I “MOLTIPLICATORI DI IMPOTENZA” NELLA GUERRA IBRIDA, di Piero Visani

I “MOLTIPLICATORI DI IMPOTENZA” NELLA GUERRA IBRIDA

Si parla molto della questione se il Coronavirus sia stato o meno di produzione militare e si sostengono varie tesi al riguardo, tutte interessanti.
Sfugge però – a mio parere – un aspetto fondamentale: al centro della guerra ibrida non si pongono, come in altre tipologie belliche, i “moltiplicatori di potenza”, ma semmai quelli “di impotenza”, poiché essa si preoccupa di rovesciare, non di confermare, assetti già noti.
L’esempio italiano è classico, al riguardo. Si prenda una classe dirigente ignorantissima, ottusa, autoreferenziale e sempre pronta a vendere se stessa per pochi (e talvolta neppure così pochi) euro, a condizione di rimanere al vertice (anche al vertice di Cialtronia o di niente, pur sempre un vertice è, per nani e ballerine…; i primi, del resto, come ebbe a scrivere il mitico Faber, hanno il cuore – e pure la testa, aggiungo io – “molto vicino al buco del…” etc. etc.) e la si solleciti con stimolazioni che si sappia possano farle molto male, nel senso che – giostrando accortamente una serie di fattori di cui essa SA NULLA, in base al notorio principio che “uno vale uno e zero vale zero” (e la medesima è più prossima al secondo che al primo…) – la si possa danneggiare in profondità sotto vari punti di vista.
Adeguatamente stimolata alla reazione pavloviana, essa partirà in quarta, distruggendo un Paese, un’economia e un’immagine internazionale già pressoché inesistente semplicemente per attivare quei “moltiplicatori di impotenza” che è stata abilmente sollecitata ad attivare. Il risultato sarà l’ennesimo disastro, i suoi abitanti saranno ridotti al rango di appestati, la sua economia si fermerà e quella parte di suoi cittadini che era tanto favorevole all’accoglienza si vedrà chiudere in faccia tutte le porte possibili e immaginabili da parte di chi è un po’ meno fesso (o venduto…) di lei (e sono tanti…). Alcuni, poi, si accorgeranno che la globalizzazione vale fin che fa comodo ai padroni del vapore, poi fa subito loro decisamente più comodo la “glebalizzazione”.
Ecco come si attivano i “moltiplicatori di impotenza” in una guerra ibrida. E’ sufficiente che siano disponibili i materiali di base: gli idioti. E da noi – a quanto pare – abbondano.

IL CORONAVIRUS DEGLI ITALIANI e le piaghe capitali, di Antonio de Martini

IL CORONAVIRUS DEGLI ITALIANI

Quando è che è cominciata la decadenza italiana e in cosa la identifico?
L’ultima intendo. Quella che stiamo vivendo.
A metà anni sessanta, c’è stato un momento in cui le energie sprigionate dall’affrancamento dal regime fascista e dai suoi riti più sciocchi ( gerarchetti, orbace, polizia e sabato fascista) cominciarono ad esaurirsi e subentrò prepotente il desiderio di “star meglio”: era iniziata la fuga dalla “ borghesità” verso la “modernità”.

L’irrazionale tornava a fare capolino nelle nostre vite e a erodere il senso di realtà che ci aveva trasformato da sconfitti a protagonisti della ripresa mondiale. La lira aveva ottenuto “l’Oscar delle monete”, ricordate?

Personalmente, situo questo “ big bang” della coglioneria nella decisione dei barbieri di chiudere alla domenica, conservando la tradizionale chiusura del lunedì.

Fu un terremoto inavvertito.

Il rito domenicale laico di milioni di uomini era : alla mattina il barbiere e alle tre del pomeriggio la partita.

La Barberia era il tempio e la cellula base della cultura maschile: era il posto dove la prima volta andavi esclusivamente col padre.

Da quel momento la mamma smetteva di tagliarti i capelli con la casseruola o manutenere i boccoli.

Il calendario osè, il battibecco politico amichevole, le scommesse sportive con in palio il caffè, la barba col rasoio affilato, con solenne gestualità, sulla striscia di cuoio che diffondeva odore maschio di selleria.
I commenti sulle donne.

Quando un malcapitato si beccava la sifilide, alla moglie, i medici spiegavano in coro che era stato il mal pulito rasoio del barbiere a trasmettere il male e la pace familiare era salva.

I barbieri decisero, di punto in bianco di starsene a casa la domenica.

Loro e i preti giubilarono senza capire che – per entrambi- era l’inizio della fine.
I sindacati e il regionalismo bussavano alle porte.

LE SETTE PIAGHE CONCOMITANTI CHE UCCIDONO L’ITALIA

Ieri abbiamo visto il Coronavirus degli italiani ( secondo me).
Oggi vedremo le malattie concomitanti che – a detta di tutti- stanno uccidendo la nostra nazione.

Una serie di “ associazioni private non riconosciute” e non regolate da alcuna legge – le chiamano partiti- invade e pervade ogni istituzione che di per sé sarebbe strutturata e sana: il Parlamento, il Governo e condiziona
financo l’elezione del Presidente della Repubblica.

La mancata soluzione della crisi provocata dalla caduta del fascismo.
Si evita fin da quando Marco Pannella creando il termine “ i fascismi” ( plurale ) evitò le querele trasferendo le accuse nel campo della polemica politica evitando pronunzie della magistratura che avrebbe potuto porre un punto fermo a ogni vicenda.

La risposta, altrettanto melliflua da parte fascista fu l’esaltazione di singole realizzazioni degli anni trenta come “ opera di Mussolini” invece che delle tecnostrutture dello Stato.

L’IRI lo creò Beneduce e non il Duce.

Queste ambiguità perdurano come una vecchia ulcera non curata e avvelenano le vecchie e nuove generazioni.

Il falso storico che attribuisce la sconfitta del fascismo alla Resistenza, mentre l’unica Resistenza che liberò il proprio paese fu quella Jugoslava. Nemmeno De Gaulle si attribuì la liberazione della Francia.
Il fascismo fu sradicato dalla V Armata USA e dalla VIII armata britannica.

I fascisti sconfitti mantennero e trasmisero l’idea che senza le armate alleate avrebbero vinto loro e sono convinti che gli americani col loro intervento falsarono la partita.

Di qui l’irrealistico revanscismo che avvelena il dibattito alimentato da millantatori interessati.

L’abitudine rinascimentale a ricorrere allo straniero per prevalere all’interno del sistema Italia non è mai morta e prosegue imperterrita.

Sono trasfusioni di sangue incompatibile con la sopravvivenza di singoli come della stessa idea di Nazione.

La Finanziarizzazione della spesa pubblica: fare finanza, disse Keynes- significa contrarre debiti.
Ne abbiamo contratti a dismisura anche per finanziare le riforme chieste dai socialisti per partecipare al governo.

Col crescere dei debiti cresce l’influenza dei paesi creditori che finiscono per condizionare tutte le scelte dei Governi.
Equivale all’essere ospitati sotto una tenda a ossigeno.
Si rischia il soffocamento a ogni movimento o fessura della tenda.

Ognuno di noi sa cosa fare per evitare lo sfascio, ma lo spirito di fazione sembra più forte dell’amor di Patria.

Se a queste piaghe bibliche si aggiunge la necessità di sovvenire ai bisogni del partito e della famiglia “ fino alla colpa”( Mazzini ndr) capiamo che ad ogni giorno che passa, l’Istituzione muore un po’ di più .

lettera da un professore, di Antonio de Martini

Questa è la magistrale lettera che il preside del liceo Volta di Milano, Domenico Squillace, ha scritto a tutti gli studenti della scuola e pubblicato sul sito. Perdete qualche minuto per leggerla: è un capolavoro

AGLI STUDENTI DEL VOLTA

“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..”

Le parole appena citate sono quelle che aprono il capitolo 31 dei Promessi sposi, capitolo che insieme al successivo è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che vi consiglio di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi. Dentro quelle pagine c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria…. In quelle pagine vi imbatterete fra l’altro in nomi che sicuramente conoscete frequentando le strade intorno al nostro Liceo che, non dimentichiamolo, sorge al centro di quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala, Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma più che dal romanzo del Manzoni quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un giornale di oggi.

Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile, non a caso la chiusura forzata delle scuole è qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali. Non sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le indicazioni, quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.

Vi aspetto presto a scuola.
Domenico Squillace

INFLUENZE, INFLUENZATORI E INFLUENZATI

Il governo ha impugnato il provvedimento di chiusura delle scuole adottato dalla regione Marche, ironia della sorte, alla vigilia della firma di un accordo con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte per trasferire loro una serie di competenze aggiuntive oltre quelle che hanno e che si sono rivelate incapaci di gestire.

Trovo spettacolosa la muliebre contraddittorietà di questi provvedimenti: questa settimana accentriamo e la prossima decentriamo.

L’unico punto in comune tra la Chiesa cattolica e l’Unione Europea é sempre stato l’affermazione periodica del principio di sussidiarietà, ossia che « ogni problema deve essere risolto al livello cui si pone ».

In pratica, un problema regionale come quello dello smaltimento dei rifiuti dovrebbe essere risolto dalla regione, mentre la politica estera dovrebbe essere accentrata a livello nazionale.

Ognuno può constatare come questa affermazione di principio resti sulla carta. In realtà, tutti tendono ad accentrare i quattrini e liberarsi delle responsabilità.

Non c’è sintesi in niente, non c’è arte del governo. Solo fame di suffragi e denari nostri.

Nessuno che abbia detto, ad esempio per la crisi del virus, che abbiamo finora avuto ( nel mondo) 4.200 guariti e 2715 morti.

Chi cerca i quattrini cita solo il numero dei contagiati e chi vuole scaricarsi di responsabilità, i guariti.

Per far ammettere alla TV che i morti erano persone anziane e già ricoverate in ospedale per altre concomitanti e gravi malattie , si è dovuto insistere per quasi una settimana con media di minore impatto, ma non influenzati dal governo.

Tutte le corporazioni succhiasoldi sono all’opera per ottenere benefici : la Coldiretti , una organizzazione fatiscente, ha già fatto il fulmineo conto dei danni inferti dalla epidemia ( che non c’è..) alla zootecnia, dichiarando di aver censito 500 stalle in crisi.

Altra tradizionale coschetta di furbi, gli albergatori che hanno già conteggiato a livello italiano le disdette di prenotazioni nella misura del 70%.

Gli italiani saranno pure influenzati, ma la vicenda grave é che il governo é influenzabile e molto.

A proposito di sussidiarietà, il livello cui porre il problema virus é : il ministro della salute, il commissario alla salute UE, l’OMS.
Tutti « sconosciuti al portalettere » .Tacciono per non fare ombra alla primadonna.

In TV ci va il presidente del Consiglio che vuole influenzare l’elettorato.

COSA ABBIAMO IMPARATO, di Antonio de Martini e cosa dovremmo, di Piero Visani

COSA ABBIAMO IMPARATO, di Antonio de Martini

1) Per la difesa della salute, il livello decisionale regionale é privo di senso.
( il regime DC-PSI creando le regioni delegò a queste una competenza sanitaria che i fatti hanno dimostrato avere una valenza spaziale ben più vasta).

2) L’Unione Europea ha perso un’altra occasione per dimostrarsi viva. Non una direttiva e nemmeno linee guida. Nessuna previsione né prevenzione.un tardivo stanziamento per finalità da definirsi.

3) Anche affrancare la protezione civile dalla Difesa si è dimostrato un errore: si tratta di materie ( pianificazione operativa, logistica) capitale umano e mezzi che vengono studiati e impiegati solo dalle forze armate.

Incongrua una dirigenza « civile » : é una duplicazione costosa e inutile, visto che poi – tranne che per le conferenze stampa – si finisce per impiegare i militari, deresponsabilizzandoli con m’ affidamento del comando a estranei , quando non ostili, all’organizzazione principale.

4) Discorso analogo per « L’Unità di crisi » della Farnesina. Di fronte al fatto nuovo, ha reagito utilizzando il criterio usato per gli ostaggi dei terroristi o i reduci da un terremoto: rimpatriando i concittadini ( facendo ricorso all’aeronautica militare) . Anche qui, poco più che un numero verde e comunicati stampa.

Il sovrapporsi di competenze e coordinatori ha prodotto indugi e questi risibili e improvvisati tavoli da sessanta persone visti in TV, mentre sarebbe stato utile uno Stato Maggiore preparato e già affiatato a conoscenza dei limiti e potenziale dei mezzi a disposizione.

L’inferiorità metapolitica, di Piero Visani

       Dal momento che, quando si parla di metapolitica, l’occhio dei “centrodestri” italici si fa ancora più vacuo di quanto non sia abitualmente (e lo è già parecchio…), farò un esempio concreto, di quelli che – “con un piccolo aiuto degli amici”… – magari riusciranno a comprendere, visto che si tiene a debita distanza dal disprezzatissimo pensiero astratto: vi risulta che qualche magistrato si sia mosso onde denunciare qualche membro del governo, dal presidente del Consiglio in giù, per comportamento inizialmente molto omissivo nei riguardi del “Corona virus” e per aver parlato molto di razzismo, più che di altre forme di contagio? No, naturalmente. Come pure nessuna denuncia al Tribunale dei ministri, come accadde in passato a un ministro degli Interni. Tutti silenti, “allineati e coperti”, per nulla attenti alle molte omissioni di controllo e alle troppe restrizioni alla libertà dei cittadini degli ultimissimi giorni.
Non controllare il Deep State, lo “Stato profondo”, e non riuscire a fare politica a causa di tale mancato controllo: questa è inferiorità metapolitica, grave.

Coronavirus e struzzi politicamente corretti, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto la pubblicazione di alcune incisive considerazioni di Andrea Zhok e Vincenzo Cucinotta, tratti da facebook, riguardanti le implicazioni e la gestione di una eventuale se non probabile diffusione epidemica o peggio pandemica del coronavirus. L’argomento meriterà sicuramente ulteriori riflessioni sulla falsariga di quanto sottolineato da Zhok e sostenuto a più riprese, ormai da anni, da questo blog a proposito della fragilità e della sempre più incipiente crisi di un sistema globalizzato di relazioni fondato su una visione unipolare ed economicistica del sistema di relazioni. Al momento preme sottolineare due aspetti della gestione casereccia di questa situazione di crisi.

  • L’atteggiamento della stampa e del sistema di informazione nella loro quasi totalità. I telegiornali ormai dedicano pressoché le intere edizioni alla crisi in atto. In realtà non fanno che soffermarsi ossessivamente sul numero dei casi, sulla condizione dei pazienti e sulle misure di isolamento dei soggetti e delle comunità implicati. Nessuna seria azione di vigilanza, puntualizzazione e critica dell’azione governativa a cominciare dalla verifica dei poteri di vigilanza e di efficacia di azione conferiti alla Protezione Civile e agli altri organismi preposti. Con il pretesto di evitare di concedere spazio alla strumentalizzazione politica, in parte effettiva, operata in particolare da Matteo Salvini, non fa che riportare pedissequamente e diligentemente l’azione governativa. Un atteggiamento di apparente neutralità ed oggettività che nasconde la funzione surrettizia di sostegno politico a questi ultimi; una mistura esplosiva di allarmismo sterile e conformismo politico innescata da un meccanismo a scoppio ritardato dalle conseguenze potenzialmente disastrose.
  • L’atteggiamento delle forze al governo. La preoccupazione primigenia di costoro è stata quella di lanciare “messaggi di inclusione” a contrasto e in polemica con un razzismo di fatto inesistente e irrilevante, almeno per il momento, nel nostro paese. Una strumentalizzazione politica peggiore di quella degli avversari e un messaggio che rischia di sminuire l’azione individuale di prevenzione. Lasciamo perdere per il momento il tema del ridimensionamento, deperimento delle strutture amministrative e di servizio del paese. Con tutti gli strumenti invasivi di controllo individuale disponibili, legati all’uso di carte di pagamento, di pedaggi e prenotazioni e via dicendo, pare che siano stati utilizzati strumenti più approssimativi e informali di individuazione dei focolai primigeni con conseguenti ritardi e carenze che costringeranno probabilmente a modificare la natura e la drasticità degli interventi futuri riguardo ad una patologia preoccupante più che per la mortalità per la contagiosità e l’oneroso trattamento medico necessario in buona parte dei casi il cui corso potrebbe portare al collasso il sistema ospedaliero.

Non pare, quindi, per chiosare Zhok, che il Governo sia consapevole della posta in palio e se lo è preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto piuttosto che andarsene.

Andrea Zhok

Qualche osservazione sparsa e da profano sugli ultimi eventi relativi al ‘coronavirus’.

1) Il problema fondamentale rappresentato da una possibile epidemia di Covid-19 non sta nella mortalità, che è di poco superiore ad una normale influenza, ma nella pesantezza del decorso, che richiede spesso ricovero ospedaliero.

2) Quindi l’impatto problematico del Covid-19 si manifesta (potenzialmente) in primo luogo sulle strutture ospedaliere, che incidentalmente sarebbero lì per occuparsi di una pluralità di problemi, e che si possono trovare rapidamente al collasso. – In quest’ottica si comprende sia la sollecitudine (e mostruosa efficienza) cinese nella costruzione di nuovi ospedali, sia la preoccupazione di molti operatori ospedalieri italiani in un settore scarnificato dai tagli negli ultimi anni.

3) In seconda battuta, l’impatto del Covid-19 è particolarmente severo sull’intero sistema delle transazioni, sul ‘libero movimento di merci e persone’. In quest’ottica poche cose illustrano in modo più plastico di questa epidemia il sistema di interconnessioni ed interdipendenze globali. Al contempo ciò mostra l’immensa strutturale fragilità di sistemi produttivi così estesi, che dopo essere stati più volte messi sotto accusa per le ripercussioni ambientali di questa ‘frenesia di movimento’, e per le loro ripercussioni in termini di destabilizzazione economica (delocalizzazioni, ecc.), ora mostrano anche la corda nei termini di fragilità del controllo nazionale (quando il controllo nazionale è l’unica cosa cui puoi ricorrere, come in caso di epidemia).

4) Nel caso italiano temo che il rischio di essere il vaso di coccio del sistema sia altissimo. Paesi come la Cina giocano le loro carte sull’export, ma hanno un forte controllo nazionale, e ciò gli consentirà plausibilmente, nonostante una situazione inizialmente assai più grave, di rimettersi in carreggiata tra uno o due mesi. Se la curva dei contagi, come sembra, continua a ridursi, la Cina riprenderà (non senza strascichi) il suo ruolo attuale di ‘fucina del mondo’.
Altri paesi, come gli USA, hanno un mercato interno forte, che risentirà relativamente di eventuali prolungate interruzioni delle ‘supply chains’ mondiali.
I paesi europei sono quelli destinati a soffrire di più nel caso di un prolungarsi od aggravarsi della situazione, e l’Italia più di tutti, perché dipende più di ogni altro dalle proprie relazioni internazionali (sia come export, che come settore turistico).

5) Sul piano strettamente empirico, in Italia, in questo quadro c’è un particolare che finora mi sembra curiosamente assente dalla discussione. Siamo di fronte a due focolai distinti, di cui uno ha un possibile paziente zero (ma per ora non confermato), mentre nell’altro caso non mi risulta che ci sia alcun paziente zero.
Ora, la mancata individuazione dei focolai originanti dell’infezione è un evento di straordinaria gravità. Se il/i soggetto/i che diffonde il virus non viene isolato può contagiare un numero indefinito di persone, che visti i tempi di incubazione (da 2 a 15 giorni, sembra), potrebbe provocare una condizione pandemica in capo a un paio di settimane.

Ci si potrebbe trovare, e non è una proiezione particolarmente pessimistica, con una situazione di dimensioni ‘cinesi’. Scarsa consolazione sembra provenire dalla presunta stagionalità del virus, giacché a quanto pare si sta diffondendo anche in aree calde. Un quadro del genere può significare per l’Italia essere tagliati fuori come anelli dell’approvvigionamento europeo e come destinazione turistica.

Il tutto in una cornice già economicamente logorata e socialmente tesa.

E, per inciso, senza la possibilità di poter ricorrere a pratiche di autofinanziamento statale (per la ben nota deprivazione della potestà sulla propria erogazione di moneta).

Direi la tempesta perfetta.

Spero vivamente che chi ci governa abbia chiaro davanti agli occhi questo scenario, al momento non solo di principio possibile, ma significativamente probabile. Non è un momento in cui si può aspettare e stare a vedere cosa succede, per poi metterci delle toppe. Le toppe sono già quasi finite, e potremmo essere solo all’inizio.

 Vincenzo Cucinotta

Conte dice “stiamo facendo tutto il possibile”.
Il punto è che non si fa mai tutto il possibile, perchè se ciò che si fa esaurisce tutto il possibile, allora, non ci sarebbe nulla da decidere.
Quel Conte mi pare l’emblema stesso di questo aspetto più ignobile dell’italianità, questa approssimazione, questo volemose bene, uno che dice che gli italiani possono stare tranquilli perchè il governo sta facendo del suo meglio.
Vedo che non ci sono grandi consensi alla mia posizione “estrema”, cioè affrontiamo il contagio senza illuderci di poterlo contenere, ma credo che non sia chiaro che ogni battaglia che si intraprende, lo si fa per vincerla.
Mi chiedo allora coloro che sono nel panico per ogni possibile estensione del contagio, a quali sacrifici estremi siano pronti, a rimanere barricati in casa fino a esaurimento delle scorte, e poi affidarsi a lanci di derrate alimentari da elicotteri? Non so, non capisco, forse non è chiaro a tutti che ormai abbiamo una pluralità di fonti di contagio, molte delle quali tuttora ignote, e ognuna di queste può rapidamente dar luogo a numerosissime fonti di contagio. Come possiamo davvero credere che si riesca a controllarle tutte?
Mi chiedo se siano così scemi o se siano solo furbi, e invece di puntare a delimitare il contagio, stiano solo tentando di difendere la propria immagine dicendo appunto che “hanno fatto tutto il possibile”. A noi, che facciano tutto il possibile non interessa per niente, vogliamo risultati, e quindi se qualcuno ha un’idea in proposito, che adottino una strategia ben definita e articolata, sennò sarebbe meglio che non facessero nulla, il possibile di cui parlano può essere molto pernicioso.

http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-31/14163

Il   Governo pericoloso di Don Ferrante, di Massimo Morigi

                                               

 

Il Governo pericoloso di Don Ferrante

 

La vita e le dinamiche delle società cosiddette avanzate, altrimenti dette democrazie industriali, molto spesso impongono difficoltà di analisi e giudizio le quali, almeno da un punto di vista strettamente tecnico, si rivelano per la pubblica opinione difficilmente comprensibili ma anche di assai difficile approccio per coloro che, come lo scrivente, sono a malapena dotati di qualche flebile competenza filosofico-politica.

Ovviamente, vedi il caso delle attuali classi dirigenti italiane per le quali la permanenza nell’Euro è una sorta di mantra per coprire le loro storiche manchevolezze, non è difficile emettere un giudizio negativo ma questo, inevitabilmente – per ragioni sia di mancanza di competenze economiche specifiche da parte di chi emette il giudizio (tanto per non andare lontano: sempre lo scrivente), sia per il fatto che decisioni come la permanenza nell’Euro che non sono solo economiche ma, soprattutto, di tipo storico e destinale per una comunità nazionale e che quindi più che l’intelletto nel giudicarle richiedono un uso massiccio della hegeliana ragione, la quale, come si sa o come si dovrebbe sapere è posseduta da tutti e da nessuno –  si risolve, alla fine in una petitio principii, che certo non è, come comunemente si crede, un errore logico, anzi!, ma sicuramente è contestabile da  contrarie ed altrettanto legittime prese di posizione (anche se, mi permetto di aggiungere, malefiche per le sorti della nostra nazione).

Ma vi sono casi in cui queste difficoltà svaniscono come neve al sole ed è sufficiente l’uso del semplice intelletto per emettere il giudizio. Come nel caso del Coronavirus, per il quale il nostro beneamato governo, (nonostante tutti gli appelli di buonsenso contrari alla sua linea, per non dire altro,  lassista,  vedi virologo Roberto Burioni) ha ritenuto di non dovere imporre la quarantena obbligatoria per coloro che sono stati esposti a rischio di contagio ma solo, ora sembra, per coloro che sono di ritorno dalla Cina.

E a questo punto,  per trovare una spiegazione a tanto “coraggio”  indecisionista bisogna però di nuovo ricorrere alla hegeliana ragione e avanzare l’ipotesi che chi ha paura delle scie chimiche, forse giustamente vuole proporre una riabilitazione del manzoniano Don Ferrante che, profondo nella scienza astrologica, morì per aver voluto negare la peste, ma la cui morte, può sempre ribadire il cultore della scia chimica, è stato solo un fatto letterario e voluto dal quell’arcigno ed aristocratico scrittore che rispondeva al nome di Alessandro Manzoni.

Il Manzoni, noi aggiungiamo, del tutto verosimilmente non avrebbe  nemmeno speso  un pensiero di commiserazione per un governo composto  dagli smandrappati scappati di casa seguaci del cielo stellato e dagli sfiancati e geneticamente modificati epigoni di una rivoluzione che fu grande e che, pur con tutti i suoi orrori,  di fronte a grandi sfide seppe imporre anche grandi ed efficaci risposte e non blaterare ad ogni piè sospinto la pappa del cuore del politicamente corretto. Pappa del cuore che non è solo propaganda ma infetta anche la loro mente e che fa sì che non si prendano misure draconiane, per limitare questa nuova peste, per paura che gli italiani si rivelino razzisti contro i cinesi, mentre è di tutta evidenza che rischi xenofobi si correrebbero proprio nel caso la situazione dovesse sfuggire di mano.   

 

Massimo Morigi 

 

 

 

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