Sulla secessione e la guerra civile, di SIMPLICIUS THE THINKER

Leggete Simplicius ed ascoltate sul nostro sito il Gianfranco Campa degli ultimi sei anni. Giuseppe Germinario

Sulla secessione e la guerra civile

Will there be breakup by 2030?

Ci sarà una rottura entro il 2030?

SIMPLICIUS THE THINKER
30 APR 2023
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Questo è il primo pezzo che ho scritto in cui mi sono reso conto che sarebbe stato adatto sia a questa pubblicazione che a quella di Dark Futura. Perciò, per la prima volta, lo pubblicherò su entrambe le testate, in modo da raggiungere entrambi i pubblici, dato che le due testate si sono ormai separate nel tempo e ci sono molte persone che sono abbonate solo a una e non all’altra. Pertanto, mi scuso con chi è abbonato a entrambi e riceve una doppia e-mail, poiché si tratterà di un evento raro su un argomento che riguarda entrambe le pubblicazioni.

Spesso parlo della mia previsione di lunga data, secondo cui prevedo che gli Stati Uniti si trasformeranno in una guerra civile o in una secessione entro l’anno 2030. Sentendo questo, molti mi hanno chiesto di esporre a lungo il mio pensiero, il perché e il modo in cui lo vedo svolgersi. Ho quindi deciso di trattare finalmente l’argomento in modo più approfondito di quanto non permetta la solita risposta ai commenti.

I.
La verità è che questa è una previsione popolare per molte persone di “destra/alt-destra”, ma pochi delineano effettivamente i meccanismi specifici con cui può accadere. Ed è qui che credo di poter fare luce sull’esatto processo, già in atto, che credo porterà a questi scenari.

Per prima cosa, definiamo alcuni termini di base, in modo da essere in sintonia con il contesto. Proprio come molte persone dicono eufemisticamente “terza guerra mondiale” quando in realtà intendono “guerra nucleare”, quando in realtà la terza guerra mondiale non ha una relazione diretta e intrinseca con la guerra nucleare di per sé, in quanto può essere semplicemente un conflitto convenzionale globale simile alla seconda guerra mondiale, allo stesso modo qui, molte persone invocano vagamente la “guerra civile” senza capire cosa il termine possa effettivamente implicare.

Soprattutto nel clima culturale odierno, quando evocano la “guerra civile”, molte persone si riferiscono inconsciamente a una sorta di conflitto in stile genocidio del Ruanda tra i due schieramenti opposti dei liberali e dei conservatori, in cui i civili veri e propri hanno preso le armi e stanno combattendo per le strade. Questa nozione di “guerra civile” è alimentata da infiniti meme postati da entrambe le parti che raffigurano cose come antifa armati di sinistra contro miliziani conservatori che si affrontano in un campo di battaglia distopico di periferia, forse simile alla “zona autonoma” CHAZ di Seattle.

Tuttavia, il precedente storico della “guerra civile”, almeno per come è conosciuta negli Stati Uniti, è più sinonimo di secessione, nel senso che si trattava di due forze governative contrapposte, sostenute da eserciti permanenti convenzionali, che si impegnavano in un vero e proprio combattimento militare, piuttosto che di un gruppo di cittadini armati di coltelli da cucina e pistole calibro 22 nel parco cittadino.

In realtà, per confondere ulteriormente le idee, la guerra civile americana non era concettualmente diversa da una guerra rivoluzionaria, come quella del 1776. E molti hanno fatto notare che la stessa Guerra di Rivoluzione fu in realtà una Guerra Civile, il che significa che in un certo senso gli Stati Uniti sono già passati attraverso due guerre civili, per fare un’osservazione retorica.

Tutto questo per sottolineare che ciò su cui mi concentrerò non è il conflitto di tipo ruandese che i troll di Twitter immaginano come modello di “guerra civile”, ma piuttosto l’altra varietà.

Quella in stile ruandese ha meno possibilità di verificarsi perché presuppone una sorta di “free-for-all” stocastico e de-centralizzato in cui le persone prendono le armi contro gli altri. Certo, ci saranno sporadici conflitti armati a livello regionale, a causa delle crescenti divisioni razziali e politiche nel Paese. Ma non esiste un vero e proprio meccanismo formalizzato con il quale le due parti possano anche solo coalizzarsi in una parvenza di esercito organizzato e contrapposto, con un comando centrale, strutture di staff, ecc. Questa è per lo più una considerazione giovanile, almeno per il futuro semi-vicino di cui stiamo parlando. Si potrebbe forse immaginare uno scenario del genere molto più in là nel tempo di quanto sia possibile prevedere: una sorta di strano futuro post-apocalittico senza legge e distopico in stile Mad-Max nell’anno 2100, o qualcosa del genere. Ma per i nostri scopi, questo è irrealistico e non merita una seria riflessione.

II.
C’è una terza opzione a cui alcuni si riferiscono quando invocano la guerra civile: quella del “popolo contro il governo”. La tratterò brevemente da sola, perché qui ci sono alcune considerazioni importanti.

In primo luogo, quest’idea ha guadagnato terreno in quanto numerosi politici americani hanno brandito questo randello come minaccia contro gli americani ribelli che potrebbero desiderare le loro possibilità in una rivolta. Lo stesso Biden ha osservato in almeno due o tre occasioni diverse che “gli americani hanno bisogno di F-15 e non di AR15 per combattere contro il governo”, sottintendendo che i cittadini statunitensi non potranno mai sconfiggere il governo a meno che non siano armati con armi strategiche di alto livello, invece che con semplici armi leggere.

https://twitter.com/i/status/1564706079036116994

Il democratico Eric Swalwell ha tristemente minacciato gli americani di usare le armi nucleari se si fossero opposti alle politiche di confisca delle armi da lui promosse.

Tecnicamente, una simile circostanza non rientrerebbe nella “guerra civile”, ma piuttosto in una semplice rivoluzione o rivolta armata. In definitiva, si tratta solo di cavilli semantici. Tuttavia, ne parlo per far notare che la maggior parte delle persone che usano questi termini o discutono di questi argomenti non sono nemmeno sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda la coerenza. Ho quindi voluto delineare i vari concetti in modo da poterli affrontare a turno e da permettere ai lettori di seguire ciò che sto dicendo.

Per quanto riguarda l’opzione del popolo contro il governo, dirò la seguente cosa: i detrattori più accaniti di questa possibilità sono tipicamente gli anti-diritti delle armi di sinistra, che usano la scusa del “non si può vincere contro gli F-15” come un modo per screditare la necessità del 2° Emendamento. Di solito dipingono uno scenario in cui un gruppo di civili armati di AR15 si scontra con un esercito americano completamente armato con la sua panoplia completa di jet da combattimento, missili, carri armati, ecc.

Ma la sfumatura critica che sfugge a questa ipotesi errata è la seguente domanda: chi è che rifornisce questa potente forza militare con tutte le sue armi di lusso? Chi la rifornisce di carburante? Ricordiamo che nell’attuale discorso sulla disastrosa situazione delle forniture di munizioni in Ucraina, ci sono stati mostrati segmenti della CNN di operai americani che lavoravano nelle ultime fabbriche americane rimaste in grado di produrre tali munizioni.

Queste persone contrarie alle armi credono forse che l’esercito stesso produca queste armi, e la loro benzina, il carburante, eccetera? Il punto è che sono le infrastrutture civili a costituire la spina dorsale della capacità militare degli Stati Uniti. Senza il gas, il carburante, le munizioni e così via, la potente macchina da guerra statunitense va in tilt. Cosa faranno i carri armati Abrams quando i civili che gestiscono le raffinerie le chiuderanno tutte e i civili che trasportano il carburante ai depositi si ribelleranno? I civili costruiscono tutti gli F-15, gli F-22 e i bombardieri B-2 che il governo americano brandisce altezzosamente come una sciabola. Se si trattasse di una vera battaglia “civili contro governo”, dove si procurerebbe il governo tutto l’equipaggiamento? Anche le fabbriche di armi leggere sono gestite da lavoratori civili.

Chi pensate che stia costruendo quegli HIMAR e quei lanciatori M270?
In breve, il governo e la sua “potente forza militare” non resisterebbero in un vero conflitto prolungato contro la popolazione degli Stati Uniti. Naturalmente, tutto dipende da quante persone sarebbero dalla parte della rivolta in questo scenario ipotetico. Ma non dimentichiamo che gli Stati Uniti hanno circa 400 milioni di armi, e 393 milioni di queste sono in mano ai civili. Si dice che ci siano qualcosa come 70-100+ milioni di possessori di armi. L’esercito americano ha circa 800.000 truppe di terra in totale. Anche con tutti gli aerei e i carri armati del mondo, possono 800.000 soldati andare contro 100.000.000? Si potrebbe sostenere che non sono riusciti a sconfiggere nemmeno i Vietcong, che erano meno di 1 milione, figuriamoci 100 milioni. Per non parlare del fatto che la maggior parte degli americani è armata molto più pesantemente dei tipici Vietcong e dei loro fucili a otturatore.Ma come ho detto, queste sono solo ipotesi un po’ assurde per mettere alcune cose in prospettiva; in realtà, questo non è il tipo di scenario che mi aspetto si verifichi. Si tratta semplicemente di due centesimi buttati nel dibattito per confutare la tipica cantonata della sinistra secondo cui le forze armate statunitensi sono invincibili, quando in realtà si affidano completamente al settore civile per funzionare.III.
Mentre ci avviciniamo agli scenari reali che ritengo abbiano una forte possibilità di verificarsi, gettiamo le basi finali esaminando prima l’attuale clima socio-politico del Paese:

Tra tutti i cittadini statunitensi, il 43% ha dichiarato che la guerra civile è almeno in parte probabile. Tra i democratici forti e gli indipendenti la percentuale era del 40%. Ma tra i repubblicani forti, il 54% ha dichiarato che la guerra civile è almeno in qualche modo probabile.

 

È innegabile che una parte crescente del Paese stia iniziando non solo a credere nell’inevitabilità di una “guerra civile”, ma anche a sperarla.

Questi sono i risultati di uno studio dell’Università di Chicago:

Il rapporto mostra che almeno un quinto degli americani concorda, al di là delle linee di partito, sul fatto che sarà necessario “prima o poi” prendere le armi contro il governo. La percentuale sale al 45% tra i forti sostenitori repubblicani.

La CNN ha pubblicato un articolo su uno studio che mostra come gli Stati Uniti si stiano dirigendo verso una forma di guerra civile. Un ricercatore dell’Università della California ha utilizzato un sistema di metriche progettato per valutare la vicinanza e la probabilità di una guerra civile per altri Paesi stranieri, ma ha applicato gli stessi calcoli agli Stati Uniti.

La professoressa Barbara Walter spiega di aver studiato le guerre civili per trent’anni e di aver lavorato negli ultimi anni per una task force della CIA che utilizza queste metriche per prevedere “dove si verificherà la prossima guerra civile” nel mondo.

Il conduttore riassume: “Ciò che è notevole è che la ricerca non si basa sul sentimento (o sull’ideologia politica), ma sulle metriche e sui marcatori, sui segni e sui fatti che gli Stati Uniti usano per determinare lo stato delle democrazie degli altri Paesi e la loro vicinanza alle rivolte”.

Il professor Walter spiega che, se rivolti contro gli stessi Stati Uniti, questi stessi calcoli proprietari rivelano che gli Stati Uniti si trovano al limite di ciò che la CIA considererebbe la cuspide delle categorie “RISCHIO” e “ALTO RISCHIO”. Normalmente, un Paese ad “alto rischio” verrebbe inserito in una speciale lista di controllo della CIA, in quanto lo sconvolgimento sarebbe considerato imminente.

Walter, secondo il Post, conclude che gli Stati Uniti sono passati attraverso fasi di “pre-insurrezione” e “conflitto incipiente” e potrebbero ora essere in “conflitto aperto”, a partire dalla rivolta del Campidoglio.

Citando le analisi del Center for Systemic Peace, Walter afferma che gli Stati Uniti sono diventati una “anocrazia” – “a metà tra una democrazia e uno Stato autocratico”.

Questi risultati, tuttavia, risalgono già a più di un anno fa e probabilmente il Paese è scivolato ancora di più nella zona di pericolo. Ora, alcuni politici di spicco, come Marjorie Taylor Green, hanno addirittura iniziato a lanciare appelli a favore di una “scissione nazionale”, che per certi versi può essere considerata solo un sicuro eufemismo per dire guerra civile.

Anche il rappresentante della Carolina del Nord Madison Cawthorn è stato visto invocare lo spettro della guerra civile, affermando di sperare che non si verifichi, ma di essere sicuro che i conservatori vincerebbero:

Il fatto che molti Stati americani abbiano alimentato movimenti secessionisti in crescita, che negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante, è passato inosservato in queste discussioni.

C’è CalExit o “Yes California”. La loro pagina spiega:

Introduzione a Pacifica
La misura elettorale CalExit 3.1 istituisce il Paese di Pacifica nell’area della baia di San Francisco e lungo la costa centrale della California. Avrà una popolazione di circa 9 milioni di persone, di cui più del 75% sono democratici e il 61% di razza minoritaria.

Nel 2017, secondo un sondaggio Reuters, il 32% dei californiani era favorevole alla CalExit. Da allora, però, il dato è calato, perché il governo, una volta intuita la pericolosità del movimento, è entrato subito in azione per stroncarlo con la contro-propaganda. Ma ci sono molti altri movimenti.

Il più forte è quello del Texas.

Proprio il mese scorso, nel marzo 2023, il rappresentante del Texas Bryan Slaton ha presentato la legge “TEXIT”:

Link to tweet
Oggi ho depositato HB 3596, che è comunemente noto come “Texas Independence Referendum Act” o TEXIT Se approvato, indirà un referendum sulla votazione durante le prossime elezioni generali, consentendo al popolo del Texas di votare se lo Stato debba o meno indagare sulla possibilità dell’indipendenza del Texas e presentare potenziali piani alla legislatura. La costituzione del Texas è chiara che tutto il potere politico risiede nelle persone. Dopo decenni di continui abusi dei nostri diritti e libertà da parte del governo federale, è giunto il momento di far sentire la propria voce al popolo del Texas. In questo 187° anniversario della caduta di Alamo sono orgoglioso di presentare questo disegno di legge per consentire al popolo del Texas di votare sul futuro del nostro Stato. Il Texas è nato dal desiderio di libertà e autogoverno, e quel desiderio continua a bruciare nei cuori di tutti i texani. Firma la petizione qui sotto:

La versione ufficiale può essere letta qui sotto: https://capitol.texas.gov/tlodocs/88R/billtext/html/HB03596I.htm

La parte principale afferma che nelle elezioni generali del 7 novembre, gli elettori texani saranno autorizzati a votare un referendum sulla questione se il Texas debba riaffermare il suo status di nazione indipendente.

SEZIONE 1. (a) Alle elezioni generali che si terranno il 7 novembre 2023, gli elettori potranno votare un referendum sulla questione se questo Stato debba riaffermare il suo status di nazione indipendente. (b) L’avviso dell’elezione sarà dato con l’inclusione della proposta nella proclamazione del governatore che ordina un’elezione su qualsiasi proposta di emendamento costituzionale alla Costituzione dello Stato e nell’avviso di tale elezione dato da ogni giudice di contea, oppure, se non viene proposto un emendamento costituzionale, il governatore ordinerà e ogni giudice di contea darà l’avviso per un’elezione che proponga il referendum richiesto da questa sezione.

La sezione 2 del disegno di legge descrive tutte le azioni che entrerebbero immediatamente in vigore il 7 dicembre 2023, solo se la risoluzione fosse approvata a maggioranza dal referendum popolare.

Il progetto di legge può essere seguito qui: https://fastdemocracy.com/bill-search/tx/88/bills/TXB00063968/

Tuttavia, va notato che i precedenti tentativi di proposte di legge simili sono falliti, a causa del rifiuto dell’assemblea statale del Texas di metterla ai voti. Ora il disegno di legge è stato presentato e non si sa se l’assemblea statale lo voterà o meno; sembra che il processo sia piuttosto arbitrario. Tuttavia, se voteranno e la legge passerà, si aprirà il referendum per la secessione che si terrà il 7 novembre di quest’anno.

Il sondaggio SurveyUSA ha rilevato che un numero enorme di texani e di meridionali in generale è favorevole alla secessione:

Ognuno dei sei sondaggi sugli Stati del Sud iniziava con la domanda agli intervistati se sarebbero stati favorevoli a che il loro Stato diventasse pacificamente un Paese indipendente insieme ad altri Stati conservatori. Mentre la maggioranza dei texani è favorevole all’idea, con il 60% di sì (il 32% dice “decisamente sì”, il 28% dice “sì”), i risultati negli altri Stati sono meno positivi. Gli abitanti della Louisian sono equamente divisi: il 50% dice sì, il 49% no; negli altri quattro Stati, la maggioranza si oppone, con il “no” e il “decisamente no” in testa di 6 punti in Alabama, di 8 in Mississippi, di 10 in Florida e di 13 punti in South Carolina.

Ciò significa che se il referendum si tenesse il 7 novembre in Texas, probabilmente passerebbe e lo Stato secederebbe. Tuttavia, i giochi politici delle figure di opposizione dell’establishment lavorano attivamente per sabotare il progetto di legge preliminare che stabilisce il referendum.

Il Texas ha persino avviato un procedimento per la creazione di una propria moneta aurea, come reazione ai CBDC federali e come azione preventiva per proteggersi esattamente dal tipo di sovvenzionamento assistenziale di Stati blu molto più deboli. Questo tipo di azione è solo il primo colpo d’arco dei molti movimenti tettonici che vedremo nei prossimi anni verso l’indipendenza.

IV.

Ora che abbiamo finito di gettare le basi e stabilito l’attuale clima socio-politico, possiamo estrapolare ciò che probabilmente accadrà.

Sappiamo, ad esempio, che negli ultimi anni si è verificata un’enorme ondata di “fuga dagli Stati blu”. Gli Stati blu stanno perdendo la loro base di contribuenti produttivi, il loro capitale umano a causa della fuga dei cervelli e la loro popolazione in generale. È stato chiamato in tutti i modi, dall’esodo alla “crisi della sinistra”.

 

I nuovi dati del Censimento mostrano che nel 2022 circa la metà degli Stati ha registrato un aumento netto della popolazione e l’altra metà una perdita netta, grazie alla cosiddetta migrazione interna. I vincitori sono stati quasi interamente Stati rossi, i perdenti Stati blu. Se la coglieranno, i conservatori avranno un’opportunità enorme. -Fonte

 

La mappa qui sopra mostra gli Stati con perdite nette e quelli con guadagni migratori netti. Come si può notare, la maggior parte degli Stati rossi registra grandi guadagni netti, mentre quelli blu subiscono le perdite nette più ingenti. I numeri possono sembrare piccoli all’inizio, ma proiettateli su dieci anni o più. New York può sopportare perdite di 300.000 persone all’anno per dieci anni? Sarebbero 3 milioni di persone in meno in uno Stato con 19 milioni di abitanti, pari al 16%. E se il fenomeno dovesse accelerare e diventare ancora più rapido? I decenni sono veloci: possono sopportare tali perdite per due decenni di fila? Cosa succederebbe se in due decenni perdessero 6 milioni di persone su 19, il che equivarrebbe a quasi un terzo della popolazione?

Estrapolando questo dato per anni, si arriva a uno scenario in cui gli Stati blu sono stati estremamente indeboliti dal punto di vista finanziario e demografico e sono costretti a fare sempre più affidamento sui sussidi del governo federale. Ma da dove provengono questi sussidi? Dalla base imponibile dell’intero Paese.

Ciò significa che gli Stati rossi saranno sempre più costretti a sovvenzionare quelli blu che stanno morendo. I cittadini degli Stati rossi si risentiranno sempre di più, perché in pratica pagheranno tasse elevate con i loro soldi guadagnati duramente per tenere a galla le grottesche città democratiche che sono scese a livelli distopici di disperazione e degrado senza legge.

A questo si aggiungerà una crescente ostilità da parte degli Stati blu e del governo federale gestito dai blu, che eserciterà sempre più pressioni e restrizioni sugli Stati rossi al fine di prosciugarli per mantenere a galla i decrepiti Stati blu. Vedete, agli Stati rossi non può essere permesso nemmeno di avere l'”ottica” del successo o della prosperità, perché questo smaschera la truffa di ciò che sono gli Stati blu.

Ciò significa che, man mano che la disparità cresce nel tempo, gli Stati rossi dovranno essere completamente sabotati dal governo federale per “ridimensionarli”, secondo la famigerata regola assiomatica dell’equità, in modo da non fare il giro degli Stati blu. Ciò avverrà sotto forma crescente di mandati iniqui contro gli Stati rossi, alcuni dei quali sono già stati intravisti nel recente passato.

Per esempio, durante la “crisi” del Covid, il governo federale ha tristemente iniziato a confiscare gli anticorpi monoclonali e altre “terapie” anti-covid agli Stati rossi semplicemente perché avevano troppo successo, e agli Stati rossi non poteva essere permesso di curare le loro popolazioni dalla malattia truffaldina, perché ciò avrebbe smascherato la menzogna. Permettere che la disparità tra rossi e blu diventi evidente sulla scena nazionale sarebbe pericoloso per la classe dirigente.

Questa disparità di trattamento e il vero e proprio intralcio agli Stati rossi aumenteranno di ritmo nei prossimi anni, creando una spirale di risentimento da parte degli Stati rossi nei confronti degli azzurri e del governo federale, che allo stesso modo contribuirà ad accelerare il ritmo del sentimento secessionista.

Il governo ha persino minacciato in precedenza di “sanzionare” gli Stati rossi nello stesso modo in cui sanziona le nazioni ostili, il che includerebbe cose come il blocco del trasporto/consegna di alcuni prodotti critici, non dissimili dall’episodio degli anticorpi monoclonali. Si estenderebbe a contratti sfavorevoli per vari progetti infrastrutturali e, in ultima analisi, potrebbe persino portare a colpire specifici rappresentanti di Stato con sanzioni personali. Non è davvero una forzatura da parte di chi ha messo al bando e impeachment il presidente degli Stati Uniti e lo ha trascinato attraverso varie procedure legali alla pari delle “sanzioni”.

Tutto questo per dire che, man mano che le due parti si rafforzano sempre di più, e la spirale di ostilità continua a radicalizzare entrambe fino a livelli sempre maggiori di risentimento reciproco, e insieme al fatto che gli Stati blu morenti diventeranno in effetti delle sanguisughe vampiriche, che succhiano gli Stati rossi, i livelli storici di insoddisfazione, risentimento e vera e propria inimicizia tra rossi e blu aumenteranno. I rossi vedranno gli Stati blu nel loro insieme come regine degenerate del benessere che succhiano i loro soldi guadagnati con fatica, derubandoli di fatto. E man mano che le questioni nazionali diventeranno sempre più spinose, in particolare su linee di demarcazione fondamentali come l’aborto, la LGBT, il transgenderismo e così via, i rossi non vedranno altra via d’uscita se non quella di staccarsi o di avere, come si continuerà a chiamare tranquillamente per ora, un “divorzio nazionale”.

Prima ho parlato del Texas perché sembra lo Stato più adatto a dare il via al processo, dato che i suoi movimenti sono i più avanzati. Ma non mi sorprenderebbe se molti altri Stati del Sud si unissero al Texas, creando un effetto domino.

Si dimentica quanto siamo stati vicini a un potenziale punto di non ritorno durante il ciclo elettorale del 2020. Per il momento, quell’energia rivoluzionaria è stata spenta e messa da parte. Ma ha ricominciato a crescere e promette di arrivare a un nuovo punto di svolta.

Anche se all’inizio può sembrare una cosa di poco conto, negli ultimi anni si sono sentite voci tranquille di un’unione degli Stati del Sud, dal momento che molti dei principali Stati “vecchi confederati” hanno sempre più spesso stretto alleanze su questioni chiave.

Questi sono gli stessi Stati che si sono uniti nel tentativo di contestare i brogli elettorali e i loro interessi ideologici si sono lentamente allineati in un’unità politica.

Considerate anche l’accelerazione della de-dollarizzazione che sta prendendo piede in tutto il mondo. Cosa pensate che accadrà quando il dollaro crollerà fino all’iperinflazione, causando così un’ulteriore accelerazione del sequestro forzato da parte del governo federale degli Stati Uniti dei fondi degli Stati forti per sostenere gli Stati blu in crisi? Questo porterà a un’ulteriore spinta da parte degli Stati forti e indipendenti a creare le proprie valute, seguendo l’esempio del Texas, e a sganciarsi gradualmente dall’autorità centrale. L’era digitale moderna semplificherà loro questo compito, in quanto potranno creare la propria moneta digitale senza bisogno di complesse presse di conio centralizzate, almeno all’inizio. Quando questi Stati inizieranno a sviluppare, e persino a effettuare transazioni, le proprie valute, saprete che la fine è vicina.

V.
Ma la grande domanda che tutti si pongono è: se il Texas, la Florida e/o altri Stati secedessero, cosa succederebbe? Sicuramente non gli verrebbe permesso di farlo e il governo federale interverrebbe, in una riedizione della Guerra Civile del 1861?

Certamente, questo è ciò che potrebbe accadere. Naturalmente, a seconda di chi esattamente secede, bisogna ricordare che gran parte delle più importanti infrastrutture produttive e manifatturiere degli Stati Uniti, in particolare quelle militari, risiedono in Stati a rischio di secessione. Il Texas, ad esempio, possiede la maggior parte degli impianti di produzione di petrolio del Paese. Molti dei più importanti armamenti high-tech dell’esercito americano sono prodotti o stazionati negli Stati del Sud: che si tratti dell’F-35 in Georgia o delle fabbriche di munizioni critiche in Mississippi e Louisiana, compresa questa:

Inoltre, l’hardware vero e proprio risiede nelle basi di questi Stati. Ad esempio, la base di Tyndall, in Florida, è il luogo in cui vengono addestrati tutti i piloti di F-22 e in cui è ospitato il più grande contingente di F-22 americani, circa 60 dei circa 180 esemplari totali.

L’economia del Texas rispetto ad altri leader mondiali.In definitiva, dipende da come si presenta la scena politica al momento dell’ipotetica secessione. Se il governo federale è ancora forte e unito, certamente c’è una forte possibilità che cerchi di intervenire militarmente e di reprimere rapidamente qualsiasi tentativo di disgregazione, in particolare se si tratta di un solo Stato che tenta da solo. Tuttavia, se si formasse una coalizione, o una cascata di Stati in rapida successione, allora potrebbe precludere al governo la possibilità di agire, rischiando una pericolosa guerra intestina.L’altro fattore è: supponiamo che in un ipotetico anno 2030, gli Stati Uniti si siano degradati in modo esponenziale al punto che la divisione nella società e all’interno del governo sia ancora peggiore di quella attuale, e che si stiano manifestando così tanti altri problemi geopolitici che il governo centrale ha le mani completamente legate. Per esempio, forse a quel punto la crisi Taiwan-Cina (tra le altre) è al suo apice, l’esercito americano è in qualche modo coinvolto e completamente occupato, con la maggior parte delle sue forze impegnate all’estero – non necessariamente in un conflitto cinetico, ma svolgendo un importante ruolo di deterrenza intorno a Taiwan e altrove.

È possibile che uno Stato forte come il Texas possa far scattare la secessione a quel punto, quando il governo è al massimo della distrazione e non sarebbe realisticamente in grado di fare nulla. Soprattutto se a questo seguisse una rapida cascata di Florida e altri Stati, si formerebbe rapidamente una coalizione abbastanza forte da dissuadere il governo federale degli Stati Uniti nominali anche solo dal minacciare di agire.

E la verità è che, se si guarda a molti dei sondaggi sulla secessione e alle relative risposte, molti dei commenti da parte della sinistra/democratica sono pienamente a favore della secessione degli Stati rossi. Dopotutto, l’idea del “divorzio nazionale” è un’idea entusiasticamente ripresa da molti esponenti della sinistra, un ampio contingente dei quali preferirebbe in realtà vedere gli Stati rossi abbandonare la “loro” preziosa unione.

Inoltre, bisogna considerare come sarebbero la presidenza e il Congresso in questo frangente teorico. Ci sono scenari potenziali in cui il Paese si è trasformato in un pantano tale che gli Stati stanno cercando di secedere, ma il Congresso (e forse anche la Presidenza) è abbastanza diviso, o addirittura ha una maggioranza rossa, in modo tale che qualsiasi azione federale contro gli Stati secessionisti sia impantanata in un controverso disaccordo congressuale, che impedirebbe o precluderebbe al Congresso di svolgere qualsiasi forma di azione decisiva, come l’ipotetica risposta “militare” contro gli Stati secessionisti.

Si può facilmente immaginare una “tempesta perfetta” di questi scenari, in cui un Congresso fortemente diviso è ostacolato da un esercito statunitense impantanato in conflitti all’estero (Taiwan, ecc.) e incapace di agire contro gli Stati che improvvisamente decidono di gettare il cappello e uscire dall’Unione.

Non dimentichiamo che, se questo scenario dovesse verificarsi, gli Stati secessionisti potrebbero firmare accordi di sostegno con alcuni degli avversari dell’Unione, come la Cina e forse la Russia, per ricevere assistenza. Se l’esercito nominale degli Stati Uniti sta a quel punto aiutando a condurre una guerra contro la Cina nei confronti di Taiwan, allora perché la Cina non dovrebbe allo stesso modo garantire assistenza militare al Texas per salvaguardarlo da qualsiasi potenziale attacco dell’Unione?

Ci sono infinite iterazioni di come questo potrebbe precipitare. Ma l’idea generale è che entro il 2030 e oltre, c’è la possibilità concreta che gli Stati Uniti “in fase di tardo impero”, fortemente indeboliti e guidati da politiche MIC disastrose, siano maturi per una rottura di questo tipo. In particolare, se la tendenza delineata in precedenza, che vede gli Stati rossi crescere economicamente e demograficamente più forti, continuerà a seguire il percorso previsto, si potrebbe assistere a un’ascesa politica ed economica della Florida, del Texas e così via, disposta a opporsi a un’autorità centrale disastrosamente indebolita e in preda alla guerra.

Senza considerare il caso in cui gli Stati Uniti dovessero effettivamente impegnarsi in un conflitto regionale su larga scala con la Cina, che non sfocerebbe in un conflitto nucleare ma vedrebbe la distruzione di una grande percentuale della flotta e delle capacità navali degli Stati Uniti. Uno Stato così rovinato, umiliato e indebolito non avrebbe molto da opporre a un Texas rinascente e ascendente, e così via. Per certi versi, uno scenario del genere sarebbe parallelo alla rivoluzione russa del 1917 contro un’autorità decrepita e in crisi, impantanata in una guerra impopolare (la Prima Guerra Mondiale), ma questa volta sotto forma di secessione piuttosto che di rovesciamento del governo, anche se, naturalmente, anche questa è una possibilità.

In ultima analisi, la maggior parte delle cose si riduce all’economia. In particolare, la situazione socioeconomica della maggior parte degli Stati blu è un fatto compiuto che non può essere invertito, almeno a breve. Ciò significa necessariamente che l’America Blu continuerà il suo declino – o il vero e proprio collasso – e una confluenza di fattori geopolitici ed economici globali non farà che accelerare questo processo.

Il fatto che il mondo stia entrando in una mini-epoca buia di recessione globale, stagnazione, stagflazione e malessere generale causato dal disaccoppiamento dell’Occidente dall’Oriente, a sua volta provocato dal disperato tentativo degli Stati Uniti di fermare l’ascesa di Russia e Cina, significa che non ci sarà un elisir facile (e nemmeno uno difficile) per gli Stati blu degli Stati Uniti. La criminalità continuerà ad aumentare costantemente, i fattori socioeconomici continueranno a degenerare; tutto ciò non farà altro che portare a un ulteriore deflusso di popolazione.

Questo porterà necessariamente e deterministicamente a un aumento della pressione governativa sugli Stati rossi, lasciandoli con le mani in mano e facendo un doppio dovere ingiusto per sovvenzionare gli Stati blu in crisi. In particolare, ciò ricadrà più duramente sugli Stati più forti, di successo e indipendenti: ovviamente, il Texas e la Florida stanno attualmente portando la fiaccola. Non ci sarà modo di uscire da questa spirale. Il governo sarà costretto a rubare a questi Stati forti e di successo, e a ridurli in modo ingiusto per consentire agli azzurri morenti di competere. Questo può portare logicamente solo a una possibile fine, descritta sopra.

VI.
Come si può vedere, i tempi hanno inavvertitamente generato una generazione di candidati sempre più vocali e “radicalizzati”, come MTG, Matt Gaetz, il già citato Cawthorn, ecc. Queste figure sono destinate a diventare sempre più numerose e la tendenza continua. Tra qualche anno, molti degli Stati con mentalità indipendente saranno pieni di marchi di fuoco populisti e incendiari senza precedenti, che faranno apparire Trump e MTG del tutto addomesticati. Questa nuova era di politici condizionerà vocalmente le masse ad accettare le nozioni di divorzio nazionale in modo ancora più forte rispetto alle sottigliezze e agli eufemismi attualmente utilizzati, portando senza dubbio a un aumento delle richieste pubbliche affinché gli Stati offesi si allontanino semplicemente da una situazione che entrambe le parti identificano come chiaramente inconciliabile.

C’è da immaginare che, al di là delle varie questioni socio-economiche e politiche descritte sopra, le divisioni culturali continueranno a crescere. Si può davvero pensare che l’attuale ondata isterica di transgenderismo/LGBT/politiche identitarie si plachi presto? Al contrario, l’intensità non potrà che aumentare. La spinta a prendere di mira i bambini in questa guerra culturale, mentre si ristruttura completamente il sistema educativo del Paese verso l’asservimento al codice LGBT/transgenderismo, si rafforzerà allo stesso modo, rendendo la situazione assolutamente inconciliabile per gli Stati bastione che accolgono i rifugiati di sinistra in fuga.

Ricordiamo che, come ho scritto qui, l’era delle politiche identitarie è appena entrata nel suo secondo decennio. Le sue radici nell’era Obama non sono maturate del tutto fino al movimento “Occupy” del 2010-2011, che ha gettato le élite nel panico e nella ricerca di una bomba di neutroni culturale che potesse cancellare la loro complicità nell’imminente collasso del sistema finanziario fraudolento cambiando rapidamente discorso. Solo dopo il 2011-2013 le cose hanno cominciato ad accelerare, ma la loro attuale gravità ci fa sentire come se avessimo sopportato questa follia per secoli.

Ora immaginate un altro decennio e più. Quanto è cambiato nella nostra società da quegli anni cruciali di Obama, quel fugace decennio o decennio e mezzo di tempo? Immaginate la stessa drastica scala di cambiamenti all’inizio del 2030, o addirittura nel 2035. A quel punto, la guerra culturale raggiungerà livelli insondabili di sconvolgimento, follia insostenibile e dissoluzione della società. In prospettiva, è facile immaginare che gli Stati bastione decidano finalmente di staccare la spina dalle differenze inconciliabili tra gli Stati sani di mente rimasti e quelli colpiti dal virus mentale della sinistra.

C’è qualche speranza di evitare questi eventi o sono inevitabili? È difficile immaginare che la sinistra/democratica possa mai scendere a compromessi sugli imperativi culturali disastrosi che le vengono ordinati dall’alto; hanno raddoppiato il loro impegno per portare a termine questa cosa fino in fondo. Il motivo è che la piccola cabala di controllori globalisti che detta la loro politica non vede altra via d’uscita. La marea culturale che cresce contro di loro è semplicemente troppo forte. Fare anche la più piccola concessione significherebbe rischiare il collasso totale della loro narrativa e della loro iniziativa di guerra culturale. E poiché la guerra culturale in sé è solo una facciata, un proxy del più grande conflitto del sistema finanziario globale, perdere la guerra culturale significherebbe perdere il controllo su tutta l’umanità che la cabala bancaria ha coltivato fin dai primi giorni delle prime banche centrali.

L’unico modo che vedo per uscire da questa situazione è che una vera figura “svuota paludi” prenda il comando del Paese. Ma le possibilità che ciò accada sono sempre più scarse, dato che il controllo delle élite sul processo elettorale è quasi totale. Alcuni pensavano che le elezioni del 2020 avrebbero aiutato a “smascherare” le forze nefaste che hanno in pugno il sistema elettorale, ma al contrario sono servite solo a rafforzarle e radicarle ulteriormente. Lo ha dimostrato il recente “accordo” tra Dominion Systems e FoxNews, che ha portato a enormi ripercussioni dietro le quinte, compresa la defenestrazione della loro figura più importante. Ora che hanno ottenuto la loro grande vittoria in tribunale, probabilmente non potrete più sfidarli, almeno non da questo punto di vista. Quindi non vedo come un candidato veramente anti-establishment possa vincere di nuovo. Il che significa solo che la polarizzazione crescerà senza sosta, seguirà una maggiore divisione e la rottura temuta per tanto tempo sarà inevitabile.

https://simplicius76.substack.com/p/on-secession-and-civil-war?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=117699282&isFreemail=false&utm_medium=email

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Stati Uniti, spie improbabili_con Gianfranco Campa

Non ci sono più i complotti di una volta. In tempi di schieramenti netti e posizioni definite, ma con gerarchie ben precise ed una legittimazione degli apparati di potere appena scalfita da logoramento, la competizione tra i centri di potere e i colpi bassi annessi seguivano canovacci ordinari ed epiloghi chiari e relativamente rapidi. La vicenda di spionaggio ai danni del Pentagono, attribuita al poco più che ragazzo Jake Teixeira, è lo specchio della attuale situazione caotica che regna nell’amministrazione statunitense. L’individuazione di un capro espiatorio così poco credibile non riesce a nascondere la realtà di un conflitto interno agli alti gradi di quella classe dirigente, ma soprattutto dello scontro sordo e della manipolazione faziosa di tre componenti della amministrazione statunitense, alcune rappresentate da vere e proprie cariatidi. Se ai tempi di Nixon la stampa fu uno strumento più o meno volontario di un conflitto, risoltosi comunque rapidamente, nella attuale vicenda di fuga di documenti il sistema mediatico è componente diretta ed integrata dei processi di manipolazione tesi a confondere dati reali inoppugnabili e pilotare verso pulsioni belliciste il profluvio di informazioni vere e fasulle sfuggite e costruite ad arte. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Fermiamo questa guerra!_a cura di Giuseppe Germinario

Il materiale reso pubblico recentemente sulla stampa statunitense si annuncia essere  solo parte, nemmeno la più importante, di una notevole mole di documenti, presumibilmente sottratti dal bunker del Comando Strategico USStratCom. Siamo di fronte, probabilmente, ad un nuovo clamoroso caso Snowden, ma ben più importante e che lascia pensare al coinvolgimento nella vicenda di alti ufficiali delle forze armate. Le stesse modalità di riproduzione e di diffusione dei documenti confermerebbero questa tesi. È la conferma di uno scontro durissimo e drammatico presente nei centri decisori di quel paese. Lo stesso fatto che siano grosse testate giornalistiche a diffondere il materiale rappresenta un ulteriore indizio della gravità di quanto sta avvenendo.

Non è la prima volta che accade. Già ai tempi della crisi dei missili a Cuba, nel 1962, la virulenza del confronto si manifestò anche in superficie. Allora la parte politica istituzionale, nella fattispecie il Presidente americano Kennedy e il segretario del PCUS Krushev, furono i moderatori delle rispettive componenti oltranziste presenti nei ranghi militari e dell’intelligence, specie americana. Questa volta, purtroppo, la situazione appare capovolta e ben più pericolosa e drammatica. È il vertice politico-amministrativo statunitense, unitamente al centro comando della NATO e di ampi settori della sicurezza, ad assumere la postura avventurista e provocatoria, sempre più sfacciata man mano che il regime ucraino si avvicina alla disfatta e i centri decisori si rendono conto di essersi cacciati in un vicolo cieco dal quale non potranno uscire indenni o con danni relativi. Ne parleremo con Gianfranco Campa. È l’intera redazione del blog, compresi gli scritti di Roberto Buffagni, le conversazioni con Campa e i numerosi saggi tratti dall’editoria mondiale, a seguire la falsariga di questa interpretazione. Mai come ora sarebbe necessario che uscisse qui in Europa una iniziativa politica efficace che interrompesse questa inesorabile dinamica. Non si tratta di “ripudiare la guerra”, ma di “fermare questa guerra”, resa possibile dalla insulsaggine di una classe dirigente e di un ceto politico europeo nella sua gran parte inetto, miserabile e connivente. Giuseppe Germinario

 

“Gli Stati Uniti hanno appena iniziato la prima esercitazione nucleare “GLOBAL THUNDER” dall’inizio della guerra in Ucraina. Almeno 150.000 persone in tutto il mondo simuleranno una guerra nucleare. L’anno scorso il capo dello STRATCOM ha dichiarato: “Il mio comando è ai posti di combattimento da gennaio circa in modalità di azione di crisi” (è da  oltre tre anni che non si effettuavano questo tipo di esercitazioni; mai di queste dimensioni e in un contesto di guerra aperta e così a ridosso dei confini della NATO_corsivo nostro).

Un recente studio sul Bulletin of the Atomic Scientists ha rilevato il “costante aumento” dei bombardieri nucleari statunitensi che STRATCOM stava schierando in Europa, comprese “operazioni di bombardieri sempre più provocatorie… in alcuni casi molto vicino al confine russo”.

Gli Stati Uniti hanno appena iniziato la loro prima esercitazione nucleare “GLOBAL THUNDER” dall’inizio della guerra in Ucraina. Almeno 150.000 truppe in tutto il mondo simuleranno una guerra nucleare. L’anno scorso, il capo STRATCOM ha dichiarato: “Il mio comando è stato nelle postazioni di battaglia da gennaio in modalità azione di crisi”.

Nelle osservazioni dell’anno scorso, il comandante della STRATCOM Charles A. Richard ha condiviso la sua teoria secondo cui fare affidamento sulla “moderazione” non era più praticabile, perché “l’assenza di una provocazione non è deterrenza”. Presumibilmente significa che l’ammiraglio credeva che gli Stati Uniti dovessero “provocare” attivamente Russia e Cina

A proposito, l’esercitazione di guerra nucleare si sta svolgendo contemporaneamente alla più grande esercitazione militare congiunta tra Stati Uniti e Filippine nel Mar Cinese Meridionale a ridosso di quella cinese intorno a Taiwan.

Impercettibile. Gli Stati Uniti eseguiranno esercitazioni nel Mar Cinese Meridionale che “comporteranno assalti alla spiaggia e la riconquista di un’isola conquistata dalle forze nemiche” ”

Da oltre tre anni non si svolgevano esercitazioni di questo tipo. Mai di queste dimensioni e a ridosso di un teatro di guerra aperta. A scaldare ulteriormente l’atmosfera le esercitazioni russe nell’Artico e l’arrivo di un sommergibile atomico statunitense nel Golfo Persico in un momento in cui le relazioni tra i due paesi principali di quell’area, Iran e Arabia Saudita, grazie all’iniziativa diplomatica cinese, sembrano acquietarsi. Giuseppe Germinario

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Un Presidente e il suo pupillo particolarmente indaffarati

Tutta la stampa mondiale ha dato risalto alle disavventure e ai maneggi, veri o presunti che siano, di un ex presidente. Tanto accanimento ha distolto l’attenzione da qualcosa di molto più compromettente ed esplosivo per quello attualmente in carica. Una spada di Damocle che peserà enormemente sulle sue possibilità di ricandidatura. Con un buon traduttore riuscirete a cogliere l’importanza del testo. Vero giornalismo d’inchiesta e informazione.

https://bidenlaptopreport.marcopolousa.org/report_viewer/index.html#p=29

George Soros “ha donato personalmente 170 milioni di dollari durante le elezioni di metà mandato del 2022 ai candidati democratici”. Inoltre, “ha donato più di 32 miliardi di dollari nel corso degli anni” per la politica estera e altre cause tramite
OpenSociety, strutturata per “offuscarne l’origine”. “Secondo il sito web della rete, Soros ha donato più di 32 miliardi di dollari nel corso degli anni. Afferma di concedere ‘migliaia di sovvenzioni ogni anno per la costruzione di democrazie inclusive e vibranti’, con progetti attivi in oltre 120 Paesi…” 
“Il figlio del miliardario George Soros ha visitato la Casa Bianca 14 volte in poco più di un anno: i registri dimostrano che il 37enne democratico, che raccoglie fondi, ha incontrato ripetutamente i funzionari di alto livello da quando Biden è entrato in carica…” 

Stati Uniti, un regime senza più maschere_con Gianfranco Campa

Ci sono due modi di apprezzare le conversazioni con Gianfranco Campa. Uno non esclude l’altro. Uno è quello di soffermarsi sulla superficie della cronaca. Una sequenza intrigante di fatti ed aneddoti utili a caratterizzare lo stato di una nazione e lo spessore dei personaggi che lo governano. L’altro richiede un approccio più riflessivo e distaccato. Si possono osservare in tal modo, o per lo meno intuire le modalità di formazione e messa in atto delle decisioni, le dinamiche di esercizio del potere, l’importanza della visione e della maturità di una classe dirigente a cui è legato il destino di una nazione. Si scoprirà che gli apparati, le istituzioni per funzionare sono mossi da centri decisori che agiscono in strutture ed istituzioni, ma si formano nel tempo attraverso una rete informale di relazioni interna ed esterna ad esse. Un solido e saldo esercizio del potere richiede un equilibrio dinamico tra relazioni informali e funzioni istituzionali difficile da conservare nel tempo. Accanto e all’interno della forza di inerzia e della logica di funzionamento degli apparati agiscono la visione e le scelte dei soggetti, in cooperazione e conflitto tra di loro. Negli Stati Uniti questo equilibrio da tempo si sta dissolvendo e sembra ormai sul punto di precipitare. Da qui le forzature e i colpi di mano che spesso riescono a ferire ed annichilire l’avversario, divenuto ormai il nemico, ma che contestualmente erodono pericolosamente ed inesorabilmente la maschera di imparzialità e di legittimità del potere istituzionale. L’attuale classe dirigente statunitense vive ormai in questo stato, prigioniera di una catena di decisioni ed errori dalla quale sarà sempre più difficile liberarsi e la cui stretta spinge a decisioni sempre più distruttive e catastrofiche. L’immagine di un ex presidente, papabile di ridiventarlo, sotto le forche caudine di una giustizia arbitraria, privo del suo inseparabile stemma a stelle e strisce sul bavero della giacca può sembrare banale. E’ il segno inquietante, invece, di una parte significativa di popolo e di un suo rappresentante che non si riconoscono più in una istituzione. Mala tempora currunt. Buon ascolto. Pur con qualche difetto tecnico di trasmissione, ascoltate attentamente. Giuseppe Germinario

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E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO, di Antonio de Martini

E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO: DALLA RUSSIA ALL’INDIA, DALL’AZERBAJAN ALLO YEMEN.

Nel ventesimo anniversario dell’attacco all’Irak, Il Presidente cinese XI Jinping ha piazzato tre “ banderillas” sul dorso del toro americano distratto dal panno rosso: la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, la visita di Stato a Mosca ad onta del “ mandato d’arresto” CPI a Putin e la visita in Cina dell’ex presidente di Taiwan.

A conclusione, la ciliegina sulla torta : “ Nessun paese può dettare l’ordine mondiale,” vecchio o nuovo che sia. Non si poteva dir meglio.

L’annuncio della ripresa dei rapporti diplomatici tra sauditi e iraniani con la mediazione cinese, mi ha ricordato la battaglia di Valmy contro la prima coalizione.

Non successe praticamente nulla, cannoneggiamenti lontani, una scaramuccia con quattrocento morti, ma gli storici l’hanno identificata come il momento in cui la rivoluzione francese fece il suo ingresso in Europa.

Il compromesso Iran-Arabia ha identica valenza. Ha dato diritto di cittadinanza alla politica di rifiuto dell’uso della forza, alla scelta indiana della neutralità e rivitalizzato i paesi non allineati a partire dall’Azerbaijan ultima recluta. La prossima tentazione potrebbe averla la Turchia.

Con questa mossa. La Cina é comparsa sul palcoscenico del mondo mediorientale come autorevole arbitro imparziale, partner affidabile e patrono dell’idea di sicurezza collettiva. Non c’é stato bisogno di sconfessare le politiche dei vari KerryBushObamaClintonTrumpBiden. A ricordarli, é rimasto solo Netanyahu, sconfessato dall’ex capo del Mossad Efraim Halevy ( su Haaretz) che propone un appeasement con l’Iran con toni che riecheggiano Kissinger.

Con la visita a Mosca XI Jinping ha delegittimato la pagliacciata della Camera Penale Internazionale, ormai specializzatasi nei mandati di arresto a carico dei nemici degli Stati Uniti ( Hissen Habré, Gheddafi, Milosevic, ) e gestita da un mercante di cavalli pakistano tipo Mahboub Ali.

Poi, con la prossima visita di dieci giorni dell’ex presidente di TaiwanMa Ying Jeou, ha mostrato di non aver bisogno di dar voce al cannone per affermare la consustanziazione tra l’isola e il continente e di considerare superato l’uso della forza in politica estera, inutile l’accerchiamento dell’AUKUS nel Pacifico, assennando con questo un colpo contemporaneo anche alla mania russa di imitare servilmente gli americani anche – e sopratutto- nei difetti.

Da giovedì, Putin dovrà scegliere tra l’accettazione dei dodici punti del piano di pace cinese e l’isolamento internazionale. La strategia sarà però quella cinese che considera la guerra uno strumento obsoleto e non la brutalità cosacca vista finora.

Come potrà l’ONU rifiutare il ruolo di sede arbitrale del mondo che la Cina gli offre senza squalificarsi definitivamente ? I paesi del Vicino e Medio Oriente, dopo i pesantissimi tributi di sangue pagati per decenni, sono ormai tutti consapevoli e convinti della inutilità delle guerre – dirette come con lo Yemen o per procura come con la Siria- e della cruda realtà delle rapine fatte a turno a ciascuno di loro:Iran, Irak, Libia, Siria, con la violenza e agli altri paesi dell’area con forniture , spesso inutili, a prezzi stratosferici: Katar, Arabia Saudita, o col selvaggio impadronirsi di risorse minerarie come col Sudan e la Somalia.

Certo, senza il conflitto in atto che ha predisposto alcuni schieramenti ( specie africani) e senza la capacità di mobilitazione di quindici milioni di uomini, la voce della Cina non risuonerebbe alta come rischia di accadere, ma anche con questo accorgimento, assieme alla discrezione assoluta di cui hanno goduto i colloqui di Pechino, l’effetto sarebbe minore, ma ugualmente evocativo in un mondo che non sente il bisogno di una dittatura a matrice primitiva.

Ora Biden, tra un peto e l’altro, dovrà decidersi a leggere i dodici punti di XI e smettere di litigare con Trump sul costo di una puttana, oppure affrontare il mondo intero col sostegno di Sunak e Meloni.

https://corrieredellacollera.com/2023/03/20/e-la-valmy-asiatica-la-cina-si-fa-portavoce-di-due-terzi-del-mondo-dalla-russia-allindia-dallazerbajan-allo-yemen/#like-35733

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La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Crescendo rossiniano. Toni sempre più duri. Scelte politiche sempre più nette. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://www.globaltimes.cn/page/202303/1286861.shtml

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Pubblicato: Mar 07, 2023 11:35 PM

Martedì il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha risposto alle domande dei giornalisti nazionali ed esteri sulla politica estera e le relazioni esterne della Cina. La conferenza stampa del ministro degli Esteri è uno dei momenti salienti delle due sessioni annuali. In particolare, quella di quest’anno è la prima conferenza stampa dopo tre anni in cui il ministro degli Esteri cinese incontra la stampa di persona e la prima da quando Qin ha assunto l’incarico. Naturalmente ha ricevuto l’attenzione di tutte le parti.

 

In 114 minuti, Qin ha risposto a un totale di 14 domande, utilizzando un linguaggio vivace e umoristico per spiegare in modo vivace gli obiettivi e le missioni della diplomazia cinese, oltre a esprimere chiaramente le proposte e la posizione del Paese sulle relazioni con i Paesi principali, sulla diplomazia di vicinato e sui temi caldi. Le sue parole riflettevano la continuità e la certezza della diplomazia cinese, nonché lo stile personale di Qin. La sincerità, la franchezza, l’ampiezza di vedute e la fiducia in se stessi sono le impressioni più evidenti di questa conferenza stampa.

 

La stampa ha coperto una gamma molto ampia di argomenti, senza evitare i temi più scottanti che interessano il mondo. Ad esempio, per quanto riguarda gli scambi con l’estero, Qin ha espresso la sua ferma volontà di sviluppare l’amicizia e la cooperazione con altri Paesi, osservando che la Cina genererà nuove opportunità per il mondo con il suo nuovo sviluppo. Parlando dell’Iniziativa Belt and Road, ha detto che “la sua cooperazione è condotta attraverso la consultazione e le sue partnership sono costruite con amicizia e buona fede“. In effetti, dalla conferenza stampa, il mondo intuisce che la Cina salvaguarderà con fermezza i suoi interessi fondamentali e sarà sempre un costruttore della pace mondiale, un contributo allo sviluppo globale e un difensore dell’ordine internazionale. Questo è anche lo stile generale della diplomazia cinese nella nuova era.

 

L’opinione pubblica internazionale ha prestato particolare attenzione alla dichiarazione di Qin sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti, che da un lato sottolinea l’importanza di questa relazione bilaterale e dall’altro mostra le preoccupazioni realistiche del mondo esterno riguardo alle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Qin ha sottolineato senza mezzi termini che la percezione e la visione della Cina da parte degli Stati Uniti sono seriamente distorte, come “il primo bottone di una camicia messo male“. Se gli Stati Uniti non tirano il freno e continuano a percorrere la strada sbagliata, “ci saranno sicuramente conflitti e scontri“. Ha inoltre affermato che le relazioni tra Cina e Stati Uniti dovrebbero essere determinate dagli interessi comuni e dalle responsabilità condivise dei due Paesi e dall’amicizia tra i popoli cinese e americano, piuttosto che dalla politica interna degli Stati Uniti o dall’isterico neo-maccartismo. Questo non è solo un avvertimento a Washington, ma dimostra anche l’atteggiamento responsabile e serio della Cina nei confronti delle relazioni Cina-USA.

 

Abbiamo notato che alcuni media occidentali stanno esaminando questa conferenza stampa con la lente d’ingrandimento, cercando di etichettare la diplomazia cinese come “moderata” o “dura”, ma si tratta chiaramente di un errore di orientamento. In realtà, Qin ha chiarito in conferenza stampa che la cosiddetta “diplomazia del lupo guerriero” è una trappola narrativa. Nella diplomazia cinese non mancano la buona volontà e la gentilezza, ma se dovessero trovarsi di fronte a sciacalli o lupi, i diplomatici cinesi non avrebbero altra scelta che affrontarli di petto e proteggere la nostra madrepatria, ha detto Qin. In altre parole, ovunque si trovino gli interessi nazionali della Cina e la moralità del mantenimento della pace e della stabilità, i diplomatici cinesi saranno lì.

 

“Vale la pena sottolineare che la trappola narrativa menzionata da Qin è proprio il mezzo spregevole che Washington ha ripetutamente usato negli ultimi anni per cercare interessi geopolitici privati. Approfittando della sua egemonia sull’opinione pubblica, Washington ha costantemente teso trappole narrative come la “trappola del debito cinese“, le “regole dell’ordine internazionale” e la “democrazia contro l’autoritarismo” e, diffamando continuamente la Cina, tenta di metterla in difficoltà e di coprire le proprie azioni impopolari di iniziare una nuova guerra fredda sotto il nome di “competizione“. È chiaro che la politica statunitense nei confronti della Cina si è completamente allontanata da un percorso razionale e sano, e gli Stati Uniti non possono aspettarsi che la Cina non risponda con parole o azioni. È assolutamente impossibile”.

Allo stesso tempo, Qin ha anche affermato che il popolo americano, proprio come quello cinese, è amichevole, gentile e sincero, e desidera una vita e un mondo migliori. Pur affrontando di petto i lupi, la diplomazia cinese non ha mai rinunciato a perseguire l’unità, la cooperazione e lo sviluppo pacifico. Ciò si riflette in modo evidente nella crescente cerchia di amicizie della Cina. La Cina ha sempre più nuovi amici e vecchi amici sempre più vicini. Agli occhi della stragrande maggioranza dei Paesi normali della comunità internazionale, la Cina è un buon vicino e un partner amichevole, entusiasta e disposto a condividere. Alcuni media e l’opinione pubblica occidentali sostengono che la diplomazia cinese stia diventando sempre più “dura“, e alcuni si sono sentiti addirittura presi di mira durante la conferenza stampa, il che dimostra chi sono i “lupi” nelle relazioni internazionali di oggi – lo sanno molto bene.

 

Una Cina che si concentra sempre sullo sviluppo, con grandi certezze e un forte senso di responsabilità, porterà al mondo un senso di stabilità e di fermezza, che sarà trasmesso innanzitutto attraverso la diplomazia. Come ha detto Qin, il nuovo viaggio della diplomazia cinese sarà una spedizione con glorie e sogni, ma anche un lungo viaggio attraverso mari tempestosi. Più difficile sarà la missione, più glorioso sarà il suo compimento. Ci auguriamo che la diplomazia cinese nella nuova era possa ottenere risultati ancora più straordinari sotto la guida del Pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia.

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Ucraina, il conflitto 29a puntata. Guerra e terrorismo_ con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il regime di Kiev, per la verità i suoi mentori, si sta rivelando un vero maestro nella narrazione mediatica e nella coltivazione degli strumenti, anche i più ibridi, di guerra. Gli episodi di arbitrio verso i prigionieri, l’utilizzo di armi proibite, l’indifferenza e l’utilizzo della popolazione civile come strumento di guerra fanno ormai parte dell’armamentario utilizzato. Questa volta, però, la soglia dell’esplicito attacco terroristico è stata oltrepassata ampiamente con l’incursione in due villaggi russi al confine e la deliberata uccisione di civili. Elementi idonei a trascinare la giunta e i comandi ucraino verso quel tribunale di guerra che gli occidentali vorrebbero costruire su misura su Putin. Il regime di Kiev è ormai alle strette e solo l’incapacità e l’impossibilità statunitense di poter uscire dal vicolo cieco in cui l’amministrazione di Biden si è cacciata, se non a rischio di un confronto diretto su larga scala, sta impedendo la mala sorte per personaggi tragicomici ed aguzzini senza scrupoli. La novità è che piuttosto che scompaginare l’area dissidente o indifferente all’esorcismo russofobo, l’oltranzismo atlantista sta polarizzando sempre più le dinamiche geopolitiche in schieramenti sempre più delineati. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Politica nel pallone_con Gianfranco Campa

Improvvisamente, consuetudini tollerate diventano l’occasione e il pretesto per creare non ancora il casus belli, certamente l’ostacolo alla realizzazione di trame ed obbiettivi politici degli avversari. Negli Stati Uniti il caso dell’aerostato vagante è stato lo strumento e l’occasione sollevata ad arte per rimescolare le carte secondo tre linee di riferimento. Ad una componente decisa a condurre il confronto geopolitico ostile contestualmente con la Russia e la Cina si giustappone una componente russofoba ed una sinofoba. Tutte e tre imbevute di un trasporto ideologico che porta spesso a forzare l’interpretazione politica degli atti e conseguentemente il merito degli atti politici. Il tutto in un contesto di opinione pubblica sempre più ostile nei confronti della leadership cinese, ritenuta responsabile del processo di degrado economico e sociale negli Stati Uniti. Una partita a tre che espone sempre più le scelte politiche statunitensi ad una schizofrenia incapace di definire chiaramente le priorità. Una situazione che rischia di trascinare una parte significativa del movimento MAGA verso una deriva neocon suscettibile di ricreare su nuove basi avventuriste i vecchi equilibri interni. Un contesto nel quale sono fondamentali gli intrecci e le interrelazioni esterne di queste fazioni con parte dei centri decisori stranieri. Sempre più labili questi ultimi con quelli russi, ancora significativi e determinanti con quelli cinesi. Il contrasto sul “palloncino” ha per oggetto una contesa su scelte ben più impegnative: il raddoppio delle basi statunitensi nel Pacifico ed una separazione dei legami economici sino-statunitensi il più graduale e meno dirompente possibile per i due paesi. Un intrico della cui complessità rischia di sfuggire il bandolo a qualcuno dei tanti attori protagonisti nello scenario politico interno e geopolitico. Buon e attento ascolto, Giuseppe Germinario

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La visione multipolare ricalibrata di Lula lo rende suscettibile ai grandi interessi strategici degli Stati Uniti, di ANDREW KORYBKO

Le dichiarate simpatie dell’autore non devono ingannare e portare ad un atteggiamento prevenuto. L’articolo assume grande importanza non solo per le interpretazioni delle dinamiche geopolitiche in corso nel cortile di casa statunitense, ma perché induce ad ulteriori e più generali riflessioni. Evidenzia la relativa flessibilità in via di acquisizione della diplomazia statunitense e l’evoluzione particolarmente articolata e mutevole che prenderà il multipolarismo, almeno in questa prima fase. Non è escluso che questa flessibilità, se non proprio mutevolezza, cominci ad emergere una buona volta anche in Europa e, attualmente, nel contesto del conflitto ucraino. Occorrerebbe un vero e proprio collasso, auspicabile, di gran parte delle classi dirigenti e delle leadership degli stati nazionali europei. Un occhio particolare si dovrebbe dedicare al particolare ruolo del Governo Meloni, come più volte adombrato in altri articoli. A questa attenzione dovrebbe auspicabilmente seguire un approccio analitico che rifugga dalla tifoseria e faziosità in conto terzi che caratterizza l’asfittico dibattito politico e geopolitico italiano. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

Nessuna delle intuizioni condivise in questa analisi suggerisce che Lula sia controllato dagli Stati Uniti, ma solo che la sua precedente prigionia lo ha chiaramente cambiato. Non è più il “rivoluzionario multipolare” che era una volta o almeno era considerato essere, anche dagli Stati Uniti che deposero il suo successore e poi cercarono di screditarli entrambi su quella presunta base. La visione ricalibrata del multipolarismo di Lula lo rende accettabile per gli Stati Uniti, i cui democratici al potere amano anche il suo allineamento ideologico interno con loro e soprattutto la sua crociata contro l’opposizione di destra.

Gettare Cina e Russia sotto l’autobus a Buenos Aires

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, popolarmente noto come Lula, è un’icona della sinistra latinoamericana e un titano del movimento multipolare globale grazie alla sua co-fondazione dei BRICS. Queste impressionanti credenziali, tuttavia, sono precisamente il motivo per cui le sue divergenze con gli altri membri del BRICS Cina e Russia sul commercio e l’Ucraina sono così inaspettate. Il presente pezzo tenterà quindi di chiarire i suoi calcoli strategici al fine di discernere le sue motivazioni in disaccordo con quei due su questi temi.

Per quanto riguarda il primo, la scorsa settimana ha detto  Mauro Vieira al suo omologo uruguaiano Luis Lacelle Pou che spera che Montevideo sosterrà la conclusione dell’accordo commerciale del Mercosur con l’UE prima che ne negozi uno con la Cina. La richiesta di Lula ha fatto seguito al suo ministro degli Esteri Mauro Vieira che ha dichiarato  al quotidiano Folha de São Paulo che l’ annuncio dell’Uruguay lo scorso luglio di aver mosso i primi passi per negoziare un accordo commerciale con la Cina potrebbe “distruggere” il Mercosur poiché le merci cinesi circolerebbero liberamente nel blocco in quello scenario .

Per quanto riguarda le divergenze con la Russia sull’Ucraina, Lula ha paragonato la sua operazione speciale lì alla guerra ibrida degli Stati Uniti contro il Venezuela mentre parlava a Buenos Aires. Secondo il leader brasiliano appena rieletto, “Così come sono contrario all’occupazione territoriale, come ha fatto la Russia con l’Ucraina, sono contrario a troppe interferenze nel processo venezuelano”. La Russia non ha avuto niente a che fare con il suo viaggio e il paragone che ha fatto con il Venezuela è assurdo, motivo per cui la sua osservazione è stata così sorprendente.

Dare credito dove è dovuto

Nonostante i suoi disaccordi con la Cina sul commercio e la Russia sull’Ucraina, Lula spera comunque di espandere la cooperazione del Brasile con entrambi. Il primo è stato dimostrato da lui che ha espresso tale intenzione all’inizio dell’anno quando ha rivelato di aver ricevuto una lettera  dal suo omologo cinese, il presidente Xi, mentre il secondo è avvenuto alla fine dello scorso anno, quando ha parlato  con il presidente Putin . Di conseguenza, Lula non riconosce Taiwan né ha concordato con la Germania di armare indirettamente l’Ucraina.

La realtà dell’approccio di Lula alla Cina

Anche così, queste politiche pragmatiche non tolgono nulla a ciò che ha appena detto riguardo alle sue divergenze con la Cina sul commercio e con la Russia sull’Ucraina. Tornando a loro e cominciando dal primo citato, lui e il suo team sembrano condividere le preoccupazioni dell’amministrazione Bolsonaro che la Cina stia tentando di entrare clandestinamente nel Mercosur attraverso una backdoor uruguaiana, che entrambi considerano una minaccia per l’economia a lungo termine degli interessi del Brasile.

La soluzione di Lula è quella di rinegoziare prima i termini dell’accordo commerciale congelato del Mercosur con l’UE per concludere un accordo con quel blocco economico occidentale, dopodiché crede evidentemente che il Brasile e i suoi vicini sarebbero in una posizione migliore per negoziare condizioni migliori dalla Cina. In nessun caso vuole che l’Uruguay accetti unilateralmente il proprio accordo commerciale con la Cina, poiché pensa che ciò minerebbe l’unità del Mercosur, danneggerebbe gli interessi economici a lungo termine del Brasile e darebbe un vantaggio alla Cina.

In qualità di capo di stato, è suo diritto formulare la politica in qualunque modo consideri nell’interesse nazionale del suo paese, ma è comunque interessante che la posizione del suo team sulla delicata questione della negoziazione di un accordo di libero scambio con la Cina sia simile a quella dell’amministrazione Bolsonaro. Questa osservazione ovviamente non sarà popolare tra i sostenitori più appassionati di Lula – che la ignoreranno, affermeranno falsamente che è diversa da quella di Bolsonaro e/o attaccheranno coloro che la tirano fuori – ma non si può negare.

La realtà dell’approccio di Lula alla Russia

Passando alle divergenze di Lula con la Russia sull’Ucraina, anche la sua politica nei confronti della principale guerra per procura della Nuova Guerra Fredda è simile a quella di Bolsonaro. Il governo del primo ha votato all’UNGA per condannare la sua operazione speciale proprio all’inizio di marzo come presunta “aggressione” e poi ancora una volta in ottobre per condannare la sua riunificazione con la Novorossiya come presunta “annessione”. Lo stesso Bolsonaro si è rifiutato di condannare personalmente la Russia, tuttavia, a differenza di Lula che ha appena infranto quel tabù facendolo a Buenos Aires.

A giudicare dalle sue parole, questa icona della sinistra latinoamericana e titano del multipolarismo continua la politica del suo predecessore nei confronti del conflitto ucraino . Questo spiega perché ha definito le azioni della Russia una “occupazione” e le ha paragonate alla guerra ibrida degli Stati Uniti contro il Venezuela. Ancora una volta, i sostenitori più appassionati di Lula saranno furiosi per questa osservazione, ma non possono negarlo così come non possono nemmeno negare che sta continuando la politica di Bolsonaro di opporsi ai colloqui commerciali dell’Uruguay con la Cina.   Questi fatti “politicamente scorretti” fanno naturalmente sorgere la domanda sul perché Lula stia continuando le politiche di Bolsonaro nei confronti della Cina sul commercio e della Russia sull’Ucraina. Dopo tutto, è Lula stesso che ha pronunciato quelle due affermazioni rilevanti che sono state precedentemente analizzate in questo pezzo e non membri delle burocrazie militari, di intelligence o diplomatiche permanenti del Brasile (“stato profondo”) che avrebbero potuto essere nominati dal suo predecessore e quindi incolpati per aver continuato la sua politica senza il permesso di Lula.

La vera differenza tra Lula e Bolsonaro

Ognuno è responsabile delle proprie parole, e le ultime di Lula su Cina e Russia non fanno eccezione. Considerando questo, la conclusione che emerge è che le sue uniche vere divergenze con Bolsonaro riguardano questioni socio-politiche interne. Le opinioni di Lula sono liberal-globaliste e allineate in senso interno con i democratici al potere negli Stati Uniti, mentre quelle di Bolsonaro sono nazionaliste conservatrici ed erano allineate con quelle di Trump, spiegando così perché la squadra di Biden lo odiava.

Al contrario, il team di Biden sostiene con tutto il cuore Lula poiché condivide opinioni molto simili sul cambiamento climatico, COVID, “LGBTQI +” e la presunta minaccia che i loro oppositori di destra nel loro insieme (e non solo pochi estremisti come ogni parte hanno) presumibilmente presentare alla sicurezza nazionale. Le seguenti cinque analisi condividono maggiori informazioni su questa osservazione “politicamente scorretta”, i cui dettagli vanno oltre lo scopo del presente pezzo ma potrebbero comunque essere interessanti per i lettori intrepidi:

* 31 October: “* 31 ottobre: ​​“ The Geostrategic Consequences Of Lula’s Re-Election Aren’t As Clear-Cut As Some Might ThinkLe conseguenze geostrategiche della rielezione di Lula non sono così nette come alcuni potrebbero pensare ””

* 1 November: “* 1 novembre: ” Biden’s Reaction To Brazil’s Latest Election Shows That The US Prefers Lula Over BolsonaroLa reazione di Biden alle ultime elezioni brasiliane dimostra che gli Stati Uniti preferiscono Lula a Bolsonaro ””

* 24 November: “* 24 novembre: “ Korybko To Sputnik Brasil: The Workers’ Party Is Infiltrated By Pro-US Liberal-GlobalistsKorybko To Sputnik Brasil: Il Partito dei Lavoratori è infiltrato da liberal-globalisti filoamericani ””

* 9 January: “* 9 gennaio: “ Everyone Should Exercise Caution Before Rushing To Judgement On What Just Happened In BrazilTutti dovrebbero prestare attenzione prima di affrettarsi a giudicare ciò che è appena accaduto in Brasile ””

* 12 January: “* 12 gennaio: ” Korybko To Sputnik Brasil: The US Played A Decisive Role In The January 8th IncidentKorybko allo Sputnik Brasil: gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo decisivo nell’incidente dell’8 gennaio ””

Il maldestro atto di equilibrio di Lula

Detto questo, l’allineamento ideologico interno di Lula con le opinioni liberal-globaliste dei democratici statunitensi al potere non si estende alla politica estera, come dimostrato dal suo pragmatico rifiuto di riconoscere Taiwan e di armare indirettamente l’Ucraina attraverso la Germania. Ciò dimostra che sostiene davvero la transizione sistemica globale  verso il multipolarismo complesso (“multiplexity”)  e non è favorevole a ritardarla indefinitamente per sostenere l’unipolarismo incentrato sugli Stati Uniti come quell’egemone in declino e i suoi vassalli europei stanno così disperatamente cercando di fare.

Allo stesso tempo, la sua visione del multipolarismo non è la stessa della Russia, che il presidente Putin ha spiegato in tre occasioni chiave l’anno scorso in quello che può essere descritto collettivamente come il suo Manifesto rivoluzionario globale , i cui dettagli possono essere letti nei tre precedenti collegamenti ipertestuali. A differenza del leader russo, il cui paese è stato costretto da circostanze al di fuori del suo controllo a diventare il leader del movimento multipolare mondiale, il restaurato presidente brasiliano vuole mantenere un piede in entrambi i blocchi de facto.

Questi sono il miliardoGolden billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il sud globale guidato congiuntamente da BRICS SCO , di cui il Brasile fa parte. Il secondo, dovrebbe essere chiarito, dovrebbe anche essere guidato congiuntamente da altre organizzazioni multipolari come l’Unione africana (UA), l’ASEAN e il CELAC, e altri, sebbene ciò non sia ancora accaduto. L’ India ha perfezionato l’arte dell’equilibrio tra i due blocchi , che il Brasile di Lula cerca di emulare, anche se molto più goffamente, come dimostra la sua pubblica condanna dell’operazione speciale della Russia.

A riprova delle sue intenzioni, ha criticato sia la Russia che la Cina in misura diversa durante il primo viaggio all’estero del suo terzo mandato, come è stato precedentemente analizzato in questo articolo, e visiterà anche gli Stati Uniti il  ​​mese prossimo. Queste mosse possono essere interpretate come un tentativo di trovare un equilibrio tra il Golden Billion e il Global South, anche se i critici potrebbero considerarle come inutili dimostrazioni di fedeltà agli Stati Uniti. Non va comunque dimenticato che anche in quella trasferta riportò il Brasile alla CELAC , che fu molto importante.

La visione di Lula per il CELAC

Lula apparentemente prevede che il blocco multipolare diventi uno dei leader congiunti del Sud del mondo, il che è ragionevole e abbastanza probabile. Tuttavia, non sembra aspettarsi che il CELAC sfiderà in modo significativo gli Stati Uniti come il suo omologo venezuelano Maduro ha lasciato intendere all’inizio del mese che vuole che accada. Piuttosto, il leader brasiliano vuole senza dubbio che la CELAC abbia ottimi rapporti con il suo vicino settentrionale, anche se più equilibrati e rispettosi (almeno in superficie).

Questa valutazione si basa sulla sua visione implicita del Mercosur, informata da ciò che ha appena detto sui suoi accordi commerciali con l’UE e la Cina. Lula prevede che il blocco di integrazione regionale concluda un accordo con uno dei principali membri del Golden Billion per poi dargli una leva per concludere un accordo complementare con un importante membro del Sud del mondo. La sua strategia del Mercosur sarà quindi probabilmente ampliata per plasmare la sua visione di una CELAC molto più ampia nella transizione sistemica globale verso la multiplexità.

Mentre ci sono alcuni che potrebbero aspettarsi che la grande strategia multipolare di Lula venga contrastata dagli Stati Uniti, ci sono anche ragioni plausibili per cui quell’egemone unipolare in declino potrebbe effettivamente sostenerla. Gli stessi strateghi degli Stati Uniti sembrano aver tacitamente accettato che la suddetta transizione sia attualmente in atto e irreversibile, come evidenziato dal fatto che riconoscono l’ascesa dell’India come grande potenza di importanza globale nell’ultimo anno, che è stato un risultato diretto del loro fallimento nel costringere Delhi a entrare scaricare la Russia.

Le ragioni geostrategiche dietro il sostegno degli Stati Uniti a Lula

Ne consegue quindi che potrebbero anche accettare tacitamente l’eventuale ascesa della CELAC come uno dei leader congiunti della transizione sistemica globale alla multiplexità, sebbene con l’intento di controllare indirettamente questa tendenza irreversibile allo scopo di rallentare il declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti . Fintanto che il CELAC aderisce alla visione implicita di Lula di dare la priorità ai legami con il Golden Billion rispetto ai principali membri del Sud del mondo come Cina e Russia invece di quello rivoluzionario di Maduro, allora questo è accettabile.

Per spiegare, proprio come Lula prevede di sfruttare gli accordi della CELAC con il Golden Billion per poi darle un vantaggio nel tagliare accordi complementari con il Sud del mondo, così anche gli Stati Uniti potrebbero sfruttare la priorità che prevede che questo blocco offra alla sua “sfera di influenza” per non perdere il controllo delle tendenze multipolari. Dal momento che il declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti è attualmente in atto e irreversibile come i suoi strateghi già tacitamente accettano, allora la politica più ottimale è tentare di controllare questo processo.

Con questo in mente, la restaurata leadership del Brasile da parte di Lula e la sua visione del CELAC sono l’ideale per far avanzare i grandi obiettivi strategici degli Stati Uniti, ergo il suo pieno sostegno per lui al giorno d’oggi. In passato, gli Stati Uniti consideravano lui e il suo successore Dilma Rousseff “pericolosi rivoluzionari multipolari” sulla falsariga di Castro, Chavez e Maduro, motivo per cui li deposero e cercarono di screditare il loro governo precedente attraverso l'”Operazione Car Wash”, ma in seguito si sono resi conto che il suo Lula era stato umiliato e quindi ora lo sostengono.

Le sue critiche a Cina e Russia, insieme alla sua visione del CELAC che contrasta con quella recentemente articolata di Maduro, confermano che hanno fatto la scelta giusta nel sostenerlo rispetto a Bolsonaro, che era troppo un “jolly” per i loro gusti e il cui “populismo di destra” ” ha sfidato il loro globalismo liberale almeno nel senso socio-politico interno. In confronto, Lula è internamente allineato con i democratici al potere negli Stati Uniti, più prevedibile e “addomesticato”, il che rende quindi più facile per loro trattare con lui.

Lula non dovrebbe più essere considerato un “rivoluzionario multipolare”

L’unico “compromesso” che gli Stati Uniti devono fare è trattare lui, il Brasile e l’America Latina nel suo insieme con un po’ più di rispetto rispetto a prima. Ciò, tuttavia, è inevitabile a causa del modo in cui le tendenze multipolari irreversibili hanno limitato i modi in cui gli Stati Uniti possono imporre la loro egemonia unipolare sull’emisfero. Questo non significa che smetterà di intromettersi nei loro affari, ma solo che cercherà almeno superficialmente di trattarli (o alcuni di loro come Lula) un po’ meglio e più alla pari.

Questi grandi calcoli strategici aggiungono un contesto al motivo per cui gli Stati Uniti sostengono Lula su Bolsonaro, la cui ottica è inspiegabile per molti poiché non possono accettare il motivo per cui sosterrebbero il loro ex nemico multipolare sullo stesso uomo che la loro guerra ibrida al Brasile ha contribuito a spazzare via di potenza. La realtà “politicamente scorretta” è che Lula è ora considerato dagli Stati Uniti più “gestibile” di quanto lo fosse Bolsonaro per le ragioni che sono state spiegate, in particolare l’allineamento ideologico interno del primo con la sua élite.

Se Lula fosse stato ancora il “rivoluzionario multipolare” che gli Stati Uniti lo consideravano durante i suoi due precedenti mandati, allora non lo avrebbero sostenuto e avrebbero assicurato in un modo o nell’altro che perdesse la sua candidatura per la rielezione. Non è quello che era una volta o almeno era considerato, tuttavia, come evidenziato dal fatto che praticava la grande strategia opposta rispetto a quella che faceva oggi rispetto agli affari prioritari con il Golden Billion per poi ottenere influenza sul Sud del mondo.

Ciò contrasta con la visione di Maduro, che ritiene che il Venezuela, la CELAC e il Sud del mondo nel suo insieme dovrebbero dare la priorità agli accordi con paesi multipolari come Cina e Russia per poi avere la leva per tagliare quelli complementari con i membri del Golden Billion come l’UE. Di conseguenza, gli Stati Uniti rimangono ancora contrari al leader venezuelano (anche se recentemente hanno iniziato a impegnarsi pragmaticamente con lui a causa dei loro interessi legati all’energia ) mentre sostengono con tutto il cuore Lula.

Nessuna di queste intuizioni suggerisce che Lula sia controllato dagli Stati Uniti, ma solo che la sua precedente prigionia lo ha chiaramente cambiato. Non è più il “rivoluzionario multipolare” che era una volta o almeno era considerato essere, anche dagli Stati Uniti che hanno deposto il suo successore e poi hanno cercato di screditarli entrambi su quella base percepita, ma è ancora almeno formalmente impegnato con la sinistra- come le politiche economiche interne per la riduzione della povertà, che è la causa che lo ha maggiormente appassionato in tutta la sua vita.

La visione ricalibrata del multipolarismo di Lula – presumibilmente concepita durante la sua prigionia – lo rende accettabile per gli Stati Uniti, i cui democratici al potere amano anche il suo allineamento ideologico interno con loro e soprattutto la sua crociata contro l’opposizione di destra. Per queste ragioni, oltre a quelle legate al modo in cui la transizione sistemica globale ha limitato i modi in cui gli Stati Uniti possono imporre la propria egemonia sull’emisfero, Lula è quindi visto dai suoi strateghi come il leader latinoamericano ideale.

Ecco perché hanno sostenuto con entusiasmo il suo ritorno alla presidenza e celebrato la sua vittoria su Bolsonaro poiché si prevede che sarà più facile trattare con Lula, soprattutto ora che non è più percepito come un “rivoluzionario multipolare pericoloso” come rimane con orgoglio Maduro. Questo è il vero Lula come esiste oggettivamente nel 2023 e non quello che i suoi sostenitori più appassionati fantasticano che sia, cosa che deve essere accettata da chi aspira ad analizzare con precisione il suo terzo mandato.

https://korybko.substack.com/p/lulas-recalibrated-multipolar-vision?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=99412214&isFreemail=true&utm_medium=email

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