La questione della minoranza alevita in Turchia e la sua identità religiosa, di Vladislav B. Sotirovic

Le ragioni attuali del tentennamento, di fatto l’ostracismo, delle élites europee ed europeiste ad una integrazione della Turchia nella Unione Europea sono riconducibili, anche a ragioni religiose, ma prevalentemente alla riviviscenza di stampo ottomano tesa a creare una propria area di influenza ed un campo allargato di azione in aperto conflitto con le dinamiche geopolitiche di tanti paesi europei, al peso demografico ed economico e allo spirito identitario di quel paese, alle ambizioni sull’area turcomanna. Ambizioni e politiche che potranno essere ridimensionate e ricondotte all’ordine solo nel caso improbabile di riaffermazione dell’unipolarismo statunitense o di una forma addomesticata di bipolarismo. L’uso della religione, da parte di Erdogan, aspetto comunque fondamentale della vita e dell’immaginario turco, pare soprattutto strumentale, anche se molto spesso si rischia di rimanere vittime dei propri stessi strumenti. Restano molto importanti ed interessanti, comunque, le considerazioni e le ricostruzioni del professor Sotirovic. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La questione della minoranza alevita in Turchia e la sua identità religiosa

Introduzione

Fino ad oggi, la possibilità di organizzare un referendum nazionale sull’adesione della Turchia all’Unione Europea (UE), non ancora espressa dal Presidente della Turchia R.T. Erdoğan, ha aperto molte questioni di natura diversa, seguite da problemi vecchi e nuovi.

L’attuale preoccupazione politica europea si riflette in molte questioni controverse e una delle più importanti riguarda la decisione dell’UE di accettare o meno la Turchia come Stato membro a tutti gli effetti (è uno Stato candidato dal 1999). Da un lato, la Turchia è governata come una democrazia laica da leader politici islamici moderati, che cercano di svolgere un ruolo di ponte tra il Medio Oriente e l’Europa. Dall’altro lato, però, la Turchia è un Paese quasi al 100% musulmano con una marea crescente di radicalismo islamico (soprattutto dopo l’aggressione israeliana del 2023 a Gaza e la pulizia etnica dei palestinesi gazani), circondato da vicini con un problema simile.

Tutti coloro che si oppongono all’ammissione della Turchia nell’UE hanno due argomenti fondamentali: 1) i cittadini turchi musulmani (70 milioni) non si integreranno mai adeguatamente nell’ambiente europeo, che è prevalentemente cristiano; e 2) in caso di adesione della Turchia, si riaccenderanno gli scontri storici tra i turchi (ottomani) e i cristiani europei. In questa sede faremo riferimento solo a una dichiarazione contro l’adesione della Turchia: “significherebbe la fine dell’Europa” (ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing) – una dichiarazione che riflette chiaramente l’opinione dell’80% degli europei intervistati nel 2009, secondo cui l’ammissione della Turchia all’UE non sarebbe una buona cosa. Allo stesso tempo, solo il 32% dei cittadini turchi ha un’opinione favorevole dell’UE e, pertanto, è molto probabile che il processo di ammissione, per il quale sono stati avviati negoziati formali e rigorosi già nel 2005, sia definitivamente interrotto.

Fondamentalismo islamico e ammissione della Turchia all’UE

La questione dell’ammissione della Turchia all’UE è vista dalla maggioranza degli europei attraverso la lente del fondamentalismo islamico come una delle sfide più gravi alla stabilità e soprattutto all’identità europea, che si basa principalmente sui valori e sulla tradizione cristiana. Il fondamentalismo islamico è inteso come un tentativo di minare le pratiche statali esistenti per la stessa ragione per cui i musulmani militanti (come ISIS/ISIL/DAESH) combattono per ristabilire il Califfato islamico medievale e l’istituzione di un’autorità teocratica sulla comunità islamica globale – la Umma. Tuttavia, il fondamentalismo religioso si è imposto per la prima volta all’attenzione della parte occidentale della comunità internazionale nel 1979, quando in Iran una monarchia assoluta filoamericana è stata sostituita da una semi-teocrazia musulmana sciita (Shiia) antiamericana. In altre parole, i chierici musulmani sciiti iraniani, che erano sempre stati i leader spirituali degli iraniani, divennero ora anche i loro leader politici. La rivoluzione islamica iraniana del 1979 ha fatto pensare a possibili rivolte simili in altre società musulmane, seguite da azioni preventive contro di esse da parte di altri governi.

Lo scenario più pericoloso per la Turchia, dal punto di vista europeo, in caso di fallimento dei negoziati di adesione, è probabilmente quello di una virata turca verso il mondo musulmano, seguita da un’influenza crescente del fondamentalismo islamico che può essere adeguatamente controllata dall’UE se la Turchia diventa uno Stato membro del club? Questo è, probabilmente, il fattore di “sicurezza” più importante da notare per quanto riguarda le relazioni UE-Turchia e i negoziati di adesione. In particolare, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre (a Washington e New York), è diventato sempre più chiaro che era meglio avere la Turchia (islamica) all’interno dell’UE piuttosto che come parte di un blocco anti-occidentale di Stati musulmani.

In generale, per i governi occidentali e soprattutto per le amministrazioni statunitense e israeliana, i musulmani sciiti sono stati considerati, dopo la rivoluzione islamica (sciita) iraniana del 1979, come i più potenziali fondamentalisti islamici e terroristi religiosi. Pertanto, l’oppressione delle minoranze sciite da parte delle maggioranze sunnite in diversi Paesi musulmani non viene deliberatamente registrata e criticata dai governi occidentali. Il caso degli Alevi in Turchia è uno dei migliori esempi di questa politica. Tuttavia, allo stesso tempo, l’amministrazione dell’UE sta prestando la massima attenzione alla questione curda in Turchia, richiedendo persino il riconoscimento dei curdi da parte del governo turco come minoranza etnoculturale (diversa dall’etnia turca). Perché gli Aleviti sono discriminati da questo punto di vista dalla politica dell’UE sulle minoranze in Turchia? La risposta è che i curdi sono musulmani sunniti, mentre gli aleviti sono considerati una fazione turca della comunità musulmana sciita (militante) all’interno del mondo islamico.

Nei prossimi paragrafi, vorrei fare maggiore chiarezza sulla questione di chi sono gli Alevi e di cosa sia l’Alevismo come identità religiosa, tenendo conto del fatto che la religione, senza dubbio, è diventata sempre più importante sia negli studi che nella pratica delle relazioni internazionali e della politica globale. Dobbiamo anche tenere presente che l’identità religiosa è stata predominante rispetto alle identità nazionali o etniche per diversi secoli, essendo in molti casi la causa cruciale dei conflitti politici.

Che cos’è l’alevismo?

Gli Alevi sono quei musulmani che credono nell’Alevismo, che è, di fatto, una setta o una forma di Islam. Soprattutto in Turchia, l’alevismo è una seconda setta comune dell’Islam. Il numero di Aleviti si aggira tra i 10-15 milioni. Il nome della setta deriva dal termine Alevi che significa “seguace di Ali”. Alcuni esperti di studi islamici sostengono che l’alevismo sia un ramo dello sciismo (Islam sciita), ma, di fatto, la umma alevita non è omogenea e l’alevismo non può essere compreso senza un’altra setta islamica – il bektashismo. Ciononostante, la cultura alevita ha prodotto molti poeti e canzoni popolari, oltre al fatto che il popolo alevita sta affrontando molti problemi di vita quotidiana per vivere secondo il proprio credo nell’Islam.

Gli Aleviti (turco: Aleviler o Alevilik; curdo: Elewî) sono una comunità religiosa, sub-etnica e culturale turca che rappresenta allo stesso tempo la più grande setta dell’Islam in Turchia. L’alevismo è una forma di misticismo islamico o sufismo che crede in un unico Dio accettando Maometto come Profeta e il Sacro Corano. Il popolo alevita ama l’Ehlibeyt – la famiglia del Profeta Muhammad -, unificare la preghiera e la supplica, pregare nella propria lingua, preferire la persona libera anziché la Umma (comunità musulmana), preferire l’amore per Dio anziché il timore di Dio, superare la Sharia raggiungendo il mondo reale, credere alla genuinità del Sacro Corano anziché alla rasatura. L’Alevismo ha trovato la sua cura nell’amore umano; essi credono che le persone siano immortali perché una persona è manifestata da Dio. Donne e uomini pregano insieme, nella loro lingua, con la loro musica che viene suonata via bağlama, con il semah. L’alevismo è un insieme di credenze che dipende dalle regole dell’Islam che si basano sul Sacro Corano, secondo gli ordini di Maometto; interpretando l’Islam con una dimensione universale, apre nuove porte ai popoli della terra. Il sistema di credenze degli Aleviti è islamico con una tripletta composta da Allah, Maometto e Ali.
Ci sono molte argomentazioni forti sul rapporto tra alevismo e sciismo. Alcuni ricercatori affermano che l’alevismo è una forma di sciismo, mentre altri sostengono che l’alevismo è settario. Dobbiamo tenere presente che lo sciismo è il secondo tipo di Islam diffuso nel mondo dopo il sunnismo. Si tratta di un ramo dell’Islam che viene chiamato Partito di Ali per il motivo che riconosce la pretesa di Ali di succedere a suo cugino e suocero, il Profeta Maometto, come leader spirituale dell’Islam durante la prima guerra civile nel mondo islamico (656-661). Nella maggior parte dei Paesi islamici i sunniti sono in maggioranza, ma gli sciiti comprendono circa 80 milioni di fedeli, ovvero circa il 13% di tutti i musulmani del mondo. Gli sciiti sono predominanti in tre Paesi: Iran, Iraq ed Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, l’alevismo non può essere inteso come identico al sufismo, che è l’aspetto mistico dell’Islam sorto come reazione alla rigida ortodossia religiosa. I sufi cercano l’unione personale con Dio e i loro omologhi cristiano-ortodossi nel Medioevo erano i bogumil.

Indubbiamente, l’alevismo ha alcuni temi simili a quelli dello sciismo ma, allo stesso tempo, ci sono molte differenze per quanto riguarda la pratica generale dell’Islam. Tuttavia, in alcuni testi occidentali, l’alevismo viene presentato come un ramo dello sciismo o, più specificamente, come una via turca o ottomana dello sciismo.

Scissione all’interno dei musulmani

Dobbiamo tenere presente che l’espansione islamica nel VII e nell’VIII secolo è stata accompagnata da conflitti politici che hanno fatto seguito alla morte del Profeta Maometto, e la questione di chi abbia il diritto di succedergli sta dividendo il mondo musulmano ancora oggi. In altre parole, alla morte del Profeta fu scelto un califfo (successore) per governare tutti i musulmani. Tuttavia, poiché il califfo non aveva l’autorità profetica, godeva di un potere secolare ma non di un’autorità nella dottrina religiosa. Il primo califfo fu Abu Bakr, che insieme ai suoi tre successori è considerato il califfo “giustamente guidato” (o ortodosso). Essi governarono secondo il Corano e le pratiche del Profeta, ma in seguito l’Islam si divise in due rami antagonisti: Sunniti e Sciiti.

La divisione tra sunniti e sciiti ebbe inizio quando Ali ibn Abi Talib (599-661), genero ed erede di Maometto, assunse il califfato dopo l’assassinio del suo predecessore Uthman (574-656). La guerra civile si concluse con la sconfitta di Ali e la vittoria del cugino di Uthman e governatore di Damasco, Mu’awiya Ummayad (602-680) dopo la battaglia di Suffin. Tuttavia, quei musulmani (come gli aleviti, ad esempio) che sostenevano che Ali fosse il legittimo califfo presero il nome di Shiat Ali – i “Partigiani di Ali”. Essi ritengono che Ali sia stato l’ultimo califfo legittimo e che, pertanto, il califfato debba passare solo a coloro che sono discendenti diretti del Profeta Maometto attraverso sua figlia Fatima e Ali, suo marito. Il figlio di Ali, Hussein (626-680), rivendicò il Califfato, ma gli Ummayadi lo uccisero insieme ai suoi seguaci nella battaglia di Karbala nel 680. Questa città, oggi nell’Iraq contemporaneo, è il luogo più sacro per i musulmani sciiti (sciismo). Nonostante il fatto che la linea familiare del Profeta Maometto si sia conclusa nell’873, i musulmani sciiti credono che l’ultimo discendente di Maometto non sia morto, poiché è piuttosto “nascosto” e tornerà. Queste interpretazioni sciite di base della storia dell’Islam sono seguite dal popolo alevita e, pertanto, molti ricercatori considerano l’alevismo semplicemente come una fazione dello sciismo.

Il ramo dominante dell’Islam è quello sunnita. I musulmani sunniti, a differenza dei loro avversari sciiti, non chiedono che il califfo sia un discendente diretto del Profeta Maometto. Accettano anche le usanze tribali arabe nel governo. Secondo il loro punto di vista, la leadership politica è nelle mani della comunità musulmana in quanto tale. Tuttavia, di fatto, il potere religioso e politico dell’Islam non fu mai più unito in una comunità politica dopo la morte del quarto califfo.

L’alevismo nell’Islam
Gli aleviti credono in un unico Dio, Allah, e quindi l’alevismo, come forma di Islam, è una religione monoteista. Come tutti gli altri musulmani, gli aleviti comprendono che Dio è in ogni cosa che circonda la natura. È importante notare che ci sono aleviti che credono negli spiriti buoni e cattivi (e in una sorta di angeli) e, quindi, spesso praticano la superstizione per trarre beneficio da quelli buoni ed evitare danni da quelli cattivi. Per questo motivo, per molti musulmani l’alevismo non è un vero e proprio Islam, ma piuttosto una forma di paganesimo intriso di cristianesimo. Tuttavia, la maggioranza degli aleviti non crede in questi esseri soprannaturali, affermando che si tratta di un’espressione del satanismo.

L’essenza dell’alevismo sta nel fatto che gli aleviti credono che, secondo il testo originale del Corano, Ali, cugino e genero di Maometto, doveva essere il successore del Profeta come vice-reggente di Dio sulla terra o califfo. Tuttavia, essi sostengono che le parti del Corano originale relative ad Ali sono state eliminate dai suoi rivali. Secondo gli aleviti, il Corano, in quanto libro sacro fondamentale per tutti i musulmani, deve essere interpretato esotericamente. Per loro, nel Corano ci sono verità spirituali molto più profonde delle rigide regole e norme che appaiono sulla superficie laterale. Tuttavia, la maggior parte degli scrittori aleviti cita singoli versetti coranici come appello all’autorità per sostenere il proprio punto di vista su un determinato argomento o per giustificare una certa tradizione religiosa alevita. Gli aleviti in genere promuovono la lettura del Corano piuttosto in lingua turca che in arabo, sottolineando che è di fondamentale importanza per una persona capire esattamente ciò che sta leggendo, cosa che non è possibile se il Corano viene letto in arabo. Tuttavia, molti aleviti non leggono il Corano o altri libri sacri, né basano le loro credenze e pratiche quotidiane su di essi, poiché considerano questi libri antichi irrilevanti al giorno d’oggi.

Gli aleviti leggono tre libri diversi. Se secondo loro non c’è un’informazione corretta nel Corano, poiché i sunniti hanno corrotto le parole autentiche di Maometto, è necessario rivelare i messaggi originali del Profeta attraverso letture alternative. Pertanto, i credenti aleviti si rivolgono (1) al Nahjul Balagha, le tradizioni e i detti di Ali; (2) ai Buyruk, le raccolte di dottrina e pratiche di diversi dei 12 imam, in particolare di Cafer; e (3) ai Vilayetnameler o ai Menakıbnameler, libri che descrivono eventi della vita di grandi aleviti come Haji Bektash. Oltre a questi libri fondamentali, ci sono alcune fonti speciali che partecipano alla creazione della teologia alevita, come i poeti-musicisti Yunus Emre (13-14° secolo), Kaygusuz Abdal (15° secolo) e Pir Sultan Abdal (16° secolo).

Il fondamento dell’alevismo è l’amore per il Profeta e l’Ehlibeyt. I dodici Imam sono glorificati come divinità dagli aleviti. In attesa della ricomparsa dell’ultimo Imam (capo religioso musulmano), i musulmani sciiti hanno istituito un consiglio speciale composto da 12 studiosi religiosi (Ulema) che eleggono un Imam supremo. Ad esempio, l’Ayatollah (“Uomo Santo”) Ruhollah Khomeini (1900-1989) godeva di questo status in Iran. La maggior parte degli aleviti crede che il 12° Imam, Muhammed Mehdi, sia cresciuto in segreto per essere salvato da coloro che volevano sterminare la famiglia di Ali. Molti aleviti credono che Mehdi sia ancora vivo e/o che un giorno tornerà sulla terra. Secondo gli aleviti, Ali era il successore previsto di Muhammed, e quindi il primo califfo, ma i concorrenti gli hanno sottratto questo diritto. Muhammed intendeva che la guida di tutti i musulmani derivasse perennemente dalla sua linea familiare (Ehli Beyt), a partire da Ali, Fatima e i loro due figli, Hasan e Hüseyin. Ali, Hasan e Hüseyin sono considerati i primi tre Imam, mentre gli altri nove dei 12 Imam provengono dalla linea di Hüseyin. Per ricordare, i nomi e le date approssimative di nascita e morte dei 12 Imam sono:

İmam Ali (599-661)
İmam Hasan (624-670)
İmam Hüseyin (625-680)
İmam Zeynel Abidin (659-713)
İmam Muhammed Bakır (676-734)
İmam Cafer-i Sadık (699-766)
İmam Musa Kâzım (745-799)
İmam Ali Rıza (765-818)
İmam Muhammed Taki (810-835)
İmam Ali Naki (827-868)
İmam Hasan Askeri (846-874)
İmam Muhammed Mehdi (869-941).

Per gli aleviti, essere una persona veramente buona è una parte inalienabile della loro filosofia di vita. È importante notare che gli Aleviti non si rivolgono alla Pietra Nera (Kaaba) che si trova alla Mecca, nell’Arabia Saudita sunnita, e, come è noto, i membri della comunità musulmana devono visitarla per il Hajj almeno una volta nella vita. Il primo digiuno degli aleviti non è nel Ramadan, ma nel mese di Muharram e dura 12 giorni, non 30. Il secondo digiuno per loro è dopo la Festa del Sacrificio per 20 giorni e un altro è il digiuno Hizir. Nell’Islam c’è una regola per cui se una persona ha abbastanza soldi, dovrebbe donare a un povero una somma specifica, ma gli aleviti preferiscono donare denaro alle organizzazioni alevite e non ai singoli. Poiché non si recano alla Mecca per il Hajj, visitano alcuni mausolei, come quello di Haji Bektaş (a Kırşehir), Abdal Musa (nel villaggio di Tekke, Elmalı, Antalya), Şahkulu Sultan (a Merdivenköy, İstanbul), Karacaahmet Sultan (a Üsküdar, İstanbul) o Seyit Gazi (a Eskişehir).

Bektashismo
Haji Bektash (Bektaş) Wali era un turkmeno nato in Iran. Dopo essersi laureato, si era trasferito in Anatolia. Educò molti studenti e lui e i suoi studenti prestarono molti servizi religiosi, economici, sociali e marziali ad Ahi Teşkilatı. Haji Bektash iniziò gradualmente ad essere popolare tra il distaccamento militare d’élite ottomano – i giannizzeri. Tuttavia, egli non era di origine alevita, ma adottò le regole dei credenti aleviti nella sua vita personale. Questa setta, o forma di Islam, fu fondata nel nome di Haji Bektash Wali i cui membri dipendono dall’amore di Ali e di dodici imam. Il Bektashismo era popolare in Anatolia e nei Balcani (soprattutto in Bosnia-Erzegovina e in Albania) ed è vivo ancora oggi.

Nel corso del tempo, il Bektashismo si è perfezionato prendendo alcune caratteristiche delle vecchie credenze dell’Anatolia e della cultura turca. Tuttavia, il Bektashismo è la parte più importante dell’Alevismo, poiché molte regole del Bektashismo sono incorporate nell’Alevismo. Per i credenti aleviti, il mausoleo di Haji Bektash Wali a Nevşehir, in Anatolia, è un punto importante del pellegrinaggio. Infine, in Turchia, il Bektashismo e l’Alevismo non possono essere trattati come concetti diversi della teologia islamica.

Problemi e difficoltà degli aleviti nella storia ottomana e in Turchia
Quando lo Stato ottomano fu fondato alla fine del XIII secolo e all’inizio del XIV secolo, non vi erano frizioni settarie all’interno dell’Islam. A quel tempo, gli aleviti occupavano molte poltrone nelle istituzioni statali. I giannizzeri (in origine la guardia del corpo del Sultano) erano membri del Bektashismo, il che significa che anche il Sultano tollerava pienamente questo modo di interpretare il Corano e la prima storia dell’Islam. Tuttavia, quando lo Stato ottomano fu coinvolto nel processo di trasformazione imperialistica con l’annessione di province e Stati circostanti, il sunnismo divenne sempre più importante perché i musulmani sunniti stavano diventando una netta maggioranza del Sultanato ottomano e, quindi, il sunnismo era molto più utile per l’amministrazione statale e il sistema di governo. Lo Stato ottomano fu coinvolto a est nella catena di conflitti con l’Impero Safavide (Persia, oggi Iran, 1502-1722) – un Paese con una netta maggioranza di musulmani che esprimevano lo sciismo, una forma di Islam molto simile all’alevismo. Il gruppo Alevi, che si lamentava di essere più sunnita nel Sultanato ottomano, divenne simpatizzante dello scià safavide İsmail I (1501-1524) e del suo Stato, che si basava sull’alevismo. L’astio tra gli aleviti ottomani e le autorità ottomane divenne più evidente nel 1514, quando il sultano ottomano Selim I (1512-1520) giustiziò circa 40.000 aleviti insieme al popolo curdo durante la decisiva battaglia di Chaldiran (23 agosto) in Iran contro lo scià Ismail I. Fino alla fine del Sultanato ottomano, nel 1923, gli aleviti sono stati oppressi dalle autorità in quanto credenti settari che non si adattavano alla teologia ufficiale sunnita dell’Islam.

Dopo la fine dell’Impero Ottomano, nel 1923, gli aleviti sono stati accolti con gioia nei primi anni della nuova Repubblica di Turchia, che proclamava dichiaratamente la segregazione della religione dallo Stato, il che significava in pratica che non esisteva alcuna religione di Stato ufficiale nel Paese. La popolazione alevita della Turchia ha appoggiato la maggior parte delle riforme con la speranza di migliorare il proprio status sociale. Tuttavia, dopo i primi anni del nuovo Stato, hanno iniziato a sperimentare alcune difficoltà in quanto, di fatto, minoranza religiosa. Gli anni Sessanta furono molto importanti per la società turca per almeno tre motivi: (1) l’inizio dell’immigrazione dalle aree rurali a quelle urbane in seguito a un nuovo processo di industrializzazione; (2) l’immigrazione all’estero, soprattutto verso la Germania occidentale, in base all’accordo turco-tedesco, il cosiddetto Gastarbeiter Agreement; (3) un’ulteriore democratizzazione della vita politica. Di conseguenza, nel 1966 gli aleviti hanno fondato un proprio partito politico, il Birlik Partisi (Partito dell’Unità). Nel 1969, gli aleviti, in quanto gruppo minoritario, hanno inviato otto membri al Parlamento in base ai risultati delle elezioni parlamentari. Tuttavia, nel 1973, il partito aveva inviato solo un membro al Parlamento e infine, nel 1977, aveva perso la sua efficienza. Nel 1978, a Maraş e nel 1980, a Çorum, centinaia di aleviti sono stati uccisi come conseguenza del conflitto con la popolazione a maggioranza sunnita, ma il più noto massacro alevita è avvenuto nel 1993, il 2 luglio, a Sivas, quando 35 intellettuali aleviti sono stati uccisi nell’hotel Madimak da un gruppo di fondamentalisti religiosi.

Indubbiamente, i credenti aleviti devono affrontare ancora oggi molti problemi in Turchia in relazione alla libertà di espressione religiosa e al riconoscimento come gruppo culturale separato. Ad esempio, i programmi di studio religiosi non contengono informazioni sull’alevismo, ma solo sul sunnismo, il che significa che l’alevismo non viene studiato regolarmente in Turchia. L’Alevismo è profondamente ignorato dall’amministrazione turca, ad esempio dalla Presidenza degli Affari Religiosi (nata nel 1924), un’istituzione che si occupa di questioni e problemi religiosi ma che, in pratica, opera secondo le regole dell’Islam sunnita. D’altro canto, però, la vita culturale alevita è migliorata, ad esempio con l’apertura di molte fondazioni e di altre istituzioni pubbliche civiche che la sostengono. Tuttavia, gli aleviti, come i curdi, non sono riconosciuti come gruppo etnoculturale o religioso separato in Turchia a causa della concezione turca di nazione (millet) ereditata dal Sultanato ottomano, secondo la quale tutti i musulmani in Turchia sono trattati come turchi etnolinguistici. La situazione può essere modificata dal momento che la Turchia sta cercando di aderire all’UE e, pertanto, devono essere accettati alcuni requisiti dell’UE, tra cui la concessione di diritti di minoranza per gli aleviti e i curdi.

Conclusioni

L’alevismo è una setta dell’Islam che presenta molti punti in comune con lo sciismo. Tuttavia, non si può dire che faccia parte dell’islam sciita nel suo complesso. La cultura alevita ha un ricco patrimonio di poesie e musicisti grazie al loro stile di culto. In Anatolia, il Bektashismo è solitamente collegato all’Alevismo.

Il popolo alevita ha vissuto nel Sultanato ottomano e nella successiva Repubblica di Turchia con problemi, poiché la sua religione non si adattava all’espressione ufficiale dell’Islam (sunnita).

Oggi gli aleviti in Turchia lottano per essere rispettati come gruppo religioso-culturale separato che può manifestare liberamente il proprio stile di vita peculiare. Di fatto, il popolo alevita non ha potuto esprimersi liberamente per secoli, compresa l’attuale Turchia, che dovrebbe imparare a praticare sia i diritti delle minoranze che la democrazia.

Infine, se la Turchia vuole entrare a far parte dell’Unione Europea, deve sicuramente fornire il massimo degli standard di protezione richiesti a tutti i tipi di minoranze, comprese quelle religiose e culturali. Questa può essere un’opportunità per il popolo alevita in Turchia di migliorare il proprio status all’interno della società.
Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com © Vladislav B. Sotirovic 2024
Disclaimer personale: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

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La Turchia ed Erdogan! Un leader al tramonto? La continuità di una politica Con Antonio de Martini

Da diverse settimane si sente parlare poco di Turchia e del suo leader Erdogan. Il disastro sismico che ha colpito il sud-est del paese ha imposto certamente una maggiore attenzione ai problemi e alle politiche interne. L’attuale discrezione, però, appare più una scelta del sistema mediatico occidentale che una assenza e un disorientamento della leadership turca. Mancano in effetti pochi mesi alla scadenza elettorale. Qualche colpo sembra che Erdogan, dopo venti anni di dominio, stia perdendo; l’opposizione composita, d’altro canto, non sembra vivere una condizione migliore. Tutti fattori che spingono a credere che, a prescindere dal destino politico di un leader logorato dal tempo, le politiche e la spregiudicata postura geopolitica di quella nazione non cambierà significativamente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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ERDOGAN SCEGLIE L’INGHILTERRA COME ALLEATO PREFERENZIALE, di Antonio de Martini

ERDOGAN SCEGLIE L’INGHILTERRA COME ALLEATO PREFERENZIALE E SI APRE NUOVI SPAZI POLITICI E INDUSTRIALI IN ASIA E AFRICA.

E’ l’INTERMEDIARIO IDEALE E DISCRETO CON CUI L’U.K. VUOLE TORNARE A EST DI SUEZ E A OVEST DEL CAIRO.

Mentre in Europa si chiacchiera e si affidano gli Affari Esteri a giovanotti di pessime speranze, l’Inghilterra si muove con fulminea rapidità e , forte dell’esperienza politica e diplomatica che nessuno ha più su entrambe le sponde dell’Atlantico avendo bruciato ogni classe dirigente degna di nota, Boris Johnson ha evidentemente offerto al governo USA la propria capacità relazionale coi fratelli Mussulmani e il mondo ” east of Suez” – dal quale il laburista Wilson si era ritratto per lasciare il posto agli USA – per fungere da sub appaltatore delle ambizioni americane. E da bravo Robinson Crusoe, si é trovato il suo Venerdì.

Liberatosi delle pastoie della Unione Europea, ha ripreso i contatti privilegiati, mai interrotti, con l’ex “Zona di libero scambio” (che, come associazione, ha continuato ad esistere con sede in Svizzera) e ha ripreso i legami tra i servizi di intelligence che non aveva mai abbandonato dagli anni trenta quando mise a punto una rete di servizi di intelligence in funzione anti hitleriana per ordine di Chamberlain.

La richiesta di adesione alla NATO della Svezia ( e del suo stato vassallo Finlandia) sono state il primo visibile – anche se non confessato- frutto della nuova cooperazione USA-UK, dopo l’alleanza con l’Australia cui hanno promesso la tecnologia nucleare; La virulenza del danese segretario Generale NATO Jens Stoltenberg é spiegabile con questa stessa ottica, come l’evidente impegno diretto inglese nella guerra ucraina

La Turchia di Erdogan é passata, causa la storica ammirazione ( anche di Ataturk) per gli inglesi, da “rascal” dell’alleanza a brillante diplomatico che surroga l’Inghilterra ovunque questa scandalizzerebbe per la sua disinvoltura antieuropea: in Libia, in Katar, In Nigeria, in un periplo africano completo che come risultato ha portato una fase di unrest solo nei paesi francofoni. E noi ci vediamo solo un venditore di tappeti…

Le minacce a Cipro e alla Grecia sono un ricordo, con Israele é pace fatta, le limitazioni poste all’export di armi e tecnologie dall’Inghilterra sono state completamente tolte ( il che equivale alla fine dell’embargo USA…) , il ricordo delle guerre fatte assieme agli inglesi contro gli Zar , rivive e il presidente Biden può guardare più serenamente alle elezioni di mezzo termine se riuscirà a far reggere Zelenski fino a novembre e a smantellare i bastioni del neutralismo nordico per portarli nella NATO che acquisterà più armi con riduzione degli esborsi USA….

Le obiezioni turche all’adesione degli scandinavi verrà presto presentata come ” un alleggerimento del fianco destro dell’alleanza” e conseguente alleggerimento della pressione russa al sud grazie al nuovo ipotetico fronte.

Icurdi verranno barattati per la quarta volta in nome degli interessi superiori dell’alleanza e anche per riallacciare al meglio il rapporto con il regime di Teheran..

Intanto il partito dei Mullah, che gli americani definivano sprezzantemente ” a british hobby” sembra essere diventato utile come la rocca di Gibilterra che Churchill rinfacciò a Roosevelt in risposta alla critica fatta agli inglesi di volersi impossessare di isolette e basi un pò dappertutto.

Alla fine, tutto torna utile.

Dell’acquisto del sistema d’arma S400 ( non 300 come si ostina a dire il corrispondente del TG1 da Mosca)si vedrà il bicchiere mezzo pieno ( studiare la tecnologia), Ankara non rientrerà nel programma F35 che ha bisogno di clienti e la Svezia ha aerei suoi SAAB…., perché Erdogan ha ambiziosi progetti per la costruzione di un aereo militare tutto turco da vendere da Islamabad a Doha e, perché no? a Teheran e ai mullah che con gli inglesi hanno avuto sempre ottimi rapporti finanziari.

Se fossi in Leonardo, ( Augusta Westland) mi preoccuperei per le sorti della Joint Venture con la Westland che potrebbe ambire a mercati ben più vasti.

La Turchia ritornerebbe al suo ruolo storico di protettrice del mondo sunnita ( e questo include anche l’Africa francofona).

Intanto la pacifica Costa d’Avorio e il Ghana attraverso i suoi presidenti improvvisamente affratellati dalle visite di Erdogan, ( Nana Akupo Asso e Alassan Guattara) hanno scoperto di produrre il 60% del cacao del mondo e vorrebbero raddoppiare il prezzo di 2600 a tonnellata ( che sarebbe comunque inferiore a quanto gli europei pagano la Cina di circa 7000 a tonnellata). Devono essere stati informati dall’intelligence della Costa d’Avorio che, come noto, ha ottimi agenti in Cina. Come gli inglesi.

Hakan Fidan, capo del servizio segreto turco: Erdogan gli deve la vita essendo colui che ha monitorato e sventato il tentativo di colpo di stato del luglio 2016. E’ diventato deputato senza lasciare l’incarico al servizio e si dice che potrebbe succedere al presidente. quando sarà il momento. Sulla parete del suo ufficio troneggia la foto di Mustafa Kemal a testimonianza della continuità nazionale e di destino dei turchi.

I protestanti della Nigeria che non sopportano di dover dipendere da una Vescova ufficialmente lesbica americana, preferiscono una interlocuzione mediata da Machos turchi per affinità culturale e i 17 milioni di protestanti tornerebbero a dialogare con gli anglicani.

Questo nuovo posizionamento spiegherebbe l’acrimonia del presidente Emmanuel Macron nei confronti della Turchia che lo ha sostituito nel cuore della anziana regina, e la conseguente strategia dell’amicizia nei nostri confronti per non essere del tutto espulsi dal Mediterraneo dopo il fiasco libanese e quello siriano.

https://corrieredellacollera.com/2022/05/21/erdogan-sceglie-linghilterra-come-alleato-preferenziale-e-si-apre-nuovi-spazi-politici-e-industriali-in-asia-e-africa/

Mediterraneo! La Turchia nel quadrante orientale_con Antonio de Martini

Proseguiamo con la nostra conversazione a tappe con Antonio de Martini. Il focus rimane il Mediterraneo, l’attenzione si incentra sulla Turchia. Un paese emergente che pretende l’ingresso a pieno titolo tra le potenze regionali protagoniste; quanto per merito proprio, quanto per le debolezze altrui? Uno scacchiere intricato dove le potenze regionali avranno sempre più nuove carte da giocare. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Türkische Kavallerie auf der Heeresstrasse südlich von Jerusalem.
April 1917

https://rumble.com/vfhcz3-mediterraneo-la-turchia-nel-quadrante-orientale-con-antonio-de-martini.html

 

 

Come si è radicalizzata una frangia della comunità turca in Francia di Giuseppe Gagliano

Le strutture della comunità turca in Francia, controllate direttamente o direttamente da Ankara, si sono schierate a favore del loro paese di origine e manifestano una ideologia incompatibile con i valori della Repubblica. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Recentemente il Centro di intelligence di Parigi diretto da Eric Denece ha pubblicato in formato pdf un ampio e dettagliato report sul nazionalismo turco e sulla capillare penetrazione in Europa sia attraverso organizzazioni estremistiche come i Lupi Grigi sia soprattutto attraverso la diaspora turca. Il report è stato redatto da Tigrane Yegavian, ricercatore del Centro di Parigi, diplomato all’Institut des langues et civilisations orientales e presso l’Institut d’études politiques di Parigi.

Partiamo, allo scopo di illustrare la pericolosità e la pervasività del nazionalismo turco in Francia, da alcuni recenti fatti di cronaca.

I FATTI

Il 25 luglio 2020, a Décines, una città nell’area metropolitana di Lione — 28.000 abitanti, di cui mille francesi di origine armena — gli attivisti ultranazionalisti turchi hanno diffuso il panico in una manifestazione filo-armena. Il leader si chiama Ahmet Cetin, 23 anni, nato a Oyonnax. È un presunto membro di un gruppo di fatto composto da ultranazionalisti turchi noti come “Lupi grigi” (in turco Bozkurtlar). A novembre sarà condannato a quattro mesi di carcere con sospensione della pena per “incitamento alla violenza o all’odio razziale”. Il giovane aveva detto in un video su Instagram che il governo turco gli dava 2.000 euro e una pistola. Ahmet Cetin si è anche candidato alle elezioni legislative francesi nel 2017 nella lista dell’Equal Justice Party (PEJ) dopo essere stato un delegato della sezione giovanile del Consiglio per la giustizia, l’uguaglianza e la pace (COJEP), due organizzazioni considerate un pag argento dell’Akp — il partito islamo-conservatore di Erdoğan al potere ad Ankara — che infatti condividono lo stesso indirizzo, rue du Chemin-de-fer, a Strasburgo.

Il 27 settembre 2020, l’esercito azero, sostenuto da forze speciali turche e mercenari jihadisti, ha lanciato una guerra a tutto campo per riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh, popolato per il 94% da armeni. Immediatamente, centinaia di uomini hanno marciato, per le strade delle città francesi. Queste folle gridano Allah Akbar durante il loro passaggio. Nelle processioni, alcuni brandiscono la bandiera turca, gridano “Stiamo per uccidere gli armeni!”.

Il 28 ottobre a Vienne, nell’Isère, e tra il 29 e il 30 ottobre a Digione, sono state commesse nuove azioni violente nei confronti dei membri della comunità di origine armena. Durante questi eventi, le forze di sicurezza sono state particolarmente prese di mira da colpi di mortaio che hanno causato diversi feriti.

Questi atti di violenza sono espressamente rivendicati dai membri dei Lupi Grigi sui social network. A seguito dei fatti di Vienne, la procura di Lione ha aperto un’indagine per “partecipazione a un raggruppamento finalizzato a commettere violenza o degrado”.

Il 1 ° novembre, a Décines, l’Armenian Genocide Memorial e il National Armenian Memorial Center sono state sporcare da scritte con le lettere “RTE” — le iniziali del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan — e da messaggi come “Nique l’Arménie” o “Loup Grigio”. Nuove etichette pro-turche sono state notate il giorno successivo nella vicina città di Meyzieu, sui muri del centro commerciale Plantées. Pochi giorni dopo, nello stesso quartiere, la polizia ha arrestato due dei presunti autori di questi atti, membri della comunità turca rispettivamente di 24 e 25 anni.

Il 4 novembre 2020, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha reso pubblica, tramite il suo account Twitter, la decisione presa dal Consiglio dei Ministri di bandire i Lupi Grigi, per “incitamento alla discriminazione e all’odio” e per il loro “coinvolgimento in azioni violente”. Lo stesso giorno, un decreto di immediata applicazione ha disposto lo scioglimento del piccolo gruppo in territorio francese. Tuttavia, sono seguiti atti di vandalismo contro associazioni locali o luoghi di memoria della comunità armena a Décines, Meyzieu o Vaulx in Veline.

Questi attacchi senza precedenti hanno causato una legittima preoccupazione all’interno della pacifica comunità armena, discendente dai sopravvissuti al genocidio del 1915 e stabilitasi in questa regione per quasi un secolo. Soprattutto, consentono di prendere coscienza della crescente radicalizzazione di una frangia della comunità turca in Francia, caratterizzata dal nazionalismo e che, sebbene eterogenea, è sempre più vicina al regime di Erdoğan.

IL PAN-TURKISMO

Ankara agisce infatti attraverso numerose strutture che beneficiano di risorse considerevoli che utilizzano la religione e l’istruzione come mezzi per rafforzare la sua influenza sulle comunità turche stabilite all’estero al fine di mobilitarle al servizio degli interessi della sua politica interna e internazionale. Lo si può vedere alla luce delle recenti tensioni tra Parigi e Ankara in Libia, nel Mediterraneo orientale e in occasione della legge sul separatismo.

Fungendo da leva di potere per il progetto politico dell’Akp, le strutture della comunità turca in Francia, controllate direttamente o direttamente da Ankara, si sono schierate a favore del loro paese di origine e manifestano una ideologia incompatibile con i valori della Repubblica.

Questa ideologia è il pan-turkismo che promuove l’unità delle varie nazioni di lingua turca nel mondo. Le due principali figure a cui si riferiscono i nazionalisti turchi sono: la sociologa e scrittrice Zia Gökalp (1876-1924), di origine curda; e Nihal Atsiz, scrittore, poeta e storico (1905-1975). Spinto dal desiderio di riunire sotto la stessa bandiera tutti i turchi di Anatolia, Asia centrale e Siberia, questo ideologo elaborò la sua riflessione negli anni 1930-19401. Atsiz ha scritto in particolare un famoso romanzo storico in Turchia, “La morte dei lupi grigi”, in cui espone la sua teoria basata sull’ossessione per l’unicità di una razza turca che si estende dai Balcani fino ai confini della Siberia. Per Atsiz, la nazione turca e la razza turca sono una cosa sola. Stabilitisi in Anatolia, le tribù nomadi di turca basavano la loro cultura sulla trinità sacra sangue/razza/guerra. Da qui l’esacerbazione del militarismo e il culto di una razza immaginaria le cui radici possono essere fatte risalire alle grandi steppe dell’Asia settentrionale. Quindi, un vero turco ha come suo ideale la sua fede nella razza turca e nel militarismo.

Il pan-Turkismo fu messo in pratica dai leader del regime genocida Jeune-Turc uniti sotto la bandiera dell’Unione e del Comitato per il progresso (Cup), al potere dal 1909 al 1918. In particolare da Enver Pasha (1881-1922), ex ministro della guerra, che dopo la sconfitta ottomana del 1918, ha intrapreso una “crociata pan-turca” nell’attuale Azerbaigian e Armenia, con la formazione dell’esercito caucasico islamico. L’obiettivo: cacciare da Baku i bolscevichi russi e armeni, impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Mar Caspio e realizzare l’incrocio tra l’Anatolia e l’Asia centrale di lingua turca. Il progetto pan-turco mirava quindi a ristabilire un nuovo impero al di fuori della zona di espansione ottomana.

Poi, quando la nuova repubblica turca, sorta sotto la guida di Mustafa Kemal Atatürk stabilì uno stretto controllo statale sull’Islam, voltando le spalle ai sogni imperiali, Nihal Atsız — simpatizzante della dottrina razzista nazista — afferma che gli ebrei non si integrano nella cultura turca e che monopolizzano determinati servizi. Tuttavia, il suo discorso antisemita e razzista non ha impedito agli ebrei ottomani di abbracciare la causa del pan-Turkismo e del nazionalismo turco, come Moise Kohen — noto come Tekin Alp — (1883-1961). Questo ebreo ottomano di Salonicco, formato nell’alleanza israelita e destinato al rabbinato, divenne un appassionato ideologo del pan-Turkismo e poi del kemalismo. Era particolarmente favorevole alla turchificazione forzata delle minoranze non musulmane nella nuova repubblica turca, come attestano i suoi scritti nel suo opuscolo Türkleştirme (1928). Nel 1934, con Hanri Soriano e Marsel Franko — della comunità ebraica in Turchia — fondò l’Associazione di Cultura Turca (Türk Kültür Cemiyeti) per la promozione della lingua turca. Lo stesso Tekin Alp presenterà i principi del kemalismo in un libro pubblicato a Istanbul nel 1936, poi li aggiornerà e pubblicherà una traduzione francese a Parigi, un anno dopo, con una prefazione di Édouard Herriot (Le Kémalisme, Félix Alcan , 1937).

IL PAN-TURKISMO E LA GUERRA NEL NAGORNO-KARABAKH

Co-presidente del gruppo di Minsk, la Francia è stato il primo paese a farsi avanti a favore dell’Armenia in questo conflitto attraverso la voce del presidente Macron. Ha denunciato l’invio di jihadisti siriani in Azerbaigian, cosa che i suoi partner della Nato non hanno fatto. Ha cercato di ottenere un cessate il fuoco allineando le sue opinioni con quelle della Federazione Russa, quindi ha offerto aiuti umanitari ai belligeranti.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh, in cui la Turchia è apertamente impegnata, ha una mobilitazione relativamente scarsa nella società turca, a parte i partiti nazionalisti. Più preoccupati per il deterioramento del loro tenore di vita, i turchi hanno difficoltà a localizzare questa regione sulla mappa e inoltre tendono a confondere il Nagorno-Karabakh con il Montenegro. Questa relativa indifferenza, tuttavia, non ha impedito a una frangia radicalizzata dei turchi in Francia di mobilitarsi a fianco dell’Azerbaigian, anche di attaccare direttamente obiettivi armeni.

Le azioni “a pugni” degli ultimi mesi si inseriscono quindi in un clima di tensioni diplomatiche tra Francia e Turchia. Testimoniano la crescente influenza che Ankara ha su una parte dei suoi 700.000 cittadini e sui loro figli che vivono in Francia. I 65 partecipanti multati — per mancato rispetto del coprifuoco — durante le scaramucce del 28 ottobre 2020 a Décines hanno tutti passaporto francese.

Secondo il quotidiano online Médiacité, questa serie di atti intimidatori segna una rottura con la discrezione che fino ad allora prevaleva tra i franco-turchi nell’area metropolitana. La precedente dimostrazione di forza di questi nazionalisti risale a quindici anni, quando nel 2006 una manifestazione contro la costruzione di un memoriale del genocidio armeno, Place Antonin-Poncet a Lione, ha riunito 3.000 partecipanti.

https://www.startmag.it/mondo/come-e-radicalizzata-una-frangia-della-comunita-turca-in-francia/

SANTA SOFIA, LUNTANO A TE !, di Antonio de Martini

SANTA SOFIA, LUNTANO A TE !

La Turchia é grande due volte e mezzo l’Italia (784.000 kmq) , ha 84 milioni di abitanti sul suo territorio ( +4 miloni di emigrati in Germania) e un esercito di un milione e duecentomila uomini sotto le armi e controlla lo stretto dei dardanelli.

Il suo servizio segreto opera in quella zona strategica compresa tra Belgrado e Bassora da oltre tre secoli con continuità.

Dal 1952 ha rappresentato l’ala destra del dispositivo NATO schierato contro l’Unione Sovietica ai tempi della guerra fredda. È membro fondatore del Consiglio d’Europa.

Dalla fine della guerra fredda, la NATO non é piu riuscita a coagulare il consenso di tutti i contraenti attorno a una qualche nuova missione condivisa.

Gia dai primi anni sessanta i turchi hanno guardato al Mercato Comune Europeo ( MEC) intavolando trattative che si sono eternizzate, ma hanno procurato annualmente alla Turchia ingenti aiuti economici e indulgenza per le periodiche impiccaggioni di primi ministri accusati di clericalismo islamico.

Un momento di riconoscenza occidentale ci fu nel 1974 quando un intervento militare turco pose fine a un colpo di stato a Cipro e provocò la caduta del regime militare greco che l’aveva ispirato.

L’intervento fu fatto in virtù del trattato di Losanna ( ultimo quarto del XIX secolo) che riconosceva ad un tempo il dominio inglese su Cipro e la sovranità turca sull’isola.

Il costante adeguamento legislativo rispetto all’Europa, la nomina di una donna a premier ( Tansu Ciller), il fatto che il paese fosse membro fondatore del Consiglio d’Europa lasciarono immaginare che, in un futuro indefinito ma prossimo, il paese sarebbe stato accettato nel mercato unico.

Il tumultuoso sviluppo dovuto a Turgut Ozal ( prima ministro dell’economia, poi premier ed infine presidente) lasciarono però immaginare l’ingresso di un temibilissimo concorrente specie nel tessile, pelletterie , agroindustria e edilizia.

Il colpo di Stato anticlericale del generale Evren fu il pretesto per allargare il fossato e rinviare sine die.

Il risorgere della questione d’Oriente – dai Balcani al Vicino e Medio Oriente- spinse la Turchia che aveva visto prevalere il nuovo partito AKP semi clericale, a cercare un posizionamento regionale in una con Israele, lArabia Saufita e l’Egitto.

La Turchia, forte di uno sviluppo a due cifre per oltre un quarto di secolo, a un export sostenuto nelle ex repubbliche sovietiche di cultura para turca, e di uno status amicale con gli USA, nonché buoni rapporti – unico paese islamico- con Israele, iniziò a volere il suo posto al sole.

Le questioni di Cipro – ormai divisa in due- dell’ex impero, della zona petrolifera di Mossul – abusivamente occupata dagli inglesi tre giorni dopo l’armistizio del 1918 – ogni pretesto era buono per ricordare vecchi torti da riparare e nuovi spazi da rivendicare.

La protezione concessa alla striscia di Gaza, e l’incidente del MAVI MARMARA , in cui persero la vita otto cittadini turchi , iniziarono a incrinare i rapporti con Israele, cui la Turchia concedeva acqua , spazi aerei per l’addestramento e turismo vicino e a buon mercato.

L’allontanamento da Israele ha comportato fatalmente un raffreddamento con gli USA.

I militari, grandi tutori della laicità fino all’insubordinazione, certi della cameratesca simpatia americana , tentarono un golpe nel luglio 2016 per cacciare Erdogan.

Il fallimento del tentativo inasprirì la situazione fino a provocare una rappresaglia all’interno e un riavvicinamento col tradizionale nemico russo in politica estera in cerca di una intesa sulla questione siriana e di una rivincita- monito verso il grande alleato.

L’adozione di un formidabile sistema d’armi antiaereo sovietico (S 400), l’esclusione dal mercato dell’F35 , l’aver gli USA armato milizie curde indiscriminatamente senza considerare la guerriglia anti turca condotta da oltre un quarto di secolo, l’arresto per spionaggio di un pastore protestante americano ed i continui tentativi di creargli difficoltà di governo tramite effimeri cartelli elettorali sono culminati nella fuoriuscita dal governo e dal partito, del ministro dell’economia Babacan e degli Esteri Davusoglu ciascuno con un nuovo partito moderato, hanno seriamente indebolito il presidente Erdogan.

Per non subire un’altra scissione da parte degli islamisti cui resisteva da anni alla richiesta di trasformare Santa Sofia in Moschea, Erdogan ha ceduto.

L’indomani è iniziata una cagnara orchestrata da atei e laici filo occidentali cui del cristianesimo non importa nulla, ma del fianco destro della NATO importa moltissimo.

La situazione reale non cambierà granché. A duecento metri c’è la Moschea blu semivuota da decenni e ormai museo di fatto. Santa Sofia avrà identico destino.

La propaganda religiosa attecchì poco anche ai tempi delle crociate, figuriamoci adesso che le primavere arabe hanno dissolto le ultime illusioni circa la religiosità mussulmana.

Invece di speculare su Cristi e Madonne cui loro stessi danno credito limitato, gli occidentali dovrebbero porsi alcune semplici domande.

Se col pretesto religioso si rifiuta di accettare la Turchia in seno alla UE, dove altro questa potrà rivolgersi ?

La geopolitica è come la natura, non facit saltus e ha orrore del vuoto.
E si fa beffe di tutte le religioni, il cui utilizzo è strumentale.

A chi vogliamo regalare l’esercito più agguerrito e numeroso d’Europa che ha sconfitto in campo la Francia e la Grecia e intimorito l’inghilterra mentre il paese era ancora in formazione ?

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO: UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA, di Giuseppe Angiuli

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO:

UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA

 

 

Un curioso destino ha voluto che la nostra connazionale Silvia Romano, a distanza di circa un anno e mezzo dal suo sequestro avvenuto in Kenya per mano di rapitori mercenari e dopo il suo passaggio nelle mani del gruppo di fanatici terroristi qaedisti di Al Shabaab, sia stata finalmente rilasciata nella notte tra l’8 ed il 9 maggio scorso, ossia a 42 anni esatti di distanza da quella notte del maggio 1978 in cui il nostro insigne statista Aldo Moro trovò la morte al termine di un ben più celebre ed intricato sequestro di persona.

Non disponiamo di molti particolari e dettagli sulle fasi conclusive del rilascio della cooperante milanese ma tutte le fonti giornalistiche appaiono concordi quanto meno su alcuni elementi: il rilascio sarebbe avvenuto in una località a circa 30 chilometri da Mogadiscio (Somalia), avrebbe visto il determinante ruolo dei servizi segreti della Turchia del neo-sultano ottomano Recep Tayyip Erdoğan (che avrebbero preso in consegna la ragazza per poi passarla nelle mani degli uomini del nostro servizio estero, l’AISE) e nell’occasione il Governo italiano avrebbe versato al gruppo di rapitori un ingente riscatto che i più prudenti tra gli analisti quantificano tra i 2 e i 4 milioni di euro.

Come si sa, nel nostro Paese le regole ed i princìpi etico-morali hanno le maglie larghe e trovano applicazione con modalità non sempre coerenti e uniformi.

Nel 1978, quando era in gioco la vita di Aldo Moro, la gran parte della classe politica italiana dell’epoca – con poche eccezioni, tra cui vanno ricordati Bettino Craxi e l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone – si trincerò in una ipocrita e gesuitica “linea della fermezza” onde giustificare al Paese la radicale impossibilità per le istituzioni di avviare una qualsiasi forma di trattativa con le Brigate Rosse: col senno di poi, in tanti abbiamo compreso che l’invocazione di quel severo e rigoroso principio era servito in realtà come foglia di fico per i tanti che a quel tempo smaniavano dalla voglia di liberarsi del troppo ingombrante statista democristiano e che grazie a quel sequestro così anomalo riuscirono a coronare il loro cinico desiderio.

In verità, se vogliamo evitare di prenderci in giro, occorre ammettere che quasi tutti i Governi al mondo, anche quelli apparentemente più ligi al canonico rispetto delle regole, quando viene sequestrato un loro cittadino in contesti di guerra o guerriglia, trattano eccome coi rapitori, ancorchè fingano di non farlo e/o dichiarino di non poterlo fare.

L’opinione pubblica del Belpaese è sempre stata emotivamente partecipe, per ragioni antropologiche congenite, a questo genere di vicende, finendo quasi sempre per immedesimarsi inesorabilmente nella vittima del sequestro, spesso per pure ragioni istintive di genuina empatia umanitaria.

Se così stanno le cose, poniamo subito un punto fermo nella ricostruzione del caso della giovane Silvia Romano, affermando che è stato oltremodo giusto e sacrosanto che il nostro Stato – come peraltro già avvenuto in molti casi analoghi nel recente passato – si sia attivato sul campo per ottenere la sua liberazione, anche al prezzo di avere dovuto attingere ai fondi riservati che ogni Governo solitamente mette a disposizione dei nostri servizi di intelligence per fare fronte a necessità di questo tipo.

Un gruppo di miliziani islamisti del gruppo somalo Al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda

 

Pertanto, al fine di sgomberare il campo dai consueti argomenti manipolatori che in questi giorni hanno fatto strappare i capelli ad una certa stampa conformista e ad una certa opinione pubblica di casa nostra, è bene chiarire che, nella vicenda di Silvia Romano, non è stato l’intervento sul campo del Governo Conte a lasciarci perplessi in sé e per sé, né ci ha scandalizzati più di tanto la assai verosimile circostanza dell’avvenuto pagamento di un riscatto quale condizione irrinunciabile per l’ottenimento del rilascio della ragazza.

Piuttosto, in questa vicenda dai contorni assai ambigui, a lasciarci basiti sono state le modalità spettacolari e insolite dell’arrivo della nostra concittadina all’aeroporto di Ciampino, la quale è apparsa tutta agghindata con una vistosa tunica dallo stile castigato, esplicitamente richiamante ai simboli di quel medesimo gruppo di fondamentalisti islamici che l’hanno detenuta quanto meno nella seconda parte del suo sequestro e che infine l’hanno rilasciata nelle mani dei servizi segreti turchi, previo incameramento dei milioni di euro (due? quattro?) di riscatto.

Sono apparse altrettanto stupefacenti le dichiarazioni che la ragazza milanese ha rilasciato a caldo, appena dopo avere abbracciato i suoi congiunti, sotto lo sguardo compiaciuto del nostro Presidente del Consiglio e dell’inquilino della Farnesina, quando ha alluso, nell’ordine, all’ottimo trattamento ricevuto dai suoi rapitori, ad una sua presunta e sbandierata conversione all’islam e al suo non celato desiderio di fare rientro appena possibile nello stesso contesto in cui è maturato il suo sequestro.

Nella civiltà delle immagini e della comunicazione, soprattutto in casi delicati come questo, ogni particolare assume inevitabilmente un significato politico e allora sorgono spontanei i seguenti quesiti: come è stato possibile che a nessuno degli uomini della nostra intelligence sia venuto in mente di riferire a Silvia Romano, a ridosso della sua presa in consegna, che non era proprio il caso di presentarsi allo scalo di Ciampino con indosso degli abiti che richiamano esplicitamente non già all’islam in quanto tale (né tanto meno ai costumi tradizionali delle donne somale) bensì alla tenuta ufficiale della formazione islamica fondamentalista Al Shabaab, ossia la filiale somala della galassia terroristica di Al Qaeda?

Donne somale libere dai condizionamenti del fondamentalismo islamico con indosso il tipico abito locale Dirac

 

E che dire del nostro ineffabile Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (così smanioso di annunciare su twitter la liberazione della ragazza e di correre a farsi fotografare con lei sulla pista di Ciampino) nonché del nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? E’ mai possibile che essi non abbiano provato nessun imbarazzo nel fare da contorno, col loro pesante ruolo istituzionale, a quello che è stato oggettivamente un atto di propaganda mediatica a favore di una tra le più brutali organizzazioni del fanatismo jihadista?[1]

A questo proposito, è bene chiarire che non è stata nemmeno la conversione di Silvia alla religione di Maometto (vera o falsa che sia) ad averci scandalizzati in sé e per sè.

Anche l’islam merita tutto il nostro rispetto in quanto cultura religiosa millenaria.

Ma si dà il caso che i rapitori della nostra connazionale non pratichino l’islam autentico bensì una forma di islam spurio, artificiale, creato in laboratorio per evidenti finalità di destabilizzazione geopolitica, un tipo di islam fondamentalista e fanatico che, da quando è stato messo in circolazione sotto la regia dello spregiudicato turco Erdogan e della vecchia amministrazione USA Clinton-Obama, agendo col terrore e con le stragi, ha seppellito decenni di conquiste e di diritti civili di molti dei popoli dell’Africa e del medio oriente.

Trattasi peraltro di quella stessa branca di islam jihadista che spesso ha agito impunemente – giacchè purtroppo munito di alcune coperture inconfessabili – anche nel cuore dell’Europa, con l’obiettivo di creare caos e terrore, come i numerosi attentati di questi ultimi anni (che fino ad ora hanno colpito prevalentemente Parigi e la Francia ma che molto presto, Dio non voglia, potrebbero interessare anche l’Italia) stanno a dimostrare.

Inoltre, trattasi di quella stessa forma di islam oppressivo e jihadista che la Turchia di Erdogan promuove e supporta non solo nel Corno d’Africa ma anche in Libia, dove il nostro Paese, dopo avere subito ignominiosamente e passivamente (agendo contro i suoi stessi interessi) la defenestrazione di Gheddafi nel 2011, vede oggi legare i suoi destini proprio a quelli del Governo filo-islamista di Al Serraj, uomo prediletto da Erdogan e arroccato a Tripoli per gestire il presente e il futuro della ex colonia italiana nel cuore del Mediterraneo.

E allora, una volta chiarito che la tunica verde indossata da Silvia Romano al momento del suo arrivo in Italia non c’entra un bel nulla con i costumi tradizionali delle donne somale bensì è identificabile unicamente con l’abito che i miliziani fondamentalisti di Al Shabaab impongono di indossare alle povere donne che finiscono tra le loro mani ed una volta accertato il ruolo di protagonisti rivestito dai servizi segreti turchi nella risoluzione del suo sequestro, ecco allora che la sceneggiata o show di Ciampino svela tutto il suo significato propagandistico tanto ripugnante quanto inquietante.

Abbiamo più di una buona ragione per potere ipotizzare che la conversione all’islam di Silvia Romano, esibita dinanzi alle telecamere e a cui ha poi fatto eco la rivendicazione compiaciuta dei miliziani somali di Al Shabaab, possa avere fatto parte integrante del riscatto, cioè sia stata tra le condizioni imposte dai sequestratori jihadisti e dai servizi segreti turchi per il suo rilascio.

Più precisamente, possiamo legittimamente ritenere che la ex sequestrata, al momento di mettere piede nel nostro Paese, si sia fatta portatrice di un messaggio o avvertimento sinistro rivolto a noi italiani da Erdogan, il vero protettore dell’islamismo jihadista che ha già sconquassato Siria, Libia e Corno d’Africa.

L’arrivo a Ciampino di Silvia Romano il 10 maggio 2020

In ogni caso, come già saggiamente osservato in un condivisibile articolo comparso sul sito Analisi Difesa[2], la gestione mediatica che il Governo Conte ha fatto della liberazione della ragazza è stata a dir poco disastrosa e costituisce la rappresentazione icastica dello stato di profonda decadenza morale e culturale, prima che della perdita di influenza geopolitica, del nostro Paese.

Altrettanto condivisibile ci è sembrato il parere espresso da Maryan Ismail, docente di antropologia dell’immigrazione, donna di origine somala, intervenuta la sera del 12 maggio alla trasmissione televisiva Quarta Repubblica condotta da Nicola Porro: «L’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro è stato uno spettacolo immorale e devastante»[3].

A nostro avviso, se la scelta di collaborare con i servizi segreti di Erdogan deve essere apparsa al nostro Governo come una strada inevitabile, visti i rapporti di forza nel territorio della ex Somalia italiana – e infatti sul punto non possiamo che rispettare la decisione dei nostri servizi di sicurezza impegnati all’estero – non possiamo tuttavia ritenere accettabile che il nostro Paese, per mano dei suoi rappresentanti istituzionali più altolocati, abbia accettato di farsi umiliare con uno show grottesco allestito sul nostro territorio sotto il diktat di una delle bande più sanguinarie del jihadismo globale.

Con grande mestizia e imbarazzo, dobbiamo dunque registrare che mentre l’Italia appena 40/50 anni fa era protagonista sia nel Mediterraneo che nel Corno d’Africa e con uomini come Moro e Craxi riusciva a tutelare degnamente i nostri interessi nazionali, sviluppando delle ottime strategie di politica estera che ne salvaguardavano l’onore e la autorevolezza nel campo delle relazioni internazionali, oggigiorno, al fine di salvare la vita di una nostra concittadina in mano a dei sequestratori in una ex colonia italiana, siamo stati costretti a prostrarci a Erdogan e a mendicare l’intervento mediatore decisivo dei suoi servizi segreti, accettando di pagare una cambiale in termini di immagine che dovrebbe apparire umiliante a tutti quegli italiani che ancora conservano almeno un briciolo di dignità e fierezza.

Il logo ufficiale della formazione islamista al Shabaab

 

A tutto ciò si aggiunge infine un ulteriore elemento, tra i più paradossali che dobbiamo registrare a conclusione della vicenda della liberazione della cooperante milanese: il Governo Conte, avendo in questo caso agito in perfetta sintonia con i servizi di intelligence della filo-islamista Turchia e contro il parere ufficiale di Washington, sta riuscendo nel capolavoro politico di voltare le spalle agli USA proprio adesso che alla Casa Bianca c’è un Presidente che, in evidente intesa di ruoli con la Russia di Putin, mostra di avere deciso seriamente di porre un netto freno alle scorrerie dell’islamismo jihadista in giro per il mondo.

In conclusione, dobbiamo per lo meno auspicare che la cambiale che Conte e Di Maio si sono impegnati a pagare a Erdogan per ottenere la salvezza di Silvia Romano non debba comportare chissà quali altre umiliazioni e sottomissioni per l’Italia nello scenario libico, in un  periodo di inesorabile decadenza per il nostro Paese che somiglia ogni giorno di più ad una buia notte senza fine, in cui l’alba sembra non volere arrivare mai.

 

Giuseppe Angiuli

[1] Per un approfondimento sulle caratteristiche essenziali del gruppo islamista radicale Al Shabaab, operante in Somalia e in Kenya ed affiliato ad Al Qaeda, rimandiamo al dossier intitolato Storia, struttura e obiettivi del gruppo jihadista del Corno d’Africa, a cura di Gaetano Magno, pubblicato su www.osservatorioglobalizzazione.it

[2 ]Gianandrea Gaiani, L’Italia fa un regalo (anzi due) ai jihadisti, rintracciabile all’indirizzo http://www.analisidifesa.it/2020/05/litalia-fa-un-bel-regalo-anzi-due-ad-al-qaeda/?fbclid=IwAR1lAgGxwvJoLsyn5Uc5wfjaCNnHt6A9g4UEc9YDjjODJquO8VbisdtQPyQ

[3]www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/22600704/silvia_romano_maryan_ismail_immorale_devastante_islam_falso_conversione_non_scelta_liberta_

ALLE FRONTIERE DELL’APOCALISSE, di Grigoriou Panagiotis

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Alle frontiere dell’apocalisse

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Tempi di apocalisse. La parola è greca e designa l’atto di distinzione di ciò che è coperto e nascosto. Ci si immerge quindi nel regno della verità rivelata agli uomini, prima o anche dopo ogni teologia. E’ anche l’epoca corrente. Il paese reale sta riscoprendo la geopolitica che le è propria, e le ultime notizie dal nostro confine alle porte dell’Europa sono che l’esercito turco sta usando apertamente i propri veicoli corazzati per abbattere le barriere, così come sta lanciando i propri jihadisti infiltrati con i suoi stessi commando per attaccare la Grecia perché i migranti sono stati apertamente e respinti nelle sacche. Almeno per il momento…

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Al di là della strumentalizzazione legata alla preparazione e alla raccolta di un tale numero di migranti essenzialmente non siriani, destinati a incarnare il ruolo di comparse ,  va ricordato che quanto sta avvenendo al confine terrestre e marittimo tra Grecia e Turchia non è una crisi migratoria, ancor meno una crisi di rifugiati. Si tratta ora, apertamente, di una guerra ibrida, o addirittura di una guerra classica sotto forma di invasione umana, iniziata dalla Turchia, anche con i suoi veicoli corazzati che sparano sulle barriere di confine.

https://youtu.be/CHru4G3NLTY

Possiamo ancora sentire alla radio, dalle prime ore del mattino, quelle del primo caffè, “che tempi galoppanti: i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, come si sa personaggi celesti e misteriosi, menzionati nel Nuovo Testamento nel sesto capitolo del libro dell’Apocalisse, sono fuori. In altre parole, il nostro tempo presente è in linea con il loro simbolismo, generalmente mantenuto nei tempi moderni, cioè la Conquista, la Guerra, la Carestia e la Morte. Ed è un altro momento di parossismo attraverso la Hybris e la malattia che affligge la nostra povera Umanità. Tanto per il nostro tempo presente, sempre tra guerra e malattia. Ci si chiede se, come ai tempi di Omero, le nostre guerre possano poi fermarsi sotto gli effetti della pandemia”, trasmissione mattutina su 90.1 FM del 10 marzo.

Guarda caso, la Turchia è il paese che dichiara zero casi di coronavirus, zero portatori e zero morti. Il corrispondente di radio 90.1 FM ha detto che “il regime di Erdogan ha vietato tutti i riferimenti al coronavirus attraverso i media e anche i social network strettamente monitorati. Quando qualcuno su Facebook ha avuto l’idea di dire che c’erano alcuni casi non annunciati, la domanda è stata posta al ministro della Salute, [il quale] ha risposto che la polizia si sarebbe occupata del suo caso”, radio 90.1 FM, programma di Lámbros Kalarrýtis la sera del 10 marzo. Si può immaginare la già fallace argomentazione di Erdogan, apritemi i confini… e accettate il coronavirus a braccia aperte.

Geopolitica, guerra, Germania, Turchia e… coronavirus. I greci stanno guardando quello che sta succedendo in Italia in questo momento e il loro cuore è pesante. “Ah… i nostri amici italiani sono tristi”, sospirava un farmacista del nostro quartiere ad Atene l’altro giorno. In Grecia l’epidemia è appena iniziata, meno di un centinaio di casi ufficiali e noti, e nessun morto, per il momento. Torna il tempo di minacce e invasioni, ed è poi, con tutto il rispetto per i mondialisti, gli immigrati e gli altri sinistrorsi, un tempo di frontiere e di patria.

Su Internet in Grecia, le chiese dedicate alla Madonna sono a volte addobbate in città e villaggi vicino al confine con la Turchia, e poi da Cipro, Austria, Ungheria e Polonia arrivano rinforzi simbolici ma necessari in termini di materiale e di manodopera. Erdogan lascia Bruxelles visibilmente arrabbiato, e la Germania ora finge di criticare l’aggressività del suo storico alleato, la Turchia, in modo gentile.

L’apparato si è certamente ritirato dalle sue posizioni di appena un mese fa, speriamo che non sia per… balzare meglio in avanti. E sul terreno popolare, diciamo, il patriottismo rimane un valore sicuro che porta speranza, proprio come i confini di un Paese, di una nazione o di una società, perché ne incarnano il cordone sanitario in senso stretto, e anche in senso figurato. E il nostro confine tiene, grazie agli uomini e alle donne delle forze armate, grazie alla mobilitazione degli abitanti sul posto e anche in tutta la Grecia.

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Mentre la situazione è sempre più tesa al confine e i turchi non esitano a usare le loro armi, come ad esempio tentare mini intrusioni per intimidire e poi mettere alla prova le forze armate greche, senza successo, alcuni dettagli prima nascosti non passano più inosservati. Apocalisse.

Prima c’è questa… misteriosa questione del confine tra Bulgaria e Turchia. Il 27 febbraio, quando la diplomazia turca ha dichiarato che il suo Paese stava aprendo le porte “ai rifugiati che volevano andare in Europa”, in poche ore migliaia di persone sono state trasportate al confine greco sul fiume Evros. “Possiamo attraversare il confine liberamente. La polizia turca ci ha detto che le frontiere sono aperte da entrambi i lati”, hanno detto i migranti, secondo le agenzie di stampa internazionali sul territorio turco.

Di conseguenza, decine di migliaia di persone raggiungono il confine euro-turco. O per essere più precisi, decine di migliaia di persone raggiungono il confine greco-turco, lungo 212 chilometri, cercando di entrare illegalmente nel territorio europeo. Eppure nessuno appare sui 259 chilometri del confine terrestre bulgaro-turco. Bella, questa. Le autorità bulgare hanno certamente affermato che dissuadere gli immigrati è stata a lungo la loro priorità. Ciò che non spiegano, tuttavia, sono le ragioni. Anche i tedeschi della Deutsche Welle sollevano direttamente la domanda: “Perché tanta pace sul confine turco-bulgaro?”, stampa greca dell’8 marzo 2020.

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La crisi creata dalla responsabilità di Ankara sul confine greco-turco, ufficialmente per ricattare l’UE, è in realtà e prima di tutto un atto di guerra contro la Grecia, secondo una pianificazione storica della Turchia, a prescindere da Erdogan tra l’altro, e non in generale la volontà di far passare i migranti in Europa…. per un miracolo, i contrabbandieri, le mafie delle Ong dell’Onu e di Sóros, nonché il grande tour operator per i migranti musulmani clandestini che è lo Stato turco, “dimenticano” che anche la Bulgaria sarebbe un passaggio verso l’Europa. Ma non è così, e certamente questa scelta non è né casuale né del tutto estranea al punto di vista di Berlino.

Va notato che in un recente viaggio ufficiale in Turchia, il 2 marzo, il presidente bulgaro Boiko Borisov è stato ricevuto a braccia aperte da Erdogan ad Ankara e che la Germania, da parte sua, sostiene di fatto la politica di Erdogan. È stato a questo proposito che, quando una barca di una ONG tedesca che si occupa di immigrazione è stata cacciata dai porti di Lesbo per tre volte lo scorso fine settimana, l’ambasciata di Berlino ad Atene ha ritenuto opportuno rivolgersi direttamente all’ufficiale greco che comanda la guardia costiera dell’isola, anche attraverso una lettera inviata direttamente alla capitaneria di porto di Mitilene, capitale e porto principale di Lesbo.

“Tutto sommato, Berlino, come al solito nella sua consuetudine di forza occupante all’interno dell’UE, ha ritenuto opportuno farlo”. Gli interrogativi derivanti da questa vicenda sono apertamente trasmesse su Internet in Grecia, e anche alcuni media generalisti hanno finito per parlare di questa ennesima… vicenda tedesca in Grecia come la radio 90.1 FM, trasmessa da Lámbros Kalarrýtis, il 9 marzo 2020.

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“È vero che il capo dell’ufficio legale dell’ambasciata tedesca ad Atene, Wiebke Brahe, ha contattato ieri l’autorità portuale centrale di Mitilene? Da quando gli avvocati dell’ambasciata tedesca contattano i comandanti militari greci locali al posto della loro leadership politica?

“È vero che questa comunicazione riguardava la nave di una ONG, quella che nella sua lettera lei chiama semplicemente associazione, quando si sa che proprio questa ONG ha causato tanti problemi alla popolazione locale per anni? È vero che l’ambasciata tedesca ha voluto fornire i dati dei passeggeri tedeschi a bordo della nave e di un cittadino francese, senza dubbio in modo che la capitaneria di porto di Mitilene desse loro un trattamento preferenziale? È vero, infine, che un funzionario dell’Ambasciata tedesca insiste e interviene presso le autorità marittime del Ministero della Difesa e della Marina Greca su una questione di esclusiva competenza del governo greco e in particolare dei ministeri interessati”, 90.1 FM, trasmessa da Lámbros Kalarrýtis, 9 marzo 2020. e dalla stampa greca.

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Il nazionalismo turco è atavico, ufficiale e quindi messo in pratica, dalla Siria alla Grecia e dall’Iraq a Cipro. Allo stesso modo, e a parte le potenze coinvolte nel Mediterraneo orientale, la Germania, come la Bulgaria in misura minore, è tra gli alleati storici della Turchia, sia prima che dopo il kemalismo. Per inciso, ci sono quasi quattro milioni di turchi naturalizzati in Germania, che a quanto pare obbediscono innanzitutto agli ordini di ogni Erdogan di turno il giorno prima di andare a votare, e anche questo è un pezzo del puzzle, ma non il più importante.

Allo stesso tempo, e nella serie sulla geopolitica della fusione tra Paesi islamici, la Turchia invita le forze navali del Pakistan a partecipare alle esercitazioni congiunte nel Mar Egeo; inutile dire che anche la marina greca è altrettanto mobilitata e vigila sull’area, stampa greca del 10 marzo 2020. Non dimentichiamo che “dal basso verso l’alto”, tra i migranti che sono stati sfruttati e trasferiti alla frontiera greca dalla Turchia ci sono molti pakistani e afgani; tutto è coerente, è un piano e una guerra che non ha ancora mostrato tutti i suoi denti.

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Il tempo dei confini è così tornato, anche e già per le nazioni e i paesi europei. Rimane… il fronte interno. Da qualche giorno e anche da qualche notte per alcuni, la sfera di sinistra, l’antifa à la Soros e assimilata, così come molti accademici traboccanti di europeismo, così come dei loro sussidi, si sono opposti, ora che sappiamo che secondo sondaggi apparentemente attendibili, quasi il 90% dei greci è favorevole alla chiusura delle frontiere, e a fermare la migrazione e la colonizzazione de facto della Grecia da parte di queste popolazioni musulmane strumentalizzate.

Insomma, non si tratta di un delirio, come si potrebbe dire gratuito, rivolto ai popoli musulmani, che i greci hanno storicamente conosciuto e rispettato nei loro rispettivi Paesi, ma, prima di tutto, di una logica reazione di un patriottismo ancora profondamente radicato e che ha poca voglia di vedere la Grecia diventare un Paese musulmano, per di più, due secoli dopo la Rivoluzione nazionale e cristiana che ha portato alla liberazione dei greci dall’occupazione turca sotto l’Impero ottomano. Ciò che ha fatto traboccare il calderone è il numero di migranti e l’evidenza degli obiettivi espansionistici della Turchia, così come la volontà globalista di Soros, dell’ONU e di altri, di affondare o addirittura di smembrare l’attuale Grecia. Ecco quanto si dice apertamente in questo momento in Grecia.

È proprio questa evidenza che sfugge alla sfera sinistra e ad altri antifa. Allo stesso modo, è sempre più spesso suggerito da alcuni analisti e giornalisti in Grecia, come Kalarrýtis e Trángas su 90.1 FM, “che tra queste persone, ce ne sono alcune che sono pagate direttamente da Soros, o anche altrettante dalla Turchia. Queste persone hanno certamente il diritto di parlare e questo è normale, tranne che hanno dovuto mostrare un minimo di logica perché il nostro Paese è sotto attacco. Nonostante ciò, le loro argomentazioni sono esattamente quelle generate più spesso dalla propaganda di Erdogan; è triste dirlo, ma tutta questa marmaglia, compreso SYRIZA, forma al suo interno una vera e propria quinta colonna, molto attiva e dannosa. Mi dispiace, tra loro e noi c’è ora un intero confine che ci separa, come quello tra la Grecia e la Turchia sul fiume Evros. E per queste persone, la loro patria è visibilmente sul versante turco, oltre il confine”, Lámbros Kalarrýtis su 90.1 FM, 9 marzo 2020.

Detto questo, bisogna diffidare di Mitsotákis tanto quanto del suo “governo”. Ad esempio, come abbiamo appena appreso, in un incontro tra il Ministro delle politiche migratorie Mitarákis e i Presidenti delle Regioni, il 10 marzo, i politici regionali sono stati invitati ad accogliere i migranti presenti sulle isole greche del Mar Egeo, sistemandoli in numerosi appartamenti della città. Il resto non è ancora noto; relazione, 90.1 FM, 10 marzo 2020. Nulla è più ovvio di quanto non lo fosse in passato, poiché l’atmosfera è visibilmente cambiata.

Infine, come segno dei tempi, i soldati sono ovunque acclamati dagli abitanti del paese reale greco, come anche questa settimana a Lesbo, abitanti che per la sinistra, totalmente ceca di fronte al suo definitivo ritiro dalla storia europea, sono solo seguaci dell’estrema destra.

https://youtu.be/frDzPJDA1SU

E sul lato del… lavoro pratico ad Atene, gli antifa pro-Soros e i pro-Turchi, dopo aver saccheggiato la stazione della metropolitana sotto l’Acropoli, hanno appena assalito nel centro di Atene la statua dell’eroe della Rivoluzione nazionale greca del 1821, Theódoros Kolokotrónis. Tra gli slogan che hanno profanato la statua c’era il famoso “la Grecia deve morire”, oltraggiosamente sostenuto in ogni occasione da questi individui. Noto che per queste persone, solo l’idea della nazione greca è poi imbarazzante e dannosa; tutte le altre nazioni devono ovviamente prosperare. La quinta colonna funziona in modo così classico.Un altro tema della propaganda globalista ed egualmente turca, che viene rilanciato dagli apolidi della sinistra, ad eccezione di Míkis Theodorákis e dell’attivista storico Karambélias, è la questione del diritto internazionale e degli accordi internazionali che presumibilmente impediscono alla Grecia di monitorare, controllare e persino chiudere i suoi confini se necessario di fronte a tale invasione e – allo stesso tempo – all’atto di guerra da parte della Turchia, che costituisce quindi una minaccia multipla per la sicurezza nazionale. “In questi tempi critici, il mio pensiero va ai nostri figli che difendono i confini della patria e ai coraggiosi uomini e donne del fiume Evros”, ha detto Theodorákis, stampa del 9 marzo.

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L’accademico Kóstas Grívas, che non è di sinistra, ha semplicemente ricordato “che dobbiamo tornare ai principi fondamentali del diritto internazionale per non soccombere a queste opinioni fuorvianti e subdole, che fanno parte dell’attacco in questa particolare guerra a tutto campo che la Grecia sta attualmente subendo. Soprattutto, dobbiamo ricordare che il soggetto fondamentale del diritto internazionale, ma anche il suo elemento strutturale fondamentale, sono gli Stati”.

“Sono quindi i Paesi che danno un senso al diritto internazionale. Senza di loro, non esiste nemmeno; dobbiamo anche ricordare che il sistema internazionale è fatto di Paesi e che nessuna autorità sovranazionale è al di sopra di essi. Le Nazioni Unite, come suggerisce il nome, non sono altro che una struttura burocratica che permette ai Paesi di interagire e persino di raggiungere accordi. Non funziona al di sopra di loro e solo i paesi con la loro adesione gli permettono finalmente di esistere. E per poterle dare sostanza, devono anche e prima di tutto avere una propria sostanza”, stampa greca del 9 marzo 2020.

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Non è più il tempo degli agnelli, figuriamoci delle pecore. In breve, tempi apocalittici. La stampa avverte dell’esistenza di nuclei jihadisti in Grecia, introdotti con la gentile partecipazione della Turchia, così come di quella dei governi di destra e di sinistra per più di dieci anni, compreso l’attuale governo di Mitsotákis, anche se la sua ultima gestione dell’emergenza sembra essere minima, in senso più logico. I servizi segreti greci stanno poi cercando… questi jihadisti dormienti all’interno del paese, tranne che c’era la necessità di un migliore controllo delle frontiere, forse a monte.

“Il presidente turco Erdogan aveva dichiarato in un momento insospettabile che 1201 membri dello stato islamico erano detenuti nelle prigioni turche, mentre la Turchia aveva arrestato 287 jihadisti in Siria. E questa è un’altra delle carte segrete di Erdogan, che potrebbe poi svelare nei prossimi giorni. L’attenzione si concentra anche sugli islamisti fanatici che non provengono dalla Siria ma dall’Afghanistan, dall’Iraq, dal Marocco, mescolati a migranti e rifugiati che minacciano di entrare clandestinamente o che sono già entrati in Grecia nelle ultime settimane”,- stampa greca del 10 marzo.

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Rivelazione ancora una volta, la parola è quindi greca, e designa l’azione di distinguere ciò che è nascosto. Ci immergiamo quindi nel regno della verità, rivelata agli uomini, prima o dopo qualsiasi teologia. Probabilmente è anche di quel periodo, perché le chiese del paese sono ormai piuttosto piene, anche a dispetto del coronavirus.

Martedì sera, 10 marzo, è stato annunciato sulla stampa greca che tutte le scuole e le università sarebbero state chiuse.

Il paese reale riscopre poi tutta la geopolitica che è propria… più il coronavirus. Sempre una questione di confini e di sopravvivenza, i nostri…  gatti si azzuffano, è la stagione.

http://www.greekcrisis.fr/2020/03/Fr771.html?fbclid=IwAR36gyAyHjUn8FIJ_wsX7hj1pSHDqxsLcaZRUqvJ0d2Q1ds0PNO26CYaOLc#deb

TRUMP PRESTO A CANOSSA ?, di Antonio de Martini

Pochi commentatori enfatizzano che le recenti elezioni in Turchia erano meramente amministrative e nessuno ha spiegato cosa è successo realmente.
Hanno preferito raccontare di “ ridimensionamento” dell’ AKP il partito di Erdogan il tiranno.

Le cose non stanno così.

Alle elezioni politiche precedenti al tentato colpo di stato del luglio 2016 – di cui fui l’unico a prevedere data e protagonisti nel meno visto dei miei interventi su you tube- gli Stati Uniti decisero di non appoggiare il partito laico e kemalista ( CHP) per promuovere un più ossequiente cartello di curdi, omosessuali, halevi e minoranze varie convinti di riuscire a scardinare la maggioranza del partito di Erdogan a suon di dollari.

Ci riuscirono in buona parte facendogli perdere una settantina di deputati, subito rimpiazzati da una alleanza a destra, che assicurò ugualmente una maggioranza di governo.

Gli USA avevano rifiutato di appoggiare il partito kemalista – tradizionale avversario dei “ clericali” perché troppo nazionalista e non obbediente quanto un avvocaticchio di provincia che fu spacciato dai soliti media internazionali per un grande leader.

L’annunziata recessione turca nel 2017 ha segnato un +7,6% mentre noi saremmo in crescita al +0,2%……

Questa volta, mossi dalla disperazione per il golpe fallito di cui sono accusati e dalla lobby delle armi che vede con terrore l’apparire sul mercato del sistema antiaereo russo AS 400 che rischia di fare “l’en plein” come il mitra Kalashnickov che ha ottenuto oltre 90 % del mercato mondiale delle armi portatili, sono venuti a più miti consigli ed hanno accettato – in questa tornata sperimentale amministrativa- di non sostenere cartelli raccogliticci e la Turchia è tornata al bipartitismo che le è naturale.

Il famoso cartello democratico “ froci&co” è praticamente scomparso, lo stesso partito curdo si è ridimensionato, mentre i seguaci di ATATURK , che in politica estera sono sempre più spesso in armonia col presidente, hanno ripreso fiato e spazi politici.

A Ankara, La capitale creata da Ataturk , la borghesia impiegatizia è tornata a casa e eletto il candidato kemalista.

Sapendo che a Istanbul i contendenti erano testa s testa, Erdogan – ex sindaco – si è lasciato convincere a promettere la riconversione del museo di Santa Sofia in moschea.

Troppo poco per convincere i clericali estremi e troppo tard (48 ore) i per galvanizzare i seguaci.

Adesso i media che riprendono fedelmente i temi dei think tank americani, fingono speranzosi che Erdogan “ capisca e si riavvicini all’occidente”.

In realtà, il governo turco si irrigidirà , insisterà a polemizzare con gli USA, Cipro e Israele ( la Grecia, irritata dal flirt con gli israeliani, ha invece ufficialmente riconosciuto non meglio specificati “ diritti” turchi sui giacimenti dell’Egeo) , confermerà l’acquisto degli AS400 russi e appoggerà con maggior fermezza l’Iran nella sua lotta contro le sanzioni.

Il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha fatto un impietoso elenco delle contrastanti dichiarazioni americane sulla Siria e sulla Turchia, in pratica rendendo noto che ormai considerano interlocutore il solo Trump.

Se vuole esca allo scoperto e chiarisca di chi è amico e alleato nel Vicino Oriente, oppure salterà tutto il quadro strategico tra Il Cairo e Kabul.

Questo non lo ha detto, ma lo ha fatto capire chiaramente.
Il capo è stufo di parlare coi camerieri, anche se tedeschi.
E il CHP – che condivide già le scelte di politica estera di Erdogan potrebbe dargli ragione e entrare in coalizione.

Condizionando la collaborazione a un rinnovato sforzo verso la Unione Europea che potrebbero essere loro a gestire.

Khashoggi, il buono e il cattivo_di Giuseppe Germinario

La sparizione e la probabile morte del saudita Jamal Khashoggi a Istanbul ha provocato una vera e propria indignata sollevazione di scudi. La Turchia in questi mesi ha conosciuto altri eventi drammatici che hanno riguardato diplomatici, nella fattispecie l’uccisione dell’ambasciatore russo; ha vissuto tragici attentati, un tentativo di golpe e una drastica conseguente epurazione di decine di migliaia di funzionari pubblici e giornalisti che hanno rafforzato il pieno controllo politico di Erdogan sul paese. In Arabia Saudita, d’altro canto, paese componente e sino a pochi mesi fa posto senza remore alla presidenza del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, il confronto politico prevede da sempre, nella gamma delle modalità, la liquidazione fisica degli avversari ed altre amene trivialità; in un paese dove la pena di morte, le punizioni corporali e il controllo capillare sono connaturati al regime integralista sin dalla nascita. A conferma che queste pratiche non risparmiano nessuno il recente attacco sanguinoso con fucili di assalto nel palazzo del Principe Selmani prontamente censurato.

Da questa plumbea normalità il caso Khashoggi è emerso con grande clamore rimbalzando in tutto il mondo.

Il paladino della democrazia, il giornalista militante della libera informazione vittima della crudeltà triviale del Principe Saudita oscurantista e paranoico. In un mondo così confuso finalmente un chiaro discrimine tra il buono e il cattivo così in voga nella narrazione cinematografica.

Una nobile indignazione colta ed alimentata da quella grande stampa che negli ultimi anni pare aver spento ogni spirito critico e ogni precauzione alla manipolazione dei fatti.

Ma siamo proprio sicuri di trovarci ad un atto di redenzione sia pure tardivo?

Proviamo a porci e porre qualche domanda.

Come mai Erdogan, sino a pochi giorni fa presentato come il grande affossatore della libertà di stampa, il fustigatore di decine di giornalisti, l’epuratore per antonomasia assurge improvvisamente agli stessi occhi dei fustigatori di un tempo al ruolo di dispensatore della verità e di giudice della barbarie saudita? Eppure sono stati i turchi ad avvertire i sauditi del prossimo arrivo di Khashoggi a Istanbul; dicono di avere prove schiaccianti e filmati del barbaro assassinio, ma tardano ad esibirle. La stessa presenza di filmati, se confermata, confermerebbe piuttosto l’esistenza di una quinta colonna nel drappello saudita incaricato della missione. In operazioni analoghe i sauditi hanno per altro dimostrato ben altra perizia con il trasbordo forzato in madrepatria della vittima designata.

Come mai la testa dello schieramento dei partigiani della verità e della democrazia è fermamente e tempestivamente presidiata, tra gli altri del medesimo campo, da John Brennan, ex capo della CIA ai tempi di Obama, grande artefice delle primavere non solo arabe e del grande caos in Medio Oriente e dal Washington Post, giornale ormai ridotto a mera cassa di risonanza partigiana dell’establishment sconfitto alle elezioni presidenziali americane. Figure ormai poco attendibili e credibili per questo genere di proclami e di campagne.

Come mai il martire Khashoggi è stato unanimemente presentato come fine giornalista e scrittore e come paladino della democrazia liberale quando il suo curriculum è ben più nutrito e abbraccia un campo di interessi e di interventi ben più vasto e rilevante. La figura del giornalista, purtroppo non è più così ben definita. Il confine tra il ruolo di giornalista, quello di informatore e di agente sta diventando labile. La scena indecoroso fferta a Tripoli da buona parte degli addetti nel 2011 è rivelatrice di una insana commistione. Nel caso di Khashoggi per altro sembrano esserci pochi dubbi. Negli anni ’80 lo vediamo impegnato a buoni livelli nella resistenza jihadista in Afghanistan; successivamente lo si vede in contatto stretto con Al Qaida e con Bin Laden al punto da essere indicato dai sauditi come mediatore di una possibile riconciliazione del capo qadista con la famiglia saudita; ancora dopo lo si vede tra i sostenitori e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani, notoriamente sostenuti e finanziati dall’emiro del Qatar e dai Turchi e ormai da tempo scaricati dai sauditi, dopo le fallimentari prove offerte in Egitto e in Libia. Obama e il suo cerchio magico aveva notoriamente riposto in essi le maggiori speranze di successo di un ribaltamento dei regimi in Medio Oriente. Da qui il suo impegno in Siria a favore dei “ribelli moderati”, almeno nelle sigle. La democrazia rivendicata da essi e dallo stesso Khashoggi, a leggere con attenzione i suoi testi, non era altro che un tentativo di imporre un diverso regime, alternativo al modello wahabita dei Saud, ma pur sempre nettamente integralista. Quanto alla sua visione geopolitica è sufficiente sottolineare la sua conclamata omologazione del Principe Selman alla figura altrettanto nefasta di Putin. Per ultimo Khashoggi è stato per anni segretario del capo dei servizi segreti sauditi, Principe Suleiman, acerrimo avversario del Principe Selman, attualmente capo di fatto della casa saudita. Negli ultimi tempi il giornalista, entrato nelle grazie di Obama, è apparso sempre più distante ed estraneo ai giochi interni alla casa saudita e sempre più legato alle trame dei servizi angloamericani. Lo stesso era addirittura in predicato di diventare uno dei capi all’estero di una eventuale rivoluzione d’Arabia che prevedeva il controllo diretto da parte americana dei pozzi di petrolio e l’instaurazione di un nuovo regime che spodestasse i Saud. Un progetto per il momento naufragato con lo stallo in Siria e l’elezione di Trump alla Casa Bianca.

Il caso Khashoggi in realtà si sta trasformando in un’occasione e uno strumento da brandire da parte dei vari attori dello scacchiere geopolitico mediorientale e delle due fazioni in lotta negli Stati Uniti. Può servire ad Erdogan per ottenere un qualche salvacondotto nella politica di sanzioni all’Iran, visto il suo vitale interscambio commerciale con esso. Può servire a ridurre a patti e a ridimensionare il peso geopolitico del Principe Selman ed indebolire quindi il suo patto di ferro con Trump ed Israele e di conseguenza a ricucire il rapporti di Erdogan con i due schieramenti negli USA. Sarebbe in proposito interessante analizzare le linee di condotta Russa e Cinese nell’eventualità di un nuovo giro di valzer turco. Per la prima volta Trump appare stretto in un cul di sac, obbligato a due scelte alternative altrettanto costose: sostenere il maldestro Bin Selman e con questo rendersi complice di un comportamento efferato; scaricarlo e con questo mettere in discussione la triplice alleanza con i sauditi e Israele; il perno della attuale politica americana in Medio Oriente.

In realtà la componente wahabita più integralista, quella stessa osteggiata dal Principe Selman, potrebbe essere quell’avversario ancora più spietato e determinato, interessato a liquidare il “giornalista” troppo vicino ai Fratelli Musulmani e agli americani. Il temporaneo sodalizio di questa con il sultano turco e la sua simbiosi con la componente democratica-neocon americana potrebbe essere il trio diabolico più interessato a liquidare e sacrificare “il paladino della democrazia” addebitandone la responsabilità al Principe saudita di fatto reggente. L’improvvisa prudenza con la quale Erdogan in queste ore sta affrontando l’affaire lascia margini alla fantapolitica. Potrebbe essere la scappatoia che consentirebbe a Trump di uscire dalla trappola e di ribaltare sulle spalle altrui il dilemma; in questo, ancora una volta, sarà importante il lavoro sotterraneo di Israele, ben presente nei tre paesi principali di quell’area.

Intanto l’Arabia Saudita ha improvvisamente aumentato i volumi di produzione del petrolio; ci sarà da attendersi una pressione dei prezzi al ribasso. Russia e Stati Uniti sono avvertiti.

Ci attende un mondo sempre più complicato e dalle apparenze ingannevoli dove i buoni, in realtà, possono rivelarsi ben peggiori dei cattivi.

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