“Non c’è bisogno di combattere come un guerriero lupo”, una conversazione con Xiang Lanxin

Proseguiamo con la serie di articoli di analisti cinesi, presenti in Cina, ma con posizioni divergenti, rispetto alla linea al momento largamente maggioritaria e dominante espressa da Xi Jinping. La finalità di questa pubblicazione è, ancora una volta, di avvalorare che il confronto e lo scontro geopolitico si realizza attraverso il conflitto tra centri decisori e di influenza i quali si intersecano, nelle proprie relazioni, all’interno e all’esterno delle formazioni sociali. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come si è trovato un giornalista britannico all’origine di una nuova dottrina diplomatica cinese? L’ascesa pacifica è ancora un paradigma rilevante per i pensatori geopolitici cinesi? La Cina dovrebbe assolutamente pretendere di imporre una nuova governance globale? Traduciamo e pubblichiamo questa intervista chiave con uno dei più originali e importanti specialisti della diplomazia di Pechino. Una nuova puntata della nostra serie “Dottrine nella Cina di Xi Jinping” — introdotta e commentata da David Ownby.

Xiang Lanxin (nato nel 1956) è un famoso studioso cinese di relazioni internazionali che ha trascorso gran parte della sua carriera negli Stati Uniti e poi in Europa. Dopo aver conseguito la laurea presso la Fudan University di Shanghai, ha conseguito il master e il dottorato presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies. Ha insegnato alla Clemson University fino al 1996, quando è entrato a far parte del Graduate Institute of International Studies di Ginevra (IHEID). Come molti intellettuali cinesi della sua generazione, ha un piede in diversi mondi: se la maggior parte degli articoli accademici di Xiang sono stati pubblicati in inglese, fa ad esempio parte della redazione di Dushu1ed è ben noto in Cina. Ma Guochuan, il giornalista che conduce l’intervista, è il direttore del quotidiano liberale Caijing.2.

Questa intervista3, pubblicato all’inizio della pandemia, nell’aprile 2020, si distingue principalmente per le aspre critiche di Xiang alla “diplomazia dei guerrieri lupo”, termine usato per descrivere le risposte molto combattive della Cina agli attacchi stranieri sulla gestione della pandemia di coronavirus. Il termine “guerriero lupo” si riferisce a due film di guerra d’azione, Wolf Warrior (2015) e Wolf Warrior 2 (2017), che presentano battaglie tra un’unità d’élite dell’Esercito popolare di liberazione (chiamata, appunto, i lupi guerrieri) e vari gruppi di mercenari, tra i quali spiccano gli americani.

Questi film hanno avuto un immenso successo popolare in Cina, paragonabile ai successi di Hollywood che celebrano la guerra e il patriottismo negli Stati Uniti. Uno dei rappresentanti emblematici di questa diplomazia guerriera-lupo è il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Zhao Lijian赵立坚 (classe 1972), che è arrivato a diffondere l’idea che sia l’esercito americano a diffondere il virus a Wuhan. Questi stessi guerrieri lupo hanno più recentemente fatto un passo indietro in risposta alle richieste di responsabilità, persino di rettifica, che sono arrivate da più parti.4.

La diplomazia dei guerrieri lupo, secondo Xiang, sta contribuendo alla destabilizzazione dell’ordine mondiale in un momento in cui la Cina si è in qualche modo convinta, attraverso affermazioni propagandistiche del Partito, della superiorità del “cinese modello”. Xiang ne attribuisce la maggiore responsabilità al giornalista britannico di sinistra Martin Jacques, il cui bestseller del 2009, Quando la Cina governa il mondo, ha entusiasmato i lettori cinesi, soprattutto perché è stato scritto da un occidentale. La responsabilità è in realtà condivisa con l'”accademico” cinese Zhang Weiwei 张维为 (nato nel 1957), che ha riconfezionato l’idea di Jacques per diventare il campione ufficiale delle virtù dello “Stato di civiltà” unico della Cina. Il disprezzo di Xiang per Zhang (che non cita nell’intervista) è palpabile e sembra condiviso da molti altri intellettuali liberali cinesi. Comunque sia, il punto di vista di Xiang è questo: continuare su questa strada corre il rischio che la Cina distrugga l’ordine mondiale che ha consentito la realizzazione del “sogno cinese”, apparentemente senza riguardo alle conseguenze, militari o economiche che questo comporterebbe.

Le osservazioni di Xiang sono interessanti perché la sua posizione di cinese che lavora all’estero gli consente un candore che i suoi compatrioti nella Cina continentale non possono permettersi. Altrimenti, le sue opinioni concordano ampiamente con quelle di altri liberali cinesi della sua generazione, che sono orgogliosi dell’ascesa della Cina ma continuano ad aderire a molti dei valori universali dell’Illuminismo. In una delle sue prime risposte all’intervista, Xiang ha osservato: “Ho lasciato la Cina 37 anni fa e non ho mai preso un nome straniero o acquisito un passaporto straniero. Oltre allo studio e all’insegnamento, ho dedicato tutti i miei sforzi al miglioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, Cina ed Europa.

NON C’È BISOGNO DI COMBATTERE COME UN “GUERRIERO LUPO”

La diffusione del coronavirus nel mondo ha suscitato molte riflessioni. In un articolo pubblicato all’inizio di aprile 2020, Henry Kissinger ha predetto che la pandemia avrebbe cambiato per sempre l’ordine mondiale.5. Come accademico che ha studiato a lungo le relazioni internazionali, condividi la sua opinione?

Xiang Lanxin

Per un certo periodo sono stato Henry Kissinger Fellow presso la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e ho discusso molte volte con lui la complessa questione delle relazioni USA-Cina. Kissinger è un grande pensatore strategico e ha una visione unica dei cambiamenti e delle tendenze in via di sviluppo nel sistema globale. Sono sostanzialmente d’accordo con lui su questo punto. Ma in sintesi, ciò che più mi preoccupa non sono le istituzioni dell’ordine internazionale esistente, quanto piuttosto la tendenza al calo della fiducia tra le principali nazioni, e in particolare tra Cina e Stati Uniti, che raggiunge un punto di non ritorno.

A mio parere, l’osservazione di Kissinger è un riflesso del suo modo di pensare generale. Il suo primo lavoro accademico, A World Restored (1957), si è concentrato sul pacifico nuovo ordine mondiale costruito dal Congresso di Vienna nel 18156. Anche se il capo di questo nuovo ordine internazionale non era la superpotenza mondiale (gli Stati Uniti), ma l’impero austro-ungarico, l’accordo durò comunque un secolo. Il fattore chiave di questo successo è stata l’attenta progettazione dell’ordine mondiale, costruito sulla base di un equilibrio di potere tra le maggiori potenze, che ha favorito la fiducia reciproca, tanto che tutte desideravano che questo ordine fosse mantenuto. Questo libro ci permette di vedere i principi guida del pensiero di Kissinger.

Kissinger ha trascorso mezzo secolo cercando di costruire un rapporto armonioso tra gli Stati Uniti e la Cina. Dalla fine della guerra di Corea (1950-1953), non c’è stata praticamente nessuna guerra tra le grandi potenze. Questa guerra contro il coronavirus ha messo in luce gravi distorsioni nella natura umana e la diplomazia irrazionale tra le grandi potenze è diventata la nuova normalità. Già prima della fine della pandemia è iniziata una guerra di “passaggio di palla (甩锅战)” tra le grandi potenze. Discussioni simili a Versailles su “colpa e responsabilità di guerra” hanno indebolito la nostra attenzione sulla lotta contro il coronavirus e discussioni ridicole sulle “riparazioni” sono state persino espresse nei circoli diplomatici. Da appassionato storico e pensatore, Kissinger deve essere estremamente rattristato. Senza la fiducia tra le grandi potenze, qualsiasi sistema pacifico è molto difficile da mantenere. È una scommessa sicura che le tensioni tra Cina e Stati Uniti non faranno che aumentare.

Attualmente, sulla scena internazionale, e in particolare negli Stati Uniti, le persone cercano di “ritenere la Cina responsabile” e persino di pretendere che paghi dei “danni”. Come dobbiamo capire questo?

Dal punto di vista del diritto internazionale, tenere conto di un paese sovrano non ha senso, perché quel paese gode dell’immunità sovrana. È vero che la mancanza di trasparenza nel sistema cinese ha portato all’inizio alla soppressione degli informatori, che di fatto ha rallentato la lotta al virus7. Ma il mondo intero ha assistito agli enormi sforzi e sacrifici fatti dalla Cina dopo la chiusura di Wuhan. Nel complesso, la lotta della Cina contro il virus ha avuto successo. Questa è una tattica politica comune per i leader stranieri che non riescono a trovare capri espiatori. Dovremmo quindi affidarci al giudizio della maggioranza dell’opinione pubblica, e non lasciarci trascinare in dibattiti sulla questione.

La Cina dovrebbe sfruttare il periodo in cui la pandemia continua a imperversare per raccogliere la sfida di riassumere l’esperienza del Paese con il coronavirus. Chiunque riesca prima a produrre un white paper (o una guida pratica) credibile e basato sull’evidenza può quindi trasmettere questa esperienza di lotta al virus ad altri paesi, il che sarebbe un grande vantaggio nella lotta internazionale per la libertà di espressione in il mondo post-pandemia.

Kissinger ha trascorso mezzo secolo cercando di costruire un rapporto armonioso tra gli Stati Uniti e la Cina.

XIANG LANXIN

Tutti i tipi di teorie del complotto sull’origine del virus sono strettamente legate alla questione della “responsabilità”. Tutte le discussioni che sono fiorite su questo argomento sono diventate terreno fertile per controversie diplomatiche.

Sulla questione dell’origine del virus, la Cina non deve essere troppo sulla difensiva, perché è una questione puramente scientifica e nessun altro punto di vista è credibile. Non importa quante teorie del complotto ci siano, nessuna ha credibilità internazionale. In un momento in cui non c’è una risposta definitiva alla domanda sull’origine del virus, la Cina dovrebbe rimanere estremamente cauta, e non c’è assolutamente bisogno di difendersi adottando la postura offensiva del “lupo guerriero”.”. Quanto ai diplomatici, dovrebbero capire come comunicare con la gente comune sulla scena internazionale, e dovrebbero sapere che non si può abusare del diritto internazionale per esprimersi per diffamazione tit for tat (以谤止谤).

Eppure, negli ultimi anni, sembra essere diventato normale che i diplomatici cinesi rispondano immediatamente con parole molto dure, come se non farlo fosse una prova di mancanza di “patriottismo”. Cosa ne pensi di questa diplomazia del “lupo guerriero”?

La maggior parte dei diplomatici cinesi è stata formata in lingue straniere, il che ci dà questa straordinaria immagine dell’Istituto di Lingue Straniere di Pechino come culla della diplomazia cinese. Se i traduttori si prendono cura dei nostri affari esteri, incontreremo sicuramente dei problemi. Anche quando la dinastia Qing (1636-1911) era sull’orlo del collasso, i traduttori non potevano guidare lo Zongli yamen[Ministro degli Affari Esteri]. Le abilità di un traduttore sono determinate dalle abilità linguistiche e dalle reazioni rapide, mentre la diplomazia di grande potere richiede un pensiero strategico a lungo termine e un’attenta capacità di pianificazione. Sarebbe abbastanza facile correggere la cultura del guerriero lupo nel campo della diplomazia: ciò che sarà più difficile correggere è questa stessa cultura nel campo della propaganda straniera.

LE ORIGINI DELLA CULTURA DEL LUPO GUERRIERO

Dal 1989, quando Deng Xiaoping disse che dovevamo ‘tenere basso’8, i diplomatici cinesi hanno adottato una posizione più calma. Perché allora vediamo l’emergere di questa cultura del lupo guerriero? Da dove viene ?

Ciò che ha dato origine alla cultura del guerriero lupo è la “teoria della superiorità del modello cinese”. Questa teoria non ha avuto origine in Cina, ma è stata copiata da un “guerriero lupo straniero”, il famoso giornalista britannico di sinistra Martin Jacques (nato nel 1945). Dieci anni fa Jacques pubblicò un libro intitolato Quando la Cina governa il mondo , che è la fonte dell’arroganza mostrata oggi da alcuni cinesi. All’epoca, la Cina era ancora in una fase in cui prevaleva l’atteggiamento di “tenere un profilo basso”, ma da quando la crescita economica della Cina ha superato quella dell’Occidente, la fiducia del popolo cinese ha iniziato a crescere.

Jacques è un personaggio dei media e un autoproclamato studioso. Molte persone in Cina pensano che ci capisca e la traduzione cinese di Quando la Cina governa il mondo è diventata un bestseller.

Questo libro ha ricevuto molta attenzione ad un livello molto alto, ma la sua base teorica è sbagliata. La sua idea di “la Cina che governa il mondo” è stata in realtà copiata da altre persone. È una versione della teoria dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze” o della teoria dell'”evoluzione delle egemonie” che esiste da tempo in Inghilterra e negli Stati Uniti.

A prima vista, molte delle argomentazioni avanzate da James assomigliano a quelle dei missionari gesuiti che vennero in Cina molto tempo fa. Ad esempio, Matteo Ricci (1552-1610) ha elogiato il governo e la cultura cinese durante la dinastia Ming (1368-1644), affermando che la Cina “non è solo un regno, ma un intero mondo a sé stante”. Ma Matteo Ricci ha insistito sul fatto che la cultura cinese e quella occidentale potessero capirsi e coesistere e, appena arrivato in Cina, ha lavorato duramente per imparare la lingua e le tradizioni cinesi. Martin Jacques, invece, non parla cinese e conosce poco la storia e le tradizioni cinesi. Nel suo libro stabilisce un dualismo tra bene e male, in cui la Cina viene presentata come un modello per l’Occidente.

A prima vista, molte delle argomentazioni avanzate da James assomigliano a quelle dei missionari gesuiti che vennero in Cina molto tempo fa.

XIANG LANXIN

Pertanto, l’elogio di Jacques alla Cina e al modello cinese si basa sugli attacchi contro il sistema occidentale.

Durante l’Illuminismo in Europa, nel XVIII secolo, apparve una nuova teoria basata su un antagonismo assoluto tra il bene e il male, il bianco e il nero. Questa teoria, con sfumature profondamente teologiche, rifiutava ogni sistema politico diverso da quello che difendeva, e subordinava la legittimità di un sistema al rovesciamento della legittimità di un altro. L’argomentazione di Jacques rientra in questo stesso paradigma.

La tradizione cinese non ha rifiutato altre tradizioni e sistemi culturali , ma ha invece sottolineato l’importanza delle condizioni locali, come nel detto “L’arancia è un’arancia quando cresce a Huainan, ed è un limone quando cresce”. cresce a Huaibei ” (橘生淮南则为橘, 生于淮北则为枳)9. La tradizione cinese non distingueva tra superiore e inferiore, né c’era l’idea di “colpire l’Occidente per promuovere la Cina (抑西扬中). Questo è il motivo per cui, nel corso della storia cinese, confuciani, buddisti e taoisti hanno convissuto pacificamente per lunghi periodi di tempo e praticamente non ci sono state guerre di religione.

Per quanto riguarda la Cina di oggi, ancora in ascesa, la cosa più importante da coltivare è un’immagine internazionale di tolleranza. Tuttavia, all’interno della Cina, alcuni opportunisti politicamente esperti vedevano la “teoria del dominio della Cina” di Jacques come un nuovo modo per acquisire notorietà. Secondo loro, poiché la Cina è destinata a sostituire gli Stati Uniti come egemone mondiale , il modo migliore per proteggere gli interessi del Paese è resistere all’Occidente adottando la postura del guerriero lupo, e cantare le lodi della superiorità di il modello cinese per “denigrare l’Occidente e promuovere la Cina”. Non si rendono conto che questo modo di pensare non ha nulla a che fare con la realtà, e allo stesso tempo tradisce la tradizione cinese.

NON DISTRUGGERE PUBBLICAMENTE IL TUO NEMICO (棒杀) E NON “AUTODISTRUGGERSI ATTRAVERSO UN’ECCESSIVA AUTOPROMOZIONE” (捧杀)10

Jacques sviluppò una “teoria dello stato di civiltà” e divise le nazioni sovrane odierne in due campi: “civilizzato” e “nazionale”. In questo paradigma esisterebbe solo la Cina sia come “civiltà” che come “stato-nazione”11. Ha affermato che i problemi che devono affrontare questi due tipi di paesi sono fondamentalmente diversi. 

La “teoria della civiltà-stato-nazione” è una finzione totale e non regge affatto a livello scientifico. Jacques afferma che la Cina è l’unico “stato-nazione” e “civiltà” esistente e che deve quindi beneficiare di un trattamento culturale privilegiato nel mondo. Infatti, nel mondo di oggi, è impossibile dividere i paesi in “civiltà” e “stato-nazione”. In qualunque modo la si guardi, la Cina è una combinazione dei due. Inoltre, questa teoria distorce lo spirito di base della tradizione cinese. Non c’erano “valori universali” nella tradizione cinese e questa tradizione non distingueva tra culture superiori e inferiori.

Nell’ultimo decennio, alcuni uffici governativi hanno attivamente promosso una cultura del guerriero lupo nei loro rapporti con gli stranieri e hanno formato un corpo di “guerrieri lupo propagandistico”. La base della teoria della superiorità del modello cinese che promuovono è la stessa assurdità dell’idea di una “civiltà stato-nazione”. Dal momento che dicono senza mezzi termini che la Cina è l’unico vero “stato-nazione”, l’unica vera civiltà, ciò significa che i paesi occidentali possono essere solo delle semplici “forme meno avanzate di stato-nazione”. In realtà, la ricchezza della civiltà umana beneficia dello scambio e del dialogo tra le culture. Se tutto l’Occidente risulta essere senza “civiltà”, allora la logica impone che tutto al di fuori della Cina sarebbe territorio barbaro,

Martin Jacques elogia il modello cinese e cerca anche di definirlo, affermando che è sorto sullo sfondo della crisi finanziaria globale del 2008.

In termini di metodologia, questo argomento è l’esatto opposto del pensiero alla base della riforma e dell’apertura della Cina del 1978, che consiste nell’aderire alla tradizione e “cercare la verità dai fatti”12, come in detti come “attraversare il fiume sentendo i sassi”13e l’argomento del “gatto” di Deng Xiaoping14. Questa argomentazione rende i cinesi aderenti all’ontologia dello stesso tipo degli occidentali.

La Cina non ha una tradizione ontologica, e non è così che i cinesi vedono le cose. Una classica formulazione cinese sarebbe piuttosto “dov’è la via?” »15. L’obiettivo del gioco di Jacques, che dipinge la Cina come una “civiltà-stato-nazione”, è infatti quello di condurre le discussioni sulla Cina nell’impasse dell’ontologia occidentale. Quando i cinesi iniziano a pensare ontologicamente, discutendo “qual è il modello cinese”, hanno già perso la strada ( dao o tao nella filosofia cinese). Perché una volta che un “modello” ha una definizione, allora devi supportare il modello, il che porta necessariamente all’autopromozione.

Tuttavia, non si può ignorare che la teoria di Jacques era molto popolare in Cina ed è stata accreditata da molti uffici governativi e università.

Per i cinesi, la “novità” di Jacques era che l’idea del “dominio cinese” proveniva da un Occidente egocentrico. È un ragionamento che gli piaceva, ma rimane uno stile di analisi che ritrae l’Occidente e la Cina come antagonisti. Il fatto che Jacques, venendo da sinistra, lanci l’idea che “la Cina sfida l’ordine mondiale” farà danni infiniti.

C’è una tradizione in Occidente di mettere alla gogna la Cina nella pubblica piazza. Questo continua oggi nonostante il potere della Cina. I neoconservatori americani non hanno mai abbandonato l’idea della “minaccia cinese”. Ma da un’altra prospettiva, ciò che è più difficile da affrontare è che la Cina si fa male promuovendosi eccessivamente. Essere attaccati in pubblico non è un problema, perché tutto è noto e la verità verrà alla luce. Ma indulgere in fantasie di auto-glorificazione non è la stessa cosa, poiché coloro che sono elogiati dimenticano facilmente chi sono, o addirittura si perdono in sogni irrealizzabili. Attualmente, ci sono un certo numero di cinesi che stanno “rileggendo” con entusiasmo la cultura cinese con l’obiettivo di reinventare il “modello cinese”. Sono tutti manipolatori

I neoconservatori americani non hanno mai abbandonato l’idea della “minaccia cinese”. Ma da un’altra prospettiva, ciò che è più difficile da affrontare è che la Cina si fa male promuovendosi eccessivamente.

XIANG LANXIN

Da quello che vedo, non sono solo “lupi guerrieri alieni”. Abbiamo anche il nostro…

I lupi guerrieri di qui e altrove hanno una cosa in comune: sono molto tecnici e non hanno niente nella testa. Con ‘tecnico’ intendo che sono specializzati nell’opportunismo, che sanno sempre da che parte tira il vento e che hanno occhi solo per i loro superiori. Quando parlano del mondo esterno attaccano le culture straniere e quando parlano di affari interni usano il nazionalismo estremo per frodare le masse popolari. Ma nonostante tutto il rumore che fanno, sono sempliciotti. Non portano nulla di nuovo, non hanno posto sulla scena internazionale e sono odiati dagli accademici tradizionali. Questo perché non hanno basi scientifiche, moralità o background.

Ad esempio, l’opinione pubblica cinese ha scambiato Martin Jacques per qualcuno di grande influenza internazionale, quando in realtà è solo una figura marginale che ha scritto un bestseller e non ha posto nel mondo accademico. Quando i giornali cinesi lo hanno chiamato pubblicamente professore di scienze politiche a Cambridge, penso che lo stesso Jacques fosse probabilmente imbarazzato. C’è un altro individuo cinese che è stato un interprete di lunga data per le Nazioni Unite a Ginevra, e che è stato il primo a copiare la teoria della civiltà di Jacques, che ha usato per esaltare la superiorità della Cina sui cieli, e che ha cercato di dimostrare con resoconti di viaggi all’estero che nessuno poteva verificare16. Tale persona, il cui curriculum include un lavoro part-time presso una scuola straniera non riconosciuta dal sistema di istruzione superiore (nota come “scuola del pollo selvatico”17), divenne tuttavia un famoso professore in una famosa università cinese18 !

Allora, qual è la tua opinione su questa “autodistruzione attraverso un’eccessiva autopromozione”?

Sia dal punto di vista della metodologia che dell’opinione pubblica internazionale, “l’autodistruzione attraverso un’eccessiva autopromozione” è stupidità di alto livello (高级黑). Danneggia l’immagine internazionale della Cina e il popolo cinese dovrebbe mantenere un alto grado di vigilanza nei suoi confronti. Dovresti sapere che nella tradizione cinese, la legittimità politica era un concetto dinamico, sempre in evoluzione, un processo di movimento continuo, e non aveva nulla a che fare con una definizione ontologica occidentale. Nel contesto attuale, la legittimità del PCC è definita dalle sue conquiste politiche e non ha nulla a che fare con alcun modello.

Il tentativo di costruire un cosiddetto “modello cinese”, per promuovere teorie sull’unicità della cultura cinese o sulla superiorità del sistema tra le persone, è contrario alla tradizione cinese e non è coerente con i fatti. Prendendo come esempio la lotta contro il coronavirus, nessuno può negare l’enorme impresa che il popolo cinese ha realizzato sconfiggendo il virus, ma le parole e il comportamento dei diplomatici e dei propagandisti cinesi hanno suscitato il disprezzo dell’opinione pubblica mondiale. Da un lato, questi guerrieri lupo hanno colto l’occasione per propagandare il “modello cinese” al mondo, pubblicizzando pubblicamente la sua superiorità e insistendo sul fatto che il modello di governo dei paesi occidentali è allo stremo e sarà presto rovesciato, e che la vera natura degli Stati Uniti,

Questo tipo di arroganza è privo di fatti e manca di umanità; danneggia gravemente l’immagine internazionale della Cina. D’altra parte, usano i social media e le conferenze stampa per impegnarsi in attacchi e critiche invettive e indiscriminate dal mondo esterno, e persino i siti web del governo diffondono pubblicamente teorie del complotto. Il terzo problema è quello delle parole e dei comportamenti arroganti e del disaccordo con le misure del coronavirus adottate da altri Paesi. Quando i diplomatici cinesi chiedono costantemente, direttamente o indirettamente, al resto del mondo di ringraziare la Cina, non sorprende quindi che crei una cattiva impressione.

UNA “TEORIA DELL’ASCENSIONE PACIFICA” DIFFICILE DA SOSTENERE

Al di fuori del governo, molte persone sono interessate alle questioni diplomatiche. Ma altri pensano che queste questioni dovrebbero essere lasciate agli specialisti delle relazioni internazionali. Qual è la tua opinione su questo spartito?

In passato, su questi temi facevamo affidamento sull'”opinione pubblica (舆论)”; il popolo non faceva commenti oltraggiosi sugli affari internazionali perché questi argomenti non erano considerati “banali”, e questo era ancor più vero per la diplomazia e importanti questioni militari. La società si è evoluta e negli ultimi anni la posizione internazionale della Cina ha guadagnato slancio e il grado di trasparenza riguardo alla politica internazionale non è più lo stesso. Ad un certo punto, i commentatori di affari internazionali hanno cominciato a moltiplicarsi come torte calde. Negli ultimi vent’anni, il “commento internazionale” in Cina è diventato un esercizio popolare a cui tutti partecipano.

Certo, è positivo che tutti siano interessati alle questioni internazionali, ma sembra difficile elevare il “commento internazionale” al di sopra di qualcosa come la “selezione dei titoli”. In Cina, il “commento internazionale” di massa è condotto principalmente da un quotidiano sensazionalista chiamato Global Times . Purtroppo, io stesso ho già scritto per questo giornale. Ma allora c’erano dibattiti e discussioni accademiche, mentre oggi è una pubblicazione completamente populista. Questo giornale guida da tempo la vendetta della folla in una direzione nazionalista e le conseguenze che ciò avrà non devono essere prese alla leggera.

Man mano che il “commento internazionale” si è infiammato, anche il campo accademico delle relazioni internazionali si è trasformato, diventando improvvisamente un argomento popolare.

Dobbiamo ammettere che il campo delle “relazioni internazionali” in Cina, come le scienze politiche o l’economia, sono “alberi senza radici, un fiume senza una fonte”. Gli studiosi cinesi non avevano basi teoriche e quindi nessun modo per distinguersi. E quando questo campo, per sempre incuneato tra giornalismo e scienze umane, è diventato improvvisamente un “campo di studio popolare”, è stato solo per via della parola “internazionale”.

In effetti, il campo delle relazioni internazionali rimane alquanto problematico, poiché le fonti di informazione degli specialisti sono di gran lunga inferiori a quelle dei diplomatici in prima linea e, nella loro torre d’avorio, le relazioni internazionali mancano del rigore accademico di altre discipline. Quindi, a livello accademico, hanno difficoltà a trovare il loro posto e, a livello internazionale, hanno solo poca influenza: sono solo la ripresa di altri lavori accademici occidentali. È un paradosso: nel contesto storico dell’ascesa al potere della Cina, le relazioni internazionali sono diventate per essa sempre più importanti; eppure è rimasto al livello di riciclare le teorie occidentali sulle relazioni internazionali, copiando concetti e discorsi occidentali,

Sullo sfondo della rapida ascesa della Cina, ci sono quelli nel campo delle relazioni internazionali che sostengono che la diplomazia cinese dovrebbe essere più dura, mentre altri sostengono la dottrina di Deng Xiaoping del “fare di basso profilo”. I dibattiti su questo tema nella società cinese sono piuttosto vivaci. Come vedi questo dibattito?

In effetti, al momento, la questione non è se essere duri o meno, ma piuttosto presentare bene il caso della Cina. Tutti conoscono la storia della Cina dall’attuazione della politica di riforma e apertura, non c’è bisogno di soffermarci su di essa. Ma la conoscenza della Cina del mondo esterno rimane parziale e finiamo per sollevare dubbi sulle nostre intenzioni all’estero.

In questo momento, la domanda non è se essere duri o meno, ma piuttosto presentare bene il caso della Cina.

XIANG LANXIN

Ad esempio, i ministri del Partito hanno promosso attivamente la teoria dello “shock cinese”, che ha causato una sorpresa globale.19. Che colpo ? Non è altro che giocare con le regole dell’attuale sistema mondiale. Che lo “shock” sia un evento naturale o un tentativo attivo di sovversione, dobbiamo renderci conto che l’ascesa della Cina è il risultato dello sforzo collettivo del popolo cinese che ha costruito decenni di un ambiente esterno pacifico. Non c’è assolutamente bisogno di sconvolgere il sistema mondiale. Anche dal punto di vista della politica nazionale, tali discorsi sono estremamente pericolosi. Abbiamo appena raggiunto lo status di superpotenza e tuttavia stiamo pubblicamente abbandonando il nostro atteggiamento di “tenere un basso profilo”. Il nostro esercito è impreparato, eppure ci presentiamo come la potenza dominante. Come potrebbe il resto del mondo non avere paura?

Forse la teoria dell'”ascesa pacifica” della Cina è più rilevante della teoria dello “shock cinese”?

Quando si discute di concorrenza tra grandi potenze, non dovremmo concentrarci su scambi e dibattiti all’interno del quadro teorico di altre potenze (occidentali). La nostra preoccupazione non dovrebbe essere la “trappola di Tucidide”, ma piuttosto la “trappola del concetto” – e la “teoria dell’ascensione pacifica” è una di queste. Quando la teoria dell'”ascensione pacifica” era di gran moda, accettai l’invito del Washington Post e scrissi un lungo editoriale che sottolineava i difetti significativi della teoria.

Da un punto di vista scientifico, “pacifico” è un avverbio che modifica l’azione di “sorgere”, ma la parola “sorgere” in cinese è in contraddizione con “pace” e ha il significato di “rompere il sistema esistente”, come l’ascesa di una montagna dopo un terremoto. In altre parole, “pace” e “elevazione” si contraddicono a vicenda.20. Questa teoria riflette la psicologia di un piccolo paese, che erroneamente immagina che un grande paese plasmi la propria politica estera in modo indipendente, illustrando la mancanza di una comprensione fondamentale della logica della geopolitica internazionale.

L’idea di una pacifica ascesa non potrebbe essere utile a livello puramente strategico?

Strategicamente, ogni grande potenza che sta vivendo cambiamenti significativi nel suo status internazionale dovrebbe astenersi dal parlare di “ascesa”. Da un punto di vista storico, nessun grande potere ha dato grande importanza alla discussione dei mezzi con cui è sorto al momento della sua ascensione. In primo luogo, se elabori i mezzi con cui “rialzi”, inevitabilmente ti troverai di fronte a domande sulle politiche che utilizzerai quando sarai in declino. In secondo luogo, proclamare unilateralmente che non utilizzerai mai la forza militare per risolvere alcun conflitto internazionale non solo non convince i partner stranieri, ma crea anche dilemmi per te stesso.

Il motivo per cui ho detto che la teoria dell'”ascesa pacifica” riflette la mentalità di un piccolo paese è che presuppone che ci sia una soluzione diplomatica a qualsiasi conflitto internazionale. È veramente l’ideale più alto della visione del mondo [espresso da Laozi, padre fondatore del taoismo, in Il classico della via e del potere ], ovvero che “sebbene i suoni di galli e cani siano uditi da un [villaggio] all’altro, il gli abitanti dell’uno non visiteranno mai l’altro, anche se invecchiano e muoiono”21. L’idea di una “ascesa pacifica” non è sostenibile né ora né in futuro, e la Cina non può evitare la realtà o persuadere il mondo con argomentazioni “pacifiche” su come opera all’interno della governance globale.

L’idea di una “ascesa pacifica” non è sostenibile né ora né in futuro, e la Cina non può evitare la realtà o persuadere il mondo con argomentazioni “pacifiche” su come opera all’interno della governance globale.

XIANG LANXIN

Come vede il dibattito sullo scontro di civiltà nel contesto delle relazioni Cina-USA. Questo conflitto è necessario?

Alcuni anni fa, lo “scontro di civiltà” di Huntington non aveva posto nel mainstream delle relazioni estere americane. Il fatto che alcuni americani ne parlino di nuovo è in realtà una forte risposta ad argomenti come quello cinese sulle “grandi e piccole civiltà”.

Il dibattito non è una brutta cosa. Perché non è solo un dibattito accademico, ma piuttosto idee di governance globale. Ciò che dovrebbe essere chiaro è che le idee cinesi e straniere sulla governance interna e internazionale sono in realtà diverse, ma ciò non dovrebbe dar luogo a conflitti. Se vogliamo chiarire la visione cinese della governance globale, la questione chiave è la differenza tra la concezione cinese e quella straniera dell’ordine mondiale.

Nel mondo anglosassone, attualmente governato dagli Stati Uniti, le discussioni sull’ordine mondiale tornano sempre alle teorie dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze”, che ebbe origine nel 19° secolo con lo storico Edward Gibbons e la sua opera The Ascesa e caduta dell’Impero Romano . Ha sottolineato che la distribuzione del potere era basata sulla forza nazionale, il che significa che ciò che determina se l’ordine mondiale è stabile o meno è meccanico e immutabile. Ciò ha avuto un enorme impatto sulla politica estera americana. Dopo la seconda guerra mondiale, gli americani adottarono la teoria dell ‘”egemonia stabile” e promossero la “pace americana”. La “trappola di Tucidide” è una versione più recente.

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Qual è la versione tradizionale cinese della governance?

Se diciamo che la visione occidentale dell’ordine mondiale si basa sulla distribuzione del potere nazionale, ciò che il sistema vestfaliano chiama “ordine” in opposizione a “disordine” e nel senso di dover scegliere tra l’uno e l’altro, allora il tradizionale La visione cinese della governance si basa su una logica in cui “ordine” e “caos” convivono in un reciproco rapporto di scambio.

Prendi l’esempio del controllo dell’acqua. Ci sono fondamentalmente due modi per controllare l’acqua. Il primo è costruire dighe sempre più alte per evitare che l’acqua trabocchi, che è l’idea di base della politica americana della Guerra Fredda [contenimento ] . Il secondo è cambiare la direzione della corrente. Le dighe hanno sempre, alla fine, un limite. Lavorare sulla direzione della corrente è la migliore strategia a lungo termine.

Pertanto, la tradizionale strategia di governance cinese contraddice sia la teoria dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze” sia la teoria dell'”egemonia stabile”. La Cina deve implementare sistematicamente la propria visione della governance globale. La missione più importante della Cina, che cerca di integrare pacificamente l’attuale ordine mondiale, è quella di fornire una visione relativamente chiara e positiva del suo modo di pensare. Da una prospettiva a lungo termine, il tema principale delle relazioni estere della Cina dovrebbe essere la comprensione interculturale e la comunicazione di civiltà.

FONTI
  1. Dushu (读书, letteralmente “leggere”) è una rivista letteraria mensile influente nei circoli intellettuali cinesi.
  2. Caijing (财经) è una rivista indipendente con sede a Pechino che copre fenomeni politici, sociali, ecc.
  3. 相蓝欣, intervista di 马国川, “著名国际政治专家 相蓝欣教授:反思战狼文化,呼唤文明沟通”, 30 aprile 2020.
  4. Vedi in particolare le dichiarazioni degli ambasciatori cinesi nei paesi europei, ad esempio l’ intervista a Lu Shaye su BFMTV .
  5. Henry Kissinger, “La pandemia di coronavirus altererà per sempre l’ordine mondiale”, Wall Street Journal , 3 aprile 2020
  6. Henry Kissinger, Un mondo restaurato: Metternich, Castlereagh e i problemi della pace, 1812–22, 1957.
  7. Si fa qui riferimento al caso del primo famoso informatore del dicembre 2019, il dottor Li Wenliang.
  8.  Letteralmente “tieni la luce sotto il moggio” (韬光养晦). Nel contesto del dopo Guerra Fredda e del dopo Tienanmen, queste sono le parole pronunciate da Deng Xiaoping nel 1992 che sono all’origine della sua strategia diplomatica di “tenere basso il profilo”. Agli occhi della Cina, è meglio che il Paese nasconda i propri beni, soprattutto in risposta alle “interferenze” degli Stati Uniti che avevano deciso di sospendere le vendite di equipaggiamenti militari dalla Cina dopo gli eventi di Tienanmen, per reagire meglio in seguito.
  9. Huaibei e Huainan sono due grandi città nell’entroterra della provincia dell’Anhui, situate a nord ea sud l’una dall’altra. La loro vicinanza geografica evidenzia l’importanza delle condizioni microlocali in Cina: sebbene i frutti che crescono in queste due città geograficamente vicine sembrino simili, il sapore dei frutti è diverso.
  10.  棒杀: picchiare a morte qualcuno, 捧杀: letteralmente lusingare a morte qualcuno facendolo sentire compiacente
  11.  Nota dell’autore: in effetti, ci sarebbe una civiltà, la Cina, e il resto del mondo sarebbe versioni meno evolute dello stato-nazione. In altre parole, agli occhi della Cina, è l’unico paese al mondo in cui la civiltà coincide ancora con un moderno stato-nazione.
  12. “Cercare la verità dai fatti” (实事求是) è uno dei principali slogan del periodo maoista che promuove una visione realistica delle riforme ed è alla base dell’ideologia socialista cinese.
  13.  Questo proverbio cinese è un riferimento alla politica sperimentale della Cina durante il decennio di apertura che inizia dal 1978 con l’attuazione di misure graduali sugli investimenti esteri, sulle privatizzazioni e sull’apertura del mercato in generale. .
  14. Riferimento alla famosa citazione di Deng Xiaoping (1961) “Non importa se un gatto è bianco o nero, se cattura i topi, è un buon gatto”. In altre parole, non importa l’ideologia o la nazionalità degli imprenditori purché contribuiscano allo sviluppo economico della Cina. Ciò rientra nel contesto delle riforme di apertura difese da Deng già nel 1978.
  15. Concetto maestro del taoismo, la via si traduce in Dao o tao (道). Il taoismo è una delle tre grandi filosofie cinesi (con Buddismo e Confucianesimo) che pone al centro la via, il sentiero come principio fondante all’origine di tutto.
  16. Xiang fa riferimento a Zhang Weiwei, che iniziò la sua carriera di interprete prima di diventare un noto studioso nella trilogia di opere sull’ascesa della Cina degli anni ’90 (i primi due volumi sono stati tradotti in inglese), in cui prende liberamente in prestito da Martin Jacques . Zhang viaggia anche per il mondo per difendere il modello cinese; molte delle sue conferenze e dibattiti sono disponibili in inglese su Youtube.
  17. Xiang si riferisce alla Scuola di diplomazia e relazioni internazionali di Ginevra , un parente povero dell’Istituto universitario di Ginevra dove insegna Xiang. “Wild Chicken 野鸡” è un termine ampiamente utilizzato per qualcosa che non è brevettato.
  18. Zhang ricopre una posizione presso la Fudan University di Shanghai, l’ alma mater di Xiang , ed è anche preside dell’Istituto di studi cinesi all’interno della stessa università.
  19. Questo è un altro riferimento a Zhang Weiwei. Il titolo del secondo volume della sua trilogia è The China Shock (中国震撼).
  20. Un altro significato di “pace” (平) in mandarino è piatto, che contraddice anche il sorgere.
  21. Traduzione tratta da http://www.fang.ece.ufl.edu/daodejing.pdf , testo numero 80.

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/09/10/il-ny-a-pas-besoin-de-se-battre-comme-un-loup-guerrier-une-conversation-avec-xiang-lanxin/?mc_cid=84212e0658&mc_eid=4c8205a2e9

Le conseguenze globali del grande riorientamento strategico dell’Asia meridionale, di Andrew Koribko

Mentre resta da vedere se il Pakistan si trasformerà in modo grottesco dalla “cerniera lampo dell’Eurasia” alla “faglia dell’Eurasia” come si teme, quello scenario è ancora abbastanza credibile da preoccupare seriamente tutte le parti interessate.

Il ruolo centrale dell’Asia meridionale nella grande biforcazione

La transizione sistemica globale al multipolarismo sta portando a profondi cambiamenti in tutto il mondo, in particolare la Grande Biforcazione del sistema precedentemente globalizzato nel Golden Billion occidentale guidato dagli Stati Uniti e nel Sud globale guidato dai BRICS . I complessi processi legati a questo megatrend stanno rapidamente convergendo in Asia meridionale, il che non è un caso. Questa regione geostrategica dell’Eurasia si trova tra la metà occidentale e quella orientale del supercontinente, ponendola così al centro della transizione sistemica menzionata in precedenza che sta spostando il centro di gravità globale dall’Atlantico al Pacifico.

Il precedente stato degli affari

Fino all’ultima fase del conflitto ucraino , provocata dagli Stati Uniti, scoppiata alla fine di febbraio, lo stato delle cose nell’Asia meridionale era relativamente semplice da capire: la decennale rivalità tra India e Pakistan era diventata parte della Nuova Guerra Fredda tra Superpotenze americane e cinesi . Il rafforzamento globale dei legami strategico-militari tra America e India è stato parallelo a quello di Cina e Pakistan. Inoltre, il dilemma di sicurezza cinese-indiano esacerbato dagli Stati Uniti è culminato durante gli scontri tra quei due nell’estate 2020 e quindi sembrava destinato a condannarli per sempre alla rivalità.

Gli osservatori quindi si aspettavano ragionevolmente che queste dinamiche sarebbero rimaste coerenti nel prossimo futuro. Considerando il ritmo e la profondità con cui le partnership strategiche di queste due coppie si erano sviluppate nell’ultimo decennio, e soprattutto tenendo presente come il dilemma della sicurezza cinese-indiana sembrava aver posto queste due grandi potenze asiatiche sulla strada di una rivalità irreversibile che gli Stati Uniti potrebbe facilmente manipolarli per dividerli e governarli perennemente, questa previsione aveva un senso. Sembrava davvero che non ci fossero sorprese serie in serbo per l’Asia meridionale a breve.

Ruoli geostrategici divergenti di India e Pakistan

Tutto ciò è improvvisamente cambiato dopo l’operazione militare speciale che la Russia è stata costretta ad avviare per difendere le sue linee rosse di sicurezza nazionale in Ucraina dopo che la NATO sostenuta dagli Stati Uniti le ha violate. L’America ha immediatamente chiesto all’India di condannare e sanzionare la Russia in solidarietà con il Miliardo d’Oro, sebbene Delhi abbia respinto con orgoglio tutte queste pressioni per difendere i suoi interessi nazionali oggettivi . I grandi calcoli dello stato-civiltà dell’Asia meridionale dovevano rafforzare la sua autonomia strategica nella Nuova Guerra Fredda mantenendo il suo multi-allineamento tra tutti gli attori rilevanti.

Il vicino Pakistan ha tentato qualcosa di simile, anche se purtroppo è caduto vittima di un colpo di stato postmoderno orchestrato dagli Stati Uniti ma guidato a livello nazionale che ha estromesso il suo Primo Ministro multipolare all’inizio di aprile come punizione per la sua politica estera altrettanto indipendente, in particolare la sua dimensione eurasiatica e il rifiuto di ospitare gli Stati Uniti basi o almeno concedere diritti di transito ai suoi droni. Sebbene Islamabad mantenga ufficialmente la sua politica di neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino, la realtà è che le sue autorità golpiste postmoderne sono in pratica prevedibilmente passate sotto il controllo quasi totale degli americani.

Il percorso del Pakistan verso lo status di vassallità

Non solo i talebani (con i quali il Pakistan si trova oggi in un pericoloso dilemma di sicurezza ) li hanno accusati di concedere segretamente diritti di transito al drone statunitense che ha attaccato un presunto obiettivo terroristico a Kabul all’inizio di agosto, ma avrebbero anche spedito munizioni a Kiev attraverso un ponte aereo transnazionale guidato dal Regno Unito. Inoltre, l’agenzia di spionaggio straniera russa sembrava aver suggerito un ruolo indiretto del Pakistan nell’attacco terroristico dell’ISIS-K contro la sua ambasciata nella capitale afgana, anche se solo le loro controparti si erano rifiutate di condividere informazioni rilevanti in anticipo per lasciare che gli eventi si svolgessero astutamente .

L’America sembrava quindi aver premiato i suoi delegati del colpo di stato postmoderno per aver promosso i suoi interessi strategici dopo che il Dipartimento di Stato ha annunciato mercoledì che stava approvando la potenziale vendita di apparecchiature F-16 per un valore fino a $ 450 milioni che erano state congelate sotto l’amministrazione Trump. In quella che non è stata una coincidenza, Cina e India hanno deciso un giorno dopo di disimpegnare reciprocamente le loro forze militari dalla frontiera contesa in quella che è stata una grande riduzione del loro dilemma sulla sicurezza , dovuto al fatto che Pechino ha apprezzato l’orgogliosa dimostrazione di Delhi di strategie strategiche autonomia di fronte alle pressioni statunitensi.

Le mutevoli percezioni della Cina sull’Asia meridionale

È stato a questo punto che è diventato possibile parlare del grande riorientamento strategico nell’Asia meridionale, che è una delle conseguenze più inaspettate della transizione sistemica globale, recentemente accelerata, alla multipolarità. Il precedente stato delle cose in questa regione che gli osservatori avevano finora dato per scontato sta indiscutibilmente cambiando dopo che gli Stati Uniti sono riusciti a ripristinare la loro influenza precedentemente perduta sul Pakistan a seguito del colpo di stato postmoderno da loro orchestrato, che contrasta con il declino dell’influenza degli Stati Uniti sull’India dopo che Delhi ha rifiutato di soddisfare le sue richieste anti-russe.

Questi sviluppi paralleli hanno contribuito a rimodellare la percezione cinese del ruolo che si aspettava che i due paesi più importanti dell’Asia meridionale svolgessero nell’emergente ordine mondiale multipolare. Mentre il Pakistan era stato precedentemente considerato come una risorsa e l’India come un ostacolo, da allora si sono scambiati di posto dopo che gli Stati Uniti hanno ripristinato con successo la loro egemonia sulla prima senza imporla sulla seconda. Fattori correlati sono stati l’India che ha espresso pubblicamente la speranza di aprire insieme il Secolo asiatico con Cina e Russia, sospettando ufficiosamente il Pakistan di un coinvolgimento indiretto nell’attacco dell’ISIS-K all’ambasciata di Kabul.

Tit-For-Tat ma senza intenzioni a somma zero (per ora)

Con il senno di poi, era inevitabile che queste variabili avrebbero portato la Cina a cercare di controbilanciare il “bracconaggio” statunitense del Pakistan migliorando in modo completo le relazioni con l’India, quest’ultima ha dimostrato la sua autonomia strategica e intenzioni sinceramente multipolari. La tempistica dell’accordo sull’equipaggiamento F-16 ripristinato dagli Stati Uniti con il Pakistan e la decisione di disimpegno militare cinese-indiano suggerisce che entrambe le superpotenze hanno previsto con precisione l’inversione del ruolo di quegli stati dell’Asia meridionale nella Nuova Guerra Fredda mesi prima e pianificato di conseguenza, ecco perché i loro sforzi hanno dato frutti più o meno nello stesso periodo.

Tuttavia, il grande riorientamento strategico in corso in questo momento nell’Asia meridionale non deve essere interpretato erroneamente come implicante la creazione di blocchi rigidi o l’ossessione immediata (parola chiave) di qualsiasi partito per le politiche a somma zero. L’India manterrà ancora stretti legami strategico-militari con gli Stati Uniti e continuerà per ora a non essere d’accordo con la Cina su alcune questioni, così come il Pakistan manterrà tali legami con la Cina (soprattutto quelli economico-finanziari tramite CPEC) pur continuando probabilmente ad essere occasionalmente criticato dagli Stati Uniti su alcune questioni interne (anche se questo diventa più raro e molto più mite).

Il significato della previsione strategica

L’importanza nel discutere il potenziale grande riorientamento strategico nell’Asia meridionale è prevedere l’impatto che potrebbe avere sulla più ampia traiettoria della transizione sistemica globale alla multipolarità, che a sua volta può consentire ai decisori di preparare meglio i loro paesi per gli scenari più credibili. Con questo in mente, proprio come la Cina ha risposto al “bracconaggio” del Pakistan da parte degli Stati Uniti attraverso il suo completo miglioramento dei legami con l’India, così anche i progressi della seconda coppia nel fare da pioniere insieme al Secolo asiatico potrebbero essere corrisposti dagli Stati Uniti che sfruttano il Pakistan come ostacolo.

Per non essere frainteso, ci sono ben note faglie preesistenti tra India e Pakistan (per lo più legate all’irrisolto Conflitto del Kashmir ) che occasionalmente portano all’aggravarsi organico di tensioni reciproche che ciascuno accusa sempre l’altro di provocare. Gli Stati Uniti, quindi, non devono svolgere alcun ruolo in questa dinamica poiché di tanto in tanto sono naturalmente decrescenti. Tuttavia, non si può escludere che possa cercare di incoraggiare il Pakistan a violare unilateralmente il cessate il fuoco in vigore dal febbraio 2021 come parte di un piano più ampio per manipolare le percezioni della sua gente sulla Cina.

L’affondamento del cessate il fuoco incoraggiato dagli Stati Uniti in Pakistan

Per spiegare, i pakistani considerano giustamente la Cina come il loro partner più vicino e affidabile in qualsiasi parte del mondo, anche se l’ottica di Pechino che rifiuta di sostenere Islamabad nello scenario che quest’ultima violi unilateralmente il cessate il fuoco con il tacito incoraggiamento di Washington ma incolpa pubblicamente Delhi potrebbe non stare bene con molti. Dopotutto, tutto ciò che è connesso al Kashmir è diventato una parte inestricabile dell’identità pakistana dall’indipendenza 75 anni fa, quindi un bel po’ della sua gente potrebbe essere indotto in errore a rimanere deluso dalla Cina se Pechino non li sostiene sempre su questo tema.

Nonostante la posizione della Cina verso la risoluzione di quel conflitto decennale sia molto vicina a quella del Pakistan, la Repubblica popolare è ancora fermamente contraria a qualsiasi parte che interrompa lo status quo. Ciò significa che Pechino non “tradirebbe” Islamabad non appoggiandola nello scenario in cui il suo regime golpista postmoderno violi unilateralmente il cessate il fuoco con l’incoraggiamento di Washington. Tuttavia, molti pakistani potrebbero ancora essere fuorviati dal momento che è ampiamente considerato patriottico sostenere le loro autorità sul Kashmir indipendentemente dal contesto, il che può fornire un’apertura narrativa per gli Stati Uniti.

Argomenti contro l’India che provocano prima il Pakistan

Gli obiettivi della guerra dell’informazione americana in questo scenario sono diversi, ma prima di raggiungerli, dovrebbe essere brevemente spiegato perché è improbabile che sia l’India a violare unilateralmente il cessate il fuoco. Delhi è fiduciosa che il Global South guidato dai BRICS abbia già concluso che gli Stati Uniti hanno ripristinato con successo il precedente status di vassallità del Pakistan e quindi considerano il suo vicino come se avesse invertito i ruoli con esso diventando il più grande ostacolo regionale alla multipolarità. La violazione del cessate il fuoco fermerebbe anche immediatamente il riavvicinamento cinese-indiano e saboterebbe così lo scenario del secolo asiatico.

Mantenendo lo status quo, tuttavia, l’India calcola che il grande riorientamento strategico dell’Asia meridionale continuerà a procedere rapidamente. Ciò a sua volta accelererebbe la sua ascesa come Grande Potenza influente a livello globale in grado di plasmare la transizione sistemica globale verso il multipolarismo, mentre il ritrovato isolamento regionale del Pakistan determinato dalla sottomissione strategica del regime post-golpe agli Stati Uniti si intensificherebbe. Lasciando semplicemente che gli eventi si svolgano in modo naturale lungo questa prevedibile traiettoria, gli obiettivi nazionali dell’India verrebbero portati avanti senza alcun costo per se stessa, compreso il miglioramento della sua reputazione.

Gli attacchi americani di Infowar contro il partenariato strategico cinese-pakistano

Dopo aver chiarito ciò, è giunto il momento di parlare degli obiettivi della guerra dell’informazione che l’America mirerebbe a raggiungere incoraggiando i suoi delegati pakistani a violare unilateralmente il cessate il fuoco con l’India. Fabbricare artificialmente percezioni negative sulla Cina manipolando l’ottica di quel suddetto scenario rispetto alla falsa insinuazione che la Repubblica popolare abbia “tradito” il Pakistan non sostenendolo durante un altro ciclo di tensioni sul Kashmir è prima di tutto volto a migliorare gli Stati Uniti’ stando agli occhi del pubblico per contrasto.

Questo ha lo scopo di renderli simultaneamente più ricettivi alla crescente conformità del loro regime di colpo di stato postmoderno alle richieste strategiche regionali americane, parallelamente alla produzione artificiale di sostegno popolare per quegli stessi burattini con un finto pretesto patriottico. Per non avere l’intuizione precedente fraintesa o falsata da forze ostili della guerra dell’informazione, non è implicito che il sostegno alla posizione di Islamabad sul conflitto del Kashmir non sia veramente una posizione patriottica per i pakistani. Piuttosto, ciò che viene trasmesso è che ci sono ulteriori motivi per provocare una crisi su di esso.

Lo scenario uigura/Xinjiang

Quelli collegati alle richieste strategiche regionali americane includono il regime di colpo di stato postmoderno che chiude un occhio sulla coltivazione sostenuta dall’estero del sentimento anti-cinese nella società che utilizza come arma le false percezioni sullo Xinjiang al fine di produrre artificialmente il sostegno di base per cambiare la posizione di Islamabad verso quello problema inesistente nel tempo. Lo scopo alla base di ciò è indebolire i loro legami strategici in modo che gli Stati Uniti possano poi prendere il controllo del CPEC e quindi porre l’economia pakistana interamente sotto il suo controllo egemonico, il che perpetuerebbe indefinitamente la vassallità di quel paese.

Lo scenario peggiore sarebbe che il regime di colpo di stato postmoderno appoggiato dagli Stati Uniti alla fine fornisca rifugio (e forse varie forme di supporto) a forze che la Cina considera giustamente terroristi, anche se ciò sembra ancora lontano e può ancora essere compensato molto prima che accada. In ogni caso, il punto per richiamare l’attenzione su questo è descrivere la sequenza di eventi che dovrebbero prima verificarsi, che molto probabilmente sarebbero legati alla manipolazione dell’ottica della Cina che rifiuta di sostenere il Pakistan nel caso in cui quest’ultimo violi unilateralmente il cessate il fuoco con l’India dopo essere stato incoraggiato dagli Stati Uniti.

Mantenere il colpo di stato postmoderno al potere

Il secondo obiettivo della guerra dell’informazione connesso all’ulteriore motivo dietro l’avvio di quello scenario è quello di fabbricare artificialmente un supporto di base per il regime golpista postmoderno con un finto pretesto patriottico. L’ex primo ministro Khan è riuscito selvaggiamente a esporre i suoi sostituti come burattini americani agli occhi della maggior parte dei pakistani, il che spiega perché ha ispirato le più grandi proteste pacifiche nella storia del suo paese e poi ha portato il suo partito a una vittoria schiacciante alle elezioni suppletive del Punjab. Anche se il regime golpista postmoderno lo imprigiona o lo uccide, Dio non voglia, il suo messaggio continuerà a vivere.

Ciò significa che le basi socio-politiche dell’influenza egemonica degli Stati Uniti sul loro vassallo pakistano appena restaurato rimarranno perennemente instabili, cosa che temono possa, nella peggiore delle ipotesi (dal loro punto di vista), alla fine fare una manifestazione moderna dell’antitesi dell’Iran. -Rivoluzione americana inevitabile. Gli Stati Uniti potrebbero facilmente evitarlo ordinando ai loro burattini di tenere elezioni libere ed eque il prima possibile al fine di fungere da valvola di pressione democratica, anche se ciò riporterebbe al potere il loro leader estromesso, dopodiché libererebbe il Pakistan dalla sua nuova stato di vassallo ripristinato.

L’ex primo ministro Khan non è antiamericano come i suoi nemici interni e internazionali lo hanno maliziosamente interpretato, ma filo-pakistano, motivo per cui quasi certamente cercherà di replicare l’equilibrio della vicina India nella Nuova Guerra Fredda coltivando contemporaneamente a vicenda relazioni vantaggiose sia con il Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti che con il Global South guidato dai BRICS. Ciò, tuttavia, è assolutamente inaccettabile per l’America dal momento che l’egemone unipolare in declino ha orchestrato il suo rovesciamento proprio a causa dei suoi grandiosi progetti strategici nella Nuova Guerra Fredda legati all’ostacolo della multipolarità.

Dalla “cerniera lampo dell’Eurasia” alla “faglia dell’Eurasia”

Gli Stati Uniti non rinunceranno mai volontariamente alla loro egemonia appena restaurata sul Pakistan poiché intendono sfruttare il loro tradizionale vassallo allo scopo di ostacolare l’emergente Ordine Mondiale Multipolare nell’Asia meridionale attraverso i mezzi spiegati in precedenza. Va anche da sé che l’America aspira a che il suo fantoccio destabilizzi attivamente anche l’Afghanistan, il che danneggerebbe indirettamente gli interessi di sicurezza di tutte le parti interessate vicine e della Russia . Se il Pakistan alla fine ospita uiguri violenti, lo stato cardine globale potrebbe interrompere la multipolarità a est, ovest e nord.

Questo è esattamente il risultato potenzialmente rivoluzionario che l’America vuole portare avanti nella Nuova Guerra Fredda attraverso la sua “riconquista” del Pakistan e il conseguente grande riorientamento strategico che ha catalizzato nell’Asia meridionale. Lo scopo è trasformare il suo host in una piattaforma unipolare armata per esportare la destabilizzazione nell’Asia meridionale, orientale, centrale e occidentale come la “faglia dell’Eurasia” invece di lasciarle mantenere il ruolo multipolare positivo che aveva precedentemente svolto nel riunire quelle regioni come la “cerniera lampo dell’Eurasia” tramite CPEC+ , come spiegato nella tesi di dottorato dell’autore sulle relazioni russo-pakistane .

Compensazioni di scenario

Per quanto tutto questo suoni terribile, non è comunque inevitabile. ” Il potere del popolo pachistano sconfiggerà il loro impopolare governo importato ” se si terranno elezioni libere ed eque il prima possibile nella remota possibilità che i membri della scuola di pensiero multipolare all’interno dell’establishment pakistano in qualche modo convincano i loro più potenti pro- I coetanei americani lo fanno per ragioni patriottiche. Dopotutto, il ritorno al potere dell’ex primo ministro Khan in quello scenario non porterebbe a risultati “antiamericani” ma puramente filo-pakistani, considerando la sua visione del mondo multipolare e le sue intenzioni equilibranti.

Anche nell’oscuro scenario in cui viene incarcerato o ucciso, Dio non voglia, il suo messaggio continuerà a vivere e ispirerà i suoi compatrioti a continuare la loro ricerca per liberare il Pakistan dalle catene del neoimperialismo. Mettere al bando il più grande movimento nella storia del loro paese dall’indipendenza, per non parlare di perseguitare i suoi milioni di membri o peggio Dio non voglia, indebolirebbe ulteriormente la già molto fragile base socio-politica su cui è costruita l’egemonia restaurata degli Stati Uniti. Ciò significa che il suo crollo è destinato al tempo, anche se non è chiaro se sarà pacifico e/o accadrà prima che vengano inflitti troppi danni regionali.

Pensieri conclusivi

Dopo aver riflettuto su tutto ciò che è stato condiviso in questa analisi, ora non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che un grande riorientamento strategico è attivamente in corso nell’Asia meridionale. È stato catalizzato dalla “riconquista” del Pakistan da parte degli Stati Uniti in seguito al colpo di stato postmoderno che hanno orchestrato e portato al livello successivo dal riavvicinamento cinese-indiano che alla fine è avvenuto in risposta. Mentre resta da vedere se il Pakistan si trasformerà in modo grottesco dalla “cerniera lampo dell’Eurasia” alla “faglia dell’Eurasia” come si teme, quello scenario è ancora abbastanza credibile da preoccupare seriamente tutte le parti interessate.

Ma quale inverno nucleare? Se scoppiasse un conflitto nucleare non sarebbero le città ad essere colpite … Di Claudio Martinotti Doria

Mi capita, con sempre maggiore frequenza, di assistere a video on line nei quali presunti esperti descrivono i rischi di escalation militare del conflitto in corso in Ucraina, prospettando un pericolo di guerra nucleare.

Tra l’altro colgo l’occasione per riflettere sul fatto che i video stanno proliferando mentre gli articoli seri ed esaustivi latitano, presumo per il semplice fatto che sia molto più facile fornire un video a volte improvvisato e superficiale, rispetto a uno scritto meditato, documentato e ponderato.

Devo dedurre che si sceglie la via più comoda per comunicare, che non è garanzia che sia anche quella più consona a informare correttamente. E questo purtroppo accade nella cosiddetta informazione indipendente detta impropriamente controinformazione. Che è uno dei motivi per cui ho sempre rifiutato di prestarmi a interviste e a interventi in video, anche per canali con decine di migliaia d’iscritti, quando non centinaia di migliaia.

Preferisco scrivere, anche se i lettori saranno sempre pochi, perché leggere e capire costa fatica, rispetto all’essere spettatori passivi.

In quasi tutti questi video cui mi riferisco, si descrive perlopiù il rischio di una guerra nucleare utilizzando paradigmi obsoleti e anacronistici, tipici della prima Guerra Fredda, cioè risalenti a una quarantina e oltre di anni fa. E così facendo non si offre un buon servizio d’informazione ma si contribuisce a creare il panico nella popolazione, facendo il gioco del sistema di potere, seppure in buona fede.

Per citare un esempio che rende bene l’idea, quasi tutti questi presunti esperti descrivono le conseguenze di una guerra nucleare come si sarebbe svolta negli anni ’70 e ’80 se fosse esplosa all’epoca. Insistono, infatti, sugli effetti che avrebbe sulla popolazione dando per scontato che si colpirebbero le città con ordigni nucleari di parecchi chilotoni o addirittura megatoni se ricorressero alle armi termonucleari, che sono molto più potenti.

Ma perché mai allo stato attuale della tecnologia e strategia militare si dovrebbero bombardare le grandi città? Per estinguere l’umanità? E a chi gioverebbe la distruzione reciproca?

Personalmente non condivido quest’approccio nel valutare il rischio di un conflitto nucleare, pur non escludendolo.

Semplicemente sono convinto che non avverrebbe in questo modo.

Le città a mio avviso non costituiscono un obiettivo primario. Gli obiettivi di un conflitto nucleare sarebbero semmai militari e strategici, colpirebbero cioè basi e depositi militari, aeroporti, porti, centri di comando e controllo e di comunicazione, satelliti, navi, sottomarini e portaerei, centrali elettriche, ecc..

E per farlo ricorrerebbero a bombe nucleari tattiche, cioè a bassa potenza e con fallout ridotto.

Il pericolo di estinzione dell’umanità paventato dai presunti esperti sarebbe ridotto. Chi colpisse per primo sarebbe ovviamente favorito, soprattutto se lo facesse con un numero elevato di ordigni lanciati quasi contemporaneamente, non dando modo all’avversario di fare altrettanto.

Quello sopra rappresentato è forse il pericolo maggiore, perché indurrebbe una delle grandi potenze a colpire per prima, contando sulla presunzione di disporre di armi più sofisticate e non in grado di essere intercettate.

Il pericolo maggiore in termini culturali e d’impostazione guerrafondaia e psicopatica è indubbiamente rappresentato in questa epoca dagli USA e UK che però fortunatamente non dispongono delle armi più sofisticate (ipersoniche) in materia nucleare, essendo i russi e i cinesi molto più avanzati tecnologicamente di loro.

Spero pertanto che la consapevolezza della loro inferiorità militare li faccia desistere, perché sono pressoché certo che se le parti fossero invertite non esiterebbero a colpire per primi, come del resto dichiarato esplicitamente dal neo premier UK Liz Truss in una sua recente intervista, nella quel si vantava che non esiterebbe a ordinare l’impiego di armi nucleari se la situazione secondo lei lo richiedesse.

Un soggetto quest’ultimo che emula pateticamente la Lady di Ferro nel suo decisionismo, ma senza possederne neppure una minima porzione di capacità, cultura e lungimiranza, essendo di un’ignoranza conclamata.

I mediocri e gli stupidi in posizione di potere politico sono funzionali al sistema finanziario dominante, perché prendono ordini senza valutare criticamente e responsabilmente le ripercussioni sulla popolazione. Ecco perché contribuiscono ad aumentare la tensione e le provocazioni, gettando benzina sul fuoco, per indurre la Russia alla prima reazione nucleare, sperando sia di modesta entità, quanto basta per giustificare un loro intervento congiunto come NATO contro la Russia.

Si tratterebbe in ogni caso di pura ipocrisia, perché la NATO è già di fatto cobelligerante in Ucraina contro la Russia, essendo presenti in combattimento migliaia di loro truppe, seppur con divise ucraine. E la Russia sarebbe perfettamente giustificata dal punto di vista giuridico bellico a considerare i paesi NATO in guerra contro di essa, sia per le forniture di armi all’Ucraina sia per la presenza di loro soldati al fronte.

Quindi se la situazione degenerasse in un conflitto nucleare, è vero che avremmo pressappoco le ripercussioni descritte dai pseudo esperti che straparlano di inverno nucleare, ma non perché raderebbero al suolo le città con estinzioni di massa conseguenti, ma perché la distruzione sistematica degli obiettivi militari e strategici, azzererebbero tutti i servizi cui siamo abituati, torneremmo cioè all’età della pietra, quantomeno per un periodo più o meno lungo, privandoci di tutto quello cui siamo abituati e che diamo per scontati: dall’acqua potabile, all’energia elettrica, dal collegamento a internet all’uso dei cellulari, dai rifornimenti presso i supermercati a tutti i mezzi che la modernità ci ha fornito. Non funzionerebbe più nulla, soprattutto per gli effetti elettromagnetici provocati dalle esplosioni nucleari, oltre alla distruzione dei siti di produzione ed erogazione dei servizi.

A morire nelle fasi immediatamente successive alle esplosioni nucleari locali sarebbero le popolazioni presenti nei siti colpiti e nelle loro immediate vicinanze. Le altre località potrebbero subire gli effetti delle limitate ricadute del materiale radioattivo, secondo la direzione dei venti in ogni singola area geografica.

Il problema per l’Italia sarebbe comunque molto grave, essendo il paese NATO con il maggior numero di basi militari straniere sul proprio suolo, tra cui due aeroporti militari dotati di decine di bombe nucleari, e il più grande deposito di armi dell’intero continente, situato in Toscana.

Credo che quanto da me descritto sia più attinente ai rischi reali che stiamo correndo, molto più che descrivere di presunti bombardamenti sulle grandi città che raderebbero al suolo non solo la superficie urbana ma l’intero paese, che se non immediatamente distrutto diverrebbe comunque invivibile per i decenni a venire per gli effetti devastanti e nefasti della radioattività e dei cambiamenti climatici, questi si reali e non fittizi.

E’ pertanto corretto essere preoccupati per i rischi reali che stiamo correndo ma non ricorrendo a paradigmi di quarant’anni fa ma a ipotesi molto più plausibili e aggiornate, come quelle cui ho fatto riferimento.

Come si possono evitare questi rischi? Prendendo una chiara, netta e risoluta posizione contro i guerrafondai e i loro complici in tutti i governi europei, manifestando con forte determinazione la propria contrarietà a rifornire l’Ucraina di armi e a farsi usare come carne da cannone dagli angloamericani per i loro interessi.

Che lo facciano i paesi dell’est europeo è comprensibile, essendo russofobi e colonie anglosassoni finanziate lautamente, ma che noi nell’occidente europeo ci si presti a questo gioco al massacro, è da utili idioti e imbecilli suicidi, avendo tutto da perdere, compresa la vita.

Articolo riproducibile citando la fonte.

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

20 Osservazioni strategiche sul blitz di Kiev sostenuto dalla NATO nella regione di Kharkov, di Andrew Korybko

Il mondo intero ora si chiede se la dinamica militare-strategica del conflitto ucraino si sia finalmente spostata a favore di Kiev.

Kiev ha colpito la regione di Kharkov durante il fine settimana con il sostegno della NATO dopo aver messo fuori combattimento la Russia e poi aver lanciato migliaia di truppe sulla linea del fronte indebolita di Kharkov per sopraffare i difensori sorpresi. Il portavoce del ministero della Difesa russo Igor Konashenkov ha dichiarato domenica che le vittime degli aggressori tra il 6 e il 10 settembre hanno superato le 12.000, più di un terzo delle quali è stato ucciso. Tuttavia, hanno effettivamente compiuto progressi tangibili sul campo al punto di conquistare più di 2.000 chilometri quadrati durante quei cinque giorni. Il mondo intero ora si chiede se la dinamica militare-strategica del conflitto ucraino si sia finalmente spostata a favore di Kiev.

Per quei lettori che non hanno seguito la serie analitica dell’autore su questo argomento, sono incoraggiati a sfogliare almeno i seguenti pezzi per aggiornarsi sull’evoluzione dei suoi pensieri durante il fine settimana:

* ” Kharkov: cosa sta guidando le ultime dinamiche militari e cosa potrebbe venire dopo? 

* ” Critiche costruttive collegate al ritiro tattico della Russia da Kharkov 

* ” Interpretare le carenze dell’intelligence russa in vista della controffensiva di Kharkov 

Alcune di queste intuizioni verranno riciclate in questa analisi mentre altre parti verranno scartate alla luce di tutto ciò che è accaduto finora. Il presente articolo inizierà quindi esaminando la sequenza degli eventi che hanno portato al blitz di Kiev sostenuto dalla NATO nella regione di Kharkov:

* È stato rivelato che la Russia ha gravi carenze di intelligence

Sia i critici che i sostenitori di quel paese si stanno grattando la testa chiedendosi come abbia fatto a non vedere l’arrivo della controffensiva di Kharkov e prepararsi di conseguenza considerando il fatto che dovevano esserci stati molteplici segnali che l’hanno preceduta, il che può essere attribuibile solo a gravi carenze di intelligence.

* Alcuni a Mosca erano sotto il fascino del pio desiderio

Nonostante il presidente Putin li avesse messi in guardia contro un pio desiderio alla fine di giugno, alcune figure di spicco a Mosca erano chiaramente sotto il suo fascino a causa di una combinazione delle suddette gravi carenze di intelligence, ma anche del loro stesso desiderio di credere che le forze militari di Kiev fossero irrimediabilmente paralizzate.  

* La Russia aveva finora evitato di intraprendere una guerra totale contro Kiev

Le osservazioni precedenti, unite alla sincera convinzione del presidente Putin nell’unità storica di russi e ucraini e alla sua conseguente sensibilità alle vittime civili , hanno portato le sue forze a evitare la guerra totale rifiutando di distruggere infrastrutture critiche come ponti e centrali elettriche.

* La NATO ha continuato a rafforzare con successo le capacità militari di Kiev

Non è chiaro come abbiano continuato a farlo con successo di fronte alle innumerevoli affermazioni russe di aver distrutto numerosi elementi dell’equipaggiamento in arrivo, ma la NATO ancora in un modo o nell’altro ha continuato a rafforzare le capacità militari di Kiev al punto che le forze del suo procuratore sono diventate ancora una volta una minaccia.

* La mentalità di Kiev era che i fini giustificassero i mezzi a prescindere

Mentre la Russia continuava a combattere con una mano volontariamente legata dietro la schiena, Kiev considerava il conflitto una guerra totale e quindi non era contraria a militarizzare le aree residenziali per rallentare l’avanzata di Mosca o a gettare un numero illimitato di suoi uomini nel tritacarne per recuperare il territorio che ha perso.

L’analisi condividerà ora alcune osservazioni su come si è svolta la controffensiva di Kharkov:

* La controffensiva di Kherson ha coperto quella di Kharkov

Uno dei rappresentanti di Kiev ha ammesso che il primo aveva lo scopo di psicanalizzare la Russia riguardo al secondo, ma questa finta non sarebbe riuscita se la Russia non avesse avuto gravi carenze di intelligence e alcuni dei suoi funzionari non fossero stati attirati da un pio desiderio che li ha accecati a questo bait-and-switch.

* La Russia ha difeso in modo inadeguato il fronte di Kharkov dopo essere stata ingannata

Cadere per la finta di Kiev dando la priorità alla difesa delle sue conquiste lungo il fronte di Kherson non era problematico in linea di principio, ma la decisione della Russia di ridistribuire alcune delle sue forze da quella di Kharkov a lì e poi lasciare quel fronte nord-orientale non adeguatamente difeso non era saggia col senno di poi.

* Kiev ha sfruttato questa opportunità per cogliere la Russia completamente alla sprovvista

Il ritmo, le dimensioni e i tempi di ciò che il Ministero della Difesa russo ha descritto come il suo raggruppamento in risposta al blitzkrieg sostenuto dalla NATO di Kiev conferma che è stato colto completamente alla sprovvista, la cui ottica è stata manipolata dai media mainstream (MSM) come “La debolezza militare di Mosca”.

* Gli attaccanti hanno sfruttato appieno la reazione dei difensori

Tirarsi indietro di fronte a questa controffensiva a sorpresa è stata la cosa giusta da fare per la Russia per evitare di perdere inutilmente la vita dei suoi soldati facendo un’ultima resistenza destinata a fallire, ma ha anche portato Kiev a trarre pieno vantaggio dalla sua reazione riconquistando sulla sua scia vaste fasce di territorio.

* La Russia ha perso molte attrezzature mentre Kiev ha perso molte vite

Per quanto impressionanti siano state le conquiste sul campo sostenute dalla NATO di Kiev nei cinque giorni della sua controffensiva di Kharkov, ha anche perso un gran numero dei suoi soldati secondo le statistiche citate in precedenza, mentre i difensori hanno salvato la vita ai loro uomini ma lasciato un sacco di attrezzature nel processo.

Le informazioni raccolte dalle due sezioni precedenti consentono di trarre diverse conclusioni rilevanti:

* Russia e Kiev stanno combattendo due conflitti drasticamente diversi

Il primo è rimanere sinceramente fedele alle auto-restrizioni imposte alla sua condotta militare dal presidente Putin per la sua visione di un’operazione speciale, mentre il secondo sta conducendo una guerra totale senza alcuna preoccupazione per le conseguenze collaterali fintanto che alla fine può rivendicare un avvincente vittoria.

* La costruzione di Kiev sostenuta dalla NATO è stata facilitata dalla mancanza di una guerra totale da parte della Russia

Probabilmente non ci sarebbe mai stata alcuna controffensiva di Kharkov in primo luogo se la Russia non avesse evitato di intraprendere una guerra totale e invece avesse distrutto l’intera infrastruttura critica del suo avversario all’inizio della sua operazione speciale.

* Le operazioni di Infowar di MSM ora hanno una base semi-solida

L’ottica connessa con le conseguenze di quanto appena accaduto fornisce una base semisolida per le due spinte primarie delle operazioni di infowar del MSM: 1) convincere l’opinione pubblica occidentale della necessità di continuare ad armare Kiev; e 2) seminare dubbi su Mosca tra i suoi sostenitori.  

* La Russia deve ripristinare urgentemente la fiducia nelle sue forze in patria e all’estero

Coloro che negano l’ultima battuta d’arresto stanno screditando la Russia in patria e all’estero dopo che è indiscutibile che gli eventi di questo fine settimana sono stati dannosi per la sua causa, ecco perché Mosca deve urgentemente ripristinare la fiducia nelle sue forze, specialmente in risposta alle imminenti operazioni di infowar di MSM.

* Kiev ha inavvertitamente provocato la Russia a un’escalation contro le infrastrutture regionali

Secondo quanto riferito , la reazione della Russia agli ultimi sviluppi ha preso la forma di un attacco alle infrastrutture elettriche e idriche nell’est controllato da Kiev domenica notte, cosa che è stata finora riluttante a fare come spiegato in precedenza, ma sembra obbligata ad essersi impegnata a “salvare la faccia”. ”.

Con queste conclusioni in mente, è possibile fare alcune previsioni sul futuro:

* Il rifiuto di adeguarsi alla politica di guerra totale di Kiev limiterà le opzioni della Russia

Con le forze di Kiev che si rafforzano continuamente con l’appoggio della NATO ei loro leader non si fanno scrupoli a gettare un numero illimitato di uomini nel tritacarne, le opzioni della Russia rimarranno gravemente limitate fintanto che rifiuta di adeguarsi alla politica di guerra totale del suo avversario.

* La mentalità politica del Cremlino deve cambiare per Total War

L’operazione speciale si basa sulle auto-restrizioni militari della Russia volte a promuovere l’obiettivo politico postbellico di ripristinare le relazioni storicamente fraterne tra il suo popolo e quello ucraino, ma l’intero paradigma deve cambiare se il Cremlino decide finalmente di dichiarare una guerra totale.

* Total War rientra nelle capacità militari di Mosca

È puramente dovuto a fattori politici e non militari inesistenti presumibilmente collegati alla diminuzione delle riserve di armi o qualsiasi altra cosa che la Russia non abbia condotto una guerra totale contro Kiev fino a questo punto, essendo ben all’interno delle sue capacità militari e può essere fatto con il minimo costo fisico per sé.

* La Russia potrebbe richiedere una mobilitazione formale per intraprendere una guerra totale

La precedente osservazione connessa con l’inadeguata difesa russa del fronte di Kharkov dopo aver ridistribuito le forze da lì a quello di Kherson suggerisce che potrebbe essere già al limite della sua forza lavoro, quindi perché probabilmente richiederà una mobilitazione formale – con tutto ciò che comporta – fare una guerra totale.

* “Putin Oscuro” potrebbe finalmente diventare una profezia che si autoavvera

Lungi dall’essere il ” mostro, pazzo o mentitore ” che i suoi amici e nemici hanno finora immaginato che fosse, il presidente Putin ha finora dimostrato di essere molto riservato in tutto ciò che fa, ma potrebbe finalmente ribaltarsi per conformarsi (sia sostanzialmente o superficialmente) alla sua reputazione popolare.

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Alla luce delle 20 osservazioni strategiche sulla guerra lampo di Kiev sostenuta dalla NATO nella regione di Kharkov che sono state condivise in questa analisi, si può dire che le affermazioni sulle dinamiche strategico-militari del conflitto ucraino che si stanno finalmente spostando a favore di Kiev non sono accurate. Quello che è successo in realtà è che l’ultima controffensiva ha svelato alcune amare verità sulle carenze russe, ma questo sviluppo ha anche creato involontariamente il pretesto per il Cremlino per intensificare la guerra totale contro il suo avversario in risposta se alla fine viene presa la decisione in tal senso. Il prossimo futuro fornirà quindi maggiore chiarezza sul fatto che il presidente Putin stia seriamente tollerando quella scelta fatale.

https://korybko.substack.com/p/20-strategic-observations-about-kievs?utm_source=substack&utm_medium=email

CRISI: IMPOVERIRE I CITTADINI IN NOME DI COSA? LA POLITICA DIA DELLE RISPOSTE, di Marco Giuliani

CRISI: IMPOVERIRE I CITTADINI IN NOME DI COSA? LA POLITICA DIA DELLE RISPOSTE

A rischio centomila imprese e giù i riscaldamenti per tutti. Il disagio sociale provocato dal coinvolgimento dell’Europa nella guerra e dall’aumento del caro-vita, se non seriamente motivato, non è più giustificabile

Le istituzioni politiche non ci hanno comunicato ancora in nome di quale obiettivo la UE stia trascinando la comunità e i suoi cittadini verso una condizione allarmante, sia dal punto di vista logistico che sociale. Sorgono, spontanee, alcune domande, che crediamo siano le stesse che milioni di persone rivolgerebbero ai rispettivi governi. Il motivo delle costrizioni è quello di punire Putin all’eccesso, facendone una questione morale? Oppure è quello di obbedire a nonno Biden, Borrell e Stoltemberg, che continuano a fomentare il riarmo acuendo il muro contro muro con Mosca e arricchendo le multinazionali che producono bombe? O, ancora, dare luogo a un neobipolarismo economico e politico con l’est del pianeta che sembrava superato ed è, come la Nato, vecchio di quasi ottant’anni? Non è chiaro. E mentre in Italia imperversano le elezioni, i contribuenti soffrono e la politica continentale si sta via via spaccando. Qual è il punto? Tentiamo, come è nostra prassi, di dare spiegazioni suffragate da fatti e da dati analitici raccolti in modo concreto.

Come prima riflessione, non si può non fare riferimento ai redditi medio-bassi e ai pensionati. Ergo: che tipo di interesse o giovamento può riscontrare un anziano che riceve seicento o settecento euro di pensione dal momento in cui la coppia Draghi-Di Maio, su input estrinseci, continua a ripetere, come un disco scassato, che è giusto inviare miliardi di armi agli ucraini perché è l’Occidente che lo chiede? Se la sua bolletta elettrica quadruplica, è più lecito pensare che la prenda bene poiché è un sacrificio chiesto da Washington e da Bruxelles oppure è più razionale presumere che rimanga scioccato dagli aumenti fregandosene del fatto che il signor Zelensky batta cassa un giorno sì e l’altro pure per soldi e missili? L’operaio con busta paga di 1300-1400 euro mensili, rispetto al vertiginoso aumento del caro-vita, si sente più tranquillo o più incavolato se gli si dice che il suo sacrificio si compie per indebolire Putin e per procrastinare la guerra a data da destinarsi? Propendiamo per la seconda ipotesi, e chiunque sostenga il contrario è in malafede o è da legare. Nel frattempo, all’insegna del regit et tuetur in nome della Nato, per l’anno 2022 l’Italia ha stanziato in armi qualcosa come 26 miliardi di euro (+ 5, 4 % rispetto al 2021).

Andiamo avanti. Migliaia di imprese, dopo aver sopportato due anni e mezzo di pandemia, rischiano di chiudere a causa del triplice, quadruplice e anche quintuplice aumento dei carburanti e dell’energia; qui da noi, Palazzo Chigi si giustifica sostenendo che “è priorità essenziale sostenere Kiev con sanzioni a Mosca, con l’acquisto di bombe e con la spedizione di denaro sonante al governo ucraino”. Non può più bastare, non è credibile, così come non è più ammissibile tollerare questa bassa tutela verso il fabbisogno nazionale. Non sono questi gli interessi dell’Italia, così come quelli di Germania o Spagna. Il lato peggiore dell’intera vicenda è tuttavia la penuria di volontà – da parte della comunità europea, lo ripetiamo – di ricercare una soluzione della crisi, promuovere proposte di compromessi che inevitabilmente porterebbero le parti a concedere qualcosa in modo reciproco. Chi rappresenta oggi le istituzioni, sta mascherando la corsa al riarmo con iniziative sconsiderate che tende invece a definire prioritarie ed essenziali. Allora ci pensa l’informazione, ovviamente quella indipendente, a tentare di fare luce su politiche opacissime e spesso sponsorizzate dai media mainstream senza uno straccio di autocritica o contraddittorio. Mentire all’opinione pubblica circa la convenienza di acquistare materie prime dall’Angola, dall’Algeria, dal Congo e dal Qatar (che non rappresentano certo delle democrazie illuminate), magari tacciandole come “misure urgenti”, significa tradire la fiducia dei cittadini perché il prezzo dei carburanti russi è tra i più bassi su scala mondiale. Ricorrere alle centrali a carbone (in piena era di transizione ecologica), come un secolo fa, senza riportare in modo doveroso e onesto che le stesse rappresentano una delle maggiori fonti d’inquinamento dell’intero sistema energetico, significa essere ipocriti con gli elettori a cui fu garantito un maggiore uso delle rinnovabili ai fini della salvaguardia della salute del pianeta.

La sensazione è, ma ci aggiorneremo al 26 settembre, che in Italia le elezioni cambieranno ben poco. È un sospetto che ha la sua variabile indipendente nella fila dei partiti che si è creata, come dietro a uno sportello postale, per fare a gara tra chi sarà il più gradito alla Casa Bianca e a Bruxelles. Qualunque schieramento vinca le elezioni, dovrà, per forza di cose, dichiarare la sua fedeltà a un euroatlantismo che ha fatto dello scontro frontale e della corsa al riarmo i suoi cavalli di battaglia. Ma c’è una contraddizione: poiché gli interessi geopolitici non combaciano, o si è europeisti o si è atlantisti. Lo dice la storia.

 MG

 

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Osservatorio Milex sul bilancio previsionale dello Stato per l’anno 2022, dati raccolti il 10 gennaio 2022, fonte Ministero della Difesa italiano –

Science of the Total Enviroment, rivista di scienze, 1° dicembre 2019, numero 694 –

www.ipsoa.it, pagina del 19 marzo 2022 consultata il 07/09/2022 –

www.ilsole24ore.com, pagina del 22 agosto 2022 consultata il 7 settembre 2022 –

www.micromega.net, pagina dell’8 settembre 2022 consultata l’8 settembre 2022 –

 

 

 

 

 

Interpretazione delle carenze dell’intelligence russa in vista della controffensiva, Di Andrew Korybko_

Tre articoli cruciali, proprio per la autorevolezza e l’orientamento politico della fonte, che riequilibrano il punto della situazione e spiegano nelle more anche alcune dinamiche del conflitto, cruciali per il suo esito, come l’attenuazione degli attacchi in profondità sui punti di raccolta ed i centri logistici e di comunicazione. Da leggere con attenzione, Giuseppe Germinario
Non c’è dubbio che la Russia e i suoi alleati siano stati colti di sorpresa, soprattutto dopo che l’ex consigliere per la sicurezza nazionale diventato addetto stampa per la brigata Bohun delle forze speciali ucraine Taras Berezovets si è vantato di come la sua squadra abbia elettrizzato i suoi avversari prima di questa operazione.

La polvere ha iniziato a depositarsi dopo la fulminea controffensiva di Kiev sostenuta dalla NATO nella regione di Kharkov, che ha portato le sue forze a riconquistare circa 2.000 chilometri quadrati nell’Ucraina nord-orientale. Non c’è dubbio che la Russia e i suoi alleati siano stati colti di sorpresa, soprattutto dopo che l’ex consigliere per la sicurezza nazionale diventato addetto stampa per la brigata Bohun delle forze speciali ucraine Taras Berezovets si è vantato di come la sua squadra abbia elettrizzato i suoi avversari prima di questa operazione. Secondo lui nei commenti riportati da The Guardian :

“[La tanto decantata controffensiva di Kherson] è stata una grande operazione speciale di disinformazione. [La Russia] ha pensato che [la prevista controffensiva] sarebbe stata nel sud e ha spostato le loro attrezzature. Poi, invece del sud, l’offensiva è avvenuta dove meno si aspettavano (a Kharkov), e questo li ha fatti prendere dal panico e fuggire. Nel frattempo i [nostri] ragazzi a Kharkiv hanno ricevuto il meglio delle armi occidentali, per lo più americane”.

Quel giornale britannico ha anche citato una fonte militare senza nome che ha affermato che i servizi di controspionaggio della loro parte hanno sradicato con successo tutti gli informatori e gli agenti sotto copertura di Mosca a Kharkov, dopo di che “I russi non avevano idea di cosa stesse succedendo”. Sebbene entrambe le affermazioni sarebbero normalmente trattate con scetticismo considerando la storia di Kiev di bugie ed esagerazioni, questa volta risultano credibili alla luce di tutto ciò che è appena accaduto. Il presente pezzo cercherà quindi di interpretare le carenze dell’intelligence russa in vista della controffensiva di Kharkov.

Prima di procedere, il lettore è invitato a rivedere le precedenti analisi dell’autore su questo argomento:

* ” Kharkov: cosa sta guidando le ultime dinamiche militari e cosa potrebbe venire dopo? 

* ” Critiche costruttive collegate al ritiro tattico della Russia da Kharkov ”

Dopo averlo fatto, probabilmente saranno d’accordo sul fatto che Kiev abbia davvero messo a dura prova la Russia, cosa che ha avuto successo perché:

* La Russia ha gravi carenze nell’intelligence umana, delle immagini e dei segnali

Questa osservazione potrebbe suonare dura per quei lettori che simpatizzano con la Russia, ma non c’è altro modo per spiegare come le sue forze non abbiano rilevato il massiccio accumulo di forze di Kiev sostenuto dalla NATO intorno a Kharkov, che ovviamente sono arrivate lì da tutta l’Ucraina e persino dall’estero anche.

* Le sue forze militari erano curiosamente sicure nonostante fossero cieche intorno a Kharkov

Il punto di cui sopra rende ancora più curioso il fatto che le forze russe fossero così fiduciose sulla situazione militare intorno a Kharkov che, secondo quanto riferito, non avrebbero nemmeno pensato di costruire difese adeguate né di schierare forze aggiuntive lì nonostante i regolari scambi di fuoco con Kiev nelle ultime settimane.

* Kiev ha sfruttato le percezioni imprecise della Russia sulle capacità militari del suo avversario

Con il senno di poi, sembra convincente che la Russia abbia falsamente pensato, nonostante le gravi carenze dell’intelligence, che Kiev non fosse in grado di preparare una grande controffensiva, non avrebbe avuto successo anche se ci avesse provato, e che questo scenario si sarebbe realisticamente realizzato solo a Kherson, se non del tutto, cosa che i suoi oppositori hanno sfruttato.

Da questi punti, si può dedurre quanto segue sulle percezioni russe prima degli ultimi eventi:

* Le carenze dell’intelligence russa sono state nascoste da funzionari di livello inferiore ai loro livelli superiori

Per quanto difficile possa essere da credere, il vantaggio del senno di poi infonde agli osservatori obiettivi la fiducia di concludere che i funzionari di livello inferiore hanno nascosto le gravi carenze dell’intelligence russa in Ucraina ai loro livelli superiori, che hanno messo in moto tutto ciò che è accaduto di recente.

* Kherson era chiaramente considerato molto più militarmente significativo di Kharkov

Il riferito ridispiegamento delle forze da parte della Russia da Kharkov a Kherson suggerisce che considerava solo il primo fronte militarmente rilevante per vincolare le risorse di Kiev in modo che non potessero sostenere la prevista controffensiva contro il secondo, che Mosca aveva pianificato di schiacciare prima di avanzare su Odessa.

* L’ossessione strategica con Odessa alla fine ha condannato la difesa russa di Kharkov

Praticamente tutti gli osservatori credono che uno degli obiettivi massimalisti della Russia sia incorporare Odessa in Novorossiya, che apparentemente è diventata una tale ossessione che i suoi funzionari hanno trascurato le loro gravi carenze di intelligence in tutta l’Ucraina e sono stati quindi facilmente manipolati da Kiev intorno a Kharkov.

Se la leadership russa arriva a riconoscere uno dei precedenti, allora ci si può aspettare quanto segue:

* Un’indagine globale e in rapido movimento potrebbe portare a sconvolgimenti organizzativi

La causa principale delle carenze dell’intelligence russa è dovuta ai funzionari di livello inferiore che nascondono “fatti scomodi” ai loro superiori, il che probabilmente richiederà un’indagine su chi ha fatto cosa e perché (incluso il motivo per cui il suo controspionaggio non lo ha rilevato) prima di ( importanti?) cambiamenti organizzativi.

* La difesa sarà probabilmente prioritaria rispetto all’attacco

Dopo aver realizzato che è praticamente cieco in Ucraina e lo è già da tempo, la Russia probabilmente darà la priorità alle sue difese su tutto il fronte invece di pianificare potenziali offensive poiché non può essere certo che altre controffensive non siano attualmente in preparazione.

* Mosca potrebbe mitigare i suoi obiettivi massimalisti o tracciare percorsi per ripristinarne la fattibilità

È molto probabile che due scenari strategico-militari considerino i punti precedenti: 1) la Russia si concentrerà sull’assicurarsi i guadagni esistenti e li considererà il massimo che realisticamente otterrà nel conflitto; oppure 2) pianificherà le proprie controffensive al fine di ripristinare la fattibilità dei suoi obiettivi massimalisti (es. Odessa).

Di Andrew Korybko

Analista politico americano

Kharkov: cosa sta guidando le ultime dinamiche militari e cosa potrebbe venire dopo?

La realtà dietro le ultime dinamiche è più sfumata di quanto affermano Kiev, i suoi mecenati occidentali e la Russia, cosa che la presente analisi spiegherà in modo conciso. A tal fine, identificherà i fattori meno discussi che guidano gli sviluppi sul campo più recenti, pronogherà cosa potrebbe accadere dopo e quindi condividerà alcune osservazioni rilevanti sul conflitto ucraino in generale.

Il Western Mainstream Media (MSM) guidato dagli Stati Uniti è estasiato dalle ultime dinamiche militari intorno a Kharkov dopo che le forze di Kiev avrebbero riconquistato circa 1.000 chilometri quadrati (385 miglia quadrate) di territorio dalla Russia e dai suoi alleati del Donbass. Ciò a sua volta ha spinto molti degli oppositori di Mosca a glorificare l’avanzata dell’esercito sui social media e condividere le previsioni sulla sua presunta vittoria imminente nell’ultima fase del conflitto ucraino , provocata dagli Stati Uniti, scoppiata alla fine di febbraio. La realtà è più sfumata, tuttavia, come la presente analisi spiegherà concisamente. Quello che segue è un elenco puntato di punti che attirano l’attenzione sui fattori meno discussi dietro le ultime dinamiche militari:

* Le forze di Kiev dipendono interamente dal supporto militare straniero

Il consigliere presidenziale ucraino Alexey Arestovich ha ammesso a fine marzo che la Russia ha “praticamente distrutto la nostra industria della difesa”, il che significa che le forze di Kiev sono state in grado di mantenere il conflitto in corso da allora solo grazie al supporto militare straniero (USA-NATO).

* Dal 2021 gli Stati Uniti hanno già fornito ai propri procuratori 15,2 miliardi di dollari in aiuti militari

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato la scorsa settimana che gli ultimi 2,8 miliardi di dollari in aiuti militari del suo paese a Kiev portano il totale complessivo a 15,2 miliardi di dollari da quando l’amministrazione Biden è salita al potere, dimostrando così che le forze riceventi sono veramente delegati USA-NATO, soprattutto quando considerando il punto precedente.

* La controffensiva di Kherson ha coperto quella di Kharkov

La controffensiva di Kharkov ha seguito rapidamente quella fallita di Kherson ed è riuscita così a ottenere un certo successo sul campo (per quanto potenzialmente transitorio) dopo che i difensori hanno dato giustamente la priorità alle loro forze limitate per proteggere il fronte meridionale molto più strategicamente significativo.

* La Russia preferirebbe ritirarsi piuttosto che tirare un Mariupol (per ora)

A differenza delle forze di Kiev che militarizzano illegalmente le aree residenziali per sfruttare de facto i civili lì come scudi umani esattamente come ha dimostrato Amnesty International il mese scorso, la Russia preferirebbe ritirarsi piuttosto che rischiare danni collaterali ai civili e alle infrastrutture, almeno secondo i suoi calcoli attuali (che potrebbero cambiare) .

* Kharkov potrebbe essere sacrificabile in Russia da una prospettiva strategica

Non tutti i guadagni sul campo in qualsiasi conflitto devono essere mantenuti indipendentemente dal costo, che è stato precedentemente dimostrato nel contesto ucraino rispetto a Kiev all’isola dei serpenti , quindi ne consegue che il ritiro tattico della Russia da Kharkov potrebbe anche servire a strategie simili rispetto al fronte meridionale per esempio.

Dopo aver identificato i fattori rilevanti, è tempo di prevedere cosa potrebbe accadere dopo:

* La Russia potrebbe completare completamente il suo ritiro tattico dalla regione di Kharkov…

Ricordando il precedente stabilito dal suo precedente ritiro tattico dalle regioni settentrionali dell’Ucraina intorno a Kiev, la Russia potrebbe anche completare completamente la stessa manovra da Kharkov per ragioni strategiche che possono essere solo ipotizzate in questo scenario fino a quando tutto non sarà più chiaro in seguito.

* …Oppure la Russia e i suoi alleati del Donbass potrebbero respingere l’esercito per procura della NATO

C’è anche la possibilità che le forze in difesa respingano attivamente gli aggressori, sia per fermare l’avanzata alimentata dalla NATO di questi ultimi e quindi congelare la linea di contatto in questa parte dell’Ucraina o per ri-liberare il territorio recentemente conquistato, che potrebbe in ogni caso portare a una grande battaglia.

* La potenziale battaglia di Kharkov potrebbe rivelarsi un punto di svolta nel conflitto

Se la Russia e i suoi alleati del Donbass decidessero di invertire le ultime dinamiche militari, la conseguente battaglia di Kharkov potrebbe alla fine rivelarsi un punto di svolta nel conflitto, dopo di che i colloqui di pace potrebbero potenzialmente riprendere prima del prossimo inverno e prevedibilmente essere dettati dal vincitore.

* La Russia potrebbe finalmente dichiarare la mobilitazione ufficiale delle sue forze

Secondo lo scenario precedente, il significato della potenziale battaglia di Kharkov nel determinare la successiva dinamica militare-strategica del conflitto ucraino potrebbe costringere la Russia a dichiarare finalmente una mobilitazione ufficiale per eguagliare il numero, sostenuto dall’estero, del crescente esercito per procura della NATO.

* Successo rapido = Cambio di gioco mentre stallo = Più o meno lo stesso

Nel caso in cui i delegati della NATO combattano una grande battaglia con le forze potenzialmente mobilitate della Russia su Kharkov, il rapido successo di uno di loro sarebbe un punto di svolta per la loro parte, mentre una situazione di stallo porterebbe a qualcosa di più o meno lo stesso e alla fine potrebbe portare al congelamento della linea di contatto entro l’inverno.

* Non si può escludere una mossa asimmetrica della Russia

Indipendentemente dal fatto che la Russia completi il ​​suo ritiro tattico in corso da Kharkov per ragioni strategiche che restano da vedere o decida di contrattaccare in una grande battaglia su quella regione, non si può escludere che il presidente Putin non ordini una delle sue classiche mosse asimmetriche per scuotere tutto.

Alcune osservazioni generali concludono ora l’analisi:

* La controffensiva di Kharkov è l’ultimo evviva dell’anno a Kiev (e forse mai)

Si prevede che il prossimo inverno complicherà le operazioni militari per entrambe le parti, il che significa che la controffensiva di Kiev a Kharkov sarà il suo ultimo hurra dell’anno, anche se potrebbe anche essere l’ultimo hurry in assoluto se la Russia ottiene un rapido successo nella potenziale battaglia su questa regione che detti i suoi termini di pace.

* La guerra dell’informazione da entrambe le parti si intensificherà inevitabilmente

Considerando che le ultime dinamiche militari rappresentano l’ultimo hurra di Kiev dell’anno (e forse mai), e tenendo conto che la possibile battaglia sulla regione di Kharkov potrebbe cambiare le regole del gioco nel conflitto, è inevitabile che le operazioni di guerra dell’informazione di entrambe le parti si intensificheranno.

* Il pio desiderio potrebbe strappare la sconfitta dalle fauci della vittoria

L’opinione pubblica russa e ucraina sul conflitto è irrilevante per plasmare le sue dinamiche militari, ma se le operazioni di informazione delle loro stesse parti fuorviano inavvertitamente i loro decisori con un pio desiderio , allora entrambi potrebbero improvvisamente perdere importanti guadagni e quindi essere sconfitti nonostante loro.

* Entrambe le parti probabilmente si aspettano che i colloqui di pace riprendano entro l’inizio del prossimo anno

Tutti gli eventi militari che si svolgeranno prima del prossimo inverno saranno quasi certamente sfruttati dalla parte con il maggior slancio (sia assoluto nello scenario del loro rapido successo o relativo in una situazione di stallo continua) per riprendere i colloqui di pace entro l’inizio del prossimo anno con condizioni favorevoli alla propria causa.

* Nessuna delle due parti probabilmente raggiungerà mai i risultati massimalisti desiderati

Non c’è alcuna possibilità che la Russia lasci che i fascisti invadano la Crimea dopo essersi riunita democraticamente con essa per scongiurare quello scenario né permetterà a Kiev di riconquistare tutto il Donbass dopo aver riconosciuto la sua indipendenza, anche se la NATO non permetterà nemmeno a Mosca di smilitarizzare completamente l’Ucraina poiché la manterrà pompandola a piene mani.

* Il grande contesto strategico dimostra che il tempo è dalla parte della Russia

La transizione sistemica globale al multipolarismo , accelerata dalle controproducenti sanzioni anti-russe dell’Occidente, significa che il tempo è dalla parte di Mosca poiché l’UE sta affrontando gravi crisi economiche politiche che porteranno a cambiamenti strategici irreversibili che alla fine andranno a beneficio del Cremlino.

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Critiche costruttive legate al ritiro tattico della Russia da Kharkov

Gli eventi in rapida evoluzione intorno a quella regione hanno screditato in modo irresistibile l’interpretazione prevalente del conflitto ucraino che è stata finora promossa dai quartieri multipolari della comunità dei media alternativi. Considerando tutto ciò che è accaduto negli ultimi giorni, è giunto il momento per gli influencer chiave di rivalutare molto di ciò che avevano dato per scontato se aspirano sinceramente a ottenere una comprensione più obiettiva di tutto possibile.

Le forze russe e alleate stanno attualmente effettuando un ritiro tattico dalla regione di Kharkov di fronte alla controffensiva sostenuta dalla NATO di Kiev, che ha avuto molto più successo sul campo rispetto a quella fallita di Kherson che l’ha immediatamente preceduta. L’autore ha condiviso i suoi pensieri su questo sviluppo nel suo pezzo intitolato ” Kharkov: cosa sta guidando l’ultima dinamica militare e cosa potrebbe venire dopo? ”, che risponde a queste due domande e poi si conclude con alcune osservazioni generali sul conflitto ucraino .

Il presente articolo affronta l’argomento da una prospettiva diversa condividendo critiche costruttive legate al ritiro tattico della Russia, con lo scopo di sfrondare alcuni dei pensieri di gruppo e frantumare i miti correlati spinti dai quartieri multipolari della Alt-Media Community (AMC). Il presidente Putin ha messo in guardia i membri delle sue burocrazie militari, di intelligence e diplomatiche (” stato profondo “) dal concedersi un pio desiderio a fine giugno, quindi è importante promuovere quella causa pragmatica attraverso uno sforzo ben intenzionato per valutare oggettivamente ciò che la Russia avrebbe potuto fare diversamente.

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Per cominciare, ecco le principali narrazioni dell’AMC che sono screditate dagli ultimi eventi:

* Le forze militari di Kiev sono state schiacciate da tempo

Ovviamente, mentre il consigliere presidenziale ucraino Alexey Arestovich ha ammesso a fine marzo che la Russia aveva già “praticamente distrutto la nostra industria della difesa”, Kiev da allora è stata in grado di riprendersi abbastanza con l’aiuto militare della NATO per fare progressi sul campo intorno a Kharkov .

* La Russia ha distrutto tutte le armi occidentali in arrivo

Basandosi su quanto sopra, è ovvio che la Russia non ha distrutto tutte le armi occidentali in arrivo poiché ne sono arrivate in prima linea abbastanza da riequipaggiare con successo le forze di Kiev al punto da consentire loro di lanciare la loro controffensiva in corso nel nord-est.

* Mosca domina tutte le dimensioni dello spazio di battaglia

Dopo aver dato per scontate le due narrazioni precedenti, sono portati naturalmente a presumere che Mosca domini tutte le dimensioni dello spazio di battaglia, anche se chiaramente non è così, altrimenti non si sarebbe impegnato in un ritiro tattico così rapido a differenza di quanto intrapreso finora nel conflitto.

* L’ultimo ritiro tattico è quello di creare un calderone per Kiev

I modi in cui l’attuale ritirata tattica viene condotta in modo molto forte suggeriscono che non fa parte di una manovra pianificata per circondare le forze di Kiev in un calderone e credere che ogni passo fisico indietro in un conflitto al proprio fianco sia uno “scacco 5D”  non è comunque una mossa realistica.

* La Russia vince sempre, qualunque cosa accada

Nessuna entità in questo mondo è perfetta e niente va sempre secondo i piani, essendo infatti il ​​caso che la Russia, proprio come qualsiasi altro attore internazionale (soprattutto Kiev, gli Stati Uniti, la NATO e l’Occidente collettivo in questo contesto) a volte subisce battute d’arresto pur cercando sinceramente di raggiungere i suoi obiettivi.

La parte successiva dell’analisi descriverà in modo conciso la realtà dietro quelle narrazioni screditate:

* La NATO ha ripristinato con successo alcune delle capacità militari di Kiev

Proprio perché l’ultima fase del conflitto ucraino è davvero diventata una guerra per procura senza precedenti tra NATO e Russia, quel blocco guidato dagli Stati Uniti ha fatto del suo meglio per ripristinare con successo alcune delle capacità militari dei suoi delegati nonostante la distruzione da parte di Mosca del relativo complesso industriale.

* Le “linee dei topi” dell’Occidente rimangono in gran parte intatte

Nonostante i migliori sforzi della Russia per distruggerli, i corridoi logistici-militari dell’Occidente verso i loro delegati ucraini che Politico ha descritto ad aprile come “linee dei topi” sono rimasti in gran parte intatti e quindi fungono da ancora di salvezza di Kiev per far andare avanti il ​​conflitto già da oltre sei mesi.

* Nessuna delle parti in conflitto esercita un dominio militare

Né la Russia, né Kiev, né gli alleati NATO di quest’ultimo esercitano il dominio militare, con la mancanza di tale status da parte del primo non sorprende considerando i molti stati che sta combattendo per procura; mentre il fallimento del blocco guidato dagli Stati Uniti nel raggiungere lo stesso suggerisce che la capacità difensiva di Mosca è più forte di quanto pensassero.

* Il ritmo, la scala e il tempismo delle ultime mosse della Russia suggeriscono una sorpresa

I tre fattori summenzionati associati al ritiro tattico in corso dalla regione di Kharkov suggeriscono fortemente che la Russia, i suoi alleati del Donbass, e in particolare i civili, sono stati veramente sorpresi dalle ultime dinamiche militari e che non c’è alcun piano “scacchi 5D” in gioco.

* Questo ritiro tattico è quasi sicuramente una battuta d’arresto inaspettata

Il precedente controllo della realtà porta alla probabile conclusione che il processo descritto si sta svolgendo a causa di pressioni esterne e quindi non è stato avviato volontariamente dalla Russia a differenza dei suoi precedenti ritiri tattici dall’Ucraina settentrionale e da Snake Island , il che lo renderebbe quindi una battuta d’arresto inaspettata.

Con queste amare verità in mente, ecco le loro possibili conseguenze imminenti:

* Kiev continuerà a combattere fino a quando l’Occidente non chiuderà il rubinetto militare

Non c’è dubbio che le forze di Kiev siano mantenute in funzione esclusivamente dal supporto militare occidentale, ma il fatto che gli aiuti esteri abbiano già portato loro a ripristinare abbastanza delle loro capacità per lanciare l’ultima controffensiva con un certo successo sul campo suggerisce che questa guerra per procura andrà avanti.

* L’Occidente dovrebbe pompare più e migliori armi in Ucraina

A meno che la controffensiva di Kiev non finisca con la sua schiacciante sconfitta da parte della Russia oppure Mosca non faccia con successo qualcosa di asimmetrico per rimodellare le dinamiche del conflitto, si prevede che l’Occidente si sentirà incoraggiato anche da una situazione di stallo intorno a Kharkov per pompare più e migliori armi in Ucraina.

* Riguadagnare il terreno perduto rimarrà difficile per la Russia

La Russia avrà difficoltà a riguadagnare il terreno perduto considerando la pratica parità militare tra sé e Kiev a causa del solido sostegno di quest’ultima da parte di molti stati della NATO, il che significa che l’attuale battuta d’arresto probabilmente non sarà invertita presto in assenza di una importante (e forse prolungata) battaglia.

* Sono probabili rappresaglie contro gente del posto che ama la Russia

Kiev probabilmente condurrà una feroce caccia alle streghe anti-russa in pieno coordinamento con i suoi sostenitori della NATO contro tutti quei locali che non erano stati in grado di fuggire dai territori rapidamente riconquistati, il che potrebbe portare a violazioni dei diritti umani su vasta scala che l’Occidente continuerebbe prevedibilmente a negare nonostante le possibili prove.

* La Russia deve accettare la realtà intorno a Kharkov o cambiarla

Ci sono solo due strade da percorrere per la Russia intorno a Kharkov: 1) accettare la realtà dell’inaspettata battuta d’arresto che ha appena subito per le ragioni che sono state spiegate in precedenza; oppure 2) lavorare attivamente per cambiarlo preparandosi a combattere una battaglia importante e possibilmente prolungata per riguadagnare il terreno perduto.

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Per concludere, l’autore vorrebbe ricordare al lettore il motivo per cui ha pubblicato queste critiche costruttive legate al ritiro tattico della Russia da Kharkov. Gli eventi in rapida evoluzione intorno a quella regione hanno irresistibilmente screditato l’interpretazione prevalente del conflitto ucraino che è stata finora spinta dai quartieri multipolari dell’AMC. Considerando tutto ciò che è accaduto negli ultimi giorni, è giunto il momento per gli influencer chiave di rivalutare molto di ciò che avevano dato per scontato se aspirano sinceramente a ottenere una comprensione più obiettiva di tutto possibile.

Proprio come nell’introduzione, è pertinente nella conclusione ricordare la cautela del presidente Putin di abbandonarsi a un pio desiderio in modo che tutti possano soffermarsi su di esso come impressione finale. Non solo i canti delle sirene associati a quella mentalità hanno infettato l’AMC, ma hanno anche influenzato alcuni membri dello “stato profondo” russo che sono responsabili dell’operazione militare speciale del loro paese in Ucraina. Se c’è un lato positivo in questa battuta d’arresto, è che quei funzionari impareranno da questo controllo della realtà, correggeranno le loro false percezioni e di conseguenza formuleranno politiche più efficaci.

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La toppa e lo sbrego_di Francesco Dall’Aglio

Le dichiarazioni rese ieri dal portavoce del Ministero della Difesa russo sono francamente risibili: e sebbene nessuno ascolti le dichiarazioni del portavoce di un qualsisia Ministero delle Difesa di un paese implicato in un conflitto credendo di trovarci la verità (oddio, qualcuno lo fa e poi lo scrive pure sui giornali), mi aspettavo qualcosa di meglio della riedizione del “gesto di buona volontà” della ritirata dai dintorni di Kiev e Kharkiv di qualche mese fa. Certo, così come allora anche adesso la ritirata è stata pianificata bene: ma questo significa solo che la possibilità che fosse necessaria era stata presa in considerazione, non che la ritirata stessa fosse desiderabile o parte di un piano strategico (quella di Kiev forse sì, ma queste sono altre considerazioni).
Il motivo per cui la ritirata è avvenuta è chiaro, ma non può essere detto ufficialmente: non ci sono gli uomini per tenere tutto il fronte, soprattutto se l’esercito ucraino va all’attacco con tutto quello che ha. E soprattutto se va all’attacco in un settore, quello di Kharkiv, che per mesi ha funzionato da riserva di unità da mandare in altri settori del fronte, dove stoccare unità da rigenerare o dove spedire reparti non proprio eccellenti. La verità è che la “pausa strategica” di questa estate è stata sfruttata bene dall’esercito ucraino, male da quello russo. Le unità non sono state avvicendate, non tutti i settori potenzialmente critici sono stati coperti meglio e la terza armata è stata organizzata in ritardo e con meno mezzi del necessario, ed è arrivata nella zona delle operazioni pochissimi giorni fa – e dal punto di vista russo meno male che ci è arrivata, altrimenti la situazione tra Kharkiv e Izyum sarebbe ancor più catastrofica.
Poche cose sono peggiori, in guerra o nella vita, del ripetere sempre la stessa tattica perché in passato è andata bene. È vero, l’esercito russo ha sempre agito in inferiorità numerica ed è riuscito finora a ottenere buoni risultati sia in attacco che in difesa (vedi Cherson), ma alla fine i nodi vengono al pettine. Se vuoi fare la guerra devi fare la guerra; se non vuoi fare la guerra non devi fare la guerra; ma non puoi fare e non fare la guerra allo stesso momento. Ora si tratta di capire quali saranno le misure che il comando russo prenderà per il prosieguo del conflitto: perché la guerra non è finita, purtroppo, nonostante i commenti di alcuni entusiasti – così come non era finita a marzo, nonostante i commenti di altri entusiasti. La situazione sul campo è peggiorata per l’esercito russo, ma il guadagno territoriale dell’esercito ucraino non basta a risolvere la questione; si dice siano in preparazione altre offensive in altri settori, ma anche qui bisogna vedere in primo luogo se la notizia è vera, e poi considerare che tutti gli altri settori (Donbas, Zaporozhie) sono strategicamente fondamentali per la Russia e meglio difesi. E considerare le perdite subite dall’esercito ucraino, molto elevate sia in uomini che in materiali, e vedere come e quando saranno rimpiazzate. La palla ora passa a Putin, che è chiamato da varie parti a decidere cosa fare dell’operazione speciale. Se lasciarla così com’è (e militari e nazionalisti gli daranno addosso, come stanno già facendo) fidando nel successo delle misure economiche anti-occidentali, del logoramento dell’esercito ucraino in questa serie di avanzate, dell’inverno che sta arrivando eccetera; o se trasformarla in operazione militare, cosa che garantirebbe migliori risultati sul campo ma comporterebbe uno stress molto maggiore per l’economia e la società russa.
PS – intanto Kadyrov ha detto che se le cose non cambiano in 48 ore “sarà costretto ad andare a Mosca e spiegare ai vertici la situazione sul campo”. Annamo bene.
e ancora…
È lunga, se preferite le cavolate propagandistiche dell’una o dell’altra parte (la nostra, occidentale) non perdete tempo.
“Nella notte le truppe russe a Kupyansk si sono ritirate senza combattere oltre il fiume Oskil, lasciando agli ucraini la parte occidentale della città. Se l’offensiva ucraina appena partita da sud, in direzione di Lyman, avrà successo, si procederà alla completa evacuazione del personale militare da tutto il settore di Izyum (io li avrei già fatti partire), il che è in linea con le decisioni prese finora – i russi non hanno bisogno al momento di scambiare vite per chilometri, come invece devono fare gli ucraini, e tutta l’avanzata ucraina in questo settore ha sempre visto lo sganciamento dei reparti russi ogni volta che rischiavano di essere sopraffatti, con l’eccezione di Balaklya dove uno dei due gruppi SOBR si è trincerato, resiste e manda in giro TikTok patriottici.
Alcune considerazioni su quella che ora possiamo tranquillamente considerare una débâcle russa, per quanto su un settore limitato del fronte.
Inutile girare intorno al problema fondamentale per l’esercito russo: schiera su tutto il fronte circa 150.000 uomini. L’esercito ucraino ne ha messi in campo più di 100.000 in due soli settori. A Cherson gli è andata molto male, a Kupyansk-Izyum molto bene. Questa differenza di risultato però ci dice alcune cose su quelle che sembrano essere le priorità strategiche del comando russo, che sa benissimo di non avere uomini a sufficienza. Quando era ovvio che prima o poi sarebbe partita l’offensiva sia verso Cherson che verso Izyum, il comando ha spostato dal fronte di Kharkiv QUATTRO gruppi tattici composti da unità del distretto militare orientale (36a, 37a, 38a e 64a brigata di fanteria motorizzata), rimpiazzati da TRE (quindi già uno in meno) gruppi tattici, DUE dei quali composti da unità della riserva e UN SOLO reparto in servizio attivo, il 752° reggimento della 3 divisione di fanteria motorizzata. Probabilmente l’ipotesi era di mandare in seguito altri reparti, ma questa cosa non è avvenuta. Le conseguenze sono evidenti.
Risulta evidente quindi che il comando russo ha dato la priorità al fronte di Cherson, dove in effetti l’offensiva ucraina è stata più o meno annichilita, a discapito di quello di Kharkiv. Non che fosse disposta a perdere tranquillamente il saliente di Izyum, ma trovandosi nella potenzialità di perdere entrambe le aree, per quella mancanza di personale di cui sopra, si è preferito rinforzare Cherson. E anche questo è in linea con la strategia seguita fino adesso: strategia sulla quale perdurano ancora una serie di incomprensioni che sarebbe il caso di risolvere una volta per tutte. La Russia vuole il Donbas, la Crimea, il territorio che c’è tra Donbas e Crimea, e (probabilmente) una zona di rispetto intorno alle due aree fuori tiro diretto dell’artiglieria. Non vuole Kiev, non vuole Kharkiv, non vuole, probabilmente, nemmeno Odessa. Se gliele regalano se le prende, ovviamente, ma non andrà mai all’assalto delle città, e di certo non lo farà né ha mai pensato di farlo con 150.000 uomini in totale: e senza le città le oblast’ restano in mano ucraina. In quest’ottica è chiaro che Cherson ha una importanza infinitamente maggiore di Izyum. Meglio tenerle tutte e due, ovviamente: ma dovendone perderne una, meglio tenere Cherson. E che una almeno l’avresti persa, viste le forze in campo, era non dico probabile ma certamente possibile. Lo sapevo io che gli ucraini stavano mettendo in campo più di 100.000 uomini per offensive localizzate, figuriamoci se non lo sapeva il comando russo.
La domanda che un po’ tutti si stanno facendo è: che succede ora? Lasciamo perdere la propaganda: i russi diranno che si è trattato di una brillante ritirata tattica che consente di accorciare il fronte e di salvare migliaia di vite (è vero), gli ucraini che si tratta di una brillante avanzata che risolve a loro vantaggio un’area finora molto problematica del fronte (è vero), col vantaggio aggiuntivo che dell’offensiva di Cherson già non si ricorda più nessuno. Perdere Izyum complica la situazione nel Donbas, naturalmente, perché l’area di Lyman torna in mano ucraina. Per tutto il resto, la situazione rimane invariata.
In realtà una variazione significativa c’è: le perdite ucraine. Per mettere in piedi un’altra offensiva del genere servono altri sei mesi, e ulteriori e continui aiuti NATO, e cosa succederà tra sei mesi nessuno lo sa. Certo si arriva all’inverno in una situazione di riequilibrio, che è appunto il trade-off di cui sopra: il nord all’Ucraina, il sud alla Russia. Però questo non risolverà i problemi dell’Ucraina. Altri sei mesi di bombardamenti (che sicuramente aumenteranno), di infrastrutture distrutte, di vite perse, di freddo non aiuteranno certamente: e non penso che l’Occidente possa, o voglia, pagare tutte le spese ucraine, visto che già non ce la fa più. Mentre in Russia da più parti si invoca la dichiarazione di guerra, la mobilitazione di tutta la popolazione, radere al suolo Kiev e bombardare l’aeroporto polacco di Rzeszów, da dove passano tutti i rifornimenti NATO, il comando resta inamovibile. Una cosa va detta degli alti gradi russi: sono immuni all’isteria. Del resto 80 anni fa hanno tranquillamente accettato l’idea che i nazisti potessero prendere Mosca, figuriamoci la perdita di Izyum. Io penso (o forse spero) che non ci saranno variazioni di rilievo, almeno per il momento. La Russia continuerà a spostare il conflitto sul piano economico più che su quello militare, e sul piano globale più che su quello locale, scommettendo sul fatto che resisterà più dell’Occidente. Se alla fine dei giochi hai azzoppato l’Euro e spostato l’asse economico a est, puoi anche perdere Kupyansk. Se però questa cosa non dovesse funzionare; se le sanzioni cominciassero a colpire più profondamente la società russa e la capacità militare russa; se ci fossero altre avanzate ucraine, e minacciassero le aree realmente strategiche e vitali dei territori occupati; allora le cose cambierebbero sicuramente. Quello che di certo cambierà adesso sono i vertici militari del distretto di Kharkiv.
Due PS.
PS 1: le truppe ucraine che avanzano sono addestrate da istruttori NATO, hanno equipaggiamento NATO, rifornimenti NATO, intelligence NATO, satelliti e AWACS NATO che comunicano in tempo reale ogni spostamento di truppe russe, i loro reparti sono coordinati da “volontari” NATO e altri “volontari” NATO si trovano sul campo. Sarebbe forse il caso di smetterla di considerare questo conflitto come una partita tra Russia e Ucraina, sia nella valutazione della performance militare russa (e ucraina) che nella valutazione del nostro ruolo che, ci piaccia o no, è quello di parte attiva nel conflitto. Finora questa cosa è passata in cavalleria. Se un HIMARS ammazza un civile russo in Crimea, non penso continuerà ad esserlo.
PS2: che succede ora a tutti i civili che nelle zone occupate hanno collaborato a vario titolo con i russi?”

 

LA NUOVA TIANXIA: RICOSTRUIRE L’ORDINE INTERNO ED ESTERNO DELLA CINA, a cura di DAVID OWNBY

Xu Jilin (nato nel 1957) è un importante storico e intellettuale pubblico che insegna alla East China Normal University di Shanghai. Come accademico, è specializzato nella storia intellettuale della Cina moderna e contemporanea, ma si occupa anche dei dibattiti che si svolgono all’interno della comunità intellettuale cinese. Come si evince dal testo qui tradotto, Xu scrive come un liberale dalla mentalità aperta, turbato dall’aumento dei sentimenti ultranazionalisti in Cina che accompagna l’ascesa della Cina. Questi sentimenti sottolineano il fatto che solo la Cina sarebbe una vera “civiltà”, alla quale non potrebbero applicarsi i cosiddetti valori “universali” promossi dall’Occidente.

Sebbene i temi principali di questo saggio pubblicato nel 2015 si possano ritrovare in molti altri testi di Xu, sono qui intrecciati in modo originale per affrontare un argomento che Xu non tratta spesso: la politica estera cinese contemporanea. Inizia con una presentazione abbastanza familiare della nozione tradizionale di tianxia 天下 (letteralmente “Tutto ciò che è sotto il cielo”) che, nelle parole di Xu, connotava sia “un ordine di civiltà ideale, sia un immaginario spaziale globale le cui pianure centrali della Cina formare il nucleo. “In un certo senso, quindi, la Cina era la tianxia, ​​cioè l’incarnazione, quando il sistema funzionava al meglio, dell’insieme dei principi che giustificavano il dominio imperiale confuciano. Ma il tianxia era aperto, non chiuso; come il sogno americano del 20° secolo, tianxia era intesa dai cinesi come una sorta di universalismo a cui altre culture potevano aspirare. Xu illustra il suo punto di vista non tanto con una discussione sul tradizionale sistema di tributi della Cina quanto con un’esplorazione delle relazioni storiche tra il popolo Han e i vari “gruppi barbari” non Han alla periferia della Cina. 

Secondo il suo punto di vista, i processi di assimilazione, prestito e integrazione erano molteplici, complessi e non ponevano problemi a livello ideologico. In altre parole, prima dell’avvento della nozione di stato-nazione, “cinese” e “barbaro” non erano intesi in termini di razza ma in termini di civiltà. La tianxia, ​​aperta e universale, accoglieva le “masse ammassate” dell’Asia, a condizione che riconoscessero lo splendore della tianxia.

Xu usa quindi questa lezione di storia per ribaltare la situazione contro i suoi avversari: in questo caso, gli ultranazionalisti cinesi e quelli, come Zhang Weiwei 张维为 (classe 1957) o Pan Wei 潘維 (classe 1964)1, che mobilitano il concetto di “unicità” della Cina per sostenere che dovrebbe ignorare l’Occidente e tornare alla sua unica civiltà. Sostiene che il loro patriottismo e orgoglio nazionale si basano su un’errata interpretazione della storia della Cina: quando la Cina era grande in passato, era aperta, non chiusa. Se la Cina vuole tornare grande, deve adottare lo stesso atteggiamento, perché le civiltà devono per definizione essere universali. Afferma inoltre che anche il patriottismo e l’orgoglio nazionale di coloro che predicano un angusto sogno cinese sono i prodotti della conversione della Cina al modello di stato-nazione e agli obiettivi di ricchezza e potere di quest’ultimo. In altre parole, l’orgoglio ispirato dall’ascesa della Cina sarebbe in gran parte un orgoglio derivante dal suo successo nel gioco dell’Occidente. Il vero “gioco” della Cina resta dimenticato.

Xu tenta quindi di immaginare un mondo in cui una qualche versione di tianxia sostituisca la posizione dello stato contemporaneo cinese. Nel contesto delle relazioni problematiche della Cina con i popoli non Han della periferia – principalmente, ma non esclusivamente, i tibetani e i popoli musulmani dello Xinjiang – Xu suggerisce che la politica di “multiculturalismo” della dinastia Qing che riconosceva l’autonomia dei gruppi minoritari all’interno determinati limiti, hanno funzionato meglio delle politiche attuali, che combinano sia l’integrazione forzata che la modernizzazione. Per quanto riguarda la geopolitica dell’Asia orientale, Xu immagina un mondo basato su valori condivisi derivanti da tianxia piuttosto che su alleanze o antagonismi basati su interessi. E nel mondo in generale,

Infine, va notato che Xu Jilin, che usa un gran numero di riferimenti occidentali in questo testo, legge a malapena l’inglese. È la massiccia industria della traduzione in Cina che rende disponibile quasi da un giorno all’altro tutto ciò che viene da altrove e sembra rilevante in cinese. Si tratta di un notevole vantaggio strategico rispetto al minore sforzo generalmente compiuto in Occidente per comprendere la Cina. Questa serie è un tentativo di innescare una dinamica simmetrica e virtuosa  : capire la Cina leggendo i suoi pensatori.

L’ascesa della Cina potrebbe essere l’evento che avrà il maggiore impatto sul 21° secolo. Eppure, nonostante il potere in espansione della Cina, gli ordini interni ed esterni del Paese sono diventati sempre più rigidi. Sul piano interno, la grandezza nazionale non ha generato una forza centripeta che attrae al centro le diverse nazionalità minoritarie delle regioni di confine. Al contrario, in Tibet e nello Xinjiang esplodono continuamente conflitti etnici e religiosi, tanto che oggi assistiamo a un separatismo estremo e ad attività terroristiche. A livello internazionale, l’ascesa della Cina ha reso nervosi i suoi vicini. I conflitti per le isole del Mar Cinese Meridionale e Orientale rappresentano la minaccia di una guerra in Asia orientale, e lo scoppio delle ostilità militari è un pericolo permanente. Il nazionalismo ha raggiunto nuove vette, non solo in Cina ma anche in tutta l’Asia orientale, in una spirale di reciproco antagonismo. Aumenta la possibilità di una guerra regionale, in un clima simile a quello dell’Europa del XIX secolo.

Ma con l’avvicinarsi della crisi, abbiamo un piano? È abbastanza facile stilare un elenco delle misure adottate a livello nazionale per alleviare la situazione, ma l’importante è scavare alle radici della crisi. E l’origine della crisi non è altro che la mentalità che concede il primato assoluto alla nazione, una mentalità che è stata introdotta in Cina alla fine dell’800 e che da allora è diventata il modo di pensare dominante tra i dipendenti pubblici e la gente comune . Il nazionalismo è sempre stato parte integrante della modernità, ma quando diventa il valore supremo dell’arte di governo può infliggere calamità distruttive al mondo, come nelle guerre mondiali europee.

Per affrontare veramente il problema alla radice, abbiamo bisogno di una forma di pensiero che possa fungere da contrappunto al nazionalismo. Io chiamo questo pensiero la “nuova tianxia”, una saggezza assiale di civiltà della tradizione premoderna cinese, reinterpretata secondo criteri moderni.

I valori universali di Tianxia

Cos’è tianxia? Nella tradizione cinese, il termine tianxia ha due significati essenziali: un ordine di civiltà ideale e un immaginario spaziale globale di cui le pianure centrali della Cina costituiscono il nucleo.

Il sinologo americano Joseph Levenson (1920-1969) sosteneva che all’inizio della storia della Cina “la nozione di “Stato” si riferiva a una struttura di potere, mentre la nozione di tianxia designava una struttura di valori. »2In quanto sistema di valori, il tianxia era un insieme di principi di civiltà a cui corrispondeva un sistema istituzionale. Lo studioso della dinastia Ming Gu Yanwu 顾炎武 (1613-1682) distinse “perdita di stato e perdita di tianxia”. Secondo lui, lo stato era solo l’ordine politico della dinastia, mentre il tianxia era un ordine di civiltà di applicazione universale. Non si riferiva solo a una particolare dinastia o stato, ma soprattutto a valori eterni, assoluti e universali. Lo stato potrebbe essere distrutto senza che la tianxia venga distrutta. Altrimenti, l’umanità si divorerebbe, scomparendo in una giungla hobbesiana.

Se, oggi, il nazionalismo e lo statalismo cinesi hanno raggiunto picchi, dietro queste ideologie si nasconde un sistema di valori che enfatizza il particolarismo cinese. Come se l’Occidente avesse valori occidentali e la Cina avesse valori cinesi, il che significa che la Cina non potrebbe seguire il percorso “tortuoso” dell’Occidente ma dovrebbe seguire il proprio percorso verso la modernità. A prima vista, questo argomento sembra molto patriottico, con una forte attenzione alla Cina, ma in realtà è molto “non cinese” e non tradizionale. In effetti, la tradizione di civiltà cinese non era nazionalista, ma piuttosto basata su un modello di tianxia i cui valori erano universali e umanistici piuttosto che particolari.

I tianxia non appartenevano a nessun popolo o nazione in particolare. Confucianesimo, taoismo e buddismo sono tutte quelle che il filosofo tedesco-svizzero Karl Jaspers (1883-1969) chiamava le “civiltà assiali” del mondo premoderno. Come il cristianesimo o la civiltà dell’antica Roma, la civiltà cinese ha preso come punto di partenza la preoccupazione universale per tutta l’umanità, utilizzando i valori degli altri popoli come una sorta di criterio di autogiudizio. Dopo il periodo moderno3, quando il nazionalismo è entrato in Cina dall’Europa, la visione della Cina è stata notevolmente ristretta e la sua civiltà è stata sminuita. Dalla grandezza di tianxia, ​​dove tutti gli esseri umani possono essere integrati nel cosmo, la civiltà cinese si è ridotta alla meschinità di “questo è occidentale, e questo è cinese”. Mao Zedong una volta ha parlato della “necessità che la Cina dia un contributo maggiore all’umanità”, affermando che “solo quando il proletariato libera tutta l’umanità può liberare se stessa”, rivelando un’ampia visione dell’internazionalismo dietro il suo nazionalismo. Ma tutto ciò che traspare oggi dal Sogno Cinese è il grande rinnovamento della nazione cinese.

In tutto il testo, notiamo i riferimenti su cui Xu Jilin fa affidamento per costruire la sua argomentazione: la maggior parte sono autori occidentali, alcuni dei quali sono ben noti come Karl Jaspers e altri meno. Ciò testimonia la notevole influenza dell’universo concettuale occidentale in Cina, poiché la stessa vita intellettuale cinese è stata ampiamente “globalizzata” durante il periodo di riforma e apertura. Questo è ovviamente particolarmente vero per liberali come Xu Jilin, ma le figure della Nuova Sinistra o dei Nuovi Confuciani non fanno eccezione in questo senso.

Naturalmente, i cinesi premoderni non parlavano solo di tianxia ma anche della differenza tra barbari (yi 夷) e cinesi (xia 夏). Tuttavia, la nozione premoderna di cinese e barbaro era completamente diversa dal discorso binario Cina/Occidente, noi/loro che si trova oggi sulle labbra dei nazionalisti estremisti. Il pensiero binario di oggi è il risultato dell’influenza del razzismo moderno, della coscienza etnica e dello statalismo: cinesi e barbari, noi e altri, esistiamo in un rapporto di assoluta inimicizia, senza spazio di comunicazione o integrazione tra loro.

Nella Cina tradizionale, la distinzione tra cinesi e barbari non era un concetto fisso e razzializzato, ma piuttosto un concetto culturale relativo che conteneva la possibilità di comunicazione e trasformazione. La differenza tra barbaro e cinese è stata determinata esclusivamente sulla base dell’esistenza di una connessione con i valori di tianxia. Mentre tianxia era assoluta, le etichette di barbaro e cinese erano relative. Mentre il sangue e la razza erano innati e immutabili, la civiltà poteva essere studiata e imitata. Come ha affermato lo storico cinese-americano Hsu Cho-yun (nato nel 1930), nella cultura cinese “non ci sono ‘altri’ assoluti, ci sono semplicemente ‘sé’ relazionali”4.

La storia è ricca di esempi della trasformazione dei cinesi in barbari, come quando i cinesi furono equiparati ai “barbari del sud” conosciuti come il popolo Man蛮. Allo stesso modo, la storia fornisce molti esempi del processo inverso, in cui i barbari vengono trasformati in cinesi, come la trasformazione del popolo nomade occidentale Hu胡 in Hua华, o coloro che abbracciarono il tianxia.

Il popolo Han era originariamente un popolo contadino, mentre la maggioranza del popolo Hu era un popolo che viveva nei pascoli: durante i periodi delle Sei Dinastie (222-589), i Sui-Tang (589-907) e gli Yuan- Qing (1271-1911), la Cina agricola e la Cina dei pascoli hanno sperimentato un processo di integrazione a due vie. La cultura cinese ha assorbito gran parte della cultura del popolo Hu. Il buddismo, per esempio, era originariamente la religione del popolo Hu; il sangue del popolo Han ha mescolato al suo interno elementi di popoli barbari; dall’abbigliamento alle abitudini quotidiane, non c’è una sola area in cui la gente delle pianure centrali non sia stata influenzata dai popoli Hu. Nei primi periodi, il popolo Han era persino solito sedersi su stuoie. Più tardi, adottarono gli sgabelli pieghevoli degli Hus, e da sgabelli pieghevoli si evolvettero in sedie con schienali: finirono per cambiare completamente i loro costumi.

Se la civiltà cinese non è ridimensionata in cinquemila anni, è proprio perché non era chiusa e angusta. Al contrario, ha beneficiato della sua apertura e della sua inclusione, e non ha mai smesso di assimilare i contributi delle civiltà esterne nelle proprie tradizioni. Adottando la prospettiva universale di tianxia, ​​la Cina si è occupata solo della questione del carattere di questi valori. Non ha posto domande etniche sul “mio” o sul “tuo”, ma ha assorbito tutto ciò che era “buono”, collegando “tu” e “me” in un tutto integrato che è diventato la “nostra” civiltà. .

Ma i nazionalisti estremisti di oggi vedono la Cina e l’Occidente come nemici assoluti e naturali. Usano distinzioni assolute di razza ed etnia per resistere a tutte le civiltà aliene. Esiste persino una “teoria del peccato originale della conoscenza occidentale” nel mondo accademico, secondo la quale qualsiasi cosa creata dagli occidentali dovrebbe essere respinta. I giudizi di questi estremisti nazionalisti riguardo agli standard di verità, bontà e bellezza non mostrano più l’universalismo della Cina tradizionale. Non resta che la prospettiva ristretta del “mio”: come se, finché una cosa è “mia”, deve essere “buona”, e finché è “cinese”, è un bene assoluto che non devono essere dimostrati.

In apparenza, questo tipo di nazionalismo “politically correct” sembra esaltare la civiltà cinese; in effetti, fa esattamente il contrario: prende l’universalità della civiltà cinese e la svilisce nella cultura particolare di una nazione e di un popolo. C’è una differenza importante tra civiltà e cultura. La civiltà si occupa di “ciò che è buono”, mentre la cultura si occupa semplicemente di “ciò che è nostro”. La cultura distingue il sé dall’altro, definendo l’identità culturale del sé. La civiltà è diversa perché cerca di rispondere alla domanda “che cosa è buono?” da una prospettiva universale che trascende quella di una nazione e di un popolo. Questo “bene” non fa bene solo a “noi”, fa bene anche a “loro” ea tutta l’umanità. All’interno della civiltà universale non c’è distinzione tra “noi” e “l’altro”, solo valori umani universalmente rispettati.

Se l’obiettivo della Cina non è solo rafforzare lo stato-nazione, ma diventare ancora una volta una potenza di civiltà con una grande influenza negli affari mondiali, allora deve adottare in ogni parola e azione la propria comprensione della civiltà universale. Questa comprensione non può essere culturalista. Non può essere basato su argomenti secondo cui “questo è il carattere nazionale speciale della Cina”, o “questo riguarda la sovranità della Cina e nessun altro è autorizzato a discuterne”. Deve usare i valori della civiltà universale per persuadere il mondo e dimostrarne la legittimità.

In quanto grande potenza con influenza globale, la Cina non dovrebbe solo ringiovanire la sua nazione e il suo stato, ma anche reindirizzare il suo spirito nazionalista al mondo. La Cina non deve solo ricostruire una cultura adattata alla sua gente, ma piuttosto una civiltà che porti valori universali. I valori fondamentali della Cina, che toccano la nostra comune natura umana, dovrebbero essere considerati “buoni” da tutta l’umanità. La natura universale della civiltà cinese può essere costruita solo dal punto di vista di tutta l’umanità e non può basarsi esclusivamente sugli interessi e sui valori particolari dello stato-nazione cinese. Storicamente parlando, la civiltà cinese era tianxia. Trasformare tianxia, ​​nell’era della globalizzazione, in un internazionalismo integrato nella civiltà universale è l’obiettivo principale di una potenza di civiltà.

La Cina è una potenza cosmopolita, una nazione globale che incarna lo “spirito del mondo” di Hegel. Deve assumersi la sua responsabilità per il mondo e per lo “spirito del mondo” che ha ereditato. Questo “spirito del mondo” è la nuova tianxia che emergerà sotto forma di valori universali.

Quando i cinesi menzionano il tianxia, ​​i suoi vicini reagiscono con una certa diffidenza ereditata dalla storia e dalle esperienze passate. Gli stati vicini temono che l’ascesa della Cina segnerà il ritorno dell’impero cinese, violento, autoritario e dominante. Questa preoccupazione non è infondata. Accanto ai valori universali, il tianxia tradizionale si riferiva anche a un’espressione spaziale: una “modalità di associazione differenziale 差序格局”, per usare un’espressione del sociologo Fei Xiaotong费孝通 (1910-2005) basata sulle pianure centrali della Cina. Tianxia era organizzata in tre cerchi concentrici: il primo era il cerchio interno, le aree centrali governate direttamente dall’imperatore attraverso il sistema burocratico; il secondo era il cerchio centrale, le regioni di frontiera che erano indirettamente governate dall’imperatore attraverso il sistema dei titoli ereditari, degli stati vassalli e dei capi tribù; e il terzo cerchio corrispondeva al sistema tributario, che stabiliva un ordine gerarchico internazionale che portava molti paesi alla corte imperiale della Cina. Dal centro alle zone di frontiera, dall’interno all’esterno, la tradizionale tianxia stabiliva un mondo concentrico tripartito con la Cina al centro, in cui i popoli barbari si sottomettevano all’autorità centrale.

Xu usa qui l’espressione 谈虎色变 che significa che “chiunque sia stato effettivamente morso da una tigre impallidirà alla menzione di questa parola, mentre altri parlano di tigri senza paura. »

Nel corso della storia della Cina, il processo di espansione dell’impero cinese ha portato religione e civiltà avanzate nelle regioni e nei paesi vicini, pur essendo caratterizzato da violenza, sottomissione e schiavitù. Questo era il caso delle dinastie Han, Tang, Song e Ming, governate dagli imperatori Han, Mongol Yuan e Manchurian Qing, i cui governanti provenivano dalle regioni di frontiera. Oggi, nell’era dello stato-nazione, con il nostro rispetto per l’uguaglianza dei popoli e il loro diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione, qualsiasi piano per tornare all’ordine gerarchico tianxia, ​​con la Cina al centro, sarebbe non solo reazionario ma anche illusorio. Per questo, tianxia deve rivitalizzarsi nel contesto della modernità,

In che modo il nuovo tianxia è “innovativo”? Rispetto al concetto tradizionale, la sua novità si esprime attraverso due aspetti: da un lato, la sua natura decentralizzata e non gerarchica; dall’altro, la sua capacità di creare un nuovo senso di universalità.

La tradizionale tianxia costituiva un ordine politico-civiltà concentrico e gerarchico il cui nucleo era la Cina. Ciò che la nuova tianxia dovrebbe rifiutare in primo luogo è proprio questo ordine centralizzato e gerarchico. La nuova tianxia deve rispondere al principio di uguaglianza tra gli stati-nazione. Nel nuovo ordine tianxia non ci sarà più un centro ma solo popoli e Stati indipendenti e pacifici che si rispettano. Il potere gerarchico e le nozioni di dominio e asservimento, protezione e sottomissione non prevarranno più. Emergerà un ordine pacifico di convivenza egualitaria, che rifiuta l’autorità e il dominio.

Ancora più importante, il soggetto del nuovo ordine tianxia ha già subito una trasformazione: non c’è più alcuna distinzione tra cinesi e barbari, né tra soggetti e oggetti. Gli anziani affermarono che “Tianxia è la tianxia del popolo di Tianxia”. Nell’ordine interno della nuova tianxia, ​​il popolo Han e le varie minoranze nazionali godranno dell’uguaglianza reciproca in termini di diritti e status, e l’unicità culturale e il pluralismo delle diverse nazionalità saranno rispettati e protetti. Nell’ordine internazionale esterno, le relazioni della Cina con i suoi vicini e tutte le nazioni del mondo, grandi o piccole che siano, saranno definite dai principi del rispetto dell’indipendenza sovrana, dell’uguaglianza e della pacifica convivenza.

Il principio dell’eguaglianza sovrana degli Stati-nazione è infatti una sorta di “politica del riconoscimento” in cui tutte le parti ammettono reciprocamente l’autonomia e l’unicità dell’altro e accettano l’autenticità di tutti i popoli. La nuova tianxia, ​​che si basa sulla “politica del riconoscimento”, differisce dalla vecchia tianxia. Il motivo per cui l’antica tianxia aveva un centro era dovuto alla convinzione del popolo cinese di aver ricevuto un mandato dal cielo, e quindi la loro legittimità a governare il mondo proveniva da una volontà divina trascendente. Per questo c’era una distinzione tra il centro e le periferie.

Nell’attuale epoca secolare, la legittimità delle nazioni e degli stati non deriva più dall’autorità divina (che sia chiamata “Dio” o “cielo”), ma dal loro carattere intrinseco. La natura autentica di ogni Stato-nazione significa che ognuno ha i suoi valori specifici. Un sano ordine internazionale deve prima richiedere a ciascuna nazione di mostrare rispetto e apprezzamento reciproci verso tutte le altre nazioni. Se accettiamo che la tradizionale tianxia, ​​con fondamento del Mandato del Cielo, si basava sul rapporto gerarchico tra centro e periferia, allora nella nuova tianxia, ​​nell’era secolare della “politica di riconoscimento”, questo rapporto sarà regolato dai principi di uguaglianza sovrana e di rispetto reciproco tra tutti gli Stati nazionali.

La nuova tianxia è una trascendenza della tradizionale tianxia e dello stato-nazione. Va oltre il principio di centralità della tradizionale tianxia, ​​pur conservando i suoi attributi universalistici. Inoltre, incorpora il principio dell’uguaglianza sovrana degli stati-nazione, mentre va oltre la prospettiva ristretta che pone l’interesse nazionale al primo posto, utilizzando l’universalismo per bilanciare i particolarismi. La legittimità e la sovranità dello stato-nazione non sono assolute, ma soggette a vincoli esterni. Il principio della civiltà universale rappresenta questo vincolo integrato nella nuova tianxia. La sua dimensione passiva deriva dalla sua natura decentralizzata e non gerarchica; la sua dimensione attiva cerca di costruire un nuovo universalismo tianxia, ​​che possa essere condiviso da tutti.

Se la tradizionale tianxia era una civiltà universale per l’intera umanità, era come altre civiltà assiali come l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam, le antiche religioni dell’India e le civiltà della Grecia e dell’antica Roma: il suo carattere universale prese forma in un momento nella storia per un popolo particolare, quando il senso della santa missione si è espresso attraverso il principio “Il Cielo ha affidato a questo popolo una responsabilità” di salvare un mondo decaduto. È così che la cultura particolare di un popolo è cresciuta fino a diventare una civiltà umana universale.

L’universalità delle antiche civiltà è nata da un popolo e da una regione particolari che sono stati in grado di trascendere la loro unicità facendo affidamento su una fonte santa trascendente (Dio o cielo), creando così un’universalità astratta. Il valore universale espresso dalla tradizionale tianxia cinese trova la sua fonte nell’universalità trascendente della via del cielo, il principio del cielo e il mandato del cielo. La differenza tra la civiltà cinese e l’Occidente è che in Cina sacro e secolare, trascendente e reale non hanno confini assoluti: l’universalità della sacra tianxia è espressa nel mondo reale dalla volontà secolare della gente comune .

Tuttavia, la tianxia cinese era simile ad altre civiltà in quanto tutte centrate su un popolo scelto dal cielo. Quindi la tianxia si è diffusa nelle aree periferiche. La civiltà moderna, che il sociologo israeliano Shmuel Eisenstadt (1923-2010) ha descritto come la “seconda civiltà assiale”, è apparsa prima nell’Europa occidentale e poi si è diffusa nel resto del mondo. Come la tianxia, ​​aveva un carattere assiale: si spostava dal centro ai margini, da un popolo centrale al resto del mondo.

Ciò che la nuova tianxia vuole disfare è proprio questa struttura di civiltà assiale, condivisa sia dalla tradizionale tianxia sia dalle altre civiltà fondatrici, che si muovono tutte dal centro ai margini, di un particolarismo singolare verso un universalismo omogeneo. Il valore universale che persegue la nuova tianxia è una nuova civiltà universale. Questo tipo di civiltà non emerge dalla declinazione di una civiltà particolare; piuttosto, è una civiltà universale che può essere condivisa reciprocamente da molte civiltà diverse.

La civiltà moderna è emersa nell’Europa occidentale, ma nel processo di espansione nel resto del mondo ha subito una diversificazione, stimolando la modernizzazione culturale di vari popoli e civiltà assiali. Nella seconda metà del XX secolo, dopo l’ascesa dell’Asia orientale, lo sviluppo dell’India, le rivoluzioni in Medio Oriente e la democratizzazione dell’America Latina, molte varianti della civiltà moderna hanno visto il giorno. D’ora in poi, la modernità non appartiene più alla civiltà cristiana. Piuttosto, è una modernità polimorfa che si integra con molte civiltà assiali e culture locali. La civiltà universale che cerca la nuova tianxia è proprio quella civiltà moderna che può essere condivisa collettivamente da nazioni e popoli diversi.

Il politologo americano Samuel P. Huntington (1927-2008) ha distinto chiaramente tra due distinte narrazioni della civiltà universale: la prima è apparsa nel quadro analitico binario di “tradizione e modernità”, che ha prevalso durante la Guerra Fredda. In questo quadro, l’Occidente era considerato lo standard della civiltà universale e meritava di essere emulato da tutti i paesi non occidentali. L’altro resoconto utilizzava il quadro analitico delle civiltà plurali, che intendevano il concetto come un insieme di valori comuni e strutture sociali e culturali accumulate che potevano essere reciprocamente riconosciute da varie entità di civiltà e comunità culturali. Questa nuova civiltà universale fa di ciò che è comunemente condiviso la sua caratteristica fondante.

La nuova universalità ricercata dalla nuova tianxia è un’universalità condivisa. In questo senso differisce dall’universalità delle antiche civiltà assiali. I tianxia tradizionali e le antiche civiltà assiali avevano ideali che si sviluppavano dal particolarismo di un dato popolo, in connessione con le credenze di ciascuno di questi popoli. Ora, il carattere universale della nuova tianxia non si fonda su una particolarità, ma su molte particolarità. In quanto tale, non possiede più il carattere trascendentale del tradizionale tianxia e non ha più bisogno dell’approvazione del mandato del cielo, della volontà degli dei o della metafisica morale.

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L’universalità della nuova tianxia poggia sul “sapere comune accumulato” di ogni civiltà e di ogni cultura. In un certo senso, questo è un ritorno all’ideale confuciano mondano dell’“uomo superiore 君子”: “L’uomo superiore agisce in armonia con gli altri ma non cerca di somigliare a loro. I diversi sistemi di valori e perseguimenti materiali di varie civiltà e culture si adattano allo stesso mondo utilizzando metodi rispettosi e condividendo il consenso più fondamentale sui valori reciproci da rispettare.

L'”uomo superiore ( junzi )” è un concetto chiave negli Analetti di Confucio, che rappresenta il risultato finale della cultura confuciana. La citazione completa, nella traduzione di Robert Eno disponibile online , recita: “Il junzi agisce in armonia con gli altri ma non cerca di somigliare a loro; l’omino cerca di essere come gli altri e non agisce in armonia. (13, 23)

L’universalità ricercata dalla nuova tianxia trascende sia il sinocentrismo che l’eurocentrismo. Non cerca di creare un’egemonia di civiltà sulla base di una civiltà assiale e di una cultura nazionale. Non immagina che una particolare civiltà possa rappresentare il 21° secolo, senza nemmeno evocare il futuro dell’umanità. La nuova tianxia comprende razionalmente i limiti interni di tutte le civiltà e culture e accetta che il mondo sia plurale e multipolare. Nonostante i discorsi sul potere e sull’egemonia dell’impero, il vero desiderio dell’umanità non è il dominio di una singola civiltà o sistema, per quanto ideale o grandioso.

Quello che lo studioso russo-francese Alexandre Kojève (1902-1968) ha descritto come uno “stato universalmente omogeneo” è ancora così spaventoso. Il vero ideale, descritto dall’intellettuale illuminista tedesco Johann Herder (1744-1803), era profumato con l’aroma di fiori di varie varietà. Ma perché un mondo pluralistico sfugga ai massacri tra civiltà, sono necessari un universalismo kantiano e un eterno ordine pacifico.

Il principio universale dell’ordine mondiale non può prendere a norma le regole del gioco della civiltà occidentale, né può fondarsi sulla logica della resistenza all’Occidente. Il nuovo universalismo è quello di cui tutti i popoli possono beneficiare e che è emerso da civiltà e culture diverse: il “consenso sovrapposto”, nelle parole dello studioso americano John Rawls (1921-2002).

Nel suo saggio “Come affronta il soggetto l’altro? », il filosofo taiwanese Qian Yongxiang 钱永祥 (nato nel 1949) distingue tre tipi di universalità. La prima sottolinea la lotta tra dominio e asservimento, vita e morte, dove attraverso la conquista si raggiunge l’“universalità della negazione dell’altro”. Il secondo usa l’evitamento per trascendere l’altro, perseguendo una sorta di neutralità tra sé e l’altro e raggiungendo una “universalità che trascende l’altro”. Il terzo è prodotto dal riconoscimento reciproco di sé e dell’altro, basato sul rispetto della differenza e sulla ricerca attiva del dialogo e del consenso, una “universalità che riconosce l’altro”5.

Un universalismo che abbia come centro la Cina o l’Occidente appartiene alla prima categoria del dominio e della “negazione dell’altro”, mentre i “valori universali” promossi dal liberalismo non tengono conto delle differenze interne che esistono tra culture e civiltà diverse . Il liberalismo mira a trascendere il particolarismo del sé e dell’altro per costruire un “universalismo trascendente”. Tuttavia, il liberalismo può portare a una mancanza di riconoscimento e rispetto per l’unicità dell’altro.

L’“universalità reciprocamente condivisa” della nuova tianxia è simile alla terza categoria definita da Qian Yongxiang: una “universalità basata sul riconoscimento dell’altro”. Questa universalità non cerca di stabilire l’egemonia di una particolare civiltà sulle altre, né di denunciare i percorsi intrapresi da altre civiltà. Piuttosto, cerca il dialogo e la definizione di punti in comune attraverso scambi egualitari tra diverse civiltà.

John Rawls ha immaginato un sistema di giustizia universale per gli stati costituzionali e un sistema globale di “diritti dei popoli”, titolo che ha dato al suo libro del 1999 sull’argomento. Secondo lui, lo stato costituzionale potrebbe stabilire un ordinamento interno politicamente liberale basato su una “comprensione” risultante dal “consenso sovrapposto” derivante da diversi sistemi religiosi, filosofici e morali. Negli affari internazionali, un ordine globalmente giusto potrebbe essere costruito sui diritti umani universali.

In questo caso, Rawls potrebbe commettere un errore invertendo l’ordine dei percorsi da seguire. La solidità di un sistema giudiziario nazionale deve basarsi su valori comunemente condivisi e di contenuto sostanziale; un consenso artificiale non può funzionare. Ma per molte civiltà, gli elementi della comunità internazionale che convivono con la cultura nazionale, e l’uso degli standard occidentali sui diritti umani, sono apparsi troppo soggettivi e vincolanti per costituire il valore fondamentale del “diritto”. Popoli”. Internamente, lo stato-nazione richiede una razionalità comune, mentre la società internazionale può stabilire solo un’etica minimalista. Questa etica minimalista può basarsi solo sul “consenso sovrapposto” di diverse civiltà e culture:

L’ordine interno di Tianxia: l’unità nella diversità come principio di governance nazionale

La tianxia era l’anima della Cina premoderna. Il corpo istituzionale di quest’anima era l’impero cinese. L’impero cinese premoderno differisce notevolmente dalla forma di stato-nazione di cui gode oggi la Cina. Lo stato-nazione si basa sull’idea di una nazione per un popolo, con un mercato e un sistema istituzionale internamente unificati, e un’identità e cultura nazionale unificate. I metodi di governo di un impero sono più diversi e flessibili: non richiede uniformità tra le regioni interne dell’impero e le sue aree di confine. Finché le regioni di frontiera mostrano la loro fedeltà al governo centrale, l’impero può consentire ai popoli e alle regioni sotto la sua amministrazione di mantenere le loro religioni e culture,

Tutti gli imperi di successo nella storia, inclusi gli antichi imperi macedone, romano, persiano o islamico, così come il moderno impero britannico, hanno condiviso caratteristiche comuni quando si tratta dei loro principi di governo. L’impero cinese, la cui storia bimillenaria va dal periodo Qin-Han alla fine del periodo Qing, ci ha lasciato in eredità una ricca esperienza di tentativi di governo che merita di essere analizzata.

Sebbene la Cina si sia trasformata in un moderno stato-nazione europeo dopo la fine della dinastia Qing, la vastità della sua popolazione e la diversità dei territori che la componevano (vaste pianure, altopiani, praterie e foreste), fecero sì che la Cina rimanesse un impero, anche se ha preso la forma di un moderno stato-nazione. Dalla Repubblica di Cina alla Repubblica popolare cinese, generazioni di governi centrali hanno cercato di costruire un sistema amministrativo e un’identità unificati, in modo che il popolo cinese si percepisse come un gruppo nazionale omogeneo.

Eppure, dopo cento anni, non solo non è stata raggiunta l’unificazione sistemica, culturale e nazionale, ma al contrario, negli ultimi dieci anni, le questioni religiose ed etniche nelle regioni di confine come il Tibet e lo Xinjiang sono peggiorate, al punto che il separatismo e il terrorismo è apparso. Qual è la causa di questo fenomeno? Com’è possibile che, sotto l’impero tradizionale, i popoli minoritari delle regioni di frontiera abbiano potuto vivere in relativa pace, mentre nel quadro del moderno stato-nazione si manifestano crisi multiformi? L’esperienza del governo sotto l’impero può servire da guida per il moderno stato-nazione cinese?

In termini di concettualizzazione dello spazio, la tianxia costituiva una modalità gerarchica di associazione, con al centro le pianure centrali della Cina. La modalità di governo dell’impero cinese era basata su una serie di sfere concentriche che si sostenevano a vicenda. Nella sfera interna, dove viveva il popolo Han, veniva applicato un sistema burocratico sviluppato dal primo imperatore Qin. Nella sfera esterna, le regioni di confine abitate da minoranze, è stata istituita una varietà di governance locale. I sistemi di titoli ereditari, gli stati vassalli e i leader tribali erano basati su tradizioni storiche, caratteristiche etniche e situazioni territoriali specifiche.

Finché i popoli minoritari erano disposti a riconoscere l’autorità della dinastia centrale, potevano godere di una significativa autonomia e mantenere i loro costumi culturali, credenze religiose e politiche locali che erano state tramandate nel corso della storia. Il concetto di “un paese, due sistemi” proposto da Deng Xiaoping (1904-1997) negli anni ’80 per Macao, Hong Kong e Taiwan ha le sue origini nella saggezza di governo pluralista della tradizione imperiale premoderna.

Nella storia cinese ci sono stati due tipi di monarchie centralizzate: le dinastie Han delle pianure centrali, che videro una successione di Han (206 a.C. – 220 d.C.), i Tang (618-907), i Song (960-1279) ei Ming (1368-1644); e le dinastie dei popoli di frontiera, che includevano i Liao (907-1125), Jin (1115-1234), Yuan (1271-1368) e Qing (1644-1911). Gli Han erano un popolo agricolo che controllava vaste pianure coltivabili. Con l’eccezione di brevi periodi sotto gli Han occidentali e l’altezza del Tang, gli Han non riuscirono mai a stabilire un dominio duraturo, pacifico e stabile sui popoli nomadi delle praterie. Questo perché i modi di vita e le credenze religiose dei popoli agricoli e nomadi differivano ampiamente.

Eppure gli Han non furono in grado di sfruttare il loro successo con la civiltà delle pianure centrali per conquistare i popoli nomadi del nord e dell’ovest. Infatti, solo le dinastie stabilite dai popoli di confine riuscirono a unificare le regioni agricole e le regioni nomadi in un unico impero, formando così il vasto territorio della Cina contemporanea. La dinastia mongola Yuan durò appena 90 anni. La dinastia Manchu Qing, invece, costituiva un impero unificato, multicentrico e multietnico, molto diverso dalle dinastie Han. I Qing riuscirono a integrare in un ordine imperiale i popoli agricoli e i popoli delle praterie che, fino ad allora, erano riusciti a malapena a convivere in pace. Per la prima volta, il potere del governo centrale si estese con successo alle foreste e alle praterie del nord e agli altopiani e ai bacini dell’ovest, ottenendo così una struttura unificata senza precedenti.

Sebbene il popolo Manchu provenisse dalle remote foreste della catena montuosa del Greater Khingan in quella che oggi è la provincia settentrionale dell’Heilongjiang, possedeva un’intelligenza politica di prim’ordine. Per molti anni i Manciù vissero tra i popoli contadini e i popoli delle praterie. Erano stati sconfitti e avevano sconfitto anche altri popoli. Hanno mostrato una profonda comprensione delle differenze tra le civiltà. Una volta entrati nelle pianure e assunto il governo centrale, si misero a ricostruire un grande impero unificato e la loro esperienza storica si trasformò in intelligenza politica impiegata per governare la tianxia. La grande unità stabilita dai Qing era molto diversa da quella stabilita dal primo imperatore Qin.

Sebbene il passaggio citato da Xu sia spesso interpretato come una descrizione degli sforzi di unificazione compiuti dai Qin, in realtà deriva dal Libro dei Riti, che è stato scritto prima dell’unificazione dei Qin.

Nelle diciotto province che costituivano il territorio originario degli Han, la dinastia Qing perpetuò il sistema storico dei riti confuciani, utilizzando la civiltà cinese per governare la Cina. Nelle regioni di frontiera dei popoli manciuriani, mongoli e tibetani, ha usato il buddismo dei lama come un legame spirituale comune e ha impiegato metodi di governo diversi, morbidi e flessibili al fine di preservare una tradizione storica. Gli imperi dinastici conquistatori Mongol-Yuan e Manchu-Qing erano molto diversi dalle dinastie Han-Tang delle pianure centrali. Gli imperi Mongol-Yuan e Manchu-Qing non formarono una tianxia religiosa, culturale e politica unificata. Piuttosto, hanno cercato di costruire un sistema politico di convivenza reciproca basato sulla diversità culturale.

Le differenze inconciliabili nello stile di vita e nella religione tra i popoli agricoli e i popoli nomadi sono stati conciliati, come parte dell’esperienza di governo dell’Impero Qing, attraverso questo doppio sistema. Nella Cina odierna, il popolo agricolo Han e le minoranze nomadi di frontiera si scontrano con una civiltà industriale più potente e secolare. Le conquiste economiche e politiche dei popoli marittimi europei hanno trasformato radicalmente il popolo agricolo Han in modo che ora somiglino agli europei del 19° secolo, con il loro inesauribile desiderio di ricchezza materiale e concorrenza.

Inoltre, il secolarismo fu introdotto nei territori nomadi della Cina occidentale e settentrionale allo stesso modo in cui le potenze imperiali lo avevano portato in Cina. Eppure tendiamo a dimenticare che i popoli nomadi delle praterie sono diversi dai popoli agricoli; la loro concezione della felicità è completamente diversa da quella degli Han secolari. Per un popolo con profonde credenze religiose, la vera felicità non si trova nella soddisfazione dei desideri materiali o nei piaceri della vita secolare; anzi, si trova nella protezione degli dèi e nella trascendenza della sua anima. Quando il governo centrale utilizza la visione unitaria dello Stato-nazione per diffondere i principi dell’economia di mercato, dell’uniformità della gestione burocratica e della cultura laica nelle regioni di confine, incontra una forte reazione da parte di alcuni membri di gruppi minoritari, che resistono ferocemente alla secolarizzazione, simile alla resistenza vista in alcune parti del mondo islamico dell’Asia sudoccidentale e orientale.Nord Africa.

Da un’altra prospettiva, una delle principali differenze tra il moderno stato-nazione e il tradizionale impero cinese è che lo stato-nazione cerca di creare una cittadinanza unificata: il popolo cinese. Costituiti da oltre il 90% della popolazione, gli Han sono l’etnia dominante e principale, e per questo spesso immaginano, consciamente o inconsciamente, che la loro storia e le loro tradizioni culturali rappresentino quelle del popolo cinese. Come gruppo etnico principale, cercano di assimilare gli altri gruppi etnici in nome dello “Stato” o della “cittadinanza”.

Tuttavia, il significato moderno della parola “nazione” non è quello che intendiamo con il senso comune della parola “popolo”, gruppo di persone con usi, costumi e tradizioni religiose, come gli Han, i Manciù, i Tibetani, gli Uiguri , Mongoli, Miao, Dai, ecc. L’idea di “nazione” è intimamente legata al concetto di “stato”. Il popolo riunisce tradizioni storiche e culturali, ma ha anche elementi più recenti che sono emersi contemporaneamente al moderno stato-nazione e sono i suoi prodotti. Questa è la differenza fondamentale tra i cittadini moderni e le persone storiche.

Il “popolo cinese” non è un “popolo” nel senso in cui di solito si intende questo termine. La cittadinanza cinese è stata forgiata, come negli Stati Uniti, con l’apparizione dello stato moderno. Sebbene la nozione di popolo cinese definisca gli Han come soggetti, non sono l’equivalente del popolo cinese. La dinastia Qing creò uno stato multietnico più o meno nei contorni della Cina moderna, ma non tentò di forgiare un popolo cinese uniforme. L’emergere del concetto di popolo cinese arriva solo dopo la fine del periodo Qing, prima nelle discussioni di politici come Yang Du 杨度 (1875-1931) e intellettuali come Liang Qichao 梁启超 (1873-1929).

La Repubblica di Cina fondata nel 1911 era uno stato-nazione basato sul modello di una “repubblica dei cinque popoli”. Ciò significava che il popolo cinese non era limitato agli Han, né le tradizioni culturali storiche degli Han potevano essere utilizzate per creare una narrativa commemorativa e impostarle come standard per il futuro. La Cina premoderna era una Cina diversificata. C’era la Cina della civiltà Han, centrata sulle pianure centrali; c’era anche la Cina delle minoranze etniche delle praterie, delle foreste e degli altipiani. Insieme hanno plasmato la storia della Cina premoderna. I cinquemila anni di storia della Cina sono la storia di interazioni permanenti tra i popoli delle pianure e delle frontiere, i popoli agricoli e i popoli nomadi. Durante questa storia, i cinesi sono diventati barbari ei barbari sono diventati cinesi. Alla fine, cinesi e barbari si fusero in un flusso comune e, durante l’era Qing, permisero l’emergere di un moderno stato-nazione. Cominciarono a riunirsi come un corpo di cittadini noto come il popolo cinese.

È molto più difficile forgiare una cittadinanza multietnica che costruire uno Stato moderno. Il problema non sta nell’atteggiamento dell’etnia dominante, ma nel grado di identificazione delle etnie minoritarie con l’identità dei cittadini. Il professor Yao Dali 姚大力 (n. 1949), studioso delle aree di confine della Cina, ha osservato: “Apparentemente, le richieste estreme del nazionalismo etnico minoritario e del nazionalismo statale sembrano essere completamente antitetiche, ma in realtà sono quasi certamente le stessa cosa. La storia ci ricorda spesso che il nazionalismo statale nasconde il nazionalismo etnico del principale gruppo comunale in un dato stato.6.

Dai primi tentativi di costruire la cittadinanza durante la dinastia Qing fino ad oggi, gli Han sono stati spesso visti come l’equivalente del popolo cinese. L’Imperatore Giallo è considerato il padre della civiltà cinese. Dietro questo nazionalismo cittadino si nasconde il vero volto del nazionalismo etnico. La costruzione di una cittadinanza sulla base di un’unica etnia è destinata al fallimento, perché appena un Paese vive una crisi politica, le minoranze etniche oppresse si ribellano. Il crollo dell’impero sovietico è l’esempio più recente.

Fei Xiaotong ha sviluppato una concezione tradizionale del popolo cinese; lo caratterizza per una “unità nella diversità”. L’unità dei cittadini unisce il popolo cinese. “Diversità” si riferisce all’autonomia culturale reciprocamente riconosciuta e ai diritti all’autonomia politica posseduti da tutte le nazionalità e minoranze etniche. Sebbene l’Impero Manchu Qing non abbia cercato di creare una popolazione unificata, è riuscito a mantenere questa “unità nella diversità”. Ha reso possibile la diversità attraverso il rispetto della pluralità delle religioni e dei modi di governo. Ha raggiunto “l’unità” attraverso un’identità dinastica multietnica condivisa.

Questa “unità” non si basava sull’identificazione civica, ma piuttosto su una dinastia universale. Intellettuali Han, duchi mongoli, lama tibetani e capi tribù del sud-ovest riconobbero tutti il ​​monarca della dinastia Qing. L’unico simbolo di stato, l’imperatore Qing è stato chiamato con nomi diversi da popoli diversi. Gli Han lo chiamavano imperatore, i duchi mongoli lo chiamavano il Gran Khan, il capo dell’alleanza delle praterie, ei tibetani lo chiamavano Manjusri, il Bodhisattva vivente. Il nucleo dell’identità statale dell’Impero Qing poggiava su un’identità politica il cui simbolo era il potere monarchico. Questo potere si basava non solo sulla violenza, ma anche su una cultura multiforme. Quindi c’era davvero un monarca e molteplici espressioni culturali.

L'”unità” cinese creata dalla dinastia Qing della Manciuria non è più adatta all’era dello stato-nazione. Oggi la Cina ha bisogno di un’identità civica unificata. Eppure i problemi che emergono nelle regioni di confine e con le minoranze illustrano il fatto che non abbiamo ancora trovato il giusto equilibrio nella nostra politica di “unità nella diversità”. Nelle aree in cui avevamo bisogno di “unità”, abbiamo definito troppe eccezioni. Ad esempio, nel far rispettare la legge sulle minoranze etniche, siamo stati troppo indulgenti, il che ha generato risentimento tra gli Han che vivono nelle zone di confine. Nelle aree in cui avevamo bisogno di “diversità”, eravamo troppo “rigidi”. Per esempio, non abbiamo sufficientemente rispettato le credenze religiose e le tradizioni culturali delle minoranze etniche e non abbiamo applicato abbastanza il diritto all’autonomia nelle regioni minoritarie. Tutti questi comportamenti testimoniano una propensione allo sciovinismo Han.

Le minoranze etniche non erano obbligate a seguire la “politica del figlio unico” con la quale la Cina sperava di limitare la crescita della popolazione. Alcuni cinesi Han lo trovarono ingiusto.

La tensione tra diversità e unità è una preoccupazione comune a tutte le nazioni multietniche. Sono domande complesse a cui i sistemi democratici non offrono risposte semplici. Secondo alcuni liberali, la questione etnica è una falsa questione. Ritengono che finché le regioni minoritarie godranno di una reale autonomia e un sistema federale si sostituirà al potere politico centralizzato, la questione etnica sarà immediatamente risolta. Tuttavia, sappiamo dagli esempi passati in Cina e in altri paesi che le minoranze etniche a lungo oppresse, in caso di rivolte, utilizzeranno l’indebolimento del potere centralizzato per liberarsi e chiedere l’indipendenza. La nazione unita affronterà così una crisi di disintegrazione.

Va sottolineato che la nuova tianxia qui proposta da Xu Jilin ha per oggetto non il sistema “occidentale” che governerebbe il mondo attuale, ma il nuovo nazionalismo propugnato da molti intellettuali cinesi, nonché il Partito-Stato, che a lui cerca di recuperare il discorso tradizionale su basi errate. Pertanto, Xu Jilin ammette che la Cina gioca un ruolo più importante sulla scena internazionale, ma non come “l’unica civiltà” tra gli stati-nazione minori. La Cina è ormai parte della civiltà moderna (o postmoderna) e deve mostrarsi come tale e assumersi le proprie responsabilità.

In che modo, nel processo di democratizzazione, un Paese può prevenire il separatismo che porta alla disgregazione della nazione, pur garantendo rigorosamente l’autonomia culturale e politica delle minoranze? Chiaramente, un modello di governance nazionale unificata che ponga troppa enfasi sull’integrazione economica, politica e culturale farà fatica a risolvere questo problema intrattabile. Le esperienze di successo degli imperi premoderni con un sistema pluralistico di religione e governo possono ispirarci.

In Cina, il “patriottismo costituzionale” può garantire l’uguaglianza e il rispetto della legge per tutti gli individui, indipendentemente dalla nazionalità o dalla regione di origine. L’affermazione di questi principi rafforzerà l’identità nazionale di ogni gruppo etnico minoritario. L’identità dinastica tradizionale, che era basata sul simbolo del potere monarchico, deve trasformarsi in un’identità nazionale basata su uno Stato-nazione che ne rispetti la Costituzione.

Allo stesso tempo, dovremmo essere ispirati dalla tolleranza religiosa e dal tradizionale sistema di governo dell’impero, consentendo al confucianesimo di simboleggiare l’identità culturale del popolo Han, proteggendo al contempo le particolarità religiose, linguistiche e culturali delle minoranze. diritti e offrendo loro garanzie. L’espressione “un paese, due sistemi” non dovrebbe essere usata solo nei confronti di Hong Kong, Macao e Taiwan. Dovrebbe essere ampliato per diventare un principio guida di governance per le aree di confine autonome. Solo attraverso tali misure si può costruire l’ordine interno della nuova tianxia. Bisogna immaginare una nuova cittadinanza per il popolo cinese che sia insieme “unita” e “diversa”.

Dal 19° secolo, abbiamo assistito all’ascesa degli stati nazionali. La conservazione della sovranità nazionale è stata eretta come un interesse centrale. I confini sono stati chiaramente delineati sulla terra e nel mare… Il primato della sovranità nazionale che sta prendendo piede nella mentalità cinese dei cittadini e dei leader è molto diverso dal tradizionale pensiero tianxia. In Europa, i politici hanno imparato dalle lezioni delle due guerre mondiali e hanno cercato di ridurre il potere dello Stato. Le prime conquiste dell’Unione Europea hanno poi visto la luce nel contesto della globalizzazione. Al contrario, in Asia orientale (compresa la Cina) il nazionalismo ha conosciuto una rinascita senza precedenti con il rischio che emergano nuovi conflitti militari.

La nuova tianxia può servire da antidoto all’ascesa del nazionalismo? Lucien Pye (1921-2008), studioso cinese e politologo americano, una volta disse che la Cina era un impero di civiltà travestito da stato-nazione. Se siamo d’accordo con questo commento, la Cina oggi rimane un impero monarchico tradizionale nella misura in cui lo stato cinese riconosce la diversità culturale delle regioni e delle nazioni di confine. La Cina oggi usa i metodi dello stato-nazione per governare un enorme impero. Negli affari internazionali e nei conflitti in cui sono in gioco i suoi interessi, la Cina fa affidamento su una retorica che attribuisce il primato assoluto alla conservazione della propria sovranità nazionale.

L’ascesa della Cina ha sollevato preoccupazioni tra i suoi vicini. Temono che l’impero cinese rinasca e cercano di esercitare il dominio sulla regione. Gli stati dell’Asia orientale hanno così paura delle ambizioni cinesi che hanno chiesto agli Stati Uniti, uno stato imperialista, di essere coinvolti nell’Asia orientale per bilanciare il crescente potere della Cina. Di recente, in un articolo intitolato “Il significato dell’Asia orientale della teoria dell’impero cinese”, il professore coreano Yông-sô Paek ha osservato che: “L’impero premoderno della Cina non era suddiviso in diversi stati nazione. La Cina contemporanea ha mantenuto le caratteristiche dell’imperialismo medievale fino ad oggi. Allo stesso tempo, se consideriamo che il periodo moderno è caratterizzato da una rapida trasformazione da stato-nazione a impero, allora, in un certo senso si può dire che il carattere imperiale originario della Cina non solo non scomparirà, ma si rafforzerà. »7Anche se la Cina ripete che la sua ascesa è pacifica, perché non riesce a convincere i suoi vicini? Una delle ragioni principali è che l’ente imperiale cinese apprezza soprattutto il rispetto della propria sovranità nazionale. È un impero senza coscienza tianxia.

Sotto l’impero cinese tradizionale e la coscienza tianxia, ​​è stato promosso un intero insieme di valori universali che trascendevano l’interesse individuale. Questa coscienza universale traeva la sua fonte da un’etica morale e serviva da standard per misurare il bene e il male, limitando l’estensione del potere dei governanti e determinando la legittimità di una dinastia a governare. Al contrario, un impero senza coscienza tianxia significa che il corpo imperiale non è più guidato da valori universali. Esistono invece solo calcoli strategici che rispondono ad interessi esclusivamente nazionali.

Il concetto di modernità dall’Europa ha due dimensioni. Il primo, tecnico, mira a rafforzare e arricchire la nazione. Il secondo è legato ai valori, che sono al centro la libertà, lo Stato di diritto e la democrazia. Il primo riguarda la forza, il secondo la civiltà. Se guardi la pagella della Cina dopo mezzo secolo di emulare l’Occidente, si sta praticamente comportando come un bambino prodigio quando si tratta della dimensione tecnica. Ma quando si tratta di valori democratici, ha fallito. Ha persino completamente dimenticato il tradizionale discorso tianxia.

I portavoce del ministero degli Esteri cinese usano spesso le seguenti espressioni per descrivere le politiche interne della Cina: “Questa è una questione di politica interna, non permettiamo agli stranieri di interferire” o “Riguarda la sovranità e gli interessi fondamentali della Cina, come possiamo consentire ai paesi stranieri di intervenire?” In una società internazionale basata su principi comuni, la Cina resta estranea al discorso universalistico e si protegge invocando il primato della sua sovranità nazionale. L’impero cinese tradizionale ha accolto molti paesi alla sua corte nel corso degli anni, non perché i paesi vicini temessero la forza militare dell’impero, ma perché erano attratti dalla sua civiltà e istituzioni avanzate.

Il primato dell’interesse nazionale convincerà solo chi ne trarrà vantaggio; non ha mezzi per convincere l'”altro”. La grandezza del confucianesimo deriva proprio dalla sua capacità di trascendere gli interessi del singolo “piccolo personaggio” o di una dinastia. È al di sopra dello stato e porta i valori universali di tianxia, ​​che è il più grande dei “grandi sé”, il “grande sé” dell’umanità. Gli intellettuali cinesi del periodo del 4 maggio hanno perpetuato lo spirito tianxia che lega l’individuo all’umanità attraverso lo spirito internazionalista dell’era moderna.

Il ricercatore e linguista Fu Sinian 傅斯年 (1896-1950) formulò una nota espressione che riflette la filosofia degli intellettuali del 4 maggio: “Ad alto livello, riconosco solo l’esistenza dell’umanità. Certo, ‘io’ esiste nel mio piccolo mondo, ma le cose che mediano tra me e l’umanità, come le classi, le famiglie, le regioni e lo stato, sono solo idoli. »8Anche Liang Qichao, che fu il primo a introdurre il concetto di stato-nazione in Cina, e che alla fine della dinastia Qing difese ferocemente la supremazia assoluta dello stato-nazione, si arrese improvvisamente durante il Movimento del 4 maggio che ” il nostro patriottismo non può abbracciare la nazione e ignorare l’individuo, né abbracciare la nazione e ignorare il mondo. Dobbiamo fare affidamento sulla protezione della nazione per sviluppare al massimo le capacità innate di ciascuno e di tutti, in modo da dare un grande contributo alla civiltà globale dell’umanità”9.

Il movimento dei cittadini del 4 maggio era basato sull’internazionalismo. Gli studenti sono scesi in piazza non per combattere per ristretti interessi nazionali, ma piuttosto per difendere i valori universali. Piuttosto che usare la forza per far sentire le loro richieste, hanno basato la loro lotta sull’appello al rispetto dei principi universali. Era il cuore della coscienza patriottica tianxia del 4 maggio. Il concetto di stato-nazione arrivò in Cina dall’Europa attraverso il Giappone, e si intrecciava con il principio darwiniano della “sopravvivenza del più adatto”, tanto che alla fine della dinastia Qing era penetrato profondamente nella mentalità dei cinesi . Al contrario, gli intellettuali del 4 maggio hanno cercato di mettere in guardia dalle devastazioni della prima guerra mondiale e hanno cercato di usare l’internazionalismo come rimedio.

Mentre il nazionalismo avanza nell’Asia orientale, guidato dai politici e dall’opinione pubblica, la domanda è come superare la supremazia dello stato-nazione e trovare un nuovo universalismo per l’Asia orientale. L’instaurazione di un nuovo ordine pacifico è diventata una delle principali preoccupazioni di tutti gli intellettuali impegnati nell’Asia orientale. Il centro del mondo del 21° secolo si è già spostato dall’Atlantico al Pacifico. L’Asia orientale che si trova sulla sponda occidentale del Pacifico non può essere divisa. Deve trovare i mezzi per definire una comunità di destino condiviso.

La comunità del destino comune dell’Asia orientale era già visibile, dal XV al XVIII secolo, nella forma del sistema tributario centrato sulla Cina. Lo specialista mondiale dei sistemi Andre Gunder Frank (1929-2005), ha spiegato nel suo libro Re-orient: The Global Economy in the Asian Age, che un'”era asiatica” era prevalsa prima della rivoluzione industriale in Europa. Il tianxia e il sistema affluente cinese attorno al quale erano organizzate le sfere concentriche definivano l’ordine imperiale cinese.

Nel 21° secolo, nell’era della nuova tianxia, ​​bisogna immaginare un nuovo universalismo condiviso, decentrato e non gerarchico. Il sistema affluente ovviamente non è più idoneo. Tuttavia, alcuni fattori del sistema tributario possono essere integrati nel quadro delle relazioni interstatali della nuova tianxia, ​​a condizione che siano decentrati e non gerarchici. Il sistema tributario ha agito come una sorta di complessa rete etica, politica e commerciale. Era totalmente diverso dal dominio a senso unico che definiva l’imperialismo europeo. Nel sistema tributario non c’erano padroni o schiavi, sfruttatori e sfruttati, predoni e depredati. Il sistema cinese ha posto maggiore enfasi sugli interessi condivisi tra i paesi.

Storicamente, l’impero cinese ha utilizzato i vantaggi reciproci del sistema tributario per stringere alleanze con molti paesi, fino a quando non è riuscito a stringere relazioni pacifiche con ex nemici. Tianxia ha una sua civiltà, con la comprensione e il perseguimento di un ordine etico universale. L’impero cinese non aveva bisogno di nemici. Il suo obiettivo era limitare gli antagonismi al fine di costruire relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose.

Se l’impero cinese aveva molti alleati, la Cina ora ha nemici ovunque. Alcuni conservatori dell’esercito cinese considerano addirittura che “la Cina è circondata da tutti i lati”. Resta da vedere se questi nemici sono reali o immaginari. Poiché la Cina eleva la propria sovranità nazionale a valore fondamentale, immagina di essere costantemente sotto attacco. Un’altra dimensione del problema è che, sebbene la “supremazia nazionale prima di tutto” sia ora una mentalità universale condivisa dai funzionari cinesi e dal popolo, e la gravità della crisi interna cinese richiede effettivamente la costruzione di una nuova identità nazionale comune, il nazionalismo cinese contemporaneo è stato svuotato del suo significato di civiltà, e non rimane altro che un simbolo enorme e vuoto. È quindi necessario creare nemici esterni per riempire questo vuoto interiore. Il fragile “noi” può così essere protetto dalla minaccia del minaccioso “altro”. È così che si stabilisce l’identità nazionale e statale cinese. Ciò ha reso le relazioni della Cina con i suoi vicini e con il mondo sempre più tese. In passato, Mao Zedong ha proclamato con orgoglio che “abbiamo amici in tutto il mondo”. Oggi la Cina si trova nella situazione opposta: aumentano le controversie con gli altri Paesi. In passato, Mao Zedong ha proclamato con orgoglio che “abbiamo amici in tutto il mondo”. Oggi la Cina si trova nella situazione opposta: aumentano le controversie con gli altri Paesi. In passato, Mao Zedong ha proclamato con orgoglio che “abbiamo amici in tutto il mondo”. Oggi la Cina si trova nella situazione opposta: aumentano le controversie con gli altri Paesi.

Nelle odierne società dell’Asia orientale, in particolare in Cina e Giappone, il sentimento nazionalista è in aumento. Le controversie su varie isole del Mar Cinese Orientale e Meridionale sono diventate aree strategiche che potrebbero scatenare una guerra in caso di incidente. La sovranità è chiaramente definita negli oceani? Nel mondo premoderno dell’Asia orientale, questo non era semplicemente un problema. Il professor Takeshi Hamashita 滨下武志 (n. 1943), un’autorità giapponese sul sistema dei tributi, ha osservato che: “Nella storia dell’Asia orientale, dal punto di vista della cooperazione territoriale, il mare doveva essere utilizzato da tutti. Il mare non poteva essere tagliato e doveva essere accessibile a tutti i marinai. Tuttavia, la prospettiva occidentale riguardo al mare era completamente diversa. I portoghesi e gli spagnoli consideravano il mare un’estensione della terraferma. Tuttavia, le normative occidentali non sono le uniche che esistono e sono state fonte di molti conflitti dall’inizio del periodo moderno.

Nell’Asia orientale storica, mentre il mare separava i paesi l’uno dall’altro, le acque erano comuni a tutti ed erano soggette a reciproco godimento. Il mare e le sue isole erano proprietà collettiva di tutti i paesi che vi avevano accesso. Così i popoli contadini percepivano il mare: solo in epoca moderna, quando i popoli marittimi dell’Europa in espansione cercarono di controllare le risorse del mare per interessi commerciali, imponendo così la loro egemonia sul mondo, che il mare era considerato come un’estensione della terra, come elemento di sovranità nazionale. Così il mare era scolpito e ogni centimetro quadrato di ogni isola era oggetto di conflitto. La logica dei popoli del mare europei ha determinato le regole delle relazioni tra i paesi.

Se consideriamo la sovranità rivendicata dagli Stati che hanno un lungomare in una prospettiva storica, questa affermazione non ha legittimità perché il mare non ha confini. Il diritto marittimo internazionale si basa ovviamente su una logica di potere, che consente e incoraggia la violenza per il controllo del mare, ma se usiamo un altro modo di pensare e ci affidiamo alla concezione tradizionale di mare comune di tianxia, ​​l’intelligenza ‘arretrata’ degli agricoltori può infatti fornire un metodo del tutto innovativo per risolvere i conflitti causati dalle regole dei popoli di mare ‘avanzati’. Nella proposta avanzata da Deng Xiaoping negli anni ’80 per risolvere il conflitto nell’isola di Diaoyutai (chiamata Senkaku in giapponese), “Evitare il conflitto, sviluppare collettivamente”, vediamo l’intelligenza del tianxia tradizionale. Tuttavia, sembra essere stato mantenuto solo il significato strategico della proposta. Tuttavia, la saggezza orientale che si nasconde dietro la tianxia fornisce nuovi principi per risolvere i conflitti internazionali che si svolgono negli oceani.

Sulla possibilità di una comunità di destino condiviso nell’Asia orientale

La costruzione della Cina come nazione di civiltà era intimamente legata all’ordine dell’Asia orientale. Il professor Yông-sô Paek ha osservato che: “se la Cina non fa affidamento sulla democrazia, ma cerca piuttosto di legittimare il proprio potere facendo rivivere la memoria storica di una grande unità, allora ciò che avrà fatto, c sarà seguire il moderno modello di modernizzazione in cui la forza trainante è il nazionalismo. Non sarà stata in grado di creare un nuovo modello in grado di superare questo limite. Quindi, sebbene la Cina voglia guidare un ordine nell’Asia orientale, ha difficoltà a ottenere la partecipazione volontaria dei paesi vicini”10.

Se la Cina riuscirà a stabilire un regime democratico e lo stato di diritto, come applicato negli Stati Uniti o in Inghilterra, ciò consentirà ai paesi vicini di avere più fiducia? Data la potenza e le dimensioni della popolazione cinese, diventerà una grande potenza in grado di dominare. Anche se diventa un “impero di libertà”, spaventerà i paesi vicini, soprattutto quelli piccoli. Corea e Vietnam sono due paesi indipendenti che si sono staccati dal sistema tributario dell’impero cinese. In quanto tali, sono particolarmente diffidenti nei confronti della Cina, che storicamente era il loro signore supremo. In nessun caso sarà disposto a diventare di nuovo uno stato vassallo della Cina, anche se la Cina si trasforma in una nazione democratica.

Tutto ciò suggerisce che ricostruire un ordine pacifico nell’Asia orientale non può essere così semplice come hanno suggerito alcuni liberali cinesi: non tutto può essere ridotto a una questione di riforma politica interna in Cina. Il desiderio di stabilire un ordine pacifico nell’Asia orientale è di per sé una degna causa. Il prerequisito per la sua realizzazione non è che la Cina diventi una democrazia in stile occidentale. Nonostante la Cina sia un Paese non democratico, con un ordine interno basato sullo stato di diritto e un fondamentale rispetto delle regole internazionali, è possibile che possa partecipare alla ricostruzione di un nuovo ordine in Asia orientale.

Nel suo saggio intitolato “Asia’s Territorial Order: Overcoming Empire, Towards an East Asian Community”, Yông-sô Paek sottolinea che storicamente l’Asia orientale ha conosciuto tre ordini imperiali: il primo era il tradizionale sistema tributario con al centro l’impero cinese ; la seconda è stata la Sfera di Co-Prosperità giapponese che ha sostituito la Cina come egemone nella prima metà del 20° secolo; il terzo era l’ordine della Guerra Fredda del dopoguerra stabilito nell’Asia orientale dalla Guerra Fredda11.

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Di recente, con l’ascesa della Cina, il “perno” americano verso l’Asia, ei tentativi del Giappone di ristabilire la sua posizione strategica, nell’Asia orientale è nuovamente sorto un conflitto imperialista per l’egemonia. Questo è il motivo per cui non è improbabile che negli anni a venire emerga un nuovo conflitto nell’Asia orientale. Come suggerisce il professor Paek, la missione comune di tutti i paesi della regione dovrebbe essere quella di rifiutare il centralismo dell’impero e stabilire una comunità con un futuro condiviso nell’Asia orientale basata sull’uguaglianza. Un moderno impero basato sulla supremazia dello stato-nazione, in cui la sovranità domina tutto, si basa su una logica egemonica, considerando i paesi vicini come sudditi. Imparare la pacifica convivenza e riconoscere la soggettività dell’altro è l’obiettivo della nuova tianxia. In effetti, questo obiettivo è il nuovo internazionalismo su cui dovrebbe essere costruita la comunità del destino comune nell’Asia orientale.

Un nuovo ordine di pace nell’Asia orientale richiede l’istituzione di un nuovo insieme di valori universali dell’Asia orientale. Con la fine della Guerra Fredda, l’Asia orientale ha perso ogni senso di identità, anche di tipo oppositivo. Sono rimaste solo alleanze o antagonismi basati su interessi nazionali. Le alleanze non erano basate sulla consapevolezza di valori comunemente condivisi ma su logiche opportunistiche. Da questi conflitti di interesse sono scaturiti gli antagonismi tra gli stati dell’Asia orientale: la lotta per il potere sulle risorse, il commercio e il controllo delle isole ne sono testimonianza. Poiché il mondo dell’Asia orientale non ha più valori universali, alleanze e conflitti sono tutti caratterizzati da disordine, variabilità e instabilità. I nemici di oggi sono gli alleati di ieri, e gli alleati di oggi potrebbero essere i nemici di domani. Dal punto di vista degli interessi, non ci sono nemici eterni, né amici eterni. Questo dramma dei “Tre Regni”, questi giochi infiniti, aumenta solo il rischio di guerra, rendendo l’Asia orientale una delle regioni più instabili del mondo.

Il riferimento è al celebre romanzo, Il romanzo dei tre regni三国演义, attribuito a Luo Guanzhong罗贯中, che ripercorre la storia dei conflitti e delle macchinazioni all’indomani della caduta della dinastia Han.

Il mondo dell’Asia orientale di oggi ricorda l’Europa della prima metà del XX secolo. L’apice degli interessi nazionali, in cui molti paesi hanno intrapreso strategie di confronto, ha portato allo scoppio di due guerre mondiali. L’Europa dopo la seconda guerra mondiale è stata segnata dalla riconciliazione di Francia e Germania, seguita dal lungo periodo della Guerra Fredda, per raggiungere finalmente l’integrazione europea all’inizio del XXI secolo. L’istituzione di una comunità in Europa si basava su due valori universali: la civiltà cristiana storicamente condivisa e i valori dell’Illuminismo del periodo moderno. Senza la civiltà cristiana e i valori universalisti dell’Illuminismo, sarebbe molto difficile immaginare un’Unione europea praticabile. Qualsiasi comunità costituita unicamente sulla base di interessi è sempre temporanea e instabile. Solo la condivisione di valori comuni consente l’instaurazione di un consenso e di una comunità duratura. Anche in presenza di conflitti di interesse, la negoziazione può portare a compromessi e scambi.

Per creare una vera comunità di destino comune nell’Asia orientale, non si possono usare interessi a breve termine, né vedere l’Occidente come l’altro attraverso il quale viene riconosciuto il sé. Questa comunità deve avere una dimensione storica ed essere istituzionalizzata. Da un punto di vista storico, la nozione di ordine comune dell’Asia orientale non è una nozione vuota. Il sistema storico tributario, i movimenti dei popoli, la sfera culturale definita dalla diffusione dei caratteri cinesi, il buddismo e il confucianesimo che si diffondono in tutta l’Asia orientale… tutti questi elementi danno legittimità storica alla comunità dell’Asia orientale.

Il filosofo e critico letterario giapponese Karatani Kôjin 柄谷行人 (n. 1941) ha sottolineato che “anche se le nazioni emerse da un impero comune possono avere forti antagonismi, possiedono comunque punti di convergenza religiosa e culturale. In generale, tutti i paesi moderni sono nati dalla dislocazione degli imperi globali. Così, quando minacciati da altri imperi mondiali, gli stati si sforzano di preservare l’unità che un tempo li legava nel vecchio impero. Questo è chiamato il “ritorno imperiale”12.

Tuttavia, questo non è un semplice ritorno al passato. Nell’era dello stato-nazione, sono necessari nuovi elementi per tentare di stabilire una comunità decentralizzata, persino anti-imperiale, di nazioni pacifiche. L’universalismo dell’Asia orientale deve essere ricostruito sulla base del patrimonio storico della regione. La nuova tianxia è precisamente un nuovo programma universalista che abbraccia e trascende la storia. Sviluppato dalla tradizione imperiale, ha caratteristiche culturali universali. Allo stesso tempo, si sforza di rifiutare il centralismo e la gerarchia dell’impero, preservando la diversità interna religiosa, istituzionale e culturale. Si potrebbe dire che è la rinascita di un impero deimperializzato, di una comunità interna pacifica, multietnica e transnazionale.

La comunità dell’Asia orientale del destino condiviso deve avere un’anima, un valore universale in attesa di essere inventato. Deve avere anche un organo istituzionale. La comunità non può semplicemente fare affidamento sulle alleanze tra le nazioni per formare un’unione pacifica che trascende lo stato-nazione. Ciò che è ancora più necessario è che gli intellettuali ei cittadini dell’Asia orientale si impegnino in un dialogo per consentire l’emergere di un “Asia orientale popolare”, che sarà più in grado degli Stati di superare le barriere tra i diversi Stati nazione. Questa “Asia orientale popolare” supererà la centralizzazione e le gerarchie, perché possederà essa stessa un comune senso di uguaglianza, diventando così la base sociale da cui emergeranno i nuovi valori universali dell’Asia orientale.

Rifiutando ogni forma di gerarchia e ponendo l’uguaglianza al centro delle sue preoccupazioni, la tianxia cerca di stabilire un nuovo universalismo “comunemente condiviso”. La tianxia storica ricorse ai metodi di governo imperiali per formare il suo corpo istituzionale. L’impero tradizionale è diverso dal moderno stato-nazione, che cerca di omogeneizzare e incorporare le popolazioni in un unico sistema. Nell’impero tradizionale, l’ordine interno onorava la diversità nella religione e nel governo istituzionale, e l’ordine esterno costituiva una rete politica, commerciale ed etica integrata, che poneva al centro i vantaggi reciproci del sistema retributivo, partecipando al commercio internazionale.

La tradizionale saggezza tianxia dell’impero può gettare luce sullo stato cinese contemporaneo: la logica unificata dello stato-nazione deve essere combinata con la diversità dei sistemi dell’impero, per garantire l’equilibrio. In sintesi, nelle regioni centrali della Cina dovrebbe essere attuata la politica di “un sistema, diversi modelli”; nelle regioni di confine si dovrebbe applicare “una nazione, culture diverse”; a Hong Kong, Macao e Taiwan si dovrebbe sperimentare “una civiltà, diversi sistemi”; nella società dell’Asia orientale si dovrebbe riconoscere “una regione, interessi diversi”; nella società internazionale dovrebbe essere sviluppato “un mondo, diverse civiltà”. In questo modo si può stabilire l’ordine interno ed esterno della nuova tianxia,

FONTI
  1. Per le opere in inglese di Zhang Weiwei, si veda, tra gli altri, China Wave: Rise of a Civilizational State (Hackensack, NJ: World Century Pub Corp, 2012); per Pan Wei, vedi Sistema occidentale contro sistema cinese (Singapore: East Asian Institute, National University of Singapore, 2010).
  2. Joseph Levenson, La Cina confuciana e il suo destino moderno . Xu cita la traduzione cinese.
  3. “滨下武志谈从朝贡体系到东亚一体化” (Takeshi Hamashi discute del sistema tributario di integrazione dell’Asia orientale) in Ge Jianxiong 葛剑雄, ed., 谁来决定我们是谁? (Chi decide chi siamo?), (Nanchino: Yilin chubanshe, 2013), p. 124.
  4. Vedi Xu Zhuoyun (Cho-yun Hsu) 许倬云, 我者与他者:中国历史上的内外分布 ( Sé e altro: Distinzioni tra interno ed esterno nella storia cinese ), (Pechino: Sanlian shudian, 2010).
  5. Qian Yongxiang 钱永祥, “主体如何面对他者:普遍主义的三种类型” (Come il soggetto tratta gli altri? Tre tipi di universalismo), in Qian Yongxiang, 普遍与牼殊的~政沩辩普遍与牼殊的~政沩辩普政沩辩发掘 (La dialettica dell’universale e del particolare: l’esplorazione del pensiero politico), (Taibei: Taiwan yanjiuyuan renwen shehui kexue yanjiu zhongxin zhengzhi sixiang yanjiu zhuanti zhongxin, 2012), pp. 30-31.
  6. Huang Xiaofeng黄晓峰, “姚大力谈民族关系和中国认同” (Yao Dali discute le relazioni etiche e l’identità cinese), 东方早报, 4 dicembre 2011.
  7. Yông-sô Paek, “Il significato dell’imperialismo cinese nell’Asia orientale”, Open Times 2014: 1.
  8. Fu Sinian 傅斯年, “新潮之回顾与前瞻” (Recensione e prospettive future per la “New Wave”) in Fu Sinian, 傅斯年全集 (Gli scritti completi di Fu Sinian), (Changsha: Hunan jiaoyu chubanshe, 2003), p. 297.
  9. Liang Qichao 梁启超, “欧游心影录” (Record di impressioni da un viaggio in Europa) in Liang Qichao, 梁启超全集 (Gli scritti completi di Liang Qichao), (Pechino: Beijing chubanshe, 1999), vol 5, p. 2978.
  10. Yông-sô Paek, “Regionalismo dell’Asia orientale: trascendendo l’impero, muovendosi verso una comunità dell’Asia orientale”, Ideas 3 (2006). comunità), Idee 3 (2006).
  11. Ibidem .
  12. Estratto dalla conferenza di Karatani Kojin all’Università di Shanghai “世界史之结构性反复” (L’inversione della struttura della storia mondiale), presentata l’8 novembre 2012.
CREDITI

Xu Jilin, “Nuova Tianxia: Ricostruire l’ordine interno ed esterno della Cina”, in Xu Jilin许纪霖 e Liu Qing刘擎, eds. Shanghai: Shanghai renmin chubanshe, 2015), disponibile anche online.

La traduzione inglese originale del testo è stata eseguita da Tang Xiaobing e David Ownby con Mark McConaghy. Può essere trovato nel libro Xu Jilin, Rethinking China’s Rise: A Liberal Critique, David Ownby , tradotto e curato da David Ownby, New York, Cambridge University Press, 2018 o sul sito web di Reading the China Dream .

Perché i soldati ucraini si fanno massacrare da Zelensky che a sua volta prende ordini da Washington e Londra?_Di Claudio Martinotti Doria

Chi mi legge abitualmente s’informa tramite i media indipendenti nel web e quindi presumo sia al corrente dell’offensiva che Zelensky ha lanciato a fine agosto contro l’oblast di Cherson nel sud dell’Ucraina.

Ha voluto essere di parola, anche se ha scelto l’ultimo giorno dopo numerosi rinvii, aveva ripetutamente promesso da mesi una controffensiva entro agosto che avrebbe spazzato via i russi dai territori conquistati, almeno quelle erano le intenzioni.

Tutti gli analisti militari e geopolitici seri e indipendenti lo deridevano, pensando a un bluff, invece anche i comici e buffoni, seppur criminali, corrotti e incapaci, possono essere di parola, soprattutto quando la vita la fanno rischiare ad altri.

Appena sono riusciti a raccogliere il maggior numero possibile di mezzi corazzati (soprattutto polacchi) e concentrare circa 40mila soldati nell’area, Zelensky nonostante la netta contrarietà dello Stato Maggiore Militare che poneva scarsa o nulla fiducia nella riuscita del piano, ha ordinato l’offensiva, commettendo il classico errore dello stratega da salotto, addestrato a giocare a Risiko (forse manco a quello).

Anziché concentrare tutte le forze in un solo punto per avere maggior impatto e possibilità di sfondamento, li ha divisi in cinque aree e quindi cinque direzioni di attacco diverse, disperdendo le forze che già non sarebbero state sufficienti per un solo attacco in un unico punto, considerando la potenza di fuoco dell’artiglieria e aviazione russa. Così ha disperso la forza d’attacco su un fronte di poco meno di 200 km. Considerando che di solito ad attaccare sono il 50% delle forze, l’altra metà rimane di riserva nelle retrovie per compensare le perdite o rinforzare i punti deboli, se dividete per cinque 20mila soldati su 200 km, vi renderete conto che l’impatto non poteva che essere lieve per i russi, i quali applicano la stessa tattica da mesi, a ogni offensiva ucraina.

Arretrano e li lasciano avanzare e poi man mano che si trovano sempre più allo scoperto in un territorio pianeggiante, senza riuscire ad arrivare a centri abitati (l’unico modo che hanno per trovare riparo e trincerarsi), i russi iniziano a bombardarli senza tregua arrecando loro gravissime perdite.

E’ la tecnica militare del “tritacarne”, una tattica di logoramento lenta e inesorabile che riduce gradatamente il numero dei soldati e dei mezzi degli ucraini fino a che saranno costretti alla resa o a far intervenire le forze di altri paesi della NATO, che in questo caso non potrebbero invocare l’articolo 5 del Trattato Atlantico, perché non sono loro a essere attaccati ma ad attaccare.

Com’è possibile che Zelensky ripeta sempre gli stessi errori? E soprattutto come mai gli ucraini si prestano a farsi massacrare, anziché fuggire, per non essere arruolati oppure finire in prigione per essersi rifiutati di indossare la divisa? Cercherò di rispondere a entrambe le domande essenziali per capire l’esito e lo sviluppo di questo conflitto.

Zelensky non ha alcuna capacità strategica, gli unici ordini che sa impartire sono quelli di attaccare e resistere senza cedere un metro, combattere fino all’ultimo uomo. Vi ricorda qualcuno? Un certo Hitler, quando ormai era impazzito e drogato fino al midollo (altra analogia con Zelensky) e psichicamente alterato perché l’esito della guerra non corrispondeva alle sue attese e tutti i suoi comandanti lo deludevano e li sostituiva in continuazione.

Zelensky prende decisioni a scopo politico, per influenzare i suoi sponsor angloamericani e UE, che ultimamente lo stanno sostenendo sempre meno.

Ha assolutamente bisogno di una vittoria, seppur minima, per continuare a mungere i suoi finanziatori, ben sapendo che una cospicua parte di questi finanziamenti non finisce al fronte ma nelle tasche dei numerosi oligarchi e comandanti corrotti, a tutti i livelli, che vendono le armi ricevute facendo finta siano andate distrutte dai bombardamenti russi.

E questo in parte spiega anche la seconda domanda, come vedremo meglio in seguito.

Inoltre una cospicua parte di questi lauti finanziamenti sono utilizzati per pagare tutto l’apparato militare, con stipendi che per i canoni ucraini sono piuttosto elevati.

Zelensky compie scelte ciniche e spietate esclusivamente per motivi economici, personali e del suo entourage di sostenitori interni, neonazisti e nazionalisti in primis. Della vita dei suoi soldati non gliene frega nulla, per cui non esita a mandarli a morte certa.

Ora veniamo al perché i soldati si prestano a farsi massacrare.

L’Ucraina è da parecchio tempo in miseria, in particolare dall’inizio del conflitto che dura ormai da sei mesi, il paese vive prevalentemente di un’economia di guerra, gli unici soldi che arrivano e circolano sono quelli che alimentano la guerra. E per convincere la gente a combattere, occorre prima averli ridotti nella miseria, privi di scelte di lavoro, ai limiti della sopravvivenza, dopo di ché gli fornisci degli incentivi convincenti perché si arruolino, oltre all’obbligo, che però funziona poco, perché molti si sottraggono emigrando e nascondendosi o rifugiandosi all’Estero, Russia compresa (ne ospita circa due milioni).

Quelli rimasti in patria che scelta hanno per sopravvivere economicamente se non arruolandosi?

Per comprendere perché sono disposti a rischiare la vita, facciamo un paragone con la situazione italiana, così vi sarà più chiaro.

Un Carabiniere appena assunto in Italia percepisce uno stipendio netto di circa 1200 euro mensili, un maresciallo maggiore anziano poco meno di 2000 euro mensili e un capitano poco più di 2000, gli scatti di grado non sono particolarmente rilevanti in termini salariali, poche centinaia di euro l’anno.

Nell’esercito ucraino in seguito allo stato di guerra gli stipendi sono tutta un’altra cosa, proporzionalmente al potere di acquisto che si ha nel loro paese. Utilizzando l’esempio italiano sarebbe come se un soldato ucraino prendesse in Italia 2800 euro al mese, un maresciallo maggiore anziano circa 10mila, e un capitano 15mila. A queste somme erogate diciamo legittimamente dalle istituzioni governative, aggiungiamo la corruzione diffusa capillarmente, cioè le rendite che provengono dai saccheggi, dalle estorsioni ai civili, dalla vendita di armi, ecc., e ci rendiamo meglio conto di quanto possano accumulare i combattenti, soprattutto sottufficiali e ufficiali, che riescono a sopravvivere (magari ricorrendo a cinismo, furberie e sotterfugi), facendo perlopiù rischiare la vita ai loro sottoposti.

In due o tre mesi di guerra, se sopravvivono, possono accumulare una piccola fortuna che gli consentirà di vivere agiatamente per tutto il resto della loro vita (inflazione permettendo).

Quindi la motivazione primaria è l’avidità e la mancanza di alternative. Ecco perché gli ucraini combattono una guerra per procura, è l’unico lavoro di cui dispongono, l’Occidente li foraggia per questo scopo, combattere e morire al posto degli occidentali.

Ma c’è un problema che si sta facendo sempre più grave, diventa sempre più difficile sopravvivere alla guerra.

Prendiamo l’esempio degli ultimi due giorni, tra fine agosto e inizio settembre.

Zelensky ha appunto ordinato l’attacco in cinque aree diverse, e inoltre ha ordinato l’incursione notturna alla centrale nucleare di Zaporižžja, da parte delle forze speciali ucraine, per cercare di riprenderla prima che arrivasse la delegazione dell’AIEA dell’ONU che doveva ispezionare la centrale, probabilmente per poi utilizzare la delegazione come scudo umano contro i russi, come fanno abitualmente gli ucraini, che di crimini di guerra ne hanno commessi a iosa.

L’incursione è finita malissimo, nonostante pensassero che il piano fosse ottimo, utilizzando imbarcazioni silenziose con motori elettrici e poi delle chiatte che trasportavano il grosso delle forze e dei mezzi da sbarco.

Tutte le imbarcazioni e le chiatte sono state distrutte e affondate dalle forze aeree russe, la maggioranza degli incursori sono morti o fatti prigionieri. Si stima fossero circa 500, il minimo necessario per compiere un’operazione di questa portata, considerando che la centrale nucleare di Zaporižžja è la più grande d’Europa, estendendosi su una superficie gigantesca.

Anche le forze attaccanti nel resto del fronte non hanno subito una sorte migliore. Si stima che le perdite in vite umane subìte dall’esercito ucraino siano di oltre mille al giorno. Molto probabilmente fra qualche giorno saranno costretti a ritirarsi, lasciando sul campo quasi tutti i mezzi corazzati impiegati.

A Zelensky non rimarrà altro da giocare che la carta della commiserazione: “Avete visto con quale coraggio combattono gli ucraini?” “Come si sacrificano per il bene dell’Occidente?” “Meritano di essere sostenuti di più, dovete aumentare le risorse e i finanziamenti!”

Una carta cinica e ignobile ma l’unica che gli rimane, possibilmente prima che i comandi militari si stanchino di lui e lo facciano fuori con un colpo di stato. Magari con il beneplacito degli anglosassoni. Altrimenti non rimarrà che far combattere anche i polacchi e i baltici, i più fanatici russofobi che ci siano in Europa. I polacchi e i baltici saranno fanatici ma non sono stupidi, sono consapevoli che se non ci sono riusciti gli ucraini a sconfiggere i russi, che dopo otto anni di addestramento e armati fino ai denti erano diventati l’esercito più potente d’Europa, come potrebbero riuscirci loro che sono anche inferiori di numero (militarmente) rispetto agli ucraini? Perché mai dovrebbero seguirne la sorte? Solo per fanatismo? No. Per farlo prima dovrebbero essere ridotti alla fame anche loro, e sono sulla buona strada per riuscirci, dopo le ultime demenziali mosse politiche ed economiche che hanno compiuto contro la Russia e contro la Cina, le cui ritorsioni si stanno facendo sentire pesantemente.

I porti baltici ad esempio non lavorano più. Tra non molto anche loro potranno sopravvivere solo tramite l’economia di guerra. Una tale situazione diverrà insostenibile da mantenere per l’Occidente, diventerà peggiore di un “buco nero” per le finanze già travagliate dei paesi occidentali.

Ormai i paesi occidentali hanno oltrepassato il precipizio e come riferisce l’aneddoto “ se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te …”. E probabilmente stiamo già precipitando nell’abisso, dobbiamo solo toccare il fondo.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

La guerra non è ancora iniziata, di Vincenzo Costa

La guerra non è ancora iniziata
Papa Francesco ha parlato di “guerra mondiale”. Un’espressione sulle prime impropria. Si tratta, potremmo dire, di una guerra limitata, per una controversia di confine, al massimo di una guerra tra due paesi, se si vuole di una guerra dettata dalle mire imperiali di Putin. Eppure, forse Papa Francesco vuole invitarci ad allargare lo sguardo, perché è come se questo fosse catturato da due soli pezzi dello scacchiere, e in questo modo non presta attenzione alla posizione degli altri pezzi degli scacchi.
1. Verso una nuova fase della guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina è stata segnata sinora da due fasi. Nella prima la Russia mirava, sbagliando, a rovesciare il governo ucraino. Immaginava di trovare un largo consenso tra la popolazione ucraina, che sarebbe stata una sorta di guerra di liberazione. I russi hanno scoperto che non era così, che era una trappola. L’esercito ucraino era pronto, li aspettava, erano stati per anni costruite le necessarie trincee. La macchina della propaganda era già pronta. La Russia ha dovuto modificare i suoi obbiettivi e la sua strategia.
È iniziata una guerra di posizione, in cui la Russia ha svolto una funzione di supporto in una guerra civile interna all’Ucraina. Gli obbiettivi sono stati limitati al Donbass, al riconoscimento della Crimea e alla neutralità dell’Ucraina. I russi pensavano che su questa base un negoziato sarebbe stato possibile e una soluzione diplomatica del conflitto percorribile. Si sbagliavano.
Il governo ucraino ha messo chiaramente in luce che la soluzione era una sola: ritiro dei russi da tutta l’Ucraina, Crimea compresa. Evidentemente, sapevano di poterlo fare.
In questa fase, i russi hanno comunque cercato di limitare l’estensione del conflitto. Non abbiamo visto bombardamenti a tappeto delle città, come avevamo visto a Belgrado per esempio o in Iraq. Anche una certa cautela è stata avanzata. Per esempio, l’Azovstal poteva essere annichilito, senza combattimenti uomo a uomo, che sono molto dispendiosi e comportano perdite. Naturalmente, non ho dubbi che vi siano stati crimini, come so anche che gli ucraini bombardano i mercati delle città, facendo vittime tra i civili. Come del resto sappiamo che l’esercito ucraino usa scuole e ospedali come basi militari. Non è che in guerra vi siano dei crimini: è la guerra ad essere un crimine.
Ma ora è partita una controffensiva massiccia, che sembra abbia spezzato le linee russe, l’esercito ucraino è penetrato per decine di chilometri. Come è stato possibile?
In primo luogo, in virtù del fatto che l’Occidente ha inviato un intero arsenale, miliardi di dollari di armi, ma soprattutto in quanto queste armi vengono usate direttamente dagli occidentali, che forniscono l’intelligence, i dati per orientare i tiri, molte cose che possono essere fatte da remoto. Sul campo sono dispiegati una quantità enorme di “mercenari” e di “volontari”. Al netto significa che unità militari occidentali operano sul suolo ucraino senza le loro divise.
Decine di miglia di soldati ucraini vengono addestrati in Inghilterra e in altri paesi NATO, Borrel ha annunciato che i paesi UE ospiteranno e addestreranno sul loro territorio soldati destinati alle prime linee contro i russi, in modo da familiarizzarli con i sistemi d’arma occidentali.
Attraverso il confine tra paesi UE e Ucraina fluisce un fiume di armi, devastanti, che sta dissanguando le stesse riserve occidentali, al punto che il ministro degli esteri tedesco ebbe a dire: “dopo queste basta perché stiamo esaurendo le nostre scorte strategiche”.
È evidente che la NATO è dentro il conflitto, che lo dirige, lo supporta, lo organizza, fornisce tutte le informazioni (via satellite indica la localizzazione dei militari russi e poi dove dirigere i sistemi d’arma, che gli USA forniscono). La guerra è tra NATO e Russia.
Sinora i russi hanno accennato a ciò, ma hanno evitato di trarne tutte le conseguenze. Probabilmente perché pensavano che si sarebbe giunti a un negoziato. Perché trarne le conseguenze ha conseguenze militari devastanti. Significa rendere obbiettivi strategici luoghi lontani dal fronte, colpire in maniera massiccia parti dell’Ucraina lontani dal fronte. I russi hanno un po’ fatto finta che la guerra fosse limitata al fronte. Ogni tanto qualche missile, ma più per dire “ci siamo” che per qualcosa di significativo.
Adesso questo gioco non può più essere sostenuto. Continuare così significa portare al massacro i propri soldati, demotivarli. La guerra entra in una nuova fase, in una terza fase.
Leggo che settimana prossima Putin effettuerà delle chiamate internazionali, con leaders internazionali. Per dire cosa? Per alzare bandiera bianca?
Non sappiamo che cosa dirà, né lo sapremo. Ma possiamo immaginarlo, sospettarlo. Credo che li metterà sul chi va là, avviserà che il gioco cambia, che è finita l’epoca del far finta.
Vi è del resto un punto che resta oscuro in tutta questa controffensiva. Essa era annunciata da mesi, persino normali cittadini come noi sapevano che vi erano nuovi armi, soldati addestrati. Dovevano saperlo anche i comandi russi. Eppure non è stato rafforzato il fronte. Non è stato fatto niente per prepararsi a questa controffensiva. Inefficienza dei comandi russi? Deficit di intelligence?
Solo quando i buoi sono scappati il ministero della difesa russa ha diffuso video con colonne di camion e armamenti che si dirigevano verso il fronte.
L’impressione che si ha è che sia stato voluto. Perché? Perché si sta per entrare in una nuova fase della guerra in Ucraina, una fase ancora più sanguinosa, più insidiosa, pericolosa, con grandi probabilità di allargamento del conflitto.
La popolazione russa deve sentire che la patria è in pericolo, e lo è davvero, perché se davvero gli ucraini sfondassero in profondità la Russia diverrebbe terra di conquista come lo fu nell’epoca di Yeltsin.
I russi devono capire che si combatte per la patria, che non è più una guerra verso l’esterno.
2. Allargare lo sguardo agli altri pezzi della scacchiera
C’è un fuoco che può divampare, e questo emerge se, sommariamente e senza poter connettere tra loro i puntini allarghiamo lo sguardo agli altri pezzi della scacchiera.
1) C’è un conflitto latente tra Grecia e Turchia e le autorità greche hanno comunicato alla UE e alla NATO che vi è la possibilità di un conflitto altrettanto devastante in Europa, tra Grecia e Turchia. La Turchia è il secondo esercito NATO, ma sta giocando in maniera spregiudicata, su tutti i tavoli. Senza la Turchia la NATO sarebbe monca, sguarnita su un fianco fondamentale. Quale prezzo chiederà Erdogan? Ed Erdogan ha mira molto ambiziose in Asia, che può realizzare solo a due condizioni: o con il disfacimento della Federazione russa o con il suo consenso regolato.
2) La Serbia sta riarmando, soprattuto con sistemi di difesa antiaerea. Comprensibile dopo l’esperienza dei bombardamenti di Belgrado. In quel caso tutto fu reso possibile dalla debolezza russa. Ma ora le cose sono cambiate, e la Serbia si rifiuta di riconoscere il Kossovo. Del resto, perché dovrebbe? I motivi di conflitto crescono. La serbia acquista droni dalla turchia. Il gioco è complesso.
3) L’Ungheria si smarca dall’Occidente, del resto che non ami particolarmente l’Ucraina è comprensibile. Le minoranze ungheresi erano duramente represse ed invitate ad andarsene dai nazionalisti ucraini. Poi, l’Ungheria ha chiaro che gli USA stanno stritolando la UE, capisce che il vento economico gira in un altro modo, e piuttosto che entrare a fare parte degli agnelli sacrificali gioca la sua partita (gas russo a prezzi stracciati, che significa “signori, investite qui che abbiamo costi dell’energia accettabili e producete in maniera concorrenziale”). Le minacce stanno perdendo peso.
4) La Libia è sempre una polveriera, dominata da Russi, turchi, i francesi presi a calci nel sedere dopo avere combinato un mare di guai ai nostri danni (col silenzio di Gentiloni, ma si sa che era un cameriere non un presidente del consiglio italiano)
5) A Taiwan continuano le provocazioni alla Cina, prima le visite, poi la vendita di armi, poi flette giapponesi attorno all’isola. Chiaro che si vuole provocare il dragone, in modo da gridare poi come sempre “c’è un aggressore e c’è un aggredito”. La Cina mostra i muscoli ma sta sulla sue. I cinesi ragionano nell’ordine dei secoli, non reagiscono. Colpiranno quando lo decisono loro, non quando li costringono gli altri. E colpiranno quando avranno sviluppato il loro arsenale nucleare al giusto livello. La cosa è in corso.
6) Il ministero della difesa polacco dice che nel periodo tra “tre e dieci anni” la polonia entrarà in guerra con la Russia. Il riarmo è pesantissimo. Ma la Polonia gioca per sé, non per l’Ucraina. La Polonia ha avviato una disputa persino con la Repubblica Ceca, a cui chiede la restituzione di pezzi di territorio. Figuriamoci con l’Ucraina. I polacchi ragionano in termini di grande Polonia, di cui l’Ucraina è una parte, per non dire che un pezzo di Ucraina la considerano Polonia a tutti gli effetti. Agli ucraini i polacchi dicono più o meno quello che Renzi diceva a Letta: “stai sereno”.
Sono solo alcuni pezzi, ve ne sono molti altri.
Tanti pezzi, ma un unico gioco. Ogni mossa modifica il sistema.
Ognuno sta posizionando i propri pezzi, in vista della guerra, tutti riarmano, anche noi lo facciamo.
La guerra non è ancora iniziata. E’ in cammino, un cammino lento ma deciso, con una direzione chiara
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