Incertezze del gas algerino e l’ipotesi di un gasdotto, di Bernard Lugan

Abbiamo più volte sottolineato la dabbenaggine sconcertante e penosa del quadro politico della Unione Europea e, con rare eccezioni, dei relativi stati nazionali, pari solo al servilismo più abbietto nei confronti, non degli Stati Uniti, ma della parte del suo establishment più avventurista e guerrafondaio. Il varo e la gestione delle sanzioni ai “danni” della Russia, in particolare quelle in materia energetica, rappresentano l’apice dell’autolesionismo consapevole di queste élites, cadute in un paradosso disarmante. Hanno varato le sanzioni sulle importazioni di gas e petrolio russi per punire il loro intervento in Ucraina, per destabilizzarla economicamente e, ridere per non piangere, acquisire l’agognata indipendenza energetica da un paese inaffidabile. Nella fattispecie hanno in realtà rinunciato ai più che stabilizzanti ed economici contratti di lunga durata per ricorrere almeno in parte alla stessa fonte per vie traverse e a prezzi moltiplicati; hanno semplicemente indotto i russi a spostare la loro offerta energetica verso altri paesi, in particolare Cina ed India, e con essa il loro baricentro geopolitico. Alla penuria e ai costi energetici provocati artificialmente nell’immediato presente, contrappongono un futuro incerto di nuove rotte energetiche incerte e  di alternative ecologiche tutt’altro che risolutive. Rivendicano l’acquisizione di una indipendenza energetica dalla Russia, per cadere in una condizione di acquirenti in un mercato di fornitori artatamente ristretto e dalla posizione contrattuale ulteriormente rafforzata. Vogliono liberarsi dall’abbraccio russo, per legarsi mani piedi al loro “amico americano”, quello stesso amico che sta brigando per condizionare le rotte energetiche europee del Mediterraneo Orientale verso la Turchia e l’Ucraina; per orientarsi verso aree geopolitiche, in particolare il Nord-Africa, particolarmente instabili, sempre più ostili all’influenza euro-statunitense, in primis la Francia, e sempre più allettate da collaborazioni con Russia, Cina, India e Turchia.
Un quadro drammaticamente fosco, capace di illuminare solo la grettezza e l’insulsaggine, la rapacità distruttiva di chi ci governa. Nella sua essenzialità, Bernard Lugan è una delle poche voci competenti in grado di additare il re nudo. Buona lettura, Giuseppe Germinario
LE INCERTEZZE DEL GAS ALGERINO
Approfittando del pesante contesto geopolitico, l’Algeria ha affermato di poter compensare parte dei volumi di gas russo aumentando le proprie esportazioni verso l’UE attraverso il gasdotto Transmed che la collega all’Italia. Tuttavia, essendosi esaurite le sue riserve che sarebbero di quasi 2.400 miliardi di metri cubi [1] , e essendo la sua produzione consumata per tre quarti localmente, l’Algeria non è in grado di compensare la Russia nella fornitura di gas all’UE.
Nel 2021 l’Algeria ha prodotto ufficialmente 130 miliardi di metri cubi (bn m3) di gas su una produzione mondiale di 3850 miliardi di m3, molto indietro rispetto alla Russia con i suoi 604,8 miliardi di metri cubi (dati 2013). Ovviamente, l’Algeria non può sostituire la Russia. Tanto più che sui 130 miliardi di m3 prodotti dall’Algeria, dovrebbero essere prelevati 93,4 miliardi di m3, ovvero: – 48 miliardi di m3 per la produzione di gas di città consumato localmente. – 20 miliardi di m3 per la produzione di elettricità, l’Algeria produce il 99% della sua elettricità da gas naturale. – 20 miliardi di m3 per la reiniezione in pozzi petroliferi o sacche di gas. – 5 miliardi di m3 per il flaring, ovvero la combustione dei gas non utilizzati. Ciò significa che l’Algeria dispone solo di circa 40 miliardi di m3 di gas da esportare, ovvero appena il 7,7% dei 520 miliardi di m3 di gas che l’UE importa ogni anno [2] . In queste condizioni, a meno che non operi drastiche restrizioni sui suoi consumi interni, è difficile vedere come, se non marginalmente, l’Algeria possa aumentare le sue consegne verso l’UE e pretendere quindi di compensare una quota significativa delle consegne russe… shale gas, non può essere la soluzione. Certo, l’Algeria dispone di enormi riserve in quest’area, ma per produrre un miliardo di metri cubi di gas (MBTu o Million British Thermal Unit) occorre un milione di metri cubi di acqua dolce. Tuttavia, come tutti i paesi del Maghreb, l’Algeria è gravemente carente di acqua e ne resterà sempre più a corto a causa dell’aumento della sua popolazione e del cambiamento climatico. Per l’Algeria, non riuscendo a rilanciare la produzione di gas, l’urgenza è quindi quella di farla durare il più a lungo possibile, e quindi di razionalizzarne l’utilizzo e non certo di aumentarne i volumi di esportazione. Tanto più che per preservare la pace sociale, il governo mantiene prezzi artificialmente bassi che portano a destinare una parte considerevole e crescente delle risorse di gas al consumo delle famiglie e non all’esportazione che genera valuta estera. Producendo sempre meno gas, l’Algeria intende riorientarsi verso un ruolo di intermediario tra alcuni produttori sud-sahariani e il mercato europeo. Da qui il suo progetto di gasdotto trans-sahariano che le consentirebbe di diventare il punto di esportazione del gas dalla Nigeria e dal Niger (si veda l’articolo nella pagina accanto).
[1] A meno che le recenti scoperte annunciate dalle autorità algerine non si rivelino veramente significative. Nell’immediato futuro regna una grande opacità in quest’area. Comunque sia, anche se queste scoperte, presentate come promettenti, fossero messe in funzione, non sarebbero state trasportate in Europa per diversi anni. Inoltre, secondo alcuni esperti indipendenti, le riserve algerine disponibili sono in realtà meno importanti dei volumi annunciati. [2] Questa cifra deve essere confrontata con i dati ufficiali che rappresentano dall’11 al 12% delle importazioni europee.
UN GASODOTTO TRANS-SAHARIANO O COSTIERO?
L’Africa è un continente gasifero sempre più promettente, ma la questione è come far arrivare il proprio gas agli acquirenti europei [1] Sono allo studio quindi tre progetti di gasdotti: uno algerino, un altro libico, il terzo marocchino. Sullo sfondo ci sono importanti problemi politici, geopolitici, geostrategici e di sicurezza. La diplomazia del gas dell’Algeria si oppone a quella del Marocco [2] e della Libia.
Il progetto algerino L’Algeria, che sta vedendo diminuire le sue riserve come abbiamo visto nel precedente articolo, cerca di installare il terminale dell’eventuale gasdotto transahariano che la collegherebbe alla Nigeria attraverso il Niger, il che ne farebbe un fornitore indiretto essenziale verso l’Europa. Per questo è particolarmente coinvolta nel progetto del gasdotto trans-sahariano. Con una lunghezza di 4.128 chilometri, questo gasdotto potrebbe collegare la Nigeria all’Algeria, passando per il Niger dove catturerebbe il gas di questo paese lungo il percorso. Un gasdotto che sarebbe in grado di trasportare 30 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno verso i porti algerini, quindi verso i mercati europei attraverso due gasdotti che già collegano l’Algeria all’Europa. Si tratta del gasdotto TransMed che collega Hassi R’Mel in Algeria a Mazara del Vallo in Sicilia via Tunisia, e del gasdotto Maghreb Europe (GME), che collega Hassi R’Mel a Cordoba in Spagna, via Marocco. Tuttavia, un tale progetto sembra irrealistico, non a causa del suo percorso, ma a causa del contesto terroristico subregionale. Questo gasdotto dovrebbe infatti attraversare regioni in guerra o addirittura in una situazione di totale anarchia, che, oltre al suo problema di costruzione, porrà inevitabilmente quello del suo funzionamento. In effetti, la stessa Nigeria è uno stato che non controlla tutto il suo territorio. Da sud a nord regna dunque l’insicurezza in tutta la regione di Wari da cui si estrae il gas, mentre più a nord c’è il problema di Boko Haram e dei suoi dissidenti che controllano diversi stati della federazione da dove deve passare questo gasdotto? Per quanto riguarda il Sahel, la sua situazione di sicurezza è fuori controllo… In queste condizioni, che gli investitori sarebbero disposti a rischiare decine di miliardi di dollari per portare a nord il gas prodotto nella regione costiera della Nigeria quando il più sicuro è esportare direttamente dal gasdotto marino? Il progetto alternativo libico La Libia si oppone al progetto del gasdotto trans-sahariano guidato dall’Algeria perché vorrebbe che il terminale terminasse sulla costa libica già collegato all’Italia dal Greenstream, un gasdotto lungo 520 chilometri che dalla Tripolitania trasporta il gas verso Sicilia.
La Libia ha quindi presentato un’opzione alternativa al tracciato del progetto del gasdotto trans-sahariano destinato a trasportare il gas dalla Nigeria all’Europa e che, dalla Nigeria, attraverserebbe comunque il Niger, ma per terminare non più in Algeria, bensì in Libia. Tuttavia, qui si presentano gli stessi problemi di sicurezza appena evidenziati con il progetto algerino. Ancor di più, bisognerebbe aggiungervi la questione dell’irredentismo Toubou nel nord del Niger e quella derivante dall’anarchia libica sia nel Fezzan che in Tripolitania. Il progetto marocchino Al momento, il progetto più realistico sembra essere quello portato avanti congiuntamente da Marocco e Nigeria. Un progetto colossale che riunirebbe tutti i paesi dell’Africa sahariana occidentale produttori di gas. Si tratta del Nigeria Morocco Gas Pipeline (NMGP), che dalle coste della Nigeria correrebbe lungo la costa dell’Africa occidentale, gravando sulla produzione di gas dei paesi costieri. Qui non ci sono problemi di sicurezza perché, essendo offshore, questo gasdotto sarebbe quindi indipendente dai rischi per la sicurezza regionale. L’unico problema è che utilizzerebbe le acque territoriali marocchine del Sahara occidentale, ma l’Algeria, che vuole la creazione di un immaginario stato saharawi, sta facendo pressioni sugli investitori internazionali affinché non finanzino questo progetto.
Un progetto colossale
Il progetto del gasdotto Nigeria-Marocco (Tangeri) è nato durante una visita del re Mohammed VI in Nigeria nel dicembre 2016. È stato seguito da un accordo di cooperazione tra Marocco e Nigeria firmato a Rabat il 15 maggio 2017. Con una lunghezza di 5.500 chilometri , 569 km già esistenti tra Nigeria e Ghana via Benin e Togo, la costruzione di questo gasdotto è stimata tra i 25 ei 50 miliardi di dollari. Il progetto è entrato nella fase di studi di dettaglio affidati a ditte specializzate. Ad oggi, dei 7 tracciati originariamente previsti per questo gasdotto, tre sono attualmente selezionati ma non sono stati ancora presentati ufficialmente. In totale, 16 paesi sono interessati da questo progetto, inclusi tutti i paesi dell’ECOWAS che potrebbero beneficiare delle sue ricadute, in particolare paesi senza sbocco sul mare come il Mali, il Burkina Faso e il Niger che beneficeranno dei collegamenti terrestri. Questo gasdotto permetterebbe di elettrificare intere regioni e creare poli industriali integrati. Una prima fase di questo gasdotto potrebbe collegare i giacimenti di gas offshore Grande Tortue Ahmeyim (GTA) situati su entrambi i lati del confine marittimo tra Mauritania e Senegal a Tangeri in Marocco, il suo punto finale.
[1] Un’opzione è ovviamente il gas liquefatto, ma ciò richiede una pesante infrastruttura di trasporto per liquefazione e deliquefazione.
[2] Dopo aver interrotto le sue esportazioni di gas attraverso il GME per privare il Marocco di questa fonte di energia, la Spagna ha riattivato il gasdotto per portare il gas al regno, questa volta in direzione nord-sud. Martedì 5 luglio 2022 il Marocco ha annunciato il ritorno in servizio di due grandi centrali elettriche grazie al gas naturale liquefatto (GNL) trasportato dalla Spagna attraverso il gasdotto Maghreb Europe (GME), dopo la decisione di Algeri di non fornire più il regno con il gas.

LA STRATEGIA USA, VIA NATO, PIANIFICA LE INFRASTRUTTURE MILITARI E CIVILI DEI TERRITORI EUROPEI IN FUNZIONE DEL CONFLITTO CON LA RUSSIA E CON LA CINA. IL CASO DEL TERRITORIO ITALIANO. a cura di Luigi Longo

LA STRATEGIA USA, VIA NATO, PIANIFICA LE INFRASTRUTTURE MILITARI E CIVILI DEI TERRITORI EUROPEI IN FUNZIONE DEL CONFLITTO CON LA RUSSIA E CON LA CINA. IL CASO DEL TERRITORIO ITALIANO.

a cura di Luigi Longo

 

La lettura dell’articolo di Antonio Mazzeo, Basi di guerra da nord a sud. L’unità d’Italia rifatta dalla NATO pubblicato sul sito www.marx21.it, del 15/11/2022, che propongo, è interessante perché fa riflettere sul ruolo della NATO come strumento di gestione della pianificazione strategica dei territori europei da parte degli USA. In particolare si sofferma sull’utilizzo del territorio italiano, disseminato di infrastrutture e basi militari (senza considerare quelle segrete), come avamposto delle strategie statunitensi nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Vicino, Medio ed Estremo Oriente. Mi interessa sottolineare quattro questioni: la prima, la fase, che corrisponde a quella pre-multicentrica (che dato nel 2011 con l’emergere in maniera chiara delle due potenze mondiali, Cina e Russia, in grado di contrastare l’egemonia mondiale degli USA), dove lo strumento statunitense dell’Unione Europea (UE) era funzionale alle sue strategie, caratterizzata dall’approntamento delle infrastrutture (i corridoi europei) finalizzate alla costruzione di una rete di mobilità per gli scenari di allargamento della NATO nell’Europa centrale e dell’est per costruire quel cordone militare di isolamento e contrasto della Russia (per approfondimenti rimando ai miei scritti su Tav, Corridoio V , NATO e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico; L’americanizzazione del territorio. Appunti per una riflessione; Le infrastrutture militari nella fase multicentrica; I corridoi europei e la strategia USA pubblicati sui siti www.conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com); la seconda, il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream rappresenta sia un atto di rottura da parte degli USA-UE delle relazioni con la Russia (di tipo prevalentemente economico), sia l’inizio della fase di passaggio dalla fine del progetto statunitense della UE (con il declino del sistema-euro conseguenza del declino del sistema-dollaro) alle relazioni dirette con le singole nazioni europee (iniziata dall’amministrazione di Donald Trump) e la sua sostituzione, di fatto, con il progetto NATO più funzionale alle strategie della fase multicentrica; la terza, il progetto NATO della fase multicentrica comporterà un nuovo equilibrio dinamico con nuove architetture istituzionali sovranazionali che gestiranno l’attuale spazio europeo; nuove organizzazioni territoriali (ne circolano da tempo diverse configurazioni) si prevedono per il futuro dell’Europa, espressione geografica a servizio delle strategie statunitensi; la quarta, l’assenza della ricerca (pubblica e privata) sia sulle relazioni tra basi militari Usa-Nato e sviluppo locale, regionale, nazionale e internazionale, sia sulle relazioni politiche, militari, industriali, economiche, sociali e culturali nei territori di localizzazione delle basi e delle loro proiezioni nei sistemi di valori territoriali.

Oggi c’è la necessità per l’Italia e per l’Europa (che è bene ricordarlo non è l’Europa delle nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti soprattutto tedeschi) di uscire dalla NATO per costruire la possibilità di una Europa che cessi di << […] continuare a essere un mito, un sogno staccato dalla realtà di popolazioni molteplici e diverse, un continente fatto di europei senza un’Europa>> (Jacques Le Goff, L’Europa raccontata ai ragazzi, Laterza, Roma-Bari, 1996, pag.25) e sia capace di porsi come un piccolo continente di intersezione e di dialogo tra Occidente e Oriente.

<< Nel 1313 […] i nuovi statuti del comune di Treviso trovarono un’immagine efficace per definire la dialettica fra individuo e la collettività […] la società è come un concerto: gli strumenti e le voci sono tutti diversi fra loro, e così dev’essere perché valga la pena di ascoltare la musica; allo stesso modo sono diversi fra loro gli esseri umani, ma se obbediscono alla ragione […] dalla loro diversità risulterà una società armoniosa >> (Alessandro Barbero, Donne, madonne, mercanti e cavalieri. Sei storie medievali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2013, pag. 130). Provo a immaginare l’Europa come un grande concerto: le nazioni sono tutte diverse fra loro, e così deve essere perché valga la pena ascoltare una musica di costruzione, di cambiamento, di coordinamento finalizzata ad una società più sensata e più attenta alle esigenze della maggioranza delle popolazioni.

Chi mette in musica un progetto alternativo di una nuova idea di organizzazione sociale nella fase multicentrica affinchè l’Europa cessi di essere un mito e diventi un piccolo continente autodeterminato in relazione all’Occidente e all’Oriente?

Occorre un soggetto sessuato in grado di offrire una partitura come fondamento solido e meditato per i suoi obiettivi tenendo conto del grande e attuale insegnamento di Karl Marx quando sostiene che << È né più né meno che un inganno sobillare il popolo senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per la sua azione. Risvegliare speranze fantastiche […] lungi dal favorire salvezza di coloro che soffrono, porterebbe inevitabilmente alla loro rovina: rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete significa giocare in modo vuoto e incosciente con la propaganda, creando una situazione in cui da un lato un apostolo predica, dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca aperta: apostoli assurdi e assurdi discepoli. In un paese civilizzato non si può realizzare nulla senza teorie ben solide e concrete; e finora, infatti, nulla è stato realizzato se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose, se non iniziative che condurranno alla completa rovina la causa per la quale ci battiamo. L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!>> (Hans Magnus Enzensberger, a cura di, Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino, 1977, pag. 53).

 

 

 

 

BASI DI GUERRA DA NORD A SUD. L’UNITÀ D’ITALIA RIFATTA DALLA NATO*

di Antonio Mazzeo**

 

Il sempre più evidente coinvolgimento nella guerra fratricida Russia-Ucraina di alcune delle principali basi ospitate in territorio italiano si accompagna al colpo di acceleratore che le forze armate nazionali, USA e NATO hanno dato ad alcuni programmi (vecchi e nuovi) di ampliamento e potenziamento del dispositivo bellico.

L’ultima missione di spionaggio sui cieli dell’Europa dell’Est è stata tracciata dai radar lo scorso 14 ottobre. Un Gulfstream E.550 CAEW del 14° Stormo dell’Aeronautica militare italiana dopo essere decollato dallo scalo romano di Pratica d Mare ha raggiunto prima i confini della Polonia con l’Ucraina e poi quelli con l’enclave russa di Kaliningrad. Un’operazione ormai di routine da quando le forze armate di Mosca hanno invaso l’Ucraina. Il velivolo in dotazione ai reparti di volo italiani aveva fatto il suo debutto nelle aree di conflitto l’8 marzo 2022 con una missione d’intelligence nello spazio aereo della Romania fino ai confini con Moldavia e Ucraina e le sempre più agitate e militarizzate acque del Mar Nero. Da allora i Gulfstream E.550 di Pratica di Mare sono uno degli attori più richiesti dai comandi NATO che coordinano le operazioni aeree di sorveglianza e “contenimento” dei reparti di guerra della Federazione russa in territorio ucraino.

Basati sulla piattaforma del jet sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, appositamente modificato e potenziato dalla israeliana Elta Systems Ltd. (società del gruppo IAI), i velivoli in dotazione all’Aeronautica italiana non sono semplicemente dei “radar volanti”, ma possiedono anche compiti di “gestione” delle missioni alleate nei campi di battaglia e di disturbo delle emissioni elettroniche “nemiche”. “Gli aerei CAEW hanno funzioni di sorveglianza aerea, comando, controllo e comunicazioni, strumentali alla supremazia aerea e al supporto alle forze di terra”, spiega lo Stato maggiore dell’Aeronautica.

“In altre parole, essi sono un assetto di straordinario valore sia per l’Italia che per la NATO per conseguire quella che è definita come Information Superiority, cioè il vantaggio che deriva dall’abilità di raccogliere, processare e trasferire un flusso ininterrotto di informazioni mentre si impedisce al nemico di poter fare lo stesso”.

Non sono solo i sofisticati e costosissimi aerei di produzione israelo-statunitense a consolidare il ruolo di cobelligerante dello scalo militare di Pratica di Mare nel sanguinoso conflitto russo-ucraino. E’ da qui infatti che decollano con sempre più frequenza i velivoli cisterna KC-767A dell’Aeronautica utilizzati per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri italiani e NATO impiegati nella Air Policing Mission anti-russa nello spazio aereo di Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria e delle Repubbliche baltiche. Velivoli cargo dello stesso tipo vengono impiegati da Pratica di Mare anche per trasportare i sistemi d’arma “donati” dal governo italiano alle forze armate ucraine e gli uomini, i mezzi pesanti e gli armamenti destinati ai battaglioni di pronto intervento che la NATO ha insediato a mò di tenaglia alle frontiere occidentali di Russia e Bielorussia (attualmente i reparti italiani d’élite dell’Esercito sono presenti in Ungheria, Bulgaria e Lettonia).

Ma in Italia non c’è solo Pratica di Mare a fare da trampolino di lancio degli assetti aerei impiegati nella pericolosa escalation bellica in Europa orientale e nel Mar Nero. Dalla stazione aeronavale di Sigonella, in Sicilia, con cadenza ormai quotidiana e fin da prima dell’aggressione russa del 24 febbraio scorso, decollano i droni d’intelligence AGS della NATO e “Global Hawk” di US Air Force e i nuovi pattugliatori marittimi P8A “Poseidon” di US Navy e delle forze aeronavali di Australia e del Regno Unito. Anch’essi ricoprono le stesse rotte fino ai confini con il territorio ucraino, rumeno, bulgaro e moldavo, per operazioni di intelligence e ricognizione. Così come avviene con i CAEW Gulfstream di Pratica di Mare, i dati sensibili raccolti dai “Poseidon” e dai droni USA e NATO di Sigonella vengono messi a disposizione delle forze armate di Kiev per pianificare le operazioni contro l’invasore russo. Sono cioè una specie di occhio e orecchio non poi tanto segreto contro le manovre dell’esercito di Mosca e una sorta di consigliere-guida della controffensiva ucraina che ha già consentito di ottenere sul campo rilevanti “successi” sugli avversari.

Questi velivoli hanno pure moltiplicato gli interventi nel Mediterraneo orientale in prossimità del porto di Tartus, Siria, utilizzato per le soste tecniche della flotta militare russa. In particolare proprio un pattugliatore P-8A di US Navy è stato protagonista di quella che, per il valore politico-simbolico ma soprattutto per le conseguenze in termini di vite umane, ha rappresentato una delle azioni di guerra più significative e drammatiche del conflitto: l’affondamento dell’incrociatore russo Moskva a largo di Odessa, mercoledì 13 aprile, presumibilmente dopo essere stato colpito dai militari ucraini con uno o più missili anti-nave. Sono ancora fittissimi i misteri sulle dinamiche e sulle unità protagoniste dell’attacco, così come è ancora ignoto il numero delle vittime. E’ tuttavia certo che l’operazione militare contro la nave ammiraglia russa nel Mar Nero è stata “monitorata” e registrata a poche miglia di distanza da un “Poseidon” statunitense decollato dalla stazione aeronavale siciliana.

Il sempre più evidente coinvolgimento nella guerra fratricida Russia-Ucraina di alcune delle principali basi ospitate in territorio italiano si accompagna al colpo di acceleratore che le forze armate nazionali, USA e NATO hanno dato ad alcuni programmi (vecchi e nuovi) di ampliamento e potenziamento del dispositivo bellico. Dalle Alpi al Canale di Sicilia non c’è comando, centro radar e telecomunicazione, aeroporto e scalo portuale che non ospiti o stia per stia per ospitare milionari cantieri infrastrutturali. La NAS – Naval Air Station di Sigonella è forse l’esempio più eclatante: per ospitare i nuovi pattugliatori “Poseidon” sono state realizzate alcune aree di parcheggio e un maxi-hangar con annesso centro di manutenzione del costo di 26,5 milioni di dollari, inaugurato ufficialmente a metà gennaio 2022.

Nella base siciliana è divenuto pienamente operativo l’AGS – Alliance Ground Surveillance, il sistema avanzato di sorveglianza terrestre e intelligence dell’Alleanza Atlantica basato su cinque grandi velivoli senza pilota RQ-4 “Phoenix” realizzati dal colosso aerospaziale Northrop Grumman.

Questi nuovi droni sono lunghi 14,5 metri e possono volare in tutte le condizioni ambientali e ininterrottamente per più di 30 ore, fino a 18.280 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h. Il loro raggio d’azione è di oltre 16.000 km. Inoltre, poche settimana fa, il Dipartimento dell’US Air Force ha firmato un contratto del valore di 177 milioni di dollari con una società controllata dal colosso militare industriale Raytheon Technologies, per migliorare l’efficienza dei 14 terminali mondiali (tra cui Sigonella) inseriti nel sistema High Frequency Global Communications (HFGCS). Le stazioni terrestri dell’HFGCS trasmettono i cosiddetti EAM (messaggi di azione di emergenza) e altri tipi di codici di rilevanza strategica, compresi quelli per la conduzione di un attacco nucleare.

A Vicenza, dopo la realizzazione presso l’ex aeroscalo “Dal Molin” di un enorme complesso militare riservato ai paracadutisti della 173^ Brigata aviotrasportata di US Army, ha preso il via un megaprogetto del valore stimato di 373 milioni di dollari per la realizzazione entro cinque anni di 478 alloggi per il personale militare statunitense e famiglie (villette a schiera e diverse nuove palazzine all’interno della caserma Ederle e del cosiddetto Villaggio della Pace). Sono previste inoltre nuove infrastrutture viarie per rendere più rapido e “sicuro” il collegamento delle basi USA di Vicenza con l’aeroporto NATO di Aviano (Pordenone), sede di alcuni reparti aerei dell’US Air Force dotati dei cacciabombardieri di quarta generazione F-16 a capacità nucleare, nonché utilizzato per i grandi aerei cargo che trasportano i parà della 173^ Brigata verso i maggiori scacchieri di guerra internazionali (recentemente in Iraq e Afghanistan, attualmente in Europa orientale e in Africa). E ad Aviano, così come a Ghedi (Brescia), sono in via di completamento i lavori di “rafforzamento” dei bunker che ospitano le bombe nucleari tattiche B-61 delle forze aeree statunitensi, attualmente in fase di aggiornamento per essere impiegate a bordo dei cacciabombardieri di quinta generazione F-35 in dotazione alle forze USA e italiane.

Bibliche colate di cemento a fini bellici sono previste anche per un’altra città dall’incomparabile patrimonio storico, artistico, architettonico e paesaggistico: Pisa. Secondo quanto previsto dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, in un’area di 73 ettari a Coltano, all’interno del parco regionale di Migliarino–San Rossore–Massaciuccoli, saranno realizzati innumerevoli caserme e alloggi per militari e famiglie, poligoni di tiro e basi addestrative.

Tre i reparti d’assalto dei Carabinieri che saranno insediati a Coltano ci sono il 1° Reggimento Paracadutisti “Tuscania”, il G.I.S.-Gruppo di Intervento Speciale e il Centro Cinofili, da decenni impiegati nei maggiori teatri di guerra internazionale in azioni di combattimento e nell’addestramento “anti-terrorismo” del personale militare di alcuni ingombranti regimi africani e mediorientali. Il progetto di Pisa è funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico della regione Toscana per la proiezione extra-area delle forze armate nazionali, USA e NATO. La nuova cittadella dei reparti d’assalto dei Carabinieri si aggiungerà infatti alla grande base di stazionamento dei mezzi pesanti di US Army di Camp Darby, agli aeroporti di Pisa-San Giusto e Grosseto, al porto di Livorno, alle tante caserme dei parà della “Folgore”, al centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San Piero a Grado, al comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” prossimo ad operare come Multinational Division South NATO per gli interventi dell’alleanza nel Mediterraneo e in Africa.

Un hub toscano per la guerra globale che si aggiunge a quelli veneto-friulano (con Vicenza e Aviano); siciliano (Sigonella, il MUOS di Niscemi, la baia di Augusta, lo scalo di Trapani-Birgi e le isole minori di Pantelleria e Lampedusa); pugliese (le basi navali NATO di Taranto e Brindisi, gli aeroporti di Amendola, Gioia del Colle e Galatina); campano (il porto di Napoli e Capodichino, il Comando interalleato di Lago Patria); sardo (gli innumerevoli poligoni sparsi per tutta l’isola, Decimomannu, l’arcipelago della Maddalena). L’Italia armata e ipermilitarizzata per gli interessi strategici del Pentagono e dell’Alleanza Atlantica ma anche per i profitti e i dividendi del complesso militare-industriale nazionale e internazionale.

A esclusivo beneficio delle industrie di morte sorgerà a Torino l’ultimo tempio dedicato ad Ares, dio di tutte le guerre, che convertirà parte del territorio dell’Italia nord-occidentale nell’ennesimo hub militare del paese (in quest’area esistono già il centro di Cameri-Novara per la produzione degli F-35, il quartier generale dei NATO Rapid Deployable Corps di Solbiate Olona, i complessi Leonardo- Agusta a Varese, la base nucleare di Ghedi, le fabbriche di pistole, mitra e fucili nel bresciano). Lo scorso 7 aprile i ministri degli Esteri e della Difesa della NATO hanno approvato un documento strategico che pone le basi del “Defence innovation accelerator for the North Atlantic” (DIANA), cioè l’Acceleratore di innovazione nella difesa per l’Atlantico del Nord), dotato di una prima tranche di un miliardo di euro circa grazie al NATO Innovation Fund, il fondo di investimenti finanziari varato dall’Alleanza. Con il DIANA sarà promossa la ricerca scientifico-tecnologica di centri accademici, start up e piccole e medie imprese sulle cosiddette deep technologies, le tecnologie emergenti che la NATO ha identificato come “prioritarie”: sistemi aerospaziali, intelligenza artificiale, biotecnologie e bioingegneria, computer quantistici, cyber security, motori ipersonici, robotica e sistemi terrestri, navali, aerei e subacquei a pilotaggio remoto, industria navale e delle telecomunicazioni, ecc.

“Gli investimenti e la ricerca del progetto DIANA serviranno a dare vita a quelle tecnologie nascenti che hanno il potere di trasformare la nostra sicurezza nei decenni a venire, rafforzando l’ecosistema dell’innovazione dell’Alleanza e sostenendo la sicurezza del nostro miliardo di cittadini”, ha dichiarato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. E proprio la città di Torino è stata scelta come prima sede europea degli acceleratori DIANA. L’avvio dell’ambizioso programma è previsto per l’inizio del prossimo anno, quando saranno definiti i progetti da finanziare. In una prima fase la sede di DIANA sarà ospitata in un’area di 9.000 mq ricavata all’interno delle storiche Officine Grandi Riparazioni, il complesso industriale sorto a Torino a fine Ottocento. A partire dal 2026 l’incubatore-acceleratore DIANA sarà trasferito nella Città dell’Aerospazio in via di realizzazione in un’area di 184.000 mq alla periferia ovest del capoluogo piemontese, grazie ad un finanziamento di 300 milioni di euro del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), più altri 800 milioni che dovrebbero giungere da una settantina di aziende del settore aerospaziale interessate al progetto industriale.

Tra queste ultime in pole position c’è ovviamente l’holding Leonardo SpA, leader nella produzione di sistemi d’arma tecnologicamente avanzati. “Leonardo, azienda partecipata al 30% dal Ministero dell’economia coordinerà tre progetti del nuovo sistema di difesa europeo: il sistema di navigazione satellitare Galileo, finanziato dall’Unione europea con 35,5 milioni di euro; quello di tecnologia sicura Essor, che ha ricevuto 34,6 milioni; e il progetto degli anti-droni Jey Cuas (13 milioni)”, ha riportato l’Indipendente in un ampio servizio pubblicato il 17 luglio 2022. “Una parte degli spazi della città sarà destinata al nuovo campus del Politecnico di Torino, mentre l’altra sarà occupata dagli uffici del programma DIANA e da alcune aree per la sperimentazione di nuove tecnologie di terra e di volo”.

A fianco dei laboratori e degli spazi per le start-up, si insedierà nella Città dell’Aerospazio pure il Business Incubation Centre dell’Agenzia Spaziale Europea. Secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa italiano, verrà messo a disposizione del progetto pure il neo costituito acceleratore Takeoff – Aerospace & Advanced Hardware (una creatura di Cdp Venture Capital, Fondazione CRT e UniCredit) e “saranno rese disponibili le capacità di sperimentare tecnologie innovative” presso il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale della Marina Militare di La Spezia e il Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (CIRA) di Capua, società partecipata dell’Agenzia Spaziale Italiana, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Regione Campania.

Un mixer – letteralmente esplosivo – di organizzazioni militari internazionali, grandi, medie e piccole industrie, istituzioni pubbliche e private, banche e gruppi finanziari, autorità statali, regionali e locali, università e centri di ricerca scientifica che farà di Torino la capitale europea delle guerre globali aerospaziali del XXI secolo. Guerre ancor più automatizzate e disumanizzate di quelle a cui abbiamo assistito, impotenti e inorriditi, in questi ultimi decenni.

*I corsivi e i grassetti presenti nell’articolo sono i mei (LL).

**Giornalista e saggista. Ecopacifista e antimilitarista.

 

Trump, ora più che mai!_di Roger Stone

Qui sotto pubblichiamo l’appello lanciato da Roger Stone a sostegno della ricandidatura di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti. Roger Stone è stato, assieme al Generale Flynn, una figura chiave della prima elezione di Trump. Non tutti lo hanno compreso nel movimento MAGA; forse nemmeno appieno lo stesso Trump, almeno sino a quando lo ha graziato dalla persecuzione giudiziaria allo scadere del suo mandato presidenziale. Lo hanno capito benissimo al contrario i suoi avversari portandolo con ferocia e spietatezza alla rovina economica e ad una condizione di salute precaria. Non ostante, assieme a qualche altro fondatore, abbia scelto di mettersi saggiamente in disparte al momento dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, è rimasto comunque nel mirino spietato dei suoi avversari. Ricordiamo tutti la vergognosa spettacolarità della vera e propria operazione militare che lo ha condotto agli arresti in piena notte nella sua abitazione. Roger Stone è stato un alto funzionario dello stato federale con incarichi chiave sin dalla lontana amministrazione Nixon. Conosce benissimo i meccanismi di funzionamento delle dinamiche politiche americane ed ha intuito, tra i primi, la via del disastro verso la quale stavano conducendo il paese le varie amministrazioni, a partire da quella di Bush Senior e i centri decisori presenti negli apparati nevralgici. A settanta anni Stone getta sul terreno il peso della sua autorevolezza per sostenere ancora una volta Trump e diradare almeno in parte la cortina fumogena stesa sulle candidature alternative, o presunte tali che stanno emergendo. Non conoscendo bene, nei particolari, le dinamiche interne al movimento, nutriamo qualche dubbio, però, sulla giustezza di questa ricandidatura di un personaggio dai limiti, pari alla sua tenacia, evidenti e sulla maturità di eventuali candidature realmente alternative. Tanto più che, alla sua seconda riproposizione, non sembra disporre del sostegno e del supporto di un gruppo ben organizzato, strutturato ed esperto. La dinamica dello scontro politico negli Stati Uniti vive una fase di stallo, ma solo apparente. Di fatto la polarizzazione geografica del conflitto interno si è ulteriormente accentuata con l’ulteriore fattore dirompente di un movimento che continua ad estendersi nei ceti popolari produttivi delle varie etnie. L’alterazione dei risultati elettorali con brogli ormai su scala industriale sta facendo il resto, insinuando il dubbio sulla effettiva efficacia di un impegno politico fondato e dettato esclusivamente sulle scadenze elettorali in un movimento che ha compreso l’importanza di un radicamento nei centri amministrativi e di potere e di una connessione con quelle élites dissenzienti con l’attuale politica avventurista. Il movimento MAGA vive all’interno profonde contraddizioni tra chi punta ad una azione tendente semplicemente a dividere il fronte geopolitico avversario che si sta compattando, più per la costrizione esterna americana che per affinità dei componenti, attorno al polo russo-sino-indiano e chi, mosso probabilmente da una impostazione economicista e un po’ ingenua, tende a ridurre le dinamiche geopolitiche ad una serie di relazioni bilaterali mutevoli. Una interpretazione, quest’ultima, probabilmente accettabile e praticabile solo in una fase temporanea di transizione verso una ricomposizione multipolare degli schieramenti e non a caso sostenuta, paradossalmente, anche dalla attuale leadership cinese. Un aspetto che avrebbe dovuto far riflettere meglio la dirigenza cinese, riguardo al suo comportamento nei confronti di Trump. Un movimento il cui successo, però, potrebbe condurre ad una dinamica meno tragica le relazioni geopolitiche e spostare più all’interno degli Stati Uniti un conflitto che, altrimenti, coinvolgerà il mondo intero. Una classe dirigente e un ceto politico serio e legato agli interessi fondamentali dei paesi europei più importanti dovrebbe sostenere ed agevolare convintamente la strada di questo movimento proprio per gli spazi che un suo successo definitivo aprirebbe ad una condizione più autonoma ed indipendente dell’Europa. Il carattere miserabile, stupido, insipiente e compradore di questi, già visibile in quei quattro anni, sta emergendo, purtroppo, sempre più alla luce del sole condannando, con poche eccezioni, un intero continente al disastro inconsapevole ed autolesionistico a vantaggio di una élite sempre più arroccata. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

ROGER STONE: TRUMP, ORA PIÙ CHE MAI

Trump non è accettato o sostenuto dai membri titolari di tessera dell’establishment repubblicano di Washington. Questa è una virtù, non una pecca.

 

Nel suo discorso di annuncio alle sua corsa alle presidenziali 2024, un discorso ordinato e perfettamente disciplinato, Donald Trump si è riformulato come un outsider politico pronto a tornare alle guerre politiche di vecchia stagione e a sfidare gli interessi politici e mediatici radicali che hanno sistematicamente ribaltato e neutralizzato il progressi fatti durante la sua prima presidenza.

Quelli del movimento MAGA riescono a percepire, attraverso la narrativa accuratamente orchestrata, implacabile e completamente falsa, la tesi che cerca di incolpare l’ex presidente per la sottoperformance del partito repubblicano nelle elezioni di medio termine. Com’è conveniente che la vittoria relativamente facile del candidato appoggiato da Trump J.D. Vance in Ohio, così come la dura, ma riuscita rielezione del senatore Ron Johnson (forse il più grande difensore di Trump al Senato degli Stati Uniti) in Wisconsin sono così facilmente trascurate dai media.

Quelli della cabala corporativa/governativa/mediatica ora elevano lo spettro di una candidatura del governatore della Florida Ron DeSantis. La scelta di De Santis come principale nemico di Trump è un riconoscimento del fatto che il collegio elettorale dell’America Prima (MAGA) è ancora dominante alla base del Partito Repubblicano. DeSantis, nonostante il suo pedigree, ha governato in Florida seguendo il manuale del MAGA.

L’establishment, che ora cerca di distruggere Trump, ha già riconosciuto la non fattibilità di presentare come alternativa a Trump l’ex vicepresidente Mike Pence o l’ex direttore della CIA e segretario di Stato Mike Pompeo, tutte e due potenziali candidature assolutamente impopolari tra la base di MAGA. L’ascesa di una potenziale candidatura di De Santis, toglie prezioso ossigeno che una delle loro candidature richiederebbe.

L’unico altro potenziale candidato, dietro cui la cabala repubblicana/mediatica poteva schierarsi, il senatore della Florida Marco Rubio, è stato sostanzialmente neutralizzato da Trump quando l’ex presidente ha tenuto un comizio caloroso a favore di Rubio, in Florida, nel momento in cui  la rielezione del Senatore Rubio era in bilico. La sfida contro la candidata Democratica si presentava problematica poiché la deputata della sinistra radicale; Val Demings era ben finanziata e organizzata. L’intervento di Trump ha tolto dalla pentola bollente Rubio forzando poi Rubio ad essere in debito con Trump e quindi ora fedele all’ex presidente.

Prima del comizio di Trump a Miami, i sondaggi mostravano che Rubio era in vantaggio su Demings di soli tre punti, ma dopo il comizio di Trump, il senatore Rubio ha ottenuto una vittoria finale di 16 punti rispetto alla Demings.

Con Pence e Pompeo che mancano del necessario appeal nella base repubblicana e con Rubio dipendente ora da Trump,altro non rimane che DeSantis.

Ieri sera ho partecipato allo storico annuncio del presidente Trump a Mar-a-Lago della sua candidatura per le presidenziali del 2024. C’era elettricità nell’aria che non vedevo né sentivo dall’inizio del 2016. I media hanno rapidamente sottolineato che mentre io e Mike Liddell, descritti come “i sostenitori di Trump”, eravamo tra il pubblico, nessun membro del nuovo Congresso era presente . Ancora una volta, i media giudicano male l’umore degli elettori;  il fatto che Trump non sia appoggiato o sostenuto da membri tesserati dell’establishment repubblicano di Washington è un pregio, non un difetto.

L’assalto organizzato dall impero mediatico NewsCorp di Rupert Murdoch, tra cui Fox News, il Wall Street Journal e il New York Post, mette in mostra una chiara impressione errata del ruolo svolto da Fox e dalle altre testate giornalistiche di Murdoch nell’ascesa iniziale di Trump.

Fox News ha cercato sistematicamente di promuovere più sfidanti a Trump nelle primarie del 2016. Tuttavia, ha visto svanire quegli sforzi quando hanno scoperto che trasmettere dall’inizio alla fine i comizi di Trump faceva guadagnare gli indici più alti di ascolto mai registrati prima nella storia di Fox News, consentendo così a Murdoch di addebitare molto di più per la pubblicità sulla sue reti. Fox News ha  beneficiato della nomina e dell’elezione di Donald Trump più che Trump abbia beneficiato delle dirette fatte dalle emittenti di Murdoch.

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump potrebbe affrontare coloro che traggono grandi profitti dall’immigrazione illegale e frontiere aperte?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump smaschererà e correggerà la corruzione nelle nostre agenzie di intelligence e negli uffici delle forze dell’ordine, come la CIA e l’FBI?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump organizzerà una campagna nazionale per porre un limite temporale per  i membri eletti del Congresso?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump imporrebbe il divieto agli ex membri del Congresso, o del ramo esecutivo, di esercitare pressioni dopo aver lasciato le alte cariche del governo?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump sfiderà il duopolio bipartitico che sta cercando di cancellare la nostra eredità, cancellare la nostra Costituzione e distruggere le stesse libertà che garantiscono lo stile di vita americano?

Ecco perché sono con Trump, ora più che mai.

 

Roger Stone

In “Competizione sistemica” con gli USA, di German-Foreign-Policy

Lo stiamo ripetendo da tempo. Ora c’è la conferma ufficiale. Non è però solo guerra commerciale. Le modalità di azione della guerra economica non si limitano ai dazi, alla politica monetaria, alla guerra dei tassi, alla regolamentazione dei flussi commerciali. Le sanzioni e le stesse scelte geopolitiche agiscono sulle scelte economiche. Queste ultime sono sempre più parte integrante delle dinamiche geopolitiche. Più la base egemonica si restringe, più i sottomessi sentiranno sulla propria pelle il peso del dominio.

Giuseppe Germinario

Si espande la guerra commerciale tra l’UE e gli Stati Uniti sui programmi di investimento statunitensi che attirano le industrie del futuro lontano dall’Europa. I manager avvertono di un “esodo industriale” negli Stati Uniti.

23
NOV
2022

BERLINO/WASHINGTON restringendo l’UE ai negoziati con gli USA. Secondo gli economisti, alla fine sono in gioco “un gran numero di industrie del futuro”. L’ex CEO di Siemens Joe Kaeser avverte persino di un “esodo industriale e di capitali dall’Europa” verso gli Stati Uniti.

“Compra americano”

I programmi di investimento statunitensi, del valore di centinaia di miliardi, che l’amministrazione statunitense ha lanciato nell’ultimo anno, sono ancora al centro del conflitto. Attualmente il dibattito si concentra sull’Inflation Reduction Act, che prevede quasi 400 miliardi di dollari USA per la decarbonizzazione, in particolare per l’energia verde e le auto elettriche.[1] Questi fondi sono estremamente attraenti per l’industria. L’acquisto di auto elettriche viene sovvenzionato con 7.500 dollari USA ciascuna. Tuttavia, solo le auto prodotte negli Stati Uniti sono sovvenzionate. Questo vale anche per i componenti, come le batterie. Anche le loro materie prime devono essere inizialmente estratte e lavorate al 40 e – a lungo termine – all’80 per cento negli Stati Uniti, o in alternativa in un Paese legato agli USA da un accordo di libero scambio. Ciò esclude la Cina, ma anche Germania e UE – non solo per singoli prodotti ma anche per intere catene di fornitura. Per poter beneficiare di questi programmi di investimento unici, alcune aziende hanno già iniziato ad espandersi all’interno oa creare nuovi siti negli Stati Uniti: si profila un trasferimento sistematico di segmenti significativi delle strutture produttive in Nord America.

„Un aspirapolvere per investimenti”

Ciò non riguarda solo l’industria automobilistica, compresi i suoi subappaltatori e la produzione di batterie. Si profilano già i primi ritardi nella costruzione pianificata di entrambe, una fabbrica di batterie Northvolt a Heide e l’espansione dello stabilimento Tesla a Grünheide vicino a Berlino, perché entrambe le società stanno dando la priorità alle loro attività negli Stati Uniti. I produttori di turbine eoliche possono anche sperare in sovvenzioni dall’Inflation Reduction Act se producono negli Stati Uniti. Secondo i rapporti, gli esperti della Commissione europea prevedono che le principali aziende di questo settore trasferiranno i loro siti produttivi negli Stati Uniti.[2] Christian Bruch, CEO di Siemens Energy, ha affermato che le risorse del settore per la transizione energetica saranno distribuite nei prossimi dodici mesi e “se l’Europa non reagisce, si investirà di più negli Stati Uniti che qui. ”[3] Uno sviluppo identico sta diventando evidente nell’industria dell’idrogeno, a causa degli alti sussidi e dell’energia molto più economica negli Stati Uniti. Jorgo Chatzimarkakis, segretario generale di Hydrogen Europe, prevede che gli Stati Uniti attireranno “investimenti… come un aspirapolvere”. potenziale è particolarmente problematico. Gli Stati Uniti potrebbero invece ora diventare i pionieri globali. l’UE vuole trasformarsi in industrie di punta della transizione energetica con un potenziale di espansione globale è particolarmente problematico. Gli Stati Uniti potrebbero invece ora diventare i pionieri globali. l’UE vuole trasformarsi in industrie di punta della transizione energetica con un potenziale di espansione globale è particolarmente problematico. Gli Stati Uniti potrebbero invece ora diventare i pionieri globali.

Cooperazione costosa

I programmi di investimento statunitensi potrebbero avere conseguenze ancora più gravi nell’Asia orientale, dove avranno un impatto su due stretti alleati degli Stati Uniti: il Giappone e la Corea del Sud. Considerando che almeno alcune delle case automobilistiche tedesche possono già beneficiare di questi sussidi, perché stanno producendo negli Stati Uniti – ad esempio la BMW 330e o presto la Mercedes EQS – questo varrà solo per la Nissan Leaf, tra le case automobilistiche asiatiche. Il governo giapponese ha presentato una protesta attraverso i canali diplomatici, senza alcun risultato. Tuttavia, i principali produttori giapponesi come Toyota e Honda hanno da tempo in programma di creare impianti di auto elettriche e batterie negli Stati Uniti. La Corea del Sud è più gravemente colpita. Hyundai, ad esempio, ha alcuni modelli di auto elettriche di successo, con i quali l’azienda è in competizione con la statunitense Tesla. Tuttavia, questi non vengono prodotti negli Stati Uniti e, pertanto, sono totalmente esclusi dai programmi di sovvenzione.[5] Ciò si è rivelato motivo di imbarazzo per il presidente della Corea del Sud Yoon Suk-Yeol. Da quando è entrato in carica lo scorso maggio, ha sostenuto le misure di Washington di ogni tipo, ad esempio favorendo la produzione di chip statunitense, correndo così il rischio di tensioni con la Cina. Ora si rende conto che la cooperazione con gli Stati Uniti è economicamente costosa per il suo paese.[6] C’è una rabbia enorme a Seoul. Ora si rende conto che la cooperazione con gli Stati Uniti è economicamente costosa per il suo paese.[6] C’è una rabbia enorme a Seoul. Ora si rende conto che la cooperazione con gli Stati Uniti è economicamente costosa per il suo paese.[6] C’è una rabbia enorme a Seoul.

“Compra europeo”

Un approccio deciso e consolidato, adottato da tutti gli Stati interessati, finora non ha avuto successo a causa della disunione all’interno dell’UE. La Francia preme per un’azione risoluta. A ottobre, il presidente Emmanuel Macron, in reazione alle normative statunitensi “Buy American”, aveva lanciato un appello per legiferare un “Buy European Act”, per proteggere il mercato dell’UE dalla concorrenza statunitense, o almeno fino a quando Washington lo sostiene il suo corso.[7] Il commissario francese per il mercato interno dell’UE, Thierry Breton, si è espresso a favore della “gestione del problema nell’ambito dell’OMC”, possibilmente anche presentando una denuncia all’OMC.[8] Tuttavia, il governo tedesco sta minimizzando. Ad esempio, il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, avrebbe affermato che “sono state avviate discussioni con gli americani”, in modo da “non entrare in una sorta di guerra commerciale. ”[9] Il ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner, ha avvertito che una guerra commerciale crea solo perdenti, “nessuno ne trarrà vantaggio”.[10] Il commissario europeo per il commercio Valdis Dombrovskis sta seguendo la linea di Berlino. “Vogliamo un accordo negoziato”, ha dichiarato Dombrovskis. “Sono favorevole a procedere per gradi. Ora stiamo discutendo”. Solo allora, quando “i risultati non soddisfano le nostre aspettative”, “prepariamo il passo successivo”. Naturalmente, forse allora sarebbe troppo tardi.[11] ” sarà “prepariamo il passo successivo”. Naturalmente, forse allora sarebbe troppo tardi.[11] ” sarà “prepariamo il passo successivo”. Naturalmente, forse allora sarebbe troppo tardi.[11]

Colloqui senza alcun risultato

Dal 4 novembre, infatti, si riunisce regolarmente una task force transatlantica, per trovare il modo di evitare danni all’Ue, fino ad ora – per quanto si sa – senza risultati tangibili. Un emendamento all’Inflation Reduction Act è considerato fuori discussione, anche perché il Congresso Usa dovrebbe essere favorevole, cosa ancora meno ipotizzabile ora, visti i risultati degli ultimi mid-term, in cui i repubblicani hanno ottenuto la maggioranza al Camera dei Rappresentanti. Teoricamente, sarebbero possibili modifiche ai regolamenti di attuazione, ma non c’è nulla che indichi che Washington sarebbe d’accordo su qualsiasi cosa al di là di semplici aggiustamenti estetici. Il 5 dicembre, il Consiglio per il commercio e la tecnologia (TTC) UE-USA dovrebbe riunirsi per affrontare la questione, ma le aspettative sono basse.

“Esodo industriale negli USA”

Nel frattempo, diversi economisti e manager hanno commentato le dimensioni della disputa commerciale. Ad esempio, Gabriel Felbermayr, direttore dell’Istituto austriaco di ricerca economica (WIFO) di Vienna, ritiene che questo conflitto offuschi la controversia sui sussidi Airbus-Boeing,[12] che aveva coinvolto solo “un singolo settore”, mentre nell’attuale conflitto , sono in gioco “molte industrie del futuro”.[13] Si dice che l’ex capo della Siemens Joe Kaeser abbia affermato che “in una certa misura” l’UE non è solo in “concorrenza sistemica” con la Cina, ma anche con gli Stati Uniti. Se si guarda ai programmi di investimento degli Stati Uniti e al dissenso all’interno dell’UE, si profila chiaramente “un esodo industriale e di capitali dall’Europa verso gli USA”.[14]

 

[1] Vedi anche Lotte di potere dietro il fronte (II) .

[2] Silke Wettach: Der falsche Freund. WirtschaftsWoche 18.11.2022.

[3], [4] Warum ein Handelskrieg zwischen USA und EU droht. spiegel.de 18.11.2022.

[5] Martin Kölling: „Verräter, Bastarde“ – Wie die USA enge Verbündete gegen sich aufbringen. www.handelsblatt.com 14.10.2022.

[6] Ellen Kim: la legge sulla riduzione dell’inflazione viene messa a fuoco all’UNGA. csis.org 22.09.2022.

[7] Clea Caulcutt: Emmanuel Macron chiede un “Buy European Act” per proteggere le case automobilistiche regionali. politico.eu 26.10.2022.

[8] Moritz Koch: „Die USA eröffnen faktisch ein Subventions-Rennen“ – Il commissario dell’UE ha detto a Washington. www.handelsblatt.com 03.11.2022.

[9] Dana Heide, Silke Kersting, Moritz Koch, Annett Meiritz, Klaus Stratmann: USA stemmen „größte Investitionen aller Zeiten“ fürs Klima – und lösen in Europa Ängste aus. www.handelsblatt.com 03.11.2022.

[10] Lindner befürchtet Blockbildung durch US-Gesetz. n-tv.de 17.11.2022.

[11] Markus Becker, Michael Sauga: Rechnen Sie mit einem Handelskrieg, Herr Dombrovskis? spiegel.de 18.11.2022.

[12] Cfr. anche Die nächste Strafzollrunde .

[13], [14] Warum ein Handelskrieg zwischen USA und EU droht. spiegel.de 18.11.2022.

https://www.german-foreign-policy.com/en/news/detail/9092

Analizzando l’interazione USA-Cina-Russia-India nella transizione sistemica globale, di Andrew Korybko

Si spera che l’intuizione di questa analisi possa aiutare a guidare la ricerca di altri nella transizione sistemica globale, che continuerà a svolgersi attraverso l’attuale “Età della complessità”. Senza apprezzare i ruoli, gli interessi e l’interazione tra questi giocatori di ciascuno di questi giocatori, i ricercatori non saranno in grado di produrre il lavoro più accurato possibile, ergo lo scopo di questo pezzo.

L’ordine mondiale multipolare

La transizione sistemica globale verso il multipolarismo , che ha preceduto l’ultima fase del conflitto ucraino ma ne è stata accelerata senza precedenti, ha contribuito direttamente a creare la Nuova Guerra Fredda tra il Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti il Global Sud innegabile. Ci sono quattro attori principali nella competizione mondiale: Stati Uniti, Cina, Russia e India, ognuno dei quali svolge un ruolo unico.

Il ruolo degli Stati Uniti

L’America vuole ritardare indefinitamente l’inevitabile declino della sua egemonia unipolare, a tal fine sta tentando di contenere contemporaneamente Cina e Russia. Gli Stati Uniti sembrano aver riconosciuto che la direzione multipolare della transizione sistemica globale è irreversibile dopo che il segretario stampa della Casa Bianca ha appena elogiato il crescente ruolo globale del primo ministro indiano Modi, nonostante il suo paese avesse precedentemente fatto pressioni affinché si sottomettesse. Ciò suggerisce una complementarità strategica che verrà toccata in seguito.

Il ruolo della Cina

Passando al ruolo della Cina, prevedeva di riformare gradualmente il modello di globalizzazione incentrato sull’Occidente, ma richiedeva l’assenza di conflitti tra le grandi potenze per avere successo. Di conseguenza, ” Il conflitto ucraino potrebbe aver già fatto deragliare la traiettoria della superpotenza cinese “, ma ciò non significa che non possa ancora essere la Grande Potenza economicamente più potente nell’emergente Ordine Mondiale Multipolare. Perché ciò accada, tuttavia, la transizione sistemica globale deve prima stabilizzarsi.

Il ruolo della Russia

L’ operazione speciale della Russia in Ucraina, iniziata per difendere l’integrità delle sue linee rosse di sicurezza nazionale lì dopo che la NATO le aveva attraversate clandestinamente, ha catalizzato una reazione a catena di conseguenze che hanno cambiato il mondo. Questo paese è stato improvvisamente catapultato a diventare il leader de facto del Movimento Rivoluzionario Globale (GRM) per porre fine radicalmente all’unipolarismo, fine a cui i suoi grandi interessi strategici sono ora serviti facilitando la completa decolonizzazione dell’Africa e l’ascesa delle grandi potenze eurasiatiche.

Il ruolo dell’India

La più importante tra le ultime categorie menzionate è indiscutibilmente l’India, che ha gestito magistralmente le conseguenze caotiche del conflitto ucraino attraverso la sua politica pragmatica di neutralità di principio nella Nuova Guerra Fredda per diventare il kingmaker in questa competizione mondiale. Al fine di aiutare il suo attento equilibrio tra il Golden Billion e il Sud del mondo di cui fa parte, l’India sta attivamente assemblando un nuovo Movimento dei non allineati (” Neo-NAM “) che spera di guidare in modo informale.

Gli interessi degli Stati Uniti

Avendo acquisito familiarità con i ruoli generali svolti da Stati Uniti, Cina, Russia e India nella transizione sistemica globale, è ora possibile vedere dove ciascuno si completa e contraddice l’altro. Gli Stati Uniti sperano di raggiungere una “nuova normalità” nella competizione sempre più tesa con la Cina attraverso una possibile nuova distensione; fantastica sulla ” balcanizzazione ” della Russia; e spera di utilizzare il Neo-NAM a guida informale indiana per gestire in modo più efficace la Repubblica popolare in tutto il Sud del mondo.

Gli interessi della Cina

Per quanto riguarda la Cina, anch’essa condivide l’interesse ad esplorare i parametri di una nuova distensione, purché non la portino a cedere unilateralmente sui suoi oggettivi interessi nazionali (il che spiega il successo degli incontri del presidente Xi con i suoi omologhi occidentali alla scorsa settimana G20); rimane impegnato a cooperare con la Russia al fine di riformare gradualmente il modello di globalizzazione incentrato sull’Occidente; e ha interessi simili rispetto all’India, in particolare nel fare da pioniere nel secolo asiatico .

Gli interessi della Russia

Per quanto riguarda la Russia, idealmente vorrebbe congelare la linea di controllo (LOC) in Ucraina tramite un accordo con gli Stati Uniti (nel cui scenario la sua operazione speciale sarebbe comunque un successo ); condivide la visione della Cina di riformare gradualmente il modello di globalizzazione incentrato sull’occidente; e sta dando la priorità all’India come suo principale partner nella transizione sistemica globale poiché quei due aspirano a creare congiuntamente un terzo polo di influenza ( insieme all’Iran ) per rompere l’ attuale impasse bi-multipolare di questa stessa transizione.

Gli interessi dell’India

L’India, a quanto pare, è indispensabile per tutti e tre i suoi pari. La sua crescente partnership strategica con gli Stati Uniti aiuterà questi due a raggiungere il loro obiettivo comune di gestire l’ascesa della Cina; il Neo-NAM che spera di guidare in modo informale ridurrà la pressione occidentale sulla Russia sbloccando una miriade di opportunità per Mosca in tutta l’Eurasia e nel resto del Sud del mondo; mentre il secolo asiatico di cui la Cina vuole aprire la strada è impossibile senza l’eguale partecipazione dell’India alla risoluzione delle loro controversie sui confini una volta per tutte.

Le contraddizioni degli Stati Uniti con i suoi pari

A parte la frase precedente sui piani dell’America di “balcanizzare” la Russia, l’intuizione precedente si è concentrata solo sulle possibili complementarità di ogni giocatore tra loro, quindi perché il seguito esaminerà ora le loro contraddizioni. Gli Stati Uniti temono la capacità della Cina di continuare a funzionare come il suo unico vero concorrente sistemico e potrebbero quindi sospettare che una nuova distensione potrebbe far guadagnare a Pechino il tempo necessario per guadagnare un vantaggio su di essa, mentre il Neo-NAM a guida informale indiana potrebbe eventualmente limitare l’influenza degli Stati Uniti.

Le contraddizioni della Cina con i suoi pari

La Cina considera anche gli Stati Uniti come il suo unico vero concorrente sistemico e potrebbe sospettare che una nuova distensione potrebbe far guadagnare a Washington il tempo di cui ha bisogno per ricalibrare la sua grande strategia al fine di contenere più efficacemente la Repubblica popolare in un secondo momento. Anche se Cina e Russia cooperano strettamente nella costruzione di istituzioni multipolari, la prima non si rende conto di come l’operazione speciale di quest’ultima abbia destabilizzato la globalizzazione, mentre non ha nemmeno piena fiducia che l’India non aiuterà gli Stati Uniti a contenerla.

Le contraddizioni della Russia con i suoi pari

La Russia non lo dirà mai apertamente, ma sembra risentirsi per il fatto che la Cina rispetti ufficiosamente molte delle sanzioni statunitensi contro di essa per paura che le sue società vengano colpite dalle cosiddette sanzioni secondarie che potrebbero ridurre la loro competitività globale nei confronti dell’America quelli, soprattutto in Europa. Non ci sono simili risentimenti nei confronti dell’India dal momento che il presidente Putin apprezza sinceramente la sua coraggiosa sfida alla pressione degli Stati Uniti e il continuo impegno per la loro partnership strategica che letteralmente cambia il mondo.

Le contraddizioni dell’India con i suoi coetanei

Proprio come la Russia non criticherà apertamente la Cina, nemmeno l’India criticherà apertamente gli Stati Uniti nonostante l’ intensa campagna di infowar di quest’ultimo contro i suoi legami con la Russia a causa dell’interesse di Delhi a mantenere relazioni cordiali con Washington per rimanere il kingmaker nella Nuova Guerra Fredda . Per quanto riguarda la Cina, l’India sospetta di voler diventare il “senior partner” del Secolo asiatico e imporre così un sistema unipolare al continente, mentre non sussistono dissensi o sospetti rispetto alla Russia.

La previsione politica degli Stati Uniti

Da questa rassegna degli interessi complementari e contraddittori di ciascun giocatore, è possibile raccogliere alcune informazioni sulle loro politiche potenzialmente imminenti. Gli Stati Uniti potrebbero pragmaticamente fare pressioni su Kiev affinché accetti un cessate il fuoco con la Russia o potrebbero prolungare artificialmente quella guerra per procura a tempo indeterminato; una nuova distensione con la Cina sarebbe reciprocamente vantaggiosa, ma solo se quei due prima ripristinassero una parvenza di fiducia, che non può essere data per scontata; e il Neo-NAM indiano ha la sua giusta quota di pro e contro per gli Stati Uniti.

Previsioni politiche cinesi

La Cina accetterà una nuova distensione con gli Stati Uniti solo se questi ultimi smettono di agitare le sciabole su Taiwan e compiono mosse tangibili nella direzione di porre fine gradualmente alla loro guerra commerciale o almeno di congelarla indefinitamente, nessuna delle quali è ancora avvenuta; le relazioni con la Russia rimarranno stabili ma non si prevede che si espandano in modo completo nel dominio economico fintanto che rimarranno in vigore le sanzioni statunitensi, che Pechino non violerà in modo significativo; e gli obiettivi massimalisti rendono improbabile una risoluzione della disputa sul confine indiano.

Previsioni politiche della Russia

Come accennato in precedenza, la Russia ha interesse a congelare la LOC in Ucraina al fine di consolidare i limitati successi della sua operazione speciale a fronte di crescenti battute d’arresto negli ultimi tempi, ma è improbabile che conceda ulteriore terreno come parte di un accordo speculativo; continuerà a cooperare con la Cina, ma rimarrà deluso dal fatto che Pechino abbia rispettato ufficiosamente le sanzioni statunitensi, erodendo così la fiducia nell’impegno del suo partner per il multipolarismo; mentre le relazioni con l’India continueranno a fiorire in tutti i regni.

Previsioni politiche dell’India

L’India non si schiererà dalla parte degli Stati Uniti nella Nuova Guerra Fredda, ma non si schiererà nemmeno contro gli altri, il che significa che il Neo-NAM che spera di guidare può essere un’efficace piattaforma di bilanciamento per tutte le parti; simile nello spirito al modo in cui l’India non concederà unilateralmente sui suoi oggettivi interessi nazionali di fronte alla pressione degli Stati Uniti per prendere le distanze dalla Russia, non concederà nemmeno la stessa di fronte a possibili pressioni cinesi sulla loro disputa sui confini; e per quanto riguarda la Russia, il loro asse multipolare in Eurasia continuerà a rafforzarsi.

Previsione dello scenario globale

Alla luce delle osservazioni di cui sopra, si possono prevedere i seguenti scenari: Stati Uniti e Cina continuano a esplorare seriamente i parametri di una nuova distensione al fine di restituire un senso di certezza al sistema globalizzato in cui entrambi hanno interessi altrettanto significativi (sebbene con diversi obiettivi in ​​mente); l’asse russo-indiano accelererà il declino dell’unipolarismo bilanciando pragmaticamente la Cina nel Sud del mondo; e il Neo-NAM a guida informale indiana sarà corteggiato dai tre pari di quel paese.

Punti in comune USA-Cina e Russia-India

Questa interazione tra i primi quattro attori della transizione sistemica globale appare la più probabile se si tiene conto dei loro ruoli e interessi, questi ultimi complementari e contraddittori. Gli Stati Uniti e la Cina sembrano curiosamente avere più cose in comune di quanto si possa pensare a prima vista a causa del loro ruolo di superpotenze (sia esistenti che speculativamente aspiranti), mentre lo stesso si può dire anche di Russia e India considerando il loro attuale ruolo di Grande Poteri.

Dinamiche contrastanti USA-Cina e Russia-India

Detto questo, i ruoli simili svolti da Stati Uniti e Cina significano anche che non si può escludere un’ulteriore competizione tra di loro poiché nessuno dei due si fida sinceramente dell’altro per non cercare di ottenere un vantaggio su di loro in una possibile Nuova Distensione. Nessuna diffidenza di questo genere caratterizza l’asse russo-indiano, tuttavia, né lo è mai stato da quando storicamente hanno goduto di relazioni così eccellenti che la loro partnership rappresenta un esempio di ciò che ogni coppia di paesi cerca di ottenere l’uno con l’altro nel migliore dei casi. .

Fattibilità contrastante tra Stati Uniti, Cina e Russia e India

Considerando tutto ciò, mentre non è chiaro se Stati Uniti e Cina metteranno da parte le loro divergenze per cercare di stabilizzare il sistema globale (indipendentemente da quanto tempo lo faranno e nonostante il loro successo o meno), non ci sono dubbi sul fattibilità dell’asse russo-indiano. La prima relazione rimarrà così pervasa dall’incertezza, mentre la seconda non ha alcuna possibilità credibile che emergano complicazioni irrisolvibili tra le sue metà costituenti.

Confronto dell’influenza USA-cinese e russo-indiana

Quindi, si può dire che queste coppie abbiano uguale influenza sugli affari globali a modo loro: il futuro dei legami USA-Cina ripristinerà una certa certezza e stabilità al sistema mondiale o accelererà ulteriormente la sua discesa nel caos; mentre il futuro dei legami russo-indiani continuerà a ripristinare i suddetti in Eurasia e infine nel resto del Sud del mondo indipendentemente dai legami delle superpotenze. Avvicinati da questa prospettiva, la Russia e l’India hanno un ruolo molto più importante di quanto molti potrebbero pensare.

Pensieri conclusivi

Complessivamente, si spera che l’intuizione di questa analisi possa aiutare a guidare la ricerca di altri nella transizione sistemica globale, che continuerà a svolgersi attraverso l’attuale “Età della complessità”. Senza apprezzare i ruoli, gli interessi e l’interazione tra questi giocatori di ciascuno di questi giocatori, i ricercatori non saranno in grado di produrre il lavoro più accurato possibile, ergo lo scopo di questo pezzo. Tutti guadagneranno su altri dagli Stati Uniti, dalla Cina, dalla Russia e dall’India contribuendo alla crescente letteratura su questo argomento.

https://korybko.substack.com/p/analyzing-the-us-chinese-russian?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=85531128&isFreemail=true&utm_medium=email

Cattolicesimo da una lira o da un (euro)dollaro?_di Roberto Buffagni

Pensierino sulla manifestazione per la pace in Ucraina. Meglio che niente, ma: a) è veramente curioso, e gravemente sbagliato, che i manifestanti tutti ritengano che il loro compito principale consista in 1) dare giudizi individuando “chi ha la colpa” 2) auspicare generiche utopie, basate su concetti che sono calorie vuote (tipo “la guerra è orrenda, la pace è bella e necessaria”). Particolarmente curioso e sbagliato quando questo combo proviene da organizzazioni cattoliche, perché in teoria il cattolicesimo, almeno il cattolicesimo di una volta, diciamo il cattolicesimo da una lira, aveva ben chiari alcuni punti chiave: a) sino alla Parusia, male, disordine, ingiustizia sono realtà permanenti, il principe di questo mondo è Satana b) scopo dell’azione politica, dunque, NON è realizzare il Regno della Giustizia su questa terra, ma porre un freno al male (rinvio alle sei biblioteche dedicate al tema del “kathecon”). c) dunque emettere giudizi morali sugli avvenimenti storici è possibile, a volte anche necessario, ma non costituisce il criterio ordinatore dell’azione politica d) il criterio dell’azione politica è invece, per dirlo con le parole di un grande studioso di scuola realistica – non credente – del Politico, Julien Freund, “antivedere il peggio e sventarlo”. Ora in questo caso “il peggio” – il peggio per l’Ucraina, per i paesi europei, per l’Italia, per l’umanità in generale, è – caso raro – chiaro come il sole. Il peggio è l’escalation della guerra sino a uno scontro diretto fra due grandi potenze nucleari. Per “sventarlo” è indispensabile che qualcuno costruisca le condizioni minime necessarie per un’apertura di trattativa diplomatica tra Russia, Stati Uniti e Ucraina. Le condizioni minime necessarie sono che Kiev e Washington smettano di enunciare obiettivi strategici estremistici, es. “si tratta solo quando i russi se ne vanno dalla Crimea e Putin non è più Presidente”, perché tentare di realizzarli implica una guerra di grandi proporzioni tra Occidente e Federazione russa, che può deragliare in uno scambio nucleare strategico. Quindi, chi sostiene l’Ucraina, come la UE e i paesi che la compongono, deve SMETTERLA di sostenere questi obiettivi, e condizionare l’appoggio a una riduzione degli obiettivi strategici del proprio campo; il che per di più è atto di puro buon senso ed eticamente più che giustificato: non si può sostenere un alleato dandogli carta bianca e accettando qualunque cosa faccia come cosa buona e giusta in quanto la vittima è lui, perché la sua politica coinvolge anche te. Ma il cattolicesimo da una lira è fuori corso, oggi c’è il cattolicesimo da un euro o da un dollaro che a quanto pare ha cambiato idea.

NB_tratto da https://www.facebook.com/roberto.buffagni.35

Politica estera tedesca in vendita _ Di  Ryan Bridge

Attendere sulla riva del fiume. Chi? Il cadavere o la pecorella smarrita? O la carcassa della pecorella?. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Politica estera tedesca in vendita

Berlino sta cercando di assicurarsi le migliori offerte per se stessa in un mondo sempre più biforcato.

Il mondo si sta dividendo in due campi rivali, uno guidato dagli Stati Uniti e l’altro dalla Cina, ma sembra che nessuno lo abbia detto ai tedeschi. Questa settimana, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha firmato l’acquisto da parte del colosso navale cinese COSCO di una partecipazione del 24,9% in un terminal portuale di Amburgo , annullando nel processo i suoi partner della coalizione e sei ministeri. Indignati, i ministeri controllati dai partner della coalizione di Scholz avrebbero apparentemente fatto trapelare i dettagli di una lettera formale in cui esponevano le loro obiezioni, affermando che l’investimento “espande in modo sproporzionato l’influenza strategica della Cina sulle infrastrutture di trasporto tedesche ed europee, nonché la dipendenza della Germania dalla Cina”.

Ma non è tutto. Dal 3 al 4 novembre Scholz guiderà una delegazione d’affari tedesca in Cina. Lo accompagneranno il presidente della Federazione delle industrie tedesche e gli amministratori delegati di Siemens e Volkswagen: Mercedes, Deutsche Bank e SAP hanno rifiutato di aderire. La visita solleva diversi interrogativi. Perché Berlino aveva fretta di approvare l’accordo sul porto di Amburgo prima del viaggio? Perché andare ora, quando l’unità occidentale contro la Russia e i suoi sostenitori (inclusa la Cina) è così critica, e quando Scholz vedrà comunque il presidente cinese Xi Jinping al vertice del G-20 a Bali alla fine di novembre? Perché andare da soli, e non come parte di un fronte comune, almeno con il presidente francese Emmanuel Macron? (Ricordate che quando ha invitato Xi a visitare Parigi nel 2019, Macron ha invitato l’allora cancelliera Angela Merkel e il presidente della commissione a partecipare, cosa che hanno fatto.) E perché portare dirigenti aziendali, quando la Germania è già fortemente dipendente dalla Cina,

Le esportazioni sono la linfa vitale dell’economia tedesca e le sue grandi aziende manifatturiere e chimiche hanno una forte influenza sulla politica tedesca. Inoltre non sono timidi nell’usarlo. Ad esempio, BASF ha affermato questa settimana che ridurrà “permanentemente” le sue operazioni europee a causa della debole crescita del mercato chimico europeo, dei picchi nei prezzi regionali del gas naturale e dell’elettricità e, in modo indiscutibile, dell’incertezza normativa indotta dall’UE. L’industria tedesca si è lamentata tutto l’anno che la perdita di gas russo a buon mercato rappresenta una minaccia esistenziale per le sue operazioni e, a sentire i capi dell’industria, per la nazione tedesca. Nonostante ciò, l’accordo sul porto di Amburgo e il viaggio d’affari a Pechino sono in definitiva decisioni politiche, che Scholz non ha dovuto prendere. Non c’è fretta: COSCO ha detto agli investitori che stava riconsiderando l’accordo dopo che Berlino ha ridotto la sua quota nel terminal portuale dal 35%, il che gli avrebbe dato una minoranza di blocco, per tranquillizzare i critici all’interno del gabinetto. E pubblicamente, almeno, non ci sono affari urgenti tra Berlino e Pechino che non possano aspettare che Scholz e Xi siano entrambi a Bali 12 giorni dopo. L’urgenza e il campanilismo si autoimpongono.

La dipendenza della Germania dalle esportazioni |  1970-2021
(clicca per ingrandire)

È anche inconcepibile che Scholz non sia a conoscenza degli attriti che questi sviluppi causeranno con gli alleati della Germania negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Ciò lascia due possibilità: in primo luogo, che Berlino stia tracciando una rotta non allineata nella nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina. O in secondo luogo, che sta tentando di assicurarsi il miglior rapporto possibile con la Cina ora, mentre c’è ancora tempo, al fine di bloccare opportunità economiche e rafforzare la sua posizione futura rispetto ai suoi partner.

Berlino ha un po’ di spazio di manovra. Un interessante effetto collaterale del pantano russo in Ucraina è che nel tempo diminuisce un elemento chiave dell’influenza degli Stati Uniti sulla Germania. La sicurezza tedesca ed europea è garantita dalla NATO, vale a dire dall’esercito americano. Ma l’alleanza è stata alla ricerca di una giustificazione per se stessa per gran parte del 21° secolo. L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha scioccato la NATO per la sua obsolescenza, ma la Russia sembra ogni giorno meno minacciosa. Le forze russe stanno cercando disperatamente di mantenere il misero territorio ucraino che hanno conquistato in otto mesi di combattimenti fino all’arrivo di rinforzi scarsamente addestrati. Lungi dal minacciare in modo credibile la NATO con la terza guerra mondiale, La strategia di Mosca sembra essere quella di sopravvivere fino a quando le società occidentali non perderanno interesse per l’Ucraina o non saranno sufficientemente allarmate per le minacce nucleari russe per fare marcia indietro. Tra cinque o 10 anni, è dubbio che la Russia rappresenterà una minaccia maggiore per la Germania di quanto non rappresenti oggi o di quanto si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi. è dubbio che la Russia rappresenterà per la Germania una minaccia maggiore di quella che rappresenta oggi o di quella che si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi. è dubbio che la Russia rappresenterà per la Germania una minaccia maggiore di quella che rappresenta oggi o di quella che si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi.

Allo stesso tempo, mentre Washington cerca di superare in astuzia Pechino, sta diventando più protezionista. I tedeschi sono furiosi per le disposizioni “Compra americani” nella legge sulla riduzione dell’inflazione del presidente Joe Biden, che favoriscono i veicoli elettrici di produzione nazionale. Può avere senso per la Casa Bianca difendere la propria base industriale per competere con la Cina, ma le case automobilistiche tedesche non capiscono perché dovrebbero essere escluse anche loro. Ciò è tanto più allarmante per la Germania perché, lungi dall’abbandonare il suo modello di crescita trainata dalle esportazioni, Berlino vuole raddoppiare, come dimostrano le sue considerazioni sulla riapertura dei colloqui di libero scambio con Washington .

Il problema della Germania è che il suo modello economico è così dipendente dal commercio che la sua politica estera è effettivamente in vendita, ma può solo prendere seriamente in considerazione un’offerta: quella americana. La NATO potrebbe non essere necessaria per la sicurezza immediata della Germania, ma fornisce comunque l’ordine su cui la Germania ha costruito la sua intera grande strategia. Il fulcro della forza economica della Germania è il suo dominio sul mercato europeo, che viene a costo di dare il veto ad altri 26 governi su aspetti della sua definizione delle politiche. La Russia potrebbe non spaventare la Germania ora o nei prossimi anni, ma i paesi tra di loro non si sentiranno allo stesso modo. Costretti a scegliere tra, diciamo, un controverso accordo di investimento UE-Cina o garanzie di sicurezza americane contro Mosca, gli europei dell’est sceglieranno gli americani. Il governo di Scholz non ha dato all’est alcuna ragione per ritenere che Berlino sia in grado o sia disposta a sostituire le garanzie statunitensi. Berlino sta cercando di indebolire il veto dei suoi partner con aproposta di procedura accelerata di approvazione del commercio , che metterebbe da parte i parlamenti nazionali e interromperebbe gli accordi commerciali in modo che le parti che contano di più per la Germania possano essere votate separatamente (e solo dai leader nazionali). Tuttavia, ciò non eliminerebbe la leva statunitense. Forse ancora più importante, nel frattempo, la leva energetica degli Stati Uniti sull’Europa è destinata a salire, poiché il Continente aspira il gas naturale liquefatto degli Stati Uniti al posto del gas russo.

L’economia tedesca farà fatica a far fronte a un mondo diviso in blocchi rivali. Potrebbe ancora negare il disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina. Più probabilmente, sta cercando di sfruttare al meglio il tempo e di sfruttare al meglio le sue possibilità per ottenere il miglior affare possibile per se stesso. Con un po’ di fortuna, la Cina gli farà concessioni nel disperato tentativo di rompere il fronte USA-UE. I flirt di Scholz con Xi potrebbero spingere gli Stati Uniti a prendere in considerazione le preoccupazioni dei suoi alleati quando faranno mosse future per danneggiare la Cina o aiutare se stessa. Ma alla fine, la Germania non ha nessun altro posto dove andare e non ha la volontà di provare a creare una terza via.

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UNA TANGENTOPOLI PER UNA NUOVA ARCHITETTURA ISTITUZIONALE E TERRITORIALE DELL’UNIONE EUROPEA (UE). di Luigi Longo

UNA TANGENTOPOLI PER UNA NUOVA ARCHITETTURA ISTITUZIONALE E TERRITORIALE DELL’UNIONE EUROPEA (UE).

di Luigi Longo

 

 

E’ noto anche se non conosciuto che i vaccini non proteggono dal virus Sars Cov-2 né tantomeno impediscono il diffondersi della malattia da Covid-19 soprattutto quando vengono iniettati in piena pandemia! (1)

Tutti ricordiamo le parole terroristiche di Mario Draghi, che non si discostano da quelle usate dagli altri sub-decisori europei, << Due cose. L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire sostanzialmente – non ti vaccini, ti ammali, muori – oppure fai morire – non ti vaccini, ti ammali, contagi lui lei muore -, questo è. Secondo. Senza vaccinazione si deve chiudere tutto, di nuovo. Noi sappiamo ora che il vaccino si sta diffondendo. Sappiamo anche che grazie alla vaccinazione le conseguenze sui ricoverati in terapia intensiva e sui morti sono molto, molto meno serie di quelle che abbiamo visto, fino a 4 mesi fa. Mi fermo qua.>> (2).

Sono note, perché vissute sulla pelle della popolazione, le nefaste conseguenze delle scelte di politica sanitaria fatte ai diversi livelli nazionale, europeo e mondiale per arginare la cosiddetta pandemia. Scelte che nulla hanno avuto a che fare con la salute della popolazione ma molto hanno avuto a che fare con il conflitto tra le potenze mondiali nell’attuale fase multicentrica (3). A tal proposito riporto quanto ho scritto di recente << L’intervento di politica sanitaria per bloccare la pseudo pandemia tramite i soli vaccini prodotti in maniera superficiale, rozza e antiscientifica è la prova provata dell’utilizzo della malattia covid-19 per altri fini (politici, economici, sociali, istituzionali, geopolitici) e non certamente per tutelare la salute delle popolazioni. Parlo di sieri genici, non vaccini, avallati oltre che dalle interessate Big Pharma, soprattutto da tutte le istituzioni mondiali scientifiche e non: si pensi, per esempio, alla formazione dei protocolli secretati della produzione dei cosiddetti vaccini, al non controllo pubblico degli effetti sulla popolazione, all’assurdità antiscientifica di vaccinare una popolazione in piena pandemia, al divieto di curare con farmaci efficaci (comuni antivirali, antibiotici, anti-infiammatori e immunostimolanti/modulanti, eccetera) la malattia, salvando vite umane così come hanno dimostrato, nella pratica e scientificamente, i medici italiani che hanno rifiutato le indicazioni del Ministero della Sanità (quale decisore servile risponderà di questo genocidio?!), fino alla durata della produzione dei vaccini: occorrono mediamente 10 anni per produrre seriamente e scientificamente un vaccino! >>

Oggi la Covid-19 è diventata endemica e dovrebbe essere trattata come una normale influenza, salvo riutilizzarla come strumento per completare le strategie dei sub-decisori in tema di ristrutturazione economica, di rimodellamento della sanità, di riconsiderazione della mobilità sociale, di riscrittura delle leggi di stato di eccezione, di un riuso diverso della città e del territorio, eccetera. A tal riguardo sottolineo che << il virus Sars Cov-2 è lo strumento per ridisegnare, nella fase multicentrica, una nuova architettura economica (conflitto nelle sfere economica e finanziaria), sociale, politica, istituzionale (conflitto nelle sfere istituzionale, politica, lavoro, giuridica) e territoriale dei singoli Paesi (conflitto nelle sfere geopolitica, geoeconomica e geoideologica) e per rideterminare le aggregazioni di Paesi e di aree intorno ai centri-potenza (USA in relativo declino, Cina e Russia in ascesa) in conflitto per l’egemonia mondiale (dominio assoluto per gli USA, dominio condiviso per la Cina e per la Russia) >>.

In questi giorni circolano sui mass-media due notizie: la prima riguarda la dichiarazione dell’eurodeputato olandese Rob Roos che svela tramite la dichiarazione della Janine Small (presidente della sezione Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali) che il cosiddetto vaccino Pfizer non ferma la trasmissione del virus Sars-Cov-2 (4); la seconda concerne l’attacco alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sulle trattative parallele per l’acquisto di dosi di vaccino Pfizer (l’Ufficio del Procuratore pubblico europeo (EPPO) (5) ha aperto un’inchiesta sulla fornitura di vaccini all’Unione europea) (6).

E’ utile sottolineare che l’attacco alla Presidente della Commissione europea è partito da una rivelazione del quotidiano statunitense The New York Times (7).

Perchè proprio ora viene lanciato un pesante attacco alla Presidente della Commissione europea, l’organo preposto alla gestione e alla esecuzione delle strategie statunitensi nel conflitto apertosi in questa fase mondiale multicentrica? Perché gli USA, proprio in questa fase della loro guerra contro la Russia, via Ucraina-Nato-UE, tentano di destabilizzare l’organo di esecuzione e di gestione delle loro strategie di dominio?

La mia ipotesi, tutta da approfondire, è che gli USA, terminato il progetto UE e sostituito con il progetto-trasformazione Nato (8), hanno bisogno di cambiare, di costruire una nuova architettura istituzionale e territoriale (di potere, non di dominio!) più adatta alla Nato e alle esigenze della fase multicentrica. Non occorre più l’unità economico-finanziaria della UE (coordinata dal vassallo tedesco e dal valvassore francese) con la sua architettura istituzionale e territoriale finalizzata ad un modello di sviluppo, subordinato e integrato a quello egemonico statunitense (americanizzazione del territorio europeo), proprio della fase monocentrica occidentale fino al 1990-1991 (implosione URSS) e mondiale fino al 2011 (chiara ascesa delle due potenze mondiali Cina e Russia). Parlo di unità economico-finanziaria dell’UE e non di unità politica perché l’UE non è mai stata, per ovvi motivi, un soggetto politico autonomo e autodeterminato in relazione ad altri territori mondiali (occidentali ed orientali); ne è una conferma ulteriore il ruolo che sta svolgendo nella guerra contro la Russia che, in maniera servile, si sta autodistruggendo socialmente, economicamente, territorialmente e culturalmente seguendo la crisi del declino irreversibile degli Usa (che è crisi dell’intera civiltà occidentale).

Può l’Europa, intesa come territorio geografico e spazio geopolitico, essere autonoma e libera quando è occupata dalle basi militari Usa-Nato? Ma davvero si può essere liberi con una occupazione militare di fatto? E’ difficile capire questa semplice e nello stesso tempo complessa situazione oggettiva che preclude qualsiasi idea di sviluppo altro e impedisce di avere un ruolo di interconnessione nelle relazioni tra Occidente e Oriente?

Il progetto Nato per il controllo e la presa sull’Europa è quello che più si addice nella fase multicentrica dove la sfera militare assume un ruolo particolare nelle strategie degli agenti strategici egemonici statunitensi (9). Per questa ragione la nuova strategia Usa, iniziata con Donald Trump, punta ad avere una relazione asimmetrica bilaterale con le singole nazioni europee (si veda l’esempio dell’attuale crisi della Germania (10)) sotto il coordinamento della Nato (11).

La gravità per le nazioni europee è data dal fatto che mentre nella suddetta fase monocentrica gli Usa avevano un modello economico, sociale, politico e culturale capace di egemonia mondiale; nell’attuale fase multicentrica gli Usa (in declino relativo ma irreversibile) non sono più in grado, per il conflitto non più componibile degli agenti strategici, di proporre un nuovo modello di sviluppo, capace di fare sintesi nazionale e proiettarsi come potenza mondiale, da contrapporre a quello avanzato dalla Cina, motore del costituendo polo asiatico in grado di sfidare gli Usa per un mondo multicentrico e non monocentrico ad immagine e somiglianza statunitense (12).

L’attacco alla Presidente della Commissione europea può essere considerato, fatte le dovute differenze storicamente date, come una tangentopoli europea (preciso, a mio modo di vedere, che la separazione dei poteri nella realtà non esiste, ma esiste lo scontro tra i poteri per il dominio) che dà la stura formale ad un processo di cambiamento per una nuova architettura di controllo e gestione del territorio europeo che passa attraverso il progetto Nato strumento fondamentale a livello mondiale delle strategie statunitensi per contrastare la configurazione e l’ascesa del polo asiatico.

All’interno di questo quadro (proprio in virtù del fatto che l’UE è un processo di integrazione per competizione e non per cooperazione di sistemi nazionali, nel quale ci sono precise gerarchie statunitensi che impediscono una Europa delle nazioni) leggo il ruolo che possono svolgere i sub-decisori europei cosiddetti sovranisti. Essi possono distruggere la vecchia struttura e costruirne una nuova finalizzata non ad un nuovo modello sociale europeo autodeterminato con uno sviluppo a tutto tondo ma a eseguire gli ordini per la costruzione di un nuovo spazio europeo utile alle strategie di dominio degli agenti strategici statunitensi; e, in specifico, i sub-decisori sovranisti italiani (supportati dal Presidente Sergio Mattarella e da Mario Draghi, l’attuale e futuro presidente della Repubblica, i veri garanti della servitù volontaria verso gli Usa) possono svolgere un ruolo non secondario per la realizzazione di una nuova Europa nella fase multicentrica.

 

 

 

NOTE

 

1.Per una storia delle pandemie si rinvia a Mark Honigsbaum, Pandemie. Dalla Spagnola al Covid-19, un secolo di terrore e ignoranza, Ponte alle Grazie, Milano, 2020. Si suggerisce una lettura critica soprattutto per quanto concerne sia la mancanza delle relazioni tra pandemie e rapporti sociali sia l’assenza delle pandemie come strumento di conflitto tra potenze mondiali; per un’ottima descrizione del conflitto nella scienza e nella sanità si rimanda al racconto fatto da Louis-Ferdinand Cèline sulla vita di uno degli eroi scientifici dell’Ottocento: Ignazio Filippo Semmelweis, il debellatore dell’infezione puerperale. Lo stesso conflitto è successo, fatte le dovute differenze storiche, con la Covid-19: della serie tutto torna, ma in maniera diversa. Il libro è Louis-Ferdinand Cèline, Il dottor Semmelweis, Adelphi edizioni, Milano, 2022.

2.Conferenza stampa del Presidente Draghi e dei ministri Cartabia e Speranza, www.governo.it/articolo/conferenza-stampa-draghi-cartabia-speranza/17515 , 22/7/2021.

3.Sono inquietanti le logiche del potere e del dominio quando negli USA (scienziati della Boston University) si continua a sviluppare la branca della scienza mefitica della Gain of Function, che producono virus chimerici, cioè manipolati geneticamente, per inventare una malattia nell’eventualità che un giorno esista davvero, si veda Redazione Adnkronos, Covid, più ceppo Omicron Wuhan: creato virus mortale all’80%, www.adnkronos.com/covid-omicron-piu-ceppo-wuhan-creato-virus-mortale-all80_5VZlE0SrurJ9z7EnOt2tZ0, 18/9/2022.

4.Si veda l’ottima ricostruzione della Enrica Parucchietti, Vaccini mai testati sulla trasmissione: l’ammissione di Pzifer sbugiarda media e autorità, https://www.lindipendente.online/2022/10/13/vaccini-mai-testati-sulla-trasmissione-lammissione-di-pfizer-sbugiarda-media-e-autorita/ , del 13/10/2022.

5.Per informazione ideologica sull’EPPO si rimanda al sito europeo https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eppo/. Per svelare il ruolo dell’EPPO riporto quanto affermato su di esso da Cesare Sacchetti << Vedo che alcuni stanno esultando perché l’ufficio del procuratore pubblico europeo (EPPO) ha aperto una inchiesta sulla fornitura di vaccini all’Unione europea. Non vorrei essere troppo brutale, ma probabilmente alcuni non sanno che tale ufficio non è un corpo indipendente come dichiara.

Questo organo lavora per l’UE ed è pagato dall’UE. La sua regolamentazione è prevista nei trattati. L’UE voleva dimostrare ipocritamente di essere trasparente e ha creato questo ufficio il cui compito non è quello di scoprire i crimini commessi dai commissari europei, ma di certificare, su mandato della stessa UE, che nulla è accaduto.

A Bruxelles sono anni che i presidenti della Commissione e i commissari ricevono tangenti da case farmaceutiche e potentati industriali. Sapete quanti grossi affari illeciti comunitari ha fatto scoprire l’EPPO? Zero. I deputati europei che vendono l’inchiesta dell’EPPO come un grande “successo” non stanno aiutando a far venire fuori la verità sui vaccini. Stanno proteggendo la Pfizer >> in https://www.maurizioblondet.it/a-noi-che-abbiamo-sperato-nella-incriminazione-di-ursula/, 16/10/2022.

6.Sull’inchiesta dell’EPPO si veda Tommaso Lecca, La Procura europea apre un’indagine sull’acquisto dei vaccini contro il Covid da parte di Bruxelles, https://europa.today.it/attualita/procura-europea-indagine-vaccini-von-der-leyen.html.

7.https://www.nytimes.com/2021/04/28/world/europe/european-union-pfizer-von-der-leyen-coronavirus-vaccine.html.

8.Luigi Longo, Il progetto dell’Unione europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

9.Luigi Longo, La Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 30/7/2022.

10.Thierry Meyssan, Che giochi fanno Stati Uniti e Germania?, www.voltairenet.org, 18/10/2022.

11.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia. Prima parte, www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019.

12.Sul ruolo della Cina considerata dagli Usa “l’unico concorrente con l’intento e, sempre più, la capacità di rimodellare l’ordine internazionale.”, si veda Mike Whitney, La guerra tecnologica di Biden diventa nucleare, www.comedonchischiotte.org ,19/10/2022.

 

 

Fermare la guerra! A quali condizioni?_di Giuseppe Germinario

Siamo al nono mese di guerra in Ucraina. Al progressivo e sempre più evidente coinvolgimento degli Stati Uniti e al trascinamento dei paesi della Alleanza Atlantica in Europa, corrisponde un affievolimento dell’entusiasmo, che in Italia per la verità non ha raggiunto mai vette eccelse, nel sostegno al regime ucraino. Non è ancora una opposizione aperta, anche perché in Italia manca totalmente una leadership politica in grado di alimentarla, sostenerla e dirigerla con discernimento. Il senso di inquietudine e di malessere, però, è palpabile e crescente.

Sarà il rischio sempre più evidente di uno scontro militare aperto che vedrebbe per la terza volta l’Europa come il campo di battaglia di un confronto che vede questa volta, a differenza delle altre due, negli Stati Uniti, un paese separato da un oceano e nella Russia, un paese immerso in due continenti con un piede ben saldo nel 40% del territorio europeo; sarà per le drammatiche conseguenze delle sanzioni, nominalmente volte a punire la Russia, di fatto a stroncare l’Europa, in primis Germania, Francia e Italia. Persino il nostro ceto politico, così entusiasticamente ed acriticamente schierato nel sostenere l’avventurismo statunitense, comincia a intravedere l’arrivo di fosche nubi all’orizzonte e a percepire la difficoltà nel dover gestire una situazione potenzialmente esplosiva.

Flebili voci iniziano ad alzarsi per “fermare la guerra” e “raggiungere la pace”. Un coro al quale partecipano anche i partigiani più oltranzisti nel sostegno al regime ucraino, alimentando con questo la confusione e gli equivoci nei quali rischierà di affogare ogni iniziativa seria e realistica. Una situazione non nuova nel panorama politico italiano così magmatico e paludoso.

Su questo tocca dare ragione a Calenda e alla sua chiarezza inequivocabile di schieramento. Ci è toccato vedere addirittura il PD manifestare per la pace di fronte alla ambasciata russa, dimenticandosi degli altri attori geopolitici coinvolti a pieno titolo. L’unico segno di cautela, dubito di ritegno, la fine di ogni velleità di assunzione di un ruolo di mediatore, resa provocatoria dall’atteggiamento del Governo Draghi.

Ogni presa di posizione credibile ed ogni iniziativa realistica non può prescindere dalle risposte da dare a tutta una serie di interrogativi rimossi dai facitori di opinione pubblica e dai costruttori di consenso:

  • Come mai gli Stati Uniti non hanno sottoscritto gli accordi di Minsk?

  • Come mai gli Stati Uniti hanno pesantemente armato, organizzato ed integrato, nella fase di latenza degli accordi, l’esercito ucraino con caratteristiche sempre più offensive e si sono spinti sino a sottoscrivere con il regime ucraino, nell’ottobre 2021, un accordo di mutuo soccorso che prevedeva addirittura l’insediamento di un consolato in Crimea?

  • Con quali finalità gli Stati Uniti hanno finanziato ed insediato, con la partecipazione del Pentagono e dei Servizi, decine di laboratori bio-chimici a ridosso dei confini con la Russia?

  • Come mai Francia e Germania hanno dimenticato di esercitare il proprio ruolo di garanti, previsto dagli accordi di Minsk?

  • Quale il motivo della rimozione riguardo alla natura del regime ucraino, nato dal peccato originale di un colpo di stato nel 2014, mosso da una strage ad opera di provocatori ormai in gran parte noti a piazza Maidan, proseguita con altre stragi ed esecuzioni ad Odessa, Melitopol e in tutta l’area russofona e russofila del paese, andata avanti con la progressiva messa al bando di partiti dell’opposizione, siano essi russofili, neutralisti o solo critici del crescente interventismo del regime ucraino?

  • Quale il motivo del silenzio sulle aperte discriminazioni nei confronti della componente russa e russofona, pari a ben oltre il 40% della popolazione originaria dell’Ucraina al 2014, culminata col la legge di tutela delle sole minoranze prive di statualità o con statualità interne alla Unione Europea?

  • Perché il sistema mediatico e politico, nella quasi totalità, continua ad omettere la esistenza e la dimensione reale delle stragi di propri civili, perpetrate coscientemente dall’esercito ucraino a fronte della continua segnalazione di stragi da parte russa, per altro in gran parte smentite dalla documentazione disponibile?

Tutti interrogativi posti non solo in nome di una esigenza astratta di verità o nel caso peggiore da una inconscia e acritica partigianeria e tifoseria a favore di uno dei contendenti, quanto dalla risposta dalla quale dipende una corretta e realistica azione tesa ad una tregua e ad un accordo possibile tra le parti.

Una tregua e un accordo che dipendono sostanzialmente da una premessa e da quattro determinanti necessarie a definire l’ambiente ecologico del teatro ucraino.

La premessa è che nel diritto e nelle convenzioni internazionali viene riconosciuta la facoltà di intervento bellico preventivo in caso di minaccia diretta, così come argutamente stigmatizzato dal professor Sinagra. Una situazione che andrebbe quantomeno approfondita, ma che i politici e l’informazione occidentale si sono ben guardati dall’analizzare sul campo. A questa segue il fatto che il principio di integrità territoriale di uno stato è contemperato dal diritto di autodeterminazione dei popoli, meglio se regolato secondo dinamiche concordate e vigilate nella loro osservanza dagli organismi internazionali. Nel contesto post-sovietico vi è comunque una fase di transizione che dovrebbe essere regolata secondo accordi politici che considerino i contenziosi inevitabili e le implicazioni per le nuove minoranze venutesi a determinare. Quello della discriminazione delle minoranze russe nei paesi seceduti dalla Unione Sovietica, poi denominata CSI, in particolare. L’azione statunitense, della NATO e della Unione Europea ha alimentato queste contrapposizioni piuttosto che risolverle o contenerle in funzione delle sue politiche espansive e russofobiche.

Quanto alle determinanti da tenere conto quanto segue:

  • non si può prescindere dal carattere di guerra civile, col tempo sempre più virulento, assunto dal conflitto militare in Ucraina;

  • né si deve sottovalutare la capacità operativa e di supporto delle forze militari e del complesso militare-industriale russo; sopravvalutare, sino a ritenerlo illimitato, quelli degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica;

  • riuscire ad individuare i limiti e la soglia sulla quale è disposta a fermarsi la leadership statunitense. Limiti e soglia non predeterminati dalla amministrazione americana, ma dipendenti dall’andamento del feroce scontro politico in corso all’interno della stessa e tra questa e l’opposizione sempre più strutturata del movimento trumpiano;

  • dalla volontà di una qualche parte delle élites politiche europee di inserirsi in quello scontro per far uscire il continente o almeno parte di esso dalla morsa mortale e suicida in cui si è progressivamente cacciato in un contesto paradossale nel quale la Russia sembra subire i maggiori problemi nel proprio vicinato prossimo, ma, assieme a Cina e India, sembra acquisire crescenti consensi nel resto del mondo a discapito del mondo occidentale.

Tutti fattori che rendono improponibile un mero ritorno agli accordi di Minsk, ma la cui azione protratta nel tempo renderà sempre più costoso il prezzo da pagare in caso di cedimento e più rischiosa l’eventualità di un azzardo.

Una cornice realistica che potrebbe definire un “manifesto alla nazione”, una piattaforma in grado di fermare la corsa alla guerra e al disastro socioeconomico cui stiamo andando incontro e che superi le due tare che inibiscono lo sviluppo di un movimento politico maturo ed efficace: la partigianeria e la tifoseria che, ad armi impari, comunque pervade gli schieramenti in campo; il massimalismo di una opposizione strisciante ma irrilevante che, sull’onda di slogan facili quali l’uscita dalla NATO, senza comprendere le pesanti, probabilmente drammatiche, implicazioni nel tempo e nel merito che una tale decisione comporterebbe, è destinata a rinchiudersi nel ruolo di testimonianza, di contestazione di comodo o di azioni avventate; la strumentalizzazione a fini di gestione partitica interna di iniziative per altri versi significative.

La leadership turca, ungherese, probabilmente quella futura bulgara e moldava, il passato gaullista della Francia mostrano la possibilità di azione entro i comunque angusti spazi offerti dal sistema di Alleanza Atlantica: offrono spazi, per di più, anche a quei settori sempre più presenti, che pur intendendo rimanere fedeli all’alleanza, intendono garantire un ruolo più autonomo al proprio paese. E qualche pallidissima traccia di questo atteggiamento lo si può rilevare persino nei programmi elettorali di alcuni partiti, quali la Lega. Che poi nel tempo, questa sia una posizione realistica, sarà tutta da dimostrare.

L’importante è sapere che più va avanti il processo di integrazione della alleanza, più sarà difficile e doloroso districarsi dai suoi tentacoli; in tutti gli ambiti, non solo quello militare. Ne parleremo quando approfondiremo il contenuto del NSS, appena prodotto dalla amministrazione statunitense

La guerra in Ucraina è una strana nebbia: sappiamo tutto sui dettagli, niente sull’essenza_di Vincze Hajnalka

Il termine “nebbia di guerra” si riferisce originariamente alla difficoltà di un accurato allineamento nel fervore della battaglia, quando si può solo brancolare alla cieca nel mezzo dell’incertezza generale. A prima vista, ciò che sta accadendo in Ucraina è l’esatto opposto. Non solo gli operatori di telefoni cellulari e i blogger locali condividono ogni minimo dettaglio, ma anche alcune agenzie di intelligence occidentali stanno gentilmente rendendo pubbliche le loro ultime valutazioni. Tuttavia, l’oscurità non si è dissipata, ma solo trasferita dalle briciole di cronaca del presente alle forze trainanti del passato e agli scenari del futuro. Di certo non spontaneamente. L’occultamento del quadro analitico a fini politici, tuttavia, non è privo di pericoli. I decisori – ora anche in Occidente – possono essere sempre più prigionieri della nebbia che hanno creato loro stessi. Nel frattempo, la posta in gioco continua a salire.

Una delle novità della guerra in corso è che le agenzie di intelligence occidentali (soprattutto americane e britanniche) sono diventate attori attivi nella comunicazione strategica, con un’apertura e una regolarità mai viste prima. Il ministero della Difesa britannico condivide quotidianamente “rapporti aggiornati dell’intelligence militare” sull’Ucraina su Twitter, Facebook e LinkedIn. Con il suo logo imponente e tutti i segni esterni di professionalità, crea contemporaneamente l’illusione di un’informazione imparziale e di un’iniziazione ai segreti più intimi. Naturalmente, gli agenti dell’intelligence non sono diventati improvvisamente tali stronzi per pura gentilezza, svolgendo una sorta di compito di servizio pubblico globale. Anche se non assumiamo una disinformazione intenzionale, possiamo supporre che le loro informazioni siano pesantemente filtrate in base alle priorità del loro governo prima di essere condivise.

Mentre il linguaggio delle organizzazioni di intelligence occidentali si è notevolmente irrigidito, tra gli esperti è successo il contrario: o si allineano o sono stigmatizzati. Ci si sta pian piano abituando alle obbligatorie cautele che vanno aggiunte a dichiarazioni analitiche che vogliono essere un po’ più indipendenti: “La Russia è l’aggressore”, “nessuno ha provocato” l’attacco , “la responsabilità dell’intero corso della il conflitto è esclusivamente con Mosca”.. Mentre la prima affermazione è un’evidenza ovvia, le altre due sono affermazioni che – in circostanze normali – sarebbero oggetto di infiniti dibattiti tra esperti. Prima dello scoppio della guerra, un buon numero dei più famosi ricercatori americani e dell’Europa occidentale, ad esempio, ammetteva: dal crollo dell’Unione Sovietica, le politiche dell’Occidente – soprattutto, la deliberata mancata chiusura dell’espansione della NATO – ha fortemente contribuito a far arrabbiare Mosca.

Quanto all’andamento del conflitto: l’inizio dell’attacco armato è sfociato davvero in una nuova – drammatica – situazione. Tuttavia, in risposta a ciò, non c’era ovviamente un unico percorso, ma una moltitudine di opzioni. Come sempre, i decisori hanno scelto tra questi quello che consideravano il più adatto dal proprio punto di vista. E da allora è stato così ogni giorno. Tuttavia, anche la qualità e l’entità delle sanzioni, delle spedizioni di armi e del linguaggio utilizzato come reazione occidentale alle azioni della Russia hanno delle conseguenze. E proprio come può plasmare la dinamica della crisi nella direzione della risoluzione, può anche portare a un’escalation. Tuttavia, menzionare tutto questo è attualmente un grave peccato, adducendo la stessa mentalità di natura diversa degli ultimi due anni e mezzo: la negazione del dogma russo.Come se non fosse evidente che la sfumatura non è parzialità, la spiegazione non è addolcimento.

Da ciò, è chiaro che ci sono parecchi casi in cui lo scopo è distorcere deliberatamente i fatti: per quanto ne sappiamo, il regime di Putin non risparmia soldi ai politici e agli opinionisti occidentali per sostenerlo e fargli luce. D’altra parte, è un male in passato – e usando il noto colpo di scena: vincerebbe il nemico – se dovessimo usarlo come riferimento al principio del pluralismo di opinione, e il dibattito legittimo diventerebbe impossibile . La “cultura della cancellazione” può imperversare contro coloro che sono fuori dal mainstream, e può emergere il metodo utilizzato più di recente in caso di epidemia: screditare e mettere a tacere. Michele BrenneroProfessore, noto specialista in relazioni transatlantiche e politica estera americana, ha anche annunciato: non continuerà. Anche negli ambienti professionali, le sue posizioni pubblicate, tipicamente dubbiose, sulla guerra in Ucraina sono state accolte con un conformismo così intenso e unanime, e sono state accolte con un’accoglienza incline agli attacchi personali, in cui non c’era possibilità di una discussione significativa. Come ha detto: ci sono stati segni di “nichilismo intellettuale” negli ultimi tempi, ma durante la sua lunga carriera non ha vissuto niente del genere.

Il presidente Zelensky è arrivato al punto di pubblicare una lista nera di esperti e politici americani che non gli piacevano.E chi l’ha preso e perché? Il senatore Rand Paul, per esempio, perché, secondo lui, l’America ha provocato la Russia con l’espansione della NATO. Da allora, ha anche affermato: se i soldi dei contribuenti americani vengono spesi per sostenere l’Ucraina, allora dovrebbe almeno essere discusso quali siano esattamente gli interessi e gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto. Edward Luttwak, un esperto militare, una volta disse che varrebbe la pena indire un referendum nelle repubbliche separatiste, e ha anche osato parlare dei rischi della guerra nucleare, diventando così anche un “propagandista russo”. E non importa che fin dal primo giorno sostenga personalmente e faccia pressioni per un aumento delle spedizioni di armi in Ucraina. John Mearsheimer, figura di spicco della scuola realista delle relazioni internazionali, è stato messo nella lista della vergogna per aver menzionato il senso di minaccia russo.

OBIETTIVI, RISCHI, QUADRO INTERPRETATIVO COMPLESSO? CI SONO MOLTE COSE CHE POSSONO ATTIRARE L’ETICHETTA DI “TRADITORE” O “MERCENARIO PUTIN” AL MOMENTO.

Scenari cattivi e peggiori
La contestualizzazione sarebbe essenziale per una valutazione fattuale delle varie opzioni. Conoscendo gli antecedenti e le forze trainanti, si può solo dire per chi e dove vengono tracciate le linee rosse veramente invalicabili, e quali concessioni possono essere ancora accettabili . Ciò è particolarmente importante in un momento in cui la guerra è chiaramente entrata in una nuova fase con il contrattacco ucraino, l’aumento del supporto militare occidentale, i “referendum” di adesione e la mobilitazione russa. Quella in cui Mosca dice sempre più apertamente: a quanto pare, non è contro Kiev, ma contro Washington (e dietro la Nato) in Ucraina. E dove i protagonisti non si sottraggono più alle offerte nucleari. E dove anche il presidente Putin – e l’Occidente – devono fare i conti con la politica interna russa improvvisamente esplosiva.

In questa situazione, la prima domanda logica è cos’altro ha Mosca in termini di capacità militari. Per quanto strano, nulla è certo: gli analisti militari – anche sulle colonne dell’eccellente rivista britannica Survival – ammettono di oscillare tra gli estremi della sopravvalutazione e della sottovalutazione. Ma supponiamo che dopo questa esibizione, il presidente Putin sorprenderà tutti. Tira fuori le armi iper-super mai menzionate, le schiera in modo massiccio ed efficiente e tutto questo con un esercito coeso ed entusiasta. La NATO/America potrebbe fare due cose al riguardo. O si fa avanti e aumenta la sua partecipazione ai combattimenti (ma l’Alleanza, che è stata tenuta insieme fino ad ora, probabilmente va in pezzi al solo pensiero, cioè un conflitto nucleare si concluderebbe tangibilmente per sua stessa decisione), oppure lasciare in pace i difensori della loro patria, finora “costa quel che costa, dura finché dura”. In fondo incoraggiava e appoggiava gli ucraini (questo, però, non richiederebbe solo una spiegazione imbarazzante davanti al proprio pubblico parere, ma l’avversario principale è la Cina.

Tuttavia, se il presidente Putin non può tirare fuori nulla dal cilindro che possa chiaramente ribaltare la situazione a suo favore militarmente, allora teoricamente ci si possono aspettare due sviluppi estremi.

Uno di questi è l’opzione nucleare, di cui si è molto parlato di recente. Le riflessioni su questo portano tutte allo stesso punto: la sua probabilità può essere solo indovinata, nessuno può vedere nella mente del presidente. Nel caso di una centrale nucleare, è in definitiva una questione soggettiva quando considera che il Paese è in pericolo terminale, e quando decide – contro quale obiettivo e in quale forma – che il vantaggio di ribaltare il tabù nucleare è superiore a quello rischi. L’altra possibilità che si presenta sempre più spesso è la caduta di Putin.Mentre molte persone in Occidente sperano nella salvezza da questo, i baltici, che conoscono più da vicino la situazione russa, si raffreddano. Il segretario di Stato del ministero della Difesa lettone ha recentemente avvertito i suoi visitatori americani che “il periodo post-Putin sarà anche peggiore di quello attuale”. Ha delineato tre possibilità: o una leadership ancora più “stalinista” di quella odierna arriverà a Mosca, o le lotte di potere interne si trascineranno, o una completa disintegrazione con piccoli signori della guerra e milizie qua e là. Né è una prospettiva molto rassicurante in un paese con quasi seimila testate nucleari.

La soluzione è la stessa dall’inizio
Alla luce di ciò, uno degli aspetti più sorprendenti del conflitto in Ucraina è particolarmente bizzarro: finora non c’è stata alcuna seria iniziativa esterna per avviare negoziati di pace. Il momento più vicino alle parti per raggiungere un accordo basato su concessioni reciproche è stato ai colloqui di cessate il fuoco a Istanbul alla fine di marzo: le potenze occidentali hanno agito dappertutto come attive contropressioni. Come allora, come da allora , e anche prima della guerra, si conoscevano le linee fondamentali di un accordo equilibrato e sostenibile a lungo termine.

TUTTAVIA, MAN MANO CHE IL CONFLITTO SI TRASCINA, QUESTO DIVENTA SEMPRE PIÙ DIFFICILE: AUMENTANO IL NUMERO DELLE RIMOSTRANZE E IL DESIDERIO DI VENDETTA DA PARTE UCRAINA, MENTRE LA PARTE RUSSA È SEMPRE PIÙ CHIUSA IN UNA SPIRALE DI VIOLENZA.

Mosca – in preda al panico palpabile – si mobilita, chiede un referendum sull’annessione dei territori e grida “non sto bluffando” dispiegando “tutti i mezzi a sua disposizione”. Nel frattempo, il presidente Zelensky rifiuta l’idea di qualsiasi tipo di negoziazione sulla Cnn, e ovunque, anche all’Onu, grida che la Russia sia “punita”. E Washington – senza la quale l’Ucraina non sarebbe in piedi economicamente e militarmente, nonostante tutta la sua perseveranza e coraggio – lascia le cose così. Non si ferma nemmeno quando il governo ucraino propone sulle colonne del quotidiano britannico Guardian un attacco nucleare preventivo contro Mosca. Il che, nella logica del dare e avere delle strategie nucleari, equivarrebbe al suicidio per gli Stati Uniti.

Non c’è da stupirsi che, di fronte al tono sempre più aspro e alle prospettive sempre più cupe, la politica estera francese, che con discrezione ed entusiasmo ha preso strade separate e ha mantenuto il dialogo con il presidente Putin, sia ora ripresa. All’inizio di settembre, alla conferenza annuale degli ambasciatori, Emmanuel Macron ha dichiarato:

“Diplomazia significa parlare con tutti, compresi quelli e soprattutto quelli con cui non siamo d’accordo. Non possiamo lasciarci impantanare dal falso moralismo”.

Come in risposta a ciò, l’ex primo ministro danese e segretario generale della NATO Rasmussen (che è stato definito dal defunto presidente francese Jacques Chirac solo come “l’uomo degli americani”) ha recentemente affermato: Il presidente Macron ha “danneggiato l’Ucraina, indebolito Kiev “durante la sua ricerca di una soluzione diplomatica. Al ritorno dall’annuale Assemblea generale dell’Onu, però, il presidente francese ha ripetuto ancora: “il conflitto non può che finire al tavolo delle trattative”. La domanda è quanto dovremmo sbrigarci.

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