La potenza russa di fronte alla guerra, di Victor Violier

Una mappa delle dinamiche di potere interne al regime russo secondo la visione e gli schemi offerti dalla narrazione occidentale, ovviamente ben presenti anche negli ambienti francesi. Una rappresentazione che glissa “elegantemente” sulle dinamiche e sui conflitti ben presenti e ben poco “democratici” tra i centri decisori occidentali. Ignora del tutto le dinamiche circolari che si producono tra le élites e la base popolare indispensabili a conformare le formazioni sociali. Su questo aspetto, la condizione dei paesi occidentali poggia su basi più precarie e su dinamiche di centri decisori sempre più autoreferenziali. Giuseppe Germinario

La potenza russa di fronte alla guerra

8 maggio 2023

 

Mentre la prosecuzione della guerra sembra irrimediabilmente legata al futuro del regime russo e alla capacità di Vladimir Putin di consolidare la sua leadership all’interno dell’élite di potere, quale impatto ha avuto il conflitto e le sue vicissitudini sul potere del Cremlino?

 

Dietro un apparente consenso politico sulla guerra, ci sono sempre più segnali di una possibile diarchia all’interno delle élite e di una ricomposizione degli attori di potere statali e non statali.

 

La fedeltà di un’élite cooptata che si stringe attorno al leader

 

Da quando Vladimir Putin è salito al potere alla fine degli anni Novanta, il sistema politico russo è stato caratterizzato da un “pluralismo politico limitato [e] non rendicontabile” (1), ma l’élite al potere è comunque dilaniata da dibattiti, dissensi e persino conflitti sul futuro del regime e, in particolare, sui modi in cui la classe dirigente dovrebbe garantire il mantenimento della sua posizione e dei suoi privilegi rispetto al resto della popolazione. La traiettoria politica della Russia post-sovietica può quindi essere intesa come il prodotto delle lotte e degli scontri tra i diversi gruppi che la compongono.

 

Questo ex tenente-colonnello del KGB, che è stato paracadutato nella posizione di capo di Stato senza alcun capitale politico, ha dovuto forgiare la propria cerchia e le proprie reti per consolidare il suo potere. Il primo compito è stato quello di mettere in riga gli oligarchi ereditati dall’era Eltsin, particolarmente attivi in politica sotto la sua presidenza. L’affare Khodorkovsky, dal nome dell’ex amministratore delegato della compagnia petrolifera Yukos e sostenitore dei movimenti liberali di opposizione, è il simbolo dell’addomesticamento di questi ricchi uomini d’affari, la cui influenza politica è diminuita notevolmente nel corso degli anni. Se non volevano subire l’ira del governo e rischiare la confisca degli imperi economici e finanziari costruiti durante la transizione a un’economia capitalista, dovevano evitare di immischiarsi nella politica e sostenere il governo ogni volta che ne aveva bisogno. Allo stesso tempo, gli uomini del mantenimento dell’ordine acquisirono un ruolo centrale nella conduzione della politica del Paese e nel sostegno al Presidente della Federazione. Il termine “strutture di forza” (silovye strukrury) si riferisce a tutti i membri dei ministeri e delle agenzie responsabili dell’applicazione della legge e del mantenimento dell’ordine. Il loro numero e la loro influenza sono cresciuti inversamente alla perdita di influenza degli oligarchi, portando alcuni specialisti a descrivere il regime russo come una “militocrazia” (2). Tuttavia, questa affermazione deve essere qualificata, soprattutto perché questi siloviki non sono necessariamente un gruppo perfettamente omogeneo, anche dal punto di vista politico (3). Essi vanno invece considerati come una potente forza politica conservatrice le cui preferenze favoriscono il mantenimento dello status quo nella Russia contemporanea (4). Un altro gruppo dell’élite al potere è costituito da coloro che sono vicini al Capo di Stato e che provengono da San Pietroburgo, dove Vladimir Putin era di stanza all’inizio degli anni Novanta dopo il suo ritorno da Dresda, e sono noti come i “pietroburghesi”. Vladimir Putin ha intessuto rapporti di fiducia con questi uomini prima di salire al potere, tanto da essere presentato dai consulenti politici vicini al settore come un gruppo importante, nonostante il loro numero sia oggi relativamente ridotto (5). Anche in questo caso, sebbene nella prima cerchia del leader russo si possano individuare alcune figure emblematiche, a partire da Dmitri Medvedev, ex presidente, primo ministro e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa dal 2020, non si tratta di un gruppo politicamente omogeneo. Infine, un ultimo gruppo, composto da tecnocrati, spesso più giovani dei precedenti, è emerso come risultato della nuova politica dei quadri del regime (kadrovaja politika) e della creazione di riserve di quadri (kadrovyj reserv) (6).

 

In pratica, questi diversi gruppi possono essere in disaccordo sulle riforme da attuare per quanto riguarda i metodi di modernizzazione dello Stato e della sua amministrazione, l’atteggiamento da adottare nei confronti dei partner occidentali o il grado di intervento dello Stato nell’economia (7). Classicamente, c’è un polo liberale e un polo più conservatore. Ed è sempre su questa linea che emerge il dissenso, nonostante una facciata di unanimità e in situazioni molto specifiche. Ad esempio, di fronte a chi chiede l’inasprimento del conflitto e un massiccio dispiegamento di truppe, il Ministro per lo Sviluppo Digitale, Maksut Chadaïev, ha dato voce alle preoccupazioni della frangia moderata del governo sulle conseguenze economiche della guerra, avanzando la cifra di 100.000 dipendenti che hanno lasciato il settore tecnologico e dell’informazione dall’inizio della guerra, pari al 10% della forza lavoro del settore.

 

Ad oggi, la guerra ha chiarito almeno due aspetti del funzionamento delle élite al potere in Russia. Da un lato, il conflitto ha confermato – per chi ancora ne dubitava – la mancanza di potere reale di coloro che vengono erroneamente definiti “oligarchi”. Il loro potere è limitato alla sfera degli affari e, in pratica, dipende in larga misura dagli arbitrati del potere politico, al quale non hanno altra scelta che sottomettersi. La guerra era ovviamente una cattiva notizia e una fonte di preoccupazione per i ricchi uomini d’affari vicini al governo. Ma in nessun momento sono stati in grado di impedirla o di influenzarne i termini. Ora sono costretti a fare i conti con la guerra e le sue ripercussioni economiche, a partire dalle sanzioni occidentali che li riguardano direttamente. D’altra parte, la strategia del governo di intimidire la frangia liberale dell’élite ha portato a un rafforzamento del potere intorno ai conservatori e ai patrioti. Alcuni membri dell’élite cooptata e rappresentanti dei “liberali sistemici” hanno parlato dei rischi della guerra, in particolare di quelli economici. Tra questi, Herman Gref, presidente della Sberbank, la principale banca del Paese, ed Elvira Nabioullina, governatore della Banca centrale della Russia. Tuttavia, la loro voce non sembra essere stata ascoltata, confermando i nuovi arbitrati del Capo di Stato. Per alcuni liberali di sistema, la mancata fedeltà alla politica guerrafondaia di Vladimir Putin è stata ancora più costosa. È il caso, ad esempio, di Vladimir Maou, il principale economista della Federazione e rettore del più grande istituto scolastico del Paese, che mira a formare l’élite di domani. Finora gli ambienti conservatori lo hanno visto come un feroce avversario e ritenevano che avesse una forte influenza sul Presidente, ma quest’estate è stato molto vicino alla condanna da parte dei tribunali russi per corruzione. Il caso è suonato come un campanello d’allarme per questo fedele sostenitore del regime, colpevole di non aver firmato l’appello dell’Unione dei Rettori a sostegno della guerra. Dopo questa violenta incriminazione, il suo nome è magicamente apparso in calce alla petizione in questione. Un recente dispaccio di Ria Novosti ha riferito che Vladimir Maou non è tornato da un viaggio in Israele dal novembre 2022.

Una congiuntura critica che apre uno spazio di competizione politica per il potere?

 

In modo apparentemente paradossale, in un momento in cui le élite si stanno restringendo e il potere ha eliminato o neutralizzato le frange più liberali dell’élite al potere, la crisi iniziata con l’intervento militare in Ucraina sembra aver aperto uno spazio politico per attori più radicali che in precedenza potevano essere visti come estranei dal resto dell’élite. Seguendo il lavoro di Michel Dobry, che invita i ricercatori a comprendere le crisi come “stati particolari dei sistemi politici interessati” (8), possiamo osservare gli effetti della de-settorializzazione degli spazi sociali e del deterioramento dei confini ideologici. In questa situazione di fluidità politica, due attori in particolare meritano la nostra attenzione.

 

Il primo è il Presidente della Repubblica cecena, Ramzan Kadyrov. È il figlio di Akhmat-Khadji Kadyrov, che è stato presentato nel discorso ufficiale come il primo Presidente della Cecenia, a causa del suo sostegno a Mosca e della sua dissociazione dal campo pro-indipendenza da cui provenivano i suoi due predecessori. Ramzan Kadyrov è stato nominato Presidente della Repubblica cecena da Vladimir Putin nel 2007, dopo aver appena raggiunto l’età minima legale di 30 anni. Da allora, Ramzan Kadyrov ha continuato ad accrescere il suo potere. In cambio della sua fedeltà al governo federale e del mantenimento dell’ordine nell’ex repubblica separatista, Mosca gli ha dato carta bianca in Cecenia, dove si comporta da vero autocrate e regna il terrore attraverso le sue forze di sicurezza, i kadyrovtsy. Dall’inizio della guerra, R. Kadyrov ha rilasciato una serie di dichiarazioni forti e roboanti e in diverse occasioni si è distinto per il suo atteggiamento guerrafondaio. Il giorno successivo all’invasione, il 24 febbraio, il leader ceceno ha annunciato che 10.000 uomini erano stati radunati e inviati da Grozny per sostenere l’esercito russo. A settembre ha criticato pubblicamente i generali russi in un video pubblicato sul suo canale di social network Telegram: “Non sono uno stratega come il Ministero della Difesa. Ma sono stati commessi degli errori. Penso che trarranno delle conclusioni. Quando si dice la verità in faccia, può non piacere. Ma a me piace dire la verità”. Ha persino lanciato una sorta di ultimatum al comando, aggiungendo che “se non verranno apportate modifiche all’operazione militare speciale oggi o domani, [sarà] costretto a [rivolgersi] ai leader del Paese, al Ministero della Difesa, per spiegare la situazione sul campo”. Un mese dopo, ha chiesto l’uso di armi nucleari in Ucraina per smettere di “giocare”. Oggi, alcuni osservatori ritengono che abbia un destino federale, non solo per il ruolo che sta svolgendo nella guerra, a sostegno di Mosca, ma anche per lo status speciale di cui sembra godere e beneficiare.

 

Il secondo di questi attori, particolarmente in vista dall’inizio della guerra, è Evgueni Prigogine. Ex prigioniero di diritto comune durante l’Unione Sovietica, tra il 1990 e il 2000 ha fatto fortuna nel settore della ristorazione, grazie a speciali legami con il governo e a lucrosi contratti pubblici, guadagnandosi il soprannome di “chef di Putin”. Più recentemente, E. Prigogine è noto per essere il fondatore, nel 2014, del gruppo paramilitare privato Wagner. Da allora questa società privata di mercenari è particolarmente attiva non solo in Ucraina, ma anche in Medio Oriente e in Africa, cosa che aveva sempre negato fino alla guerra del 2022. Allo stesso modo, il governo russo, che aveva rifiutato qualsiasi legame con Wagner e si era a malapena degnato di riconoscerne l’esistenza, ha finalmente riconosciuto il suo ruolo nell’operazione in Ucraina. L’uso delle milizie Wagner si spiega con il desiderio di Vladimir Putin, in primo luogo, di rafforzare le forze russe sul terreno senza ricorrere alla mobilitazione e, in secondo luogo, di usarle il meno possibile. In questo senso, Prigogine e i suoi miliziani sono belligeranti a pieno titolo nel conflitto in cui Wagner si vende come truppe d’élite, anche se la compagnia paramilitare privata recluta dalle prigioni russe in cambio della promessa di una seconda vita dopo la guerra. La partecipazione alla guerra di una struttura non statale solleva interrogativi, soprattutto perché la cooperazione tra l’esercito regolare e la compagnia di mercenari spesso lascia il posto alla competizione sul campo e a una guerra di comunicazione per rivendicare la paternità delle vittorie di cui le autorità russe hanno tanto bisogno per salvare la faccia. L’ultimo esempio è la battaglia di Solédar, nel gennaio 2023, per la quale il gruppo Wagner, attraverso l’intermediazione dello stesso E. Prigozhin, si è affrettato a rivendicare la paternità delle vittorie. Prigozhin, si è affrettato a prendersi il merito della vittoria, anche se la città non era completamente sotto il controllo russo, per poi essere smentito dal Ministero della Difesa russo, che ha rivendicato la vittoria due giorni dopo. Come per spegnere il fuoco, il 16 gennaio il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato che la Russia “riconosce gli eroi che servono nelle forze armate”, citando in particolare “quelli del gruppo paramilitare Wagner” e assicurando che “questo conflitto esiste solo nello spazio dell’informazione”. Tuttavia, E. Prigojine, che è recentemente uscito allo scoperto, non trascura di comunicare le imprese del suo gruppo mercenario per il proprio tornaconto personale. È anche sempre più critico nei confronti delle autorità e delle élite, accusandole di evitare la mobilitazione. Infine, secondo il sito di notizie indipendente Meduza (9), E. Prigozhin sta progettando di creare un nuovo partito politico conservatore, patriottico e anti-elitario. Prigozhin, che un tempo voleva stringere legami più stretti con il partito nazionalista Rodina (“Patria”) per le elezioni legislative del 2020, spera certamente di convertire la legittimità acquisita sul campo di battaglia nell’arena politica.

Un edificio che potrebbe crollare?

 

Se prestiamo tanta attenzione a ciò che accade nei corridoi del potere, è anche perché la prospettiva di una rivolta della popolazione o anche, semplicemente, di massicce mobilitazioni sociali che costringano il governo a cambiare rotta, sembrano altamente improbabili. Già prima della guerra, il politologo russo Vladimir Gel’man, allora ancora professore all’Università Europea di San Pietroburgo, aveva dichiarato: “Abbiamo a che fare con un regime autoritario inequivocabilmente consolidato – “consolidato” nel senso che non ci sono seri fattori interni che possano cambiare nel prossimo futuro”. (10) Oltre all’importanza della propaganda del governo, ampiamente diffusa dai media, non dobbiamo ovviamente sottovalutare la forza dell’apparato repressivo, che si abbatte su qualsiasi accenno di resistenza da parte della popolazione. Tanto più che gli ultimi media e giornalisti indipendenti sono stati costretti al silenzio o all’esilio. Tuttavia, sebbene sia ragionevole dubitare dell’emergere di mobilitazioni su larga scala, alcuni eventi di questa guerra hanno dato origine all’espressione di alcune tensioni sociali. È il caso, in particolare, della mobilitazione parziale iniziata il 21 settembre 2022, che ha dato vita a manifestazioni in quasi quaranta città russe, duramente represse dalle autorità. Ci sono stati anche tentativi di sabotaggio. Che si tratti di un’espressione di rabbia o di un vano tentativo di fermare la terribile macchina, diverse stazioni della polizia militare sono state date alle fiamme. Va notato, tuttavia, che in seguito sono state rilasciate numerose dichiarazioni pubbliche, in particolare video postati sui social network, da parte di madri e mogli di soldati che chiedevano maggiori risorse per i loro figli e mariti andati a combattere. In altre parole, non chiedevano il ritorno degli uomini, ma l’equipaggiamento per poter combattere in buone condizioni.

 

In questo contesto, la questione che si poneva al regime e alla società russa era quella della lealtà dei quadri intermedi e delle élite di secondo livello. In situazioni di routine, essi sono i relè del potere e le cinghie di trasmissione del suo dominio sulla società. In questi tempi critici, devono sempre più prendere decisioni impopolari e garantirne l’attuazione, nonostante il malfunzionamento non solo dell’apparato militare, ma anche dello Stato e della sua amministrazione, nonché le difficoltà incontrate dall’economia russa. La stragrande maggioranza delle élite intermedie sembra disposta a rispettare le direttive dall’alto, minimizzando i rischi per se stessa di disobbedire o anche semplicemente di non raggiungere gli obiettivi, come ad esempio le quote di mobilitazione. Tuttavia, dall’inizio della guerra si sono levate alcune voci contro le autorità russe. Un diplomatico della Missione permanente russa presso le Nazioni Unite a Ginevra si è dimesso il 23 maggio. Da allora, Boris Bondarev, che ha lavorato per il Ministero degli Esteri russo per 20 anni, ha costantemente criticato le autorità e denunciato la codardia dell’entourage di Vladimir Putin, a partire dal suo ex capo, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov. I deputati del comune di Smolninskoye (un distretto di San Pietroburgo) hanno accusato il Presidente di essere responsabile della “morte di uomini russi abili al lavoro, del declino economico nazionale, della fuga di cervelli dalla Russia e dell’espansione della NATO verso est” e hanno chiesto alla Duma (il parlamento federale) di rimuoverlo dalla carica per “alto tradimento” sulla base dell’articolo 93 della Costituzione (11). A Mosca, un gruppo di deputati del distretto di Lomonossov ha inviato una lettera a Vladimir Putin, certo meno veemente ma altrettanto chiara nella sua richiesta: “Le chiediamo di dimettersi”. Più discretamente, il sindaco di Mosca si è distinto dichiarando, prima della scadenza, che la quota di coscritti era già stata raggiunta. Questo era senza dubbio un modo per tranquillizzare i cittadini della capitale e allentare la pressione sulla popolazione.

 

Radicalizzazione delle élite sotto la pressione dei fautori dello scontro

 

Di fronte all’impossibilità virtuale di mobilitarsi per i cittadini comuni e alle rare ma coraggiose prese di posizione delle élite intermedie, sembra che un’ondata di entusiasmo stia suscitando molto più scalpore nella società russa, con patrioti, ultranazionalisti e guerrafondai di ogni tipo che diventano sempre più visibili e vocali. Questo movimento non è nuovo, ma mentre le sue figure principali hanno finora operato ai margini della politica russa, facendo comodamente passare Vladimir Putin per un “moderato”, la guerra e l’escalation della retorica bellicista e dell’odio verso l’Ucraina e l’Occidente gli hanno permesso di formare una vera e propria opposizione pro-guerra al Cremlino (12). La retorica utilizzata dal governo russo per giustificare l’aggressione militare contro l’Ucraina attinge a piene mani dalla retorica imperiale e neo-eurasiatica, che fantastica su un “mondo russo” – di cui l’Ucraina farebbe parte – minacciato e umiliato dall’Occidente. Aleksandr Dugin, un ideologo spesso erroneamente presentato come il “Rasputin” di Putin, è un pensatore influente nei circoli estremisti russi. Le sue opinioni sono penetrate ulteriormente nella società russa a seguito della guerra e del fatto che molte delle sue tesi sono state riprese dal governo nei suoi discorsi ufficiali. Le dichiarazioni di Vladimir Putin, come il discorso alla nazione del 21 settembre 2022, danno credito alla negazione dell’esistenza di una civiltà ucraina, o addirittura di un popolo o di una cultura ucraini distinti dalla civiltà russa. Dugin è stato a lungo un sostenitore dell’annessione della Crimea alla Russia e dall’inizio della guerra si è dichiarato a favore dell’annessione di tutto il territorio ucraino. Commentando la guerra il 1° ottobre sul canale televisivo Tsargrad, ha dichiarato: “Questo non è un evento ordinario, (…) è l’inizio dell’ultima battaglia tra luce e tenebre che è stata definita oggi.

Tra i leader di questo partito di guerra, i blogger militari svolgono un ruolo centrale. Questi esperti militari sono a capo di comunità di diverse centinaia di migliaia di iscritti sul social network russo Telegram. Qui si lasciano andare a critiche virulente nei confronti dei vertici militari, ma in genere sono attenti a risparmiare la testa del Cremlino. Ciò è avvenuto anche in seguito al bombardamento di Makiïvka la notte di Capodanno. Mosca ha ammesso 89 morti. Kiev rivendica un bilancio più alto, con 300 morti e 400 feriti. La rabbia dei blogger militari si è subito indirizzata contro il comando militare, accusato sia di non avere sufficiente autorità sui suoi uomini per privarli dei telefoni (cosa che li avrebbe portati a essere individuati) sia di aver organizzato lo stoccaggio delle munizioni in un edificio adiacente, aggravando così la portata e il bilancio delle vittime dell’esplosione. Questi esperti hanno così contrastato il tentativo del Ministero della Difesa di scaricare la colpa sui soldati e sulla loro negligenza. Igor Girkin, noto come “Strelkov” (tiratore), è uno dei pochi oppositori di estrema destra alla guerra che si è permesso di criticare direttamente Vladimir Putin. In un lungo video postato sul suo canale Telegram a dicembre, ha affermato che “la testa del pesce [era] completamente marcia”, ripetendo il proverbio secondo cui “il pesce marcisce sempre dalla testa”. Un’ipotesi per spiegare questa libertà di toni è che sia un membro del GRU, il servizio segreto militare russo. È anche probabile che le autorità non siano riuscite a mettergli le mani addosso. Infine, Igor Girkin conserva una certa popolarità per il ruolo svolto nell’annessione della Crimea e poi nelle prime fasi della guerra nel Donbass nel 2014. In ogni caso, i suoi commenti sulla guerra in corso forniscono agli osservatori e alle autorità russe una visione senza dubbio più vicina alla realtà dei combattimenti rispetto ai rapporti compiacenti che risalgono al Cremlino.

 

La posizione di V. Putin è stata rafforzata dal rafforzamento dell’élite al potere intorno al suo leader. Tuttavia, egli deve affrontare l’ascesa al potere di attori le cui ambizioni non può più controllare completamente. Sebbene Vladimir Putin sia all’apice della struttura di potere, che opera come un groviglio di reti informali e di alleanze personali piuttosto che come il “potere verticale” millantato dal discorso ufficiale, egli non è l’unico artefice. Al contrario, Vladimir Putin deve arruolare il sostegno e l’appoggio di tutti i gruppi d’élite e le reti informali che compongono il potere russo e che dipendono dal suo potere tanto quanto lo limitano (13). Inoltre, nonostante la natura autoritaria del potere, non bisogna dimenticare che il regime deve costruire il consenso e il sostegno a un progetto che si riduce sempre più a una guerra assurda e criminale. In questo contesto, il partito della guerra e le forze conservatrici e patriottiche forniscono certamente sostegno alle politiche di Vladimir Putin, ma esercitano anche un’ulteriore pressione sulla capacità del governo di trovare una via d’uscita che possa essere vista come una vittoria e quindi evitare una crisi per il regime.

Notes

(1) Juan J. Linz, « An Authoritarian Regime : The Case of Spain », in E. Allard et Y. Littunen (dir.), Cleavages, Ideologies, and Party Systems : Contributions to Comparative Political Sociology, Helsinki, The Academic Bookstore, 1964, p. 291-341.

(2) Olga Krychtanovskaïa et Stephen White, « Putin’s militocracy », Post-Soviet Affairs, vol. 19, n° 4, octobre-décembre 2003, p. 289-306.

(3) Victor Violier, « The Militarization Theory in Post-Soviet Russia : Dispelling the Pathological Look at Political and Administrative Elites », Research in Political Sociology, vol. 24, p. 191-213, 2017.

(4) Brian D. Taylor, « The Russian Siloviki & Political Change », Daedalus, vol. 146, no 2, 2017, p. 53-63.

(5) Régis Genté, « Cercles dirigeants russes : infaillible loyauté au système Poutine ? », Russie.NEI.Reports, n° 38, IFRI, juillet 2022.

(6) Victor Violier, « Façonner l’État, former ses serviteurs : les reconfigurations de la politique des cadres de la fin de l’Union soviétique à la Russie de Vladimir Poutine », thèse de doctorat en science politique sous la direction de Béatrice Hibou et Frédéric Zalewski, Université Paris Nanterre, 2021.

(7) Olga Gille-Belova, « Les débats sur la “modernisation autoritaire” sous la présidence de Dmitri Medvedev », Revue internationale de politique comparée, vol. 20, no 3, 2013, p. 133-151.

(8) Michel Dobry, Sociologie des crises politiques, Paris, Presses de Sciences Po, 2009.

(9) « “He grasps things very quickly” Evgeny Prigozhin’s covert bid for power in an unstable Russia — and what he has learned from Alexey Navalny », Meduza, 15 novembre 2022 (https://​rb​.gy/​7​q​g​dv9).

(10) « “I don’t know what will happen with Putin’s daughters” Political scientist Vladimir Gelman explains how Russia’s political regime consolidated and the country became “badly governed” », Meduza, 6 janvier 2020 (https://​rb​.gy/​x​k​f​g9t).

(11) « Deputies in St. Petersburg suggest State Duma charge Putin with high treason », The Insider, 8 septembre 2022 (https://​rb​.gy/​w​w​x​ldj).

(12) Jules Sergei Fediunin, « Why does the Putin regime tolerate its radical conservative critics ? », Russia​.post, 15 décembre 2022.

(13) Alena Ledeneva, Can Russia Modernize ? – Sistema, Power Networks and Informal Governance, Cambridge, Cambridge University Press, 2013.

Photo ci-dessus : Le 24 juin 2022, le président russe Vladimir Poutine assiste à la parade militaire marquant le 75e anniversaire de la victoire sur le nazisme. Selon le Centre indépendant Levada, la cote de popularité du président russe était en chute de 6 points entre les mois d’août et septembre 2022, mais se situait toujours au-dessus de 75 %. En mars 2022, le pourcentage de Russes « approuvant » l’action du maitre du Kremlin était remonté à 83 %, après être longtemps resté sous la barre des 70 % pendant l’épidémie de Covid-19. (© Kremlin​.ru)

https://www.areion24.news/2023/05/08/le-pouvoir-russe-face-a-la-guerre/

 

I comandanti di Azov tornano, la 6a colonna impazzisce, di SIMPLICIUS THE THINKER

I comandanti di Azov tornano, la 6a colonna impazzisce

Passiamo subito alla notizia più importante del giorno, che metterà in fibrillazione i troll preoccupati e le seste dei giornalisti per la prossima settimana o giù di lì. Il cattivissimo Putin ha rilasciato i malvagi comandanti di Azov in Ucraina:

Ricorderete il nominativo Redis, alias Prokopenko , e il vice Kalyna, alias Palamar .

In realtà, è proprio questo il punto: né Putin né la Russia hanno nulla a che fare con l’evento propagandistico a tempo. La Turchia e Erdogan li hanno rilasciati, non Putin.

Oh, ma Putin è stato quello che li ha rilasciati inizialmente alla Turchia, come dite voi. Può essere vero, ma:

Questo era 14 mesi fa, questo è adesso.

Allora c’erano realtà diverse. Con una memoria selettiva è facile dimenticare la situazione sul campo in quel momento. Migliaia di combattenti di Azov erano trincerati in un labirinto sotterraneo profondamente complesso che aveva già fatto perdere molto tempo e manodopera alla parte russa, sia in perdite inutili che in settimane di assedio aggiuntivo.

All’epoca, le forze russe erano nel bel mezzo del sanguinoso assalto di Lisichansk-Severodonetsk e avevano disperatamente bisogno che la manodopera di Mariupol fosse reindirizzata lì come rinforzo. All’epoca sembrava un compromesso ragionevole: permettere ad alcuni comandanti di Azov di essere trattenuti a tempo indeterminato in Turchia in cambio della resa dell’intera guarnigione di Mariupol e della rapida fine dell’assedio di Mariupol Azovstal. Alla luce di ciò che oggi sappiamo sul numero estremamente basso di truppe della Russia in quella prima fase della guerra, qualsiasi comandante competente avrebbe preso la stessa saggia decisione. Una piccola manciata di uomini non vale la morte di centinaia o migliaia di soldati.

Infatti, Rozhin, alias Colonnello Cassad, ha pubblicato una presunta intervista del Comandante Serhiy Volyna con i media turchi, in cui afferma che la vera ragione della resa della guarnigione di Azovstal fu perché gli americani fecero un accordo con la Russia per ritirare i loro “ufficiali di alto rango” in cambio della resa totale:

Ma ora la Russia è stata tradita e improvvisamente la colpa è di nuovo della Russia, secondo la saggezza secolare dei sesti colonnisti.

Questa non è “apologia del Cremlino”. Vedo anche la minaccia generale e il pericolo insito in queste cose. Per esempio, il modo in cui la Russia ha agito è certo che abbassa il morale di alcune truppe che non riescono a capire il modo stranamente opaco in cui il Cremlino lavora “con il nemico” dietro le quinte. Ci sono stati molti casi che hanno portato alla rabbia, come il rilascio di mercenari occidentali come Aiden Aslin in cambio di quelli che si diceva fossero figli di funzionari di alto livello, Medvedchuk e cose del genere. Per non parlare della gestione della ribellione di Prigozhin, che continua a lasciare molti perplessi: un uomo che ha lanciato una rivolta aperta se ne va ancora in giro liberamente, e le notizie stranamente incomprensibili e contraddittorie sulla sua situazione; per esempio, l’ultima notizia secondo cui sarebbe in realtà ancora “sotto indagine federale”, nonostante i precedenti annunci ufficiali che il caso penale contro di lui era “chiuso”.

Può sembrare che io stia divagando, ma in genere l’incapacità di cogliere entrambe le parti e di esaminarle in modo critico e imparziale è appannaggio dei deboli di mente. Il fatto è che ci sono due versioni della storia e un certo merito in entrambe. La verità sta nello scoprire che cosa c’è veramente dietro un rilascio così tempestivo.

In primo luogo, abbiamo questa dichiarazione di Peskov, che ritiene che la Turchia sia stata sottoposta a forti pressioni da parte della NATO per fornire la tanto necessaria spinta morale all’Ucraina:

“Nel contesto dei preparativi per il vertice della NATO, la Turchia è stata sottoposta a forti pressioni e, in quanto membro dell’alleanza, si dimostra solidale con essa. Capiamo tutto molto bene”, ha aggiunto l’addetto stampa di Vladimir Putin, Dmitry Peskov.
In secondo luogo, c’è un’opinione che non è priva di fondamento, poiché è vero che la Russia ha aumentato la severità dei suoi attacchi ai militanti siriani nelle ultime settimane:

Il canale ucraino TG ” Resident ” scrive che la sua fonte nell’OP di Zelensky ha raccontato come sono riusciti a prendere i leader di Azov*:” Per tre settimane, le forze aerospaziali russe hanno distrutto metodicamente i proxy turchi nella siriana Idlib. Erdogan non ha potuto impedirlo con mezzi militari, il che lo ha fatto arrabbiare molto con i russi. Avendo appreso la notizia da fonti di intelligence, l’Ufficio del Presidente ha presentato una richiesta di consegna degli Azov. Le stelle convergono con successo – e i comandanti catturati dell’Azovstal tornano a casa per aumentare il rating di Zelensky prima del vertice NATO, ovviamente indiscriminato. Inoltre, sotto l’AZOV hanno lanciato una campagna di 500 giorni di resistenza eroica, sulla Bankovaya stanno lentamente trasformando il significato dalla liberazione delle terre ucraine alla difesa eroica / guerra prolungata.
Un altro esperto russo ritiene che questo segnali una nuova marcata svolta della Turchia verso l’Occidente. Non condivido questa opinione, almeno non senza ulteriori prove in merito. Dovremo aspettare e vedere come si svilupperanno le cose:

🇹🇷 Le azioni di Erdogan indicano una svolta della Turchia verso l’Occidente Consegnando i combattenti di Azov a Zelensky, Ankara si sta preparando a fare un’inversione di rotta globale verso Kiev e l’Occidente, afferma Kirill Semyonov, esperto di Medio Oriente. 📝 “Se la Turchia ha davvero preso la decisione di rifornire e, oltre a questa nomina, anche di internare i militanti delle Forze Armate dell’Ucraina, allora questo indicherà davvero una seria svolta di Ankara verso Kiev”, ha scritto Semenov nel suo canale TG.
Da parte sua, Erdogan ha dichiarato che sta giocando un gioco di equilibri contro l’opposizione nel suo Paese:

🇹🇷 Erdogan – dopo il ritorno dei comandanti di Azov dalla Turchia: Abbiamo aderito a una politica equilibrata fin dal primo giorno. La “lobby militare”, sfruttando l’opposizione nel Paese, ha cercato di gettarci nel fuoco. Non abbiamo permesso che ciò accadesse. Rafforzando le nostre relazioni con l’Ucraina, non abbiamo dato la possibilità di rovinare le nostre relazioni con la Russia. Manteniamo uno stretto dialogo con Putin.
Detto questo, non possiamo certo negare che si tratta di una grande spinta al morale delle truppe ucraine proprio in un momento critico. Basta guardare Prokopenko che annuncia eroicamente la sua intenzione di tornare al fronte, come da

copione:

In una nota a margine, qualcosa sembrava infastidire il povero Budanov durante lo spettacolo:

 

In fin dei conti, si tratta di un evento propagandistico altamente orchestrato e coordinato, volto a sostenere il morale degli ucraini e dell’Occidente in un momento critico in cui l’impegno occidentale in Ucraina rischia di crollare, cosa di cui parlerò tra poco.

Le due date più importanti sono il vertice NATO di Vilnius dell’11 luglio e l’estensione dell’accordo sul grano che scadrà il 17 luglio. Entrambi hanno un ruolo importante in quello che sta accadendo. Ma ecco qual è il vero problema: l’annuncio critico della fornitura di munizioni a grappolo all’Ucraina da parte degli Stati Uniti solleva il coperchio sulla realtà cruda che sta alla base di tutto. Biden ha svelato il gioco due volte ieri.

La prima qui:

Non è chiaro se dice che stiamo finendo o che loro stanno finendo le munizioni, ma alla fine è la stessa cosa. L’Ucraina non produce munizioni proprie, quindi dire che le stanno finendo equivale a dire “noi”.

Ma Biden ha rapidamente messo a tacere il dibattito in un’intervista rilasciata alla CNN nel corso della giornata. Ascoltate la fine dell’intervista:

Innanzitutto, dobbiamo ammirare il suo tentativo di nascondere la rivelazione finale il più a lungo possibile. La affronta con una serie di trucchi verbali e di depistaggi, sostenendo che l’Ucraina stessa è stata attaccata con munizioni a grappolo, e poi dicendo che gli ucraini sono a corto di munizioni. Ma, ricordate quanto ho appena detto, questo significa implicitamente che sono gli Stati Uniti a essere a corto di munizioni. Ma dopo aver temporeggiato il più a lungo possibile, forse sperando che la sua performance soporifera faccia addormentare la gente prima che possa sentire l’inevitabile battuta finale al di là del borbottante cliffhanger, alla fine abbandona la trama: “e… ne abbiamo poche”.

Quindi, avrebbe potuto fare a meno dell’intero preambolo ingannevole e dire semplicemente: “Siamo a corto di 155 mm normali e tutto ciò che ci resta da dare loro sono i cluster”.

Le munizioni a grappolo che stanno ricevendo sono quelle sparate dalle unità di artiglieria da 155 mm, quindi questo è il disperato tentativo degli Stati Uniti di tenerli a bada e dare loro almeno qualcosa da sparare dalle loro scorte di artiglieria in diminuzione.

🇺🇸🇺🇦 Le voci sull’invio di “munizioni a grappolo” all’Ucraina da parte degli Stati Uniti sono il risultato della diminuzione dei proiettili d’artiglieria da 155 mm, Wall Street JournalUn articolo del WSJ (https://www.wsj.com/amp/articles/south-korean-artillery-supply-allows-u-s-to-delay-decision-on-cluster-munitions-for-ukraine-4e41c04b) rivela che le recenti voci sull’invio di “munizioni a grappolo” all’Ucraina da parte degli Stati Uniti si concentrano sui proiettili d’artiglieria da 155 mm con munizioni a grappolo. Questo non per fornire all’Ucraina una sorta di nuova capacità, ma a causa della carenza critica di proiettili d’artiglieria convenzionali che l’Ucraina sta affrontando e dell’incapacità collettiva dell’Occidente di soddisfare tale richiesta. In altre parole, le munizioni a grappolo da 155 mm sono tutto ciò che è rimasto in giro. All’Ucraina sono state fornite 1 o forse 2 mesi di munizioni d’artiglieria per le intense cadenze di fuoco richieste per l’offensiva in corso, ora al giro di boa di un mese. Il tempo scorre in più modi, e la diminuzione delle scorte di munizioni d’artiglieria dell’Ucraina non è trascurabile. Anche con una svolta importante, se l’Ucraina esaurisce le munizioni d’artiglieria, non sarà in grado di sfruttarle o espanderle completamente.

Gente, questa è un’ammissione cruciale. Il capo degli Stati Uniti ammette di non essere in grado di fornire all’Ucraina i normali 155 mm, il che significa che l’intero sforzo bellico ucraino è sull’orlo del collasso. Questo è il motivo per cui la manovra turca è stata improvvisamente lanciata alla Russia per pura disperazione, per coprire uno scenario catastrofico.

E non sorprende che ciò sia confluito in un’ampia campagna di informazione da parte degli Stati della NATO su un vero e proprio vertice “NAFO” a Vilnius, destinato a coincidere con l’imminente vertice della NATO. A quello NAFO hanno partecipato sia virtualmente che di persona alcune figure chiave

europee:

se vi siete mai chiesti che aspetto avessero i famigerati “NAFO Fellas” dal vivo, è esattamente come ve lo immaginate. Molti di loro si sono rivelati per il summit:

In pratica, la feccia degenerata, mal adattata e sottosviluppata della società che tutti ci aspettavamo, che condivide i difetti fisiognomici delle loro controparti Antifa malate di mente.

Basta vedere questo video e notare il peluche di squalo gigante sul palco, che intende prendere in giro il turista russo che è stato mangiato da uno squalo in Egitto il mese scorso. Questo è il tipo di rifiuto biologico infantile e di bassa lega che i leader occidentali hanno lodato e onorato.

Se siete interessati, potete vedere lo spettacolo svilente nella sua interezza qui:

Fortunatamente, è possibile vedere il rapporto di antipatia:

Persino un attivista russofobico pro-Navalny ha messo in dubbio la barbarie di questa situazione, ricevendo solo la risposta agghiacciante della NAFO:

Quindi, cosa hanno a che fare tutte queste cose l’una con l’altra? È chiaro che l’Occidente sta costruendo un fronte di pressione per ottenere una massa critica di “vittorie” propagandate e una gestione della percezione dello sforzo bellico a tutti i costi. Zelensky ha persino fatto una crociera di piacere a Snake Island due giorni fa come parte di questa nuova disperata campagna di propaganda:

Ciò ha tutto a che fare con il fatto che la tanto attesa controffensiva ucraina è stata completamente stroncata senza che i loro organi di propaganda potessero più contrastarla. Quindi ora devono semplicemente cambiare marcia e distrarci con altre false “vittorie”.

Non c’è modo di nascondere la portata della sconfitta. Le notizie degli ultimi giorni mostrano persino che le forze ucraine sono state cacciate dai pochi piccoli villaggi e frazioni che sono riuscite a conquistare nel corso di un mese di battaglia. Come si può nascondere questo?

Il fatto è che l’offensiva dell’AFU è stata stroncata, con la perdita di migliaia di uomini e centinaia di pezzi di armatura, e ora la loro ancora di salvezza, gli Stati Uniti, ammettono di aver finito le munizioni da 155 mm da fornire loro e di dover iniziare a intercalare le spedizioni con vecchie munizioni a grappolo semplicemente per evitare l’apocalisse. La Russia, d’altro canto, si rafforza ogni giorno di più, la sua economia migliora quotidianamente (a parte la crisi del Rublo, che non è un grosso problema per un’economia in surplus commerciale), le sue forze armate diventano ogni giorno più forti e avanzate, il numero delle sue truppe viene preparato per un vantaggio schiacciante. Ora si vocifera persino che i BRICS accetteranno 5 nuovi membri nel loro vertice di agosto, e si scalda anche il dibattito inter-BRICS sulla creazione di una propria valuta sostenuta dall’oro per dare il colpo di grazia al dollaro.

In breve, le cose stanno andando in modo disastroso per l’Occidente, che è alla disperata ricerca di ogni possibile vittoria propagandistica. Questo ritorno di “Azov” è assolutamente privo di significato, e in realtà lo accolgo con favore perché dà a quei “comandanti” di Azov la possibilità di essere liquidati sul campo ora, invece di durare tranquillamente il conflitto in cattività. Presumibilmente, i prossimi soldati russi che li cattureranno non li faranno prigionieri per l’ovvio motivo.

Il punto fondamentale è che tutto l’Occidente sta segnalando “colloqui di pace” per porre fine al conflitto entro la fine dell’anno. Questo non è un segno di fiducia o di vittoria imminente. L’AFU sta guardando l’abisso proprio come i suoi padroni occidentali. Ultimamente si stanno rendendo conto di molte cose del genere:

Come armi da usare per l’Ucraina/NATO sono rimasti solo espedienti a buon mercato, false bandiere e attacchi terroristici. Oggi, ad esempio, è stato riportato che l’Ucraina ha cercato di attaccare l’impianto nucleare russo di Smolensk con un missile sconosciuto, che è stato abbattuto. Ecco la risposta di Medvedev:

❗️Medvedev ha commentato le notizie riportate dai media secondo cui le Forze Armate ucraine avrebbero tentato di attaccare la centrale nucleare di Smolensk: “Se il tentativo di attaccare la centrale nucleare di Smolensk (Desnogorsk) con missili della NATO è confermato, è necessario considerare lo scenario di un attacco russo simultaneo alla centrale nucleare dell’Ucraina meridionale, alla centrale nucleare di Rivne e alla centrale nucleare di Khmelnitsky, così come agli impianti nucleari dell’Europa orientale. Non c’è nulla di cui vergognarsi”.
Come si può notare, questo è esattamente il tipo di risposta che l’Ucraina spera di ottenere. L’unica opzione rimasta è quella di spingere la Russia, come prevedibile, a una guerra nucleare totale contro la NATO.

Pare che abbiano tentato di attaccare anche il ponte di Kerch, ma il missile o i missili sono stati abbattuti dagli S-400 russi:

Le forze armate ucraine hanno tentato oggi di colpire il ponte di Kerch. Il missile è stato intercettato dai cannonieri antiaerei della 31esima divisione di difesa aerea delle forze armate russe. L’UCRAINA HA TENTATO DI COLPIRE IL PONTE DI KERCH IN CRIMEA CON UN MISSILE STORM SHADOW DURANTE UN PESANTE TRAFFICO DI PIÙ DI 500 AUTO; IL MISSILE È STATO INTERCETTATO

Data la distanza dalla linea del fronte ucraino più vicina, non poteva che trattarsi di un missile Storm Shadow. In effetti, alcuni sostengono che, poiché si tratta di poco più di 300 km, che è la gittata massima della versione da esportazione, significa che il Regno Unito probabilmente fornisce all’Ucraina le versioni nazionali più potenti dello Storm Shadow:

Se hanno usato solo uno o due missili, allora si è trattato chiaramente di un attacco di prova volto a sondare le difese aeree russe in preparazione di qualcosa di più grande.

Ma per tornare al punto, questo dimostra che l’Ucraina sta spendendo le sue risorse guidate più preziose per le infrastrutture civili. La centrale nucleare di Smolensk, Kerch, i bombardamenti infiniti su Donetsk e altre città. Questi non sono gli sforzi seri di un Paese intenzionato a vincere la guerra. Sempre più queste azioni nel loro complesso ci dimostrano la pura disperazione dell’Occidente.

Pensavo che la guerra potesse durare diversi anni, ma visti gli ultimi sviluppi, i segnali disperati da parte dell’Occidente riguardo alle forniture di munizioni, ecc. mi sembra sempre più possibile che, senza un grande evento “cigno nero” che l’Ucraina desidera tanto (come l’inizio della terza guerra mondiale), potrebbe potenzialmente trovarsi di fronte al collasso già alla fine di quest’anno, se non nel corso del prossimo inverno.

Questa non è un’opinione. I numeri lo dimostrano. Per esempio:

“La nostra fonte nello Stato Maggiore riferisce che Zaluzhny ha informato Zelensky sulle perdite delle Forze Armate ucraine. Sul fronte meridionale stiamo perdendo 5-7 unità di equipaggiamento pesante al giorno, mentre sul fronte orientale le perdite arrivano fino a 4 unità. Con questa intensità di combattimento, l’esercito ucraino sarà in grado di condurre operazioni offensive fino alla fine dell’estate, dopodiché saremo costretti a passare a una posizione difensiva lungo l’intera linea del fronte. Zaluzhny chiede ancora una volta di fermare la controffensiva e di abbandonare i futili tentativi di Sirsky sui fianchi di Bahmut”.
Quindi, a quanto pare, Zaluzhny riferisce che stanno perdendo più di 10 pezzi di blindati pesanti al giorno; questo senza contare gli APC e i veicoli per la mobilità da combattimento come i MRAP, che probabilmente ne perdono ancora di più.

Ricordiamo che all’inizio dell’offensiva si diceva che l’Ucraina avesse forse 500-800 carri armati in totale e che, secondo alcune stime, ne ha persi 100-200 finora. Se immaginiamo che di queste 10 perdite giornaliere circa 3-4 siano MBT e il resto siano cose come l’artiglieria, questo ci dà circa 90-120 carri armati persi al mese. Altri tre mesi di questo tipo ci porterebbero a circa 270-360 carri armati persi entro i primi di ottobre. Ricordiamo che hanno iniziato con 500-800 (quest’ultimo numero è una stima molto generosa), meno 100-200 dai guasti di giugno li pone già tra i 300-600 circa. Ciò significa che altri 270-360 li porterebbero potenzialmente a 0 e la guerra sarebbe di fatto finita.

Ecco la parte interessante. L’Occidente sembra rifornirli esattamente nella misura in cui hanno bisogno di rifornirsi. Per esempio, la Germania ha annunciato che sta accelerando la consegna d’emergenza dei Leopard 1A5 “entro la fine di luglio”, per un totale di 180 carri armati. Credo che non sarà tutto in una volta, ma le prime decine arriveranno con una spedizione espressa questo mese. Si noti che ho appena menzionato che hanno perso circa 100-200 carri armati in totale durante l’offensiva di giugno. Questa spedizione d’emergenza di 1A5 sembra coprire questo dato e sembra confermare le perdite totali.

Ciò è ulteriormente supportato dalla nuova tranche di armi annunciata dagli Stati Uniti giorni fa. Tra le altre cose, invieranno un nuovo carico di 32 Bradley, ~32 Stryker e ~30+ M777. Si tenga presente che oltre 30 Bradley sono esattamente il numero di quelli che l’Ucraina ha perso a giugno, praticamente un terzo dell’intera dotazione. Ciò significa che queste spedizioni hanno lo scopo di rifornire le brigate meccanizzate con le quantità precedenti, per mantenerle a pieno regime.

Ecco l’elenco completo:

– 32 BMP M2A2 Bradley;
– 32 veicoli corazzati per il personale Stryker;
– missili aggiuntivi per il sistema di difesa aerea Patriot e l’HIMARS MLRS;
– MANPADS Stinger, ATGM Javelin e TOW;
– missili antiaerei (aria-aria) AIM-7 per il sistema di difesa aerea NASAMS;
– 31 obici da 155 mm;
– proiettili da 105 e 155 mm, compresi i DPICM a grappolo;
– attrezzature per lo sminamento, parti di ricambio, armi leggere e 28 milioni di munizioni per queste ultime;
– UAV Penguin;
– 27 veicoli tattici di ingegneria;
– 10 veicoli tattici per il traino e il trasporto di attrezzature.
Ma il problema è questo:

I Leopard non arriveranno tutti nello stesso momento.

Si tratta degli 1A5, le varianti più vecchie dei Leopard, con minuscoli cannoni da 105 mm che non hanno alcuna possibilità di contrastare i blindati russi.

Dopo di loro, nel mondo è rimasto ben poco di corazzato utilizzabile da inviare all’Ucraina. Certo, gli Stati Uniti possono inviare i loro vecchi M60 Patton, come si è detto a un certo punto. Ma anche in questo caso si tratta di carri armati da 105 mm degli anni ’50 che non avranno quasi nessuna utilità in combattimento.

Il punto è questo: sembra che il vero motivo per cui tutte queste scadenze critiche “temporali” sembrano convergere con la fine di quest’anno è perché l’Occidente sa che è il momento in cui l’Ucraina sarà completamente priva di armi pesanti e sarà costretta ad arrendersi o ad affrontare l’annientamento totale.

Avete visto il rapporto qui sopra, con Zaluzhny che afferma che l’Ucraina sarà costretta ad assumere una posizione difensiva nel giro di pochi mesi, poiché sarà priva di armature pesanti. La Russia lo sa, ed è per questo che sta aspettando il momento giusto, costruendo lentamente le proprie forze fino al momento in cui la diga si romperà in modo catastrofico. Una volta pensavo che il conflitto sarebbe andato avanti per anni, come ho detto, ma ora è molto difficile immaginare che vada oltre il prossimo anno. Un uomo saggio cambia i suoi calcoli in base a nuovi dati. I nuovi dati per me sono l’enorme quantità di perdite che l’Ucraina ha ora confermato di subire e che sono semplicemente insostenibili fino al prossimo anno, anche se l’Ucraina dovesse assumere una posizione difensiva. La postura difensiva ha poca importanza per l’artiglieria, ad esempio, e la Russia la sta distruggendo in quella categoria quasi più dei carri armati. Un database mostra che 110-120 dei circa 150 M777 consegnati sono ora visivamente confermati come distrutti. Una nuova spedizione di emergenza di M109L italiani è stata inviata rapidamente per evitare la catastrofe, ma il logoramento sta avvenendo troppo rapidamente ora che i Lancet e i droni FPV russi sono in produzione così elevata.

Nel frattempo, ecco il resoconto ufficiale filo-ucraino delle perdite russe di giugno:

Facciamo finta che i loro numeri siano reali e non gonfiati come al solito (ricordiamo che lo stesso Putin ha indicato le perdite dei carri armati russi come ~55 a poche settimane dalla controffensiva, anche se ha detto che una parte di queste sono perdite riparabili). La verità è che questi sono numeri ragionevoli. E che l’Ucraina stessa lo ammetta è un brutto segno, perché le sue perdite sono state sensibilmente più alte di queste. Ad esempio, 62 carri armati persi nel mese corrispondono in media a 2 carri armati al giorno. Questo darebbe 730 carri armati in un periodo di un anno (e si tenga presente che giugno è stato un periodo particolarmente intenso di perdite). Dato che la Russia produce circa 1200-1500 carri armati all’anno, queste perdite sono facilmente sostenibili all’infinito. Si può estrapolare questo dato anche alle altre categorie.

Ciò significa che la Russia può sostenere le sue perdite per gli anni a venire, mentre l’Ucraina non può nemmeno sostenerle oltre la fine di quest’anno agli attuali tassi di logoramento. Ricordate la mia previsione: L’Ucraina sarà costretta a ripiegare su se stessa, che è ciò che Zaluzhny sta descrivendo. Probabilmente lo faranno molto prima del previsto, in modo da poter allungare un po’ le perdite abbassando il conteggio delle perdite giornaliere. Già ora si dice che rinuncino all’uso di armature pesanti e che facciano assalti di carne solo con la fanteria leggera.

Un rapporto sulle loro nuove tattiche è stato recentemente diffuso da quello che si dice essere il forum dell’Accademia dei Veterani di West Point, da qualcuno che ha contatti sul fronte:

Spirit of the Desert: … Poiché gli ucraini mostrano una notevole insensibilità alle perdite umane, vedo il cambiamento odierno nelle tattiche del comando ucraino come un approccio giustificato per trovare la “chiave” della difesa russa. Gli attacchi classici, secondo le nostre regole di combattimento, prevedono la soppressione e la distruzione preliminare delle posizioni difensive nemiche da parte dell’artiglieria e degli aerei, nonché la distruzione simultanea dei suoi organi di controllo del combattimento fino alla profondità della zona di difesa e l’impedimento dell’avvicinamento delle sue riserve. Poiché gli ucraini non dispongono praticamente di aviazione e sono significativamente inferiori ai russi in termini di artiglieria, gli attacchi classici non portano a nient’altro che a una massiccia perdita di costosi equipaggiamenti militari durante l’avvicinamento alle posizioni russe, alla disorganizzazione e alla demoralizzazione degli attaccanti, seguita da una ritirata. Quasi tre settimane di attacchi di questo tipo non sono riusciti a sfondare la zona di supporto russa, inoltre, fino a un quarto dei nostri Bradley sono già andati perduti, come mi ha detto il G-3 dell’USAREUR-AF a Stoccarda, e ora sono costretti a inviare urgentemente due compagnie di Bradley e molte altre attrezzature per il rifornimento e il ripristino della prontezza di combattimento di due brigate della forza d’urto ucraina. In queste condizioni, i nostri ragazzi, insieme ai comandanti ucraini, hanno sviluppato la tattica dell’avanzata “a zanzara” – attacchi continui alle posizioni russe da parte di piccoli gruppi tattici di fanteria ucraina. I russi, che sono molto più sensibili alle perdite di uomini, cercano di evitare gli scontri ravvicinati (“di contatto”) e, quando gli ucraini vanno nelle loro trincee, si ritirano, lasciando all’artiglieria il compito di distruggere il nemico. Questa tattica di solito ha successo: gli ucraini muoiono o si ritirano, ma ha un effetto positivo. Diversi attacchi di questo tipo distruggono quasi completamente la posizione russa, il più delle volte con il loro stesso fuoco, dopodiché i russi sono costretti a ritirarsi su una nuova linea, dove questa tattica viene ripetuta. È così che i russi sono stati respinti a tre miglia dalla posizione strategica di Makarovka in due settimane. Questa tattica viene costantemente migliorata. La nostra gente crede che, con il ritmo continuo di questi progressi, in due settimane gli ucraini saranno in grado di superare la zona di supporto russa e di iniziare a prendere d’assalto la loro linea di difesa principale, mantenendo il potenziale offensivo delle loro brigate più forti. Forse è questo che intendeva il nostro Milli quando ieri ha parlato di dieci settimane di offensiva ucraina. Questa tattica ha un altro effetto importante. Per respingere questi attacchi “a zanzara”, i russi sono costretti a spendere più proiettili di artiglieria, che riforniscono più lentamente di quanto spendono. E in due settimane di battaglie di questo tipo, potrebbero arrivare all’esaurimento delle loro riserve.

Permettetemi di tradurre il guazzabuglio, dato che ho il vantaggio di avere una visione di altri rapporti dalle linee russe che fanno eco a quanto sopra. In breve, l’Ucraina sta sperimentando una nuova tattica che consiste nell’abbandonare l’armatura pesante e nell’assaltare semplicemente le trincee russe con rapidi avanzamenti di MRAP. I russi, presumibilmente molto più avversi alle perdite, si ritirano se sono anche solo in pericolo di essere sopraffatti. Un’avanzata così rapida li porta a ritirarsi dalla prima linea di trincee verso una seconda posizione. Le truppe AFU occupano quindi questa prima posizione e attendono che i massicci bombardamenti dell’artiglieria russa le colpiscano, distruggendo la posizione. L’AFU superstite si allontana, lasciando questa linea di trincea completamente distrutta e irrecuperabile per la Russia. È una tattica abbastanza disperata e cervellotica, ma sostengono che li ha aiutati a catturare un paio di villaggi insignificanti. E anche questo non è garantito che funzioni, dato che le forze russe stanno ora minando le loro trincee quando si ritirano, spazzando via intere squadre AFU sfortunate:

Secondo gli americani, gli “assalti di carne”, quando 15-20 soldati dell’APU vengono inviati ondata dopo ondata alle nostre fortificazioni, si giustificano da soli. Dopo 4-5 ondate di questo tipo, le nostre truppe di solito si ritirano, l’APU viene rinforzata e l’artiglieria risolve le posizioni abbandonate. Poi tornano da noi, e gli assalti di carne si ripetono fino a quando l’area diventa un pasticcio maleodorante, non adatto alla difesa. Così, l’APU è riuscita a catturare 5 villaggi sulla sporgenza di Vremyevsky, a occupare due piantagioni forestali vicino a Rabochino e a creare una zona grigia a Pyatikhatok.
Ora, Erdogan vuole una proroga dell’accordo sul grano: cosa succederà sarà interessante da vedere e ci darà modo di capire quali sono le vere trattative sottobanco e se Erdogan sta davvero facendo il doppio gioco con la Russia o se sta semplicemente rendendo un servizio a parole e facendo una vistosa concessione alla NATO.

Naturalmente, ora circolano altre voci più stravaganti: ad esempio che la Turchia è pronta a consegnare gli S-400 agli Stati Uniti e che è pronta a scortare unilateralmente i convogli di grano anche se la Russia non rinnova l’accordo, il che implica che la Turchia andrebbe militarmente contro la Russia. Ma queste voci sono state diffuse da Visegrad e da altre fonti di disinformazione occidentali e sono probabilmente prive di fondamento, pensate per amplificare l’attuale spazio informativo per dare il maggior vento possibile alle vele dell’Ucraina alla luce del loro mese disastroso.

Nel frattempo, la Russia continua a stringere l’Ucraina come un serpente costrittore. Sono stati fatti altri progressi e catture a Kremennaya, compresi molti prigionieri di guerra e posizioni catturate con infiniti cadaveri dell’AFU.

E persino a Klescheevka, dove l’AFU ha attualmente spostato i propri sforzi, la Russia li ha cacciati:

La quarta brigata della LPR riferisce la seguente situazione in quella regione generale:

Nella zona di responsabilità della 4ª brigata ci sono più di 11 mila persone nemiche e una grande quantità di equipaggiamento. Il numero del raggruppamento generale in questa direzione è di oltre 67 mila persone. Il nemico utilizza armi di alta precisione nelle aree posteriori, conduce combattimenti di controbatteria con l’aiuto di un UAV di tipo alare per identificare le armi da fuoco, la congestione del personale e infligge danni da fuoco con gli Hymar, non esita a sparare contro i soldati nelle trincee. Utilizza attivamente anche gli aerei, i carri armati che sparano principalmente da PDO. Il personale si sposta dalla squadra alla compagnia. Ma il terreno della steppa non permette di farlo inosservato. Di conseguenza, i soldati avanzano molto lentamente, con gravi perdite. Buttano in battaglia tutti, dagli specialisti di alto livello ai mobilitati non addestrati. Tutti vengono uccisi dall’artiglieria e dai carri armati per i quali ci sono abbastanza proiettili.Tenere traccia della situazione operativa e delle unità sulla mappa.

Riferiscono di 11k AFU nel loro piccolo quadrante vicino a Bakhmut, con 67k AFU in totale. Se ricordate, nell’ultimo rapporto ho anche riportato il conteggio di un portavoce dell’esercito ucraino per la parte russa: 180k in totale nell’intero fronte orientale (da Kremennaya a Bakhmut e nella regione di Donetsk), con “50.000 concentrati intorno a Bakhmut”.

Quindi, chiaramente, questi numeri indicano ciò che avevo già riportato: una discreta superiorità numerica ucraina ora che hanno deviato da Zaporozhye a Bakhmut, vedendo l’inutilità di tentare di avanzare sul fronte meridionale. Tuttavia, le truppe russe, sulle quali Prigozhin aveva precedentemente sputato dicendo che erano “vigliacchi disgraziati”, stanno di fatto resistendo a questa considerevole superiorità di forze.

Infine, a proposito di Prigozhin, vi segnalo alcuni aggiornamenti interessanti. Sono stati diffusi alcuni video erroneamente attribuiti a Wagner in Bielorussia, così come la famosa foto satellitare dei campi costruiti vicino al confine ucraino. Ma è interessante notare che, in una nuova intervista, Lukashenko ha affermato che, finora, Wagner non ha utilizzato la base che aveva offerto loro e sostiene inoltre che Prigozhin e i suoi combattenti sono ancora in Russia e che la “questione del loro trasferimento” non è stata nemmeno risolta:

Nessuno della PMC di Wagner ha ancora visitato un campo militare in disuso che il presidente bielorusso Lukashenko ha offerto per l’uso di Wagner, ha detto un consigliere del ministro della Difesa bielorusso ai giornalisti venerdì. Secondo i termini di un accordo mediato da Lukashenko, Yevgeny Prigozhin avrebbe dovuto trasferirsi in Bielorussia insieme ai suoi combattenti che non volevano firmare con il ministero della Difesa russo. Alla domanda se Wagner fosse venuto a vedere il sito, il consigliere, Leonid Kasinsky, ha detto: “Lukashenko ha detto giovedì che Prigozhin si trovava in Russia con migliaia di combattenti e che la questione del loro trasferimento non era ancora stata risolta. Ha detto che i combattenti di Wagner si trovavano ancora nei campi permanenti in cui erano stati dislocati da quando avevano lasciato il fronte e che si aspettava di discutere la questione in una telefonata con il presidente russo Vladimir Putin.Lukashenko ha detto che la Bielorussia ha offerto a Wagner i quartieri militari di epoca sovietica in disuso vicino a Tsel, ma ha aggiunto che “Wagner ha una visione diversa per il dispiegamento”, sulla quale ha rifiutato di approfondire.
Se è vero, questo aggiunge un intrigo interessante, in particolare data la sua affermazione che i combattenti sono tornati nei loro campi precedenti – il che presumibilmente significa nel Donbass. Ad essere onesti, nulla di tutto questo episodio ha ancora senso. Aggiungiamo il fatto che un nuovo rapporto sostiene che l’indagine penale su Prigozhin in Russia è ancora attiva, controbilanciando le precedenti notizie secondo cui il caso penale era stato chiuso.

Questa mappa sostiene di aver tracciato i voli del jet personale di Prigozhin dal 25 giugno al 6 luglio 2023:

(video disponibile sul link originale)
Un uomo molto impegnato, no? A questo proposito, un altro sondaggio che deluderà i giornalisti di 6a colonna che speravano in una divisione:

Secondo i sondaggi regolari di FOMA e VTSIOM, la ribellione di Yevgeny Prigozhin e dei PMC Wagner, pur essendo stata notata dai russi, ha avuto scarso effetto sul loro atteggiamento nei confronti del potere. Gli esperti ritengono che, per la maggior parte, i russi non abbiano visto alcuna minaccia per se stessi negli eventi in corso e li abbiano percepiti come una serie ricca di azione che non influisce sulla loro vita quotidiana.
È stata pubblicata una nuova intervista con il principale comandante del teatro Bakhmut di Prigozhin, nome di battaglia Lotus, che forse ricorderete. Utilizzate un traduttore automatico per leggerla. Contiene alcuni dettagli interessanti, anche se il comandante rimane riservato su ciò che accadrà in futuro a Wagner, limitandosi ad alludere a “molto lavoro” ancora da fare e alla continuazione dell’esecuzione dei compiti.

L’unica cosa che resta da dire è che dovremo aspettare e osservare i prossimi eventi, il più importante dei quali è il vertice NATO dell’11 luglio e la scadenza dell’accordo sul grano del 17 luglio. Poi, c’è anche il vertice dei BRICS in agosto.

Per il momento, i segnali che arrivano dall’amministrazione Biden e da altri “partner” europei sono che al vertice NATO non verrà annunciato nulla di miracoloso o di sconvolgente, ma piuttosto l’Ucraina otterrà semplicemente le sue ambite “garanzie di sicurezza in stile israeliano”. Che non saranno altro che promesse scritte di continuare a fornire supporto militare più o meno agli stessi livelli attuali, in termini di spese e di quantità di armi.

Si tratterà di un tentativo di “ingraziarsi” il sostegno attraverso un documento firmato, in modo che i membri della NATO in crisi che erano pronti a ritirarsi entro la fine di quest’anno siano obbligati a continuare a sostenerlo per gli anni a venire. Ma questo non è così significativo come sembra, perché la capacità dell’Occidente di stampare infiniti soldi del Monopoli non equivale alla produzione di beni grezzi. Non si può comprare ciò che non esiste, anche se si dispone di fiat infinito. Possono garantire un sostegno monetario illimitato ma, come discusso in precedenza in questo articolo, stanno esaurendo armi, munizioni, materiali, ecc.

Ma alla fine, sembra che gli F-16 non saranno annunciati, né un ingresso o anche solo un percorso nella NATO, il che significa che l’Ucraina otterrà un minimo di ciò che sperava. Naturalmente, questo era ovvio, dato che si risparmieranno questi “grossi calibri” – come avevo previsto qualche tempo fa – come ultima carta vincente per convincere Zelensky a firmare un cessate il fuoco. In altre parole, nel corso di quest’anno, se e quando saranno finalmente pronti a fare tap-out, potranno far penzolare il “percorso NATO” o addirittura gli F-16 come carota per fargli firmare un armistizio in stile Accordo di Khasavyurt per il momento, con la promessa segreta che gli sarà permesso di ricominciare il conflitto molto più tardi, una volta che gli Stati Uniti avranno finito con le loro fastidiose elezioni.

Alcuni in Occidente mostrano però grande preoccupazione per questa prospettiva:

E Politico ha delineato un’altra sua “idea”:

Nell’articolo sopra citato, si sostiene che un’idea potrebbe essere quella di promettere all’Ucraina l’adesione alla NATO al termine esatto del conflitto. Ma vedono un piccolo problema in questa opzione:

Alcuni partner propongono ora di offrire all’Ucraina la prospettiva di diventare membro non appena la guerra sarà conclusa. Tuttavia, anche se questo può sembrare promettente, c’è una grossa fregatura: Se Mosca sa che la conseguenza immediata di un cessate il fuoco o di un accordo di pace sarebbe l’ammissione dell’Ucraina alla NATO, accetterà la fine formale delle ostilità solo quando i maiali voleranno. In questo modo, la NATO concederebbe indirettamente a Mosca una sorta di veto sull’adesione dell’Ucraina – un’opzione tutt’altro che positiva.
I due autori immaginano l’invio di truppe in Ucraina da parte di Polonia e Lituania:

 

Nel frattempo, pochi giorni fa, l’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen ha scritto che alcuni partner orientali della NATO, come la Polonia o gli Stati baltici, potrebbero essere pronti a inviare truppe in Ucraina per prestare assistenza. L’invio di truppe sul terreno sarebbe una soluzione piuttosto audace, ed è discutibile che sia un’opzione praticabile. A parte il fatto che finora nessun partner della NATO ha dichiarato pubblicamente la propria disponibilità a inviare truppe in Ucraina, si tratta di un’iniziativa che potrebbe spaccare l’alleanza con conseguenze potenzialmente gravi. Supponiamo che le truppe polacche stiano combattendo contro la Russia in Ucraina e che la Russia risponda attaccando obiettivi militari in Polonia – i partner della NATO NON sarebbero allora obbligati a offrire assistenza militare se Varsavia dovesse invocare l’articolo 5 del Trattato NATO, anche se è diventata volontariamente un belligerante? Questo potrebbe, nel peggiore dei casi, scatenare una guerra NATO-Russia?
In definitiva, essi concludono che l’opzione migliore sarebbe quella di dare all’Ucraina tutti i privilegi della NATO senza il cachet ufficiale dell’adesione alla NATO. Questo includerebbe la piena partecipazione a tutte le attività della NATO, all’addestramento, alle riunioni, ai consigli e a trarne tutti i benefici. In breve, si può riassumere in “adesione alla NATO senza l’articolo 5”.

Il nuovo articolo del Guardian si spinge ancora più in là:

Tisdall sostiene che l’Ucraina può essere fatta entrare nella NATO e che la NATO potrebbe intervenire per coprire il territorio che l’Ucraina controlla attualmente; in pratica, sostiene la necessità di una terza guerra mondiale.

Ma ci sono dei precedenti. La Germania Ovest ha ottenuto la protezione della NATO nel 1955 anche se, come l’Ucraina, era in disputa su un territorio sovrano occupato – detenuto dalla Germania Est, un fantoccio sovietico. In modo simile, l’ombrello difensivo della Nato potrebbe ragionevolmente essere esteso per coprire l’85% circa del territorio ucraino attualmente controllato da Kiev.
L’articolo riporta anche la recente dichiarazione di Rasmussen sulla possibilità che la Polonia decida di entrare in Ucraina, se il vertice di Vilnius non dovesse dare frutti:

“Penso che i polacchi prenderebbero seriamente in considerazione la possibilità di entrare in Ucraina e di formare una coalizione di volenterosi se l’Ucraina non dovesse ottenere nulla a Vilnius”, ha detto Rasmussen. “I polacchi ritengono che per troppo tempo l’Europa occidentale non abbia ascoltato i loro avvertimenti contro la vera mentalità russa”.
Conclude affermando con rabbia che la NATO dovrebbe “scatenare la sua considerevole potenza” per fermare Putin.

Vediamo come si evolve la situazione.

Ora, un ultimo paio di articoli vari.

Un’interessante notizia secondo cui l’Ucraina avrebbe effettuato alcune prove a secco sul bacino di Kakhovka per testare la sua tenuta:

💥💥💥💥Le nostre fonti hanno riferito che le Forze Armate ucraine stavano conducendo manovre sul bacino prosciugato di Kakhovka, vicino a Nikopol, e che erano coinvolti equipaggiamenti militari leggeri e pesanti. Finora è emerso che i pickup e i camion leggeri possono passare sul fondo prosciugato, mentre i BMP vengono sepolti dal limo e non possono muoversi da soli. Ora i khoholes sostengono che il momento migliore per un’operazione di sbarco sarebbe la metà di agosto, quando il caldo raggiungerà il suo picco nel sud e asciugherà il più possibile il bacino di Kakhava.
Un altro video di come si presenta una parte di esso:

(video disponibile sul link originale)
A seguire:

È emerso un altro video interessante che mostra una versione di dimensioni Fab-250 della nuova bomba di pianificazione russa UMPC. Si è scavata in una trincea ucraina e stanno scavando la terra per farla esplodere a distanza con l’esplosivo:

(video disponibile sul link originale)
Si può vedere il modulo alato in cima.

Dato che questi moduli “JDAM ortodossi” sono stati montati su vecchi Fab Iron, il loro tasso di guasti è un po’ più alto del solito. Tuttavia, l’accuratezza del modulo stesso è chiaramente evidente, dato che è arrivato dritto nella trincea AFU a cui presumibilmente mirava. La vecchia bomba di ferro in sé non si è semplicemente fusa.

Inoltre, qualcuno ha realizzato questa acquisizione del video precedente che ho postato, mostrando il modulo in volo, in fase di svolgimento:

Il prossimo:

RFK Jr. dice che suo figlio ha combattuto in Ucraina, e quindi ha la certezza che il tasso di vittime è di 7 a 1 a favore della Russia:

(video disponibile sul link originale)
Spiega anche molto correttamente l’inizio della SMO russa, che in realtà coincide con la mia storicità degli obiettivi iniziali della SMO.

Piccolo aggiornamento sulla regione di Kherson:

🇷🇺⚔️🇺🇦 Il governatore ad interim della regione di Kherson, Vladimir Saldo, ha informato la TASS che le forze russe sul fronte di Kherson stanno eliminando una media di 50 soldati delle forze armate ucraine al giorno, che vengono inviati su barche per attraversare il fiume Dnepr.Il 3 luglio, (https://t.me/tass_agency/199306) Saldo ha dichiarato che le forze russe stanno controllando la situazione vicino al ponte Antonovsky nella regione di Kherson. Stanno rafforzando le loro posizioni e ostacolando i tentativi dell’esercito ucraino di attraversare il Dnepr in piccoli gruppi su singole imbarcazioni.
Se anche solo una parte dei numeri del governatore sono veri, si tratta di perdite massicce per gli ucraini, dato che questo è di gran lunga il fronte più tranquillo dell’intera SMO. Immaginate le loro perdite totali giornaliere da tutti i fronti messi insieme se davvero stanno perdendo così tanto qui.

Avanti il prossimo:

SkyNews annuncia il grande “game changer” che vincerà la guerra: Auto britanniche che ingannano i cecchini russi perché il volante è dall’altra parte. Doh!

(video disponibile sul link originale)
Il prossimo:

Un prigioniero di guerra russo ora liberato descrive come l’AFU usi i prigionieri di guerra come unità di sminamento. Mandano i prigionieri avanti nel campo minato per farli esplodere in modo che i soldati ucraini che camminano dietro di loro siano al sicuro:

(video disponibile sul link originale)
Il prossimo:

Un rapporto sostiene che i Gurkhas nepalesi vengono addestrati da Wagner per combattere nel Donbass:

(video disponibile sul link originale)
Infine, vi lascio con questo talk show russo in cui un esperto militare dal fronte descrive il morale sempre più alto delle truppe russe, con alcuni aggiornamenti in prima linea:

POLL

The return of Azov commanders:

Is a major victory for Ukraine
Proves Putin is weak
Desperate psychological games
Who cares, Ukraine is collapsing
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NECESSITA’ DI UN CONSERVATORISMO SOCIALISTA PER OPPORSI AL LIBERALISMO COSMOPOLITA. Di Luigi Copertino

Quel Marx che non ti aspetti

Karl Marx (1818-1883).

La postmodernità è l’epoca nella quale il superamento delle barriere filosofiche e politiche, già annunciato nel XX secolo, potrebbe avere sviluppi inaspettati attraverso la rimodulazione delle assialità portanti del discorso politico. Tutto ci dice che le nuove assialità non avranno più a che fare con le vecchie categorie destra-sinistra – a dire il vero anch’esse, nelle vicende della modernità, dimostratesi molto più dinamiche che immobili o paradigmatiche – ma con nuove categorie quali quelle liberal/comunitari, identitari/globalisti, organicisti/individualisti. In un tale contesto sta emergendo a sinistra uno sforzo inteso al recupero del pensiero conservatore in funzione anti-liberale ovvero un cambiamento culturale per recuperare l’organicismo comunitario, nelle sue varie formulazioni e riformulazioni da quella reazionario-tradizionalista ottocentesca a quella rivoluzionario-conservatrice novecentesca, contro l’individualismo contrattualista sul quale è fondata la modernità. A dire il vero questo recupero appare, guardandolo da destra, piuttosto come una ammissione a sinistra delle ragioni degli anti-moderni. Il pensiero antimoderno, infatti, mentre ne valorizza gli aspetti organicisti, del socialismo, in particolare nella sua variante marxista, critica le basi individualiste – la collettività come somma sinallagmatica degli individui solipsisticamente considerati – che lo accomunano al liberalismo/liberismo.

Del resto, che una “tentazione” antimoderna fosse presente nello stesso marxismo apparve chiaro sin da subito. Perché se è vero che Marx, nel Manifesto del 1848, fa l’elogio progressista della funzione rivoluzionaria della borghesia – la quale, con il suo freddo calcolo economistico, disincanta il mondo, raffredda gli slanci mistici, dissolve i variopinti legami comunitari che nell’età premoderna legavano l’uomo all’uomo, nega l’aulica ispirazione di poeti ed artisti – è altrettanto vero che tra le righe del suo pensiero trapelano, talvolta, elementi profondamente antimoderni, che si sarebbero fatti strada nella cultura di sinistra sino a caratterizzare opere importanti quale “La Grande Trasformazione” di Karl Polanyi. Un esempio dell’antimodernismo di Marx possiamo trovarlo nel primo capitolo di “Miseria della Filosofia” laddove il pensatore di Treviri, critico delle trasformazioni antropologiche intervenute nel passaggio dal premoderno al moderno, scrive: «Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. É il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale o fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore».

Da Karl Marx a Edmund Burke – Contro la sinistra neoliberale

Questa vena di antimodernismo presente in Marx è molto interessante perché da destra si dovrebbe insistere molto su questo filone antimoderno interno alla sinistra. Nuove inedite sintesi potrebbero ricavarsene. In tal senso il saggio di Sarah Wagenknecht “Contro la sinistra neoliberale” (Fazi Editore, Roma, 2022), nel quale da sinistra è recuperato il pensiero conservatore anticapitalista, è un buon inizio. Sarah Wagenknecht è stata leader della sinistra radicale tedesca. Nel saggio in questione, l’autrice elabora

Edmund Burke (1727-1797)

una forte critica alla deriva neoliberale e neoliberista della sinistra occidentale ma fonda tale critica non tanto sul pensiero di sinistra quanto invece sul recupero del pensiero organicista, conservatore e tradizionalista della destra. La Wagenknecht si è in sostanza accorta che il pensiero di destra – checché ne dicano e ne pensino taluni poco informati – è molto più radicalmente antiliberista di quello della sinistra culturalmente figlia del razionalismo dal quale è nato il capitalismo. Emerge dunque che tra “conservatorismo” o “tradizionalismo” e “socialismo” di tipo non liberale, quindi non marxista (Marx, in quanto antipolitico ed antistatalista, era un grande liberale), sussistono forti e reciproche connessioni tali da farli potenzialmente convergere, nella comune avversione al liberalismo e all’individualismo, in una inedita proposta politica e culturale. La domanda, pertanto, è se, al di là dei labili e fragili concetti di “destra” e “sinistra”, non possa enuclearsi un “socialismo conservatore” ovvero un “conservatorismo socialista” definiti dalla comune lettura comunitaria della vita, richiamando sulla scena storica le radici tradizionali quali presupposti per la realizzazione dell’equità sociale nella redistribuzione della ricchezza prodotta dalla comunità nazionale.

«Il riconoscimento – scrive la Wagenknecht, tra pg. 285 e pg. 286, evidenziando ciò che chiama “saggezza delle tradizioni” – del ruolo importante svolto dalle tradizioni e dalla cultura per il pensiero e il comportamento umani e l’apprezzamento del loro valore per la coesione sociale sono parte dell’eredità intellettuale del conservatorismo. Il padre spirituale di questa corrente, il filosofo anglo-irlandese Edmund Burke, non faceva che rimarcare la saggezza insita negli usi e costumi, senza i quali le società non sopravviverebbero. La parola greca ethos, che descrive il canone di valori di un uomo o di un’intera società, significa letteralmente “abitudine”, “costume” o “usanza”. Anche nelle società moderne molti portano in sé questo ethos che deriva dalle esperienze di comunità di molti secoli. A esso si lega la distinzione in base all’appartenenza e il fatto che ci si senta tenuti ad aiutare i membri di una comunità, di qualunque tipo essa sia, più che coloro che non ne sono membri. Sempre da qui nascono anche le norme di comportamento che danno valore alla reciprocità delle relazioni sociali. Chi pensa in base a queste regole concepisce la solidarietà come l’armonia tra i diritti e i doveri. Equità significa che ciascuno riceve ciò che è giusto in considerazione dei propri sforzi e delle proprie prestazioni. Diritti senza doveri contraddicono questa visione. La narrazione diffusa a metà del XX secolo della “società delle prestazioni” e di uno Stato sociale orientato al mantenimento dello status quo più che all’assistenza minima sono ancora oggi molto popolari perché si richiamano a una simile concezione della giustizia. (…).

Patria socialista 

Ora, se la coesione sociale ha bisogno di radicamenti tradizionali, la Patria non è più il luogo del nazionalismo colonialista e non è più un concetto borghese ma si rivela realtà comunitaria intrisa di socialità, unico solido fondamento per un socialismo che non sia astrattamente cosmopolita. Che soltanto in un quadro patriottico fosse possibile realizzare un socialismo organico era già stato affermato a suo tempo dal socialismo risorgimentale nella scia democratica del mazzinianesimo. Nel XX secolo ritroviamo questo socialismo patriottico in diverse esperienze politiche come quelle dei Paesi in via di industrializzazione, ad esempio l’Argentina peronista o l’Egitto nasseriano (strettamente imparentati ai fascismi europei), ma anche di Paesi ad industrializzazione avanzata, come la Francia gollista, fino a Paesi dichiaratamente socialisti quali la Cuba di Fidel Castro e Che Guevara che del “Patria o muerte” hanno fatto la propria insegna antimperialista ed antiamericana (una scelta che non può comprendersi in pieno obliterando, come sovente si fa, le origini falangiste “joseantoniane” di Castro e quelle peroniste di Guevara, per le quali rinviamo al nostro contributo rintracciabile qui https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-224-2/). Non solo, perché il patriottismo fu rivendicato anche da Palmiro Togliatti, in un articolo significativamente titolato “Il patriottismo dei comunisti” uscito su “Rinascita” nel luglio-agosto 1945, ossia a guerra civile ancora latente, nel quale il segretario del Pci scrisse: «È ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali. Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale». Nello scrivere tali parole Togliatti, memore della lezione del fascismo che tentò di unire classe e nazione ossia socialismo e patriottismo, richiamava implicitamente il suo “Appello ai fratelli in camicia nera”, da lui firmato e pubblicato nel 1936 sulla rivista parigina “Lo Stato Operaio”, nel quale, all’interno di una strategia entrista nel momento del massimo consenso popolare al regime, invocava la “santa alleanza per la comune battaglia per il pane ed il lavoro” tra comunisti e fascisti di sinistra. Togliatti, nonostante fosse in esilio, aveva osservato che, dopo la delusione seguente ai compromessi nel decennio precedente tra il regime e i fiancheggiatori di destra, i fascisti di sinistra, ossia i veri fascisti, negli anni Trenta, con l’avvallo ufficioso dello stesso Mussolini (il quale giunse persino a sostenere la tesi della “corporazione proprietaria” di Ugo Spirito ossia la nazionalizzazione dei mezzi di produzione attraverso le corporazioni in una sorta di corporativismo comunista basato sull’“azionariato dei produttori”), stavano scalando le gerarchie fino al vertice. Si trattava, come ha spiegato Renzo De Felice, di quel “secondo fascismo” sempre più emergente, in quegli anni, nelle riviste e nelle organizzazioni giovanili del regime. Questo neofascismo prebellico si richiamava idealmente alle origini diciannoviste ossia socialiste del movimento fascista. Togliatti aveva ben colto queste spinte interne al regime favorite dalla svolta dirigista decisa per fronteggiare gli effetti della crisi del 1929 (istituzione dell’Iri, promulgazione della Legge Bancaria del 1936 con la nazionalizzazione della Banca centrale, rafforzamento degli strumenti di previdenza sociale ad iniziare dall’Inps, rivitalizzazione dei sindacati). Per gli stessi motivi per i quali prima della guerra aveva cercato di immettere elementi comunisti nel fascismo di sinistra, nel 1946 Togliatti, come ebbe a dichiarare in un’altra intervista manifestando toni di stima ed intenti pacificatori verso i “giovani idealisti” che avevano scelto di aderire a Salò, appoggiò l’amnistia onde cercare di attrarre i fascisti di sinistra nel Pci (vi riuscì solo in parte perché un’altra parte degli eredi dell’esperienza della Repubblica Sociale fondarono il Msi, che inizialmente non era affatto “destra nazionale” e lo diventò soltanto con la svolta moderata degli anni ’50). Insomma, Togliatti, tra il 1936 ed il 1946, riconobbe che Mussolini lo aveva preceduto, già dal 1914-1919, sulla strada della nazionalizzazione del socialismo, intuendo che socialismo e patriottismo non sono opposti ma piuttosto sinonimi. Non a caso, nel dopoguerra Togliatti additò la “via nazionale al socialismo” quale orientamento ideale e storico del suo Pci.

«Per gli uomini con un forte senso di comunità – continua la Wagenknecht tra pg. 281 e pg. 288 – la loro famiglia non è una famiglia qualsiasi, la loro patria non è un fazzoletto di terra qualsiasi e il loro paese è diverso da qualunque altro paese. Per questo si sentono legati ai propri concittadini più che a coloro che vivono altrove e non vogliono che la politica o l’economia nel loro paese venga diretta dall’esterno. Per questo si indignano quando imprese spregiudicate che non sono ancorate al territorio spostano le loro fabbriche dove la manodopera costa meno. Per questo desiderano uno Stato che garantisca la sicurezza e la stabilità, invece di abbandonare i propri cittadini alle incertezze e alle esplosioni dei mercati globalizzati. Chi la pensa in questo modo e onora i valori descritti, riceve oggi l’appellativo di conservatore. Il concetto non è sbagliato. Gli individui che la pensano così vogliono davvero conservare e preservare dalla distruzione un sistema di valori che, a causa dell’odierno capitalismo globalizzato, è sotto pressione e in parte è già andato in frantumi. Questo sistema di valori è orientato alla comunità, ai legami e all’appartenenza. Esso si ritrova sia nella tradizione del movimento operaio sia in quella del conservatorismo classico, che il giornalista britannico Roger Scruton, scomparso all’inizio del 2020, ebbe modo di definire una volta “la filosofia dell’appartenenza”. Questo conservatorismo dei valori ha però poco o nulla a che fare con il conservatorismo politico, ovvero con i partiti che nei diversi paesi si definiscono conservatori. (…) lo stabilizzarsi delle strutture di proprietà e di potere ha comunque sempre avuto la meglio rispetto alla sopravvivenza delle comunità, alla cui distruzione [il conservatorismo politico ossia il conservatorismo liberale] … ha spesso collaborato. Maggy Thatcher passava per “conservatrice”, nonostante i risultati della sua politica fossero uno schiaffo in pieno viso a tutti i valori tipici del conservatorismo. La CDU di Angela Merkel è a favore della flessibilità, del liberismo economico, della globalizzazione e dell’immigrazione, ovvero di una politica che indebolisce la tenuta della società e i preziosi vincoli che danno agli uomini stabilità e sicurezza nella vita».

Conservatorismo e socialismo – il nemico comune del progressismo liberale

Dobbiamo abbandonare l’idea consolidata ma infondata che il conservatorismo identitario abbia come nemico il socialismo. Certamente è sua nemica la dialettica materialista marxista che è stretta parente del materialismo capitalista, come ha ben compreso un neomarxista quale Diego Fusaro che non a caso rilegge Marx in chiave idealista come già, a suo tempo, aveva fatto Giovanni Gentile sia in età giovanile (“La filosofia di Marx”) sia in tarda età (“Genesi e struttura della società”) occhieggiando ad un “comunismo spiritualista”. Il vero nemico del conservatorismo identitario è il liberalismo/liberismo, quindi anche ciò che di liberistico sussiste nel marxismo. Il liberalismo ha ampiamente conquistato anche la sinistra grazie al cavallo di Troia dell’internazionalismo tradotto capitalisticamente in globalizzazione. Un filosofo di grande acume intellettuale come

Zhok Andrea, Oltre “Destra” e “Sinistra”: la questione della natura umana, Edizioni Il Cerchio, 2023

Andrea Zhok ha individuato nel “progressismo liberale” il nemico della stessa natura umana e, quindi, di qualsiasi capacità relazionale dell’uomo (si veda il suo sintetico ma concettualmente denso saggio “Oltre destra e sinistra: la questione della natura umana”, Il Cerchio, 2023, ma anche l’intervista concessa a Francesco Borgonovo su “La Verità” del 4 giugno 2023). A giudizio dello scrivente, tuttavia, anche il conservatorismo identitario nella misura in cui volesse pretendersi alieno da una prospettiva metafisica tradizionale – che in Europa non può che essere cristiana mentre altrove sarà islamica o indù o confuciana o altra – oltre a cadere in aperta contraddizione finirebbe per perdere ad intra ogni forte ragione e speranza di alternativa e di opposizione alla globalizzazione tecno-capitalista. Ma qui, in merito a tale punto, ci limitiamo a questo breve cenno, non potendo sviluppare oltre l’argomentazione che richiederebbe uno spazio molto ampio e non disponibile nel presente breve contributo.

«Il conservatorismo dei valori – insiste sempre la Wagenknecht da pg. 288 a pg. 290 – orientato all’appartenenza e alla comunità ha come avversari non solo gran parte dei partiti conservatori, ma anche il liberalismo di sinistra: quest’ultimo guarda agli individui con atteggiamenti conservatori come a retrogradi, che favorirebbero risentimenti e il ritorno di pregiudizi ormai superati. I liberali di sinistra si sentono perciò chiamati a farli desistere dalle loro idee e a metterli in cattiva luce sul piano morale. Sorge spontanea la domanda: con che diritto? Chi si impegna a screditare e delegittimare il pensiero tradizionale e i valori e l’idea di giustizia che ne derivano è davvero dalla parte dell’Illuminismo e del progresso? (…). Se hanno l’impressione che il liberalismo di sinistra calpesti i loro valori, gli individui, nel dubbio, non si allontaneranno certo da questi valori, ma semmai proprio da esso. Ciò vale soprattutto per gli strati sociali nella cui memoria collettiva è ancorato ben nel profondo l’orientamento alla comunità. La classe operaia, per esempio, che da quando è nata è sempre dipesa dalla lealtà e dalla solidarietà dei suoi membri e che senza coesione non avrebbe potuto né potrebbe imporre i propri interessi, non si lascerà certo convincere da un gruppetto di laureati liberali di sinistra a rinunciare al valore dei vincoli sociali. Anche il ceto medio classico conosce l’importanza dei rapporti locali, della lealtà reciproca e degli spazi protetti della nazione e mostra scarsa propensione a aderire all’immaginario dell’individualismo cosmopolita. Fino a che i partiti di sinistra incarneranno orientamenti e valori che cozzano con quelli della maggior parte della popolazione, resteranno sempre isolati da questi strati sociali. Possono invece guadagnare consenso dove l’appello ai vincoli comunitari gode di minor popolarità, ovvero … nelle classi elevate, perché i benestanti non hanno bisogno di una comunità solidale … e il loro individualismo cosmopolita corrisponde al modo di sentire delle élite economiche».

Gemeinschaft contro Gesellschaft

Diventa necessario prendere, o meglio riprendere, consapevolezza che il senso di comunità è connaturato all’uomo. Già Aristotele aveva compreso che l’uomo ha una natura sociale. Tommaso d’Aquino e l’intero medioevo hanno ribadito l’assunto in chiave cristiana. Ma tale veritativa evidenza, che non ha bisogno di dimostrazione come non ne ha bisogno il sole splendente in cielo, è presente in tutte le culture umane, ad ogni latitudine ed in ogni epoca storica. Soltanto nell’Occidente moderno, a partire dal XV-XVI secolo e poi con forza sempre maggiore dal XVIII fino al XXI secolo (motus in fine velocior), il solipsismo individualista, man mano che si imponeva la secolarizzazione, ha scalzato ogni solidarietà comunitaria sostituendo l’organicismo con il contrattualismo sociale. Questo rilievo storico ed antropologico, ancor prima che filosofico e teologico, diventa oggi un potente spartiacque tra nuove categorie politiche che attraversano quelle, ormai obsolete, di “destra” e “sinistra” come le abbiamo fin qui conosciute. Si tratta, pertanto, di comprenderlo sia a destra che a sinistra perché la auspicabile formazione di nuovi schieramenti potrebbe riservare sorprese, neanche tanto inedite (perché soluzioni già tentate nel corso del XX secolo), e riorientare il dibattito politico in modo che apparenti “nemici” di ieri possano scoprirsi insospettabili “amici” di oggi.

«Una sinistra che ridicolizzi il pensiero comunitario e i valori che da esso derivano perde consensi e diventa sempre più ininfluente. Ma non si tratta solo di questo. La vera domanda è un’altra: i valori comunitari sono davvero invecchiati e superati? Il desiderio di vivere in un mondo fidato e riconosciuto, di avere posti di lavoro sicuri, di risiedere in quartieri tranquilli e godere di rapporti familiari stabili è davvero un sentimento retrogrado? Oppure questi valori non sono invece un’alternativa molto più convincente al capitalismo sfrenato, che si fa portavoce dell’individualismo, dell’autorealizzazione priva di vincoli, dell’idea tipica del liberalismo di sinistra di essere cittadini del mondo, un’idea che, guarda caso, si adatta particolarmente bene all’ambiente economico dei mercati globali e alle aspettative di mobilità e flessibilità delle imprese?» (Wagenknecht a pg. 290).

Se, quindi, il consapevole senso comunitario definisce l’uomo in quanto uomo, è conseguenziale che la convivenza umana ha bisogno di stabilità e di reciproca fiducia. Cose queste che si trovano soltanto nella Gemeinschaft (comunità organica), e non nella Gesellschaft (società mercantile), per usare gli idealtypus di Ferdinand Tönnies, ma che a loro volta necessitano di una radice ben piantata nel Sacro, prima ancora che nel Politico, sicché il luogo primo e principale nel quale il senso comunitario si manifesta non può che essere la famiglia, l’ambiente primordiale nel quale l’uomo nasce e prende consapevolezza della sua umanità. La famiglia, ovunque, in ogni cultura, ruota intorno al mistero sacro dell’unione uomo-donna, unione feconda sia spiritualmente che procreativamente. L’uomo è essere politico proprio perché è innanzitutto “Homo Religiosus”, come ha spiegato Mircea Eliade, non potendo sussistere il Politico se non quale schimittiana Teologia (della) Politica. Ecco perché senza comunità non può esserci né politica né economia sociale.

La Tradizione come progetto politico e sociale per il futuro

Nessuno stabile ordinamento comunitario della vita sociale può sussistere se non è costruito sui “valori tradizionali”, che sono quelli discendenti dal retaggio spirituale, sacrale, e dalla storia di un popolo. Principi tradizionali che non sono elaborazione dell’uomo, né in quanto popolo né in quanto singolo, ma da lui, sia come popolo che come singolo, ricevuti, accolti, custoditi e trasmessi di generazione in generazione, magari nella dinamica variabilità delle forme esteriori ma nella stabilità intrinseca della loro essenza. Cambiano le forme di famiglia, monogamica o poligamica, ma essa è tale soltanto se eterogamica. Cambiano i riti della vita sociale o di quella amicale ma ogni pur storicamente varia comunità è tale solo se costituisce una “unità organica” che nella sua complessità è sempre qualcosa di più della mera somma delle sue parti. È una realtà umana viva e proprio per questo non priva di conflittualità interne pur restando in ultimo una unità essenzialmente inscindibile nonostante ogni tensione o lotta tra i suoi membri. Perché laddove i suoi membri non si riconoscessero più membra del medesimo corpo, parti della stessa comunità organica, verrebbe meno l’unità politica e con essa ogni possibilità di solidarietà umana sul piano orizzontale della natura (l’unità verticale nello Spirito, infatti, resta una possibilità che si dà sempre ai singoli anche nelle società sconsacrate). Le forme storiche mutano ma i principi tradizionali che rendono salda una comunità restano sempre gli stessi, rendendo palese la verità del conservatorismo inteso come conservazione dell’essenza principiale, di per sé imperitura, e non delle forme storicamente superate. In tal modo la Tradizione diventa l’unico vero “progetto per il futuro”. Un progetto che si pone oltre la destra e la sinistra proprio perché su di esso possono convergere e reciprocamente intendersi conservatori (non liberali) e socialisti (non marxisti), purché gli uni comprendano che la conservazione delle identità e della cultura nonché dei principi spirituali non significa affatto anche conservazione di una iniqua distribuzione della ricchezza comune e purché gli altri comprendano che senza quel mondo di relazioni e solidarietà che discendono esclusivamente dal comune sentire identitario nessuna redistribuzione della ricchezza avrà mai un solido, duraturo e stabile fondamento. Chi difende le identità tradizionali dei popoli non può farlo come paravento di assetti sociali che, per dirla con il catechismo di san Pio X, “gridano vendetta al cospetto di Dio”. Ma chi lotta per la giustizia sociale non può farlo nella negazione delle identità tradizionali dei popoli che della giustizia sociale sono la migliore garanzia.

«Se gli uomini si ribellano contro un ordine che rende loro sempre più difficile vivere all’interno di relazioni sociali sufficientemente stabili, se si sollevano contro una politica che distrugge la coesione e promuove l’indifferenza, ciò vuol dire che hanno conservato certi valori, e questo è un bene. Se il nuovo implica un peggioramento, il passato può contenere più futuro del presente. Le economie di mercato vincolate dell’Europa postbellica erano di certo una società molto più sopportabile per la maggioranza della gente di quanto non lo sia il capitalismo globalizzato e spregiudicato del nostro tempo. Questo non significa che la soluzione “torniamo agli anni Settanta” sia adatta come progetto per il futuro. Significa però che dovremmo essere felici di constatare che i valori e gli orientamenti derivati da un passato fortemente indirizzato alla comunità siano ancor oggi vivi in gran parte della popolazione. E significa anche che questi valori si prestano come fondamento per un piano progressivo per il futuro molto più di quanto ci riesca una narrazione che mette il concetto di comunità in rapporto soprattutto con la costrizione, l’esclusione, la ristrettezza di vedute e la sottomissione. Chi voglia conseguire rapporti sociali più umani può partire proprio dai valori tradizionali della comunità, che dovrebbe apprezzare invece di contribuire a screditare. Se qui si presenta un programma fondato su valori “conservatori” e orientati alla comunità come progetto progressivo per il futuro e adatto alla maggioranza … non si tratta assolutamente di dichiarare legittima l’attuale distribuzione di proprietà e ricchezze. Si tratta, invece, di accordarsi su quei valori di convivenza leale che sono essenziali per la coesione sociale e devono essere quindi salvaguardati a ogni costo, dal momento che la pressione dei mercati globali senza vincoli li costringe sempre più sulla difensiva. Si tratta di capire perché tante persone nel loro intimo seguono “valori conservatori” e perché fanno bene. Perché desiderano appartenenza e comunità stabili proprio come gli operai di un tempo. E si tratta di diventare consapevoli del fatto che un mondo ordinato, stabilità e sicurezza nella vita, società democratiche con un vero sentimento di appartenenza e fiducia negli altri uomini, non sono solo il passato, ma possono anche essere il futuro. A ben vedere, i valori e la concezione della giustizia che la maggior parte della popolazione ha interiorizzato, in particolar modo a cominciare dagli operai, dagli impiegati dei servizi di più basso livello e dal ceto medio, non sono solo conservatori, ma anche, all’origine, di sinistra: coloro che li propugnano cercano stabilità, sicurezza e coesione e proprio per questo una maggiore parità sociale e un minor squilibrio nella distribuzione. Sentono che una società di mercato globalizzata rischia di distruggere proprio quei vincoli di comunità, valori e tradizioni che per loro sono tanto importanti. Richiedono un cambiamento proprio perché vogliono salvaguardare certi valori. Avvertono che le antiche tradizioni hanno bisogno di un ordine economico nuovo per tornare a essere vive. Comprendono che comunità stabili da una parte e la corsa sfrenata al guadagno dall’altra, così come vincoli sociali e mercati non regolamentati sono inconciliabili tra loro. Che il senso di comunità presuppone l’esistenza di una comunità che offre a tutti la possibilità di vivere una vita soddisfacente, perché il legame e la responsabilità per il tutto nascono quando il singolo percepisce se stesso come parte rispettata e stimata di questo tutto» (Wagenknecht alle ppg. 292-294).

Il comportamento umano dipende molto più di quanto si pensi dalle tradizioni ereditate che costituiscono il cuore della identità personale e comunitaria. L’idea stessa di giustizia è filtrata attraverso le tradizioni identitarie. L’eredità filosofica e politica del conservatorismo sta proprio nel riconoscimento del ruolo fondamentale svolto dalle tradizioni e dalla cultura di appartenenza per la coesione sociale. Virtù sociali e qualità umane come la moderazione nella ricchezza, la riservatezza, l’affidabilità, la fedeltà, la lealtà e l’amicizia sono da sempre l’apprezzato prodotto di esperienze comuni e del tramandamento spirituale ossia della Tradizione sacrale di un popolo. Le persone che manifestano virtù e qualità socialmente riconosciute sono meglio disposte a vivere e lavorare insieme e con maggiore sicurezza, in quanto si sentono parte della comunità e nutrono lealtà verso di essa ed i propri simili che ne sono membra. Certe qualità sociali come l’impegno e la disciplina nel lavoro, la fatica e lo sforzo, la professionalità e la precisione, ci vengono dalla tradizione borghese ed artigianale del medioevo ma sono ancora oggi molto vive nella classe operaia e nel ceto medio. Si lavora meglio insieme laddove si nutre fiducia nel reciproco impegno per il bene comune fidandosi delle qualità del prossimo, al quale si è indissolubilmente legati da vincoli spirituali, naturali, culturali o territoriali. Vincoli che impongono e giustificano l’equa ripartizione della comune ricchezza prodotta dal comune lavoro benché nella distinzione di ruoli e funzioni. In un’economia basata sulla fiducia comunitaria anche la distribuzione della ricchezza ne risulterà agevolata.

Una economia costruttrice o distruttrice della solidarietà comunitaria?

Partendo dalla considerazione che il libero mercato e la ricerca sfrenata del profitto hanno un potere distruttivo nei confronti dei valori tradizionali e dei vincoli di comunità riconosciuti, la Wagenknecht ne conclude che un’economia il cui motore centrale consiste nell’idea di ricavare sempre più denaro dal denaro poggia su un freddo calcolo di costi e benefici per il quale tradizione e costumi, religione e morale non sono che elementi di disturbo. Laddove si debba calcolare ogni cosa, gli oggetti perdono il loro senso e il loro valore immanenti. La disuguaglianza crescente mina la fiducia, la coesione e l’empatia, dal momento che gli uomini che vivono in mondi completamente diversi e non incontrano più gli altri strati sociali si sentono sempre meno parte di una medesima comunità ed unità di destino. Già al suo esordio il capitalismo comportò la frammentazione delle comunità, la distruzione dei beni comuni e lo sradicamento degli uomini, che vennero strappati ai propri legami consueti e al ritmo di vita tradizionale e consegnati ai mercati e alle macchine, ai cui ritmi si dovettero da quel momento sottomettere. In effetti la critica di Karl Marx per il quale il capitalismo riduce la “dignità personale (ad) un semplice valore di scambio” lasciando “tra uomo e uomo (nessun) altro vincolo che il nudo interesse”, ovvero “lo spietato pagamenti in contanti”, non è soltanto la descrizione della realtà sociale del suo tempo quanto, invece, una linea di sviluppo che si è fatta palese soprattutto nel capitalismo globalizzato e finanziario del nostro secolo. Ma – ecco il punto – una economia che distrugge le tradizioni, i valori ed i vincoli di comunità, distrugge il collante che tiene insieme la società ed alla lunga diventa umanamente insostenibile. Senza una certa dose di vincoli e valori comunitari viene meno la stessa “res publica”, ossia la cosa pubblica “comune”. Senza il sentimento di appartenenza comunitaria nessuna democrazia riesce a sopravvivere. Lo sapevano già Platone e Aristotile. In un ordinamento liberale si perde di vista il nucleo fondamentale del vivere umano ossia la codecisione delle scelte strategiche della comunità e di conseguenza i gruppi di interesse più influenti finiscono per dominare sulla politica.

Tuttavia la Wagenknecht distingue tra le diverse scuole liberali accreditando quegli orientamenti che all’interno dello stesso liberalismo hanno preso atto e criticato la dissoluzione individualista e nichilista che esso porta in seno covando, in tal modo, i germi della propria dissoluzione. Richiamando l’economista ordoliberale Alexander Rüstow ne condivide la critica alla “teologia economica” del liberismo del laissez faire, senza senso di comunità e di coesione tra gli uomini, che, rinunciando alla democrazia popolare, inaugura una società governata dai mercati e dalle grandi aziende transnazionali. Senza i vincoli di comunità non ci sono “compiti comuni” per lo Stato, si perde completamente l’idea stessa del “bene comune” come tramandataci dalla tradizione spirituale e filosofica cristiana ed europea. Tutti i beni che un tempo erano considerati pubblici – abitazioni, servizi di comunicazione, imprese dei trasporti nonché di fornitura di acqua e di energia elettrica – diventano oggetto del mercato e vengono privatizzati. Non può esserci solidarietà laddove sono assenti vincoli e valori comuni. Quei vincoli e valori che derivano dall’identità storica e, prima, ancora spirituale di un popolo. L’Europa postbellica ha realizzato lo Stato sociale che, tuttavia, non sarebbe mai nato senza il fondamento spirituale e storico della tradizione europea. In realtà, benché questo la Wagenknecht non lo dice, lo Stato sociale fu implementato ben prima dell’ultima guerra mondiale e molto esso deve alla cultura organicista dei fascismi.

Conservatorismo di sinistra

La Wagenknecht addita espressamente la necessità ineludibile di un “conservatorismo di sinistra” che sappia mettere insieme conservazione delle identità e coesione sociale nella redistribuzione della ricchezza. Probabilmente la nostra autrice non sa che tale unione di Tradizione e Giustizia Sociale era quanto già proponeva, a suo tempo, negli anni Trenta del secolo scorso, José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della “Falange Espanola de las Juntas de Offensiva Nacional-Sindicalista” laddove essa propugnava un programma anticapitalista ed anti-latifondista di ampie riforme sociali – “Patria, Pan y Justicia” – che aveva la sua sintesi nel contemporaneo rifiuto della “derecha”, perché la destra vuol conservare tutto anche l’ingiustizia sociale, e della “izquierda”, perché la sinistra vuol distruggere tutto anche l’eredità identitaria del popolo. Il nostro riferimento è, naturalmente, al falangismo nazional-sindacalista delle origini, il quale con il successivo franchismo non ebbe nulla a che fare, nonostante la retorica e strumentale utilizzazione che il regime nazional-conservatore ne fece, snaturandolo, allorché nella tragedia della guerra civile, che José Antonio cercò di evitare in ogni modo ma inutilmente, persero la vita i suoi capi, lo stesso José Antonio, Onesimo Redondo Ortega e Ramiro Ledesma Ramos.

«Essere un conservatore – scrive la Wagenknecht a pg. 295 – riguardo ai valori propugnati e allo stesso tempo essere di sinistra non è una contraddizione. Portato all’estremo, si potrebbe definire un simile programma come “conservatore di sinistra”, anche se questo concetto porta con sé il rischio di venir rifiutato da entrambe le parti: da coloro che aderiscono alla sinistra, perché sono abituati a vedere nel conservatorismo il loro oppositore politico, e da coloro che provengono dalla tradizione conservatrice, perché non si sognerebbero mai di poter essere allo stesso tempo anche di sinistra. La narrazione della sinistra e quella dei conservatori si sono sempre definite contrapponendosi l’una all’altra. Ciononostante, partiti di successo, non da ultimi quelli socialdemocratici, hanno fatto storicamente proprio questo: una politica “conservatrice di sinistra”. Chi invece cerca di screditare dal punto di vista morale l’identità nazionale e la nostalgia di stabilità, fiducia e coesione, distrugge la base sociale di una politica che potrebbe tenere a freno i mercati e le disuguaglianze».

José Antonio Primo de Rivera avrebbe ampiamente sottoscritto questo passaggio e molto altro del pensiero della scrittrice tedesca, già leader di Die Linke ossia il partito dell’estrema sinistra germanica.

Conservatorismo di sinistra ed anticapitalismo di destra: per un ritorno al reale

Il ceto medio e, a suo traino, la classe operaia sono stati l’asse portante delle società europee post-belliche ossia di “democrazie nazionali” a forte vocazione sociale che, all’interno dei confini degli Stati nazionali, impregnate di una cultura della solidarietà comunitaria, hanno saputo realizzare, negli anni del lungo dopoguerra, in sostanza fino agli anni ’80, un progetto di dignitosa convivenza interclassista vantaggioso per tutti e che a tutti imponeva precisi obblighi politici e sociali. Ad iniziare dagli obblighi fiscali, secondo le possibilità di ciascuno, per sovvenzionare le attività pubbliche e sostenere i membri della società che si trovavano in una situazione meno favorevole. Le origini di questo progetto, come riconosce la stessa Wagenknecht, devono essere cercate innanzitutto nella Dottrina Sociale Cattolica ancor prima che nella socialdemocrazia. Ma anche, aggiungiamo noi, nella cultura della “Destra Sociale” che a partire dalla critica reazionaria all’individualismo rivoluzionario ha attraversato l’ottocento per incontrarsi con la “Sinistra Nazionale”, di derivazione risorgimentale mazziniana e sindacalista rivoluzionaria, nell’esperienza dei fascismi tra le due guerre. Persino la scuola economica vigente nella Germania postbellica, ossia l’ordoliberalismo, aveva posto alla base del suo ideale di economia sociale di mercato argomentazioni analoghe, benché più “liquide”, a quelle dell’organicismo di matrice cattolica o socialdemocratica. Fino al sopraggiungere della globalizzazione il senso di appartenenza, la solidarietà, la responsabilità condivisa nei confronti della comunità di appartenenza sono stati valori riconosciuti in gran parte delle nazioni europee, sicché porsi contro di essi equivaleva ad una posizione di immoralità sociale.

Con la globalizzazione neoliberista, adducendo false promesse palingenetiche di un nuovo “sol dell’avvenire” in chiave capitalista per la realizzazione del “migliore dei mondi possibili”, L’individualismo sradicatore del primo capitalismo è tornato ha impadronirsi delle coscienze ma in modalità postmoderne ossia più tristemente sofisticate per via dell’emergere dell’egemonia della finanza speculativa sull’economia reale. Attualmente stiamo assistendo ai contraccolpi del liberismo cosmopolita ed ai suoi conseguenti disastri politici, sociali ed economici, non esclusa la guerra russo-ucraina. Da qui l’urgenza di ripristinare un clima spirituale e culturale, un état d’ esprit, favorevole alla dimensione comunitaria del Politico recuperando – da sinistra a destra e da destra a sinistra – il pensiero conservatore che, nella critica all’individualismo e nella difesa dell’identità tradizionale dei popoli, ha caratterizzato quel magmatico movimento di pensiero che Giorgio Galli e Luca Gallesi hanno definito “anticapitalismo di destra” e che, da parte sua, la Wagenknecht chiama “conservatorismo di sinistra.

https://domus-europa.eu/2023/06/13/necessita-di-un-conservatorismo-socialista-per-opporsi-al-liberalismo-cosmopolita-di-luigi-copertino/?fbclid=IwAR0hxE5D1aMTuaKXyjAgB2qXyNgvUI1xsP5zSLayvXuGKuvcOds866_EW20

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Ucraina, il conflitto, 41a puntata! Assalto disperato, con Max Bonelli e Stefano Orsi

A costo di perdite immani e di ripetuti, ossessivi tentativi di assalto, l’esercito ucraino sembra essere riuscito ad aprire un varco nello schieramento russo senza riuscire ancora ad arrivare quantomeno alla prima linea difensiva fortificata avversaria. Tutto da vedere se riuscirà comunque a tenere le posizioni e a garantire il necessario ricambio di forze necessario a esibire un trofeo, un risultato minimo tangibile al prossimo vertice NATO di Vilnius che possa giustificare la protrazione del conflitto e il prosieguo dell’imprescindibile sostegno occidentale. Le notizie, comunque, si accavallano. L’amministrazione Biden non può giungere alle prossime elezioni presidenziali con un conflitto con scarse prospettive di un rapido successo e largamente indifferente, se non addirittura ostile, ad una grande fetta della propria popolazione. In Europa i malumori più o meno espliciti comunque crescono anche nelle file ufficialmente più ossequiose; nel contempo, pare che l’attuale amministrazione statunitense stia decidendo il raddoppio delle forze corazzate presenti in Europa e la messa in allerta dei propri riservisti. Ne daremo conto con certezza e maggiore dovizia di particolari in una prossima conversazione con Gianfranco Campa. Tutto sembra volgere ad una drammatizzazione scenografica del confronto accompagnata da contatti riservati volti a sondare i rispettivi margini di manovra. Un groviglio sempre più inestricabile dal quale sarà sempre più difficile cogliere il bandolo risolutivo della matassa. Sempre che non si cerchi di tagliarlo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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IL CONTESTO DEL CONFLITTO: RUSSIA, STATI UNITI E UCRAINA1 _ di “Observer R”

Traduciamo e pubblichiamo questa interessante ed equilibrata sintesi del contesto strategico in cui si svolge il conflitto tra la Russia, l’Ucraina e gli Stati Uniti-NATO. In essa “Observer R” abilmente individua i punti chiave strategici in merito ai quali Russia e Stati Uniti dovranno prendere difficili decisioni nel prossimo futuro.

Buona lettura.

Roberto Buffagni

6 luglio 2023

INTRODUZIONE

Questo articolo è stato scritto per rispondere a una domanda ricorrente sul conflitto ucraino: la Russia si sta muovendo abbastanza velocemente per terminare la sua Operazione Militare Speciale (OMS)? A tal fine, l’articolo copre alcuni periodi storici selezionati dell’operazione in cui la Russia poteva prendere decisioni diverse, che avrebbero influenzato la portata e il ritmo dell’operazione militare speciale. Aggiungo materiale utile a spiegare le ragioni per cui la Russia ha scelto di fare una cosa e non un’altra. Inserisco altre informazioni di base per trattare, parzialmente, il coinvolgimento degli Stati Uniti. Mentre la prima parte del testo ha un approccio storico, la seconda parte affronta gli eventi e le situazioni imminenti, che richiederanno decisioni difficili da parte di entrambi i governi. Queste decisioni avranno un impatto sulla velocità con cui il mondo intero si muoverà in direzione della Terza Guerra Mondiale.

STORICO

Nel 2014, gli Stati Uniti hanno preso la decisione di attuare il cambio di regime definitivo in Ucraina, un’operazione per la quale, a quanto risulta, avevano speso circa 6 miliardi di dollari nel corso degli anni. A quel punto la Russia ha dovuto decidere diverse cose. Una era se intervenire come fece anni dopo in Kazakistan, aviotrasportando un contingente militare e circondando i golpisti per poi tornare a casa in una settimana. La Russia avrebbe anche potuto sostenere il presidente democraticamente eletto dell’Ucraina dopo la sua fuga in Russia, istituendo un governo in esilio. Un po’ come quando il presidente dello Yemen è stato rovesciato e si è rifugiato in Arabia Saudita. In quest’ultimo caso, è diventato difficile capire a quale governo si riferisca la stampa, quello in esilio o quello de facto a Sanaa. È interessante che la Polonia abbia recentemente istituito un governo in esilio bielorusso, composto da politici dell’opposizione bielorussa. In ogni caso, la Russia ha deciso di non sfruttare il potenziale propagandistico di un governo ucraino in esilio, che avrebbe potuto mostrare mettere in contraddizione gli Stati Uniti, che affermando di sostenere la democrazia rovesciavano un governo democratico. La Russia ha anche deciso di non impiegare l’esercito per stroncare il problema sul nascere, presumibilmente per molte buone ragioni. Una probabile ragione era che l’Ucraina, secondo quanto riferito, aveva all’epoca il più grande esercito d’Europa, circa 800.000 soldati, così superando persino i 500.000 della Turchia.

Un’altra ragione potrebbe essere che la Russia era orientata verso l’Europa fin dai tempi di Pietro il Grande, e Putin aveva recentemente promosso il concetto di Europa da Lisbona a Vladivostok. Una risposta militare russa in Ucraina sarebbe stata probabilmente una mossa negativa per le relazioni pubbliche, all’epoca, e avrebbe potuto provocare contromisure da parte dell’Occidente a cui la Russia non era ancora preparata. Invece, la Russia ha organizzato gli accordi di Minsk per tentare una soluzione pacifica per i movimenti separatisti. A quanto pare, la Russia dava il sostegno minimo indispensabile ai separatisti ucraini e si concentrava soprattutto sulla sicurezza della Crimea e dell’importantissima base navale di Sebastopoli.

Gli accordi di Minsk, tuttavia, non sono stati attuati né dall’Occidente né dall’Ucraina. I politici occidentali hanno poi dichiarato che erano solo un espediente per dare alla NATO il tempo di armare e addestrare l’esercito ucraino. Era insomma la decisione di creare un esercito della NATO al confine con la Russia, nonostante molti strateghi occidentali avessero messo in guardia proprio da questa provocazione. Da parte russa ci sono state molte lamentele sul fatto che l’intervento militare contro l’Ucraina andasse attuato molto prima. Inoltre, la leadership russa è stata ingannata dall’Occidente. Altri punti di vista sostengono che anche la Russia aveva usato gli otto anni per costruire le sue forze, e aveva bisogno di tempo quanto la NATO/Ucraina. Gli stranieri non conoscono l’entità della preparazione militare russa in questo periodo, né quanto la Russia fosse preparata a far fronte a certe difficoltà economiche in caso di guerra. Tuttavia, è stato nel 2018 che Putin ha fatto il suo discorso su tutte le nuove “armi miracolose” che la Russia ha sviluppato. Presumibilmente, molte di queste armi erano ancora in fase di test, dovevano essere costruite le fabbriche per produrle e c’era bisogno di più tempo per farle arrivare in prima linea e per addestrare le truppe a usarle.

Entro il 2021 le decisioni andavano prese. La NATO/Ucraina aveva sviluppato quello che si diceva fosse il più grande esercito d’Europa, e la Russia aveva schierato alcune delle sue armi più avanzate. Gli accordi di Minsk ovviamente non funzionavano, e la Russia continuava a farvi riferimento solo come parte delle sue manovre legali. Washington aveva deciso di continuare a perseguire il suo obiettivo di egemonia mondiale e aveva preparato l’opinione pubblica a credere che Putin fosse un dittatore e che la Russia fosse contemporaneamente una stazione di servizio nel deserto e il nemico numero uno. La logica non è il punto di forza di Washington. All’Occidente deve essere sembrato che i tempi fossero maturi per colpire i separatisti ucraini e, allo stesso tempo, per procedere contro il governo russo con qualsiasi misura atta a provocare il cambio di regime. Il piano era probabilmente quello di far penetrare l’esercito ucraino fino al confine russo, con una Russia troppo destabilizzata per contrastare efficacemente l’attacco. Dal punto di vista dell’Occidente, non si sarebbe trattato di un’aggressione, perché l’Ucraina starebbe solo sedando una guerra civile interna.

Dall’altra parte, i russi sembravano avere più o meno lo stesso punto di vista, ovvero che le cose fossero arrivate a un punto morto. Nel dicembre 2021, la Russia emise il famoso “Non-Ultimatum” all’Ucraina e all’Occidente, in cui si chiedeva di negoziare un accordo di sicurezza europeo che soddisfacesse i requisiti minimi della Russia ed evitasse conseguenze non specificate. L’Occidente rifiutò di prendere sul serio l’idea e continuò ad armare l’Ucraina e a costruire forze vicino alle aree separatiste. La Russia ha quindi proceduto con le “conseguenze”. Putin ha immediatamente firmato documenti che incorporano alcune delle province separatiste come parte della Russia, sulla base di precedenti plebisciti. Questa manovra legale ha permesso alla Russia di affermare che stava proteggendo il territorio russo, quando ne ha sgomberato l’esercito ucraino. Un’altra decisione difficile è stata quella di far colpire per prima la Russia, per creare confusione nella parte ucraina. In questo modo l’Occidente ha ricevuto un bonus propagandistico, la possibilità di sostenere che, poiché le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, la Russia è l’aggressore. Il ruolo delle forze neonaziste in Ucraina e le brutte azioni delle forze ucraine contro i separatisti sono state cancellate dalle notizie occidentali, mettendo così la Russia sulla difensiva, nella guerra delle propagande. Tuttavia, Putin è stato in grado di suscitare il fervore patriottico in Russia, in parte aiutato dalle brutte azioni dell’esercito ucraino contro i prigionieri di guerra russi.

Gli Stati Uniti hanno deciso di portare avanti la loro campagna antirussa, con sanzioni e demonizzazione di tutto ciò che è russo. Un osservatore esterno potrebbe paragonarlo al famoso tentativo degli Stati Uniti di cambiare il nome delle “French chips”, le patatine fritte in “Freedom chips”, patatine della libertà quando la Francia si rifiutò di appoggiare una delle invasioni militari statunitensi. In ogni caso, le azioni degli Stati Uniti hanno facilitato a Putin l’avvio di una mobilitazione più generale per lo sforzo bellico, il richiamo dei riservisti e il rapido aumento della produzione di armi. I sostenitori della Russia hanno nuovamente chiesto di accelerare la guerra e di passare all’offensiva, nella speranza di mettere rapidamente fuori gioco l’Ucraina, risparmiando così molte vite e infrastrutture. La speranza di questo gruppo è che ciò dimostri all’Occidente che il conflitto contro la Russia non avrà successo, e che i negoziati per una nuova architettura di sicurezza possano procedere. Il punto di vista opposto è che una grande offensiva da parte della Russia permetterebbe alla propaganda occidentale di spaventare gli europei e di creare una maggiore unità nella NATO. Questo punto di vista sostiene che le crepe nella NATO sono sempre più ampie e che l’UE è sempre più disfunzionale: perché interrompere il nemico quando sta commettendo un errore?

FUTURO

La riunione della NATO a Vilnius si terrà l’11 luglio, e sia la NATO/Ucraina che la Russia potrebbero cercare di intraprendere azioni prima della riunione per migliorare le loro posizioni. L’Occidente sembra chiedere all’Ucraina 1) di lanciare una nuova e migliore offensiva nella guerra per ottenere una sorta di vittoria prima della riunione della NATO, al fine di ottenere un maggiore supporto di armi da parte della NATO, oppure 2) di trattenere le sue forze di riserva per promuovere una situazione di stallo e una linea di cessate il fuoco negoziata simile a quella della Corea. Quest’ultima soluzione consentirebbe all’Ucraina di rimanere nell’orbita occidentale, di continuare a riarmarsi, di ottenere forse un giorno l’adesione alla NATO e di permettere ai colossi finanziari occidentali di controllare beni preziosi in Ucraina.

Questo risultato, tuttavia, non va bene per la Russia, poiché lascia la maggior parte dell’Ucraina come un Paese NATO de facto e non prevede alcuna revisione del sistema di sicurezza europeo. Non c’è nemmeno la garanzia che possa fermare i bombardamenti delle aree separatiste, nel lungo periodo. Inoltre, la Russia ha fatto capire chiaramente di non considerare l’Occidente “capace di accordi”, rendendo difficile un negoziato produttivo. Il Not-Ultimatum2 chiedeva la smilitarizzazione e la de-nazificazione dell’Ucraina e l’effettiva rimozione della NATO dalle nazioni dell’ex Patto di Varsavia. Si tratta di un compito arduo, e scegliere se sia meglio per la Russia colpire duro e veloce, o procedere lentamente e aspettare che si allarghino le linee di faglia tra i membri della NATO, è una decisione difficile. Putin verrà biasimato in ogni caso.

Gli Stati Uniti hanno una quantità ancor maggiore di decisioni da prendere. Una parte dell’establishment è favorevole a sconfiggere prima la Russia, per poi a utilizzare le sue risorse per il contenimento della Cina. Questo gruppo a quanto pare credeva in una Russia abbastanza debole da far sì che guerra in Ucraina, vaste sanzioni, distruzione del rublo e disconnessioni da SWIFT e dai sistemi di carte di credito bastassero a provocare un cambio di regime e all’insediamento di un governo simile a quello di Eltsin. Un’altra parte dell’establishment riteneva che un altro approccio fosse migliore: persuadere la Russia con la diplomazia a schierarsi dalla parte dell’Occidente, per poi affrontare la Cina. Questo approccio sta diventando sempre più evidente, insieme alle richieste di porre fine alla guerra d’Ucraina e di utilizzare le risorse altrove, per esempio nell’area indo-pacifica. La cosiddetta “scuola realista” di politica estera considera la Cina come un “concorrente alla pari” degli Stati Uniti e ritiene che la Cina debba essere affrontata in conformità alla logica di potenza. Un piccolo gruppo esterno all’establishment trova difetti in entrambe le idee. Questa confusione deve essere risolta, perché è difficile ottenere una politica estera o una guerra efficace in mezzo a questa confusione.

Ad aumentare ulteriormente la confusione c’è il ruolo dei globalisti, del Forum economico mondiale, delle genti di di Davos e dei miliardari assortiti che promuovono una sorta di “Nuovo Ordine Mondiale”. Queste persone non sembrano essere fedeli a nessuna nazione in particolare, ma piuttosto sembrano essere cittadini cosmopoliti del mondo. Le loro idee, spesso utopiche, non paiono riscuotere molta popolarità in alcune parti del mondo, da cui il sospetto che, prima o poi, sia necessario ricorrere alla forza militare per realizzarle. Tuttavia, attualmente gli eserciti si basano sul nazionalismo e sul sostegno patriottico di un singolo Paese. Non esiste un esercito globale sostenuto da un governo globale o da cittadini globali da tassare e arruolare. È un problema di uovo e gallina: chi viene prima, il governo o l’esercito? La NATO è ancora una creatura gestita dagli Stati Uniti e sostenuta dagli Stati Uniti. Quindi si pensa che i globalisti debbano usare l’esercito statunitense, dato che sia la Russia che la Cina mostrano scarso interesse per questo nuovo ordine. Il problema è che l’esercito statunitense soffre di seri problemi in molti settori, dalle armi non efficaci all’impossibilità di reclutare un numero sufficiente di soldati. I critici sostengono che il “wokeismo” è responsabile di parte dei problemi e che il “wokeismo” è promosso dai globalisti. Naturalmente, i sostenitori del Wokeismo sostengono esattamente il contrario. Tuttavia, se il punto di vista dei critici ha una qualche validità fattuale, allora c’è un enigma: i globalisti dovrebbero usare le forze armate statunitensi per imporre l’adozione del loro nuovo ordine, ma allo stesso tempo le forze armate statunitensi sono ostacolate dai globalisti che impongono l’adozione del wokeismo negli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti devono quindi fare delle scelte difficili per quanto riguarda il Wokeismo, l’immigrazione, il debito nazionale, il debito studentesco, l’istruzione e molto altro. C’è anche la questione di cosa fare con le portaerei, i cacciatorpedinieri stealth, gli aerei stealth, i sistemi di difesa aerea e le circa 800 basi militari in paesi stranieri. Un problema immediato è quello delle armi e del supporto da inviare all’Ucraina. Gli aerei da combattimento F-16 e i carri armati Abrams sono solo una parte della questione; l’Ucraina sta ora chiedendo aerei F-18 e Typhoon europei. Il prossimo passo potrebbe essere la richiesta di F-35? I militari di tutto il mondo stanno cercando di vedere come si comportano le armi statunitensi in un conflitto reale con la Russia.

Non sorprende che Washington non riesca a elaborare una grande strategia coerente, né a far fronte alle domande e ai problemi che si stanno accumulando. La cupa prospettiva che emerge dal recente manifesto di John Mearsheimer è evidente sin dal titolo: Il buio che ci sta davanti: dove è diretta la guerra in Ucraina3. Un pessimismo simile si trova nell’attuale articolo di Samuel Charap, della RAND Corporation, intitolato: An Unwinable War: Washington Needs an Endgame in Ukraine4.

Per quanto riguarda la Russia, oltre alle scelte strategiche summenzionate, c’è la questione di cosa fare negli altri teatri di guerra, in luoghi come l’Asia occidentale, l’Africa e l’America Latina. In che misura la Russia dovrebbe sostenere un Gruppo Wagner riconfigurato in vari Paesi? La Russia dovrebbe dare il via libera alla Siria e lasciare che attacchi jet israeliani, quando bombardano Damasco? O aiutare la Siria a distruggere le petroliere che contrabbandano l’oro nero fuori dal Paese? La Russia dovrebbe collaborare con l’Iran per aiutare a cacciare gli Stati Uniti dall’Iraq? Che dirne di un maggiore sostegno ad altri Paesi che sono sotto pressione da parte degli Stati Uniti, come la Corea del Nord, lo Yemen, Cuba, il Venezuela, etc.? Sono molti i luoghi nel mondo in cui la Russia potrebbe alzare il tiro sugli interessi statunitensi e causare ulteriori problemi a Washington. La vendita di armi e l’addestramento militare, il contrasto ai cambiamenti di regime sostenuti dagli Stati Uniti, la diffusione di sistemi alternativi di trasferimento di denaro e di carte di credito in tutto il mondo e la collaborazione con l’OPEC+ per contrastare gli interessi petroliferi statunitensi sono altre possibilità di “guerra ibrida” russa. La Russia ha un ampio menu che va oltre l’azione in Ucraina, e in molti casi la Cina sarebbe felice di partecipare.

Infine, è ampiamente noto che un impero in declino è una bestia pericolosa, che va trattata con cautela. Su questo terreno, gli analisti suggeriscono che sia la Russia che la Cina dovrebbero fare attenzione a non punzecchiare troppo la bestia, per evitare che impazzisca di rabbia. Finora, entrambi i Paesi sembrano tenere presente questo consiglio.

2 La proposta diplomatica russa, in forma di bozza di trattato resa pubblica, avanzata il 17 dicembre 2022. [N.d.C.]

4 https://www.foreignaffairs.com/ukraine/unwinnable-war-washington-endgame , versione giornalistica abbreviata di: Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html Abstract: “La discussione sulla guerra Russia-Ucraina a Washington è sempre più dominata dalla questione di come potrebbe finire. Per informare questa discussione, questa Prospettiva identifica i modi in cui la guerra potrebbe evolversi e in quale modo le traiettorie alternative influenzerebbero gli interessi degli Stati Uniti. Gli autori sostengono che, oltre a ridurre al minimo i rischi di una grave escalation, gli interessi degli Stati Uniti sarebbero meglio serviti evitando un conflitto prolungato. I costi e i rischi di una lunga guerra in Ucraina sono significativi e superano i possibili benefici di una tale traiettoria per gli Stati Uniti. Sebbene Washington non possa determinare da sola la durata della guerra, può adottare misure che rendano più probabile un’eventuale conclusione negoziata del conflitto. Attingendo alla letteratura sulla cessazione della guerra, gli autori identificano i principali ostacoli ai colloqui Russia-Ucraina, come il reciproco ottimismo sul futuro della guerra e il reciproco pessimismo sulle implicazioni della pace. La prospettiva evidenzia quattro strumenti politici che gli Stati Uniti potrebbero utilizzare per mitigare questi ostacoli: chiarire i piani per il futuro sostegno all’Ucraina, assumere impegni per la sicurezza dell’Ucraina, rilasciare assicurazioni sulla neutralità del paese e stabilire le condizioni per la revoca delle sanzioni alla Russia.” [N.d.C.]

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Zelensky diventerà il nuovo Saakashvili? _ di ANDREW KORYBKO

Zelensky diventerà il nuovo Saakashvili?

ANDREW KORYBKO
5 LUGLIO 2023

Saakashvili è stato incarcerato perché ha abusato del suo potere su ordine degli Stati Uniti, ha perso la guerra per procura con la Russia che aveva iniziato su ordine dei suoi patroni ed è poi tornato in Georgia dopo che un governo relativamente più sovrano è entrato in carica e ha mantenuto la promessa di consegnarlo alla giustizia. Anche Zelensky ha fatto esattamente la stessa cosa e potrebbe quindi subire un destino simile se dovesse rimanere in Ucraina o tornarvi in seguito.

Lunedì Zelensky ha accusato la Russia di aver cercato di uccidere l’ex presidente georgiano Saakashvili, dopo che le immagini del suo aspetto emaciato in prigione hanno iniziato a circolare in modo virale sui media mainstream in seguito alla sua ultima testimonianza video. L’ironia della sorte vuole che sia proprio l’Occidente il responsabile della situazione di quest’ultimo, cosa di cui il primo farebbe bene a rendersi conto, dal momento che c’è la possibilità che anche lui subisca un destino simile.

Come è stato valutato lo scorso agosto, “Il conflitto georgiano del 2008 è stato il modello degli Stati Uniti per quello ucraino del 2022”, che è importante che i lettori rivedano se non l’hanno già fatto. L’analisi precedente, collegata a un link ipertestuale, spiega le connessioni strategiche tra questi due conflitti apparentemente diversi, sostenendo che in realtà ci sono più di qualche somiglianza. Di rilevanza per il presente articolo è il ruolo svolto dai leader dei due Paesi nelle rispettive guerre per procura contro la Russia sostenute dagli Stati Uniti.

Saakashvili ha ricevuto dai suoi patroni l’ordine di lanciare un attacco furtivo contro l’Ossezia del Sud, che gli è stato assicurato si sarebbe concluso con un rapido successo del suo schieramento e la conseguente riconquista della regione separatista. In realtà, la Russia fu indotta ad avviare una missione di pace della durata di cinque giorni che portò alla perdita di quel territorio e della vicina Abkhazia, dopo che il Cremlino li riconobbe come Stati sovrani, che rimangono tuttora tali.

Allo stesso modo, Zelensky ha ricevuto dai suoi patroni l’ordine di lanciare un attacco furtivo contro il Donbass, che gli era stato assicurato si sarebbe concluso con un rapido successo della sua parte, ma l’operazione speciale della Russia lo ha anticipato all’ultimo minuto. Invece di riconquistare la regione separatista, Kiev l’ha persa insieme ad altre due dopo aver votato per l’adesione alla Russia lo scorso settembre. Il conflitto convenzionale provocato da questi piani occidentali continua a infuriare sedici mesi dopo il suo inizio, a differenza della rapida risoluzione della Georgia, ma finirà anch’esso con un fallimento.

La controffensiva di Kiev sostenuta dalla NATO è stata un disastro, che persino i media mainstream hanno ammesso e iniziato a giustificare, così come i suoi stessi funzionari. Il presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, Michael McCaul, ha avvertito all’inizio di giugno che il fallimento delle aspettative occidentali potrebbe portare a una riduzione del sostegno tangibile al loro proxy. Zelensky sa che il tempo sta per scadere, come ha dimostrato il suo recente invito alle truppe a produrre almeno qualche risultato prima del vertice NATO della prossima settimana.

In precedenza aveva criticato le aspettative dei suoi patroni occidentali parlando con la BBC alla fine del mese scorso, come hanno fatto altri alti funzionari non citati, secondo quanto riportato dall’Economist in un articolo pubblicato in quel periodo. Nel frattempo, il Comandante in capo Zaluzhny ha espresso in modo colorito in una recente intervista al Washington Post quanto lo faccia innervosire il fatto che stiano criticando la controffensiva. È chiaro che a Kiev si sta cominciando a capire che l’Ucraina probabilmente non sarà invitata a entrare nella NATO.

Non solo, ma hanno sprecato decine di migliaia di vite nel tentativo di riconquistare un territorio che non sarebbe nemmeno stato perso se non avessero assecondato il piano degli Stati Uniti di replicare lo scenario georgiano, cosa che ha spinto la Russia a fermarli preventivamente. Inoltre, Kiev avrebbe potuto evitare l’unificazione delle regioni di Kherson e Zaporozhye con la Russia se non avesse permesso all’Asse anglo-americano di sabotare il processo di pace della primavera del 2022, che aveva portato alla firma di una bozza di trattato prima che tutto fosse rovinato.

L’Ucraina è quindi andata molto peggio della Georgia, essendo stata completamente devastata dal conflitto convenzionale che ha imperversato negli ultimi sedici mesi e perdendo altre due regioni che non erano nemmeno contese prima dell’inizio dell’operazione speciale della Russia. Se alla fine l’Occidente taglierà le forniture di armi a Kiev dopo il fallimento della controffensiva di Kiev sostenuta dalla NATO, che secondo i presidenti Putin e Medvedev potrebbe porre fine al conflitto immediatamente, il capitale politico di Zelensky evaporerà.

Avrebbe potuto conservare il sostegno del suo popolo e quello della potente élite militare, dell’intelligence e dell’oligarchia se avesse mantenuto la posizione e portato a termine il processo di pace della primavera del 2022, ma è praticamente impossibile che lo sosterranno se ora sarà costretto ad accontentarsi di ancora meno. Troppe vite sono state perse, proprietà distrutte e regioni unificate alla Russia perché egli possa considerare una vittoria anche una temporanea cessazione delle ostilità, per non parlare di un armistizio e soprattutto di un trattato di pace.

La probabilità che i suoi patroni lo mettano esattamente in questa posizione aumenta di giorno in giorno, mentre la controffensiva del suo schieramento diventa una delle peggiori umiliazioni della civiltà occidentale a memoria d’uomo. Per mantenere la loro influenza sull’Ucraina in questo scenario, non sarebbe sorprendente se sostenessero un piano di cambio di regime da parte di ufficiali militari popolari come il comandante in capo Zaluzhny e/o il capo dell’intelligence militare (GUR) Budanov per sostituire Zelensky come mezzo per sventare preventivamente una potenziale rivolta.

Dopotutto, sarebbe nell’interesse di questi due e dei loro patroni occidentali indirizzare la rabbia popolare verso il leader del Paese dopo che la gente si sarà resa conto di quanto hanno sacrificato per nulla, invece di rischiare che la rabbia si rivolga a loro. Anche se dovessero azzardare a lasciarlo al potere per il bene dell’immagine internazionale, si troverebbe ad affrontare una battaglia in salita per la rielezione, sempre che decida di candidarsi. In ogni caso, il suo futuro politico sarebbe rovinato nel momento in cui l’Occidente lo costringesse a colloqui di pace.

Proprio come Saakashvili prima di lui, Zelensky potrebbe essere accusato di abuso di potere dai suoi oppositori politici e chiamato a rispondere dei suoi crimini, con la conseguenza di essere imprigionato se è ancora nel Paese o se vi ritorna per attuare una Rivoluzione Colorata sulla falsariga di quanto ha tentato di fare il leader georgiano. Se l’Ucraina del dopoguerra riacquisterà gran parte della sovranità persa a favore dell’Occidente, come ha fatto la Georgia, che ha rivelato un complotto occidentale per conquistare Sochi, allora le possibilità che ciò accada aumenteranno ulteriormente.

Saakashvili è stato incarcerato perché ha abusato del suo potere su ordine degli Stati Uniti, ha perso la guerra per procura con la Russia che aveva avviato su ordine dei suoi patroni, ed è poi tornato in Georgia dopo l’insediamento di un governo relativamente più sovrano che ha mantenuto la promessa di consegnarlo alla giustizia. Anche Zelensky ha abusato del suo potere su ordine degli Stati Uniti, ha perso la guerra per procura con la Russia che ha iniziato su ordine dei suoi patroni e potrebbe quindi subire un destino simile se rimanesse in Ucraina o vi tornasse in seguito.

Gli Stati Uniti non hanno alleati, ma solo vassalli che controllano, come l’Ucraina di Zelensky e la Georgia di Saakashvili prima di lui, o partner come l’India, nel raro caso in cui un Paese riesca a difendere la propria sovranità di fronte alle immense pressioni, in modo da essere finalmente trattato da loro come un pari. Un alleato implica che l’America sosterrà qualsiasi Paese per lealtà nei suoi confronti anche a scapito dei propri interessi, cosa che non farà mai ed è per questo che è corretto dire che non ne ha.

L’Ucraina di Zelensky è solo un altro vassallo da sfruttare spietatamente per ripristinare l’egemonia unipolare degli Stati Uniti che si sta affievolendo, ma invece di servire il loro scopo, lui e il suo Paese stanno diventando un fardello che rischia di provocare un contraccolpo se il conflitto non viene congelato e i guadagni della Russia sul campo continuano a crescere. Prima o poi, quindi, verrà scartato, in un modo o nell’altro, proprio come è successo a Saakashvili, con l’unica domanda se rimarrà libero, se verrà consegnato alla giustizia o se forse perderà la vita.

https://korybko.substack.com/p/will-zelensky-become-the-new-saakashvili

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Lo spirito puritano della guerra civile americana, DI DAVID SAMUELS

Lo spirito puritano della guerra civile americana
Questo 4 luglio la nazione è in preda alla rivoluzione
DI DAVID SAMUELS

È difficile non guardare all’America moderna senza avere la sensazione di un Paese che si sta liberando freneticamente della sua pelle, nel processo di diventare qualcosa di nuovo. Ma cosa sarà?

Il Paese un tempo definito dalla sua potente classe media è ora un fiore all’occhiello della disuguaglianza che assomiglia più a una versione di alto livello del Brasile o della Nigeria che al bastione della metà del XX secolo con sindacati forti, chiese, associazioni civiche e partiti politici inclusivi. Al posto della promessa del Sogno Americano, che si rivolgeva agli uomini e alle donne comuni, la nuova America offre ora una miscela paradossale di estrema ricchezza e di evidente disimpegno, che intimorisce e scoraggia allo stesso tempo. Un’oligarchia scintillante, come non se ne vedevano dalla Gilded Age di fine Ottocento, quando i baroni rapinatori americani saccheggiavano i tesori d’arte dell’Europa, presiede a un paesaggio ribollente di immigrazione incontrollata e poco qualificata, di tossicodipendenza e di lavori di servizio senza prospettive.

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Più preoccupante dei livelli record di disuguaglianza – misurati in termini di reddito o di capacità di esercitare un controllo significativo sulle circostanze della propria vita – è la sensazione di una frattura irrevocabile, che sembra rafforzarsi di mese in mese, indipendentemente dal fatto che la maggior parte degli americani preferisca una qualche versione della vecchia America. Spinta dall’ascesa della politica dell’identità, dalla logica frammentaria del capitalismo di mercato o dalla forza delle nuove tecnologie che riconfigurano lo spazio e il tempo – o da tutte e tre le forze che lavorano insieme – l’America è diventata il premio per un insieme di tribù impegnate in una gara a somma zero per il potere e il bottino.

Che l’obiettivo centrale dell’esperimento americano fosse quello di creare un senso di appartenenza a un unico insieme tra popoli diversi è stata un’affermazione relativamente incontestabile anche nei periodi peggiori della storia del Paese. L’accordo sul fatto che ogni cittadino possiede intrinsecamente gli stessi diritti di ogni altro cittadino, per quanto incompleto nella pratica, è stato un potente motore per il cambiamento sociale, dalla lotta per porre fine alla schiavitù alle campagne per i diritti delle donne e il matrimonio gay. Tuttavia, mentre lo slogan e pluribus unum – “di molti, uno” – conserva il suo posto nella moneta americana, è difficilmente abbracciato dalla maggior parte delle voci sociali e politiche di spicco del Paese, che dipingono la storia del Paese come una marcia inarrestabile di razzismo e oppressione, contrastata dalle forze della giustizia.

Laddove l’idea di una nazione o di una comunità americana viene sempre più rifiutata come residuo di un passato egemonico e oppressivo, regna la celebrazione della particolarità. C’è la sostituzione obbligatoria della bandiera americana con vessilli settari – la bandiera di Black Lives Matter per il Mese della Storia Nera; i simboli LGBTQA+ in continuo cambiamento per il Mese dell’Orgoglio – insieme a elaborate cerimonie di stampa di nuovi francobolli e di riscrittura dei libri di storia per concentrarsi sulle lodevoli conquiste degli eroi tribali. Questi rituali di sostituzione civica sono accolti con entusiasmo sia dagli oligarchi che dallo Stato e celebrati dalle grandi aziende, dai municipi, dal Congresso e dalle ambasciate statunitensi in tutto il mondo. Nel frattempo, la mancata partecipazione – ad esempio sventolando una grande bandiera americana – è motivo di sospetto di fedeltà a un ordine passato che è diventato rancido, come gli amareggiati del Sud che decorano i loro pick-up con bandiere confederate.

È quindi difficile non notare la natura paradossale dell’attuale situazione americana. Da un lato, la Silicon Valley ha cementato il posto dell’America come nazione più ricca e potente del pianeta, leader incontrastato a livello mondiale in campi come l’intelligenza artificiale e le biotecnologie, in grado di disintegrare qualsiasi aspirante rivale premendo un pulsante e staccandolo dal sistema bancario globale e da Internet. Dall’altro, la rivoluzione digitale promossa dalla tecnologia e dalla finanza americana sta visibilmente disintegrando l’America stessa. Le università meritocratiche e le altre istituzioni che un tempo facevano dell’America l’invidia del mondo sono ostaggio di un nuovo sistema politico in cui la ripetizione pedissequa dei catechismi del Partito Democratico su razza, classe, genere e identità ha sostituito valori istituzionali come l’indipendenza intellettuale e l’indagine critica. Tali ambizioni, insieme alla ricerca della bellezza e di altre forme di eccellenza, sono ora segni di eresia di destra, che devono essere eliminati dagli amministratori del partito che amministrano, beh, praticamente tutto.

Il Partito Democratico svolge un ruolo centrale nel nuovo ordine americano, servendo come una sorta di Stato ombra, o Stato nello Stato – la supremazia del primo è caratteristica dei cosiddetti regimi rivoluzionari d’oltreoceano. Un tempo veicolo per gli americani che lavoravano per raggiungere obiettivi tangibili come la proprietà di una casa, un’assistenza sanitaria decente, parchi nazionali e una vecchiaia dignitosa, i Democratici sotto le presidenze di Bill Clinton e Barack Obama hanno trovato un nuovo posto al sole come indirizzo a cui gli oligarchi pagano denaro per la protezione e fanno accordi con le agenzie di sicurezza di Washington – dopo aver appoggiato un regime commerciale globale che è costato il posto di lavoro a milioni di americani e ha inondato le loro città di fentanyl.

Il Partito Repubblicano, invece, un tempo partito dei più ricchi e dei più grandi industriali d’America, si presenta ora come il partito delle piccole imprese e dei diseredati, sotto la guida di un personaggio spesso accusato di essersi circondato della feccia della vita politica americana. Qualunque sia la minaccia che Donald Trump rappresentava un tempo per i baroni rapinatori e le burocrazie con cui si sono alleati, da tempo si è rivelato una figura clownesca, che alterna la retorica populista a teorie cospirative autocommiseranti, fallendo ripetutamente nel proteggere se stesso o i suoi seguaci dalle forze che intendono danneggiarli. Il risultato è stato un suicidio politico per i repubblicani che lo sostengono e per quelli che gli si oppongono.

Se una faccia della nuova medaglia americana è l’oligarchia e il fallimento politico, l’altra è il dominio settario – un’altra di quelle miserie riconoscibili che affliggono i Paesi rivoluzionari, insieme alla povertà, all’ignoranza, alla corruzione, all’uso di agenzie di sicurezza per combattere battaglie personali, alla censura di Stato e all’incarcerazione degli oppositori politici. Forse la caratteristica principale di questi luoghi è la colonizzazione di ogni aspetto della vita che potrebbe altrimenti fornire conforto alla gente comune – le arti, il mondo accademico, la legge, la vita d’ufficio, persino la vita familiare – da parte della “politica”, una parola scelta con cura per nascondere l’assenza di un pensiero coerente, che è in ogni caso impossibile, dal momento che l’unico principio fisso di questa politica rivoluzionaria è la guerra settaria, un pericolo che i fondatori del Paese hanno lavorato molto per evitare.

Tuttavia, affermare che l’America abbia ceduto a un colpo di Stato rivoluzionario sembra più che esagerato. La Nigeria non domina il sistema bancario globale o gestisce Internet, ma l’America sì. I presidenti brasiliani possono incriminare e incarcerare i loro nemici politici, come i presidenti americani di entrambi i partiti hanno chiaramente voglia di fare, ma le favelas americane sono molto più lussuose delle loro equivalenti brasiliane. A differenza di Cuba o del Venezuela, l’America è la patria di Starbucks, Microsoft, Apple, J.P. Morgan e Goldman Sachs, oltre che di Tesla ed Elon Musk. Nelle recenti decisioni sull’aborto e sull’affirmative action, la Corte Suprema conservatrice del Paese ha fornito un potente contrappeso agli entusiasmi progressisti del momento, proprio come previsto dai fondatori del Paese.

Nel frattempo, gli americani continuano a inventare nuovi modi di vedere e di essere, proprio come hanno sempre fatto, anche se altri americani possono percepirli come nocivi. In altre parole, le semplici narrazioni del declino nazionale, dell’ascesa del tribalismo e persino degli effetti di frattura delle nuove tecnologie rivoluzionarie non bastano a spiegare la portata e la natura totalizzante dei cambiamenti che l’America sta vivendo, che sono del tutto reali.

Un indizio della reale natura dei cambiamenti radicali e convulsi che hanno investito il familiare ordine sociale e politico americano può essere trovato all’indomani dell’uccisione di un nero da parte di un poliziotto bianco nella città di Minneapolis nel 2020. Piccolo criminale strafatto di fentanyl, colpito da un infarto fatale mentre un agente di polizia di nome Derek Chauvin si inginocchiava sul suo collo per trattenerlo, George Floyd è stato una vittima simbolica ideale per entrambi gli schieramenti politici americani: un martire nero che ha incarnato i mali di una comunità i cui membri si consideravano vittime storiche di un sistema organizzato di supremazia bianca attuato attraverso la brutalità della polizia. Chauvin è stato condannato a oltre 20 anni di carcere dopo essere stato condannato per omicidio.

Sorprendentemente, date le massicce manifestazioni di piazza e i disordini che hanno seguito la morte di Floyd, non è stata dedicata praticamente alcuna attenzione o energia pubblica alle disuguaglianze economiche e sociali che hanno contribuito a distruggere la sua vita. Non sono stati annunciati programmi pubblici per combattere la tossicodipendenza o promuovere la formazione, l’occupazione o l’istruzione. Anche se la leadership del Partito Democratico si è inginocchiata nella sala del Congresso con pezzi di stoffa kente colorata al collo per confessare la propria colpevolezza nei confronti dei mali della disuguaglianza razziale, il Partito ha abbracciato le serrate prolungate di Covid e la chiusura delle scuole – misure che hanno avuto un impatto particolarmente negativo sui bambini delle comunità emarginate e poco servite.

La risposta alla morte di Floyd è stata invece una campagna pubblica contro i simboli della “supremazia bianca”. Questa campagna si è concentrata sugli attacchi al passato della Guerra Civile americana, tra cui la rimozione di statue e ritratti di generali e funzionari confederati, la rimozione di monumenti funebri dai cimiteri e persino la riesumazione di corpi confederati dalle loro tombe. Nell’ambito di questa esplosione di iconoclastia a livello nazionale, le università e altre istituzioni hanno pubblicato lunghi rapporti in cui si chiedeva scusa per la schiavitù e si “facevano i conti” solennemente con i crimini dei donatori del passato. Un cinico avrebbe potuto osservare che il rilascio di scuse per crimini commessi 160 o 300 anni fa forniva una comoda copertura a università come Harvard e Yale per continuare ad accettare centinaia di milioni di dollari da individui e governi di tutto il mondo le cui attività oggi non sono meno criminali e sfruttatrici.

Tuttavia, quando le università hanno setacciato le loro pareti alla ricerca di raffigurazioni di personaggi storici che avevano direttamente o indirettamente tratto profitto dalla tratta degli schiavi, e le grandi aziende e i media hanno adottato in massa un linguaggio come quello della “supremazia bianca”, è diventato evidente che qualcosa di più profondo era all’opera. La “supremazia bianca”, un termine che solo di recente era stato appannaggio degli storici e di una manciata di teorici razziali accademici contemporanei, divenne un obiettivo primario dell’FBI, nonostante l’assenza di qualsiasi prova che suprematisti bianchi, neonazisti e altri estremisti razziali fossero diventati più comuni o accettabili in America oggi di quanto non lo fossero 10, 20 o 50 anni fa. L’esposizione dello stendardo confederato, che aveva fatto parte della cultura del Sud al punto da diventare, nella maggior parte dei casi, un simbolo generalizzato di ribellione, è stata improvvisamente vietata. Per un osservatore attento alla storia, la rinnovata ossessione per la razza, gli attacchi ai simboli della Confederazione, l’agonizzante autocritica istituzionale, indicavano un unico tema generale della causa che aveva catturato l’immaginazione delle élite del Paese: la ripresa della guerra civile americana.

La decisione di riaccendere un conflitto in cui morirono più di 600.000 americani e che si risolse in una clamorosa vittoria nordista, nella fine della schiavitù e nella continuazione di un progetto nazionale di cui avrebbero beneficiato centinaia di milioni di persone nel XX secolo, potrebbe sembrare una scelta perversa. Per quanto ne so, nessuno in Inghilterra o in Francia chiede di rifare la Rivoluzione di Cromwell, ad esempio, o la Rivoluzione francese, perché le loro vittorie sono incomplete. Inoltre, i monumenti che gli iconoclasti hanno rimosso nel 2020-21 non sono stati eretti dal governo confederato, ma sotto il governo dell’Unione; erano simboli della tregua nazionale che seguì la guerra, in cui i sudisti riconobbero la sconfitta e i nordisti permisero loro di seppellire i propri morti e di rientrare nell’Unione. Allora perché riaccendere un conflitto in cui i buoni hanno vinto, dopo aver quasi affogato il Paese nel sangue?

La risposta, ovviamente, è che se la tregua nazionale seguita alla Guerra Civile può aver giovato alla nazione nel suo complesso, non ha raggiunto gli obiettivi di alcuni dei vincitori: gli schiavi del Sud, i cui discendenti sono giustamente più preoccupati del progresso economico e della sicurezza dei loro figli, e gli abolizionisti del Nord, i cui eredi avevano apparentemente ripreso il potere e il cui vero radicalismo era stato ampiamente cancellato dalla storia americana.

Mentre il principale obiettivo bellico di Abraham Lincoln era quello di preservare l’Unione, l’inno degli abolizionisti del Nord era “John Brown’s Body”, che commemorava la morte dell’uomo di fuoco che fu giustiziato dal governo degli Stati Uniti nel 1859 per aver tentato di dare inizio a una rivolta degli schiavi del Sud attraverso un’incursione suicida nella città di Harper’s Ferry, in cui morirono 17 persone, la maggior parte delle quali erano neri liberati. I soldati nordisti con simpatie abolizioniste cantavano l’inno mentre marciavano in battaglia, annunciando di essere soldati in una guerra santa in cui “John Brown era Giovanni Battista del Cristo che dobbiamo vedere”. Riscritto da Julia Howe, che lo ripulì da ogni riferimento a John Brown, “The Battle Hymn of the Republic” divenne il canto di marcia più popolare delle forze armate americane dopo la Guerra Civile, attestando il nuovo senso di appartenenza nazionale dell’America:

“Nella bellezza dei gigli Cristo è nato oltre il mare,
con una gloria nel suo seno che trasfigura voi e me:
Come Lui è morto per rendere gli uomini santi, noi moriamo per rendere gli uomini liberi,
Mentre Dio sta marciando”.

Gli abolizionisti del Nord, eredi diretti dei puritani del New England, potevano affermare di essere del tutto coerenti nel loro rifiuto della tregua nazionale, sia all’indomani della guerra civile sia 160 anni dopo. Il patto civico che ha seguito la guerra non è stato creato da loro. Né lo era il patto originale su cui fu fondata l’Unione nel 1789, dopo il successo della Rivoluzione americana contro gli inglesi. Entrambi i patti erano strumenti secolari, in cui le esigenze di Dio e della giustizia erano subordinate alla necessità di far convivere in qualche modo popoli diversi, tra cui i puritani del New England e gli schiavisti del Sud.

Per i Puritani e per i loro eredi contemporanei, i successi dei compromessi terreni su cui era stato fondato il Paese – la Costituzione degli Stati Uniti, la vittoria nella Guerra Civile, l’ascesa dell’America a Grande Potenza, la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, il successo del movimento per i diritti civili, la sconfitta del comunismo sovietico – erano irrilevanti. I puritani intendevano il male come un nemico da estirpare senza compromessi, pena la messa in pericolo della propria anima. Se la ricchezza terrena era bella, il Regno dei Cieli era molto meglio.

Ciò che rese unici i Puritani del XVII secolo che si insediarono nel New England fu la trasmutazione della militanza religiosa dall’opposizione ai nemici terreni alla lotta interna. Secondo Perry Miller, il grande storico del Puritanesimo del New England, i Puritani – essi stessi una fazione radicale dei Puritani inglesi che vinsero, e poi persero, la Gloriosa Rivoluzione – arrivarono nel New England con l’obiettivo di costruire una “città su una collina”, secondo le parole del loro leader John Winthrop. I Puritani immaginavano il loro insediamento come una comunità modello che sarebbe servita da faro all’Europa, allora impantanata in guerre religiose apparentemente intrattabili. Grazie al fulgido esempio della piccola colonia del New England, la vecchia Europa si sarebbe resa conto della sua follia e avrebbe abbracciato la verità del puritanesimo.

Quando l’Europa, come era prevedibile, ignorò l’esempio dei Puritani, la Nuova Inghilterra fu travolta da una crisi spirituale che portò a un ripiegamento collettivo verso l’interno, nel tentativo di ricollocare il fallimento della loro missione nella natura selvaggia americana all’interno della vita dei coloni stessi. Il conseguente passaggio dalla grandiosità verso l’esterno all’ossessione narcisistica di setacciare la propria anima alla ricerca del peccato rimarrà una caratteristica della coscienza puritana americana e del Paese che fu almeno in parte costruito sulle sue fondamenta.

L’America di oggi, stretta in una guerra tra le esigenze della coesistenza nazionale e l’ossessione assolutista per il peccato razziale, è un luogo che i fantasmi puritani del Paese riconoscerebbero facilmente. E nonostante l’attento lavoro dei fondatori illuministi del Paese, il fantasma puritano non ha mai smesso di esistere all’interno dell’apparato nazionale. A volte, il fantasma si presenta come la coscienza della nazione, come è accaduto durante il movimento per i diritti civili. Durante la Grande Depressione, FDR cercò di contenere questo impulso rifondando il Partito Democratico, e la cultura americana della metà del XX secolo, come un’alleanza tra le macchine del Partito Democratico etnico del Nord e il Vecchio Sud, dando nuova vita alle forme costituzionali originali del Paese – ma anche rinnovando il suo compromesso anti-puritano con il male.

L’attuale rivoluzione americana, al contrario, rappresenta un’altra esplosione dello spirito puritano, che è pieno di sensi di colpa e ossessionato da se stesso, ma allo stesso tempo determinato a realizzare il regno dei cieli sulla terra. È profondamente e intrinsecamente americano, ma si oppone anche a quello che è stato l’ordine sociale e culturale americano degli ultimi tre secoli. È un errore credere che il fantasma puritano possa mai essere soddisfatto, soprattutto attraverso il compromesso. Il puritanesimo è un movimento rivoluzionario, iconoclasta e totalizzante, le cui verità sono religiose e senza compromessi. La domanda che gli americani si pongono ora è quale delle due visioni fondanti del Paese sceglieranno: quella dei fondatori illuministi razionalisti, la cui immaginazione di una grande nazione americana di dimensioni continentali è già stata realizzata, o le visioni più selvagge dei santi fondatori.

https://unherd.com/2023/07/the-puritan-spirit-of-americas-civil-war/?tl_inbound=1&tl_groups[0]=18743&tl_period_type=3&mc_cid=927028bd58&mc_eid=707f657435

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SITREP 7/6/23: Zelensky costruisce un’ultima spinta suicida per placare i maestri, di SIMPLICIUS THE THINKER

SITREP 7/6/23: Zelensky costruisce un’ultima spinta suicida per placare i maestri

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Oggi parliamo di alcuni aspetti specifici delle offensive e delle azioni militari in corso, un’area che abbiamo trascurato negli ultimi rapporti a favore degli sviluppi dello ZNPP. Sullo sfondo di tutto questo, ci sono state diverse azioni offensive su tutti i fronti da entrambe le parti. Al momento, entrambe le parti stanno cercando di ottenere un’iniziativa offensiva nelle proprie aree obiettivo: per l’Ucraina si tratta di Zaporozhye e Bakhmut, per la Russia principalmente di Kremennaya e del fronte settentrionale.

Per prima cosa, lasciamo da parte gli aggiornamenti sullo ZNPP per preparare la scena. Budanov sostiene che la minaccia dell’attacco allo ZNPP si sta “allontanando”:

Le ragioni principali sono probabilmente da ricercare nel fatto che, una volta che la Russia ha esposto al mondo i suoi piani, i partner occidentali dell’Ucraina hanno esercitato pressioni interne per non portare a termine la falsa bandiera, oltre al fatto che l’AIEA non ha appoggiato pienamente Kiev come avrebbe voluto:

❗️

Nella notte del 5 luglio, diversi leader dei Paesi europei si sono consultati con il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky sulla situazione della centrale nucleare di Zaporozhye. Secondo le informazioni in mio possesso, nella notte ci sono state consultazioni molto intense tra i leader europei e Zelensky, convinti che non sarebbe successo nulla di irreparabile. Secondo Karcaa, fino al vertice NATO di Vilnius, che si terrà l’11 e il 12 luglio, le tensioni sulla situazione della centrale nucleare di Zaporozhye rimarranno.
Tra queste, le nuove foto satellitari pubblicate, che hanno mostrato un primo piano del tetto della ZNPP, dove Budanov aveva recentemente affermato che la Russia aveva installato degli ordigni esplosivi. Anche se un nuovo confronto satellitare prima e dopo afferma di mostrare qualcosa di nuovo sul tetto dell’edificio del reattore n. 4:

Non significa che la minaccia sia scomparsa per sempre, né che si smetterà di parlarne. Questo perché una delle ragioni principali della tensione sullo ZNPP è probabilmente quella di creare un costante muro di rumore e di disturbo nel campo dell’informazione per nascondere le perdite e i fallimenti dell’AFU, in modo non dissimile da quanto è accaduto un paio di settimane fa quando l’amministrazione Biden è sembrata prolungare la disinformazione sul sommergibile Titan per mascherare lo scandalo Hunter in corso.

Quindi, anche se non hanno mai avuto l’intenzione di attaccare realmente lo ZNPP, possiamo aspettarci che la tensione disinformativa continui ad essere usata nei momenti chiave per mascherare i picchi di fallimenti nella loro “offensiva” in corso. C’è anche questa teoria:

Inoltre, vorrei fare un ultimo aggiornamento e una correzione: L’ultima volta ho menzionato lo stoccaggio dei barili di combustibile esaurito nella ZNPP e il rischio di essere colpiti. Sebbene sia vero per l’artiglieria e i missili potenti, una cosa che ho dimenticato di menzionare è che la Russia ha eretto una gabbia sopra i barili per prevenire, come minimo, gli attacchi dei droni. La si può vedere qui con la visita odierna di Sergey Kiriyenko (vicepresidente russo) al sito:

Passiamo ora all’offensiva. Come ho detto, ci sono due aree principali. Quando hanno iniziato a fallire a Zaporozhye, l’AFU ha cambiato tattica e ha inviato rinforzi alla linea di Bakhmut per vedere se potevano sfondare lì. A questo punto, con il tempo che sta per scadere, prenderanno le loro fiches dove possono, e se riusciranno a fare un significativo “vistoso” passo avanti a Bakhmut, potranno almeno salvare una parte della loro campagna abbastanza da usarla come credito con la NATO nel prossimo vertice.

A Bakhmut hanno guadagnato qualcosa, ma il punto critico che non è stato colto è l’entità del dispiegamento di truppe. Nuove informazioni indicano che negli ultimi giorni stanno inviando una grande quantità di rinforzi, migliaia di uomini e quelli che un osservatore in prima linea descrive come “centinaia” di nuovi veicoli. Il tutto nel tentativo di catturare Klescheevka, a sud di Bakhmut, e di fare breccia intorno a Berkhovka, a nord.

Nei giorni scorsi è stato riferito che l’AFU l’aveva conquistata, ma ora è stato confermato da un video che le truppe russe non solo tengono ancora Klescheevka, ma hanno respinto l’AFU a una buona distanza, a circa 500 metri dalla linea.

Ma a causa dell’assoluta disperazione dell’AFU di fare qualche breccia da qualche parte, i combattimenti sono stati particolarmente intensi e sanguinosi per entrambe le parti. I rapporti sulle perdite sono i seguenti:

In direzione di Bakhmut, i nostri ragazzi hanno riconquistato le posizioni precedentemente perse. A caro prezzo, ma l’UAF ha subito perdite ancora maggiori e si è ritirata. Due delle tre alture dominanti sono controllate dall’esercito russo. In altre direzioni, si stanno svolgendo sanguinose battaglie senza che l’UAF abbia successo. Le perdite sanitarie al giorno sono fino a 1000 persone da parte dell’UAF, le nostre – fino a 200-250.
Ci sono numerosi video da entrambe le parti in quella direzione, che mostrano i morti dell’altra parte. L’AFU cattura qualche truppa qua e là mentre continua a prendere d’assalto le posizioni.

Una cosa da commentare: molti usano l’area di Bakhmut come “prova” della “superiorità” delle truppe di Wagner rispetto a quelle russe, ripetendo sostanzialmente il cliché secondo cui le truppe russe si stanno ritirando dalle aree che Wagner aveva catturato e tenuto. La cosa principale da notare a questo proposito è che finora le forze russe si sono ritirate solo dalle zone già da tempo stabilite come “zone di accartocciamento” o aree cuscinetto che erano state pensate specificamente per questo scopo.

Ne ho già parlato in precedenza, ma credo sia bene spiegare un po’ meglio quale sia la definizione esatta di “zona di accartocciamento”: in breve, si tratta di un’area che si trova tipicamente di fronte a un luogo pesantemente fortificato e che gode di un vantaggio geografico/topologico naturale. Nella strategia di combattimento, probabilmente la cosa più importante è la geografia; se è vantaggiosa o meno, ecc.

Per esempio, si può avere un’area con un’altura che è molto difendibile per natura, mentre al di sotto di essa non c’è altro che un terreno aperto e pianeggiante senza copertura naturale, che è molto difficile da difendere anche se si costruiscono trincee. Per creare una zona di crumble/buffer, dovreste catturare quest’area pianeggiante e tenerla solo come una distesa in avanti, in modo da dare alle vostre truppe lo spazio per arretrare e far entrare lentamente il nemico attraverso l’enfilade delle vostre unità in difesa, che si rintaneranno in coperture molto migliori e spareranno con l’artiglieria dalle posizioni elevate.

Molti mesi fa ho scritto che l’intero settore nord-occidentale di Bakhmut, tutto ciò che è passato da Berkhovka, è stato preso appositamente per creare una zona di accartocciamento, come esempio. Ora qui potete vedere all’incirca ciò che è stato preso dal picco del controllo russo intorno a Bakhmut fino a quasi oggi:

Dico “quasi” perché questa particolare mappa non è stata aggiornata dall’inizio di luglio, quindi ci sono alcune posizioni in più vicino a Klescheevka, nel sud, che sono state prese dall’AFU:

Ma l’area a est (appena dietro) Klescheevka è una grande altura che la Russia sta tenendo ed è ben fortificata.

L’altra cosa importante è che le truppe che operano in queste aree non sono le più forti delle forze armate russe. Ci sono alcune unità decenti, come gli elementi della 144ª Divisione di Fucilieri a Motore della Guardia, la 200ª Divisione di Fucilieri a Motore della Guardia del 14° Corpo d’Armata a Berkhovka, così come alcuni VDV sui fianchi (83ª e 31ª Guardia d’Assalto Aviotrasportata), ma anche molte unità del 3° Corpo d’Armata, come la 72ª, che sono organizzazioni di volontari create di recente e non sono di alto livello. Per quanto riguarda il motivo per cui la Russia potrebbe essere a corto di risorse in quella che si potrebbe ritenere un’area significativa, la risposta semplice è che ci sono altre aree che hanno la precedenza su di essa.

Vale a dire: la linea Kremennaya-Svatovo è probabilmente la più elitaria e di qualità dell’esercito russo, in quanto pullula di varie unità VDV e della migliore 1st Guards Tank Army russa. E naturalmente, la direzione meridionale di Zaporozhye, così come l’area adiacente di Kherson, che ha la maggior parte delle unità russe attualmente meglio schierate, dalla 58ª Armata, la maggior parte delle migliori brigate Spetsnaz, ecc.

Tutto questo per dire che l’area di Kremennaya e Zaporozhye sembra essere prioritaria per il comando russo. A Zaporozhye il motivo è ovvio: perché l’Ucraina vi sta costruendo il suo maggiore potenziale offensivo in generale. A Kremennaya il motivo è probabilmente che la Russia vede la migliore opportunità per sviluppare la propria iniziativa e il proprio potenziale offensivo, e probabilmente vede il vettore di Kharkov come di importanza critica da riconquistare in un prossimo futuro.

Così, a Bakhmut sono rimasti alcuni degli avanzi a cui è stato detto di fare del loro meglio. Non sono degli spacciatori, sia chiaro, come ho detto ci sono alcune unità decenti, ma sono semplicemente in inferiorità numerica per la quantità di nuovi rinforzi che l’Ucraina sta riversando nell’area. Inoltre, l’Ucraina continua a utilizzare alcuni piccoli battaglioni d’élite nel ruolo di attacco d’urto contro punti deboli appositamente scelti dove i riservisti russi sono seduti in trincea.

Detto questo, l’Ucraina è ancora chiaramente in possesso dei punti più importanti, se si escludono alcuni dei campi aperti delle “zone di crumble”, quindi per ora la situazione non è critica, nonostante alcuni allarmisti sostengano che Bakhmut tornerà presto sotto il controllo dell’AFU dopo essere stata “accerchiata”. E al momento in cui scriviamo, anche la Russia sembra aver contrattaccato per riguadagnare terreno:

Il 105° Reggimento della Milizia della DPR” TG Channel riferisce del contrattacco russo sul fianco meridionale del fronte di Artyomovsk: “La direzione di Artyomovsk è fonte di buone notizie oggi: in mattinata sono giunte notizie che l’esercito russo sta lanciando un potente contrattacco sul fianco meridionale”.1 ) Dalla zona di Kleshcheevka, le forze russe hanno lanciato un’offensiva in direzione di Krasnoye.2) Dalla zona di Kurdyumovka, è in corso un’offensiva in direzione di Belaya Gora.La nostra fanteria è attivamente sostenuta dall’aviazione e dall’artiglieria pesante, come al solito (grazie a Dio!).
Ecco un video geolocalizzato delle forze russe che ieri hanno respinto un assalto dell’AFU fuori dall’area di Klescheevka, che sembra mostrare l’AFU molto più a ovest di quanto sostenuto da alcuni:

Quindi la conclusione è: l’Ucraina sta spendendo molte forze e potenziale offensivo (sia in termini di materiale, manodopera, munizioni, ecc.) per catturare pochi campi vuoti.

Ora, a nord, la situazione è inversa. Le unità d’élite russe stanno superando i punti deboli ucraini e guadagnano ogni giorno. Oggi la Russia ha riconquistato l’area industriale di Belgorovka, la città a est del fronte di Seversk.

 

Direzione SeverskijNelle prime ore di questa mattina, le nostre truppe hanno iniziato le operazioni di assalto attivo nella zona dell’insediamento. Belogorovka Il nemico ha abbandonato parte delle posizioni La battaglia continua Le nostre truppe sono supportate dall’aviazione

 

La città è ancora in mano all’AFU, ma le unità russe la stanno invadendo.

Più a nord, la Russia sta ottenendo i maggiori successi, sulla linea Kremennaya. Qui si registrano quotidianamente piccoli guadagni, tra cui la conquista odierna della linea ferroviaria a Novoselovsky, vicino a Kuzemovka:

Ci sono anche alcuni guadagni a sud, vicino a Makeevka:

❗️Svatove settore del fronte e combattimenti nei pressi di Novoselovskysituazione alla fine del 6 luglio 2023Nel settore di Svatove, le unità russe continuano ad assaltare le posizioni dell’AFU nell’area di Novoselovsky. Dopo aver stabilito il controllo del deposito, le Forze Armate russe si sono trincerate sulla Seconda Strada e hanno spostato i loro sforzi nell’area circostante.I soldati delle Forze Armate russe assaltano le roccaforti a sud del villaggio. A seguito dei combattimenti, i militari russi hanno occupato diverse fasce forestali vicino alla ferrovia, anche a ovest della linea ferroviaria.Ora i distaccamenti d’assalto delle Forze Armate russe stanno cercando di avanzare verso l’atterraggio adiacente a Novoselovsky. Alle sue spalle si trova un’importante altura di 190 metri, che rende difficile il traffico da sud.
Ecco una mappa più chiara per vedere Novoselovsky in relazione a Kupyansk a nord-ovest e Svatove a sud-est:

In generale, si può notare che, soprattutto nella direzione sud di questa zona, le forze russe stanno lentamente avanzando verso Torske/Torskoe, che a sua volta non è molto distante da Lyman. Lentamente ma inesorabilmente la Russia sta indietreggiando verso Lyman e infine verso Slavyansk e la direzione di Izyum.

Qui si possono vedere alcuni dei recenti risultati in questa direzione. Qui sotto ci sono elementi del VDV russo che catturano le trincee AFU in quella direzione. Alla fine si può vedere la resa di alcuni AFU:

Ed ecco un’altra trincea in cui non si sono arresi (18+):

Ora, per tornare un attimo a Zaporozhye, vediamo cosa succederà. Sappiamo che Zelensky voleva davvero qualcosa da mostrare per il vertice NATO che si terrà tra pochi giorni, il 12 luglio. Per questo motivo sembrava che una nuova ondata offensiva fosse imminente, e la 128ª Brigata d’assalto di montagna dell’AFU ha lanciato alcuni tentativi ieri, ma non erano così massicci come gli originali:

Il nemico continua ad attaccare sul fianco sinistro di Zaporozhye – già 5 “ondate di carne” si precipitano sotto il fuoco della attack▪️The situazione operativa nel distretto Vasilyevsky in direzione Kamensky alle 19:00. Il giorno dopo la preparazione dell’artiglieria di fanteria, la 128ª Brigata d’Assalto alla Montagna invia ondate di fanteria per attaccare da Pyatikhatka verso Zherebyanki.➨ Le prime 4 ondate sono state in parte spazzate via dalle mine, in parte distrutte e disperse dal fuoco dell’artiglieria e dei nostri combattenti, le forze armate sopravvissute sono fuggite ogni volta alla periferia di Pyatikhatka. Ora sta arrivando l’ondata più grande: fino a 200 militanti della 128ª Brigata delle Guardie stanno di nuovo camminando come zombie sotto il fuoco senza veicoli blindati.➨ Al mattino, gli attacchi nemici sono respinti da 429 reggimenti di fanteria, dal distaccamento di Sudoplatov e dall’artiglieria.➨ Durante le battaglie, il nemico subisce pesanti perdite, ma continua a lanciare la fanteria in battaglia, le battaglie continuano

Tuttavia, si dice che si stiano preparando per un’altra grande battaglia proprio alla vigilia del vertice:

In base ai risultati dell’analisi di tutti i dati in arrivo, ha concentrato fino a quaranta battaglioni nella direzione Orekhovo-Polozhsky, con l’obiettivo di precipitarsi lungo il vettore Orekhov-Tokmak. Comprendendo la nostra capacità di lanciare attacchi missilistici e bombe a grappolo, è probabile che continuerà la tattica di un’offensiva strisciante con forze limitate, fino a quando non capirà che si sono create le condizioni favorevoli per l’introduzione delle riserve principali destinate al successivo lancio in profondità nei nostri territori.
È possibile che venga effettuato un tentativo di attacco simultaneo in direzione di Energodar per catturare la centrale nucleare di Zaporizhia. Qui dovremmo aspettarci le sorprese più spiacevoli – il bacino di Kakhov ne è una testimonianza”.
Ed ecco l’articolo di Rybar con le loro informazioni:

Il nemico si sta preparando a lanciare grandi forze in una nuova ondata offensiva prima del vertice NATO dell’11-12 luglio. Forse stasera o next▪️According secondo gli ultimi dati: ▪️Kyiv ha urgente bisogno di mostrare qualche risultato apprezzabile sul campo di battaglia da riferire all’Occidente. Per un mese, non è stato possibile raggiungere risultati speciali per le Forze Armate dell’Ucraina.▪️In ultime settimane, il nemico ha ritirato le riserve – unità che non hanno preso parte alla prima fase dell’offensiva. che devono essere lanciate in diverse direzioni d’impatto. Compresa la “Guardia offensiva”.▪️At notte, le Forze Armate dell’Ucraina hanno trasferito segretamente l’equipaggiamento in piccoli gruppi, e non in colonne evidenti, concentrandosi più vicino al fronte.▪️Enemy attacca da quasi 2 settimane con quasi nessun veicolo blindato o con un numero minimo. Probabilmente l’equipaggiamento viene conservato per un tentativo di sfondamento del fronte.
Ci sono nuove indicazioni che stanno cercando di concentrare le forze per un tentativo di attraversare il bacino idrico, ma gli attacchi aerei preventivi russi ostacolano continuamente i loro preparativi e li fanno arretrare.

Questo include un attacco con missili da crociera molto potenti su Lvov, ieri, che avrebbe devastato un enorme carico di armi e un punto di concentrazione di mercenari stranieri:

La fonte del Ministero della Difesa russo ha specificato gli obiettivi dell’attacco notturno con Kalibr su Lvov.Lo scopo dell’attacco di oggi sulle riserve dell’Ucraina era l’equipaggiamento occidentale e i militanti sul territorio dell’accademia militare di Lvov. I veicoli blindati occidentali erano presenti sul territorio, con un alto grado di probabilità, carri armati britannici Challenger. È stato inoltre riferito che sul territorio dell’Accademia delle Forze Armate dell’Ucraina al momento dell’attacco c’erano fino a 800 Forze Armate dell’Ucraina e mercenari stranieri.
Ci sono ancora una volta video di edifici devastati che l’Ucraina sta cercando di far passare per civili, proprio come ha fatto nell’attacco di Kramatorsk, dove ora sappiamo che sono morte diverse decine di mercenari.

Ecco un video di quella che si dice essere la caserma che ospitava fino a 800 militari e mercenari occidentali:

L’edificio dell’Accademia dell’Esercito dell’Ucraina è stato colpito nella notte a Lviv (Ucraina) I canali tg russi hanno analizzato l’attacco delle forze armate russe a una struttura critica di Lviv. Le frecce sulla mappa mostrano dove hanno colpito i detriti dei missili di difesa aerea. Gli oggetti intermedi sono cerchiati in rosso.❗️ È emerso che l’attacco è stato condotto sul 9° edificio didattico dell’Accademia dell’esercito. E i media ucraini continuano a gridare agli “attacchi ai civili”.
In realtà, l’assalto a Lvov viene definito da alcuni come il più grande di sempre:

Secondo il capitano di 1° grado Vladimir Gundarov, le truppe russe hanno usato questa volta missili “speciali”, scrive “MK”, e ha osservato che la potenza delle esplosioni è stata semplicemente sorprendente, e la distruzione è stata notata in una vasta area dell’Accademia delle Forze di terra dell’Ucraina. Inoltre, non sono stati colpiti solo edifici scolastici, ma anche parcheggi con attrezzature militari, depositi di carburante, dormitori e caserme.Se sono stati utilizzati Calibers basati sul mare, come dicono i rappresentanti dell’Aeronautica militare ucraina, allora si trattava molto probabilmente di un nuovo modello di missili con testate più potenti. Inoltre, non sono stati colpiti uno o due razzi, ma trenta edifici sono stati danneggiati, secondo le autorità di Lviv, ha spiegato la fonte.P.S. Nel 2022, è stata annunciata una nuova versione aggiornata dei Caliber… potrebbero essere stati usati ieri a Lvov
Ora che la Russia sta usando le sue bombe glidali più di 50 volte al giorno, esse stanno semplicemente colpendo i punti di concentrazione dall’altra parte del Dnieper più e più volte, senza mai dare all’AFU il tempo di accumulare scorte di munizioni. Ci è stato anche mostrato per la prima volta in video questo nuovo Fab-500M62 UMPC che “pianifica” bombe a collisione o “JDAM-ER ortodosso”. Un breve scorcio di due di esse dopo il lancio da un Su-34:

Per chiunque se lo sia perso:

Compare to:

Per chiunque sia interessato, il famoso programma russo “Combat Approved” ha appena pubblicato un nuovo lungo episodio dedicato alla nuova classe di bombe russe guidate e plananti di tutti i tipi:

Ma torniamo all'”offensiva”. L’ultima cosa da dire al riguardo è che l’Ucraina è semplicemente alla disperata ricerca di ogni possibile svolta da vendere ai suoi padroni della NATO a questo punto. Ma ci sono così tante lotte interne, intere unità della 47a Brigata che si rifiutano di andare all’offensiva, vari memorandum per i quali l’equipaggiamento occidentale può o non può essere usato, come la nuova voce che i Challenger britannici sono stati ritirati e che la Gran Bretagna sta minacciando di toglierli completamente se l’Ucraina ne perde uno solo, nello stesso umiliante modo in cui ha fatto con i Leopard. Per non parlare del fatto che, secondo alcuni combattenti catturati dall’AFU, hanno paura di usare anche i mezzi occidentali più prestigiosi perché sanno che la Russia li sta prendendo di mira in modo specifico, quindi andare in giro con uno dei Challenger o dei Leopard ti mette un occhio di bue molto grande sulla schiena:

⚔️ I combattenti ucraini hanno paura di usare attrezzature straniere, compresi i carri armati Leopard, perché credono che i soldati russi stiano prendendo di mira i veicoli forniti dall’Occidente, secondo Andrey Prikhodko, un membro catturato dell’unità paramilitare ucraina “Kraken”, come riportato da RIA Novosti.
Ci sono grossi problemi e ora anche il famoso colonnello austriaco Markus Reisner ha pubblicato un nuovo rapporto in cui spiega che l’offensiva ucraina è completamente “fallita”. Ecco il link in tedesco per chi fosse interessato.

Il suo punto chiave è che l’Ucraina sta “usando le tattiche della NATO” contro una difesa russa preparata, e questo semplicemente non funziona e non funzionerà. Il semplice fatto è che, a prescindere dalle tattiche utilizzate, per avere una possibilità di sfondamento offensivo è necessario un vantaggio di qualche tipo, solitamente e classicamente un vantaggio numerico. Spesso, quando dico questo, qualcuno mi dice: “E i tedeschi in Barbarossa?”. Ebbene, indovinate un po’? I tedeschi ebbero un enorme vantaggio numerico in quasi tutti i primi sei mesi del Barbarossa. Da questo video:

Notate la data in alto a sinistra. La Germania aveva un numero di truppe enormemente superiore, che le permise di respingere l’URSS. L’URSS non riuscì a pareggiare i conti fino alla battaglia di Mosca, quando arrivarono i rinforzi orientali. Le persone estrapolano erroneamente i numeri delle truppe dell’URSS in seguito come se fossero validi per l’intera guerra: non è affatto così.

Quindi il punto è: che razza di follia è il tentativo di “offensiva” ucraino? Stanno affrontando una delle più fitte difese preparate della storia, mentre sono praticamente alla pari o addirittura in inferiorità numerica, e hanno zero copertura aerea. Per non parlare della disparità di artiglieria di 1:10 a loro sfavorevole. Non c’è nessun generale sano di mente nella storia che abbia mai tentato una cosa del genere. Per avere un’offensiva di successo, anche con una forza di pari livello con la quale si è in parità di armamento, è necessario avere un enorme vantaggio numerico nelle truppe per avere una possibilità.

Ecco Pepe sulle perdite dell’AFU dalla sua “fonte”:

Inoltre, il generale francese in pensione Jean-Bernard Pinatel ha fornito la sua valutazione dettagliata, secondo cui non ci sono possibilità di successo per l’Ucraina, poiché la Russia è superiore “in ogni modo possibile”:

Infatti, il segretario alla Difesa ucraino Danilov ha addirittura annunciato che l’obiettivo dell’offensiva non è più quello di “avanzare”, ma piuttosto quello del semplice logoramento:

Il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa ucraino Oleksiy Danilov ha annunciato un cambiamento nella strategia controffensiva delle forze armate del Paese. Secondo lui, in questa fase dell’offensiva, avanzare non è il compito principale delle Forze armate dell’Ucraina. Ha precisato che le forze di difesa dell’Ucraina vedono ora come compito numero uno “la massima distruzione di uomini e attrezzature”.
Un ex comandante delle truppe cecene non ha respinto del tutto l'”offensiva”:

⚡️⚡️⚡️Ex comandante di un gruppo di truppe in Cecenia, il tenente generale Pulikovsky – sulle ragioni dell’inutilità dell’offensiva dell’APU:⚡️⚡️⚡️❗️I non considerano questa offensiva pericolosa. Sì, sono in corso pesanti combattimenti, ma se si trattasse di un’offensiva, implicherebbe, innanzitutto, la creazione di una forza d’attacco. Qualcuno arriva nel primo livello, qualcuno nel secondo, qualcuno sviluppa il successo. Non c’è una forza d’attacco di questo tipo in Ucraina.❗️They hanno circa altre cinque brigate fresche da qualche parte. Ma per sviluppare l’offensiva, il secondo elemento dopo la creazione del raggruppamento è la sconfitta a fuoco del nemico. E l’artiglieria, l’aviazione e i missili. È impossibile avanzare senza di essi.❗️They stanno cercando punti deboli nella nostra difesa su un ampio fronte, inviando piccoli distaccamenti, ficcando il naso nella nostra difesa e cercando un punto debole. Non l’hanno ancora trovato e difficilmente lo troveranno. Perciò, in effetti, la difesa delle nostre truppe è preparata in modo molto, molto qualitativo.
Quindi, ora che l’inevitabile è evidente, si moltiplicano le voci e i discorsi su trattative segrete dietro le quinte per un cessate il fuoco.

Secondo la televisione NBC, gli ex funzionari statunitensi si sono incontrati segretamente con funzionari russi, tra cui il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, nel tentativo di gettare le basi per la possibilità di negoziati per porre fine al conflitto in Ucraina.

Read the article here.

All’ordine del giorno dell’incontro di aprile c’erano alcune delle questioni più spinose della guerra in Ucraina, come il destino del territorio controllato dai russi che l’Ucraina potrebbe non essere mai in grado di liberare, e la ricerca di una sfuggente via d’uscita diplomatica che possa essere tollerata da entrambe le parti.
A quanto pare, gli Stati Uniti stanno cercando una via d’uscita che “salvi la faccia” sia a loro stessi che alla Russia.

La cosa più interessante è che i colloqui sono stati presumibilmente guidati dallo stesso presidente del CFR Richard N. Haass di cui ho recentemente tracciato il profilo:

A sedere con Lavrov c’era Richard Haass, ex diplomatico e presidente uscente del Council on Foreign Relations, come hanno detto funzionari attuali ed ex. Al gruppo si sono aggiunti l’esperto di Europa Charles Kupchan e l’esperto di Russia Thomas Graham, entrambi ex funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato che sono borsisti del Council on Foreign Relations.
Come si può vedere, questo tipo di persona si muove molto. Naturalmente, sono tutti alumni del CFR a negoziare segretamente per conto degli Stati Uniti. Questo dimostra il vero potere subdolo del CFR nella politica mondiale.

L’articolo prosegue notando che quando il direttore della CIA Burns si è recato a Kiev di recente, ha anche ascoltato idee sulla prospettiva di stabilire “colloqui di pace” entro la fine dell’anno. Se ricordate, mesi fa avevo previsto che questa sarebbe stata la strada da seguire, semplicemente perché i democratici avrebbero dovuto concludere la guerra entro il “Big Show” del ciclo elettorale dell’anno prossimo.

Ma prima che qualcuno si faccia prendere dal panico, questi colloqui non sono indicativi di una Russia necessariamente acquiescente o anche solo aperta a compromessi. In nessun caso la Russia ha segnalato una cosa del genere, anzi ogni singolo alto funzionario russo sta segnalando l’esatto contrario: obiettivi sempre più massimalisti.

Un recente op-ed dello stesso Medvedev è stato inequivocabile nelle sue richieste.

Invito tutti a leggere il pezzo di fuoco e fiamme. Nell’articolo, Medvedev nomina le “tre cose principali di cui gli anglosassoni devono rendersi conto”:

Il confronto con l’Occidente è diventato globale. È un confronto totale tra l’Occidente e il resto dell’Est e del Sud globale che si ribellano alla loro egemonia.

Il confronto sarà molto lungo ed è troppo tardi per domare gli ammutinati. In poche parole, sta dicendo che i russi sono pronti ad affrontare il lungo periodo e che nulla di ciò che l’Occidente può fare farà cambiare idea alla Russia o al resto del mondo. Afferma che questo confronto durerà “decenni” ed esorta l’Occidente ad accettarlo ora per attenuare lo shock.

Cosa è disposta a fare la Russia per “compromettere” o porre fine al confronto: l’unica cosa che lo porrà fine, secondo Medvedev, è che tutte le iniziative anti-russe devono essere completamente revocate e il regime nazista di Kiev deve essere totalmente “annientato”.

Leggete il resto dell’articolo per vedere gli altri punti, ma il punto è che la Russia non si fermerà finché l’intero regime nazista di Kiev non sarà completamente distrutto, sradicato, estirpato, derattizzato e disinfestato: La Russia non si fermerà finché l’intero regime nazista di Kiev non sarà completamente distrutto, sradicato, estirpato, derattizzato e disinfestato.

Naturalmente non è possibile che gli Stati Uniti sostengano apertamente una misura del genere, tuttavia una possibile previsione a lungo termine che posso fare è la seguente. Se le cose dovessero peggiorare di molto entro la fine di quest’anno, e gli Stati Uniti cominciassero a disperarsi con l’avvicinarsi del ciclo elettorale del 2024, e la piaga di questa guerra non fosse ancora stata comodamente ripulita e minacciasse di diventare un grande parafulmine e una ferita aperta per la campagna di Biden, allora ci sarebbe la possibilità che gli Stati Uniti facciano un accordo segreto con la Russia per “gettare Zelensky sotto l’autobus”.

Il motivo per cui questo funzionerebbe è che sappiamo che da mesi circolano voci su Zaluzhny che si scontra con lui e su lotte segrete per il potere all’interno della Bankova, con voci che si rincorrono sul fatto che lo stesso Zaluzhny potrebbe rovesciare Zelensky, sempre più impopolare tra le forze armate attuali. Si dice che Zaluzhny sia la seconda figura più popolare in Ucraina. Potrebbe quindi essere possibile che, se portati abbastanza vicini all’orlo del baratro, gli Stati Uniti sponsorizzino segretamente un colpo di Stato per sbarazzarsi di Zelensky e concludere la guerra con un accordo segreto con la Russia per salvare in parte la faccia di entrambe le parti. La Russia otterrebbe l’effetto desiderato di aver “abbattuto il regime di Zelensky”, facendo al contempo alcune concessioni per non far fare agli Stati Uniti la stessa brutta figura.

Naturalmente, per molti versi è improbabile da parte russa, semplicemente perché ci sono molti altri obiettivi massimalisti che la Russia probabilmente ancora persegue, come la riconquista di Odessa e di altri territori, ma non si sa mai. Tutto dipende da quanto i controllori statunitensi sono disposti a rinunciare a favore dell’Ucraina.

Tenendo conto di ciò, ho voluto ristampare questo sondaggio ancora una volta. L’ultima volta avevo solo incollato i risultati, ma ora ho il grafico vero e proprio:

Si noti il prevedibile divario tra maschi e femmine e tra giovani e anziani.

Ma ecco il sondaggio più interessante della fondazione che ho trovato, anche se risale alla fine dell’anno scorso, ma è ancora abbastanza rilevante. Ci sono molti imbroglioni e blogger 2D che sostengono che Shoigu sia “largamente odiato” da tutti in Russia. In realtà questo non è vero.

Se ricordate, io stesso ho cercato di dare una valutazione molto franca e imparziale di Shoigu durante la ribellione di Wagner. Ho affermato che non ci sono prove concrete della sua antipatia. Ci sono alcuni aneddoti provenienti da alcuni segmenti di truppe, ma la maggior parte delle truppe in ogni Paese non ama i propri ministri della Difesa, è solo la natura del gioco: le truppe non sono mai del tutto soddisfatte di come vanno le cose. Pensa che alle truppe americane piaccia il generale Milley?

Quello che ho detto è che tra la popolazione normale Shoigu non è una figura controversa. Non è particolarmente amato o antipatico semplicemente perché non è una personalità “forte” che si prende le luci della ribalta. Svolge il suo lavoro in modo tranquillo e raramente ha avuto scandali, a parte la piccola vicenda della figlia, che non è nemmeno un suo scandalo. E il fatto che sia stato molto vicino a Putin lo rende un po’ popolare, in quanto assorbe un po’ della popolarità di Putin.

Ebbene, tenendo conto di questo, ecco un sondaggio che non ho mai visto prima e che risolve la questione. Tenete presente che, per quanto ne so, questo sondaggio proviene da un’organizzazione di orientamento ucraino, quindi i risultati dovrebbero essere ancora più eloquenti:

Quindi, quasi 2000 intervistati russi e il 62% approva Shoigu, mentre solo il 20% lo disapprova e solo il 12% è “fortemente disapprovato”. Contando gli ambivalenti, si può affermare che quasi l’80% dei russi non disapprova Shoigu. Il fatto che l’approvazione di Putin si aggiri in genere intorno al 75% significa che Shoigu non è troppo lontano. Questo dovrebbe mettere a tacere tutte le pretestuose narrazioni dei blogger 2D, secondo cui Shoigu è “universalmente odiato” dai russi. Questo è palesemente falso ed è solo una scusa usata per costruire le affermazioni traditrici di Prigozhin.

In realtà, lasciatemi raccontare una breve storia su ciò che molti della “vecchia guardia” pensano di Shoigu. Vedete, il predecessore di Shoigu era ampiamente vituperato ed è considerato da molti come colui che ha distrutto le forze armate russe. Si chiama Anatoly Serdyukov ed è stato responsabile di vaste riforme che hanno completamente sventrato le forze armate russe nel periodo 2008-2010. Tenete presente che ogni storia ha due facce e molti sostengono che Serdyukov abbia fatto molte cose buone, ma è odiato da molti esponenti della vecchia guardia.

Fu responsabile del completo sventramento del corpo ufficiali della Russia, della rimozione di molte divisioni e formazioni storiche russe, compresa la completa cancellazione di 3 interi distretti militari. La Russia aveva 7 distretti totali, lui ne ha rimossi 3, lasciando solo i distretti occidentale, meridionale, centrale e orientale. Naturalmente, di recente la Russia ha aggiunto quello settentrionale e ora sta nuovamente aggiungendo gli altri due che aveva rimosso: i distretti di Mosca e Leningrado.

Ha ridotto l’intero organico dell’esercito russo di circa il 30%, rendendo l’esercito russo il più piccolo della storia, eliminando quasi completamente il corpo dei sottufficiali. È anche il responsabile della completa eliminazione della struttura divisionale russa a favore delle brigate. Ancora una volta, alcuni ritengono che le sue “riforme” fossero molto necessarie e che abbiano eliminato molti sprechi. Ma da quello che ho visto da interviste di ex generali russi di quel periodo, hanno detto che ha distrutto la forza.

Ancora oggi si discute di questo personaggio infame e della sua terribile eredità:

Ecco un esempio di un titolo del Guardian del 2012, quando Putin ha finalmente licenziato Serdyukov per corruzione e lo ha sostituito con Shoigu:

“Profondamente impopolare tra le forze armate”. Vi garantisco che Shoigu non è neanche lontanamente “impopolare” nelle forze armate, dato che i soldati che lo odiano sono per lo più prove aneddotiche selezionate a mano. Anche anni dopo, il partito comunista ha continuato a cercare di consegnare Serdyukov alla giustizia.

Shoigu è arrivato nel 2012 e ha avviato le sue riforme per modernizzare l’esercito russo. È sotto di lui che sono nati tutti i programmi russi Ratnik e sono stati fissati nuovi obiettivi di modernizzazione. Nonostante l’efficacia delle riforme di Shoigu possa essere discutibile in alcuni settori, è vero che sotto il suo regime le forze armate russe hanno iniziato a sembrare “moderne” per la prima volta. Se si guarda alla guerra georgiana del 2008, le forze russe assomigliavano ancora non solo a quelle delle guerre cecene, ma probabilmente anche a quelle della guerra afghana degli anni ’80. Solo dopo l’arrivo di Shoigu le forze russe hanno iniziato ad assomigliare per molti aspetti alle loro moderne controparti della NATO, anche se è vero che molto è dovuto ai programmi Ratnik.

Quindi, non è una difesa totale di Shoigu, perché nessuno è perfetto. Ma volevo semplicemente dissipare alcune idee sbagliate, dato che Shoigu è al centro di gran parte della narrazione che si sta facendo. In fin dei conti, Putin non si sottrae all’eliminazione della corruzione. Ha licenziato Serdyukov quando è stata resa nota la sua corruzione. Shoigu è “dichiarato” corrotto (con zero prove) da alcuni imbroglioni che spingono una narrazione in 2D, ma è chiaro che Putin gli sta vicino per un motivo.

Questo è quanto:

Ora, lasciamo da parte alcune ultime voci di interesse.

Una novità interessante è che la Russia ha ridipinto le navi della sua flotta del Mar Nero con un nuovo e innovativo modello di mimetizzazione, progettato per ingannare il rilevamento satellitare. E secondo le fonti occidentali sta funzionando, visto che ora hanno grossi problemi a localizzare le navi russe via satellite:

The Economist. “Il 22 giugno, la nave da guerra russa Admiral Essen è stata avvistata presso la base della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli con un nuovo e brillante schema di colori. La prua e la poppa sono ora nere, mentre la parte centrale è bianca, il che fa sembrare la nave più piccola da lontano di quanto non sia in realtà. Come ha osservato l’analista militare indipendente H. I. Sutton, altre tre navi russe della Flotta del Mar Nero hanno subito una riverniciatura simile. Quali sono le cause? Questo modello di camuffamento è quasi certamente destinato a confondere gli operatori dei droni di superficie. L’Ucraina conduce i suoi attacchi ad alta velocità e gli operatori hanno solo pochi secondi per determinare l’obiettivo. Una colorazione ingannevole può rendere difficile l’individuazione di una nave da guerra sullo sfondo di navi da carico e di supporto.

L’articolo dell’Economist sopra citato cita solo i droni di superficie, ma altri esperti hanno chiarito che si tratta di una violazione completa della sorveglianza satellitare e che anche i ponti di prua e di poppa sembrano ridipinti. Questo dimostra il tipo di innovazione e di contromisure a bassa tecnologia che la Russia impiega per ingannare l’ISR occidentale, e dimostra inoltre che la Russia è all’avanguardia nell’innovazione militare in generale, anche se questa tattica non è di per sé nuova e risale almeno alla seconda guerra mondiale, a quanto mi risulta.

Questi due titoli in successione mi hanno stuzzicato. In uno, Zelensky premia il suo ufficiale AD per aver abbattuto non meno di 13 missili ipersonici russi Kinzhal (risate a crepapelle). Nell’altro, gli Stati Uniti annunciano che un giorno, in futuro, potrebbero sviluppare un sistema in grado di… abbattere i missili Kinzhal russi:

Credo che i ragazzi di Zelensky siano davvero “speciali”.

Un paio di articoli del MSM che mostrano lo stesso design coordinato e stanco:

Una semplice testimonianza di come tutta la propaganda globale dei MSM marci a passo di carica.

Un’altra serie di sondaggi interessanti. Il traduttore ha leggermente sbagliato il primo. La domanda è: se l’Ucraina potesse aderire a una sola unione economica, quale sarebbe? In basso, le risposte dovrebbero essere:

Verde: Unione Europea
Marrone: Unione doganale di Russia, Bielorussia e Kazakistan.
Grigio scuro: Difficile rispondere
Grigio chiaro: Nessuna risposta

Questo si spiega da solo:

Inoltre, un nuovo sondaggio afferma quanto segue sulla popolarità di Putin:

⚡️⚡️⚡️78,6% dei russi si fida di Putin, il 74,8% approva il suo operato.Lo dimostrano i dati del VTsIOM survey⚡️⚡️⚡️
Per non parlare di questo:

81% dei moscoviti si considera felice, il 19% non ha motivo di essere felice e il 5% è decisamente infelice. Se confrontiamo queste cifre con i risultati del sondaggio dell’anno scorso, nel corso dell’anno i moscoviti sono diventati più felici della vita. All’epoca, il 20% dei moscoviti si dichiarava assolutamente felice, mentre il 19% valutava la propria felicità a quattro
A giugno negli Stati Uniti si è tenuta un’interessante serie di esercitazioni chiamata Ridge Runner 23-0, che sembra essere stata incentrata sulla lotta alle tattiche russe utilizzate nella guerra in Ucraina. Per il resoconto completo si rimanda al link qui sopra, che contiene molti dettagli interessanti.

L’evento si è svolto in Virginia e aveva anche simulazioni in scala reale delle unità russe S-400 e dei droni Geran-2:

Ecco il resoconto di un analista:

Università per sabotatori: Gli americani guardano da vicino l’esperienza SMOUn’accozzaglia di forze dell’SDF e del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, con la partecipazione delle forze speciali polacche e di rappresentanti degli eserciti britannico, lettone e lituano, è stata impegnata in un’esercitazione su larga scala, Ridge Runner 23-0. Gli osservatori comprendevano Paesi coinvolti in un modo o nell’altro nel conflitto tra Russia e Ucraina: Australia, Canada, Georgia, Moldavia, Qatar, Ungheria, Germania, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Australia. Una menzione speciale va fatta per gli “ospiti” specifici che sono attivamente coinvolti nel conflitto in Ucraina: Nell’ambito dell’esercitazione, le forze speciali occidentali si sono addestrate a distruggere missili antiaerei, quartieri generali, depositi e piattaforme di lancio di droni kamikaze dietro le linee nemiche (ovviamente la Russia). Sebbene esercitazioni simili siano condotte in tutti gli eserciti più o meno seri del mondo, è da notare che le condizioni di queste esercitazioni sono il più possibile simili alle realtà delle Forze di difesa aerea statunitensi. I nostri nemici stanno studiando attentamente l’esperienza dei DRG ucraini e russi durante l’EWS e non si limitano ad accumularla, ma si preparano anche ad applicarla nei conflitti futuri.La scienza militare non sta ferma, quindi l’esercito russo non dovrebbe riposare sugli allori. È necessario migliorare le tattiche antisommossa e introdurre ogni sorta di innovazione tecnica che permetta di contrastare il nemico in modo più efficace
Ora qualche ultimo video. In primo luogo, gli Stati Uniti hanno rilasciato un’altra denuncia angosciante sul fatto che i Su-35 russi hanno infastidito i loro MQ-9 Reaper sulla Siria:

Gli Stati Uniti hanno dichiarato che i Su-35 hanno scaricato carburante e sparato razzi paracadutati sulla traiettoria del drone, causando la perdita di controllo del pilota, anche se questa volta il drone non si è schiantato.

Questo fa seguito a un rapporto francese secondo il quale i loro caccia Rafale sono stati ugualmente disturbati dai Su-35 russi nelle vicinanze:

❌❗️ – Stato Maggiore delle Forze Armate francesi su Twitter: – “Il 06/07, 2 caccia Dassault Rafale dell’aeronautica francese in missione di protezione al confine tra Iraq e Siria hanno reagito ad un’interazione non professionale da parte di un SU-35 della Federazione Russa The I piloti francesi hanno manovrato per controllare il rischio di incidente prima di continuare il loro pattugliamento. ”

Altri mezzi corazzati AFU distrutti sul fronte di Piatykatki, a ovest di Orekhov:

Un resoconto sull’abbattimento dello Storm Shadow britannico-francese e su come è stato tirato fuori dalla “zona grigia” da un’operazione speciale delle forze volontarie del Bars-11, che ha richiesto 2 giorni sotto il fuoco pesante:

La villa di Prigozhin è stata perquisita, rivelando il suo stile di vita eccentricamente sfarzoso, che comprendeva un caveau di parrucche e foto del suo travestimento da signore della guerra ceceno, al limite del ridicolo:

Sladkov fornisce un aggiornamento sulle perdite dell’AFU dalla piccola sezione del fronte, dove si trova attualmente con le truppe:

Eduard Basurin, della RPD, ha avuto parole di circostanza per i mercenari occidentali:

La ragazza daghestana che Putin ha invitato al Cremlino ha avuto questa simpatica risposta in seguito:

Vi lascio con questa toccante “opera d’arte” lasciata in una strada di Mosca qualche settimana fa. Per chi non lo sapesse, si tratta di un grande pulsante rosso che simboleggia l’avvio del lancio nucleare, con la scritta: “Pazienza russa”.


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Il sole tramonta sulla carriera di Richard N. Haass al CFR, di SIMPLICIUS THE THINKER

Il sole tramonta sulla carriera di Richard N. Haass al CFR

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Il nuovo articolo del NYTimes parla di Richard N. Haass, il presidente più longevo del Council on Foreign Relations, concentrandosi sulla sua decisione di dimettersi dall’istituzione considerata il più antico dei thinktank politici americani. L’articolo analizza la lenta disillusione di Haass per la direzione che il Paese sta prendendo in un mondo in continua evoluzione.

Come accennato, il CFR è probabilmente la più antica delle istituzioni proto-globaliste americane. In parte ha avuto inizio nei giorni della Prima Guerra Mondiale come idea di Woodrow Wilson chiamata “Inchiesta”, che aveva il compito di trovare il modo di ridisegnare favorevolmente la mappa dell’Europa e del mondo dopo la Prima Guerra Mondiale. I primi membri erano “internazionalisti”, precursori del globalismo, e lavoravano sotto la bandiera dichiarata dell'”ingegneria della politica governativa”.

Il CFR decollò quando grandi organizzazioni come le Corporazioni Ford e Carnegie, nonché la Fondazione Rockefeller, iniziarono a elargire ingenti somme di denaro ogni anno. Lo stesso David Rockefeller divenne infine direttore del Consiglio e il gruppo fu altrettanto determinante nella prima storia della CIA.

Richard Haass ha governato il pollaio durante il periodo di massima effervescenza dell’ideale PNAC. Doveva essere l’epoca d’oro della gestione americana del mondo dopo la caduta della sua acerrima nemica, l’URSS, la “fine della storia” proclamata da Francis Fukuyama, fedele del PNAC e del CFR.

Ma come Fukuyama, sembra che la visione ottusa del mondo di Richard Haass si sia inacidita negli anni successivi e abbia cominciato a vedere la luce. Avevo già scritto in passato dei fallimenti di quel breve periodo di euforia del PNAC e di come persino Fukuyama alla fine avesse preso le distanze dalla barbarie neoconservatrice del Medio Oriente degli anni 2000:

How the USSR’s Fall Unleashed a Neocon Goldrush to the Heartland

How the USSR's Fall Unleashed a Neocon Goldrush to the Heartland

Molti conoscono i vari e disparati eventi geopolitici degli anni Novanta e le loro rispettive implicazioni: dalla dissoluzione dell’URSS all’ascesa del movimento neocon americano al centro della scena, che ha fatto precipitare le azioni militari imperialiste della fine del XX e del XXI secolo. Ma pochi riconoscono il legame teleologico essenziale tra…

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Ora, uno dei più strenui sostenitori della crociata anglosassone per governare il mondo si è disilluso e ritiene che siano gli Stati Uniti ad essere diventati, ironicamente, “la più grande minaccia alla sicurezza globale”:

L’articolo si apre stabilendo che ciò che ha tenuto Richard Haass “sveglio la notte” negli ultimi due decenni è stato il solito carosello di “minacce” fittizie: Corea del Nord, Russia, Iran, Cina e persino il cambiamento climatico. Ma tutto questo fa parte del passato; ora Haass ritiene che la minaccia principale siamo “noi”.

Fino a poco tempo fa, questo stratega globale non avrebbe mai pensato a questo. Ma nella sua mente, il disfacimento del sistema politico americano significa che per la prima volta nella sua vita la minaccia interna ha superato quella esterna. Invece di essere l’ancora più affidabile in un mondo volatile, ha detto Haass, gli Stati Uniti sono diventati la fonte più profonda di instabilità e un esempio incerto di democrazia.
Haass lamenta poi che gli sviluppi politici interni dell’America non sono più motivo di emulazione per il resto del mondo. La pura imprevedibilità e “inaffidabilità”, ormai endemica nella cultura politica americana, è ciò che Haass definisce “velenosa”, e costituisce un grosso ostacolo per gli alleati di lunga data.

Il problema è che Haass soffre della tipica mancanza di autoconsapevolezza inerente alla sua classe di sanguisughe burocratiche non elette, prive di quella responsabilità che altrimenti potrebbe appesantire le loro ciniche azioni. Queste figure sono libere di fare ciò che vogliono, di passare anni nella sabbiera dei thinktank per spingere politiche velenose senza la sicurezza incorporata di una reazione politica da parte di un collegio elettorale.

Ora, allarmato da ciò che è diventato il Paese che il suo stesso gruppo ha contribuito a destabilizzare, Haass dichiara che la prossima fase della sua vita sarà dedicata a diffondere la consapevolezza delle “virtù civiche”. Intende diventare una sorta di profeta itinerante, per ri-galvanizzare le masse diseredate, diseredate e disaffezionate che egli vede tardivamente come le chiavi del futuro disastrato dell’America.

È una sorta di pellegrinaggio del penitente, si suppone. Forse il senso di colpa ha corroso ciò che resta della sua coscienza. Dopotutto, ricordiamo che questo è l’uomo che ha fatto una campagna per la dissoluzione delle sovranità nazionali, in nome della “protezione degli interessi [delle nazioni]”, qualunque cosa significhi. Nel 2006 ha sostanzialmente sostenuto l’abolizione totale del sistema di Westfalia:

La sovranità degli Stati deve essere modificata nell’era della globalizzazionePer 350 anni, la sovranità – l’idea che gli Stati siano gli attori centrali sulla scena mondiale e che i governi siano essenzialmente liberi di fare ciò che vogliono all’interno del proprio territorio, ma non all’interno del territorio di altri Stati – ha costituito il principio organizzativo delle relazioni internazionali. Gli oltre 190 Stati del mondo coesistono oggi con un numero maggiore di potenti attori non sovrani e almeno in parte (e spesso in gran parte) indipendenti, dalle imprese alle organizzazioni non governative (ONG), dai gruppi terroristici ai cartelli della droga, dalle istituzioni regionali e globali alle banche e ai fondi di private equity. Lo Stato sovrano ne è influenzato (nel bene e nel male) nella misura in cui è in grado di influenzarli. Il quasi monopolio del potere di cui godevano un tempo le entità sovrane si sta erodendo. Di conseguenza, sono necessari nuovi meccanismi di governance regionale e globale che includano attori diversi dagli Stati. Questo non significa che Microsoft, Amnesty International o Goldman Sachs debbano sedere all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma significa includere i rappresentanti di queste organizzazioni nelle deliberazioni regionali e globali, quando hanno la capacità di influenzare se e come vengono affrontate le sfide regionali e globali.
Sì, nel terzo paragrafo qui sopra, l’autore sostiene che Goldman Sachs e altre società devono avere un posto al tavolo della governance globale. Questo è il tipo di parassita globalista rappresentato nei ranghi del CFR. Vogliono che organismi come il CFR stesso – dove gli oligarchi siedono fianco a fianco con i leader mondiali – diventino il modello de rigeur per la governance globale. La sua argomentazione è semplicemente pragmatica: dopo tutto, se organi globali onnipotenti come BlackRock esercitano un’influenza così vasta nell’attuare il “cambiamento” (nel bene e nel male), allora perché non dare loro voce in capitolo, in modo che il loro potere possa essere sfruttato per azioni benefiche?

In apparenza sembra tutto così idealisticamente ragionevole. Ma ahimè, l’umanità non vuole e non ha bisogno di avere come “governanti benefici”, o addirittura portavoce, dei titani non eletti e onnipotenti della cabala bancaria. Non è così che la governance dovrebbe o potrà mai funzionare. Naturalmente, lo stipendio di Richard Haass è pagato proprio da quegli interessi che egli promuove: ricordate le fondazioni Ford, Carnegie, Rockefeller e altre, che erano i silenziosi finanziatori – e ancor più silenziosi beneficiari – di istituzioni come il CFR.

Dopo tutto, vi fidereste di un uomo che sostiene quanto segue, come ha fatto in quello stesso articolo del 2006:

Inoltre, gli Stati devono essere pronti a cedere una parte della sovranità agli organismi mondiali se si vuole che il sistema internazionale funzioni. Ciò sta già avvenendo nel settore del commercio. I governi accettano di accettare le decisioni dell’OMC perché, tutto sommato, traggono beneficio da un ordine commerciale internazionale, anche se una particolare decisione richiede che essi modifichino una pratica che è loro diritto sovrano portare avanti. Alcuni governi sono disposti a cedere elementi di sovranità per affrontare la minaccia del cambiamento climatico globale. Alcuni governi sono disposti a rinunciare a elementi di sovranità per affrontare la minaccia del cambiamento climatico globale. Ora è necessario un accordo successivo in cui un numero maggiore di governi, tra cui Stati Uniti, Cina e India, accettino limiti alle emissioni o adottino standard comuni perché riconoscono che starebbero peggio se nessun Paese lo facesse.
Conclude che “la sovranità deve essere ridefinita se si vuole che gli Stati affrontino la globalizzazione”. Comodo: la vecchia tesi > antitesi > sintesi. Le élite creano la “globalizzazione” per intrappolare il mondo sotto il giogo consumistico, e poi hanno la stupidità di sostenere che le nazioni devono cedere la loro sovranità per “far fronte” a questo costrutto artificiale, come se si trattasse di una qualche malattia “naturale” contro la quale bisogna vaccinarsi, piuttosto che dello stupro completamente arbitrario, illegale e antidemocratico che rappresenta veramente.

La globalizzazione implica quindi che la sovranità non solo si sta indebolendo nella realtà, ma che deve indebolirsi. Gli Stati farebbero bene a indebolire la sovranità per proteggersi, perché non possono isolarsi da ciò che accade altrove. La sovranità non è più un rifugio.
Ma nel pezzo del NYTimes, Haass continua ad insistere sul fatto che la “rifusione” della democrazia è diventata una “preoccupazione per la sicurezza nazionale”. Il fatto che il leader più longevo di un gruppo che ha spinto le stesse politiche che ora sono tornate a galla, appaia lui stesso così sorpreso dagli effetti che ne derivano, deve lasciare molti – come me – alquanto perplessi. Cosa pensavano che sarebbe successo alla loro preziosa “democrazia” dopo aver trascorso decenni a spingere politiche illiberali e l’abnegazione della sovranità statale e corporea (ricordiamo che il CFR e i gruppi ad esso collegati hanno spinto pesantemente per i vaccini e la frode Covid; in effetti, lo stesso Haass ha scritto articoli firmati CFR sulla questione).

Ora sono terrorizzati dal fatto che il narcisismo patologico, che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni di politica estera americana, abbia generato un mondo di instabilità e frammentazione interna che ha privato le nuove generazioni di un futuro un tempo promettente.

In linea con il mio articolo “Come la caduta dell’URSS ha scatenato…”, la svolta fatalista di Richard Haass mi ha fatto capire che l’era post-Guerra Fredda sarà probabilmente ricordata come una breve “belle epoque” americana. Ciò che la dichiarazione di Fukuyama avrebbe dovuto inaugurare, l’era della democrazia liberale americana come ordine utopico globale ascendente, sarà invece consegnato a un blip di una ventina d’anni – dai primi anni Novanta al 2010 circa – durante i quali l’America ha goduto dei frutti dell’unico status di “superpotenza”, ma li ha sprecati con la sua sanguinaria e immorale ricerca del dominio totale.

Ora che il karma ha avvelenato i pozzi e insabbiato il suolo, trasformando il paesaggio americano in un orrore funereo di perversione antitradizionalista, dilagante nell’immoralità e nell’illegalità dei governi, Haass trova finalmente il coraggio di preoccuparsi per il suo povero Paese:

Nell’ultimo secolo, l’America ha vissuto altri periodi di divisione e discordia: Jim Crow, maccartismo, Vietnam, diritti civili, Watergate. Gli assassinii, le rivolte e la guerra del 1968 vengono spesso ricordati come un anno singolarmente infelice nella vita della nazione. Ma Haass vede questo momento come ancora peggiore. “Non si trattava di minacce al sistema, al tessuto”, ha detto. “Ecco perché penso che questo sia più significativo”.
Ah, ecco la differenza. Non si tratta di un senso di nostalgia patriottica o di ritrovata pietà, ma piuttosto del timore che il marciume abbia finalmente raggiunto le fondamenta del suo amato “sistema”. E quale sarebbe questo sistema, vi chiederete? Di certo non si riferisce allo stesso sistema americano che molti ricordano con affetto, quello che possedeva una parvenza di integrità morale e intellettuale.

No, il sistema che teme di perdere è quello del controllo privilegiato di cui lui e la sua “intoccabile” classe di compari globalisti hanno goduto per tanto tempo, mentre l’America era accecata dall’euforia della caduta della sua arcinemica.

Qualcuno potrebbe mettere in dubbio la mia condanna del Paese a un destino inalterabile. Dopo tutto, forse rimane un briciolo di speranza che la “palude” venga prosciugata da qualche nobile salvatore politico. È vero, possiamo aspettarci una qualche forma di inversione di tendenza, perché la natura è, dopo tutto, ciclica. Tuttavia, credo che per molti versi il tempo dell’America sia finito per sempre, semplicemente perché gli spostamenti tettonici dal modello unipolare non potranno mai essere riparati.

Anche se un giorno l’America stessa potrà riformare la corruzione che la circonda, non potrà mai riconquistare ciò che è stato perso: il prestigio e la fiducia perduti sulla scena mondiale e, soprattutto, la quota di mercato persa nell’economia globale a favore di potenze in ascesa come la Cina, che hanno un vantaggio demografico insormontabile. Senza contare che gli stessi irreversibili problemi demografici dell’America l’hanno condannata a cedere la sua preminenza nell’innovazione, soprattutto quando gli emigranti H-1B, che attualmente alimentano la maggior parte di questa innovazione, si esauriranno sulla scia del declino del dollaro.

No, una volta che il sistema di riserva del dollaro sarà scomparso per sempre, non tornerà mai più. Il mondo sarà sicuramente migliore, ma l’America dorata dell’idée fixe di Haass è finita da un pezzo.

Il brillante profilo del NYTimes si conclude così:

Dopo aver esplorato altri Paesi per la maggior parte dell’ultimo mezzo secolo, Haass è pronto a esplorare il proprio. Mettendo da parte il suo cappello di politica estera per ora, ha detto di voler espandere il messaggio del suo libro e aiutare a riorientare il Paese sui valori fondamentali incarnati nella Dichiarazione di Indipendenza, quando tra tre anni si avvicinerà il 250° anniversario del documento.
Ve lo immaginate? Un uomo che ha sostenuto l’abolizione della sovranità ora rivendica la sacralità della Dichiarazione d’Indipendenza, un documento che emblematizza gli stessi principi della sovranità dell’America da cui sembrava rifuggire come un vampiro dall’aglio. Per non parlare del fatto che il paragrafo coinvolge il principale difetto di Haass: ha trascorso la maggior parte dell’ultimo mezzo secolo a “esplorare altri Paesi” trascurando tristemente il proprio. Non avrebbe dovuto mettere ordine in casa propria, piuttosto che escogitare modi per dividere il resto del mondo tra i suoi coetanei banchieri?

In definitiva, gli occhi attenti che sanno come analizzare l’eufemistico linguaggio globalista che la cerchia di Haass impiega così spudoratamente, possono vedere che il “sistema” frammentato che egli piange non è quello della “democrazia” o della “libertà”, o altri bromuri per i quali vorrebbero far credere di lottare. No, ciò che ha veramente irritato le loro penne è l’ascesa del nazionalismo, del tradizionalismo, del conservatorismo e di altri fioretti insanguinati della piaga neoliberista globalista che affligge il mondo occidentale. La nuova crociata di Haass si concentra proprio su questo. Non gli interessa rieducare gli americani alle “virtù civiche” della Dichiarazione d’Indipendenza: sono solo sciocchezze e cartacce per la galleria che ci distraggono dal vero sforzo.

Ciò che ha veramente scosso le loro fondamenta è che gli americani stessi stanno riscoprendo quelle stesse virtù civiche che Haass e i suoi simili hanno lavorato così assiduamente per calpestare sotto la copertura della campagna di menticidio di massa del complesso militare-industriale-corporativo-mediatico. E queste virtù sono minacce esistenziali per il CFR e per i thinktank globalisti che si sono attaccati al cuore fibrillante dell’America come tumori parassitari.

Quindi, non credo che Haass stia cavalcando verso il tramonto in una qualche ricerca in buona fede per riempire la coppa morale dell’America, ma piuttosto che si stia imbarcando in una nuova crociata per sedare la presunta crisi della “supremazia bianca/nazionalismo” e della “disinformazione”, che i suoi simili fanno di tutto per alimentare come minacce. Con l’eufemismo delle “virtù civiche”, sarà invece una campagna di rieducazione per inculcare alle nuove generazioni americane la paura e la sfiducia nei confronti di cose come la libertà di parola e il populismo, sotto l’antico spettro della “disinformazione” e dello specioso collegamento di questa con il “razzismo/xenofobia/superamento dei bianchi”.

L’intento, come sempre, sarà quello di instillare negli americani il senso della verità; la verità corretta™, cioè. Temo quindi che Haass non stia davvero volando verso il crepuscolo, ma che stia piuttosto passando da un ruolo amministrativo a quello di agente sul campo per l’astroturfing. Dopotutto, il Consiglio, come la CIA, è apparentemente focalizzato su minacce e problemi “stranieri”, quindi il lavoro in “patria” deve essere svolto sotto mentite spoglie.

Ma non preoccupatevi, il CFR è in buone mani con il suo nuovo presidente Michael Froman. Questo articolo di Politico descrive in dettaglio la meticolosa ricerca di un nuovo candidato “inclusivo”:

“Vogliono un candidato eterogeneo”, ha dichiarato questa settimana una persona vicina al CFR, pochi giorni prima della nomina di Froman. “Ai vertici ci sono sempre stati vecchi uomini bianchi”.
Alla fine si sono accontentati di un’altra persona:

Anche se sembra che i suoi membri del B’nai B’rith fossero considerati abbastanza diversi da soddisfare le loro quote.

Beh, brindiamo alla nuova era del CFR; se sarà “fruttuosa” anche solo la metà del regno di Haass, Froman potrebbe essere ricordato come il suo Augustulus.


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*** 2 LUGLIO (di un lontanissimo 1494), di Daniele Lanza

Tutti sappiamo cosa sono l’OVEST e L’EST giusto ? Ma….chi decide dove finisce o inizia un punto cardinale ? Mai pensato ? Ci pensa il trattato di TORDESILLAS (fatta la legge, trovato come aggirarla).
Sono passati appena un paio di annate da quando un genovese al servizio della corona di Castiglia passa per le prima volta da una sponda all’altra dell’Atlantico : si è appena messo piede su un mondo nuovo (come un giorno lontano i nostri posteri vedranno altri pianeti in altri sistemi stellari, forse) che già il “vecchio” inizia a fare storie (…).
Il regno di PORTOGALLO, resosi conto quasi subito dell’immensità degli eventi in corso, protesta fermamente con la corte di Spagna, impugnando un trattato – risalente a una quindicina di anni prima (attorno al 1481) – che riservava ai portoghesi tutta la fascia marittima (e le isole che vi si dovessero trovare) a sud delle Azzorre.
Che significa ? In che modo il comma “a sud delle Azzorre” c’entrerebbe col continente americano ? (ci si chiederà).
Non troppo semplice, anzi un bel rompicapo: logicamente non si poteva imporre un’interpretazione pazzescamente letterale (!!) dell’intesa, ossia che il concetto di “a sud delle Azzorre” fosse da intendersi PRIVA di un limite definito in senso OVEST/EST includendo quindi le Americhe stesse, latitudinalmente (sarebbe stato inverosimile ed inaccettabile).
Piacesse o meno la scoperta di Colombo ridefiniva la geografia stessa introducendo nell’Atlantico un asse ovest/est accanto a quello nord/sud, che doveva essere rispettato.
La Spagna in effetti nello scoprire le Americhe NON aveva tecnicamente violato la demarcazione nord/sud concordata, facendo tombola invece su un differente asse di estensione (quello ovest/est), per il quale NON erano previsti confini e quindi fregando completamente il Portogallo (per metterla in questi termini).
Il Portogallo tuttavia non si perde d’animo: non potendo ignorare la nuova dimensione ovest/est, se ne serve, LIMITANDOLA a modo proprio. Come ?
Si riesce a riconfigurare diplomaticamente, le linee di demarcazione affermando il principio che anche l'”OVEST” scoperto dalla Spagna doveva avere un confine : per la precisione questo “ovest” non poteva collocarsi più ad est che a 370 miglia nautiche da Capo Verde (colonia portoghese nel centro dell’Atlantico, come punto di riferimento: entro le 370 miglia nautiche da lì, era quindi “EST” ancora sfera portoghese dunque).
Più concretamente, sulla base della già esistente e riconosciuta demarcazione nord/sud tra Spagna e Portogallo, si riesce a innestarne anche un’altra di tipo ovest/est, atto a rendere più completo il sistema di limiti geografici esistenti su tutti i punti cardinali.
Inutile girarci attorno: un rompicapo semantico, una lotta all’ultimo comma (…)
In parole altre: La Spagna aveva, con la scoperta del nuovo mondo, acquisito un vantaggio senza limiti………ma il Portogallo riesce (per rotto della cuffia) a dimensionarlo ponendovi almeno un limite, per quanto stiracchiato all’inverosimile.
RIFLESSIONE = Siamo chiaramente di fronte ad una mastodontica distorsione interpretativa (che ha però fatto la storia): l’intesa ispano-portoghese del tardo medioevo da cui tutto parte, conclusa prima della scoperta delle Americhe, chiaramente NON si riferiva ad esse ma ad un’areale marittimo (l’Atlantico) che allora si conosceva.
L’accordo originario (1481), altro non era che un’intesa tra due potenze regionali (spagnoli e portoghesi) inteso a tracciare una linea di divisione tra rispettive sfere di influenza su scala locale, ossia entro il limite di questa distesa fredda di mare che non interessava a quasi nessuno salvo loro (…).
NESSUNO poteva immaginare – in quel momento – che quella massa di mare era, più precisamente, 25 volte più grande del Mediterraneo e che fosse porta d’accesso ad altri continenti.
L’intesa ispano-portoghese era quindi in origine un “accordino” medievale sulla terra di nessuno (se mi si permette di esprimermi così), senza immaginazione di qualcosa d’altro al di là del mare….
Ma bando alle parole ! Come detto, il regno di Portogallo, molto acutamente prende l’iniziativa, mentre i monarchi di Spagna erano ancora storditi per la scoperta fatta, e si fa avanti : l'”intesa” è ancora valida perlomeno a livello di principio, basta solo aggiornarla in qualche modo……..vincolando anche il nuovo mondo scoperto, estendendone retroattivamente ad esso gli effetti (…) Si pensa dunque tale soluzione già menzionata: si prendono come punto di riferimento le isole di Capo verde, nell’Atlantico centrale, e si stabilisce che la terraferma a 370 miglia marittime ad ovest sarà soggetto spagnolo……il resto invece – entro le 370 miglia da Capo Verde è portoghese (vi rientra la costa più occidentale sudamericana, ovvero il Brasile…..).
Abbiamo così un ovest spagnolo ed un est portoghese.
Capito ? Temo che a molti sarà difficoltoso.
Non è per nulla intuitivo, lo capisco: la mossa diplomatica portoghese (a mio avviso) ha qualcosa tra il geniale e l’assurdo, un arrampicarsi sugli specchi di una potenziale disfatta totale. Gli spagnoli con Colombo hanno spezzato oggettivamente le convenzioni della geografia allora conosciuta: i portoghesi riuscirono con un espediente a riconfigurare (dialetticamente) la geografia a sua volta appena riconfigurata (materialmente) da Cristoforo Colombo (…), in un tentativo di creare limiti che altrimenti non sarebbero esistiti (ponendo i monarchi di Spagna in stato di geopolitica onnipotenza).
Sintetizzando: gli spagnoli conquistarono l’OVEST. I portoghesi vinsero a modo loro nel riuscire ad imporre limiti geografici a questo “ovest” spagnolo e definendo cosa NON vi rientrasse (rimanendo quindi in mano portoghese).
Detto fatto, tale visione delle cose inverosimilmente VINCE ed è sancita dal trattato delle TORDESILLAS (firmato il 2 luglio 1494), che consacra tale interpretazione. Il testo originale è tuttora conservato in Spagna come patrimonio dell’umanità.
Il resto è storia.
La Spagna nei secoli a venire darà l’assalto alle “coste settentrionali” dandosi da fare a ispanizzare Caraibi, blocco mesoamericano/nordamericano e sudamericano, mentre il Portogallo – che dispone di meno risorse – resta ancorato al suo monopolio delle “coste meridionali” (ad est del confine deciso a partire da Capo Verde) del nuovo mondo che incontra strada facendo: quelle coste meridionali, come il lettore avrà capito sono la porta di uno spazio di territorio che oggi chiamiamo BRASILE (la cui definizione geografica, certo richiederà ancora secoli…..ma l’inizio è questo).

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