che seguono NON alterano la struttura fondamentale della società baltica.
Nessuno tuttavia è del tutto immune alla storia, naturalmente, in quanto le dinamiche che si mettono in moto a partire da Pietro il grande porteranno novità di grande rilievo nella vita di questa piccola comunità…
(prosegue).

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IL SABOTAGGIO DEL NORD STREAM: UN ATTO DI GUERRA CONTRO LA RUSSIA E L’EUROPA NELL’INTERESSE DI WASHINGTON E DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI? di PIERRE-EMMANUEL THOMANN

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e il dibattito su chi ne sia responsabile rimarranno uno dei grandi episodi di disinformazione del campo atlantista nel conflitto in Ucraina. Probabilmente non ci sarà mai una conferma ufficiale di chi ha ordinato questo atto di terrorismo di Stato, perché si sta facendo di tutto per insabbiare il tutto.

I governi interessati, Berlino e Parigi in particolare, sono in uno stato di complice stupore. Il loro silenzio su questa vicenda, o il rimescolamento delle tracce, sostenuto dai media dominanti e dagli pseudo-esperti che passano in loop sulle televisioni per trasmettere le narrazioni atlantiste, si spiega facilmente. Non possono rivelare al loro popolo che il loro cosiddetto principale alleato, Washington, ha commesso un atto di guerra contro i suoi stessi alleati, poiché ciò dimostrerebbe che il conflitto in Ucraina è una guerra provocata e mantenuta da Washington, non solo contro la Russia, ma contro l’intera Europa. L’intero discorso della cosiddetta unità occidentale e transatlantica verrebbe irrimediabilmente incrinato.

Non appena i gasdotti sono esplosi nel settembre 2022, mentre la Russia è stata immediatamente additata dagli esperti al servizio del campo atlantista, Mosca ha accusato Washington di essere dietro questo atto terroristico. Le rivelazioni del giornalista investigativo americano Seymour Hersh[1] sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream hanno tuttavia rafforzato la tesi della responsabilità di Washington. Non sorprende che questa versione sia stata messa al bando dai media mainstream, portavoce dei governi degli Stati membri dell’UE e della NATO. Il maldestro tentativo di diversione di Washington attraverso il New York Times[2], che indicava la responsabilità di un gruppo filo-ucraino, non ha convinto nessuno e il Ministro della Difesa ucraino è stato costretto a smentire, un raro episodio in cui il regime di Kiev è stato costretto a contraddire il suo mentore[3].

Va inoltre ricordato che Washington aveva esplicitamente annunciato l’intenzione di sbarazzarsi dei gasdotti per voce del presidente Biden[4]. Gli Stati coinvolti nell’inchiesta hanno anche sottolineato che i risultati delle indagini sarebbero rimasti confidenziali, poiché la verità non è ovviamente bella da raccontare[5]. L’ipotesi che Washington sia responsabile del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è quindi la pista più probabile, e di fatto l’unica credibile.

La mancanza di reazioni da parte dei governi degli Stati europei interessati, Germania, Francia e Paesi Bassi, che sono stati direttamente presi di mira da questo atto terroristico assimilabile a un asso di guerra, rivela il grado di sottomissione geopolitica senza precedenti di questa classe politica a Washington,

E se analizziamo questo evento da un punto di vista geopolitico, arriviamo alla stessa conclusione: la responsabilità di Washington. Se si inserisce questo atto di guerra nel contesto del progetto geopolitico “Iniziativa dei tre mari”, avviato da Varsavia con il sostegno di Washington, ma immaginato da un think tank americano, si scopre il rovescio delle carte geopolitiche.

L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari (STI) riunisce dodici Paesi dell’Europa centrale e orientale situati tra i mari Baltico, Nero e Adriatico: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia, Slovenia e Austria. Altri quindici partecipanti hanno scelto di aderire ad alcuni progetti, tra cui l’Ucraina. Lo scopo dell’iniziativa è rafforzare la connettività all’interno di quest’area geografica attraverso lo sviluppo di infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e fluviale, infrastrutture energetiche come gasdotti e reti elettriche e infrastrutture digitali. Gli obiettivi dichiarati sono il rafforzamento dello sviluppo economico, la coesione all’interno dell’Unione Europea e i collegamenti transatlantici[6].

 

 

Carte 1

 

L’idea centrale è quella di sviluppare le infrastrutture energetiche e di comunicazione lungo un asse nord-sud, poiché le attuali infrastrutture sono orientate in direzione est-ovest dalla Russia. Questa infrastruttura ereditata storicamente è vista come una dipendenza geopolitica da Mosca, ma promuove anche il dominio economico della Germania dopo l’allargamento dell’UE ai Paesi dell’Europa centrale e orientale. L’Iniziativa dei Tre Mari è stata inaugurata congiuntamente nel 2016 da Polonia e Croazia. Formalizzata in occasione del primo vertice tenutosi a Dubrovnik il 25-26 agosto 2016, un secondo vertice si è tenuto a Varsavia il 6-7 luglio 2017. Il progetto ha iniziato ad attirare l’attenzione di altri membri dell’UE, non da ultimo per la presenza di Donald Trump.

Il presidente austriaco Alexander Von der Bellen ha sottolineato che il progetto ha avuto origine dai think tank americani[7] ed è stato fin dall’inizio attivamente promosso dal think tank atlantista Atlantic Council. Ian Brzezinski, figlio di Zbigniew Brzezinski, sostiene attivamente l’Iniziativa dei Tre Mari come consulente strategico dell’Atlantic Council[8] Una pubblicazione di questo think tank prefigura l’Iniziativa dei Tre Mari in modo molto preciso già nel 2014[9], ossia durante la presidenza Obama. Essa promuove un corridoio di trasporto nord-sud, in linea con gli interessi geopolitici degli Stati Uniti, al fine di garantire la resistenza dei Paesi dell’Europa centrale e orientale alla Russia.

LE ORIGINI GEOPOLITICHE DEL PROGETTO E IL SUO ATTUALE RILANCIO

Le origini dell’Iniziativa dei Tre Mari risalgono a molto tempo fa. La TMI è l’erede delle rappresentazioni geopolitiche polacche emerse dopo la Prima guerra mondiale, più precisamente del progetto Intermarium (traduzione latina di Międzymorze in polacco) del generale Josef Pilsudski. Le idee chiave di questo vecchio progetto sono riemerse nell’attuale configurazione geopolitica. Poiché la Polonia era stata fatta a pezzi più volte nel corso della sua storia a vantaggio dell’Impero tedesco e della Russia, il generale Pilsudski cercò, già negli anni Venti, di promuovere un’Europa centrale e orientale al riparo dagli appetiti geopolitici dei suoi vicini, creando una federazione di Stati situati tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico – l’Intermarium – per proteggersi dall’URSS e dalla Germania. Il progetto del generale Pilsudski doveva garantire la sopravvivenza della Polonia, ma fu abbandonato alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, l’idea sopravvisse nella diaspora polacca negli Stati Uniti, vicina agli strateghi americani. Questo ha portato a una forte sinergia tra le visioni geopolitiche americane e polacche dalla Guerra Fredda a oggi[10]. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi una rivisitazione polacco-americana dell’Intermarium. Inizialmente, per Varsavia, l’Intermarium mirava a promuovere una terza via tra l’impero russo e quello tedesco. Ma oggi la configurazione geopolitica è diversa perché Polonia e Germania, entrambe membri dell’Alleanza Atlantica, sono ormai alleate. Non c’è quindi più la volontà di formare un’Europa di mezzo indipendente dall’UE e dalla NATO. Oggi il progetto viene proposto con argomenti geoeconomici, come la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e l’egemonia economica e politica tedesca nell’UE. Tuttavia, la posta in gioco geostrategica è molto reale e rimane implicita: dal ritorno della rivalità tra le potenze europee e mondiali – Russia, Stati Uniti, Cina e Stati membri dell’UE – è riemerso il dilemma geopolitico dell’Europa centrale e della sua sicurezza. I Paesi dell’UE dell’Europa centrale e orientale e la NATO sono ora visti come poli geopolitici. Sebbene la configurazione internazionale sia cambiata, la geografia e le costanti geopolitiche rimangono e la percezione che la Polonia ha della propria sicurezza deriva da rappresentazioni storiche che persistono indipendentemente dai governi. La sfiducia di Varsavia nei confronti della Russia ha ricevuto nuovo impulso dalla crisi ucraina del 2014 e i polacchi sono desiderosi di consolidare la propria sicurezza. Ai loro occhi, la coppia franco-tedesca non è considerata del tutto affidabile, in quanto troppo accomodante nei confronti della Russia, e l’UE è troppo divisa per affermarsi. Il progetto mira quindi a svilupparsi in sinergia con l’UE e la NATO. Il primo obiettivo dei polacchi è quello di contenere la Russia, percepita come la principale minaccia, ma anche di bilanciare la Germania, con la quale si sono accumulati disaccordi. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi, per la Polonia, un progetto volto a ridurre la dipendenza da Mosca e a mantenere il legame transatlantico. Per Varsavia e i suoi alleati nella TMI, l’alleanza privilegiata con gli Stati Uniti è ritenuta necessaria per aumentare il loro margine di manovra nell’UE. L’attenzione alla minaccia russa consente alla Polonia di posizionarsi come perno geopolitico regionale sul fianco orientale della NATO. Le viene assicurato il sostegno degli Stati Uniti per diventare il leader regionale dell’UE e della NATO. Varsavia è coinvolta in molti progetti di difesa con gli Stati Uniti[11], un settore in cui l’UE rimane secondaria nonostante i recenti progressi. L’UE è tuttavia un’organizzazione utile per ottenere finanziamenti – fondi strutturali e di coesione – per le infrastrutture[12].12 La diffidenza nei confronti della Germania si è inoltre cristallizzata in seguito alla messa in funzione del gasdotto Nord Stream I[13], inaugurato nel 2001, che rifornisce Berlino di gas russo attraverso il Mar Baltico e che doveva essere raddoppiato dal Nord Stream II. Questo progetto è stato descritto in modo fuorviante da Varsavia come il “secondo patto Molotov-Ribentrop”. Vecchie rappresentazioni storiche sono state riattivate in questa occasione, illustrando la permanenza delle paure storiche dei Paesi dell’Europa centrale nei confronti delle potenze vicine che li hanno sempre dominati.

LA SINERGIA TRA NATO, PARTENARIATO ORIENTALE DELL’UE, PESCO
E L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

I polacchi sono riusciti a far convergere a loro vantaggio le varie iniziative prese a livello europeo, come il Partenariato orientale dell’UE, ma anche il nuovo programma PESCO[14] lanciato da Bruxelles nel campo della difesa. Il loro obiettivo è attrarre il massimo dei finanziamenti europei per le loro priorità. – La componente principale del programma PESCO è il progetto “Mobilità”[15], che mira a potenziare e sviluppare le infrastrutture per migliorare la mobilità delle forze armate della NATO. Questa priorità è anche un obiettivo dei dipartimenti per le infrastrutture della Commissione europea[16], sottolineato nella Dichiarazione congiunta NATO-UE[17]. Il legame tra l’Iniziativa dei Tre Mari e gli interessi dell’Alleanza Atlantica è quindi evidente. Il generale americano Ben Hodges, ex comandante delle forze americane in Europa (EUCOM), ha dichiarato che l’infrastruttura del progetto PESCO corrispondente alle priorità dell’Iniziativa dei Tre Mari – in particolare la Ferrovia Baltica e la Via Carpatia – era una priorità[18]. Il Partenariato orientale dell’UE è stato concepito dai polacchi e promosso con gli svedesi. Nasce dalla dottrina Sikorski, che mira a creare una zona cuscinetto contro la Russia[20]. Pertanto, il Partenariato orientale, l’Iniziativa dei tre mari e il progetto PESCO fanno parte della strategia di sicurezza di Varsavia nei confronti di Mosca. Il desiderio del governo polacco di ospitare una base militare della NATO sul proprio territorio è un’altra prova della coerenza delle intenzioni polacche. Questa convergenza di progetti a livello regionale permette di percepire che la Polonia sfrutta l’Iniziativa dei Tre Mari come strumento di influenza e sviluppo economico, ma anche come strumento per garantire la propria sicurezza. Varsavia si affida anche agli Stati Uniti, impegnati in una manovra a livello europeo – soprattutto per contenere la Germania e mantenere l’UE sotto la propria influenza – ma anche su scala globale nei confronti di Russia e Cina. Esaminiamo questi aspetti.

LA SINERGIA TRA L’INIZIATIVA DEI TRE MARI E IL PROGETTO GEOPOLITICO STATUNITENSE :
LA RIVALITÀ CON RUSSIA E GERMANIA

Se ci riferiamo alla posta in gioco geopolitica su scala globale, l’Iniziativa dei Tre Mari è un progetto che è anche in linea con le priorità geopolitiche degli Stati Uniti. Il loro coinvolgimento nel progetto, fin dal suo inizio, è coerente con la loro manovra strategica nei confronti dell’Eurasia per contrastare Russia e Cina, ma anche con la loro ambizione di diventare un grande esportatore di gas di scisto.

 


Carte 2

 

L’obiettivo prioritario di Washington è infatti il controllo dell’Eurasia. Questa preoccupazione di lunga data viene ora esplicitamente riaffermata per preservare la propria leadership globale e rallentare l’emergere di un mondo multipolare[21]. 21] Con notevole continuità, la strategia degli Stati Uniti è quindi quella di opporsi alla Russia e di allargare il Rimland (secondo la dottrina geopolitica di Spykman), ma anche di frammentare l’Eurasia (secondo la dottrina di Mackinder) e di staccare l’Ucraina dalla Russia (dottrina di Brzezinski). Questa costante geopolitica è stata riaffermata alla fine della Guerra Fredda con la dottrina Wolfowitz (1992). Egli sottolineò che la missione dell’America nell’era post-Guerra Fredda sarebbe stata quella di garantire che nessuna superpotenza rivale emergesse in Europa occidentale, in Asia o nel territorio dell’ex Unione Sovietica[22]. Anche la rappresentazione strategica di Zbigniew Zbrezinski[23] – che pone come obiettivo la frammentazione geopolitica del continente eurasiatico per realizzare una maggiore integrazione degli Stati dell’Europa occidentale nello spazio euro-atlantico su un asse Parigi-Berlino-Kiev – ha avuto un’importante influenza[24] sull’amministrazione statunitense. Questo obiettivo è stato esplicitamente ripreso da Wess Mitchell, assistente segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia presso il Dipartimento di Stato sotto il presidente Donald Trump. Egli sostiene un ulteriore consolidamento degli Stati Uniti nel Rimland europeo[25]. 25] Questa strategia, combinata con quella nella regione indo-pacifica, garantisce che gli Stati Uniti circondino il continente eurasiatico. L’Iniziativa dei Tre Mari si inserisce perfettamente in questa visione ed è uno degli strumenti di Washington. Gli Stati Uniti stanno nuovamente reinvestendo nell’Europa centrale e orientale come parte della loro manovra verso l’Eurasia. La Polonia è il punto di riferimento per gli Stati Uniti per mantenere il proprio dominio sul progetto europeo, ed è per questo che gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzare il peso di Varsavia nell’UE. Anche l’Ucraina era destinata a diventare più importante nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari. In effetti, il collegamento di Kiev con l’Europa occidentale era già nei piani iniziali e conferma il carattere geopolitico di questo progetto. Il ruolo dell’Ucraina è quello di territorio di transito per i corridoi energetici che evitano la Russia attraverso l’asse dell’Asia centrale.

L’intervento russo in Ucraina a partire dal 2023 ha vanificato questi piani, almeno per quanto riguarda l’inclusione di Kiev nel progetto, opzione che rimane dipendente dall’esito del conflitto. È in questo contesto che l’Iniziativa dei Tre Mari è stata sostenuta da Donald Trump durante la sua partecipazione al vertice di Varsavia[26] nel 2017. Il forte sostegno del presidente alla TMI statunitense rientra ovviamente nella rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Russia. Ma è anche legato al desiderio di Washington di esportare il suo gas di scisto, che è diventato un’arma geopolitica per gli Stati Uniti.[27] Questo sostegno può essere compreso anche nel contesto di una rivalità che è diventata esplicita tra Stati Uniti e Germania. La politica “America First!” di Donald Trump – un obiettivo che un tempo era più implicito che esplicito – ha comportato un’intensa pressione politica sulla Germania, dando maggior peso alle critiche della Polonia. Collegando energia e sicurezza[28], Trump ha accusato Berlino di importare gas russo, di aggravare il deficit commerciale degli Stati Uniti e di non contribuire abbastanza finanziariamente alla NATO. Queste pressioni hanno spinto Berlino a importare gas di scisto statunitense e ad aprire un porto per il gas naturale liquefatto (LNG) nel nord della Germania. Tuttavia, Berlino ha continuato a difendere strenuamente il progetto del gasdotto Nord Stream II contro il parere di Washington e Varsavia, fino all’avvio dell’operazione speciale russa nel febbraio 2022.

IL SABOTAGGIO DI WASHINGTON AL NORD STREAM: UN ATTO IN SINERGIA CON GLI OBIETTIVI DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI
DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI

L’arma energetica come strumento geopolitico è particolarmente importante per Washington. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, un’infrastruttura che evitava l’Ucraina ma favoriva la Russia e la Germania, deve essere visto nel contesto dell’attuale conflitto, dove alza la posta in gioco e fa salire la posta in gioco. Lo scoppio del conflitto in Ucraina provocato da Washington e Londra – in particolare a causa del progetto di allargamento della NATO – è stata l’occasione per prendere decisioni radicali per indebolire la Russia e gli Stati europei, in particolare la Germania, ma anche la Francia, allo stesso tempo. Gli Stati Uniti hanno l’ambizione di esportare il loro gas di scisto a scapito delle compagnie energetiche europee coinvolte nell’esplorazione delle risorse in Siberia (Russia) e nel progetto del gasdotto Nord-Stream II. Fin dall’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina, gli Stati Uniti hanno fatto pressione sugli alleati della NATO affinché bloccassero le importazioni di gas dalla Russia attraverso i gasdotti Nord Stream, ma non quelle attraverso i gasdotti che attraversano l’Ucraina, per dare risorse e leva a Kiev. Washington ha ottenuto questo risultato e il sabotaggio del Nord Stream nel settembre 2022 le ha permesso di assicurarsi questo guadagno, chiarendo alla Germania e ai suoi partner che non ci sarebbe stato alcun problema a utilizzare questi gasdotti una volta terminato il conflitto, poiché la Russia ha pianificato di ripararli[29], gli Stati Uniti costringono così gli europei a un radicale riorientamento geopolitico in direzione degli obiettivi dell’Iniziativa dei Tre Mari, che mira in ultima analisi a staccare la Russia dall’Europa occidentale riorientando le infrastrutture energetiche e di trasporto e rendendole più dipendenti dal gas di scisto americano. L’Unione Europea è così ridotta al rango di zona cuscinetto nella manovra americana in Eurasia, di cui sta diventando una periferia sempre più divisa e strumentalizzata da Washington.

COSTRINGERE LA GERMANIA A SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE E A STACCARSI DALLA RUSSIA

Vale la pena sottolineare la posizione di Berlino nel progetto. Oggi la Germania è una potenza centrale che persegue la sua espansione verso i Paesi dei Balcani, dell’Europa orientale e delle repubbliche dell’ex URSS (Ostmitteleuropa). L’ideologia che sta alla base di questa espansione è diversa da quella pangermanista della vigilia della Prima guerra mondiale, in quanto viene ora portata avanti in nome dell'”occidentalizzazione” e dell'”europeizzazione” del suo fianco orientale, da cui la crescente rivalità geopolitica con la Russia. Ma se l’ideologia cambia, i tropismi geografici restano. Da un punto di vista geopolitico, la Germania cerca di portare i Paesi dell’Europa centrale e orientale – compresa l’Ucraina – nello spazio euro-atlantico. Il sostegno degli Stati Uniti all’Iniziativa dei Tre Mari, nel contesto di crescenti disaccordi con Donald Trump, ha indubbiamente spinto Berlino a partecipare al TMI per evitare che diventi troppo antitedesco e per contrastare la politica statunitense di sostegno alle iniziative della Polonia. I governi tedeschi che si sono succeduti stanno quindi perseguendo la costruzione di una zona cuscinetto a est, di fronte alla Russia, attraverso il Partenariato orientale dell’UE, che il GTI completa.

Dal punto di vista economico, la Germania conta anche sull’apertura dei mercati dei Paesi del Partenariato orientale, in particolare dell’Ucraina. Berlino si considera responsabile della traiettoria geopolitica di questo Paese e utilizza la narrativa euro-atlantica per raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia, fino allo scoppio dell’offensiva russa, la Germania riteneva di aver bisogno del gas e del petrolio russo per mantenere il suo status di potenza economica. Tuttavia, rimane ancora sotto la protezione militare degli Stati Uniti, con l’ombrello nucleare statunitense come ultima difesa del territorio tedesco. Il sostegno al progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari e l’accettazione delle importazioni di gas di scisto dagli Stati Uniti sono stati probabilmente visti da Berlino come il prezzo da pagare per preservare il Nord Stream II e la sua posizione di potenza centrale nell’UE, stando attenta a contenere l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti verso Mosca[30]. Tuttavia, il sostegno della Germania all’ITM non ha cancellato la sfiducia di Varsavia nei confronti di Berlino, molto pronunciata negli ambienti conservatori e filoamericani[31] in Polonia e nella diaspora statunitense. Varsavia si trova quindi di fronte al dilemma di mantenere la presa sull’Iniziativa dei Tre Mari, ma allo stesso tempo di attrarre i finanziamenti dell’UE con il sostegno tedesco.

Con l’aggravarsi della crisi ucraina nel 2022, Washington ha deciso che non avrebbe più tollerato l’equilibrismo tedesco di combinare un’alleanza strategica con la NATO e un’alleanza energetica con la Russia. Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti costringe Berlino a scegliere definitivamente il campo occidentale contro la Russia e ad abbandonare la politica di equilibrio a favore dell’egemonia geostrategica e geoeconomica americana.

Il dominio indiviso di Washington è reso possibile anche dall’incapacità di francesi e tedeschi di trovare un accordo su un’architettura di sicurezza europea che dia all’UE una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, come sulle questioni energetiche in cui rimangono rivali. La decisione della Germania di abbandonare l’energia nucleare e di affidarsi pesantemente alle importazioni di gas russo, senza consultarsi con la Francia, spiega probabilmente la mancata reazione di Parigi al sabotaggio americano, secondo un sentimento di schadenfreude (“gioire delle disgrazie altrui”), anche se anche gli interessi di Parigi sono colpiti. Anche il campo atlantista francese, che aveva sempre temuto l’asse russo-tedesco, si è rafforzato. La rivalità geopolitica franco-tedesca è una falla del progetto europeo che gli americani hanno sempre sfruttato per indebolirlo e orientarlo a proprio vantaggio.

IL SUCCESSO DELLA STRATEGIA AMERICANA E LO SPOSTAMENTO DEL BARICENTRO DELL’UE

Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti rientra nella strategia geopolitica di frammentare il vecchio continente per silurare qualsiasi accordo europeo – ma anche eurasiatico – e la costituzione di un asse Parigi-Berlino-Mosca. Inoltre, Washington è determinata a continuare il suo accerchiamento dell’Eurasia contro la Russia e la Cina, al fine di preservare la sua supremazia in Europa e nel mondo. L’Iniziativa dei Tre Mari è uno degli strumenti di questa strategia. In questo contesto, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream è un atto di guerra contro la Russia, ma anche contro la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, e un attacco alla loro sovranità. È un atto di ostilità contro l’idea di un progetto europeo indipendente che includa la Russia, secondo la visione gollista di un'”Europa europea” che si oppone all'”Europa americana”.

L’UE è l’ultima area del mondo in cui gli Stati Uniti possono ancora esercitare la loro egemonia senza alcun ostacolo reale. Ma a lungo termine possono mantenere la pressione sulla classe politica del vecchio continente solo terrorizzando gli europei con atti come il sabotaggio dei gasdotti. La politica di Washington, dettata da ideologi neoconservatori spinti a preservare la supremazia americana a tutti i costi, rappresenta una grave minaccia geopolitica per le nazioni europee, in particolare per Francia e Germania. La loro mancanza di reazione si spiega con l’asservimento geopolitico dei loro governi, la cui legittimità si basa unicamente sull’appartenenza al campo atlantista sotto la guida di Washington, a cui hanno giurato fedeltà, e non più sui loro popoli, che sono incapaci di proteggere. Parigi e Berlino sono così impegnate in una corsa a perdifiato che le pone in una situazione di cobelligeranza con la Russia, a tutto vantaggio degli interessi americani e del loro strumento, il regime di Kiev. Le conseguenze prevedibili per gli europei sono una nuova crisi economica, una deindustrializzazione a vantaggio degli Stati Uniti, un abbassamento del tenore di vita e una destabilizzazione duratura del continente attraverso un conflitto militare che potrebbe portare a una terza guerra mondiale.

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari, che attrae sempre più investimenti dall’UE e dalla Germania, sta spostando il baricentro geopolitico dell’Unione Europea verso est. Il consolidamento della Germania in una posizione centrale e la conferma di una spaccatura tra la Russia e un’UE dominata dalle priorità tedesche e polacche, sostenute dagli Stati Uniti, rafforzeranno gli squilibri geopolitici in Europa. Tale sviluppo va a scapito dell’asse franco-tedesco e aggrava la rivalità con la Russia. Tuttavia, il possibile indebolimento economico della Germania – il cui accesso al gas e al petrolio russo a basso costo è ora più limitato – potrebbe ridurre il suo vantaggio geopolitico.

Dopo la riunificazione tedesca e l’allargamento dell’UE in Europa centrale e orientale, sta emergendo una nuova rivalità geopolitica tra Germania e Francia[32]. 32] In effetti, il rafforzamento dello status di potenza centrale della Germania contraddice il progetto d’avanguardia franco-tedesco e il progetto di un’Europa a più cerchi difeso dalla Francia. In passato, Parigi ha cercato di riequilibrare l’UE verso il Mediterraneo per contrastare lo spostamento del suo baricentro geopolitico verso est, provocando a sua volta iniziative come il Partenariato orientale[33] .

La crisi economica può rallentare l’ascesa dell’Iniziativa dei Tre Mari, ma se i flussi energetici dalla Russia si prosciugheranno, il suo obiettivo geopolitico sarà raggiunto. Il suo consolidamento si tradurrà in una politica di compensazione nei confronti della Francia, come è stata praticata dopo la riunificazione tedesca? Secondo i piani di Washington, l’ITM dovrebbe consentire di trasformare gli Stati membri dell’UE in “Stati di facciata” contro la Russia, perché l’Europa sarebbe tagliata fuori dal suo spazio orientale, come durante la Guerra Fredda, il che le impedirebbe di condurre una politica di equilibrio.

Berlino e Parigi oseranno mai reagire al sabotaggio dei gasdotti? La Francia sfiderà finalmente la corsa a capofitto dell’UE verso est? Per quanto riguarda l’Iniziativa dei Tre Mari, non c’è motivo per Parigi di partecipare, attraverso l’UE, al finanziamento di un progetto che porta alla sua emarginazione geopolitica. Se la costruzione di infrastrutture tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale è legittima, l’interruzione dei flussi in direzione est-ovest deve essere evitata. È nell’interesse della Francia che gli Stati che partecipano alla GTI si pongano come ponti tra la Russia e l’UE, come l’Ungheria, e non come un sottoinsieme ferocemente opposto a Mosca, che frattura l’Europa.

Nel 2014, la Russia aveva offerto all’Ucraina di aderire al suo progetto di Unione eurasiatica, ma il colpo di Stato a Kiev ha riorientato il Paese verso lo spazio euro-atlantico e un accordo di libero scambio con l’UE. La Russia ha poi sviluppato nel 2016 il progetto della Grande Eurasia, che non era chiuso alla partecipazione dell’UE perché la sua visione era quella di una convergenza di interessi geopolitici comuni a tutto il continente[34]. L’Iniziativa dei Tre Mari, che tende a favorire le relazioni Nord-Sud, è in contraddizione con la visione Est-Ovest che la Russia cerca di mantenere. Dal febbraio 2022 si è diffusa l’isteria di una minaccia russa, che in realtà non esiste per i membri della NATO[35], anche se il conflitto attuale è dovuto principalmente alla mancata considerazione degli interessi di sicurezza della Russia. Mosca reagisce in base alle proprie percezioni, che derivano dal senso di accerchiamento da parte della NATO a causa del suo allargamento, dell’installazione di basi statunitensi in Europa orientale e del nuovo progetto di difesa missilistica. Le crisi georgiana (2008) e ucraina si inseriscono in questo contesto[36].

È necessario un migliore equilibrio geopolitico in Europa per evitare l’egemonia di Washington, che trascina la Francia e gli europei in conflitti contro la Russia e la Cina, a scapito dei loro interessi e ad esclusivo vantaggio dei neoconservatori di Washington e delle burocrazie allineate della NATO e dell’UE. Un confronto a lungo termine con Mosca deve essere evitato, in quanto si ripercuoterebbe su tutta l’Europa e sulla sua vicinanza geografica.

Al termine dell’attuale conflitto, la politica migliore per la Francia sarebbe quella di affermarsi come potenza equilibratrice attraverso un riavvicinamento franco-russo per controbilanciare l’asse euro-atlantico sotto l’egemonia americana. Praticare l’equilibrio non è neutralità, ma permette di controbilanciare il polo troppo dominante con un altro. Sarebbe saggio per la Francia e gli Stati aperti a una ripresa delle relazioni con la Russia – Italia, Spagna, Grecia, Cipro, ma anche Ungheria e Croazia, e auspicabilmente la Germania, se si stacca dalle sue illusioni atlantiste – promuovere un nuovo equilibrio più favorevole ai loro interessi.

Se Mosca rimane in conflitto con quello che chiama “Occidente collettivo”, la cooperazione con i Paesi occidentali – quelli dell’era della Guerra Fredda – rimarrà comunque rilevante, secondo il Cremlino. 37] Su scala globale, la sfida per gli europei è evitare un possibile condominio americano-cinese e la Russia può giocare un ruolo importante in questa prospettiva. Una nuova architettura di sicurezza europea, spesso citata ma mai attuata, che includa la Russia e l’Ucraina, rimane la condizione non solo per la pace in Europa, ma anche per il rilancio del progetto europeo verso un’Europa di nazioni sovrane, alleate e interdipendenti su scala continentale.

 


 

[1] https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

[2] https://www.nytimes.com/2023/03/07/us/politics/nord-stream-pipeline-sabotage-ukraine.html

[3] https://www.reuters.com/world/europe/zelenskiy-aide-kyiv-absolutely-not-involved-nord-stream-attack-2023-03-07/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=k93WTecbbks

[5] https://www.epochtimes.fr/la-suede-quitte-lenquete-conjointe-sur-la-fuite-du-nord-stream-et-refuse-de-partager-ses-conclusions-invoquant-la-securite-nationale-2135764.html

[6] « The overarching pillars of the Three Seas Initiative are threefold – economic development, European cohesion and transatlantic ties. The changing nature of global environment calls for their strengthening in order to be able to face new challenges and overcome dynamic threats.

Firstly, the Initiative seeks to contribute to the economic development of the Central and Eastern Europe through infrastructure connectivity, mainly, but not only on the North-South axis, in three main fields – transport, energy and digital.

The second objective is to increase real convergence among EU Member States, thereby contributing to enhanced unity and cohesion within the EU. This allows avoiding artificial East-West divides and further stimulate EU integration.

Thirdly, the Initiative is intended to contribute to the strengthening of transatlantic ties. The US economic presence in the region provides a catalyst for an enhanced transatlantic partnership. » (https://www.three.si/2019-summit).

[7] https://www.bundespraesident.at/aktuelles/detail/drei-meere-initiative-2018

[8] http://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/the-three-seas-summit-a-step-toward-realizing-the-vision-of-a-europe-whole-free-and-at-peace

[9] http://www.atlanticcouncil.org/images/publications/Completing-Europe_web.pdf

[10] Laruelle Marlène, Riviera Ellen, Imagined Geographies of Central and Eastern Europe: The Concept of Intermarium, Institute for Russian European, and Eurasian studies, The Georges Washington University, IERES Occasional Papers, March 2019 (https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/laruelle-rivera-ieres_papers_march_2019_1.pdf).

[11] Montgrenier Jean-Sylvestre, Dubois-Grasset Jeanne, La Pologne, acteur géostratégique émergent et puissance européenne, http://institut-thomas-more.org/2018/06/30/la-pologne-acteur-geostrategique-emergent-et-puissance-europeenne/

[12] https://www.ft.com/content/2e328cba-c8be-11e8-86e6-19f5b7134d1c

[13] https://www.ft.com/content/eb1ebca8-9514-11e5-ac15-0f7f7945adba

[14] « Permanent Structured Cooperation ». Ce projet a pour objectif de rendre la politique de sécurité et de défense européenne plus contraignante. Les États membres s’engagent à mettre en œuvre ensemble des projets de défense sélectionnés.

[15] https://www.consilium.europa.eu/media/32079/pesco-overview-of-first-collaborative-of-projects-for-press.pdf

[16] https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/news/2018-03-28-action-plan-military-mobility_en

[17] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2016/07/08/eu-nato-joint-declaration/

[18] https://biznesalert.pl/hodges-centralny-port-komunikacyjny-mobilnosc-nato/

[19] https://www.politico.eu/article/dont-put-us-bases-in-poland/

[20] https://wikileaks.org/plusd/cables/08WARSAW1409_a.html

[21] Foucher Michel, La bataille des cartes, Analyse critique des visions du monde, Françoise Bourin, 2011.

[22] https://www.nytimes.com/1992/03/08/world/us-strategy-plan-calls-for-insuring-no-rivals-develop.html

[23] Brzezinski Zbigniew, The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives, Basic Books, 1997.

[24] Justin Vaïsse, Zbigniew Brzezinski, stratège de l’empire, Odile Jacob, 2016.

[25] Selon Mitchell, l’objectif des Etats-Unis est d’éviter la domination des masses eurasiennes par des puissances hostiles. Ainsi, il précise que « lors de trois guerres mondiales, deux chaudes et une froide, nous avons aidé à unifier l’Occident démocratique pour empêcher nos opposants brutaux de dominer l’Europe et le Rimland à l’ouest de l’Eurasie »[25]. Sans surprise, la Russie et la Chine sont désignées comme les adversaires stratégiques des Etats-Unis alors que la Guerre froide est terminée depuis plus d’un quart de siècle, car ils « contestent la suprématie des USA et leur leadership au XXIe siècle.» On retrouve donc avec constance l’objectif des Etats-Unis de contrôler l’Eurasie afin d’empêcher un rival géopolitique d’y émerger à nouveau et de relativiser leur propre puissance mondiale (https://ee.usembassy.gov/a-s-mitchells-speec).

[26]  Le Président Donald Trump a déclaré lors du sommet de l’Initiative des trois mers le 6 juillet 2017 à Varsovie que « L’Initiative des Trois Mers transformera et reconstruira l’ensemble de la région et veillera à ce que vos infrastructures, tout comme votre engagement en faveur de la liberté et l’état de droit, vous lient à toute l’Europe et, en fait, à l’Occident. (…) L’Initiative des trois mers permettra non seulement à vos peuples de prospérer, mais aussi à vos nations de rester souveraines, sûres et libres de toute coercition étrangère. Les nations libres d’Europe sont plus fortes et l’Occident l’est aussi. Les États-Unis sont fiers de constater qu’ils aident déjà les pays des trois mers à atteindre la diversification énergétique dont ils ont tant besoin. L’Amérique sera un partenaire fiable et sûr dans la production de ressources et de technologies énergétiques de haute qualité et à faible coût. »

[27] Le Financial Times a souligné que « Donald Trump est en train d’opérer un changement radical dans la politique énergétique américaine en utilisant les exportations de gaz naturel comme un instrument de politique commerciale, en se faisant le champion des ventes à la Chine et à d’autres régions d’Asie dans le but de créer des emplois et de réduire les déficits commerciaux américains. Dans une tentative de libérer les ressources énergétiques américaines, M. Trump essaie de promouvoir davantage d’exportations de gaz naturel liquéfié et pas seulement d’utiliser le GNL comme une arme géopolitique visant des nations telles que la Russie, comme c’était la position de son prédécesseur Barack Obama. ». « Trump looks to lift LNG exports in US trade shift », Financial Times, June 22, 2017 (https://www.ft.com/content/c5c1958c-5761-11e7-80b6-9bfa4c1f83d2).

[28]https://www.euractiv.com/section/energy/news/kremlin-accuses-trump-of-trying-to-bully-europe-into-buying-us-lng/

[29] https://www.lalibre.be/economie/conjoncture/2022/10/14/nord-stream-une-grande-section-du-tuyau-doit-etre-coupee-et-remplacee-G6ROQC3BGZF4RLFWETGX7NQ6Q4/

[30] Les sanctions allemandes contre la Russie étaient toujours calibrées afin de ne pas mettre en danger les intérêts fondamentaux de sa puissance économique, tout en satisfaisant les Etats-Unis mais aussi les pays d’Europe centrale et orientale, méfiants vis-à-vis de Moscou. Il s’agissait à la fois d’une politique d’équilibre, de réassurance, et d’endiguement de la Russie sur le plan géostratégique.

[31] https://www.tysol.pl/a23593-Najnowszy-numer-%E2%80%9ETygodnika-Solidarnosc%E2%80%9D-Po-co-Niemcom-Trojmorze-

[32] Thomann Pierre-Emmanuel, Le couple, franco-allemand et le projet européen, représentations géopolitiques, unité et rivalités, L’Harmattan, Paris, 2015.

[33] Le partenariat oriental avait été promu par la Pologne et la Suède pour contrer le tropisme euro-méditerranéen de la France, dans le contexte de la crise provoquée par le projet d’Union méditerranéenne de Nicolas Sarkozy en 2007/2008. L’Allemagne a toujours soutenu le partenariat oriental, mais en agissant dans les coulisses de l’Union européenne. Berlin a bloqué le projet d’Union méditerranéenne de la France pour éviter une division de l’UE et contrer l’émergence de Paris comme chef de file des pays méditerranéens en contrepoids de l’Europe allemande, afin d’éviter une fragmentation de l’Europe en alliances variables, et maintenir la France et les pays du sud de l’Europe dans le giron de l’UE.

[34] Glaser Kukartseva, M. et Thomann, P.-E., “The concept of “Greater Eurasia”: The Russian “turn to the East” and its consequences for the European Union from the geopolitical angle of analysis”, Journal of Eurasian Studies13(1), 3-15, 2022, (https://doi.org/10.1177/18793665211034183).

[35] Aucun État membre de l’OTAN protégé par l’article V n’a pourtant eu de différend militaire avec la Russie.

[36] Thomann Pierre-Emmanuel, « Guerre Russie-Géorgie : première guerre du monde multipolaire », Défense nationale, n°10, octobre 2008 (http://www.ieri.be/fr/node/329).

[37] Vladimir Putin Meets with Members of the Valdai Discussion Club. Transcript of the Plenary Session of the 19th Annual Meeting, october 27, 2022

https://valdaiclub.com/events/posts/articles/vladimir-putin-meets-with-members-of-the-valdai-club/

https://cf2r.org/tribune/sabotage-de-nord-stream-un-acte-de-guerre-contre-la-russie-et-leurope-dans-linteret-de-washington-et-de-linitiative-des-trois-mers/?fbclid=IwAR3FBpQos8PBHZ4c_XXbMi4jE30ZDTTD00jGgXv6DZEJuXWF5Haq6Kj7yqc

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PRUSSIA (note storiche*)_Conclusione, di Daniele Lanza

PRUSSIA (note storiche*) – cap. 4 di 5
(provocato dall’iniziativa polacca in merito a Kaliningrad, ripropongo questa serie sulla storia della regione che la ospita).
Dalla rovina alla signoria*.
Nelle corti dei signori d’Italia ci si perde, si fluttua, nella narrazione sognante che un oramai stanco figlio di Venezia fa del remoto oriente e dei suoi maestosi Khan, scritta mentre ancora si trovava nelle carceri di Genova. Visioni, quelle di Polo, che tuttavia impallidiscono, si miniaturizzano di fronte all’ambizione di un contemporaneo e ramingo Alighieri il cui viaggio di natura metafisica, si propone addirittura di traghettare la coscienza umana dalla dimensione dell’averno fino al firmamento.
Nel medesimo anno in cui il nostro Dante inizia a mostrare parte della sua opera (?), i suoi ascoltori rapiti dalla visione dell’inframondo probabilmente del tutto ignorano cosa sta accadendo materialmente a quasi 1000 miglia nord delle loro teste ; l’area di Gdansk (Danzica) è letteralmente strappata ai polacchi ed incorporata nello stato teutonico sorto solo una generazione prima : è un autunno dell’anno del Signore 1308.
……….ed e’ l’inizio ufficiale di una collisione tra i due elementi (slavo polacco e germanico/prussiano) che sopravviverà in quanto resta del millennio in corso….generazione dopo generazione, stato dopo stato, secolo dopo secolo…in qualsiasi nuova incarnazione che la storia offra.
A parte tale elemento cardine, occorre dire che nella medesima manciata di anni le coste del Baltico vedevano definitivamente affermato il nuovo, piccolo potentato monastico : laddove sulle mappe del secolo precedente si tratteggiava un confuso ensamble di tribù pagane, ora vi era saldamente insediato quest’ordine guerriero, sotto il comando del gran maestro. Minuscolo, ma energico ed organizzato, il piccolo stato gode ormai di una solida base grazie alle quali si schiudono prospettive di ulteriori marce verso est : tutto il 14° sec. vede successi o quantomeno un costante progresso che determina il bilancio positivo di un’intero secolo. L’ordine colonizza o semplicemente acquista (come nel caso dell’Estonia, dal re di Danimarca) i territori di cui ha bisogno estendendosi per quasi tutta la costa Baltica : suo alleato naturale per origine germanica e attitudine è la LEGA ANSEATICA che consente loro un buon utilizzo dei mari a disposizione.
Lo stato monastico dell’ordine teutonico guadagna il proprio zenit giusto all’alba del 15° secolo…..che invece, ahimè ne testimonia la rovina.
Svariate sono le tappe e i nodi di questo tormentato secolo, ricordiamo lo schema fondamentale almeno : i teutonici per forze di cose sono oramai in conflitto costante e aperto sia contro la Lituania a nord-est che contro la Polonia a sud. ENTRAMBI sono duri opponenti, ma nel momento in cui si uniscono (1386, unione delle corone, sotto Jogailas) ne emerge un ostacolo formidabile che sappiamo essere….il regno lituano/polacco.
Gli eserciti uniti di Lituania e Polonia (politicamente aggregate l’un l’altra ancora da poco), annientano la forza militare teutonica nel 1410 a Grunwald (Tannenberg nella narrativa germanica) : la sconfitta è schiacciante e segna l’inizio di un rapido declino per l’ordine.
Seguiranno una rivolta 30 anni più tardi in seno ai territori teutonici, da parte di cittadini e mercanti che non sopportano più il dominio dell’ordine (“confederazione prussiana” , 1440,…che insidiosamente inizia a scollare l’identità prussiana dal controllo dell’ordine teutonico) e domandano aiuto allo stesso re di Polonia facendo degenerare il tutto in una seconda guerra tra lituano polacchi e teutonici dagli esiti ancor più catastrofici della precedente.
In sintesi occorre ricordare due date : la pace di Thorn (1411) a seguito di Tannenberg, e quindi nel medesimo luogo la SECONDA (1466).
Gli “armistizi” di Thorn (o Torun), a distanza di un cinquantennio l’uno dall’altro, non costituiscono l’esito di semplici sconfitte militari, bensì tappe dell’evoluzione geostrategica nel Baltico del secolo : lo stato teutonico rne risulta geopoliticamente sconfitto e QUASI annullato.
All’anno in cui i fratelli de Medici a Firenze prendevano il loro posto……lo stato teutonico era ridotto ai minimi termini : persa ogni conquista lungo il Baltico, e quasi persa anche la propria base in Prussia (per metà direttamente incorporata dal regno di Polonia) e l’altra metà formalmente ancora teutonica, ma come potentato vassallo dei monarchi polacchi.
Se un Cristoforo Colombo alla partenza per l’gnoto ne avesse sentito parlare, gli sarebbe stato riferito dei “teutonici” come anonimo territorio cliente del re di Polonia.
Tuttavia……..sopra ho scritto QUASI annullato (e si vedrà).
PRUSSIA (note storiche*) – cap. 5 di 5
(provocato dall’iniziativa polacca in merito a Kaliningrad, ripropongo questa serie sulla storia della regione che la ospita).
Dalla rovina alla signoria* – B
Trecento tondi (più o meno).
Sì, sono passati 300 anni dai giorni in cui Hermann Von Salza, grande maestro dell’ordine (con bolle papali ed imperiali alla mano), iniziava la sua pacificazione della regione dimenticata da Dio. In un sessantennio il luogo viene civilizzato tanto quanto lo furono le Gallie dalla romanità. Seguono un paio di secoli di alti e bassi : dopo un 14° sec. ruggente (lo stato teutonico pare lo scolaro più brillante della classe) le rovine del 15° e il quasi annullamento.
Dove eravamo rimasti ? Proprio lì. Il tardo medioevo vede la disfatta di lungo termine dell’ordine teutonico il cui territorio rischia di essere fagocitato definitivamente dai potenti re di Polonia. Che fine deludente……da giocatore interessante negli equilibri del Baltico medievale a potentato vassallo : la Prussia occidentale è stata semplicemente ANNESSA alla Polonia (conla denominazione di “Prussia reale” ovvero controllo diretto da parte della corona di Polonia), mentre la Prussia orientale sopravvive formalmente teutonica , ma come stato cliente della monarchia polacca.
Codesta la situazione che tal Albert di Ansbach, 37° grande maestro dell’ordine, si ritrova innanzi.
Eppure proprio costui, divenuto a 21 anni grande maestro per prematura scomparsa del predecessore, è destinato a porre le primissime basi della rinascita prussiana nell’età post medievale. Un naturale riformatore dello stato di cose, senza attitudine sostanziale per le armi, è oggi considerato da parte della storiografia tedesca come il padre della nazione prussiana moderna…..la sua radice ultima. Attenzione, la cosa non si farà dall’oggi al domani, ma con tempi storici, passo a passo…la Prussia si rigenera al ritmo di passi di formica (almeno inizialmente).
Dato che di note storiche sintetiche si parla, ricordiamoci amici miei solo alcune cose (ma vitali), del nostro Albert :
egli è de facto l’ULTIMO grande maestro dell’ordine, poichè lo scioglie al momento della sua elezione a DUCA su concessione del re di Polonia (tra l’altro suo zio). Con questo gesto, Albert (“Von Preussen” da ora in avanti), si libera dell’ormai inutile fardello medievale per aggiornare il proprio potentato secondo i canoni del nuovo secolo.
Un “upgrade” di rilievo, come si direbbe nel linguaggio informatico di oggi nel farsi della statualità prussiana. Alberto, dall’anno 1525, è Duca di Prussia mettendo fine all’immutabile successione che continuava dai tempi di Von Salza : quest’ultimo è l’inizio, mentre Albert di Prussia è la conclusione (ma anche nuovo inizio).
Parallelamente (seconda cosa), dopo svariati incontri col contemporaneo Lutero, si converte alla di lui riforma. Il neo duca diventa luterano e , fatalmente assieme a lui, anche la popolazione del suo dominio in breve tempo.
Ne abbiamo una trasformazione notevolissima : nel giro di una manciata di anni lo stato monastico teutonico fedele a Roma si evolve in signoria secolarizzata e pergiunta di fede protestante. Al tempo tutto questo non dovette sembrare molto più che non il desiderio di un titolo (e qualche eccentricità spirituale) da parte di Albert….invece sono stati messi i primi semi di una nuova politogenesi (forse anche etnogenesi)….la mossa del luteranesimo se anche non vista in ottica troppo politica sul momento, sul lungo termine poneva silenziosamente un ostacolo all’assorbimento eventuale futuro della regione nel corpo cattolico della Polonia.
Attenzione : in questa fase tale ducato di Prussia non è ancora indipendente, permanendo lo status di vassallo di Polonia. La Prussia ducale (come i manuali più attenti sottolineano) è ancora formalmente sotto la Polonia sebbene NON si tratti di annessione vera e propria come nel caso della Prussia occidentale. Il duca di Prussia ha tuttavia ampia autonomia come fosse uno stato nello stato e per tutta la durata del suo lungo regno (fino al 1568) lo rafforza dedicandosi più alla cultura che non alla guerra : sotto di lui è fondata l’università “Albertina” che concepisce come rivale protestante dell’istruzione rispetto al cattolico ateneo di Cracovia.
Alla sua morte il ducato è pienamente affermato e si è rivelato essere uno dei centri più fiorenti del protestantesimo sul continente.
40 anni dopo l morte di Alberto di Prussia abbiamo un’altra tappa della marcia di Prussia, che si chiama BRANDEBURGO (o meglio, Hohenzollern) : giusto alle soglie della guerra dei 30 anni, il ducato di Prussia entra in unione personale con i signori del margraviato di Brandeburgo..
Il “Margraviato” , uno dei numerosi territori formalmente ancora parte di quel dinosauro chiamato “Impero”, stato elettore, trovandosi in unione di corone con una Prussia orientale che nemmeno vi confina….suscitava perplessità.
Un potentato dinastico (normale per l’epoca) Prussia-Brandeburgo, sulla carta di discreto potenziale, ma geograficamente diviso e soprattutto…..nessuna delle due parti (soprattutto la Prussia) dotato di indipendenza politica.
Occorre aspettare la fine della guerra dei 30 anni (che abbatte metà degli abitanti del Brandeburgo inoltre).
Concludiamo nel prossimo numero che è durata anche troppo..
Conclusione.*
Ci siamo….l’Hohenzollern è sovrano di Prussia (e Brandeburgo), anche se tale potere è minato A) discontinuità geografica B) non indipendenza della Prussia.
In pratica è sovrano di territori NON sovrani. Occorre aspettare dunque…aspettare un momento storico di debolezza del maggiore attore dell’Europa centro-orientale (regno lituano/polacco) che infine…..arriva.
Gli Hohenzollern sono al potere da oltre una generazione (attraversano perigliosamente tutta la guerra dei 30 anni contemporanea), quando la Polonia incontra il primo VERO momento di difficoltà : dopo uno zenit nella prima metà del secolo 17°, accade l’impensabile il disastro. Una congiuntura geopolitica del tutto sfavorevole ed intricata che porta addirittura all’invasione dei territori polacchi da parte della Svezia (allora potenza emergente) : lo zarato di Russia sotto Alessio I coglie l’occasione al volo e dichiara guerra al regno lituano/polacco che si trova stretto tra due fronti in mezzo a gravi difficoltà.
Sono gli anni del “DILUVIO” come dicono le storiografie….ovvero la grande crisi polacca (che, come visto, porterà a perdere parte dell’Ucraina cosacca a beneficio dello zarato che la incorpora)
E’ il momento.
In questo marasma il ducato di Prussia muovendosi come stato indipendente firma un’alleanza col monarca di SVEZIA, che può peggiorare di molto la situazione polacca : il re di Polonia pertanto tampona disperatamente la situazione con una controfferta che non si può rifiutare : indipendenza per il ducato di Prussia in cambio dell’annullamento del trattato con la Svezia (!!!).
L’accordo si fa e dalla metà del 1600 il ducato degli Hohenzollern è uno stato sovrano : a questo si aggiungono diverse conquiste territoriali realizzate tra il 1650-1700 (principalmente la Pomerania che come un braccio di costa baltica si protende dal Brandeburgo fin verso la Prussia orientale, diminuendo di molto la distanza che li separa).
In pratica dopo circa 200 anni dalla disfatta dello stato monastico teutonico esiste nuovamente un’entità prussiana indipendente, chiaramente su altre fondamenta politico culturali, benchè con una sostanziale continuità storica col passato (il 37° maestro Albert fattosi duca).
Benchè la capitale tecnicamente sia ancora Konigsberg, pian piano il centro decisionale si sposta verso Berlino-Potsdam dove rimarrà poi permanentemente.
A seguito di questo quarentennio vittorioso e campale sussistono le basi materiali per poter pretendere un ulteriore promozione nella scala gerarchica dell’era dinastica : il titolo di regno. Quest’ultimo anche viene conseguito grazie ad un’astuta scelta di campo (la Prussia si schiera contro la Francia di Luigi XIV ed in cambio, l’anno stesso, il sacro romano impero concede l’elevazione a rango di “regno” per lo stato degli Hohenzollern) : nel 1701 nasce ufficialmente il regno di Prussia.
Mi fermo qui per forza di svariate cose : la mia crescente stanchezza fa gradualmente affievolire la qualità degli interventi, che d’accordo sono già di per sè elementari, ma rischiano di divenire anche poco interessanti. In secondo luogo…..da questo punto in poi la storia della Prussia esula quella della regione fisica da cui siamo partiti : “Prussia” da ora in avanti non sta più ad indicare la striscia di terra attorno a Konigsberg, ma qualcosa di molto più ampio….il meme prussiano si è esteso materialmente e spiritualmente andando ad indicare un attore nell’arena internazionale dotato di notevoli possibilità e capacità di espansione nel mondo imprevedibili (si arriverà fino all’Africa orientale tedesca nel 1885).
La prussianità ha preso il volo, si è fatta spirito per dire, e può quindi anche trascendere il proprio nucleo geografico di partenza, anzi dovrà per forza un po uscire fuori di sè proiettandosi verso mete più ambiziose che vanno dal proprio inserimento in qualità di centro regolatore, in una coscienza pan-tedesca in formazione……….fino alla “conquista del mondo” (non sarà necessario andare fino a Konigsberg per trovare tale spirito è sufficiente l’aria che circola ad Unter den Linden, a Berlino).
Konigsberg rimarrà gioiello di prestigio elegante e retrò. Custode discreta di antichi segreti, non più capitale di stato sovrano, ma depositaria della tradizione. Cellula madre.
Mi piacerebbe un’analogia con Torino….anche se di distinzioni ve ne sono un po’.

Trittico da Russian Today_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto i tre articoli di riferimento del testo di Andrew Korybko pubblicato sabato 13 maggio. Buona lettura, Giuseppe Germinario

http://italiaeilmondo.com/2023/05/13/e-prematuro-concludere-che-la-polonia-abbia-sostituito-il-ruolo-della-germania-nella-guida-della-politica-estera-dellue_di-andrew-korybko/

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Andrey Sushentsov: come i “nuovi” membri orientali dell’UE hanno preso il controllo del blocco

Un’espansione mal concepita è costata alla Germania la precedente leadership dell’organizzazione e ha lasciato che la coda scodinzolasse al cane
Andrey Sushentsov: How the EU’s ‘new’ Eastern members have taken control of the bloc

Fyodor Lukyanov: 20 years after Bush declared ‘mission accomplished,’ it’s clear that Iraq was the graveyard of American ambition

Leggi tutto Fyodor Lukyanov: 20 anni dopo che Bush ha dichiarato “missione compiuta”, è chiaro che l’Iraq era il cimitero delle ambizioni americane
In questo contesto, la situazione della Germania, uno dei motori strategici dell’Europa nell’era uscente, è rivelatrice. Berlino ha perso l’iniziativa in politica estera. L’industria e i cittadini tedeschi sono stati condannati a spendere per l’energia tre volte di più rispetto al passato. A questo si aggiunge il fatto che i tedeschi hanno a lungo ritardato la crescita dei salari reali nella loro economia.

In realtà, è stata l’energia russa a basso costo a rendere l’economia tedesca il principale beneficiario dell’integrazione nell’UE. Ora queste basi sono minacciate, perché non è più disponibile. Quindi, presto non sarà più possibile mantenere bassi i salari. Dovranno essere aumentati per evitare un aumento massiccio del malcontento sociale. E questo mette in discussione la sostenibilità del modello economico tedesco.

La crisi ucraina ha portato a una situazione in cui la voce dei Paesi dell’Europa orientale, e della Polonia in particolare, comincia a definire le priorità della politica estera dell’Europa occidentale. Questa situazione è unica nella storia moderna. Molti storici hanno definito l’Europa orientale come “il crocevia dell’Europa”, rendendola un campo di battaglia permanente per gli imperi in competizione. Oggi, i Paesi dell’Europa orientale non solo stanno guadagnando influenza strategica, ma si stanno spostando in prima linea nella politica europea.

L’attuale priorità di Varsavia è quella di trasformarsi nel più grande esercito dell’UE e di creare un importante contrappeso alla Russia sul territorio polacco in caso di sconfitta dell’Ucraina. La Polonia sta creando punti di tensione per la Russia lungo i suoi confini: esercitazioni militari al confine con la regione di Kaliningrad e manovre vicino al confine con la Bielorussia. Tutto ciò dimostra che Varsavia vuole prendere l’iniziativa strategica nell’UE e potrebbe potenzialmente diventarne l’attore principale se il conflitto dovesse andare oltre il territorio dell’Ucraina.

Il dispiegamento di armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia è una mossa congiunta di Mosca e Minsk che ha un carattere di deterrenza e mira a dissipare le illusioni di Varsavia sul fatto che la Russia non sia determinata a mantenere un equilibrio di minacce. È possibile che in futuro l’attuale crisi con l’Occidente inizi ad assomigliare agli anni maturi della Guerra Fredda, con il suo sistema di deterrenza militare reciproca.

Fyodor Lukyanov: come il Partito Verde ha trasformato la Germania in un paese dell’Europa orientale

Un tempo Berlino era un pilastro pragmatico dell’Europa occidentale, ma ha compiuto un’inversione di 180 gradi nella sua politica estera ed economica, che è incredibile da osservare
Fyodor Lukyanov, caporedattore di Russia in Global Affairs, presidente del Presidium del Consiglio per la politica estera e di difesa e direttore di ricerca del Valdai International Discussion Club.
Fyodor Lukyanov: How the Green Party has turned Germany Eastern European
Fyodor Lukyanov: Finland may come to regret joining NATO when everyone sobers up

LEGGI ANCHE: Fyodor Lukyanov: la Finlandia potrebbe pentirsi di aver aderito alla NATO quando tutti si saranno calmati Questa è la base pragmatica di ciò che sta accadendo dal punto di vista dei Verdi.Il sistema occidentale generale rimane intatto, ma c’è una differenza fondamentale rispetto ai tempi passati. In passato, in cambio della cessione di tutti i diritti e i privilegi in materia di sicurezza al suo partner principale, gli Stati Uniti, la Germania era autorizzata a gestire la propria sfera d’influenza commerciale e a perseguire l’espansione economica verso est. Ora, in cambio della promessa di Washington di mantenere l’ombrello di sicurezza, Berlino è disposta ad abbandonare la sua precedente concezione del pragmatismo, a cambiare radicalmente il suo sistema economico in una direzione favorevole agli Stati Uniti e ad assumersi una quota maggiore del carico militare. Di conseguenza, gli sforzi per educare l’élite tedesca ai principi dell’atlantismo incondizionato, in cui sono stati investiti enormi sforzi per decenni, stanno ora dando i loro frutti al 200%. Se a questo si aggiunge che Berlino sta diventando il principale centro della diaspora russa anti-Cremlino, per ragioni sia oggettive che soggettive, si ha un quadro perfetto di una svolta a 180 gradi. O, per usare la terminologia del ministro degli Esteri dei Verdi Annalena Baerbock, di 360 gradi.

Timofey Bordachev: Gli Stati Uniti stanno umiliando la Germania e i russi sono profondamente delusi per la mancanza di spina dorsale delle élite berlinesi

Questo “divorzio” sembra politicamente motivato e artificiale, e un giorno le cose probabilmente cambieranno
Timofey Bordachev: The US is humiliating Germany, and Russians are deeply disappointed at the spinelessness of Berlin’s elites

Timofey Bordachev: Here’s why Macron’s call to break away from US control is just meaningless posturing

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Timofey Bordachev: Ecco perché l’appello di Macron a staccarsi dal controllo degli Stati Uniti è solo una postilla senza senso
Leggi tutto Timofey Bordachev: Ecco perché l’appello di Macron a staccarsi dal controllo degli Stati Uniti è solo una postilla senza senso
I russi e i tedeschi sembrano andare d’accordo. Durante diversi secoli di vicinanza, a partire dalla metà del XVI secolo, abbiamo collaborato in modo piuttosto proficuo. Detto questo, siamo anche inclini a combatterci e negli ultimi cento anni ci sono stati due conflitti violenti. La prima volta, la guerra è stata causata dallo sviluppo di un sistema di imperi europei che erano destinati a scontrarsi prima o poi. La seconda volta Mosca ha dovuto combattere contro Berlino, quando i tedeschi sono impazziti collettivamente in seguito alla sconfitta e all’umiliazione subita nel 1918 e, con la consueta diligenza, si sono lanciati nelle più orribili atrocità della storia umana.

Il riluttante passaggio alla competizione tra Russia e Germania è il risultato dell’attuale scisma, un fenomeno accidentale causato da circostanze particolari. Entrambi sanno che la cooperazione è in ultima analisi nel loro interesse vitale. Ciò non significa, tuttavia, che il conflitto, che ora si sta approfondendo, sarà di breve durata; potrebbe anche durare per una generazione. Ma le due potenze non sono certo condannate a un confronto perpetuo.

Il sentimento principale nelle relazioni russo-tedesche è attualmente quello della delusione. Siamo profondamente delusi da quanto i tedeschi si siano dimostrati privi di spina dorsale di fronte all’influenza americana negli affari europei. Da Berlino ci si aspettava molto di più e la forza economica del Paese costituiva una base molto concreta per queste aspettative. Ora le autorità tedesche non solo hanno distrutto le basi delle relazioni economiche con la Russia, ma stanno gradualmente diventando uno dei più importanti sponsor dell’Ucraina.

Fyodor Lukyanov: How the Green Party has turned Germany Eastern European

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Fyodor Lukyanov: Come il Partito Verde ha trasformato la Germania in Europa orientale
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Da parte sua, la Germania è arrabbiata perché la Russia ha involontariamente messo l’ultimo chiodo nella bara del pacifico dominio di Berlino sul resto dell’Europa occidentale. Questo stava già diventando sempre più problematico con il ritiro della Gran Bretagna dall’Unione Europea, il rafforzamento della posizione politica della Polonia e il sabotaggio di una Francia sempre più debole. Gli Stati Uniti sapevano di avere un’occasione d’oro per attivare tutte le loro risorse europee e spingere i tedeschi nelle grinfie della piena responsabilità della NATO, da cui avevano cercato di sfuggire dalla fine della Guerra Fredda.

In entrambi i casi, la ragione fondamentale dell’irritazione reciproca è la distruzione del quadro ideale del futuro dal punto di vista di ciascuno degli attori. La questione è quanto durerà il raffreddamento e quali cambiamenti potrebbero verificarsi nel frattempo. Pochi Paesi al mondo sono così idealmente adatti l’uno all’altro come la Russia e la Germania, o più precisamente il popolo russo e quello tedesco. In termini di geopolitica eurasiatica, queste due comunità sociali si bilanciano al centro del vasto continente, con la Cina e la Gran Bretagna (più gli Stati Uniti) alla periferia.

Dal punto di vista economico, la popolazione e la densità industriale della Germania sono ideali per le esportazioni di energia della Russia. Culturalmente, russi e tedeschi sono gli opposti che si attraggono. Non è una coincidenza che così tanti nativi tedeschi si siano ritrovati nella funzione pubblica, nella vita culturale e nel mondo degli affari della Russia zarista.

La moderazione tedesca è esattamente ciò che manca alla sconfinata natura russa. Negli ultimi decenni è diventato normale vedere un manager tedesco che lavora pazientemente da qualche parte a Urengoy. Per i tedeschi, noi siamo quelli che non li guardano con l’arroganza dei francesi o degli anglosassoni.

Kirill Strelnikov: Western ‘experts’ thought they would destroy Russia’s economy. They failed

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Kirill Strelnikov: Gli “esperti” occidentali pensavano di distruggere l’economia russa. Hanno fallito
Leggi tutto Kirill Strelnikov: Gli “esperti” occidentali pensavano di distruggere l’economia russa. Hanno fallito
Storicamente, la Russia e la Germania sono industrializzatori tardivi, molto indietro rispetto a Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e al loro “hub” logistico e finanziario costituito dai Paesi del Benelux. Ecco perché il XX secolo è stato così crudele per entrambe le grandi potenze: ha consolidato la leadership dei principali Paesi capitalisti e ha portato gli altri sull’orlo della sopravvivenza. La Russia ne è uscita con maggior successo. Solo l’impero è andato perduto, ma abbiamo mantenuto la piena sovranità e il controllo sul nostro territorio. La Germania è stata meno fortunata e, in seguito agli eventi del secolo scorso, è stata di fatto privata del diritto di determinare il proprio destino e sottoposta al controllo degli Stati Uniti. Tuttavia, fino a poco tempo fa, l’élite tedesca poteva decidere sulle relazioni economiche con l’estero, ma ora anche questo “privilegio” le viene tolto.

La crisi generale dell’economia mondiale e l’arretramento dell’Occidente dalla sua posizione di dominio globale incondizionato che dura da 500 anni richiedono una ristrutturazione interna. O, per lo meno, lo costringono a cercare nuovi formati. Chiunque sia alla guida della Germania dovrebbe essere in grado di farlo, ma il Cancelliere Scholz è un leader debole e i suoi socialdemocratici sono in una delle loro peggiori condizioni come forza politica. Gli altri due partiti sono i Verdi e i Liberaldemocratici.

Secondo autorevoli esperti russi di affari interni tedeschi, i Verdi sono un insieme di moralisti esaltati per i quali la lotta contro la Russia e l’amicizia con gli Stati Uniti sono una questione di fede. Personalmente, trovo questo punto di vista difficile da accettare. Penso che l’irresponsabilità di Baerbock, ad esempio, non sia altro che il prodotto di un puro carrierismo da parte di un politico che non è sostenuto da nessuno dei gruppi conservatori con chiari interessi economici. Ma forse mi sbaglio e c’è davvero posto per la pura ideologia nella politica tedesca.

 

‘Truth is our most potent weapon’ – ex-US Navy technician behind pro-Russian ‘Donbass Devushka’ collective

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La verità è la nostra arma più potente”: l’ex tecnico della Marina statunitense dietro il collettivo filorusso “Donbass Devushka”.
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Tanto più che la dimensione della “classe creativa” che non produce beni pubblici è significativa anche in Germania. La politica dei Verdi è ora diretta contemporaneamente contro il modello economico tedesco classico – con la sua dipendenza dalle risorse energetiche russe – e contro Mosca stessa come simbolo di solidarietà con l’agenda globale dell’Occidente. L’allontanamento dalla Russia e l’avvicinamento all’Atlantico sono decisivi, ma allo stesso tempo le possibilità di autosufficienza stanno diminuendo. Solo pochi giorni fa, l’ultima centrale nucleare in Germania è stata chiusa con una cerimonia.

Allo stesso tempo, gli elettori del Paese sono silenziosi come quelli della tragedia di Alexander Pushkin “Boris Godunov”. I cittadini tedeschi comuni non vogliono essere coinvolti in un conflitto con la Russia, il che significa che il divario tra l’élite e la popolazione sta crescendo. La forma emergente del rapporto della Germania con il suo grande vicino orientale ha un carattere decisamente politico e artificiale.

In Russia, i tedeschi in quanto tali non sono universalmente antipatici. A differenza dei polacchi o degli inglesi, per esempio. Non possiamo quindi dire quanto durerà l’attuale deterioramento delle relazioni. Ma non ho particolari dubbi che a una nuova svolta della storia Russia e Germania si incontreranno di nuovo e torneranno ad essere amiche.

https://www.rt.com/news/575383-us-is-humiliating-germany/

https://www.rt.com/news/575253-green-party-germany-economic-policy/

https://www.rt.com/news/575972-eastern-europeans-have-taken-control/

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