Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista ad Aurelien _ a cura di Roberto Buffagni

INTERVISTA A AURELIEN

Italiaeilmondo.com segue da tempo con vivo interesse le pubblicazioni settimanali di “Aurelien” sul suo substack[1], e ne ha tradotto diversi articoli. Abbiamo proposto ad Aurelien quattro domande, alle quali egli ha risposto con la sua consueta chiarezza e perspicacia. Lo ringraziamo di cuore per la sua gentilezza e generosità. Buona lettura. Roberto Buffagni

 

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

Su questo argomento si scriveranno libri! Dovremmo innanzitutto definire gli errori, poiché non tutti avranno lo stesso elenco e non tutti considereranno certe decisioni come errori.

Tuttavia, credo che la maggior parte delle persone sia d’accordo sul fatto che ci sono stati due errori fondamentali. Il primo è stato l’incapacità di anticipare correttamente la reazione russa sia al rafforzamento militare dell’Ucraina da parte della NATO dopo il 2014, sia alla serie di eventi che hanno avuto inizio con la presentazione da parte russa della bozza di trattato alla fine del 2021. So che secondo alcuni la guerra non è stata in realtà un errore, ma un piano deliberato per attirare la Russia in un conflitto. Non lo credo: la politica non funziona in questo modo, e un complotto simile, che avrebbe dovuto esser tenuto segreto, non si sa come, all’interno della NATO, e per anni, sarebbe impensabilmente complicato e comunque di fatto impossibile da nascondere. Ci sono certamente persone che hanno fantasticato su una guerra con la Russia e altri che hanno cercato, quando erano al potere, di perseguire una politica conflittuale, ma continuo a credere che la reazione effettiva della Russia non sia stata prevista, e che questo sia stato davvero un errore. Il secondo errore credo sia condiviso da quasi tutti: la totale incapacità di rendersi conto delle dimensioni, della complessità e della sofisticazione del complesso militare-industriale russo e delle risorse umane e materiali dell’esercito russo.

Per molti versi, entrambi gli errori derivano dalla stessa serie di fattori. Il primo è, semplicemente, che i governi occidentali non erano molto interessati alla Russia e non la ritenevano un paese particolarmente importante.  Da tempo l’attenzione si era spostata sulla Cina, dal punto di vista economico e strategico, e sul Medio Oriente e il terrorismo islamico.  Non si potevano più fare buone carriere specializzandosi sulla Russia, e il tipo di russi che gli occidentali del governo e dei media incontravano di solito erano ricchi, istruiti e anglofoni, spesso formatisi negli Stati Uniti o in Europa. Con tante altre priorità, i governi semplicemente non potevano riservare allo studio della Russia lo sforzo che gli avrebbero dedicato quarant’anni fa, e comunque non lo ritenevano necessario. Diventare un esperto di produzione militare russa, ad esempio, richiede anni di formazione specialistica e di esperienza, in un’epoca in cui altre cose erano considerate più importanti. I governi occidentali avevano un’immagine della Russia che non era cambiata quasi per niente dagli anni ’90, e che contrastava con l’immagine più positiva di quella che vedevano come un’Ucraina moderna e filo-occidentale. A ciò si collega quello che posso solo descrivere come una tradizionale disistima razzista europea degli slavi russi, come primitivi e arretrati. Dal punto di vista militare, non erano considerati un avversario serio, si pensava che fossero stati sconfitti in Afghanistan e in Cecenia e che fossero notevolmente indietro rispetto all’Occidente in termini di tecnologia militare. Un piccolo ma importante punto è che l’immagine occidentale dell’Armata Rossa nella Seconda guerra mondiale è tratta in gran parte da interviste con generali tedeschi e da documenti tedeschi (in assenza degli equivalenti sovietici) e che questa immagine era molto fuorviante.

 

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Chiaramente, gli errori più tecnici di valutazione e comprensione sono stati, per definizione, quelli del governo e dei suoi consiglieri, nonché dei media: la classe dirigente, se vogliamo. Si sono comportati con un dilettantismo e una mancanza di intelligenza che i loro predecessori, anche trenta o quarant’anni prima, si sarebbero vergognati di esibire. Ma qualsiasi classe dirigente riflette necessariamente i valori culturali di una società, perché tale classe (se intendiamo “classe” come etichetta sociale e professionale, non come classe economica) è costituita dalle persone che hanno avuto il miglior successo secondo le regole culturali del tempo. In parole povere, un alto ufficiale militare o un diplomatico, nella maggior parte dei Paesi occidentali, sono arrivati alla loro posizione sapendo che cosa si vuole, come si deve parlare, cosa si deve dire alla classe politica, e di fatto sono stati socializzati in un modo di pensare culturalmente dominante. In una cultura di questo tipo, in cui regnano il breve termine, il managerialismo e la presentazione, la classe dirigente è impreparata all’insorgere di problemi veramente seri, ed è incapace di affrontarli. E questo è un vero cambiamento. La classe dirigente europea di cento anni fa aveva una serietà di fondo, fondata sulle sue convinzioni religiose, politiche, etiche o nazionalistiche, che fa sembrare quella di oggi un gruppo di bambini.

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Se sia reversibile, dipende da che cosa si pensa della crisi. Credo che in realtà sia composta da tre parti.

La prima è una crisi di influenza. Dico influenza piuttosto che “potere” perché è più complessa del solo potere. Per un periodo relativamente breve ma significativo, l’Occidente collettivo è stato la forza politica ed economica più influente del pianeta. È stato militarmente dominante (almeno contro coloro che lo hanno combattuto) e politicamente potente a livello internazionale. La sua influenza all’interno delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali è stata di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altro blocco, ed è abituato ad avere una voce importante nella gestione dei problemi in altre parti del mondo: in Medio Oriente, ad esempio. Questa situazione non cambierà all’istante, poiché, ad esempio, l’esperienza occidentale accumulata nella gestione delle crisi in alcune parti del mondo non può essere sostituita da un giorno all’altro. Ma l’Occidente sarà sempre più costretto a condividere il potere, a competere per l’influenza o, più probabilmente, a imparare a cooperare con altri attori e a riconoscere i propri limiti. Questo potrebbe non essere facile, anzi potrebbe non essere possibile.

La seconda è una crisi dell’universalismo. La particolare forma di liberalismo sociale ed economico che domina oggi ha la pretesa di essere un sistema di valori universale, con un destino teleologico che prevede che un giorno sarà adottato da tutto il mondo. La storia suggerisce che qualsiasi sistema di valori che pretenda di essere universale deve sempre andare avanti, e, quando smette di andare avanti, è propenso a tornare indietro. È difficile per un sistema universalista riconoscere di aver raggiunto i propri limiti e di doversi fermare, eppure credo che sia proprio questa la posizione in cui si trova ora l’ideologia dell’Occidente. La maggior parte del mondo non condivide questa ideologia, anche se le élite di molti Paesi non occidentali, a parole, vi aderiscono; e sarà molto difficile per l’Occidente, e in particolare per istituzioni come l’UE, abbandonare queste aspirazioni universalistiche.

La terza è una crisi economica. Per molto tempo l’Occidente ha vissuto della sua prima industrializzazione, della sua forza lavoro istruita e del suo sistema finanziario sviluppato. Tuttavia, negli ultimi tempi tutti questi elementi sono in declino. Anche Paesi europei come la Germania e l’Italia, con importanti settori industriali, hanno seguito la tendenza alla deindustrializzazione e alla finanziarizzazione, e naturalmente l’esperienza della crisi ucraina ha accelerato questo processo. L’Occidente si trova a dipendere sia per le materie prime che per le importazioni di prodotti finiti da altre parti del mondo, e ha scoperto che non si possono mangiare i derivati finanziari. La reindustrializzazione, per quanto se ne parli, richiederebbe un livello di mobilitazione da economia di guerra, forse su un periodo di 10-15 anni, per avere qualche possibilità di successo; l’Occidente dovrà abituarsi a dipendere economicamente da altri, che potrebbero a loro volta decidere di fare uso politico della nostra debolezza. Non sono sicuro che le nostre élite al potere siano pronte per questo.

In generale, credo che nessuna di queste tre cose sia reversibile. La vera questione è fino a che punto possiamo convivere con il relativo declino e adattarci ad esso. Con “noi” intendo ovviamente le nostre élite politiche, con le loro ben note debolezze. Ma più in generale, penso che ci sia il rischio che l’incompetenza di queste élite, e la loro difficoltà ad affrontare la realtà, possano portare a tensioni tali per cui almeno una parte dell’Occidente potrebbe non sopravvivere.

 

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

Non sono sicuro che questi due Paesi (soprattutto la Cina) abbiano mai abbandonato del tutto le loro tradizioni storiche, e naturalmente il Partito Comunista Cinese è ancora al potere, ma non sono un esperto di nessuno dei due Paesi. Per quanto riguarda l’Occidente, non dovremmo enfatizzare troppo l’idea di unipolarismo. L’Occidente è diviso su molte questioni (anche gli stessi Stati Uniti sono divisi su molte questioni) e molto di ciò che accade sotto la superficie della politica internazionale riflette dinamiche multilaterali molto complesse. Tuttavia, l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, sono inclini a vedere questa situazione in termini molto netti, e spesso a credere di avere più potere e influenza di quanto non sia in realtà. Per questo motivo, l’inevitabile adattamento a un mondo in cui il potere sarà distribuito in modo diverso sarà un problema per le élite occidentali.

Così come non dovremmo dare per scontato che il mondo sia semplicemente “unipolare” ora, allo stesso modo non dovremmo dare per scontato che sarà semplicemente “multipolare” in futuro. Preferisco parlare di potere “distribuito” in forme diverse tra i vari attori. Tuttavia, le due nazioni da lei citate (a cui si potrebbe aggiungere l’India, e naturalmente anche la Corea e il Giappone hanno mantenuto le loro tradizioni) hanno una solida base di civiltà su cui appoggiarsi. Fino a forse cinquant’anni fa si poteva dire lo stesso dell’Occidente, ma il punto centrale del liberalismo moderno è, ovviamente, che è post-nazionale, post-culturale, post-identitario e interamente tecnocratico nella sua concezione ed esecuzione. Trovo davvero difficile capire come si possa costruire un’identità attorno a un dogma che nega specificamente l’identità. Non è che la gente in Occidente abbia perso la voglia di identità collettiva: l’incoronazione di Re Carlo III, all’inizio di quest’anno, è stata un esempio di quanto la gente comune cerchi punti di riferimento comuni. Il problema è che per quanto ci siano diversi tipi di interesse, in questo momento, per le religioni tradizionali, per certi tipi di politica partecipativa o per questioni come l’ambientalismo, essi sono tutti interessi minoritari, e spesso in opposizione tra loro. Una volta distrutte le tradizioni, non mi sembra che sia facile crearne di nuove o far rivivere quelle vecchie. In effetti, la rapidità del crollo del comunismo in Europa è un buon esempio di come le tradizioni non basate su fondamenti storici possano crollare in modo rapido e irreversibile. Posso immaginare una politica reazionaria nel senso da lei descritto, ma purtroppo è probabile che ce ne siano diverse, probabilmente reciprocamente ostili, piuttosto che una sola.

 

[1] https://aurelien2022.substack.com/

Lavrov ha spiegato come la Russia immagina il ruolo globale dei BRICS, di ANDREW KORYBKO

Lavrov ha spiegato come la Russia immagina il ruolo globale dei BRICS

ANDREW KORYBKO
21 AGO 2023

Questo è il più diretto smacco della Russia alle false percezioni dei media alternativi sui BRICS.

Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha pubblicato un articolo sulla rivista sudafricana Ubuntu Magazine alla vigilia del 15° vertice dei BRICS che si terrà in quel Paese. Intitolato “BRICS: Towards a Just World Order”, ha spiegato come la Russia prevede il suo ruolo globale e si è basato sugli sforzi compiuti all’inizio del mese dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov per chiarire le false percezioni sui BRICS. Tra queste c’è quella più popolare della comunità dei media alternativi (AMC) che immagina che sia guidata dalla de-dollarizzazione e sia decisamente anti-occidentale.

Lavrov ha iniziato descrivendo la transizione sistemica globale verso il multipolarismo, in particolare le sue dimensioni economico-finanziarie, in modo da definire il contesto in cui si svolge il vertice BRICS di questa settimana. In particolare, ha ricordato che “non solo la Russia, ma anche diversi altri Paesi stanno riducendo costantemente la loro dipendenza dal dollaro USA, passando a sistemi di pagamento alternativi e a regolamenti in valuta nazionale”.

La tendenza di cui sopra non è una de-dollarizzazione come la intende l’AMC, nel senso di avanzare una decisione politica volta a eliminare gradualmente l’uso di tale valuta nella sua totalità. Piuttosto, può essere descritta più accuratamente come una diversificazione dal dollaro al fine di coprirsi contro i rischi di cambio e di altro tipo posti dalla dipendenza da esso. Sebbene possano sembrare identici al membro medio dell’AMC, poiché entrambi gli obiettivi riducono la quota del dollaro nell’economia, le loro motivazioni sono completamente diverse.

Il primo è un sogno irrealizzabile, poiché non è realistico eliminare gradualmente il dollaro dalla circolazione globale in tempi brevi, date le dimensioni dell’economia statunitense, l’influenza profondamente radicata del Paese sul sistema finanziario e lo status di valuta di riserva globale del dollaro. Inoltre, si tratta di una dichiarazione di fatto di guerra finanziaria (anche se per autodifesa, dopo che gli Stati Uniti hanno armato il dollaro per scopi egemonici), che potrebbe indurre gli Stati Uniti a ritorsioni feroci contro qualsiasi Paese che osi perseguire apertamente questo obiettivo.

Per quanto riguarda la seconda, si tratta di una politica apolitica e ragionevole che evita saggiamente di dichiarare di fatto una guerra finanziaria contro la valuta di riserva globale, riducendo così le probabilità che gli Stati Uniti reagiscano in modo eccessivo a questa mossa. In effetti, gli strateghi che si sono finalmente resi conto dell’impossibilità di preservare il sistema finanziario occidentale-centrico potrebbero consigliare ai politici statunitensi e dell’UE di sostenere il Sud globale nell’attuazione di riforme graduali come parte della loro ritrovata politica di miglioramento dei legami con quegli Stati.

La parte successiva dell’articolo di Lavrov che merita maggiore attenzione è quella in cui descrive la Russia come “uno Stato di civiltà, la più grande potenza eurasiatica ed euro-pacifica”. Il primo aggettivo si riferisce alla sua nuova visione del mondo che riconosce il ruolo crescente delle civiltà nelle relazioni internazionali, il secondo è una riaffermazione della sua recente autoidentità, mentre il terzo ricorda a tutti la sua parziale identità europea. L’ultima parte è rilevante per quanto riguarda l’interesse recentemente espresso dalla Francia nei confronti dei BRICS.

Ricordando a tutti la parziale identità europea della Russia, Lavrov sta insinuando che non c’è bisogno di espandere i membri del gruppo in quella parte del mondo con il pretesto di rappresentarla. Estrapolando questo, la Russia si è sentita a disagio quando i media cinesi, finanziati pubblicamente, hanno appoggiato la richiesta della Francia di partecipare al vertice di quest’anno, avanzata dopo che il viaggio di Macron a Pechino in primavera aveva rafforzato i legami strategici. Lavrov sta quindi segnalando alla Cina che la Russia si oppone a che i BRICS abbiano legami formali con la Francia.

La parte successiva dell’articolo riguardava la necessità di sostenere un maggiore coinvolgimento dell’Africa negli affari globali attraverso una rappresentanza adeguata nei forum internazionali, in linea con la politica della Russia nei confronti del continente, che i lettori possono approfondire qui, qui e qui. L’espansione dei legami dei BRICS con questi Stati conferisce loro maggiore influenza nel plasmare l’architettura finanziaria emergente che questo gruppo sta costruendo e, di conseguenza, nel garantire che essa soddisfi gli interessi dei Paesi in via di sviluppo.

Lavrov ha chiarito in modo cruciale che “non miriamo a sostituire i meccanismi multilaterali esistenti, tanto meno a diventare un nuovo “egemone collettivo”. Al contrario, i Paesi BRICS hanno sempre sostenuto la creazione di condizioni per lo sviluppo di tutti gli Stati, il che esclude la logica di blocco della Guerra Fredda e i giochi geopolitici a somma zero. I BRICS cercano di offrire soluzioni inclusive basate su un approccio partecipativo”. Questo è lo smacco più diretto che la Russia ha fatto finora alle false percezioni dell’AMC sui BRICS.

Confermando che la Russia non prevede che i BRICS “sostituiscano i meccanismi multilaterali esistenti” e che questo gruppo “esclude la logica di blocco della Guerra Fredda”, Lavrov sta rassicurando i Paesi in via di sviluppo che non devono temere che il loro interesse nell’espandere i legami con i BRICS venga inquadrato come “anti-occidentale”. La maggior parte del mondo non vuole schierarsi nella nuova guerra fredda tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e l’Intesa sino-russa, preferendo invece rimanere neutrale e in equilibrio tra i due, come fa l’India.

Ecco lo scopo del pezzo di Lavrov, che era quello di dissipare la disinformazione che circola sui BRICS da parte dell’AMC e dei loro rivali dei media mainstream, al fine di aumentare le possibilità che il maggior numero possibile di Paesi in via di sviluppo formalizzi una qualche relazione con il gruppo questa settimana. Avrebbe potuto continuare a dipingere erroneamente i BRICS come guidati dalla de-dollarizzazione e decisamente anti-occidentali, ma questo avrebbe spaventato la maggior parte del Sud globale, il che avrebbe fatto gli interessi degli Stati Uniti.

Articolo del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov per la rivista sudafricana Ubuntu, 21 agosto 2023
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BRICS: Verso un ordine mondiale giusto

Alla vigilia del vertice dei BRICS, vorrei condividere con i nostri cari lettori le mie riflessioni sulle prospettive di cooperazione tra il gruppo dei cinque Paesi nell’attuale contesto geopolitico.

Oggi nel mondo si stanno verificando dei cambiamenti tettonici. La possibilità di dominio da parte di un solo Paese o addirittura di un piccolo gruppo di Stati sta scomparendo. Il modello di sviluppo internazionale costruito sullo sfruttamento delle risorse della maggioranza mondiale per mantenere il benessere del “miliardo d’oro” è irrimediabilmente superato. Non riflette le aspirazioni di tutta l’umanità.

Stiamo assistendo all’emergere di un ordine mondiale multipolare più giusto. I nuovi centri di crescita economica e di decisione globale su importanti questioni politiche in Eurasia, Asia-Pacifico, Medio Oriente, Africa e America Latina sono guidati principalmente dai propri interessi e assegnano un’importanza fondamentale alla sovranità nazionale. E in questo contesto ottengono successi impressionanti in vari settori.

I tentativi dell'”Occidente collettivo” di invertire questa tendenza al fine di preservare la propria egemonia hanno un effetto esattamente opposto. La comunità internazionale è stanca dei ricatti e delle pressioni delle élite occidentali e dei loro modi coloniali e razzisti. Per questo motivo, ad esempio, non solo la Russia, ma anche diversi altri Paesi stanno riducendo costantemente la loro dipendenza dal dollaro USA, passando a sistemi di pagamento alternativi e a regolamenti valutari nazionali. Ricordo le sagge parole di Nelson Mandela: “Quando l’acqua inizia a bollire è sciocco spegnere il fuoco”. Ed è proprio così.

La Russia – uno Stato di civiltà, la più grande potenza eurasiatica ed euro-pacifica – continua a lavorare per un’ulteriore democratizzazione della vita internazionale, costruendo un’architettura di relazioni interstatali che si baserebbe sui valori di una sicurezza uguale e indivisibile e di una diversità culturale e civile, e che offrirebbe pari opportunità di sviluppo a tutti i membri della comunità internazionale, senza lasciare indietro nessuno. Come ha osservato il Presidente della Russia Vladimir Putin nel suo discorso all’Assemblea federale della Federazione russa il 21 febbraio 2023: “Nel mondo di oggi non dovrebbe esistere una divisione tra i cosiddetti Paesi civilizzati e tutti gli altri… C’è bisogno di un partenariato onesto che rifiuti qualsiasi esclusività, specialmente quella aggressiva”. A nostro avviso, tutto ciò è in linea con la filosofia Ubuntu, che sostiene l’interconnettività tra nazioni e persone.

In questo contesto, la Russia ha sempre sostenuto il rafforzamento della posizione del continente africano in un ordine mondiale multipolare. Sosterremo ulteriormente i nostri amici africani nelle loro aspirazioni a svolgere un ruolo sempre più significativo nella risoluzione dei problemi chiave del nostro tempo. Questo vale anche per il processo di riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel quale, secondo la nostra profonda convinzione, devono essere tutelati innanzitutto i legittimi interessi dei Paesi in via di sviluppo, anche in Africa.

La diplomazia multilaterale non è avulsa dalle tendenze globali. Un raggruppamento come quello dei BRICS è un simbolo di vero multipolarismo e un esempio di onesta comunicazione tra Stati. Nel suo ambito, Stati con sistemi politici diversi, piattaforme di valori distinte e politiche estere indipendenti cooperano efficacemente in varie sfere. Non credo sia esagerato dire che i cinque Paesi BRICS sono una sorta di “rete” di cooperazione al di là delle tradizionali linee Nord-Sud e Ovest-Est.

In effetti, abbiamo qualcosa da presentare al nostro pubblico. Grazie agli sforzi congiunti, i BRICS sono riusciti a creare una cultura del dialogo basata sui principi di uguaglianza, rispetto per la scelta del proprio percorso di sviluppo e considerazione degli interessi reciproci. Questo ci aiuta a trovare un terreno comune e soluzioni anche per le questioni più complesse.

Il posto e l’importanza dei BRICS oggi e la loro capacità di influenzare l’agenda globale sono determinati da fattori oggettivi. Le cifre parlano da sole. La popolazione dei Paesi BRICS è superiore al 40% e la superficie dei loro territori supera un quarto del territorio mondiale. Secondo le previsioni degli esperti, nel 2023 i cinque Paesi rappresenteranno circa il 31,5% del PIL globale (a parità di potere d’acquisto), mentre la quota del G7 è scesa al 30% in questo indicatore.

Oggi il partenariato strategico dei BRICS sta guadagnando slancio. I “Cinque Grandi” offrono al mondo iniziative creative e lungimiranti volte a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, garantire la sicurezza alimentare ed energetica, una crescita sana dell’economia globale, la risoluzione dei conflitti e la lotta al cambiamento climatico, anche attraverso una giusta transizione energetica.

Per affrontare queste sfide è stata creata un’ampia rete di meccanismi. È in corso di attuazione la Strategia di partenariato economico 2025, che definisce i parametri di cooperazione a medio termine. La Piattaforma di cooperazione per la ricerca energetica dei BRICS, lanciata su iniziativa russa, sta funzionando con successo. Il Centro di ricerca e sviluppo sui vaccini dei BRICS, progettato per aiutare a sviluppare risposte efficaci alle sfide per il benessere epidemico dei nostri Paesi, ha iniziato il suo lavoro. Sono state approvate le iniziative sulla negazione di un rifugio sicuro alla corruzione, sul commercio e gli investimenti per lo sviluppo sostenibile e sul rafforzamento della cooperazione sulle catene di approvvigionamento. È stata adottata la Strategia BRICS sulla cooperazione per la sicurezza alimentare.

Le priorità incondizionate includono il rafforzamento del potenziale della Nuova Banca di Sviluppo e del BRICS Contingent Reserve Arrangement, il miglioramento dei meccanismi di pagamento e l’aumento del ruolo delle valute nazionali nei regolamenti reciproci. Si prevede di concentrarsi su questi temi al Vertice BRICS di Johannesburg.

Non intendiamo sostituire i meccanismi multilaterali esistenti, né tanto meno diventare un nuovo “egemone collettivo”. Al contrario, i Paesi BRICS hanno sempre sostenuto la creazione di condizioni per lo sviluppo di tutti gli Stati, escludendo la logica di blocco della guerra fredda e i giochi geopolitici a somma zero. I BRICS cercano di offrire soluzioni inclusive basate su un approccio partecipativo.

Partendo da questo presupposto, stiamo lavorando costantemente per sviluppare l’interazione dei BRICS con i Paesi che rappresentano la Maggioranza Mondiale. In particolare, una delle priorità della presidenza sudafricana è il rafforzamento della cooperazione con i Paesi africani. Condividiamo pienamente questo approccio. Siamo pronti a contribuire alla crescita economica del continente e a rafforzarne la sicurezza, comprese le componenti alimentari ed energetiche. Un esempio lampante è l’esito del secondo vertice Russia-Africa, tenutosi a San Pietroburgo il 27-28 luglio 2023.

In questo contesto, è naturale che il nostro raggruppamento abbia molti paesi che la pensano come noi in tutto il mondo. Il BRICS è visto come una forza positiva che può rafforzare la solidarietà del Sud e dell’Est globale e diventare uno dei pilastri di un nuovo ordine mondiale policentrico più giusto.

I cinque Paesi sono pronti a rispondere a questa richiesta. Per questo motivo abbiamo avviato il processo di espansione. È simbolico che abbia acquisito un tale slancio nell’anno di presidenza del Sudafrica, un Paese che è entrato a far parte dei BRICS a seguito di una decisione politica basata sul consenso.

Sono convinto che il XV Vertice sarà un’altra pietra miliare del partenariato strategico dei BRICS e determinerà le priorità chiave per i prossimi anni. Apprezziamo molto gli sforzi della presidenza sudafricana, compreso il lavoro intensificato per migliorare l’intera costellazione di meccanismi BRICS per approfondire il dialogo BRICS con altri Paesi.

https://korybko.substack.com/p/lavrov-explained-how-russia-envisages?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=136268103&isFreemail=true&utm_medium=email

https://mid.ru/en/foreign_policy/news/1901054/?utm_source=substack&utm_medium=email

Russia, Ucraina_il conflitto 43a puntata La conta, con Stefano Orsi e Max Bonelli

La realtà e la verità comincia a trasparire anche nel sistema informativo occidentale. Con esso il desiderio di uscire in qualche maniera dalla trappola nella quale si è cacciato. La resistenza dei centri decisori responsabili è, però, ostinata. Un cedimento equivarrebbe ad aprire una creda impossibile da rimarginare. Non resta che alzare ancora una volta la posta ed il livello dello scontro. Con un esercito ucraino ormai al limite delle proprie capacità, affiorano le prime notizie sulla entità reale delle perdite polacche. Un conflitto apparentemente in una fase di stallo da oltre un anno, con armi sempre più sofisticate alle quali, però, mancheranno da parte ucraina le braccia ed i cervelli necessari all’uso ottimale. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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IL GIOCO DEI REGOLAMENTI DI GIOCO, di Pierluigi Fagan

IL GIOCO DEI REGOLAMENTI DI GIOCO. (Intro al summit BRICS che inizia domani). Con “gioco” (qui nella forma di gruppo) s’intende l’insieme delle azioni compiute entro un quadro di regole per un determinato fine. Il fine è -in genere- vincere al gioco, ma nel gioco geopolitico del mondo, questo fine è posto sempre sull’orizzonte che si muove quanto più i giocatori avanzano nel suo perseguimento ovvero lungo la storia. Si tratta quindi di osservare prevalenze relative o -più in generale come spettatori terzi- dinamiche di fasi di gioco. A sua volta, il gioco può esser oggetto di un gioco ovvero quando i giocatori debbono concordare le regole comuni prima di iniziare a giocarlo o debbono o vogliono cambiarle mentre si sta giocando. È questo ultimo il caso in oggetto.
Domani inizia la tre giorni del summit BRICS in Sud Africa, Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa. Ci sarebbero circa 40 paesi, 20 espliciti più o meno altrettanti a seguire che ambiscono ad entrare nel gruppo. Il gruppo BRICS ristretto e fondatore pesa 3,2 mld di persone, il 26,6% del Pil nominale ed il 32,5% del Pil PPP.
Hanno un fine comune ovvero mettere sul tavolo di gioco il loro peso aggregato per giocare al gioco della contrattazione delle regole del gioco planetario per i prossimi trenta anni. La loro dimensione aggregata, e per demografia, e per ricchezza e quindi per potenza, è in linea ascendente, viepiù se si allargassero alle nuove richieste di adesione. Quelle dell’altro giocatore, il padrone del gioco da tempo, i G7/USA, è invece in discesa con più o meno pessimistiche previsioni a trenta anni.
Dei cinque, la Cina è senz’altro la più favorevole all’allargamento, la Cina è il peso massimo del gruppo e quindi risulta guida implicita. Ma deve agire con prudenza perché il gruppo non ha alcuna intenzione di passare dal dominio occidentale al dominio orientale, il gruppo vorrebbe passare da un dominio verticale singolare ad una forma orizzontale e dinamica plurale.
La Russia concorda con la Cina, anche per allargare il gruppo di nazioni se non amiche quantomeno non nemiche nell’altro gioco imposto -via guerra in Ucraina- dagli Stati Uniti che tentano l’ostracismo planetario verso i russi.
L’India è ben consapevole sia del valore della possibile crescita di massa, dove lei potrebbe giocare un ruolo di contrappeso delle temute mire egemoniche cinesi, sia dei pericoli visto che nei fatti, è meno potente della Cina stessa. Preoccupazione questa, condivisa in parte anche dagli altri due soci, Sud Africa e Brasile.
Ma il Sud Africa ha anche l’appetito regionale di mettersi a capo di fatto degli interessi continentali africani (molto appetiti da Cina e forse anche india) ed è quindi aperta, con giudizio, all’allargamento.
Il Brasile sembra il meno entusiasta temendo un ridimensionamento di ruolo una volta entrassero in gioco altri africani, arabi, asiatici. Ognuno dei cinque, ha poi alterni rapporti con il gruppo G7 che diciamo per brevità “occidentale” anche se c’è Il Giappone ed è riferimento anche per altre entità estremo orientali.
Il fine di costituirsi gruppo alternativo o meglio competitivo è chiaro e condiviso; tuttavia, ci sono interessi e sensibilità diverse su quanto decisa sia la contrapposizione ed i tempi del gioco. Almeno Brasile, India e Sud Africa, mantengono relativamente buoni rapporti coi G7 e con gli Stati Uniti. Questi ultimi giocano su queste relazioni per cercare di frenare l’accorpamento strategico alternativo, in particolare facendo pesare l’imbarazzo per il comportamento russo (che formalmente è una espressione di egoismo strategico il che non va esattamente in direzione del senso cooperativo e condiviso del gruppo) e soprattutto il timore di egemonia cinese.
Questo però, è un timore che il resto del mondo legge dal suo punto di vista. Il timore c’è, è obiettivo, ma molto dipende e dipenderà dal comportamento di fatto dei cinesi. Che siano grandi e grossi, in diretta competizione con gli USA, competizione che gli Stati Uniti stanno alzando di livello ogni giorno che passa e così già si sa nell’immediato futuro, è chiaro a tutti. Tuttavia, dipende molto dal se e come i cinesi faranno pesare come interesse di gruppo quello che un interesse solo loro e soprattutto, come si comporteranno nelle relazioni bilaterali ed in quelle dentro il gruppo a livello di peso delle intenzioni e modalità strategiche.
Il perno di questa difficile ricerca di equilibrio è l’India, la più esposta geopoliticamente (ovvero per riflesso politico della geografia visto che sono confinanti coi cinesi) ai timori di egemonia cinese e tuttavia, dentro i BRICS, l’alternativa bilanciante naturale alla Cina stessa. Per questo l’India ha lanciato il suo concetto di “multi-allineamento”. L’India punta a diventare una potenza in proprio quindi non assimilata ad alcuna altra potenza, amica di tutti ed aperta a buone relazioni con tutti. Tuttavia, sa anche molto bene che in questa fase del gioco, dove si andranno a ricontrattare i regolamenti del gioco generale, al peso USA-G7 va contrappesato il peso BRICS altrimenti da sola non va da nessuna parte. Un po’ come la navigazione in barca a vela, si spostano i pesi dei naviganti un po’ di qua ed un po’ di là a seconda degli equilibri, del vento, delle manovre, di quello che fanno gli altri equipaggi.
Tutto qua, volevamo solo introdurre l’argomento ed invitare a seguirne lo svolgimento. L’incontro ovviamente è stato lungamente preparato da tempo dalle diplomazie incrociate, ma è a queste riunioni che si svelano le vere intenzioni, si mettono le carte sul tavolo da gioco. Ci sono oltre al sudafricano, Xi, Modi, Lula e Putin no perché il SA aderisce alla CPI e quindi per ragioni giuridiche dovrebbe arrestarlo per crimini di guerra.
L’incontro è delicato per le ragioni esposte. Sottolineiamo, in particolare, il fatto del tutto inedito storicamente parlando (Il caso Bandung non è assimilabile), di come si possa formare un gruppo con più nazioni autonome che vogliono perseguire un fine comune che ha rilievo di “ordine mondiale”, quindi estremamente rilevante, si potrebbe dire guardando la cosa da una certa prospettiva un fatto potenzialmente “storico”. E’ in gioco il concetto di cooperazione strategica, l’unica vera alternativa al conflitto strategico ( guerre di vario tipo) per giocare e regolare il più ampio gioco della convivenza planetaria. Una contrattazione collettiva di questo gioco di come ordinare il nuovo giocatore che possa andare a discutere col suo peso rilevate e prospettive ancor maggiori i regolamenti del gioco principale, è di grande importanza per tutti.
Naturalmente ci sarà nebbia sull’evento, quella critica occidentale pronta a segnalare ogni frenata, incertezza, frizione malcelata e quella degli stessi BRICS che mostreranno dentature perfette nei sorrisi, grandi abbracci e pacche sulle spalle, invocazioni al futuro condiviso.
Alla fine, posata la nebbia e quindi fine di questa settimana o poco dopo, ci saranno i risultati concreti e quel po’ di dietro le quinte che uscirà per ragione di chi vorrà farlo uscire. Quindi ne riparleremo alla fine dell’evento stante che l’incontro è assai rilevante, ma i tempi di questa più ampia transizione multipolare non sono quelli del cinema in cui succede tutto in un’oretta e mezza. A poi.
NOTA: Il summit è stato anticipato dall’incontro di cui alla foto, ai primi dello scorso giugno sempre in Sud Africa. Il gruppo detto “Amici dei BRICS” era formato oltreché dai cinque soci da rappresentanti di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Cuba, Repubblica Democratica del Congo, Comore, Gabon e Kazakistan. Egitto, Argentina, Bangladesh, Guinea-Bissau e Indonesia, seguivano da remoto. Rilevante capire, se verranno presi impegni chiari e fattivi, di che tipo di associazione si tratterà ovvero quale rimarrà il ruolo dei fondatori e quale quello degli associati, quali i requisiti di ammissione, i tempi. Si parlerà anche di guerre, sviluppo, carbonio, valute, ma il cuore dell’incontro sarà lo statuto che si vorranno dare a livello di composizione.
[Il commento è mio, i dati sono presi tutti e solo da Reuters, così la foto]

SITREP 8/20/23: Rapporto sulle perdite degli F-16, di SIMPLICIUS THE THINKER

SITREP 8/20/23: Rapporto sulle perdite degli F-16

La notizia più importante del giorno è la decisione olandese/danese di fornire F-16 all’Ucraina:

Come al solito, in questo “ottimismo” sono nascosti alcuni fatti scomodi, come l’insistenza sul rispetto di una serie di rigidi protocolli prima di consegnare gli aerei, che probabilmente non permetteranno all’Ucraina di avere gli aerei prima del 2024.

Anche il numero totale rimane in dubbio, con alcune fonti che parlano di 42 aerei.

Voglio ribadire che anche se questo dovesse accadere – prima che l’Ucraina crolli o si arrenda, cioè – considero la consegna di questi aerei un’ottima cosa. Ho detto fin dall’inizio che tutti gli armamenti occidentali più avanzati forniscono un addestramento essenziale alle forze russe, che devono imparare a combattere contro questi sistemi in vista di una potenziale guerra futura contro la NATO vera e propria.

Ciò significa che gli operatori AD russi, i piloti di caccia, ecc. potranno acquisire un’esperienza fondamentale nel trattare con uno dei migliori velivoli della NATO, compresa la registrazione delle loro caratteristiche nei registri radar per una migliore identificazione.

Questa rara opportunità di affrontare e studiare questo tipo di sistemi in un ambiente “a basso rischio” è fondamentale. È meglio affrontarli ora, in mani ucraine e in numero ridotto, imparando i loro segreti e le loro debolezze, piuttosto che sperimentarli per la prima volta in una guerra totale contro la NATO, dove centinaia/migliaia di velivoli vengono schierati contemporaneamente.

Certo, può sembrare insensibile volere che l’Ucraina abbia armi migliori/più avanzate perché l’argomentazione è che alcuni russi perderanno la vita per questo, ma bisogna vedere le cose in una prospettiva più ampia. Se riusciranno a combattere questi sistemi ora, salveranno più vite alla fine, in vista di una guerra futura molto più grande.

Per coloro che continuano a chiedersi come l’Ucraina intenda tenere al sicuro i suoi F-16, o cosa faccia attualmente con la sua scarsa flotta aerea rimanente, ecco una nuova citazione del Financial Times che fa luce su qualcosa che ho ripetutamente riportato:

Financial Times, citando fonti: “L’Ucraina sta spostando frettolosamente i suoi piloti e i suoi aerei a causa dell’aumento degli attacchi russi su obiettivi nell’Ucraina occidentale. I missili russi hanno recentemente preso di mira basi aeree, piste di atterraggio, un centro di addestramento per piloti e una flotta di bombardieri che trasportano missili occidentali Storm Shadow e Scalp. “A causa di ciò, i piloti ucraini sono costretti a fare continuamente la spola tra decine di basi aeree e aeroporti commerciali”.
Nel frattempo, i titoli degli articoli disperati continuano ad arrivare:

L’unico cambiamento degno di nota nella nuova ondata di titoli è che ora stanno dimostrando una ritrovata sfacciataggine nel nominare effettivamente i dettagli – cosa non sarà raggiunto, cosa invece dovrebbe essere fatto. La differenza è che prima si limitavano a dare l’ovvio – la controffensiva non sta andando bene – ma mantenevano le cose ambigue con la tattica di sperare che la gente continuasse a credere nel suo successo finale. Se si dice vagamente “non sta andando bene come previsto”, ma non si dice che l’obiettivo specifico di raggiungere il mare, o Melitopol, ecc. non può essere completato, la gente manterrà viva la speranza.

Ma ora si nominano apertamente gli obiettivi chiave ammettendo che non saranno raggiunti. Una delle ragioni principali di questo cambiamento è che un nuovo “rapporto di intelligence trapelato” ha fatto questa determinazione:

La comunità dei servizi segreti statunitensi ritiene che la controffensiva ucraina non riuscirà a raggiungere la città chiave di Melitopol, nel sud-est del Paese, come hanno riferito al Washington Post persone che hanno familiarità con le previsioni riservate; una conclusione che, se dovesse rivelarsi corretta, significherebbe che Kyiv non raggiungerà il suo obiettivo principale di tagliare il ponte terrestre russo verso la Crimea nella spinta di quest’anno. La triste valutazione si basa sulla brutale abilità della Russia nel difendere il territorio occupato attraverso una falange di campi minati e trincee, e probabilmente spingerà Kyiv e le capitali occidentali a puntare il dito sul motivo per cui una controffensiva che ha visto decine di miliardi di dollari di armi ed equipaggiamenti militari occidentali non ha raggiunto i suoi obiettivi.
Ma naturalmente a Washington nulla “trapela” senza uno scopo. Quindi ci si potrebbe chiedere: perché questo cambiamento di retorica, cosa sperano di ottenere? Sembra che uno dei motivi sia che articolando chiaramente la natura terribile della situazione, sperano di indirizzare la politica verso nuove direzioni di escalation. Mentre prima i loro segnali d’allarme erano forse più cautelativi o di avvertimento, ora prescrivono veri e propri cambiamenti di direzione.

Nell’articolo di Newsweek sopra riportato, l’autore propone una soluzione “innovativa” per porre fine alla guerra in Ucraina.

L’autore sostiene che, in primo luogo, una “guerra per sempre” favorisce Putin e la Russia, non l’Ucraina o l’Occidente, ma ha scoperto un modo per “dare addosso” a Putin, ponendo fine alla guerra in modo brusco e non dandogli la “guerra per sempre” che desidera. Propongono di dare all’Ucraina i fondi per continuare le operazioni fino al luglio 2024, data del prossimo grande vertice della NATO. A quel punto, l’Ucraina dovrebbe interrompere tutte le operazioni offensive e ottenere l’ingresso a pieno titolo nella NATO.

Questo, sostengono, permetterebbe all’Ucraina di mantenere e consolidare qualsiasi territorio sia riuscita a riconquistare per allora, e la proteggerebbe da qualsiasi ulteriore avanzata russa grazie all’Articolo 5. Non è diverso dal concedere lo status NATO a una Germania divisa dopo la Seconda Guerra Mondiale, sostengono.

L’aspetto più intrigante di questo piano è che l’autore non è altro che il deputato democratico Tom Malinowski, e gli si addice il fatto che, in modo del tutto conveniente, si sia schierato a favore di una cessazione delle ostilità nel luglio 2024, proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali statunitensi, quando i democratici avranno bisogno di tutto l’aiuto possibile. Se un piano può essere progettato e confezionato in modo tale da essere venduto come una grande “vittoria”, allora certamente i Democratici cercheranno di trascinarlo fino alla vigilia delle elezioni per cercare di usare la “grande vittoria ucraina di Biden” come una grande spinta dell’ultima ora.

L’altra cosa intrigante è il modo in cui si collega alla nuova teoria di Lukashenko, che ha rilasciato durante una recente intervista, secondo la quale l’Ucraina sarà introdotta nella NATO sulla base dell’occupazione dei territori occidentali da parte della Polonia. Lukashenko non spiega i meccanismi esatti con cui prevede che ciò avverrà, ma si limita a dedurre che la NATO avrà poco spazio per respingere l’Ucraina una volta che un membro della NATO a pieno titolo si sarà già fuso politicamente con essa.

Anche se ha espresso l’opinione che gli ucraini non lo permetteranno:

Lukashenko ritiene che gli ucraini non cederanno alla Polonia i territori occidentali “Penso che gli ucraini stessi non lo permetteranno”. Zelensky si sta muovendo in questo senso: avete preso una sorta di decisione in cui i poliziotti o i funzionari polacchi sono già quasi equiparati a quelli ucraini. Inoltre, in Polonia sono già state create delle unità – un’unità militare di assistenza all’Ucraina. Se entrano, non li respingerete, perché gli americani stanno dietro alla Polonia. Ebbene, ci sarà il territorio polacco. Perché non accettarli nella NATO? Questo sarà territorio polacco. Ci saranno loro a condurlo. Pertanto, tutto è pronto per questo. Per noi è inaccettabile, così come per i russi. Per non frammentare l’Ucraina e dividerla in parti, dobbiamo fermarci qui e fare in modo di preservare l’integrità dell’Ucraina. E poi parlare. Vedete, questa è la prima cosa da fare. Questo è ciò di cui avete bisogno, ucraini”, ha detto Lukashenka.
Tra l’altro, alla luce della proposta di Malinowski di cui sopra e di quella recente del capo di stato maggiore della NATO Stian Jenssen, che ha proposto un accordo “terra in cambio di pace”, sono successe due cose. In primo luogo, la NATO è stata costretta a scusarsi dopo aver fatto arrabbiare l’Ucraina:

In secondo luogo, l’Ucraina sta cercando di codificare nella legge l’inammissibilità di risolvere il conflitto attraverso qualsiasi concessione territoriale. Molti deputati hanno presentato una proposta di legge alla Verkhovna Rada che obbligherebbe legalmente l’Ucraina ad “andare fino in fondo” e non permetterebbe costituzionalmente alcuna concessione. La “fine” significherebbe i confini del 1991, come da proposta di legge scritta.

Zelensky ha persino risposto compiaciuto che l’unica concessione territoriale che è disposto a negoziare per l’ingresso nella NATO è lo scambio della regione russa di Belgorod:

Ma torniamo alle proposte principali: l’altra parte, sostenuta da Edward Luttwak in un nuovo articolo di Die Welt, afferma che l’unico modo in cui l’Ucraina può vincere è la modalità “guerra totale”, una mobilitazione sociale completa di 3 milioni di baionette.

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L’Ucraina ha bisogno di mobilitare 3 milioni di persone per avere successo nel conflitto con la Russia. C’è solo una strada da percorrere: condurre la guerra con la serietà che si addice a una lotta di liberazione nazionale”. La popolazione ucraina si è ridotta, è vero, ma è ancora superiore ai 30 milioni di persone, quindi il numero totale di forze armate potrebbe raggiungere i 3 milioni. Con una tale forza militare, l’Ucraina potrebbe vincere le battaglie e liberare il suo territorio alla vecchia maniera: in una guerra di logoramento, come la maggior parte delle guerre d’indipendenza europee”, ritiene l’autore. “Per quanto riguarda l’economia russa, le notizie sono negative, ma non abbastanza. La guerra non finirà a causa della capitolazione economica della Russia”, afferma l’autore, sottolineando che, a differenza della Cina, la Russia è in grado di procurarsi da sola cibo e carburante e, in generale, produce quasi tutto ciò di cui ha bisogno.Fino all’ultimo ucraino! Sembra che Die Welt cerchi di imporre all’Ucraina moderna il noto concetto nazista di “Totalen Krieg”.
E sembra, ironia della sorte, che Zelensky abbia recentemente manifestato interesse più per questo piano che per quello opposto. Per ben due volte, solo nell’ultima settimana o due, Zelensky ha postato video inquietanti in cui castiga la società ucraina per aver ignorato la guerra e implora che “tutti” contribuiscano allo sforzo bellico in un modo o nell’altro.

Anche altri funzionari ucraini hanno iniziato a dare segnali in tal senso. Di recente ho pubblicato una dichiarazione di un funzionario che ha affermato che “tutta l’Ucraina” potrebbe dover essere mobilitata in futuro.

L’altro comunicato “al momento giusto” che ha fatto il giro è stato il nuovo articolo del NYTimes con la rivelazione “bomba” che oltre 500.000 vittime sono state subite nella guerra fino ad ora:

Naturalmente, come al solito, questi dati sono accompagnati dal fatto che è la Russia a fare la parte del leone nelle perdite:

Le perdite militari della Russia si avvicinano a 300.000, di cui 120.000 morti e 170.000-180.000 feriti, secondo il giornale. I morti ucraini sono stati quasi 70.000, con 100.000-120.000 feriti, ha aggiunto il giornale.
Ma sappiamo che in realtà questo è il loro modo di segnalare le perdite dell’Ucraina senza causare troppo panico. Se si fossero limitati a dire che l’Ucraina ha subito 200.000 perdite totali, avrebbero potuto rovesciare il carro delle mele. Le cifre russe sono completamente inventate e senza senso, quelle ucraine sono state probabilmente ridotte di molto, ma almeno stanno iniziando a far trapelare lentamente la verità al pubblico. Riconoscere 190-200k vittime totali per l’Ucraina è un inizio, ed è il loro modo di condizionare gradualmente l’opinione pubblica per le dure realtà che seguiranno.

La discussione continua a vertere su ciò che verrà dopo. Sempre più spesso si sente dire che l’Ucraina è semplicemente terrorizzata dall’idea di interrompere le operazioni offensive attive, per quanto costose siano le perdite, perché sospetta che la Russia possa lanciare la propria offensiva non appena percepisca che l’Ucraina si indebolisce e si tira indietro. Pertanto, credono di respingere la locomotiva in arrivo distraendola con le loro azioni sbandierate, ma in definitiva prive di significato.

In realtà, però, è facile capire come il conflitto possa essere molto confuso per i non addetti ai lavori. Entrambe le parti sostengono di vincere e di infliggere ingenti perdite all’altra, ma le linee di battaglia reali non sono cambiate molto in molti mesi. È una sorta di guerra di Schrodinger che si basa sul potere delle credenze e sulla cieca fede religiosa in una parte o nell’altra. E sebbene io conosca la verità di ciò che sta realmente accadendo dietro le cortine fumogene, non rivendico come mia missione l’intento di “convincere” i miei seguaci della verità di una parte o dell’altra. Fare attivamente a gara per “convincere” le persone sembrerebbe un po’ disperato, e credo che la verità sia abbastanza evidente da venire fuori col tempo, tanto che non ho bisogno di esagerare nel cercare di convincere nessuno, a parte limitarmi a riportare i fatti così come li vedo. Ma ci sono molte cose difficili da raccontare perché non possono essere ridotte a bocconcini, ma sono in realtà il risultato di anni di esperienza e di una sottile comprensione della lettura tra le righe e della corretta analisi delle informazioni.

In fin dei conti, c’è solo una parte da cui vediamo cimiteri enormi tracciati dallo spazio a causa delle loro dimensioni, e richieste urgenti quotidiane di più sacchi per cadaveri, bare, tombe, forni crematori, ecc.

Prendiamo ad esempio questo nuovo ordine dell’AFU:

🇺🇦The ordine del comandante della 123 brigata della Difesa Territoriale dell’Ucraina è apparso sul web.Così, secondo questo documento, il comandante dell’unità A-7052 (123 brigata della TERO) ha ordinato al suo vice nelle retrovie di procurarsi forni crematori mobili, e ai comandanti di battaglione di raccogliere le ricevute dei militanti AFU da cremare, scrive il Bollettino di Kherson. A quanto pare, la mobilitazione sta andando “secondo i piani” e nessuno vuole preoccuparsi di trasportare i corpi dei militanti dell’AFU, ma semplicemente bruciarli e spargere le ceneri sul campo.
Oppure questo volontario ucraino che chiede l’elemosina di sacchi per i corpi di alcuni battaglioni dell’AFU:

Inoltre, da uno degli articoli dell’ABC di cui ho postato il titolo, si apprende che i mercenari americani dell’AFU hanno dichiarato che le loro unità hanno subito l’85% di perdite:

Uno degli uomini, un ex soldato americano del Texas che si fa chiamare “Tango”, ha detto che la sua unità, composta da “decine” di uomini, ha subito “l’85% di perdite” e che due dei loro compagni sono stati uccisi quando la squadra è caduta in un’imboscata mentre avanzava nel territorio occupato dai russi. Il 40% dell’unità è stato ferito così gravemente da essere reso “inefficace al combattimento”, ha detto.
La storia continua:

Un terzo mercenario, proveniente da una nazione occidentale non identificata, ha dichiarato al network di essere stato gravemente ferito nei primi giorni della controffensiva e che da allora circa l’80% del suo battaglione è stato ferito.
Per non parlare del fatto che si elogia la professionalità russa:

“Era sicuramente una forza molto professionale quella contro cui stavamo combattendo”, ha detto il veterano dell’esercito americano dell’Alaska.
Vi ricorda qualcosa?

Detto questo, però, posso capire come la situazione attuale possa benissimo apparire come una “situazione di stallo” dall’esterno, e non biasimo nessuno per averla pensata così. In superficie sembra proprio una situazione di stallo, ma guardando oltre le cortine fumogene possiamo vedere che una parte si sta aggrappando alla sopravvivenza, mentre l’altra non fa altro che aspettare il momento giusto e si rafforza di giorno in giorno.

Nella sua nuova intervista con la giornalista ucraina dissidente Diana Panchenko, Lukashenko ha fatto alcune dichiarazioni rivelatrici, una delle quali è stata addirittura preceduta da un “non so se dovrei dirle questo”, che implica l’indicazione di un segreto di Stato:

Egli afferma che la Russia ha raccolto una forza volontaria di 250.000 uomini, che è più grande dell’intera forza che la Russia sta attualmente utilizzando in guerra. Ricordo che sono stato l’unico analista a seguire con precisione il vero numero di truppe sul fronte, e ho ripetutamente affermato che la Russia ha iniziato la guerra con solo 70-80 mila uomini, non i “250 mila” che tutti pensavano.

Presumibilmente Lukashenko si riferisce al nuovo esercito di Shoigu, che Medvedev ha recentemente riferito essere già di oltre 230k all’inizio di agosto.

Ma soprattutto, sembra credere che la Russia userà questo nuovo enorme esercito (che cresce di giorno in giorno) in combattimento attivo per sventrare completamente il resto dell’Ucraina. È possibile – non conosciamo ancora l’intenzione esatta dietro la creazione di questo esercito, oltre che, almeno per ora, come riserva per scoraggiare l’aggressione della NATO.

Ma ci sono stati altri segnali che indicano che potrebbero usare queste forze, anche se è difficile dirlo. Si è persino diffusa la voce che Putin stia pensando di smobilitare completamente tutte le 300 mila unità precedentemente mobilitate a partire dal settembre 2022 e di sostituirle con i nuovi uomini. Alcuni potrebbero pensare che sia una follia, ma sarebbe un’enorme spinta al morale per gli uomini che hanno combattuto per quasi un anno intero sapere che torneranno a casa dalle loro famiglie. Darebbe agli altri militari qualcosa per cui combattere, sapendo che il loro mandato militare sarà limitato e non “fino alla morte”. Inoltre, molti resterebbero comunque e dare loro la possibilità di tornare a casa sarebbe solo un’ulteriore spinta al morale.

Probabilmente, però, questo non accadrà. Ma ora si parla, da parte dei filorussi, del tipo di offensiva a cui potremmo assistere. Una teoria che ha fatto scalpore è questo video di WeebUnion, che delinea in modo molto dettagliato quella che secondo lui sarà l’offensiva russa che porrà fine alla guerra, con Wagner che scenderà da nord:

È interessante pensarci, ma personalmente non ritengo le probabilità che ciò accada così alte, almeno per ora. Una delle ragioni è che non sono sicuro che la Russia lancerà mai più un’offensiva “a grandi frecce” di questa portata, perché la natura altamente tecnologica della guerra moderna – in particolare nella seconda metà della SMO – si è evoluta al punto che non sono sicuro che nessuno dei due eserciti sia in grado di effettuare quelle spinte in stile Seconda Guerra Mondiale che la maggior parte della gente si aspetta. Penso che la tattica della Russia per il prossimo futuro continuerà a essere una lenta pressione su tutti i fronti per logorare l’AFU attraverso l’artiglieria, per poi avanzare solo dove è più gradito.

Alcuni pensano che non si possa avanzare senza correre grossi rischi, entrando direttamente in territorio nemico, ma non è così. Attualmente vediamo da entrambe le parti che l’artiglieria e la guerra con i droni sono diventate abbastanza precise da far sì che l’artiglieria da sola (corretta dai droni) sia spesso sufficiente a far sloggiare il nemico da un insediamento (attualmente sta accadendo a Rabotino per l’AFU e a Sinkovka, vicino a Kupyansk, per la Russia), consentendo alle truppe amiche di spostarsi all’interno di un territorio minimamente contestato.

Il fatto è che nelle precedenti epoche di guerra, il tipo di ISR che vediamo oggi semplicemente non esisteva, il che significava che tutte le avanzate/offensive dovevano in parte, se non in gran parte, affidarsi alla forza bruta per entrare in un’area contestata. Certo, esistevano la ricognizione a fuoco e altre forme di ricognizione che permettevano di farsi un’idea delle posizioni e delle concentrazioni nemiche. Ma non si tratta di niente di simile a quello che vediamo oggi, dove ogni posizione nemica, fino alle singole truppe, può essere individuata in un determinato settore.

In questa guerra moderna assistita dai droni, quindi, si può avanzare in modo graduale, lasciando che l’artiglieria sgombri il percorso in modo graduale, per poi spostarsi nell’area lasciata libera.

Ne ho già scritto in precedenza, ma una tattica che entrambe le parti stanno attualmente utilizzando è semplicemente quella di martellare le posizioni del nemico a tal punto che tutte le strutture difensive sono state distrutte al punto che le truppe non hanno alcuna copertura e sono costrette a ritirarsi. In altre parole, le trincee, le trincee e le fortificazioni vengono fatte saltare in aria in modo tale da diventare inutilizzabili. E poiché non si possono scavare trincee in una linea di contatto attiva, non avendo altra scelta, non hanno altra scelta che ritirarsi verso la linea del 2° echelon a 3-5 km di distanza. La forza che avanza poi si sposta, si risciacqua e si ripete su questa nuova linea, costringendovi continuamente ad arretrare.

Naturalmente, si può obiettare che questo non è molto diverso dalla guerra della prima guerra mondiale. Certo, non avevano la stessa precisione dei risultati dell’ISR, ma compensavano con il numero di munizioni spese, eppure c’erano stalli per anni quando nessuna delle due parti poteva muoversi. Penso che una delle differenze sia che la densità di truppe è molto più bassa in Ucraina e, stranamente, come molti hanno sottolineato, la qualità delle trincee è molto inferiore a quella dei progetti della Prima Guerra Mondiale. La maggior parte delle trincee ucraine avrebbero fatto finire i loro costruttori davanti alla corte marziale nella prima guerra mondiale, rozzi sbancamenti incomparabili con gli esempi standardizzati e meticolosamente costruiti della prima guerra mondiale:

La maggior parte delle trincee ucraine è costituita da rozzi muri di terra che, dopo un colpo di artiglieria, si sbriciolano, seppellendo tutti coloro che vi si trovano all’interno. Confrontate le trincee della Prima Guerra Mondiale con queste.

Per inciso, per chi fosse interessato, uno storico ritiene che le battaglie del 1944 nelle siepi e nei campi della Normandia siano un paragone di gran lunga migliore dell’attuale conflitto ucraino.

In ogni caso, continuano a circolare voci sul fatto che l’Ucraina abbia bisogno di una nuova mobilitazione di massa in autunno/inverno, mentre sempre più funzionari chiave esprimono la convinzione che la Russia si stia preparando per un’offensiva di massa nella primavera del 2024.

💥🇷🇺 💥La Russia sta preparando una grande offensiva.L’edizione di Newsweek ha citato una fonte vicina al governo ucraino per dire che l’esercito russo sta preparando una nuova offensiva per la prossima primavera.La pubblicazione ha detto che le autorità e i comandanti ucraini “molto probabilmente si aspettano che i russi inizino i preparativi in autunno per fare una grande spinta in primavera”.💥💥💥💥
È interessante notare che si è persino diffusa la voce che lo Stato Maggiore ucraino vorrebbe che Zelensky iniziasse ad estrarre le regioni di Odessa e Nikolayev, ma lui ha paura, perché farlo significherebbe che l’Ucraina sta fallendo:

Lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine sta cercando di convincere Zelensky ad avviare lo sfruttamento minerario delle regioni di Odessa e Mykolaiv, nonché a costruire ridotte difensive, poiché nella primavera del 2024 è previsto un tentativo di controffensiva delle Forze Armate russe in questa direzione. Zelensky è ancora contrario, poiché sarebbe un’ammissione del fatto che l’Ucraina si sta mettendo sulla difensiva e sta perdendo l’iniziativa, il che minerebbe ulteriormente il morale delle retrovie. Mentre la società si aggrappa alla “pagliuzza” che l’APU sta per uscire in Crimea. Se si iniziano a costruire ridotte difensive, si confermerà il messaggio che tutto è molto peggio di quanto scritto anche nelle fonti alternative di Telegram.
Un altro sviluppo rispetto alla nuova narrazione dei preparativi per l’offensiva russa della primavera 2024 è che gli Stati Uniti e l’Occidente sono in condizioni peggiori che mai dal punto di vista delle munizioni e vogliono usare l’inverno come periodo di recupero, dove l’intensità del conflitto, e quindi le spese per le munizioni, saranno basse.

🇺🇸🇺🇦🇷🇺🇨🇳The Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sta aspettando l’arrivo dell’inverno, sperando in una riduzione dell’intensità delle ostilità in Ucraina per poter aumentare la produzione di munizioni e mantenere le scorte di prodotti militari, riporta il New York Times, citando alcune fonti. “Sebbene la controffensiva estiva dell’Ucraina sia in corso da pochi mesi, i funzionari della difesa guardano già all’inverno, quando è possibile una potenziale tregua nella battaglia … I funzionari ammettono che, mentre il destino della controffensiva dipende dalla capacità dell’Occidente di soddisfare la “sconcertante fame” di Kiev di proiettili d’artiglieria, la sfida per gli Stati Uniti è quella di essere in grado di garantire la propria sicurezza in caso di potenziali conflitti con la Russia o la Cina. L’agenzia è riuscita finora a finalizzare le transazioni solo per il 41% dell’importo totale dei fondi stanziati per la produzione di armi da consegnare all’Ucraina.
Questo fa seguito a un articolo del Washington Post secondo cui la carenza di materiali sta lasciando il Pentagono a caccia di rifornimenti per sostenere la produzione di granate.

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Ricordate i miei resoconti di qualche tempo fa su come gli Stati Uniti non riescano più a produrre nemmeno alcuni tipi di esplosivi, affidandosi a fornitori esterni, uno dei quali, ironia della sorte, si trovava nel Donbass ed è stato successivamente rilevato dalla Russia:

La carenza di materie prime – in particolare dell’esplosivo TNT, che gli Stati Uniti non producono più – ha ostacolato gli sforzi del Pentagono per rifornire il proprio arsenale, gravemente impoverito dal sostegno all’Ucraina. Washington attualmente si rifornisce di gran parte del tritolo dalla Polonia, ma ha cercato nuovi fornitori, anche in Giappone, dopo aver perso il partner di produzione Zarya quando la regione in cui si trovava la fabbrica ha votato per entrare a far parte della Russia nel referendum dello scorso anno.
Nel frattempo, i lavoratori della fabbrica Storm Shadow in Gran Bretagna sono in sciopero per i bassi salari:

È interessante notare che non ho più sentito parlare di problemi di munizioni da parte russa da quando Prigozhin si è ignominiosamente esiliato.

Quindi, alla luce di queste voci, cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo futuro? La Russia continuerà a premere a nord e c’è una buona probabilità che possa recuperare la maggior parte, se non tutto, il territorio a est del fiume Oskol entro la fine di quest’anno. Gli ultimi aggiornamenti mostrano che stanno iniziando a circondare Sinkovka e alcuni rapporti affermano che tutte le unità dell’AFU hanno abbandonato la città e si sono ritirate:

Nel frattempo, ecco un’illustrazione dei movimenti dal fianco orientale. Al centro c’è Kupyansk, mentre l’animazione mostra i progressi della Russia nelle ultime settimane da est e da nord:

Quest’area sta rapidamente collassando – in termini relativi – per l’AFU e non c’è motivo di credere che la Russia non li respinga completamente entro la fine dell’anno, almeno nella parte settentrionale. L’ultima volta abbiamo riferito dell’evacuazione di decine di insediamenti in quest’area da parte delle autorità regionali ucraine. Le mogli ucraine stanno implorando freneticamente aiuto su Telegram, poiché centinaia di loro mariti stanno scomparendo dopo essere stati frettolosamente trasferiti da altre zone del Donbass per tappare i buchi dell’emergenza:

La questione sarà quindi per il prossimo anno: la Russia tenterà di attraversare il fiume o inserirà forze da nord, nella regione di Kursk, per scendere a Kharkov e iniziare a sgomberare l’AFU verso sud. Un aggiornamento interessante a questo proposito è che è stato riferito che la Russia ha bombardato uno dei due ponti principali all’interno di Kupyansk, il che potrebbe essere indicativo dell’accelerazione degli eventi.

🇷🇺🇺🇦

Ci sono informazioni sulla distruzione di uno dei passaggi sul fiume Oskol a Kupyansk. Ricordiamo che Kupyansk, controllata dall’Ucraina e attaccata dalle Forze Armate della RF, è divisa in due parti dal fiume Oskol e collegata da due ponti – stradale e ferroviario (nella mappa sottostante). Dopo che il primo ponte delle Forze Armate ucraine è stato fatto saltare, è stato costruito un passaggio vicino ad esso, se le informazioni sulla sua incapacità sono corrette, questo colpirà duramente la logistica delle Forze Armate ucraine a Zaoskolie. È da notare che quasi esattamente un anno fa Kupyansk è stata abbandonata dall’esercito russo proprio a causa dei ponti distrutti. Questo ha reso impossibile rifornire la città. Sembra che ora l’APU stia affrontando lo stesso problema.
La notizia rimane comunque non verificata, almeno per quanto riguarda le prove foto/video.

Altrove, la situazione rimane per lo più invariata. L’82° AFU d’élite, come parte del gruppo “Maroon”, continua a cercare di assaltare Rabotino con i suoi Stryker. Sono riusciti a mettere fuori gioco le truppe russe da diverse posizioni, ma finora le voci di una loro presa di Rabotino si sono rivelate false. Le foto di due Stryker appena distrutti testimoniano le battaglie.

Secondo alcune voci, il comando statunitense si è irritato con Zaluzhny e il comando ucraino per la loro scelta di dividere le forze dell’AFU nel vano tentativo di riprendere Bakhmut. A quanto pare, il comando statunitense voleva che l’Ucraina andasse “all in” sul fronte meridionale, ma Zelensky/Zaluzhny rimangono ossessionati dal rivendicare la loro perdita simbolica a Bakhmut. Si può notare che gli alti generali e pianificatori della NATO lavorano fianco a fianco con l’Ucraina nella loro offensiva e si sentono quindi legati ai piani. Dal resoconto ufficiale dell’ammiraglio Tony Radakin (Capo di Stato Maggiore della Difesa, il capo delle forze armate britanniche) di due giorni fa:

Il motivo è probabilmente che l’Ucraina ha sentito l’odore del sangue dopo che Wagner è stato costretto ad andarsene, pensando che i rimpiazzi russi mobilitati sarebbero stati relativamente deboli e avrebbero ceduto sotto l’assalto delle truppe esperte dell’AFU. Sfortunatamente per l’Ucraina, ciò non è accaduto e le forze russe continuano non solo a difendere l’area, ma anche a guadagnare progressivamente territorio intorno a Klescheyevka negli ultimi tempi.

Tuttavia, non tutti i tentativi di questo tipo vanno a buon fine. A dimostrazione della lezione di questo conflitto, ovvero che l’offensiva comporta in genere perdite ingenti per chiunque, oggi le forze russe hanno tentato di espandersi ulteriormente conquistando una nuova altura ai margini nord-occidentali di Klescheyevka, ma sono state respinte con la perdita di diversi veicoli blindati, come si vede qui sotto:

Anche se voglio sottolineare che questo non è un evento normale, e che quanto sopra rappresenta la più grande sconfitta della Russia da molte settimane a questa parte.

Questo è precisamente il motivo per cui ho detto che le offensive di grandi frecce con grandi “gruppi di manovra” corazzati non hanno probabilità di successo in un conflitto alla pari, dove ogni approccio è minato, ogni corridoio è sorvegliato da ATGM moderni e avanzati, e ogni spinta è vista in anticipo da sistemi ISTAR onnipresenti di droni/satelliti, che permettono al nemico di spostare rinforzi difensivi appropriati nel settore per contrattaccare la vostra spinta molto prima che voi la tentiate.

A parte questo, come ho detto l’ultima volta, le cose sono un po’ in stallo in questo momento, quindi gli sviluppi sembreranno piuttosto uguali e non degni di nota. L’Ucraina tenta di colmare le lacune lanciando continuamente attacchi terroristici o altri deboli episodi isolati nel tentativo di mantenere il controllo dei titoli dei giornali, ma nel grande schema delle cose, non hanno alcun valore. Per questo motivo non mi preoccupo quasi mai di riportare i piccoli eventi e gli attacchi dei droni: non hanno alcun effetto sul conflitto.

L’ultima cosa generale che dirò è che, per ora, sembra che entrambe le parti si stiano attenendo a obiettivi massimalisti. Ho già elencato in precedenza come Zelensky stia addirittura cercando di codificarlo in legge, in modo che nessuno in Ucraina possa nemmeno pensare a proposte e concessioni di “pace in cambio di terra”. Nel frattempo, da parte russa Medvedev ha ribadito ieri ancora una volta le sue proiezioni massimaliste, che potrebbero forse essere indicative del sentimento di tutte le élite russe, almeno di quelle patriottiche. Traduzione del discorso di fuoco – attenzione alle parti in grassetto:

La sconfitta dell’Occidente in direzione dell’Ucraina è inevitabile. E i loro leader, che si sono dimenticati dei propri cittadini, gridano l’un l’altro che sosterranno con armi e denaro i monconi della piazza per tutto il tempo necessario. Addestreranno soldati per l’impianto di confezionamento della carne di Kiev, restaureranno le rovine dell’economia morente del regime di Bandera. Manterranno le folli sanzioni contro la Russia. Non servirà a nulla. Perché? Per loro questa è una strana guerra in cui muoiono persone a loro estranee. E anche se non sono dispiaciuti per loro, l’Occidente non andrà mai oltre il fatto che inizierà a danneggiare troppo i suoi interessi. Non importa quanto forte si lamenti ai suoi vertici e alle Nazioni Unite. La guerra di qualcun altro prima o poi diventa noiosa, costosa e irrilevante. E per noi è una tragedia che coinvolge il nostro popolo. È un conflitto esistenziale. Una guerra per l’autoconservazione. O loro o noi.Passerà del tempo. Le autorità occidentali cambieranno, le loro élite si stancheranno e imploreranno un negoziato e un congelamento del conflitto. Qualsiasi controffensiva si spegnerà. I morti saranno sepolti, le ferite saranno leccate. Ma non dobbiamo fermarci finché l’attuale Stato ucraino, intrinsecamente terroristico, non sarà completamente smantellato. Deve essere distrutto fino alle fondamenta. O meglio, in modo che non ne rimangano nemmeno le ceneri. In modo che questo abominio non possa mai, in nessun caso, rinascere. Se ci vorranno anni o addirittura decenni, allora così sia. Non abbiamo scelta: o distruggeremo il loro ostile regime politico, o l’Occidente collettivo finirà per fare a pezzi la Russia. Pertanto, l’unica via è la completa eliminazione della macchina statale di un Paese ostile e garanzie assolute di lealtà per il futuro, che possono essere date solo dal controllo della Russia su tutto ciò che sta accadendo e accadrà nei territori dell’ex Stato di Bandera. E noi lo otterremo.
Sta dicendo che la Russia può ottenere una garanzia adeguata dall’Ucraina solo distruggendo completamente il regime al potere e conquistando e controllando tutto il territorio ucraino.

In seguito, anche Lavrov ha dichiarato che la recente raffica di “proposte di pace” dell’Occidente è solo una copertura per voler riposare e riarmare l’Ucraina in vista di un ulteriore conflitto:

“Consideriamo gli ipocriti appelli degli occidentali ai colloqui come uno stratagemma tattico per guadagnare tempo, dando ancora una volta alle esauste truppe ucraine una tregua e l’opportunità di riorganizzarsi, e di inviare altre armi e munizioni”, ha detto Lavrov, aggiungendo che “questa è la strada della guerra, non un processo di risoluzione pacifica”.
Il presidente ha quindi segnalato che i colloqui di pace non sono possibili e che la Russia si sta attenendo al raggiungimento dei suoi obiettivi militari, un fatto che è positivo per gli obiettivi della Russia. Sembra che tutti i funzionari russi siano sulla stessa lunghezza d’onda e che solo il raro “oligarca” liberale si sia battuto per fermare l’SMO.

A proposito, visto che molti pensano ancora che la Russia o Putin siano in qualche modo “controllati dagli oligarchi”, c’è stato un altro interessante aggiornamento in merito. Le notizie fresche di stampa di oggi sono le seguenti:

La Russia sta perseguendo il suo miliardario più ricco, un uomo che era in combutta con un altro oligarca di primo piano che è già in carcere dal 2019, come si legge nell’articolo. Per favore, nominatemi un solo miliardario di primo piano che sia stato imprigionato o perseguito in questo modo negli Stati Uniti. Questo sarebbe l’equivalente di Bezos o Bill Gates perseguiti per corruzione, cosa che non accadrà mai negli Stati Uniti.

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Passiamo ad alcuni ultimi aggiornamenti vari.

La più grande notizia non correlata è che il tanto annunciato lander lunare russo Luna-25, su cui riponevamo grandi speranze, è purtroppo fallito e si è schiantato sulla Luna. Non c’è dubbio: è un duro colpo per il programma spaziale russo e dimostra che non è ancora uscito dal pantano del post-URSS.

Detto questo, per contestualizzare: questi atterraggi lunari sono estremamente difficili e anche il recente tentativo del Giappone è stato un fallimento, e questa è una nazione che molti considerano “la più avanzata” in questo campo.

Il lander indiano Chandrayaan-3 dovrebbe fare il suo tentativo a giorni e potrebbe superare quello della Russia, ma va ricordato che anche il precedente lander indiano Chandrayaan-2 ha fallito e si è schiantato sulla Luna.

Ma secondo un rapporto, la missione russa non è stata un fallimento totale. La missione era composta da due parti e sono stati effettuati con successo alcuni test dall’orbita lunare. Ma la seconda fase, che prevedeva l’atterraggio di un lander sulla Luna, non è andata come previsto.

Da Annanews:

Dopo il difficile atterraggio di “Luna-25” sul satellite naturale della Terra, sul web sono apparsi commenti sul “fallimento” della missione lunare. La stazione ha cessato di esistere e non è riuscita a trovare acqua sulla Luna. È difficile definire ciò che è accaduto un fallimento. Questo grave passo nello sviluppo del nostro programma spaziale ha avvicinato l’invio di cosmonauti sulla Luna.Durante il volo sono state effettuate diverse attivazioni dell’apparecchiatura IKI RAS. Ecco solo alcuni dei risultati.▪️In lo spettro energetico dei raggi gamma, lo spettrometro di neutroni e gamma ADRON-LR ha registrato le linee più intense degli elementi chimici del suolo lunare.▪️For la prima volta nell’orbita della Luna, è stato acceso l’analizzatore di energia-massa ionica ARIES-L, progettato per studiare l’esosfera ionica vicino alla superficie nella regione subpolare della Luna. Il dispositivo PML, progettato per rilevare le microparticelle che levitano vicino alla superficie della Luna e determinare i parametri del plasma circostante, ha registrato l’impatto di un micrometeorite. Molto probabilmente, il micrometeorite appartiene alla pioggia di meteoriti delle Perseidi, che Luna-25 è riuscita ad attraversare con successo durante il volo verso la Luna.▪️According ai risultati dell’elaborazione di due fotogrammi delle immagini della Luna realizzate dalle telecamere di atterraggio del sistema STS-L, è stato realizzato un modello di elevazione digitale. Questa tecnologia migliorerà significativamente l’accuratezza della conoscenza dell’orbita del veicolo spaziale.▪️The immagini mostrano il cratere Zeeman. Nell’elenco dei venti crateri più profondi dell’emisfero meridionale della Luna, si trova al terzo posto. Ha un rapporto di dimensioni insolito: diametro – circa 190 km, profondità – circa 8 km. La sua formazione è associata a un colpo molto forte. Le fotografie dettagliate mostrano che il fondo del cratere è punteggiato da altri più piccoli. Questo accade se parte della sostanza espulsa al momento dell’impatto è ricaduta e ha creato numerose piccole “buche”. I redattori e i lettori di ANNA NEWS augurano al team della Roscosmos di riuscire a preparare Luna-26.
Un altro esperto ci dice che lo spazio è costoso e che molti fallimenti hanno portato al successo di un’unica missione di questo tipo, anche nel periodo dell’URSS, quindi la Russia deve continuare ad andare avanti:

Lo spazio è costoso. L’esperienza sovietica dimostra che è necessario lasciare un lancio e spesso. Dal 1958 al 1976, 45 AMS sovietici sono stati lanciati verso la Luna, 31 lanci si sono conclusi con un fallimento per vari motivi: da un incidente del veicolo di lancio a errori già nell’orbita lunare. Quelli che caddero al lancio a causa di un incidente del veicolo di lancio rimasero in lista con il nome di “E-# numero #”, quelli che entrarono in orbita terrestre ricevettero la designazione “Cosmos-###” come satelliti artificiali della Terra, quelli che riuscirono a volare verso la Luna ricevettero la numerazione lunare di “Moon-##”, ma anche in questa fase non tutti ebbero successo – si verificarono incidenti sia a causa di difetti nei motori dei freni sia a causa di errori di gestione.Inoltre, la percentuale di fallimenti rimase alta nelle fasi successive. Se prendiamo la terza generazione di AMS lunari sovietici, la E-8, dal 1969 al 1975 sono state lanciate 16 stazioni. Ci sono stati sei tentativi riusciti, uno ha avuto un successo parziale, nove si sono conclusi con la perdita dei dispositivi.Tre vettori E-8 di “Lunokhods”, nel 1969, 70, 73. Il primo lancio non ebbe successo – la perdita del Proton al 52° secondo del volo, due divennero le missioni Luna-17 e Luna-21, portando rispettivamente Lunokhod-1 e Lunokhod-2 sulla superficie della Luna.Due E-8LS – satelliti pesanti della Luna nel 1971 e nel 1974. Entrambi i lanci ebbero successo, Luna-19 e Luna-22 entrarono nell’orbita lunare. Ma l’orbita di Luna-19 si rivelò non calcolata, motivo per cui la missione può essere considerata solo parzialmente riuscita, mentre Luna-22 si risolse da sola inviando una serie di panorami televisivi della Luna, che contribuirono notevolmente a risolvere i problemi dei moon scoopers.E ci furono 11 “moon scoopers”. E-8-5 e E-8-5M sono stazioni per la consegna del suolo lunare. Sono stati lanciati dal 1969 al 1976, tre hanno avuto successo – “Luna-16”, “Luna-20”, “Luna-24”.Altri tre – “Luna-15”, “Luna-18”, “Luna-23” – sono falliti durante l’atterraggio, ma hanno ricevuto numeri perché i media sono riusciti a riportare il lancio.Due sono falliti nella fase di funzionamento dello stadio superiore e sono entrati in orbita vicino alla Terra come Kosmos-300 e Kosmos-305.E tre sono rimasti sotto gli indici E-8-5 N 402, 405, 412 – senza entrare in orbita.Lo spazio è costoso. E se ci si ferma “perché non funziona”, sarà ancora più costoso: la probabilità di un incidente dopo una lunga pausa è sempre più alta.
A riprova di quanto detto, alcuni hanno compilato un elenco dei lanci totali del programma lunare; si può notare che è costellato di fallimenti con qualche successo significativo:

Per capire la situazione, Kaluga 24, insieme a degli specialisti, ha studiato i materiali dell’Istituto di ricerca spaziale dell’Accademia delle Scienze russa e ha raccolto le principali tappe del programma lunare nazionale: 1958 – Luna-1A, 1B, 1C – incidenti,
1959 – Luna-1, flyby a una distanza di circa 5.965 km dalla superficie della Luna ed entrata in orbita eliocentrica,
1959 – Luna-2A, emergenza;
1959 – Luna-2, la prima stazione sulla superficie della Luna,
1959 – Luna-3, le prime fotografie del lato estremo della Luna;,
1960 – Luna E3-1, emergenza,
1960 – Luna E3-2, emergenza,
1963 – Luna-4C,4D, emergenza,
1963 – Luna-4, guasto allo stadio superiore, flyby della Luna,
1964 – Luna E6-5, emergenza (non è partita),
1964 – Luna E6-6, emergenza (rimase in orbita terrestre),
1965 – Cosmos-60, emergenza,
1965 – Luna-5, emergenza (si è schiantata all’atterraggio),
1965 – Luna-6, guasto allo stadio superiore; flyby della Luna
1965 – Luna E6-8, guasto allo stadio superiore; il dispositivo è rimasto in orbita terrestre,
1965 – Zond-3, fotografia di successo della superficie lunare; mantenimento delle comunicazioni radio fino a una distanza di 153,5 milioni di km,
1965 – Luna-7, si schianta all’atterraggio,
1965 – Luna-8, si schianta all’atterraggio,
1966 – Luna-9, primo atterraggio morbido sulla Luna,
1966 – Cosmos-111, guasto allo stadio superiore; il dispositivo rimane in orbita terrestre,
1966 – Luna-10, ingresso nell’orbita lunare, primo satellite artificiale della Luna al mondo,
1966 – Luna-11, entra nell’orbita lunare,
1966 – Luna12, orbita intorno alla Luna e ne fotografa la superficie,
1966 – Luna-13, atterraggio morbido sulla Luna,
1966 – Cosmos-146, altro ingresso nell’orbita lunare,
1967 – Cosmos-154, guasto allo stadio superiore; il dispositivo rimane in orbita terrestre,
1967 – Cosmos-159, incidente allo stadio superiore,
1967 – Zond-4A, incidente,
1967 – Zond-4B, incidente,
1968 – E-6LS112, incidente,
1968 – Luna-14, incidente di comunicazione,
1968 – Zond-4, incidente,
1968 – Zond-5A, incidente,
1968 – Zond-5, i primi esseri viventi raggiungono l’orbita lunare e tornano sulla Terra,
1968 – Zond-6, incidente,
1969 – Zond-7A, incidente,
1969 – Lunokhod-0, incidente,
1969 – 7K-L1S, incidente,
1969 – Luna-15B, incidente,
1969 – 7K-L1S, incidente,
1969 – Luna-15, perdita di comunicazione durante l’atterraggio,
1969 – Zond-7, sorvolo della Luna e ritorno sulla Terra,
1969 – Cosmos-300, rimasto in orbita terrestre,
1969 – Cosmos-305, incidente,
1970 – Luna E-8-5 405, incidente,
1970 – Luna-16, atterraggio sulla Luna, campionamento e ritorno del suolo sulla Terra,
1970 – Zond-8, flyby della Luna e ritorno a terra,
1970 – Lunokhod-1, atterraggio del primo rover lunare sulla superficie della Luna,
1971 – Luna-18, si schianta durante l’atterraggio sulla Luna,
1971 – Luna-19, entrata in orbita lunare per la mappatura della Luna e l’esplorazione dello spazio lunare,
1971 – Luna-20, atterraggio sulla Luna e consegna del suolo alla Terra (già il secondo),
1972 – Lunokhod-2, atterraggio morbido, ha lavorato sulla superficie della Luna per 378 giorni,
1974 – Luna-22, ingresso nell’orbita lunare, mappatura,
1974 – Luna 23, si rovescia all’atterraggio,
1976 – Luna-24, atterraggio sulla Luna, terza consegna di suolo alla Terra.

Quindi, nello spirito della perseveranza, la Russia ha già in cantiere una Luna-26 per il 2027, con Luna-27 e 28+ in programma. Per coloro che sono di estrazione scientifica/ingegneristica/aeronautica e vogliono una spiegazione più dettagliata di ciò che è andato storto, è possibile tradurre automaticamente questo resoconto.

Il prossimo:

I lettori hanno già segnalato le continue preoccupazioni che la Russia possa essere in qualche modo “superata” nella lotta contro l’artiglieria. Ecco un nuovo video di un radar di controbatteria americano AN/TPQ-36 che viene distrutto dal Lancet russo sul fronte di Artyomovsk/Bakhmut:

Come ho già detto, ogni mese ne vengono distrutti almeno un paio, mentre di recente non è stato distrutto alcun parco zoologico russo. A corredo di ciò, c’è stato un interessante aggiornamento su come l’artiglieria russa sia riuscita a scacciare la sua controparte nella stessa regione:

Un’interessante nota di Procione da Kherson sul lavoro di contro-batteria: Il lavoro di successo dei nostri artiglieri ha costretto le Forze Armate dell’Ucraina a trascinare i sistemi di artiglieria di fabbricazione occidentale a una distanza inaccessibile alla nostra artiglieria. I cannoni semoventi a lungo raggio si trovano a una distanza di 33 km dalla LoC, lavorano principalmente lungo la prima linea e attaccano Artemovsk stessa. Nelle condizioni attuali, l’arma di controbatteria più efficace è il Lancet. Nelle condizioni attuali funziona fino a 40 km di distanza e le modifiche alla testata permettono di distruggere i cannoni semoventi leggermente corazzati. Gli attacchi con il supporto di veicoli corazzati si verificano ora nei pressi di Artemovsk ogni una settimana e mezza o due.
È la seconda volta, di recente, che leggo di artiglierie russe che mettono in difficoltà le loro controparti ucraine in modo da costringerle a ritirarsi a grande distanza, da dove:

sono molto meno precisi e possono usare solo proiettili specializzati, che sono molto meno numerosi

possono sparare solo sull’esatta linea di contatto, ma non possono più raggiungere i secondi/terzi reparti o le “retrovie” della Russia.

Ma come per ogni cosa, quando la Russia fa qualcosa di buono, viene dimenticata o nascosta sotto il tappeto con la logica di: “Beh, è quello che la Russia dovrebbe fare!”.

Per esempio, molti hanno gridato allo sviluppo da parte dell’Ucraina di una piccola “testa di ponte” nei campi cosacchi sulla riva sinistra del Dnieper, a Kherson. Ma ora la Russia è riuscita a ripulire completamente l’area e ad espellere completamente l’AFU, scoprendo nel frattempo enormi cache di materiale abbandonato:

Allo stesso modo, alcuni si concentrano su un irrilevante “attacco di droni” che è stato abbattuto e annullato, ma ignorano che gli attacchi russi hanno appena spazzato via un importante raduno di mercenari/consulenti stranieri a Chernigov:

Un rapporto:

Il 19 agosto 2023 è stata colpita una mostra di droni allestita nel Teatro Drammatico di Chernigov, in Ucraina, ma a quanto pare non si trattava solo di una mostra di droni. Proprio dall’altra parte della strada si trova la sede del GRU (Direzione principale dell’intelligence) e l’ufficio di ricevimento del Servizio di sicurezza dell’Ucraina. Lì si stava svolgendo una riunione degli ufficiali delle Forze per le operazioni speciali dell’AFU e dei rappresentanti della NATO provenienti dalla Polonia e dai Paesi baltici. Oggi si è tenuta una riunione congiunta con le forze armate polacche e lituane per proteggere il confine e contrastare eventuali attacchi da parte delle DRG provenienti dalla Bielorussia e dalla Russia. Lo stesso numero è arrivato da Lvov ieri pomeriggio a Chernihiv. Dei 23, 9 cadaveri sono stati trovati sotto le macerie, gli altri sono ancora considerati dispersi.Nel Drama Theater sono stati trovati uccisi più di 38 combattenti e comandanti dell’MTR delle Forze Armate dell’Ucraina. Durante il fallito lancio dei missili antiaerei del periodo sovietico, due civili sono stati uccisi. La scia del sistema di difesa aerea S-300 è visibile nel video. Le Forze armate ucraine hanno ammesso di aver tentato senza successo di abbattere un missile delle Forze armate della RF nella città. A quanto pare, l’attacco è stato un lancio di prova del missile Iskander-K in grado di trasportare una testata nucleare a bassa potenza. Il missile ha penetrato la difesa aerea ucraina senza alcuna difficoltà.
La stampa occidentale ha confermato indirettamente la plausibilità di questa notizia:

Infine, vi lascio con questo post pubblicato da un’intervista di un giornale filo-ucraino in Italia, “Il Messaggero”, con un “ex analista capo del SISDE (MI5 italiano), ora professore universitario a Roma”. Sintetizza molti degli elementi disparati, e a volte contraddittori, della recente sfera dell’informazione, articolando al contempo ciò che tutti “dietro le quinte” del teatro geopolitico globale hanno già saputo e iniziato a riconoscere:

Un bagno di realtà e un cambio di strategia, che passano attraverso le “punte” degli 007 ai media. Messaggi diretti da un lato alla Casa Bianca, dall’altro all’opinione pubblica occidentale. Così Alfredo Mantici, già capo degli analisti del SISDE e ora docente di Intelligence all’Unità di Roma, interpreta le ultime uscite della stampa americana sugli scenari di guerra in Ucraina, dalla sfiducia dei servizi segreti statunitensi nell’efficacia della controffensiva di Kiev al numero esorbitante (mezzo milione) di morti e feriti russi e ucraini, passando per la proposta del capo di Stato Maggiore della NATO di concedere all’Ucraina l’ingresso nell’Alleanza in cambio di un cessate il fuoco e dell’avvio di negoziati con Mosca. Il problema – dice Mantici – è che viviamo in una condizione di information warfare”. “E cosa significa? “Che da un lato l’informazione è funzionale a sostenere la causa dei buoni contro i cattivi, dall’altro è funzionale a sostenere la politica di chi sostiene i buoni contro i cattivi. Tuttavia, ogni giorno le strutture di intelligence e militari, e quindi anche i media, si confrontano con la realtà. Per oltre un anno e mezzo ci hanno detto che l’esercito russo era debole e che Putin era pazzo e finito, come se l’Ucraina avesse ormai raggiunto la vittoria. Ho già vinto una cena con un illustre storico che mi telefonò il giorno della marcia di Wagner e Prigozhin su Mosca per dire che Putin era al capolinea”. “E invece? “Invece è arrivato il momento di confrontarsi con la realtà, quella che l’intelligence conosce bene, e testare le reazioni dell’opinione pubblica a una verità che non è quella raccontata dalla propaganda.Il capo di stato maggiore del segretario generale della Nato qualche giorno fa ha detto quello che ha detto sull’avvio dei negoziati. La reazione con la smentita ufficiale è stata immediata, il poveretto è stato messo alle strette e costretto a una ritirata imbarazzante per un tecnico di quel livello. “Che cos’è la realtà? “Gli ucraini non vinceranno mai la guerra, non riconquisteranno mai tutti i territori perduti, e questa sensazione comincia a farsi strada non solo a livello tecnico, ma anche a livello politico. Poi si chiama l’amico giornalista che si presta a divulgare la cosiddetta “plausible deniability”, o negazione plausibile. Attraverso fonti anonime, l’opinione pubblica occidentale sta iniziando a digerire l’idea che questa guerra non finirà con la caduta di Putin o con la marcia trionfale dell’esercito ucraino sulla Piazza Rossa. “E come finirà? “Con uno scenario coreano, una guerra congelata lungo una striscia di cessate il fuoco, magari per 70-80 anni. Secondo me, Putin non voleva invadere tutta l’Ucraina, non avrebbe impiegato 160.000 uomini se per la sola città di Berlino Stalin ne aveva schierati 200.000 e per la Cecoslovacchia, nel 1968, 800.000. Putin voleva Donbass e Mariupol, collegamento terrestre con la Crimea. È ora di essere realisti. L’Ucraina non ha abbastanza uomini per riconquistare ciò che ha perso. Resistere fino all’ultimo uomo non ha senso, così come non ha senso attaccare Bakhmut, come ha sottolineato l’intelligence statunitense. Per attaccare, la proporzione non deve essere uguale ma, come tutti sanno, almeno 3 contro uno. La realtà di una guerra è come la gravidanza, oltre un certo limite non può essere nascosta”.


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Il vertice di Camp David di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud ha emesso tre documenti di fila, affermando di “opporsi a modifiche unilaterali allo status quo” di GuanCha

Il vertice di Camp David di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud ha emesso tre documenti di fila, affermando di “opporsi a modifiche unilaterali allo status quo”

Fonte: rete di osservatori

2023-08-19 09:09

[Testo/Observer Net Xiong Chaoran] Il 18 agosto, ora locale, a Camp David, la località presidenziale nel Maryland, USA, i leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud hanno tenuto un vertice.

Secondo Reuters, lo stesso giorno il presidente degli Stati Uniti Biden ha incontrato il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yue, che si ritiene abbia lo scopo di mostrare “unità” in risposta alla crescente forza della Cina e alla minaccia nucleare dal nord Corea. I tre non solo hanno convenuto di approfondire il rapporto a livello militare ed economico, ma hanno anche dichiarato che “la Cina ha comportamenti pericolosi e aggressivi” riferendosi alla questione del Mar Cinese Meridionale, e sono intervenuti anche per citare la questione dello Stretto di Taiwan.

Secondo il sito web della Casa Bianca, i leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud hanno anche pubblicato tre “documenti finali”, vale a dire “Spirit of Camp David” (Spirit of Camp David, di seguito denominato “Spirit”), “Camp David Principles” (Principi di Camp David, di seguito denominati “Principi”), “Impegno a consultare” (di seguito denominato “accordo”).

Tra questi, i tre hanno promesso di tenere almeno un vertice trilaterale ogni anno in futuro; hanno affermato di negoziare rapidamente tra loro in “tempi di crisi” e coordinare le risposte alle sfide regionali, provocazioni e minacce che colpiscono interessi comuni; hanno concordato tenere esercitazioni militari trilaterali ogni anno e nel 2023 condividere informazioni in tempo reale sui lanci di missili nordcoreani entro la fine dell’anno.

Reuters ha affermato che sebbene questi impegni politici non abbiano ancora raggiunto il livello di una formale “alleanza a tre”, sono una “mossa coraggiosa” per Giappone e Corea del Sud. Per ragioni storiche, il rapporto tra Giappone e Corea del Sud è stato a lungo in contrasto, persino ostile, fino ad ora hanno iniziato a “riconciliarsi”. A questo proposito, da un lato, gli Stati Uniti hanno elogiato fortemente Fumio Kishida e Yin Xiyue e, dall’altro, hanno anche fatto del loro meglio per garantire che l’attuale “progresso” nelle relazioni Giappone-Corea del Sud fosse irreversibile.

Il 18 agosto, ora locale, a Camp David, nel Maryland, il presidente degli Stati Uniti Biden ha tenuto colloqui con il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yue e ha tenuto una conferenza stampa congiunta. Immagine dalla foto IC

Secondo i rapporti, il vertice di Camp David non è solo la prima volta che i leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud tengono un vertice trilaterale indipendente in un’occasione diversa da un incontro internazionale, ma anche la prima volta che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha invitato un leader straniero a visitare Camp David da quando è entrato in carica nel 2021. I leader stranieri visitano Camp David per la prima volta. Secondo Reuters, da un lato, il vertice “ha beneficiato della ‘riconciliazione Giappone-Corea del Sud’ avviata da Yin Xiyue”, e dall’altro anche perché Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud condividevano punti di vista comuni sulla “minaccia” rappresentata da Cina, Russia e Corea del Nord.

Secondo il rapporto, la Cina è un importante partner commerciale di Giappone e Corea del Sud, ma i leader di Giappone e Corea del Sud che seguono gli Stati Uniti sulle questioni relative alla Cina sono “più severi” del previsto, il che probabilmente scatenerà una forte risposta da parte degli Stati Uniti. Cina.

Nel documento diffuso dopo i colloqui, i tre paesi hanno dichiarato così: “Per quanto riguarda le azioni pericolose e provocatorie che abbiamo visto di recente nel sostegno della Cina alle rivendicazioni marittime illegali nel Mar Cinese Meridionale, ci opponiamo fermamente a qualsiasi tentativo di modificare unilateralmente lo status quo nelle acque ‘Indo-Pacifiche’”. Reuters ha anche analizzato che questa è la “condanna comune più forte” emessa finora dai tre paesi contro la Cina sulla questione del Mar Cinese Meridionale.

Sulla questione dello Stretto di Taiwan sono intervenuti anche i tre Paesi che hanno affermato: “Riaffermiamo l’importanza della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan, che è un fattore indispensabile per la sicurezza e la prosperità della comunità internazionale. La questione di Taiwan non chiede una soluzione pacifica ai problemi delle due sponde dello Stretto”.

In una conferenza stampa congiunta tenutasi dopo i colloqui, Biden ha detto: “Difenderemo insieme il diritto internazionale” e ci opporremo alla “coercizione”. “Nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Cinese Meridionale continuano i tentativi unilaterali di cambiare lo status quo con la forza.” Biden non ha menzionato esplicitamente il nome della Cina qui. Inoltre, ha affermato che le minacce nucleari e missilistiche della Corea del Nord “diventano sempre più grandi”.

Il 18 agosto, ora locale, a Camp David, nel Maryland, il presidente degli Stati Uniti Biden ha tenuto colloqui con il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yue e ha tenuto una conferenza stampa congiunta. Immagine dalla foto IC

Riguardo a questo incontro, Biden ha affermato che il boscoso Camp David ha a lungo simboleggiato “il potere di nuovi inizi e nuove possibilità”. Ha definito questa una “nuova era” per Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud. “Questo è un momento molto ottimo incontro”.

Biden ha elogiato Kishida e Yoon per il loro “coraggio politico” nel cercare “la riconciliazione tra Giappone e Corea del Sud”. “È fondamentale che tutti noi ci impegniamo a consultarci rapidamente gli uni con gli altri per rispondere alle minacce a uno qualsiasi dei nostri paesi, indipendentemente da dove abbiano origine”, ha affermato Biden.Condividendo le informazioni e coordinando la nostra risposta quando c’è una crisi che colpisce uno qualsiasi dei nostri Paesi.”

L’agenzia di stampa Yonhap ha affermato in un’introduzione e interpretazione dei tre documenti dopo i colloqui che l'”Accordo” ha scritto che di fronte a sfide regionali, provocazioni e minacce che colpiscono gli interessi comuni e la sicurezza di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, i tre paesi negozieranno rapidamente e formuleranno un piano di risposta. Funzionari sudcoreani hanno affermato che si tratta di un impegno politico assunto dai leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud per rafforzare il meccanismo di consultazione delle tre nazioni, in modo che i tre paesi che affrontano minacce e sfide comuni nella regione possano comunicare strettamente e formulare contromisure in modo tempestivo. Tuttavia, non è in conflitto con gli accordi dell’Alleanza Corea del Sud-USA e dell’Alleanza USA-Giappone, né aggiunge nuovi diritti o obblighi ai sensi del diritto internazionale o del diritto interno.

Allo stesso tempo, lo “Spirito” includeva il piano di cooperazione globale tra i tre paesi, ei “Principi” includevano le linee guida per mantenere la cooperazione tra Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud in futuro. Nei due documenti, i leader dei tre paesi hanno concordato di tenere riunioni periodiche e istituire un nuovo meccanismo di consultazione per rafforzare ulteriormente la cooperazione trilaterale. In particolare, i leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud terranno almeno un vertice trilaterale ogni anno. Allo stesso tempo, anche i ministri degli Esteri, della Difesa, dell’Industria e della Sicurezza nazionale dei tre paesi si riuniranno almeno una volta all’anno e verrà istituito un nuovo meccanismo di incontro per i tre ministri delle finanze. Inoltre, le tre parti istituiranno un meccanismo di “dialogo indo-pacifico” a livello di assistente ministeriale e di direttore per coordinare le politiche nella “regione indo-pacifica” ed esplorare nuove aree di cooperazione.

Il sito web della Casa Bianca pubblica tre documenti post-conversazione

Riguardo a questa serie di azioni, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Sullivan ha insistito sul fatto che l’obiettivo degli Stati Uniti non è quello di creare una “versione Asia-Pacifico della NATO”, e ha affermato che l’alleanza trilaterale USA-Giappone-ROK non è ancora diventata un obiettivo chiaro.

Reuters ha citato un funzionario statunitense che ha affermato che “il persistente fardello storico” è uno dei motivi per cui Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud non stanno cercando di raggiungere un accordo trilaterale di mutua difesa.Le due stesse Coree del Sud non sono alleati formali.

Tuttavia, anche Kurt Campbell, il “think tank indo-pacifico” di Biden e coordinatore senior per la politica indo-pacifica presso il Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha affermato che il successo del vertice è stato dovuto alla leadership di Fumio Kishida e Yin Xiyue. è arrivato persino al punto di “a volte andare contro il parere dei propri consiglieri e personale”.

Reuters ha anche affermato che, considerando le imminenti elezioni presidenziali statunitensi del 2024, la Casa Bianca spera di rendere irreversibili gli attuali “progressi” nelle relazioni bilaterali istituzionalizzando la cooperazione convenzionale tra Giappone e Corea del Sud. Rispetto al democratico Biden, il suo potenziale avversario alle elezioni generali, l’ex presidente repubblicano Trump, ha espresso dubbi sul fatto che gli Stati Uniti possano beneficiare delle tradizionali alleanze militari ed economiche.

La Corea del Sud terrà le elezioni parlamentari il prossimo anno, mentre il Giappone ha tempo fino all’ottobre 2025. Alcuni analisti ritengono che l’ancora fragile “rapporto di riconciliazione” tra i due paesi sia ancora controverso tra gli elettori dei rispettivi paesi.

Per quanto riguarda le questioni relative al vertice tenuto dai leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, il 18 agosto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha risposto che di fronte alla situazione della sicurezza internazionale con eventi intrecciati, tutte le parti dovrebbero sostenere il concetto di una comunità di sicurezza e aderire a un approccio veramente multilaterale Dottrina e lavorare insieme per affrontare le varie sfide di sicurezza. Nessun paese dovrebbe cercare la propria sicurezza a scapito degli interessi di sicurezza di altri paesi e della pace e stabilità regionale.

“Chi sta creando conflitti e esacerbando le tensioni? La comunità internazionale ha la sua opinione. ” Wang Wenbin ha sottolineato che la regione Asia-Pacifico è un altopiano di sviluppo pacifico e un focolaio di sviluppo cooperativo, e non deve mai diventare un’arena per la competizione geopolitica . Il tentativo di mettere insieme varie cricche e cricche esclusive e portare scontri di campo e blocchi militari nell’Asia-Pacifico è impopolare e susciterà inevitabilmente vigilanza e opposizione da parte dei paesi della regione.

I TESTI

18 AGOSTO 2023
Principi di Camp David
CASA
SALA BRIEFING
DICHIARAZIONI E COMUNICATI
Noi, il Primo Ministro Kishida Fumio, il Presidente Yoon Suk Yeol e il Presidente Joseph R. Biden, Jr. affermiamo una visione condivisa per la nostra partnership e per l’Indo-Pacifico e oltre. Il nostro partenariato si basa su una base di valori condivisi, sul rispetto reciproco e su un impegno unificato per promuovere la prosperità dei nostri tre Paesi, della regione e del mondo intero. Nel procedere, intendiamo che la nostra partnership sia guidata da questi principi:

In quanto nazioni dell’Indo-Pacifico, il Giappone, la Repubblica di Corea (ROK) e gli Stati Uniti continueranno a promuovere un Indo-Pacifico libero e aperto, basato sul rispetto del diritto internazionale, delle norme condivise e dei valori comuni. Ci opponiamo fermamente a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione.

Lo scopo della nostra cooperazione trilaterale in materia di sicurezza è e rimarrà quello di promuovere e rafforzare la pace e la stabilità in tutta la regione.

Il nostro impegno nella regione comprende il nostro incrollabile sostegno alla centralità e all’unità dell’ASEAN e all’architettura regionale guidata dall’ASEAN. Ci impegniamo a collaborare strettamente con l’ASEAN per far progredire l’attuazione e l’integrazione delle prospettive dell’ASEAN sull’Indo-Pacifico.

Siamo determinati a lavorare a stretto contatto con i Paesi insulari del Pacifico e con il Forum delle Isole del Pacifico, in quanto istituzione leader della regione, in linea con la Via del Pacifico.

Siamo uniti nel nostro impegno per la completa denuclearizzazione della Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC), in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Restiamo impegnati a dialogare con la RPDC senza precondizioni. Cerchiamo di affrontare i diritti umani e le questioni umanitarie, compresa la risoluzione immediata delle questioni dei rapimenti, dei detenuti e dei prigionieri di guerra non rimpatriati. Sosteniamo una penisola coreana unificata, libera e in pace.

Riaffermiamo l’importanza della pace e della stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan come elemento indispensabile per la sicurezza e la prosperità della comunità internazionale. Riconoscendo che le nostre posizioni di base su Taiwan non cambiano, chiediamo una risoluzione pacifica delle questioni tra le due sponde dello Stretto.

In qualità di economie globali leader, cerchiamo di mantenere opportunità e prosperità per i nostri popoli, la regione e il mondo intero attraverso pratiche economiche aperte ed eque che promuovano la stabilità finanziaria e mercati finanziari ordinati e ben funzionanti.

La nostra cooperazione tecnologica contribuirà alla vitalità e al dinamismo dell’Indo-Pacifico, in quanto cooperiamo verso approcci tecnologici aperti, accessibili e sicuri, basati sulla fiducia reciproca e sul rispetto del diritto e degli standard internazionali pertinenti. Cercheremo di sviluppare pratiche e norme standard tra i nostri Paesi e all’interno degli organismi internazionali per guidare lo sviluppo, l’uso e il trasferimento di tecnologie critiche ed emergenti.

I nostri Paesi si impegnano a cooperare per affrontare i cambiamenti climatici e lavoreranno insieme per fornire leadership e soluzioni attraverso le istituzioni internazionali competenti. Ci impegniamo a rafforzare la nostra cooperazione in materia di sviluppo e di risposta umanitaria per superare collettivamente i problemi globali e le cause profonde dell’insicurezza.

Il nostro impegno a sostenere i principi della Carta delle Nazioni Unite, in particolare quelli relativi alla sovranità, all’integrità territoriale, alla risoluzione pacifica delle controversie e all’uso della forza, è incrollabile. Una minaccia a questi principi, in qualsiasi luogo, ne mina il rispetto ovunque. In qualità di attori statali responsabili, cerchiamo di promuovere lo Stato di diritto e di garantire la sicurezza regionale e internazionale affinché tutti possano prosperare.

I nostri Paesi si impegnano a rispettare gli impegni assunti in materia di non proliferazione in quanto parti del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Ribadiamo che il raggiungimento di un mondo senza armi nucleari è un obiettivo comune per la comunità internazionale e continuiamo a fare ogni sforzo per garantire che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate.

I nostri Paesi sono forti solo quanto le nostre società. Ribadiamo il nostro impegno a promuovere la piena e significativa partecipazione delle donne nelle nostre società e i diritti umani e la dignità di tutti.

Annunciamo questi principi condivisi all’inizio del nostro nuovo capitolo insieme, con la convinzione che continueranno a guidare la nostra partnership trilaterale per gli anni a venire.

Soprattutto, riconosciamo che siamo più forti, e che l’Indo-Pacifico è più forte, quando Giappone, Repubblica di Corea e Stati Uniti sono uniti.

18 AGOSTO 2023
FACT SHEET: Il vertice dei leader della Trilaterale a Camp David
A CASA
SALA BRIEFING
DICHIARAZIONI E COMUNICATI
Il Presidente Biden ha dato il benvenuto al Primo Ministro giapponese Kishida e al Presidente della Repubblica di Corea (ROK) Yoon in occasione di uno storico vertice trilaterale a Camp David, il primo vertice in assoluto tra i leader di Stati Uniti, Giappone e ROK e il primo vertice di leader stranieri a Camp David durante l’Amministrazione Biden-Harris. I leader hanno inaugurato insieme una nuova era di partnership trilaterale e hanno riaffermato che la cooperazione tra Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea favorisce la sicurezza e la prosperità dei nostri popoli, della regione indo-pacifica e del mondo.

Questa scheda informativa fornisce una panoramica delle intese affermate o riaffermate durante il Vertice, nonché dei piani per ulteriori attività di cooperazione tra Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea.

CONSULTAZIONI TRILATERALI AD ALTO LIVELLO

Il vertice di oggi è il quarto incontro tra il Presidente Biden, il Primo Ministro Kishida e il Presidente Yoon negli ultimi quattordici mesi. Il vertice è il culmine di numerosi incontri tra ministri degli Esteri, ministri della Difesa, consiglieri per la sicurezza nazionale e altri alti funzionari dei tre governi. Oggi i tre leader hanno riaffermato l’importanza cruciale di consultazioni regolari ad alto livello tra i nostri Paesi.

Impegno a consultarsi: I leader hanno annunciato l’impegno dei loro governi a consultarsi rapidamente per coordinare le risposte alle sfide regionali, alle provocazioni e alle minacce che riguardano i loro interessi e la loro sicurezza collettiva.
Riunione annuale dei leader: I leader hanno deciso di incontrarsi di persona almeno una volta all’anno per sfruttare lo slancio del vertice trilaterale di Camp David. In questi incontri, i leader condivideranno le valutazioni su una serie di questioni geostrategiche e discuteranno le opportunità di ulteriore cooperazione trilaterale.
Riunioni annuali tra ministri degli Esteri, ministri della Difesa, ministri del Commercio e dell’Industria e consiglieri per la sicurezza nazionale: Almeno una volta all’anno, i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea si incontreranno trilateralmente con le loro controparti; i ministri della Difesa si incontreranno trilateralmente con le loro controparti; i ministri del Commercio e dell’Industria si incontreranno trilateralmente con le loro controparti; i consiglieri per la sicurezza nazionale si incontreranno trilateralmente con le loro controparti. I tre Paesi si alterneranno nell’ospitare questi incontri annuali separati, tutti incentrati sul rafforzamento delle relazioni trilaterali in tutti i settori. I tre Paesi terranno anche il primo incontro trilaterale tra i ministri delle Finanze.
Dialogo trilaterale annuale indo-pacifico: I leader hanno deciso che i loro governi avvieranno un dialogo indo-pacifico annuale guidato dal Segretario aggiunto e incentrato sul coordinamento dell’attuazione dei rispettivi approcci indo-pacifici, con particolare attenzione al partenariato con i Paesi del Sud-est asiatico e delle isole del Pacifico.
RAFFORZARE LA COOPERAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA

Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea si sono impegnati a rafforzare ulteriormente la cooperazione trilaterale in materia di sicurezza, anche attraverso il potenziamento delle esercitazioni di difesa trilaterali, il miglioramento della condivisione delle informazioni e una maggiore cooperazione in materia di difesa dai missili balistici, anche contro la minaccia missilistica della Repubblica Democratica Popolare di Corea. I tre leader hanno affermato i progressi in corso per regolarizzare le esercitazioni difensive che contribuiscono a rafforzare le risposte trilaterali alle minacce della RPDC, riprendere le esercitazioni di interdizione marittima e antipirateria ed espandere la cooperazione trilaterale in altri settori, compresi i soccorsi in caso di calamità e l’assistenza umanitaria.

Piano pluriennale di esercitazioni trilaterali: Sulla base delle intese raggiunte dai ministri della Difesa nel giugno 2023 a Shangri-La, nonché delle recenti esercitazioni trilaterali di successo per la difesa dai missili balistici e la guerra antisommergibile, gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea hanno deciso un quadro trilaterale pluriennale che prevede esercitazioni trilaterali annuali, nominate e multidominio, che costituiranno un livello di cooperazione trilaterale di difesa senza precedenti.
Miglioramento della cooperazione sulla difesa dai missili balistici: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea hanno affermato la decisione di attivare un meccanismo di condivisione dei dati per lo scambio di dati di allarme missilistico in tempo reale che migliorerebbe l’individuazione e la valutazione dei lanci missilistici della Repubblica Democratica Popolare di Corea, sulla base dell’impegno assunto dai leader durante l’incontro di Phnom Penh dello scorso anno. I tre leader si sono impegnati a rendere operativo questo meccanismo entro la fine del 2023. Questa cooperazione rafforzerà la condivisione dei dati e consentirà a tutti e tre i Paesi di creare capacità potenziate che contribuiranno alla pace e alla stabilità nell’Indo-Pacifico.
Gruppo di lavoro trilaterale sulle attività informatiche della RPDC: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea hanno deciso di istituire un nuovo gruppo di lavoro trilaterale sulle attività informatiche della RPDC, composto dalle interagenzie di Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea, per coordinare gli sforzi volti a contrastare la generazione di entrate illecite e le attività informatiche dannose della RPDC. Il gruppo di lavoro si concentrerà sulla condivisione delle informazioni, sul coordinamento delle risposte all’uso, al furto e al riciclaggio di criptovalute da parte della RPDC, sull’uso dei lavoratori IT da parte della RPDC per la generazione di entrate attraverso l’impegno diplomatico e industriale e sull’interruzione delle operazioni di attori informatici malintenzionati.
Maggiore condivisione e coordinamento delle informazioni: I tre leader hanno affermato l’importanza di una maggiore condivisione delle informazioni, compreso l’utilizzo dell’accordo trilaterale di condivisione delle informazioni del 2014 tra Stati Uniti, Giappone e Repubblica Democratica Popolare di Corea e dei rispettivi accordi bilaterali sulla sicurezza generale delle informazioni militari. Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea sfrutteranno le linee di comunicazione sicure esistenti e continueranno a costruire e istituzionalizzare i rispettivi canali di comunicazione.
Contrastare la manipolazione delle informazioni straniere: Riconoscendo l’aumento della minaccia rappresentata dalla manipolazione delle informazioni straniere e dall’uso improprio della tecnologia di sorveglianza, gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea discuteranno i modi per coordinare gli sforzi per contrastare la disinformazione.
AMPLIARE LA COOPERAZIONE NELL’INDO-PACIFICO

In quanto nazioni dell’Indo-Pacifico, gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea si impegnano a intraprendere azioni per difendere la pace e la stabilità nella regione dell’Indo-Pacifico, insieme ai partner della regione. Essi mirano a rafforzare l’architettura regionale esistente, come l’ASEAN e il Forum delle isole del Pacifico, e a potenziare i rispettivi sforzi di capacity building e umanitari attraverso un maggiore coordinamento, anche attraverso il Partners in the Blue Pacific, il Partnership for Global Infrastructure and Investment e il Friends of the Mekong.

Cooperazione trilaterale per il finanziamento dello sviluppo: Le istituzioni finanziarie per lo sviluppo di Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea – la U.S. International Development Finance Corporation (DFC), la Japan Bank for International Cooperation (JBIC) e la Export-Import Bank of Korea (Korea Eximbank) – hanno firmato un memorandum d’intesa (MOU) per rafforzare la loro cooperazione al fine di mobilitare finanziamenti per infrastrutture di qualità, comprese le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), la neutralità delle emissioni di carbonio e catene di approvvigionamento resilienti nella regione indo-pacifica e oltre.
Quadro di cooperazione trilaterale per la sicurezza marittima: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea stanno istituendo un meccanismo marittimo trilaterale per sincronizzare lo sviluppo delle capacità dei partner nel Sud-est asiatico e nei Paesi insulari del Pacifico, con particolare attenzione allo sviluppo delle capacità della Guardia Costiera e delle forze dell’ordine marittime e alla consapevolezza del dominio marittimo.
Dialogo sulle politiche di sviluppo e risposta umanitaria: A ottobre, Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea organizzeranno un dialogo trilaterale di alto livello sulle politiche di sviluppo e di risposta umanitaria tra l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e i ministeri degli Esteri giapponese e della Repubblica di Corea. Ciò consentirà di avviare discussioni concrete per coordinare l’assistenza alle regioni di tutto il mondo, compresa l’area indo-pacifica. Per creare un ponte tra politica e pratica, l’USAID, l’Agenzia di cooperazione internazionale del Giappone (JICA) e l’Agenzia di cooperazione internazionale della Corea (KOICA) assisteranno in modo collaborativo lo sviluppo dei Paesi partner, concentrandosi sulle loro esigenze.
APPROFONDIMENTO DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA E TECNOLOGICA

Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea stanno rafforzando la cooperazione trilaterale per rafforzare l’ordine economico basato sulle regole, al fine di migliorare la sicurezza economica, promuovere una crescita economica sostenibile, resiliente e inclusiva ed espandere la prosperità in tutto l’Indo-Pacifico e nel mondo, basandosi sulla leadership condivisa nel Partenariato per la Sicurezza Mineraria, nel forum della Cooperazione Economica Asia-Pacifico e nei negoziati del Quadro Economico per la Prosperità dell’Indo-Pacifico. I leader si sono impegnati a concentrare gli sforzi per la cooperazione trilaterale, anche attraverso ulteriori dialoghi trilaterali sulla sicurezza economica, sui sistemi di allerta precoce per la resilienza della catena di approvvigionamento; a lavorare per coordinare i controlli sulle esportazioni di tecnologia avanzata; a far progredire i loro sforzi per sviluppare standard internazionali e per garantire un’intelligenza artificiale sicura e affidabile; a coordinare l’assistenza infrastrutturale nella regione indo-pacifica; a garantire la stabilità finanziaria e mercati finanziari ordinati e ben funzionanti; a espandere la collaborazione sui minerali critici e a lavorare insieme per affrontare la coercizione economica.

Iniziativa per l’emancipazione femminile: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea hanno sottolineato l’importanza dell’emancipazione economica delle donne e hanno deciso di continuare a sviluppare le iniziative trilaterali esistenti su questo tema attraverso programmi ed eventi volti a creare partenariati governativi, della società civile e aziendali che facciano progredire le donne e le ragazze nei settori STEM, le infrastrutture di assistenza domestica e la piena e significativa partecipazione delle donne in tutti i settori della società.
Pilota del sistema di allarme rapido della catena di approvvigionamento (EWS): Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea hanno deciso di lanciare un sistema di allarme rapido pilota, anche attraverso scambi periodici di informazioni tra le rispettive missioni in una serie selezionata di Paesi, a complemento di meccanismi di allarme rapido come quelli dell’Unione europea e di altri meccanismi che si stanno valutando nell’ambito del Quadro economico per la prosperità nell’Indo-Pacifico. Identificheranno i prodotti e i materiali prioritari, come i minerali critici e le batterie ricaricabili, e stabiliranno meccanismi per condividere rapidamente le informazioni sulle interruzioni delle catene di approvvigionamento cruciali.
Cooperazione trilaterale tra laboratori nazionali: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea promuoveranno una nuova cooperazione trilaterale tra i laboratori nazionali del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e i laboratori omologhi, sostenuta da un budget di almeno 6 milioni di dollari, per far progredire le conoscenze, rafforzare la collaborazione scientifica e promuovere l’innovazione a sostegno degli interessi comuni dei tre Paesi. Scienziati e innovatori dei tre Paesi porteranno avanti progetti di collaborazione su aree tecnologiche critiche ed emergenti prioritarie; le potenziali aree di cooperazione includono l’informatica avanzata, l’intelligenza artificiale, la ricerca sui materiali e la modellazione del clima e dei terremoti, tra le altre aree tecnologiche.
Rete di protezione delle tecnologie dirompenti: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea hanno deciso di espandere la collaborazione sulle misure di protezione della tecnologia, anche ampliando la condivisione delle informazioni e lo scambio delle migliori pratiche tra le agenzie di controllo dei tre Paesi. I tre Paesi creeranno connessioni tra i rappresentanti della Disruptive Technology Strike Force guidata dal Dipartimento di Giustizia e dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti e le controparti del Giappone e della Repubblica di Corea attraverso uno scambio inaugurale nel corso dell’anno.
Cooperazione sugli standard tecnologici: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea collaboreranno per promuovere principi comuni che garantiscano uno sviluppo e un’applicazione sicuri, protetti e responsabili delle tecnologie emergenti, compresa l’intelligenza artificiale. Il National Institute of Standards and Technology degli Stati Uniti cercherà di promuovere un quadro bilaterale con le controparti della Repubblica di Corea per integrare e rafforzare gli sforzi in corso con il Giappone in sedi multilaterali come l’International Standards Cooperation Network.
ESPANSIONE DELLA SALUTE GLOBALE E DELLA COOPERAZIONE TRA I POPOLI

Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea sono impegnati a proteggere la salute dei loro cittadini e a promuovere la sicurezza sanitaria globale nell’Indo-Pacifico attraverso la ricerca congiunta e la condivisione dei dati. Sono inoltre impegnati a rafforzare i legami interpersonali attraverso scambi educativi e professionali e sforzi di cooperazione che creino capacità tra i leader di domani per affrontare insieme le sfide globali.

Cooperazione per il Cancer Moonshot: Gli Stati Uniti, il Giappone e la Repubblica di Corea si sono impegnati a rafforzare la cooperazione trilaterale sul Cancer Moonshot statunitense, iniziando con un dialogo trilaterale sul cancro, guidato da rappresentanti di alto livello dei rispettivi istituti oncologici nazionali. Questa nuova iniziativa si basa su un incontro trilaterale di esperti di salute che l’allora vicepresidente Biden ha ospitato nel 2016. Il dialogo rafforzerebbe la cooperazione nella condivisione di dati epidemiologici, nella ricerca, nei programmi di scambio, negli studi clinici, nei regolamenti, nei partenariati accademici e nello sviluppo di terapie oncologiche all’avanguardia.
Vertice trilaterale USA-Regno Unito-Giappone sulla leadership giovanile globale: Il Dipartimento di Stato sponsorizzerà il primo vertice giovanile trilaterale annuale che si terrà a Busan all’inizio del 2024. Il vertice riunirà i giovani leader emergenti coreani, giapponesi e americani per sviluppare le capacità di leadership globale e condividere le prospettive sulle questioni globali che riguardano la partnership trilaterale.
Programma di formazione dei leader tecnologici trilaterali: La Johns Hopkins School of Advanced International Studies intende ospitare programmi di formazione su questioni di politica tecnologica per funzionari governativi a metà carriera di Stati Uniti, Giappone e Repubblica di Corea. Questo programma è stato concepito per formare la prossima generazione di leader in grado di prendere decisioni critiche su come governare le tecnologie del futuro.

18 AGOSTO 2023
Osservazioni del Presidente Biden, del Presidente della Repubblica di Corea Yoon Suk Yeol e del Primo Ministro giapponese Kishida Fumio prima della riunione trilaterale a Camp David, MD
CASA
SALA BRIEFING
DISCORSI E OSSERVAZIONI
Cabina Laurel
Camp David, Maryland

11:29

PRESIDENTE BIDEN: Benvenuti a tutti. Signor Primo Ministro, signor Presidente, è un onore darvi il benvenuto qui oggi per inaugurare il trilaterale di Camp David tra le nostre tre nazioni.

Non solo è il primo vertice che ospito a Camp David, ma è anche il primo vertice in assoluto tra i leader di Giappone, Repubblica di Corea e Stati Uniti.

E non riesco a pensare a un modo migliore – un modo migliore per segnare il nuovo capitolo della nostra cooperazione trilaterale che incontrarsi qui a Camp David.

Il rafforzamento dei legami tra le nostre democrazie è da tempo una mia priorità, fin da quando ero vicepresidente degli Stati Uniti. Questo perché i nostri Paesi sono più forti e il mondo è più sicuro – lasciatemelo ripetere – i nostri Paesi sono più forti e il mondo sarà più sicuro se restiamo uniti. E so che questa è una convinzione che tutti e tre condividiamo.

E voglio ringraziarvi entrambi per il coraggio politico che vi ha portato qui. Mi auguro che ci sia un grande incontro e che questi incontri continuino.

Vi siete fatti avanti per fare il duro lavoro – il lavoro, direi, storico – per forgiare una base da cui possiamo affrontare il futuro insieme – noi tre insieme.

Vi sono profondamente grato per la vostra leadership e non vedo l’ora di lavorare con entrambi per iniziare questa nuova era di cooperazione e rinnovare la nostra determinazione a servire come forza del bene nell’Indo-Pacifico e, francamente, anche nel mondo.

Presidente Yoon, mi permetta di passare la parola a lei.

Vorrei ringraziare il Presidente Biden per la sua calorosa ospitalità. Lo scorso luglio ci siamo incontrati a Vilnius per il Vertice della NATO e sono lieto di ritrovarci tra circa un mese.

In questo luogo simbolico di Camp David nella storia della diplomazia moderna, la nostra partnership trilaterale apre un nuovo capitolo, che a mio avviso ha un grande significato.

Il Presidente Roosevelt una volta ha dichiarato: La libertà non è un dato di fatto, ma qualcosa che si combatte per conquistarla. Per assicurarci che ciascuna delle nostre libertà non sia minacciata o danneggiata, le nostre tre nazioni devono rafforzare la loro solidarietà. Questa è anche la nostra promessa e il nostro mandato nei confronti delle generazioni future.

Il coordinamento rafforzato tra Corea, Stati Uniti e Giappone richiede basi istituzionali più solide. Inoltre, le sfide che minacciano la sicurezza regionale devono essere affrontate costruendo un impegno più forte a lavorare insieme.

La giornata di oggi sarà ricordata come una giornata storica in cui abbiamo stabilito una solida base istituzionale e impegni per la partnership trilaterale.

Oggi spero che esploreremo insieme i modi per elevare la cooperazione tra Corea, Stati Uniti e Giappone a un nuovo livello attraverso discussioni approfondite.

PRIMO MINISTRO KISHIDA: (Come interpretato) Innanzitutto, vorrei esprimere ancora una volta la mia solidarietà per i devastanti danni causati dagli incendi a Maui, nelle Hawaii. Per fornire soccorso alle popolazioni colpite, il Giappone ha deciso di offrire un sostegno complessivo di circa 2 milioni di dollari. Prego di cuore affinché le zone colpite si riprendano al più presto.

Vorrei inoltre esprimere ancora una volta le mie più sentite condoglianze per la scomparsa del padre del Presidente Yoon.

E ora vorrei ringraziare Joe per il suo gentile invito a Camp David, un luogo ricco di storia.

Presidente Yoon, da marzo di quest’anno la incontro quasi mensilmente. Ma il fatto che noi – i tre leader – ci siamo riuniti in questo modo, credo significhi che da oggi stiamo davvero facendo una nuova storia.

La comunità internazionale è a un punto di svolta nella storia. Per permettere al potenziale della nostra collaborazione strategica trilaterale di sbocciare e fiorire, desidero cogliere questo momento per elevare la sicurezza – il coordinamento tra Giappone, Repubblica di Corea e Stati Uniti – a nuovi livelli, rafforzando al contempo il coordinamento tra le alleanze Giappone-Stati Uniti e Stati Uniti-Regno Unito, mentre approfondiamo la nostra cooperazione nella risposta alla Corea del Nord.

Desidero espandere e approfondire la nostra collaborazione in vaste aree, tra cui la sicurezza economica, come la tecnologia critica ed emergente, la cooperazione e la resilienza delle catene di approvvigionamento.

Oggi, sono ansioso di impegnarmi in discussioni franche tra di noi per dichiarare una nuova area di partnership tra Giappone, Stati Uniti e Repubblica di Corea.

Esprimo ancora una volta la mia gratitudine per l’iniziativa di Joe. Grazie.

PRESIDENTE BIDEN: Grazie. Chiediamo gentilmente alla stampa di andarsene. Grazie per essere venuti.

https://m.guancha.cn/internation/2023_08_19_705566.shtml

https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2023/08/18/camp-david-principles/

https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2023/08/18/fact-sheet-the-trilateral-leaders-summit-at-camp-david/

https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2023/08/18/remarks-by-president-biden-president-yoon-suk-yeol-of-the-republic-of-korea-and-prime-minister-kishida-fumio-of-japan-before-trilateral-meeting-camp-david-md/

 

 

Erdogan il sopravvissuto, Di Henri J. Barkey

Un articolo zeppo di travisamenti e interpretazioni forate, ma utile a comprendere la postura statunitense nel Mediterraneo Orientale. Giuseppe Germinario

Erdogan il sopravvissuto
Washington ha bisogno di un nuovo approccio all’improvvisatore in capo della Turchia
Di Henri J. Barkey
Settembre/Ottobre 2023
Pubblicato il 17 agosto 2023

Clay Rodery

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A luglio, durante il vertice annuale della NATO a Vilnius, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha inaspettatamente approvato la richiesta di adesione della Svezia all’Alleanza. Questa mossa ha provocato un grado di celebrazione e di elogio che raramente i singoli leader ottengono durante un vertice. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha applaudito il “coraggio, la leadership e la diplomazia” di Erdogan. “Questo è un giorno storico”, ha dichiarato il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.

Vilnius è stata una pausa momentanea in uno schema di attrito scoraggiante tra la Turchia e l’Occidente, in particolare tra la Turchia e gli Stati Uniti. La partnership tra Stati Uniti e Turchia sembra ora essere la relazione più conflittuale all’interno dell’alleanza NATO. Il tentativo di Erdogan di bloccare l’adesione della Svezia è stato, in parte, una ritorsione contro Washington, che aveva punito la Turchia per aver acquistato un sistema di difesa aerea russo. Questa disputa, durata cinque anni, è diventata uno dei conflitti più gravi nella storia delle relazioni tra Stati Uniti e Turchia, esacerbando la sfiducia e provocando recriminazioni.

La Turchia sta soffrendo per problemi interni come l’aumento dell’inflazione, l’afflusso di rifugiati e le conseguenze di un terremoto devastante. Ma in vista delle elezioni presidenziali di maggio, Erdogan ha scelto di addossare i problemi del Paese – soprattutto l’incombente crisi economica – alla porta di Washington. Erdogan ha detto ai turchi che, votando per lui, avrebbero “dato una lezione agli Stati Uniti”.

I politici non devono sperare che l’eventuale sostegno di Erdogan all’adesione della Svezia alla NATO rappresenti un cambiamento di categoria. Il caos che ha portato a Vilnius e la retorica elettorale anti-occidentale di Erdogan rappresentano solo gli ultimi colpi di scena di una spirale di segnali contrastanti, errori di comunicazione e diffidenza che ha caratterizzato le relazioni tra Stati Uniti e Turchia per decenni. George Harris, ex alto funzionario del Dipartimento di Stato, ha pubblicato Troubled Alliance: Turkish-American Problems in Historical Perspective nel 1972; le dinamiche chiave che descrive esistono ancora. Ma a fronte di una marea di rapporti e proposte per riparare le relazioni, anche i legami un tempo stretti tra cittadini statunitensi e turchi hanno continuato a degradarsi costantemente. Anzi, si sono indeboliti a tal punto che un’altra grave crisi, reale o immaginaria, potrebbe infliggere alle relazioni tra Stati Uniti e Turchia un danno che nessuno dei due Paesi sarà in grado di annullare.

Gli Stati Uniti devono adottare un approccio completamente nuovo. Il reset deve iniziare con la comprensione di quanto sia cambiata la Turchia da quando Washington ha impostato la sua modalità predefinita di relazione con Ankara. Washington ha una percezione unica e difficile da eliminare: Ankara è un alleato “normale”. Ha operato in base a questo desiderio anche di fronte a prove contraddittorie, come se il suo comportamento potesse da solo trasformare questo sogno in realtà. Per lo più, Washington ha cercato di evitare le dispute pubbliche, fingendo che i disaccordi fossero banali; il recente rapporto tra Stati Uniti e Turchia può essere definito al meglio come transazionale. Ma l’ambiente di sicurezza intorno alla Turchia si è trasformato e con Erdogan gli Stati Uniti si trovano di fronte a un insolito leader populista-autoritario determinato a ricostruire l’identità turca e gli interessi nazionali per riflettere la propria visione.

Grazie alla sua importanza geopolitica e militare e al suo potenziale economico, la Turchia è un alleato prezioso. Washington non avrà altra scelta che lavorare a stretto contatto con Ankara per raggiungere i suoi obiettivi strategici globali. E per il prossimo futuro, Washington continuerà a doversi confrontare con un leader esigente, spavaldo e imprevedibile come Erdogan, disposto a generare selettivamente crisi che rischiano di danneggiare l’essenza delle relazioni tra i due Paesi.

Eppure c’è un’opportunità unica di cambiare radicalmente le relazioni. Questa opportunità si è aperta per la prima volta quando la partnership è stata messa a dura prova dall’acquisto da parte della Turchia di un sistema di difesa aerea russo. Nel corso di questa vicenda, i leader statunitensi hanno rotto il loro consolidato modello di impegno, punendo in modo inusuale il governo turco per un atto che avrebbe minato la NATO.

Ora è il momento per Washington di fare di questa eccezione una regola. Quando Erdogan incalza l’Occidente, Washington ha sempre temuto che una risposta forte legittimasse le sue provocazioni. Si tratta di un grave errore di valutazione. Gli Stati Uniti devono invece rispondere all’imprevedibilità provocatoria di Erdogan con coerenza e fermezza.

Paradossalmente, questo approccio – e non una vuota pretesa di normalità – è la strada per una relazione ordinaria e affidabile con un alleato indispensabile. Washington si trova ora in una posizione particolarmente favorevole per plasmare a proprio vantaggio il futuro a lungo termine delle relazioni, perché le improvvisazioni sempre più incoerenti di Erdogan e la sua cattiva gestione dell’economia turca sembrano averlo finalmente messo all’angolo.

CAMBIO DI SCENA
Erdogan non è un leader qualunque. Durante i suoi 20 anni di potere, ha trasformato la Turchia, trasfigurando il suo sistema politico per diventare quasi l’unico decisore, sventrando lo Stato di diritto e prendendo il controllo del sistema giudiziario, dei servizi di sicurezza, della banca centrale e della stampa. È facile confondere la Turchia con Erdogan e ridurre il rapporto con il Paese alla valutazione delle sue motivazioni; lo stesso Erdogan lo incoraggia. Ma non si può sviluppare una strategia efficace nei confronti della Turchia senza comprendere il contesto storico più ampio.

Le difficoltà degli Stati Uniti con Ankara derivano, in primo luogo, dalla natura mutevole del contesto di sicurezza della Turchia. Dalla fine della Guerra Fredda, l’ascesa di nuove potenze e la crescente instabilità in Medio Oriente hanno coinciso con il declino del potere statale a livello globale e con l’emergere di problemi complessi come il forte aumento delle migrazioni e degli spostamenti, la crescita del commercio globale di droga e i cambiamenti nelle tecnologie utilizzate in guerra.

La fine della Guerra Fredda ha anche allentato le camicie di forza comportamentali che limitavano la condotta di molti Stati, compresa la Turchia. Durante il suo mandato 1989-93, il presidente Turgut Ozal ha intrapreso riforme economiche che hanno aiutato la Turchia a emergere come potente attore internazionale. Ozal vedeva la Turchia come un ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Rappresentando un Paese a maggioranza musulmana ma anche un amico convinto degli Stati Uniti, ha rafforzato i legami economici e politici della Turchia con una serie di alleati in Europa, Medio Oriente e Asia centrale.

Per gli Stati Uniti, la Turchia non è mai stata solo un altro alleato della NATO. La Turchia ha anche fornito piattaforme per proiettare il potere degli Stati Uniti in Medio Oriente, in particolare all’indomani della prima guerra del Golfo; la Turchia è stata un baluardo di stabilità in una regione sempre più fragile. Ma sono stati gli Stati Uniti a sconvolgere per primi questo equilibrio. Dopo gli attentati dell’11 settembre, gli interventi del presidente americano George W. Bush in Medio Oriente hanno scatenato una catena di eventi profondamente destabilizzanti nelle vicinanze della Turchia.

Gli Stati Uniti non intendevano mettere in crisi le loro relazioni con la Turchia. Ma le sue avventure in Medio Oriente hanno avuto immense conseguenze indesiderate. L’Iran, il principale Stato revisionista della regione, si è sentito minacciato dalle forze armate statunitensi poste su due dei suoi confini e ha cercato di difendersi alzando la posta in gioco; l’Iraq è diventato uno Stato federale che includeva un governo regionale del Kurdistan dotato di poteri. I curdi turchi furono incoraggiati e ispirati da questo sviluppo.

La fine della Guerra Fredda ha allentato la camicia di forza che vincolava la Turchia.
E come risultato indiretto dell’intervento statunitense, nel decennio successivo la Primavera araba ha sconvolto la regione. Inizialmente, Erdogan immaginava che la Primavera araba gli avrebbe offerto l’opportunità di aiutare i leader ispirati dai Fratelli Musulmani, come l’egiziano Mohamed Morsi, a prendere il potere al posto di quelli filoamericani. Nel 2013, però, a Istanbul sono scoppiate proteste diffuse, che Erdogan ha visto come una Primavera araba locale, progettata per rovesciarlo.

L’ascesa dello Stato Islamico, noto anche come ISIS, ha portato le tensioni ad un punto di ebollizione. Dopo che l’ISIS ha rapidamente conquistato vaste porzioni di territorio in Iraq e Siria, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama voleva che Erdogan permettesse agli Stati Uniti di utilizzare le basi aeree turche e che la Turchia difendesse meglio il suo confine meridionale in modo che i jihadisti non potessero attraversarlo per unirsi all’ISIS. Ma Erdogan dava per scontato che il presidente siriano Bashar al-Assad sarebbe stato rovesciato. Lo sperava addirittura: Assad, secondo lui, potrebbe essere sostituito da un leader islamista che la Turchia potrebbe influenzare. Ankara non ha quindi dato seguito alle richieste di Obama.

In preda alla disperazione e in assenza di assistenza turca, Washington ha invece collaborato con le Forze Democratiche Siriane, le cui unità curde dominanti avevano stretti legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, un’organizzazione che sia Ankara che Washington considerano un gruppo terroristico. Washington ha fatto un ulteriore passo avanti, inviando truppe statunitensi per addestrare e assistere i curdi siriani. La questione curda è il tallone d’Achille della Turchia; qualsiasi sforzo degli Stati Uniti per aiutare i curdi, come Washington ha fatto per primo in Iraq, è percepito da Ankara come una grave minaccia strategica. Temendo un effetto dimostrativo che avrebbe incoraggiato i cittadini curdi in Turchia, Ankara ha invaso il nord della Siria per tre volte, nonostante le obiezioni degli Stati Uniti, sloggiando l’SDF dalle regioni vicine al confine turco e cacciando i curdi che vivevano lì.

Con un costo enorme in termini di vite umane, l’SDF è riuscito a sottomettere l’ISIS. Ma sia la Turchia che gli Stati Uniti sono rimasti profondamente scontenti: secondo la Turchia, gli Stati Uniti hanno scelto di allearsi con i terroristi nazionalisti curdi e sembravano addirittura sostenere l’autonomia curda ovunque. A Washington sembrava che Ankara appoggiasse tacitamente i terroristi jihadisti.

Nel frattempo, mentre l’arco di instabilità si estendeva, si è diffusa la percezione che gli Stati Uniti si stessero muovendo e allontanando, preparandosi a un pivot verso l’Asia e lasciandosi alle spalle il Medio Oriente. In questo vuoto, Erdogan ha fatto delle mosse coraggiose per cambiare la natura stessa del ruolo della Turchia nell’ordine internazionale.

INVERSIONE DI RUOLO
Dal 2003 fino a circa il 2009, durante i suoi primi anni da primo ministro, sembrava che Erdogan avrebbe emulato Ozal. All’estero, Erdogan ha cercato di rafforzare il peso di Ankara e di aprire le porte liberalizzando l’economia e la politica turca. Si è anche concentrato sul processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, che era in fase di stallo.

Queste aperture diplomatiche sono state ben accolte dal popolo turco, dai suoi vicini e dai suoi alleati tradizionali. Nel 2004, il consigliere di Erdogan per la politica estera ha descritto il principio organizzativo della politica estera turca come “zero problemi con i vicini”, segnalando che il nuovo governo turco avrebbe cercato di porre fine ai conflitti che avevano inficiato le sue relazioni estere. Si trattava di un tentativo di costruire un soft power.

In fondo, però, “zero problemi con i vicini” aveva più a che fare con il consolidamento della posizione di Erdogan in patria. Erdogan è salito al potere all’interno di un movimento islamista che si è sempre sentito insicuro e perseguitato. Anche dopo essere diventato primo ministro, ha dovuto difendere la sua legittimità contro una coalizione militare-burocratica a lungo dominante che nutriva profondi sospetti sulle sue radici islamiste.

Erdogan ha sperimentato in prima persona la veemenza di questo antagonismo dell’establishment quando l’esercito turco ha costretto il suo partito politico, il Partito del Benessere, a lasciare il potere con un memorandum pubblico nel 1997. All’epoca Erdogan era sindaco di Istanbul. L’anno successivo, le autorità condannarono Erdogan a dieci mesi di carcere per aver letto pubblicamente una poesia di uno degli autori più venerati della Turchia.

Inizialmente, Erdogan cercò di annullare il governo arbitrario sotto il quale aveva sofferto. Cercare il sostegno dell’estero era un modo per rafforzare la sua posizione contro i militari, che contavano su un’immensa influenza dietro le quinte per governare la Turchia. Ma la coalizione militare-burocratica ha esagerato nelle elezioni presidenziali del 2007. Erdogan ha indetto elezioni parlamentari lampo e la sua vittoria ha segnato la fine dell’influenza dei militari.

Uno striscione di Erdogan a Istanbul, maggio 2023
Murad Sezer / Reuters
In seguito, ha preso sistematicamente il controllo di tutte le principali istituzioni turche: non solo il parlamento e la magistratura, ma anche la stampa e le università pubbliche. Secondo lui, Erdogan è la Turchia e la Turchia è Erdogan. Si è alienato molti dei suoi alleati interni, compresi alcuni che avevano contribuito a portarlo al potere. Lo Stato di diritto è stato sventrato, la “giustizia” arbitraria è diventata il suo marchio di fabbrica e l’arte della politica in Turchia si è ridotta a guardare Erdogan.

Oltre a ristrutturare le istituzioni del Paese, Erdogan ha cercato di rimodellare l’identità della Turchia, ribaltando la visione del fondatore della Repubblica turca, Kemal Ataturk. Ataturk aveva cercato di costruire uno Stato laico, nazionalista, elitario e in qualche modo autarchico, alleato con il mondo industrializzato. La nuova concezione dell’identità turca di Erdogan coniuga il nazionalismo turco con l’Islam. Le due cose sono diventate inseparabili, parte di una tradizione storica continua che risale oltre l’Impero Ottomano fino alla fondazione dell’Islam. Questo legame ha permesso a Erdogan di costruire costrutti religiosi per decisioni controverse. Per giustificare l’obbligo per la banca centrale turca di abbassare i tassi di interesse per combattere l’inflazione, ha fatto riferimento all’opposizione della sua religione all’usura.

Sulla scena internazionale, la visione di Erdogan è espansiva e revisionista; ha cercato di posizionarsi sia come kingmaker che come disgregatore. Ha iniziato ad esprimere questo desiderio quando, nel 2013, ha affermato che “il mondo è più grande di cinque”, riferendosi ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Da allora ha ripetuto questa affermazione in quasi tutte le riunioni delle Nazioni Unite. Non è una critica irragionevole all’ordine internazionale del secondo dopoguerra. Erdogan ha anche ritenuto che la Turchia meriti un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza.

Allo stesso tempo, Erdogan presenta la Turchia, intesa come civiltà, come una delle principali forze “anti-status quo” e anti-imperialiste. Egli offre una visione in cui il dominio occidentale e il solo dominio occidentale rappresentano la minaccia imperialista contemporanea. La sua concezione dell’imperialismo è quindi limitata: non discute l’imperialismo cinese o russo o quello dell’Impero Ottomano. Nonostante la sua antipatia per Ataturk, Erdogan ha reclutato la memoria di Ataturk per questa causa. Lo studioso di Turchia Nicholas Danforth ha catalogato il modo in cui Erdogan ribattezza Ataturk come “un eroe anti-imperialista per i musulmani e per l’intero Terzo Mondo” e la presidenza di Ataturk come “il primo grande colpo” di un’offensiva anti-imperialista che Erdogan intende vincere.

GIOCO IN CASA
All’inizio del 2010, Erdogan ha abbandonato la sua politica di “zero problemi con i vicini” per adottare un approccio più apertamente conflittuale nei confronti di Paesi come l’Egitto, Israele e gli Emirati Arabi Uniti. Alla fine ha sposato la dottrina della “Patria Blu”, in precedenza una frangia ultranazionalista che rivendicava l’autorità turca su una parte significativa del Mediterraneo orientale. Per mettere in pratica questa dottrina, nel 2019 Erdogan ha firmato un accordo marittimo con la Libia per affermare la supremazia su una fascia del Mar Mediterraneo, impedendo ad altri Paesi di costruire oleodotti e sfruttare le risorse del fondo marino.

Cipro, Grecia, Stati Uniti, Lega Araba e Unione Europea hanno condannato l’accordo con la Libia. Questo tipo di comportamento provocatorio e imprevedibile sembra aver isolato Erdogan, lasciandolo senza amici nella sua regione, ad eccezione del Qatar. Per mobilitarsi contro la Turchia, nel 2021 Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Giordania e Autorità Palestinese hanno creato il Forum del gas del Mediterraneo orientale per sfruttare e commercializzare il gas trovato nelle loro acque.

Erdogan si diverte a sfiorare vere e proprie crisi diplomatiche. Ma sa anche essere pragmatico: per lui tenere gli altri Paesi in bilico è una strategia, parte del suo modo di proiettare il potere. È un massimalista, vuole dimostrare la volontà di attenersi ai suoi obiettivi con più fermezza di quanto facciano i suoi avversari e di spingere le questioni al limite. In un esempio particolarmente drammatico, avvenuto nell’aprile di quest’anno, la Turchia ha bombardato un aeroporto nel Kurdistan iracheno in quello che sembrava essere un tentativo di assassinare Mazloum Abdi, il comandante delle forze curde siriane. Le bombe hanno mancato la pista, probabilmente in modo intenzionale. Ma se avessero colpito il bersaglio, avrebbero potuto uccidere anche diversi membri dell’esercito americano che scortavano il comandante.

Non di rado, i proiettili turchi atterrano ancora scomodamente vicino alle forze americane di stanza nel nord della Siria. L’azione di contrasto ha un senso di potere e Erdogan è in parte motivato dal desiderio di vendetta. Le democrazie occidentali hanno spesso criticato il suo governo, in particolare la sua tendenza a incarcerare gli oppositori. E il suo disagio nei confronti del potere degli Stati Uniti è evidente da tempo. Erdogan ha segnalato che la Turchia cerca una “autonomia strategica” dagli Stati Uniti. Nel 2016, il governo di Erdogan ha imprigionato Andrew Brunson, un pastore americano residente a Smirne, con accuse false. Un anno dopo sono stati arrestati tre cittadini turchi che lavoravano presso i consolati statunitensi. In entrambi i casi, Erdogan si è impegnato nello stile di diplomazia degli ostaggi che Iran e Russia hanno perfezionato.

Ma la politica di Erdogan è pensata tanto per il consumo interno quanto per un pubblico internazionale. La politologa Marianne Kneuer ha sostenuto che “inimicarsi le democrazie liberali ‘occidentali'” è una “strategia di legittimazione” interna di crescente successo per molti leader autoritari. Ogni governante autoritario che sale al potere demolendo un establishment radicato teme sempre che qualcun altro possa fare lo stesso con lui, ed Erdogan non fa eccezione. Non importa quanto gli altri Paesi si oppongano a lui, egli teme soprattutto i propri cittadini. Nel 2013, Istanbul è stata scossa da grandi manifestazioni contro il suo governo; Erdogan temeva che un movimento simile alla Primavera araba avrebbe travolto la Turchia, spazzandolo via.

Poi, nel luglio 2016, Erdogan ha affrontato un tentativo di colpo di Stato, sostenendo che fosse stato orchestrato da Fethullah Gulen, un ex stretto alleato e leader religioso con sede negli Stati Uniti. Dopo il fallimento del colpo di Stato, Erdogan lo ha definito “un dono di Dio”, usandolo come pretesto per scatenare un’ondata di epurazioni senza precedenti nell’esercito, nelle università e in altre istituzioni turche. Molti di questi oppositori percepiti non sostenevano nemmeno Gulen. Sempre sospettoso degli Stati Uniti, Erdogan ha accusato Washington di aver coordinato il colpo di Stato.

CARTA SELVAGGIA
Erdogan si è abituato a lanciare insulti contro i suoi avversari interni senza conseguenze e tende a presumere che la stessa mancanza di ripercussioni valga anche all’estero. Nel 2017, ha suggerito che i leader dei Paesi Bassi erano tutti “residui nazisti”; nel 2020, ha detto che il presidente francese Emmanuel Macron aveva bisogno di “cure mentali”. Accusando il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis di aver cercato di bloccare un accordo di armi turche con gli Stati Uniti, Erdogan ha detto che Mitsotakis “non esiste più per me” e che avrebbe rifiutato di incontrarlo.

Gli Stati Uniti, tuttavia, hanno un loro presupposto incrollabile e irragionevole: che Ankara sia un alleato genuino. I leader americani non sono abituati a considerare la Turchia come un antagonista e, date le altre complessità della regione, non vogliono immaginare che possa esserlo, anche quando dovrebbero. Già nel 1993, un diplomatico americano di lungo corso ha riconosciuto che “l’inclinazione degli Stati Uniti verso la Turchia si è istituzionalizzata nel corso degli anni” e “i turchi hanno sfruttato i loro vantaggi”.

L’approccio degli Stati Uniti alla Turchia sotto Erdogan ha avuto due temi contrastanti. In uno, la Turchia è un alleato estremamente importante. Nell’altro, il leader turco è un jolly e non vale la pena prenderlo troppo sul serio. (Un esempio: nonostante Erdogan abbia giurato di non incontrare mai più il primo ministro greco, i due si sono incontrati amichevolmente al vertice di Vilnius). In linea di massima, Washington ha guardato dall’altra parte quando Erdogan si è intromesso in Siria e ha minato la lotta contro l’ISIS. Pochi lo ammetteranno, ma un certo grado di denigrazione si cela sotto la superficie della strategia statunitense nei confronti della Turchia, un bigottismo morbido di basse aspettative.

Fino a poco tempo fa, questo approccio un po’ paternalistico faceva il gioco di Erdogan. Anche se derideva il potere degli Stati Uniti, Erdogan poteva dare per scontato il sostegno degli Stati Uniti e della NATO. L’appartenenza alla NATO fornisce alla Turchia armi, sostegno diplomatico e un prestigio che nessun altro Paese mediorientale può vantare. Alla fine del 2010, tuttavia, le relazioni tra Stati Uniti e Turchia si sono rapidamente avviate verso una nuova crisi.

UN ERRORE COSTOSO
Come molti altri alleati degli Stati Uniti, la Turchia ha fatto la fila per acquistare l’F-35, il caccia stealth di quinta generazione degli Stati Uniti. Sperava di acquistarne fino a 100 e, in una dimostrazione di fiducia nei confronti della Turchia e delle sue industrie, Washington ha elaborato un accordo favorevole: Le industrie aeronautiche turche avrebbero dovuto produrre una serie di parti dell’F-35, tra cui le fusoliere, con potenziali ricavi da esportazione dell’ordine di miliardi di dollari. Gli Stati Uniti avrebbero inoltre permesso alla Turchia di fungere da centro di manutenzione per altri clienti dell’F-35. Ma l’accordo è andato in fumo quando, nel 2017, Erdogan ha mediato con il presidente russo Vladimir Putin un accordo da 2,5 miliardi di dollari per l’acquisto del sistema missilistico mobile terra-aria S-400 della Russia.

In tutti i modi possibili, gli Stati Uniti hanno avvertito la Turchia che se avesse proceduto con l’acquisto dalla Russia, sarebbe stata completamente estromessa dal programma F-35, perché l’integrazione del sistema missilistico S-400 nei sistemi NATO avrebbe compromesso le tecnologie sensibili dell’F-35. Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione che chiedeva sanzioni contro la Turchia se avesse portato a termine l’accordo sugli armamenti con la Russia.

Anche considerando il passato di Erdogan, la sua insistenza sull’accordo S-400 ha stupito gli osservatori. Ha giustificato la sua mossa come è solito fare, ribaltando la situazione e sostenendo che gli Stati Uniti avevano ingiustamente rifiutato di vendere alla Turchia il loro sistema missilistico equivalente, il Patriot. Non sembrava credere che Washington avrebbe dato seguito alle sue minacce. Ma si sbagliava. Nel 2019, dopo l’arrivo degli S-400, gli Stati Uniti hanno espulso senza troppi complimenti la Turchia dal programma F-35 e hanno imposto sanzioni.

Gli S-400 rimangono in deposito perché il governo turco sa che il loro dispiegamento romperebbe le relazioni con Washington. Oltre a sprecare 2,5 miliardi di dollari per il sistema missilistico, la Turchia ha perso gli esborsi iniziali per l’acquisto degli F-35 e i futuri proventi delle esportazioni, e la sua aeronautica sarà privata di un caccia all’avanguardia disponibile per altri 17 Paesi, tra cui la vicina Grecia, Israele e Romania.

Erdogan vuole posizionarsi sia come kingmaker che come disgregatore.
Di fronte alla prospettiva che le sue forze aeree perdano il loro vantaggio, la Turchia ha chiesto di acquistare dagli Stati Uniti nuovi F-16 e kit di aggiornamento per la flotta esistente. L’amministrazione Biden sostiene questo passo. Ma, a dimostrazione della diminuzione del peso della Turchia a Washington, questa richiesta ha incontrato l’opposizione bipartisan del Congresso degli Stati Uniti dopo che la Turchia ha preso tempo sull’adesione della Svezia alla NATO e ha ripetutamente effettuato sorvoli militari delle isole greche nel Mar Egeo. Il Congresso è emerso come fulcro dell’opposizione alla Turchia; è probabile che ponga ulteriori condizioni sulle modalità di utilizzo degli F-16 prima di finalizzare qualsiasi vendita.

Per Washington, l’acquisto dell’S-400 da parte di Erdogan ha oltrepassato una linea di demarcazione; ha influito sulle preoccupazioni di Washington in materia di sicurezza. Le minacce di Erdogan di bloccare l’adesione della Svezia alla NATO sono state, in parte, un tentativo di vendetta. Al vertice di Vilnius, Erdogan ha inaspettatamente fatto marcia indietro all’ultimo momento, acconsentendo all’adesione della Svezia.

Erdogan forse sperava che la sua manovra di disturbo avrebbe aumentato la percezione di lui come un prezioso mediatore di potere. Dopo Vilnius, ha raccontato che le sue abili manovre hanno costretto l’Occidente a fare delle concessioni. Ma queste concessioni erano piccole e, alla fine, il risultato di Vilnius ha rappresentato una sconfitta. Nonostante l’attenzione che ha suscitato, le grandi manovre di Erdogan hanno alienato i suoi alleati. Creare un polverone internazionale su una questione vitale come l’adesione della Svezia alla NATO e in un momento così cruciale per la NATO lo ha fatto apparire più piccolo.

NON GIOCARE DI NUOVO, ZIO SAM
Gli Stati Uniti hanno temuto di affrontare la Turchia in parte perché non volevano aggravare una spaccatura. Erdogan ha intessuto una ricca narrativa cospiratoria in Turchia, secondo la quale Washington sarebbe gelosa dei suoi risultati in politica estera, determinata a minare la morale turca sostenendo i gruppi LGBTQ e persino intenzionata a rovesciare il governo turco. In un sondaggio del 2019, oltre l’80% degli intervistati turchi ha indicato gli Stati Uniti come la principale minaccia per la Turchia. Ciò non sorprende, dato il ritmo incalzante della retorica antiamericana che proviene dagli ambienti governativi turchi e dai loro alleati nei media: all’inizio di quest’anno, l’allora ministro degli Interni turco Suleyman Soylu ha dichiarato che qualsiasi aspirante leader turco che persegua politiche filoamericane è un “traditore”.

Ma la reticenza di Washington ha permesso che tra la Turchia e gli Stati Uniti si sviluppasse un profondo divario cognitivo e un deficit di fiducia. Può essere difficile da comprendere per gli americani, ma Ankara li percepisce come costantemente ostili. Indipendentemente dai passi compiuti dagli Stati Uniti, queste mosse tendono a essere fraintese o deliberatamente travisate dalla Turchia.

Nel frattempo, la fiducia degli americani nella Turchia è ai minimi storici. Nessun funzionario americano rischierebbe di riammettere la Turchia nel programma F-35 solo sulla base della promessa che gli S-400 non saranno mai rimossi dal deposito. In effetti, gli Stati Uniti hanno iniziato a investire in nuove infrastrutture navali e aeree in Grecia, tra cui il porto di Alexandroupoli, che sarà presto completato, per evitare la dipendenza dalla Turchia.

Più in generale, è difficile sopravvalutare quanto Erdogan abbia danneggiato l’affidabilità delle istituzioni turche. Le sue statistiche sono inaffidabili, la sua banca centrale è inaffidabile e le decisioni del suo sistema giudiziario sono imperscrutabili. La mancanza di credibilità del sistema giudiziario turco si ripercuote in particolare sulle relazioni con i suoi alleati, che sono sommersi da richieste di estradizione spesso inverosimili per gli oppositori di Erdogan.

Erdogan teme soprattutto i propri cittadini.
Quando Ankara si lamenta che la Svezia o gli Stati Uniti non rimpatriano i “terroristi”, il problema diventa non solo politico ma anche legale. Gli alleati non possono fidarsi dell’equità o della veridicità delle incriminazioni turche o del fatto che le persone estradate in Turchia siano trattate in modo equo. I funzionari occidentali guardano con preoccupazione a casi come quello di Osman Kavala, un filantropo, e Selahattin Demirtas, ex capo del filo-curdo Partito Democratico del Popolo. I due sono stati sottoposti a processi farsa in Turchia, dove sono tuttora detenuti nonostante le sentenze vincolanti della Corte europea dei diritti dell’uomo che ne hanno disposto il rilascio.

La debolezza dello Stato di diritto turco si ripercuote anche sulle relazioni economiche. La guida del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per il clima degli investimenti del 2022 indica le “preoccupazioni sull’impegno del governo [turco] nei confronti dello Stato di diritto” come la causa del basso livello storico di investimenti diretti esteri. Sono state avviate decine di migliaia di indagini contro persone che “insultano” il presidente, e coloro che sono indagati possono perdere il lavoro o essere incarcerati. (Ironia della sorte, questi procedimenti giudiziari fasulli assomigliano a quelli che lo stesso Erdogan ha subito come sindaco di Istanbul). Abusi così evidenti rendono nervosi gli investitori. Gli stranieri non investiranno se non hanno la certezza che le controversie commerciali e le questioni normative saranno giudicate in modo equo.

Per cambiare le cose, Washington deve prendere l’iniziativa. I leader statunitensi devono esprimere con franchezza la preoccupazione che le relazioni tra Stati Uniti e Turchia rischino di deteriorarsi in modo irreparabile. Gli Stati Uniti devono sottolineare che, nonostante le carenze della NATO, l’alleanza persiste per un motivo: i suoi membri condividono non solo interessi ma anche valori. Questo distingue le relazioni degli Stati Uniti con la Turchia da quelle che intrattengono con altre democrazie in difficoltà. Washington può creare forti partnership con governanti populisti-autoritari come il primo ministro indiano Narendra Modi, ad esempio, ma l’India non è un membro della NATO, quindi le aspettative sono diverse.

Fingere che le provocazioni di Erdogan non siano gravi non fa che infiammarlo e incoraggiarlo. Gli Stati Uniti devono contrastare con forza la retorica antiamericana che proviene da Erdogan, dal suo governo e dagli organi di stampa suoi alleati. E devono chiarire che non tollereranno certi comportamenti da parte della Turchia, soprattutto le azioni che mettono in pericolo le vite americane, come i numerosi interventi ravvicinati in Siria e in Iraq.

Sostenitori di Erdogan festeggiano ad Ankara, Turchia, 2023
Umit Bektas / Reuters
I leader americani non possono lamentarsi a intermittenza; devono rispondere all’imprevedibilità di Erdogan con la coerenza. Quando Erdogan oltrepassa un limite, deve esserci una risposta. La sua incoerenza significa che non si possono applicare regole d’ingaggio rigide e rapide a ogni situazione. Ma i leader statunitensi possono esprimere il loro disappunto cancellando incontri e visite con funzionari di alto livello. Possono manifestare una rabbia più significativa, ad esempio organizzando audizioni al Congresso sulle campagne di disinformazione turche.

Gli Stati Uniti trarrebbero beneficio dal coordinamento con altri alleati che subiscono gli affronti di Erdogan. Washington ha già avviato questo processo: lo sviluppo del porto di Alexandroupoli è solo un esempio. I leader statunitensi hanno anche cambiato decisamente il loro approccio nei confronti di Cipro, revocando il lungo embargo sulle armi e impegnandosi più strettamente con Nicosia su una serie di questioni legate alla sicurezza.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 ha creato nuovi dilemmi per le relazioni tra Stati Uniti e Turchia, ma anche nuove opportunità. Putin ed Erdogan, autocrati affini con una profonda diffidenza nei confronti dell’Occidente, hanno iniziato a rivolgersi maggiormente l’uno all’altro per soddisfare esigenze che solo l’altro può fornire. Erdogan si è opposto alle sanzioni contro la Russia, sostenendo che la Turchia “non è vincolata dalle sanzioni dell’Occidente”. Gli Stati Uniti hanno mostrato una certa flessibilità e tolleranza nei confronti delle attività di contrasto alle sanzioni della Turchia; con l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas, che ha fatto lievitare il conto delle importazioni della Turchia e ha appesantito le sue partite correnti, il commercio turco-russo è aumentato.

Putin ha accarezzato l’ego di Erdogan permettendogli di svolgere un ruolo in un accordo sul grano che ha permesso all’Ucraina di esportare grano e fertilizzanti attraverso il Mar Nero. Queste esportazioni sono fondamentali per i Paesi in via di sviluppo che devono affrontare gravi carenze alimentari. La Turchia ha anche venduto all’Ucraina i droni Bayraktar. Erdogan si è crogiolato nei plausi ricevuti per il suo ruolo di mediatore. Ma questi eventi rivelano anche quanto la Turchia sia alla disperata ricerca di valuta estera.

AMORE DURO
Erdogan è uscito da Vilnius con le ali tarpate – ed è tornato a casa con un’economia in crisi. Grazie alle riforme attuate da Ozal e, per un certo periodo, da Erdogan, l’economia turca ha ottenuto risultati straordinari nei primi anni di questo secolo. Gli investimenti esteri diretti hanno raggiunto un livello record, passando da 1 miliardo di dollari nel 2000 a 22 miliardi nel 2007.

Ma nell’ultimo decennio, la politica dei bassi tassi di interesse del governo ha incoraggiato una pericolosa cultura del consumo. I cittadini spendono sempre più di una moneta il cui valore sta contemporaneamente crollando. La frenesia dei consumi ha spinto un’esplosione delle importazioni, mettendo sotto pressione le partite correnti della Turchia. Il finanziamento del deficit diventa ogni mese più costoso grazie all’aumento del premio di rischio della Turchia. Il settore manifatturiero turco, che nel 2021 rappresentava il 21% del PIL, rischia di essere gravemente indebolito dall’aumento dei costi dei fattori produttivi. Per evitare una catastrofe, la Turchia dovrà cercare di far leva sulla sua importanza geopolitica per chiedere aiuto agli Stati Uniti.

La popolazione turca può non essere filoamericana; anche gli oppositori di Erdogan nutrono sospetti su Washington. Ma gran parte della popolazione turca ha sofferto sotto l’autoritarismo erratico e la cattiva gestione economica di Erdogan. Nonostante l’ambiente repressivo che ha creato e la paura che genera, lo scorso maggio quasi il 48% degli elettori ha scelto di rimuoverlo dal suo incarico. Gli Stati Uniti hanno la possibilità di rafforzare la società civile turca e i politici dell’opposizione dimostrando che, pur non appoggiando Erdogan, sostengono la Turchia. La chiave sarà l’aiuto economico.

Tutto lascia pensare che quando la crisi turca raggiungerà il suo apice, devasterà l’economia del Paese, già in difficoltà. Di recente, Erdogan ha abbandonato a malincuore la sua lunga dedizione ad abbassare i tassi di interesse in risposta allo stress economico. Ma non è ancora chiaro se egli comprenda l’entità dello sforzo che attende la Turchia.

Erdogan durante una conferenza stampa a Vilnius, Lituania, luglio 2023
Kacper Pempel / Reuters
Nonostante i tentativi di Erdogan di attrarre investimenti dagli Stati del Golfo e di rafforzare il commercio con la Cina, la Turchia è e rimarrà completamente integrata nel sistema economico occidentale. Questa profonda integrazione offre alle potenze occidentali l’opportunità di influenzare la Turchia in meglio. La Germania, i Paesi Bassi, la Svizzera, il Regno Unito e gli Stati Uniti sono storicamente le principali fonti di investimenti diretti esteri della Turchia: nel 2021, ne rappresentavano quasi i due terzi. E i Paesi occidentali restano i principali acquirenti di beni e servizi turchi. Nel 2022, il Regno Unito riceverà il 5,1% delle esportazioni turche, gli Stati Uniti il 6,7%, la Germania l’8,4% e altri dieci Paesi dell’UE il 42,5%.

L’ulteriore aumento delle esportazioni verso l’Occidente sarà un elemento fondamentale per la ripresa economica della Turchia. Le esportazioni in questione sono prevalentemente beni industriali, la cui produzione favorisce la crescita di posti di lavoro ben retribuiti. Ma la Turchia deve ristrutturare in modo significativo le sue istituzioni statali per ampliare l’accesso al mercato delle esportazioni turche e ottenere il consenso dei principali mercati finanziari. Qualsiasi vero salvataggio economico dovrà fare affidamento sulle economie occidentali; Cina, Russia e Medio Oriente hanno relativamente poco da contribuire.

Un piano di stabilizzazione sarà doloroso ma fattibile. La Turchia gode di notevoli vantaggi economici: la sua vicinanza ai mercati europei e mediorientali, la sua forza lavoro istruita e relativamente giovane, e la sua comunità imprenditoriale esperta e integrata con il resto del mondo. La Turchia è ben posizionata per beneficiare del “friend shoring”, una pratica in crescita che consiste nel riposizionare la produzione e le catene di approvvigionamento in Paesi considerati politicamente affidabili.

La Turchia dovrà quasi certamente chiedere assistenza al Fondo Monetario Internazionale. Gli Stati Uniti svolgeranno inevitabilmente un ruolo essenziale nel contribuire a delineare i contorni di un piano del FMI e del suo finanziamento. Ma Washington deve insistere nel subordinare il sostegno del FMI a miglioramenti dello Stato di diritto, come il ripristino dell’autonomia della banca centrale turca e il rafforzamento della credibilità delle istituzioni finanziarie che producono statistiche economiche.

I leader americani devono rispondere all’imprevedibilità di Erdogan con la coerenza.
La Turchia potrebbe aver bisogno di chiedere aiuto economico alla Russia e gli Stati Uniti dovrebbero tollerare alcuni di questi accordi. Ma devono opporsi all’esportazione da parte della Turchia di beni elettronici che aiutano direttamente Mosca a portare avanti la sua guerra contro l’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno già sanzionato alcune aziende turche e i leader turchi hanno dichiarato che ridurranno tali esportazioni. La guerra in Ucraina, tuttavia, probabilmente continuerà, aumentando la pressione su Putin e intensificando il suo bisogno di componenti. Lo scorso luglio, Putin ha sospeso l’accordo sul grano che la Turchia aveva aiutato a mediare. Per Washington e Ankara, questa è un’opportunità per avviare una discussione su come coordinare meglio i rapporti con la Russia in futuro.

Come molti leader massimalisti che hanno mantenuto il potere per decenni, Erdogan si è circondato di tirapiedi e ha creato una camera d’eco mediatica in cui la maggior parte delle persone ha poca scelta se non quella di lodarlo. A volte deve pensare di essere infallibile. Ma anche se è un ideologo, Erdogan è anche un pragmatico. Accetterà di apportare cambiamenti, anche quelli che non gli piacciono, se teme che sia in gioco la sua sopravvivenza. E la sua sopravvivenza è ora in gioco.

Durante la crisi dell’S-400, con un cambiamento insolito, Washington è rimasta fedele alla sua posizione, mantenendo esattamente ciò che aveva promesso di fare. Di conseguenza, ha delineato quello che potrebbe essere un metodo più risoluto di impegnarsi con la Turchia in senso più ampio. Ankara deve sapere che non può fare l’eroe su tutto e negoziare all’infinito. Ora gli Stati Uniti devono mantenere la linea. In futuro, Washington non dovrebbe limitarsi a fasciare le ferite superficiali o cercare di ripristinare un’età dell’oro nelle relazioni tra Stati Uniti e Turchia che non è mai esistita. Agendo con fermezza e coerenza, gli Stati Uniti possono creare un nuovo tipo di relazione: una relazione normale, molto più simile a quella che intrattengono con l’Italia o il Portogallo. Devono cogliere l’occasione.

HENRI J. BARKEY è professore Cohen di Relazioni internazionali presso la Lehigh University e Senior Fellow aggiunto per gli studi sul Medio Oriente presso il Council on Foreign Relations.

https://www.foreignaffairs.com/turkey/erdogan-nato-survivor-united-states

I BRICS confermano ufficialmente di non voler de-dollarizzare e di non essere anti-occidentali _ di ANDREW KORYBKO

I BRICS confermano ufficialmente di non voler de-dollarizzare e di non essere anti-occidentali

ANDREW KORYBKO
17 AGO 2023

In parole povere, il BRICS vuole “andare sul sicuro” perché tutti i suoi membri, a parte la Russia, sono in rapporti di complessa interdipendenza economico-finanziaria con l’Occidente, che non dovrebbe reagire in modo eccessivo alle loro riforme frammentarie, dal momento che i loro stessi responsabili politici le ritengono ormai inevitabili.

Il mese scorso “L’Alt-Media è rimasto sotto shock dopo che la Banca dei BRICS ha confermato di essere conforme alle sanzioni occidentali”, e ora la comunità dell’Alt-Media (AMC) è stata colpita da altre due bombe di verità dopo che altri importanti funzionari hanno confermato che non vuole de-dollarizzare e non è anti-occidentale. All’inizio del mese il ministro delle Finanze sudafricano Enoch Godongwana ha dichiarato in un’intervista alla Reuters che il gruppo si concentra sull’espansione dell’uso delle valute nazionali piuttosto che sulla de-dollarizzazione.

Nello stesso articolo, il direttore finanziario della New Development Bank (NDB, comunemente chiamata Banca dei BRICS), Leslie Maasdorp, ha dichiarato che “la valuta operativa della banca è il dollaro per un motivo molto specifico: il dollaro statunitense è il luogo in cui si trovano le maggiori riserve di liquidità… Non si può uscire dall’universo del dollaro e operare in un universo parallelo”. La conferma ufficiale che i BRICS non vogliono de-dollarizzarsi ha portato direttamente alla successiva precisazione sul fatto che non sono anti-occidentali.

L’ambasciatore sudafricano presso i BRICS Anil Sooklal ha corretto le false percezioni sul ruolo globale dell’organizzazione in un’intervista rilasciata a Bloomberg alcuni giorni fa, in cui ha dichiarato: “C’è un’infelice narrazione che si sta sviluppando secondo cui i BRICS sono anti-occidentali, che i BRICS sono stati creati come concorrenza al G7 o al Nord globale, e questo non è corretto. Il nostro obiettivo è far avanzare l’agenda del Sud globale e costruire un’architettura globale più inclusiva, rappresentativa, giusta ed equa”.

A questo proposito, Sooklal ha anche confermato quanto affermato da Godongwana e Maasdorp all’inizio del mese, ovvero che il BRICS non ha alcun desiderio di de-dollarizzare. Secondo le parole di Sooklal, “il commercio in valute locali è fermamente all’ordine del giorno (ma) non c’è alcun punto all’ordine del giorno della de-dollarizzazione nell’agenda dei BRICS. I BRICS non chiedono la de-dollarizzazione. Il dollaro continuerà ad essere una delle principali valute globali – questa è la realtà”. Queste rivelazioni sui BRICS potrebbero comprensibilmente sconvolgere il membro medio dell’AMC.

Dopo tutto, molti di loro sono stati ingannati da influencer di primo piano che li hanno portati a pensare che questo gruppo stia complottando per infliggere un colpo mortale al dollaro per odio verso l’Occidente, ma nulla potrebbe essere più lontano dalla verità dopo ciò che i principali funzionari hanno rivelato nelle ultime tre settimane. Il Presidente della Banca BRICS Dilma Rousseff ha confermato che il gruppo rispetta le sanzioni anti-russe dell’Occidente; Godongwana, Maasdorp e Sooklal hanno confermato che il gruppo non vuole de-dollarizzarsi; e quest’ultimo ha anche confermato che non è anti-occidentale.

I BRICS possono ancora “portare avanti l’agenda del Sud globale e costruire un’architettura globale più inclusiva, rappresentativa, giusta ed equa”, esattamente come Sooklal ha chiarito che è il suo intento, nonostante i fatti “politicamente scomodi” che sono stati appena condivisi, ma sarà a un ritmo graduale, non accelerato. Qui sta il nocciolo delle percezioni errate che si hanno su di essa, che la Russia ha cercato di correggere all’inizio del mese dopo aver finalmente capito che i suoi interessi di soft power sono minacciati dalle aspettative irrealistiche dei sostenitori.

Una massa critica dell’AMC si è convinta che i BRICS fossero qualcosa che non sono, grazie a una combinazione di influencer ben intenzionati ma ingenui che spingono i loro desideri al riguardo e altri che fanno maliziosamente lo stesso per generare influenza, promuovere la loro ideologia e/o truffare. Parallelamente, alcuni dei rivali dei media mainstream (MSM) di questo campo hanno fatto allarmismo sui BRICS con l’ulteriore scopo di galvanizzare gli occidentali contro di essi, ma hanno anche esteso un falso credito alle affermazioni populiste dell’AMC.

Con il senno di poi, è facile capire perché così tante persone siano cadute nella falsa narrativa che i BRICS stiano complottando per infliggere un colpo mortale al dollaro per odio verso l’Occidente, ed è per questo che i funzionari dell’organizzazione hanno deciso di mettere le cose in chiaro nelle ultime settimane prima del prossimo vertice. Non volevano che le aspettative irrealistiche dei loro sostenitori portassero a una profonda delusione, che a sua volta li avrebbe resi suscettibili di suggerimenti ostili, né volevano spaventare l’Occidente, che avrebbe reagito in modo eccessivo.

Il primo risultato potenziale che si sarebbe potuto verificare se non fossero stati fatti i chiarimenti precedentemente menzionati rischiava di riempire i suoi sostenitori di una tale disperazione che avrebbero potuto diventare apatici nei confronti dei BRICS o forse addirittura rivoltarsi contro di essi dopo essersi sentiti ingannati. In secondo luogo, alcuni occidentali avrebbero potuto intensificare le loro campagne di pressione contro i BRICS e i suoi partner, anche attraverso ricatti, ingerenze politiche e minacce di sanzioni, al fine di bloccare il blocco sul nascere.

Dopo aver smascherato la disinformazione che è stata sparsa sulla loro organizzazione da parte dell’AMC e degli MSM, ciascuno in anticipo su agende polarmente opposte ma ancora sospettosamente basate su narrazioni praticamente identiche, i funzionari dei BRICS sono ora più fiduciosi che questi scenari peggiori possano essere scongiurati. Questo controllo della realtà fa passare la sbornia ai loro sostenitori e li prepara ad aspettarsi una transizione prolungata verso il multipolarismo, riducendo al contempo le possibilità che l’Occidente reagisca in modo eccessivo agli obiettivi del loro gruppo.

Per approfondire l’ultima osservazione, gli eventi degli ultimi diciotto mesi dall’inizio dell’operazione speciale della Russia hanno convinto l’Occidente che la transizione sistemica globale verso il multipolarismo è irreversibile, motivo per cui ora è disposto a prendere in considerazione riforme dei propri modelli egemonici. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, l’ex direttore per l’Europa e la Russia del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti Fiona Hill e il presidente di Goldman Sachs per gli affari globali Jared Cohen lo hanno suggerito lo stesso giorno a metà maggio.

Essi ritengono che l’Occidente debba impegnarsi con il Sud globale su un piano di maggiore parità, il che richiede un ridimensionamento di alcune delle sue pratiche di sfruttamento più evidenti per non perdere altri cuori e menti a favore dell’Intesa sino-russa. A tal fine, sono propensi ad accettare cambiamenti graduali del sistema finanziario globale come quelli che i funzionari dei BRICS hanno confermato di avere in mente, ma risponderanno risolutamente a qualsiasi sviluppo rivoluzionario che rischi di accelerare drasticamente questa transizione.

In poche parole, i BRICS vogliono “andare sul sicuro” perché tutti i suoi membri, a parte la Russia, sono in rapporti di complessa interdipendenza economico-finanziaria con l’Occidente, che non dovrebbe reagire in modo eccessivo alle loro riforme frammentarie, dal momento che i loro stessi responsabili politici le ritengono ormai inevitabili. Tra questi quattro membri predominano due scuole di pensiero rappresentate da Cina e India, le cui rispettive differenze di visione sono state ampiamente spiegate qui.

In breve, la Cina vuole accelerare l’internazionalizzazione dello yuan e integrare i BRICS nella Belt & Road Initiative (BRI), mentre l’India vuole dare priorità alle valute nazionali e mantenere i BRICS ufficialmente separati dalla BRI. Entrambi concordano sul fatto che le modifiche al sistema finanziario globale devono essere graduali, tuttavia, per evitare di provocare una reazione eccessiva reciprocamente dannosa da parte dell’Occidente, con il quale tutti i Paesi, ad eccezione della Russia, sono in rapporti di complessa interdipendenza.

Ognuno ha il diritto di avere la propria opinione su questa realtà appena descritta, ma i fatti che sono stati condivisi nel corso di questa analisi a sostegno delle osservazioni associate non possono essere negati. Tutti gli influencer di spicco dell’AMC che continuano a sostenere la narrazione, ormai sfatata, secondo cui i BRICS starebbero complottando per infliggere un colpo mortale al dollaro in nome dell’odio per l’Occidente, sono disonesti. Coloro che tra il loro pubblico ne sanno di più dovrebbero cortesemente effettuare un fact-checking sotto i loro post per evitare che altri vengano tratti in inganno.

https://korybko.substack.com/p/brics-officially-confirmed-that-it

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Ecoansia e altre amenità _ Di Claudio Martinotti Doria

Ecoansia e altre amenità

Di Claudio Martinotti Doria

Quante volte ho avuto la tentazione di scrivere un articolo durante i mesi trascorsi, ma poi mi sono sempre detto che in fondo l’argomento l’avevo già affrontato, in genere prevedendolo nei suoi sviluppi con discreta approssimazione, e mi sarei dovuto limitare a brevi aggiornamenti, pertanto rinunciavo, complice anche la vista sempre più indebolita dai 40 anni trascorsi davanti a uno monitor del pc.

Solo ora mi sono deciso a scrivere qualche nota, anche per mettere alla prova la mia vista sempre più sfocata e la conseguente concentrazione, necessaria per scrivere con un minimo di grano salis.

A motivarmi a scrivere è stato in primo luogo l’incredibile e paradossale riscontro che a rifiutarsi di fare la fine di solito riservata a fine ciclo, dei vassalli servili e utili idioti delle élite anglosassoni e affini, sono stati gli africani. Oltre alle sacrosante motivazioni ostili al neocolonialismo, parassitismo, saccheggio, e altre amenità comportamentali tipiche degli imperi neocoloniali (USA in primis), credo gli stati e alcuni popoli africani, si siano accorti di quali pessime e tragiche fini erano destinate le nazioni e popolazioni che si erano fidate degli americani e loro vassalli europei. E tale riscontro stride fortemente con il fatto che le nazioni e le supponenti popolazioni europee, pare non essersene ancora accorte, nonostante siano le principali vittime delle politiche estere, economiche e militari, anglosassoni. L’hanno capita gli africani e gli europei invece no, almeno apparentemente, poi in realtà per molti governi si tratta solo di sottomissione dovuta a corruzione o illusione di carriera, inettitudine e costrizione (ricatti, minacce,  azioni di stampo mafioso, sono ordinaria amministrazione per gli anglosassoni, così come gli omicidi camuffati da suicidi, incidenti domestici, stradali o durante le vacanze).

In breve stanno danneggiando gravemente la loro principale colonia, l’intero continente europeo (con qualche eccezione) per potersi mantenere ancora in vita qualche anno, mantenendo il loro tenore di vita molto elevato, mi riferisco ovviamente alle élite della società anglosassone, non certo al cento medio e medio basso, ormai distrutto anch’esso come in Europa. Perché più che una lotta tra imperi, stati e nazioni, è un conflitto ibrido a tutto campo tra classi sociali, siamo tornati alla lotta di classe, solo che non se ne è accorto quasi nessuno.

Per prolungare l’egemonia ormai al tramonto, gli imperi anglosassoni stanno realizzando una sorta di neofeudalesimo, come scrissi per la prima volta già parecchi anni fa, nel quale i signori feudali in conflitto tra di loro e con alleanze mutevoli, fanno combattere truppe mercenarie e fanno confliggere i servi della gleba dei vari feudi, perché il potere si esercita meglio se la popolazione è ridotta alla lotta per la sopravvivenza e vive nella confusione e paura permanente.

In Europa la più colpita pare essere la Germania, con circa un 25% in più di aziende fallite e una delocalizzazione in atto delle principali industrie tecnologiche e innovative tedesche, che si trasferiscono negli STATI UNITI, dove l’energia costa molto meno, approfittando delle generose agevolazioni create ad hoc dall’amministrazione Biden, proprio mirando a questo scopo: sottrarre le aziende migliori all’UE (il sabotaggio del North Stream aveva questo scopo oltre che quello di separare la Germania alla Russia) e anche di Taiwan.

In realtà la più colpita è l’Italia, solo che i media distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica con il trucchetto del diversivo, puntando l’attenzione su quel Paese che sembra messo peggio, a scopo consolatorio e distrattivo.

L’Italia sono almeno una quarantina di anni che intendono spogliarla di tutte le sue ricchezze, ma per riuscirci hanno dovuto procedere per gradi, prima separando il Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia che non fu più obbligata a comprare i titoli di stato emessi ma furono immessi nel fatidico e fantomatico “mercato”, così il debito pubblico inizio a impennarsi. Poi ci fu il famoso incontro del ‘92 sul panfilo Britannia con tutto quelle che ne è conseguito, sul quale non sto ad attardarmi perché hanno scritto decine di libri e centinaia di articoli sull’argomento, è ovvio che per portare avanti un’operazione così complessa e ambiziosa, hanno corrotto e infiltrato migliaia di personaggi nei posti chiave delle istituzioni.

Stiamo parlando di sottrarre agli italiani circa 5000 miliardi di euro di risparmi accumulati (ricchezza privata) e il maggior patrimonio artistico, architettonico, storico, archeologico, immobiliare, naturalistico, ecc.. esistente al mondo, concentrato in una striscia di territorio di appena 300mila kmq in una sorta di “portaerei in mezzo al Mediterraneo” come viene considerata dagli anglosassoni.

Una localizzazione geopolitica strategica che ne ha decretato la sorte.

Noi italiani siamo tendenzialmente esterofili e critici verso noi stessi ma non possiamo negare l’evidenza e sforzandoci di essere realistici dovremmo riconoscere che siamo (nonostante la peggiore classe politica che ci assilla da sempre) il paese più ricco, bello e geniale del mondo, in termini di concentrazione in uno spazio ristretto di tutto quello che possediamo e disponiamo, comprese le migliori menti creative (almeno quelle non ancora emigrate all’Estero m che potrebbero anche tornare se le condizioni lo consentissero). E’ comprensibile che vogliano sottrarcelo. E per farlo le hanno inventate e provate tutte, soprattutto negli ultimi anni, colpendoci a livello sanitario e soprattutto neurologico, perché se la popolazione diventa depressa e confusa sarà più facile ingannarla e farle credere una cosa per un’altra, dire che si sta facendo qualcosa per il loro bene mentre sono messi a 90 gradi per fare ginnastica.

I metodi di inganno e dominio sono gli stessi da millenni, ma modificandone le forme e applicazioni: il ricorso alla paura fino al terrore e al panico è un classico, ma con la psicopandemenza hanno sfiorato la genialità, poi il solito divide et impera che funziona sempre e trova infinite forme di applicazione anche autoalimentate.

Si sono persino inventati l’ecoansia, ingaggiando un’attricetta in cerca di visibilità e carriera, per inscenare la parte e sdoganare il concetto, che adesso, anche se accolto dalla maggioranza ridicolizzandolo, circola come una pubblicità di successo. Un motivetto o tormentone estivo: soffro di ecoansia. Ho cercato di contrastare questo espediente propagandistico di successo con una contromossa ironica da me elaborata subitaneamente, ma ho potuto diffonderla solo a livello minimalistico, nella cerchia di amici e conoscenti, non certo nel sistema mediatico (che disprezzo ed evito) e non arrivando pertanto al grande pubblico, sperando semmai nel passaparola.

La mia contromossa è stata questa: io soffro incontrovertibilmente di ANOANSIA, nel senso che ho la continua ossessiva sensazione che vogliano mettermelo nel culo, in ogni circostanza e contesto sociale, istituzionale, politico, economico, finanziario, previdenziale, ecc., e per placare tale tensione, infiammazione e bruciore perineale, hai voglia ad applicare gel di aloe vera o presunta …. Non dubito che i sondaggi fatti circolare nelle settimane precedenti, sulla diffusione dell’ecoansia siano fasulli, come tutto ciò che viene pubblicato e trasmesso dai media mainstream, ma al contrario sono quasi certo che se facessero un sondaggio serio tra gli italiani sull’ANOANSIA, spiegandola bene, si avrebbe conferma che questa esiste veramente, solo che gli italiani non ne sono ancora consapevoli e non sanno etichettarla. Per farla conoscere agli italiani rendendoli consapevoli di soffrirne ci vorrebbe un comico cabarettista di capacità e notorietà che la declami valorizzandone il concetto, esattamente o ancora meglio dell’attricetta che ha recitato con falsa commozione il concetto di ecoansia.

Dovremmo imparare e reagire sempre, mai subire passivamente una situazione che sappiamo essere per noi nociva. Invece ci limitiamo quasi sempre a parlarne tra di noi, sempre gli stessi.

Concludo con un accenno all’argomento cardine di quasi tutti i miei articoli precedenti, evitando che qualcuno mi rimproveri per averlo trascurato: il conflitto in Ucraina. Se facessi un’estrapolazione dei passi salienti dei miei articoli precedenti potrei comporne uno apparentemente nuovo che sembrerebbe pure aggiornato e attualizzato, salvo alcuni particolari, in quanto sta avvenendo quanto era prevedibile. Gli ucraini stanno facendo la fine degli utili idioti dell’impero anglosassone, carne da cannone che non solo non hanno scalfito neppure la prima delle tre linee difensive russe, ma sono finiti nel tritacarne e tritatutto che avevano predisposto per loro. In tal modo i russi continuano a dimostrarsi estremamente corretti e galantuomini nel condurre il conflitto limitandosi a colpire obiettivi militari e ad uso militare, al contrario del regime nazista di Kiev che colpisce i civili e compie qualsiasi nefandezza e aberrazione criminale per trarre profitto dalla guerra e per sfogare la loro frustrazione da fallimento e per cercare di avere l’approvazione e i finanziamenti occidentali, essendo ormai un regime parassitario che vive esclusivamente di economia di guerra, finanziata da terzi.

La NATO è ormai agli sgoccioli e rischia la stessa sopravvivenza, per cui dovrà alzare l’asticella dell’escalation fino a provocare l’intervento dei pazzi russofobi della cosiddetta Nuova Europa, cioè i paesi dell’Est, le nuove colonie anglosassoni, Polonia e Paesi Baltici, che però se anche si unissero a quello che rimane dell’Ucraina Occidentale, non potrebbero mai trionfare sulla Russia che nel frattempo si è consolidata, accumulando una straordinaria esperienza di guerra sul campo, perfezionando e soprattutto sperimentando nuove armi sempre più efficaci e sofisticate, producendole a ritmi che in Occidente possono solo sognare. Come ho affermato varie volta, questo significa che il tempo lavora a favore della Russia, che continuerà a rispettare e valorizzare la vita umana risparmiando inutili perdite e sofferenze al loro esercito attendendo il momento propizio per sferrare i loro contrattacchi, man mano che l’esercito ucraino collasserà sui vari fronti. Non esiste alcuna arma in dotazione alla NATO che possa impedire che questo avvenga, nessuna arma che possa cambiare le sorti dell’Ucraina, nessuna provocazione o atto terroristico che possa far cambiare strategia alla Russia, perché la leadership russa ha una visione lungimirante mentre le nostre sono penosamente limitate e asservite a loschi interessi di nicchia.

Gli psicopatici russofobi neocons anglosassoni sarebbero anche disposti a ricorrere alle armi nucleari, ma glielo impediscono le altre élite che compartecipano al potere, perché sanno benissimo che basterebbero pochi missili ipersonici SARMAT e droni subacquei POSEIDON per spazzare via completamente l’intera Gran Bretagna e le coste americane dell’Atlantico e del Pacifico, e con i moderni missili antinave in dotazione alla Russia tutte le flotte USA-NATO farebbero la stessa fine ovunque si trovino, e tutto questo avverrebbe pochi minuti dopo aver fatto esplodere un solo ordigno nucleare contro la Russia.

Quindi se vogliamo ragionare seriamente, dobbiamo renderci conto che non ci sarà nessun negoziato, perché la Russia non ritiene credibili e degni di fiducia gli attuali interlocutori, ne gli ucraini, ne la NATO ne l’UE, quindi non rimane loro che portare a termine l’operazione bellica, che come hanno sempre rivelato fin dall’inizio, prevede la completa demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina. Nessuno potrà impedirlo perché i russi sono persone serie e dotate di una cultura e coesione che noi purtroppo abbiamo perso da diverse generazioni. Noi in Occidente dobbiamo solo nutrire due speranze; che i russi continuino a dimostrarsi moderati e compassionevoli, e che gli attuali leader occidentali scompaiano magari per uno strano fenomeno di abduction collettivo. He sarebbe come dire “non ci resta che sperare negli alieni più evoluti”.

Articolo riproducibile citando la fonte.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

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La Cina è pronta per un mondo caotico L’America non lo è _ Di Mark Leonard

La Cina è pronta per un mondo di disordine
L’America non lo è
Di Mark Leonard
Luglio/Agosto 2023
Pubblicato il 20 giugno 2023

Juanjo Gasull

https://www.foreignaffairs.com/united-states/china-ready-world-disorder

27:11

A marzo, al termine della visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin si è affacciato alla porta del Cremlino per salutare l’amico. Xi ha detto al suo omologo russo: “In questo momento ci sono cambiamenti come non se ne vedevano da 100 anni e siamo noi a guidare questi cambiamenti insieme”. Putin, sorridendo, ha risposto: “Sono d’accordo”.

Il tono era informale, ma non si trattava di uno scambio improvvisato: “Cambiamenti mai visti in un secolo” è diventato uno degli slogan preferiti di Xi da quando lo ha coniato nel dicembre 2017. Sebbene possa sembrare generico, racchiude perfettamente il modo contemporaneo cinese di pensare all’ordine globale emergente – o, piuttosto, al disordine. Con la crescita del potere cinese, i politici e gli analisti occidentali hanno cercato di determinare che tipo di mondo vuole la Cina e che tipo di ordine globale Pechino intende costruire con il suo potere. Ma sta diventando chiaro che, piuttosto che cercare di rivedere completamente l’ordine esistente o di sostituirlo con qualcos’altro, gli strateghi cinesi hanno cercato di trarre il meglio dal mondo così com’è – o come sarà presto.

Mentre la maggior parte dei leader e dei politici occidentali cerca di preservare l’ordine internazionale esistente basato sulle regole, magari aggiornandone le caratteristiche chiave e incorporando altri attori, gli strateghi cinesi definiscono sempre più il loro obiettivo come la sopravvivenza in un mondo senza ordine. La leadership cinese, da Xi in giù, ritiene che l’architettura globale eretta all’indomani della Seconda guerra mondiale stia diventando irrilevante e che i tentativi di preservarla siano inutili. Invece di cercare di salvare il sistema, Pechino si sta preparando al suo fallimento.

Sebbene Cina e Stati Uniti concordino sul fatto che l’ordine post-Guerra Fredda sia finito, scommettono su successori molto diversi. A Washington, si ritiene che il ritorno della competizione tra grandi potenze richieda un rinnovamento delle alleanze e delle istituzioni alla base dell’ordine successivo alla Seconda Guerra Mondiale, che ha aiutato gli Stati Uniti a vincere la Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica. Questo ordine globale aggiornato dovrebbe inglobare gran parte del mondo, lasciando la Cina e alcuni dei suoi partner più importanti – tra cui Iran, Corea del Nord e Russia – isolati all’esterno.

Ma Pechino è sicura che gli sforzi di Washington si riveleranno inutili. Agli occhi degli strateghi cinesi, la ricerca di sovranità e identità da parte di altri Paesi è incompatibile con la formazione di blocchi in stile Guerra Fredda e porterà invece a un mondo più frammentato e multipolare in cui la Cina potrà prendere il suo posto come grande potenza.

In definitiva, la visione di Pechino potrebbe essere più accurata di quella di Washington e più vicina alle aspirazioni dei Paesi più popolosi del mondo. La strategia statunitense non funzionerà se si riduce a una futile ricerca di aggiornare un ordine che sta scomparendo, guidata da un desiderio nostalgico di simmetria e stabilità di un’epoca passata. La Cina, al contrario, si sta preparando per un mondo definito dal disordine, dall’asimmetria e dalla frammentazione, un mondo che, per molti versi, è già arrivato.

SOPRAVVISSUTO: PECHINO
Le reazioni molto diverse di Cina e Stati Uniti all’invasione russa dell’Ucraina hanno rivelato la divergenza di pensiero tra Pechino e Washington. A Washington, l’opinione dominante è che le azioni della Russia siano una sfida all’ordine basato sulle regole, che deve essere rafforzato in risposta. A Pechino, l’opinione dominante è che il conflitto dimostra che il mondo sta entrando in un periodo di disordine, che i Paesi dovranno adottare per resistere.

La prospettiva cinese è condivisa da molti Paesi, soprattutto nel Sud globale, dove le pretese occidentali di sostenere un ordine basato sulle regole mancano di credibilità. Non si tratta semplicemente del fatto che molti governi non hanno avuto voce in capitolo nella creazione di queste regole e quindi le considerano illegittime. Il problema è più profondo: questi Paesi ritengono anche che l’Occidente abbia applicato le sue norme in modo selettivo e le abbia riviste spesso per soddisfare i propri interessi o, come hanno fatto gli Stati Uniti quando hanno invaso l’Iraq nel 2003, le abbia semplicemente ignorate. Per molti al di fuori dell’Occidente, il discorso di un ordine basato sulle regole è stato a lungo una foglia di fico per il potere occidentale. È naturale, sostengono questi critici, che ora che il potere occidentale è in declino, questo ordine debba essere rivisto per dare potere ad altri Paesi.

Da qui l’affermazione di Xi secondo cui si stanno verificando “cambiamenti mai visti in un secolo”. Questa osservazione è uno dei principi guida del “Pensiero di Xi Jinping”, che è diventato l’ideologia ufficiale della Cina. Xi vede questi cambiamenti come parte di una tendenza irreversibile verso il multipolarismo, con l’ascesa dell’Oriente e il declino dell’Occidente, accelerati dalla tecnologia e dai cambiamenti demografici. L’intuizione principale di Xi è che il mondo è sempre più definito dal disordine piuttosto che dall’ordine, una situazione che a suo avviso risale al XIX secolo, un’altra epoca caratterizzata da instabilità globale e minacce esistenziali per la Cina. Nei decenni successivi alla sconfitta della Cina da parte delle potenze occidentali nella prima guerra dell’oppio nel 1839, i pensatori cinesi, tra cui il diplomatico Li Hongzhang – talvolta definito “il Bismarck cinese” – scrissero di “grandi cambiamenti mai visti in oltre 3.000 anni”. Questi pensatori hanno osservato con preoccupazione la superiorità tecnologica e geopolitica degli avversari stranieri, che ha inaugurato quello che oggi la Cina considera un secolo di umiliazioni. Oggi Xi vede i ruoli invertiti. È l’Occidente che si trova ora dalla parte sbagliata di cambiamenti fatali e la Cina che ha la possibilità di emergere come potenza forte e stabile.

Anche altre idee che affondano le radici nel XIX secolo hanno conosciuto una rinascita nella Cina contemporanea, tra cui il darwinismo sociale, che ha applicato il concetto di “sopravvivenza del più adatto” di Charles Darwin alle società umane e alle relazioni internazionali. Nel 2021, ad esempio, il Centro di ricerca per una visione olistica della sicurezza nazionale, un organismo sostenuto dal governo e collegato al ministero della Sicurezza cinese, ha pubblicato National Security in the Rise and Fall of Great Powers, curato dall’economista Yuncheng Zhang. Il libro, che fa parte di una serie di spiegazioni sulla nuova legge sulla sicurezza nazionale, sostiene che lo Stato è come un organismo biologico che deve evolversi o morire e che la sfida della Cina è quella di sopravvivere. Questa linea di pensiero ha preso piede. Un accademico cinese mi ha detto che oggi la geopolitica è una “lotta per la sopravvivenza” tra superpotenze fragili e ripiegate su se stesse, ben lontane dalle visioni espansive e trasformative delle superpotenze della Guerra Fredda. Xi ha adottato questo quadro e le dichiarazioni del governo cinese sono piene di riferimenti alla “lotta”, un’idea che si ritrova nella retorica comunista ma anche negli scritti del darwinismo sociale.

Questa nozione di sopravvivenza in un mondo pericoloso richiede lo sviluppo di quello che Xi descrive come “un approccio olistico alla sicurezza nazionale”. A differenza del concetto tradizionale di “sicurezza militare”, che si limitava a contrastare le minacce provenienti da terra, aria, mare e spazio, l’approccio olistico alla sicurezza mira a contrastare tutte le sfide, siano esse tecniche, culturali o biologiche. In un’epoca di sanzioni, disaccoppiamento economico e minacce informatiche, Xi ritiene che tutto possa essere armato. Di conseguenza, la sicurezza non può essere garantita da alleanze o istituzioni multilaterali. I Paesi devono quindi fare tutto il possibile per salvaguardare il proprio popolo. A tal fine, nel 2021, il governo cinese ha sostenuto la creazione di un nuovo centro di ricerca dedicato a questo approccio olistico, incaricato di considerare tutti gli aspetti della strategia di sicurezza della Cina. Sotto Xi, il Partito Comunista Cinese (PCC) è sempre più concepito come uno scudo contro il caos.

VISIONI CONTRASTANTI
I leader cinesi vedono gli Stati Uniti come la principale minaccia alla loro sopravvivenza e hanno sviluppato un’ipotesi per spiegare le azioni dell’avversario. Pechino ritiene che Washington stia rispondendo alla polarizzazione interna e alla sua perdita di potere globale aumentando la competizione con la Cina. I leader statunitensi, secondo questo pensiero, hanno deciso che è solo questione di tempo prima che la Cina diventi più potente degli Stati Uniti, motivo per cui Washington sta cercando di mettere Pechino contro l’intero mondo democratico. Gli intellettuali cinesi parlano quindi di un passaggio degli Stati Uniti dall’impegno e dal contenimento parziale alla “competizione totale”, che abbraccia politica, economia, sicurezza, ideologia e influenza globale.

Gli strateghi cinesi hanno visto gli Stati Uniti cercare di usare la guerra in Ucraina per consolidare la divisione tra democrazie e autocrazie. Washington ha riunito i suoi partner del G-7 e della NATO, ha invitato gli alleati dell’Asia orientale a partecipare alla riunione della NATO a Madrid e ha creato nuovi partenariati di sicurezza, tra cui l’AUKUS, un patto trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, e il Quad (Quadrilateral Security Dialogue), che allinea Australia, India e Giappone agli Stati Uniti. Pechino è particolarmente preoccupata che l’impegno di Washington in Ucraina la porti ad essere più assertiva su Taiwan. Uno studioso ha affermato di temere che Washington stia gradualmente scambiando la sua politica di “una sola Cina” – in base alla quale gli Stati Uniti accettano di considerare la Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legale di Taiwan e della terraferma – con un nuovo approccio che un interlocutore cinese ha definito “una Cina e una Taiwan”. Questo nuovo tipo di istituzionalizzazione dei legami tra gli Stati Uniti e i suoi partner, implicitamente o esplicitamente finalizzato al contenimento di Pechino, è visto in Cina come un nuovo tentativo statunitense di costruire un’alleanza che porti i partner atlantici ed europei nell’Indo-Pacifico. Secondo gli analisti cinesi, si tratta dell’ennesimo esempio dell’errata convinzione degli Stati Uniti che il mondo si stia nuovamente dividendo in blocchi.

Con la sola Corea del Nord come alleato formale, la Cina non può vincere una battaglia di alleanze. Ha invece cercato di fare virtù del suo relativo isolamento e di sfruttare la crescente tendenza globale al non allineamento tra le medie potenze e le economie emergenti. Sebbene i governi occidentali siano orgogliosi del fatto che 141 Paesi abbiano appoggiato le risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano la guerra in Ucraina, i pensatori cinesi di politica estera, tra cui il professore di relazioni internazionali e commentatore dei media Chu Shulong, sostengono che il numero di Paesi che applicano le sanzioni contro la Russia sia un’indicazione migliore del potere dell’Occidente. Secondo questa metrica, Chu Shulong calcola che il blocco occidentale contiene solo 33 Paesi, mentre 167 Paesi si rifiutano di unirsi al tentativo di isolare la Russia. Molti di questi Stati hanno un brutto ricordo della Guerra Fredda, un periodo in cui la loro sovranità era schiacciata da superpotenze concorrenti. Come mi ha spiegato un importante stratega della politica estera cinese, “gli Stati Uniti non sono in declino, ma sono bravi a parlare solo con i Paesi occidentali. La grande differenza tra oggi e la Guerra Fredda è che [allora] l’Occidente era molto efficace nel mobilitare i Paesi in via di sviluppo contro [l’Unione Sovietica] in Medio Oriente, Nord Africa, Sud-Est asiatico e Africa”.

Per trarre vantaggio dal calo di influenza degli Stati Uniti in queste regioni, la Cina ha cercato di dimostrare il proprio sostegno ai Paesi del Sud globale. A differenza di Washington, che Pechino vede come una prepotente costrizione dei Paesi a scegliere da che parte stare, la Cina si è rivolta ai Paesi in via di sviluppo dando priorità agli investimenti in infrastrutture. Lo ha fatto attraverso iniziative internazionali, alcune delle quali già parzialmente sviluppate. Tra queste, la Belt and Road Initiative e la Global Development Initiative, che investono miliardi di dollari di fondi statali e privati nelle infrastrutture e nello sviluppo di altri Paesi. Altre sono nuove, tra cui l’Iniziativa di sicurezza globale, che Xi ha lanciato nel 2022 per sfidare il dominio degli Stati Uniti. Pechino sta anche lavorando per espandere l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, un gruppo di sicurezza, difesa ed economia che riunisce i principali attori dell’Eurasia, tra cui India, Pakistan e Russia, e sta per ammettere l’Iran.

BLOCCATI NEL PASSATO?
La Cina è convinta che gli Stati Uniti si stiano sbagliando nel ritenere che sia scoppiata una nuova guerra fredda. Di conseguenza, sta cercando di superare le divisioni in stile Guerra Fredda. Come ha detto Wang Honggang, alto funzionario di un think tank affiliato al Ministero della Sicurezza di Stato cinese, il mondo si sta allontanando da “una struttura centro-periferia per l’economia e la sicurezza globale e sta andando verso un periodo di competizione e cooperazione policentrica”. Wang e gli studiosi che la pensano allo stesso modo non negano che anche la Cina stia cercando di diventare un proprio centro, ma sostengono che, poiché il mondo sta uscendo da un periodo di egemonia occidentale, la creazione di un nuovo centro cinese porterà in realtà a un maggiore pluralismo di idee piuttosto che a un ordine mondiale cinese. Molti pensatori cinesi collegano questa convinzione alla promessa di un futuro di “modernità multipla”. Questo tentativo di creare una teoria alternativa della modernità, in contrasto con la formulazione post-Guerra Fredda della democrazia liberale e dei liberi mercati come epitome dello sviluppo moderno, è al centro dell’Iniziativa per la civiltà globale di Xi. Questo progetto di alto profilo intende segnalare che, a differenza degli Stati Uniti e dei Paesi europei, che danno lezioni agli altri su temi come il cambiamento climatico e i diritti LGBTQ, la Cina rispetta la sovranità e la civiltà delle altre potenze.

Per molti decenni, l’impegno della Cina con il mondo è stato prevalentemente economico. Oggi, la diplomazia cinese va ben oltre le questioni commerciali e di sviluppo. Uno degli esempi più drammatici e istruttivi di questo cambiamento è il ruolo crescente della Cina in Medio Oriente e Nord Africa. In passato questa regione era dominata dagli Stati Uniti, ma mentre Washington ha fatto un passo indietro, Pechino è entrata in scena. A marzo, la Cina ha messo a segno un importante colpo diplomatico mediando una tregua tra Iran e Arabia Saudita. Mentre un tempo il coinvolgimento della Cina nella regione si limitava al suo status di consumatore di idrocarburi e di partner economico, ora Pechino è un pacificatore impegnato a costruire relazioni diplomatiche e persino militari con i principali attori. Alcuni studiosi cinesi considerano il Medio Oriente come “un laboratorio per un mondo post-americano”. In altre parole, ritengono che la regione rappresenti l’aspetto del mondo intero nei prossimi decenni: un luogo in cui, con il declino degli Stati Uniti, altre potenze globali, come Cina, India e Russia, competono per l’influenza e potenze intermedie, come Iran, Arabia Saudita e Turchia, mostrano i muscoli.

Molti in Occidente dubitano della capacità della Cina di raggiungere questo obiettivo, soprattutto perché Pechino ha faticato a conquistare potenziali collaboratori. In Asia orientale, la Corea del Sud si sta avvicinando agli Stati Uniti; nel Sud-est asiatico, le Filippine stanno sviluppando relazioni più strette con Washington per proteggersi da Pechino; e c’è stato un contraccolpo anticinese in molti Paesi africani, dove le lamentele sul comportamento coloniale di Pechino sono numerose. Sebbene alcuni Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, vogliano rafforzare i loro legami con la Cina, sono motivati almeno in parte dal desiderio che gli Stati Uniti si impegnino nuovamente nei loro confronti. Ma questi esempi non devono mascherare la tendenza più ampia: Pechino sta diventando sempre più attiva e sempre più ambiziosa.

RUOTE DI SCORTA E SERRATURE
Anche la competizione economica tra Cina e Stati Uniti sta aumentando. Molti pensatori cinesi avevano previsto che l’elezione del presidente americano Joe Biden nel 2020 avrebbe portato a un miglioramento delle relazioni con Pechino, ma sono rimasti delusi: l’amministrazione Biden è stata molto più aggressiva nei confronti della Cina di quanto si aspettassero. Un economista cinese di alto livello ha paragonato la campagna di pressione di Biden contro il settore tecnologico cinese, che comprende sanzioni contro le aziende tecnologiche cinesi e le imprese produttrici di chip, alle azioni del presidente statunitense Donald Trump contro l’Iran. Molti commentatori cinesi hanno sostenuto che il desiderio di Biden di congelare lo sviluppo tecnologico di Pechino per preservare il vantaggio degli Stati Uniti non è diverso dagli sforzi di Trump per fermare lo sviluppo di armi nucleari da parte di Teheran. A Pechino si è formato un consenso sul fatto che l’obiettivo di Washington non sia quello di costringere la Cina a rispettare le regole, ma di impedirle di crescere.

Questo non è corretto: sia Washington che l’Unione Europea hanno chiarito che non intendono escludere la Cina dall’economia globale. Né vogliono disaccoppiare completamente le loro economie da quella cinese. Al contrario, cercano di garantire che le loro imprese non condividano tecnologie sensibili con Pechino e di ridurre la loro dipendenza dalle importazioni cinesi in settori critici, come le telecomunicazioni, le infrastrutture e le materie prime. Per questo motivo, i governi occidentali parlano sempre più spesso di “reshoring” e “friend shoring” della produzione in questi settori o almeno di diversificare le catene di approvvigionamento, incoraggiando le aziende a basare la produzione in Paesi come Bangladesh, India, Malesia e Thailandia.

La risposta di Xi è stata quella che lui chiama “doppia circolazione”. Invece di pensare alla Cina come a un’unica economia legata al mondo attraverso il commercio e gli investimenti, Pechino è stata pioniera nell’idea di un’economia biforcata. Una metà dell’economia, trainata dalla domanda interna, dal capitale e dalle idee, riguarda la “circolazione interna”, che rende la Cina più autosufficiente in termini di consumi, tecnologia e normative. L’altra metà – la “circolazione esterna” – riguarda i contatti selettivi della Cina con il resto del mondo. Contemporaneamente, anche se diminuisce la sua dipendenza dagli altri, Pechino vuole aumentare la dipendenza degli altri attori dalla Cina, in modo da poter usare questi legami per aumentare il suo potere ed esercitare pressione. Queste idee hanno il potenziale per rimodellare l’economia globale.

L’influente economista cinese Yu Yongding ha spiegato la nozione di doppia circolazione con due nuovi concetti: “la ruota di scorta” e “il blocco del corpo”. Secondo il concetto di “ruota di scorta”, la Cina dovrebbe avere alternative pronte nel caso in cui perdesse l’accesso a risorse naturali, componenti e tecnologie critiche. Questa idea è nata in risposta al crescente ricorso alle sanzioni occidentali, che Pechino ha osservato con preoccupazione. Il governo cinese sta lavorando per proteggersi da eventuali tentativi di tagliarla fuori in caso di conflitto, effettuando enormi investimenti in tecnologie critiche, tra cui l’intelligenza artificiale e i semiconduttori. Ma Pechino sta anche cercando di sfruttare la nuova realtà per ridurre la dipendenza dell’economia globale dalla domanda economica occidentale e dal sistema finanziario guidato dagli Stati Uniti. In patria, il PCC sta promuovendo il passaggio da una crescita trainata dalle esportazioni a una crescita guidata dalla domanda interna; altrove, sta promuovendo lo yuan come alternativa al dollaro. Di conseguenza, i russi stanno aumentando le loro riserve di yuan e Mosca non usa più il dollaro per commerciare con la Cina. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ha recentemente deciso di utilizzare le valute nazionali, anziché il dollaro, per gli scambi commerciali tra i suoi Stati membri. Sebbene questi sviluppi siano limitati, i leader cinesi sperano che l’armamento del sistema finanziario statunitense e le massicce sanzioni contro la Russia portino a ulteriori disordini e aumentino la volontà di altri Paesi di coprirsi dal dominio del dollaro.

Il “body lock” è una metafora del wrestling. Significa che Pechino deve rendere le aziende occidentali dipendenti dalla Cina, rendendo così più difficile il disaccoppiamento. Per questo motivo sta lavorando per legare il maggior numero possibile di Paesi ai sistemi, alle norme e agli standard cinesi. In passato, l’Occidente ha lottato per far accettare alla Cina le proprie regole. Ora la Cina è determinata a far sì che gli altri si pieghino alle sue norme e ha investito molto per aumentare la propria voce in vari organismi internazionali di definizione degli standard. Pechino sta inoltre utilizzando le iniziative Global Development e Belt and Road per esportare il suo modello di capitalismo di Stato sovvenzionato e gli standard cinesi in quanti più Paesi possibile. Se un tempo l’obiettivo della Cina era l’integrazione nel mercato globale, il crollo dell’ordine internazionale post-Guerra Fredda e il ritorno del disordine di stampo ottocentesco hanno modificato l’approccio del PCC.

Xi ha quindi investito molto sull’autosufficienza. Ma come sottolineano molti intellettuali cinesi, i cambiamenti nell’atteggiamento cinese verso la globalizzazione sono stati guidati tanto dalle sfide economiche interne quanto dalle tensioni con gli Stati Uniti. In passato, la forza lavoro cinese, ampia, giovane e a basso costo, era il principale motore della crescita del Paese. Ora la popolazione sta invecchiando rapidamente e ha bisogno di un nuovo modello economico, basato sull’aumento dei consumi. Come sottolinea l’economista George Magnus, tuttavia, per farlo è necessario aumentare i salari e perseguire riforme strutturali che sconvolgerebbero il delicato equilibrio di potere della società cinese. Rilanciare la crescita demografica, ad esempio, richiederebbe aggiornamenti sostanziali al sistema di sicurezza sociale del Paese, che è poco sviluppato e che a sua volta dovrebbe essere pagato con un impopolare aumento delle tasse. Promuovere l’innovazione richiederebbe una riduzione del ruolo dello Stato nell’economia, il che è in contrasto con gli istinti di Xi. Tali cambiamenti sono difficili da immaginare nelle circostanze attuali.

UN MONDO DIVISO?
Tra il 1945 e il 1989, la decolonizzazione e la divisione tra le potenze occidentali e il blocco sovietico hanno definito il mondo. Gli imperi si sono dissolti in decine di Stati, spesso come risultato di piccole guerre. Ma sebbene la decolonizzazione abbia trasformato la mappa, la forza più potente è stata la competizione ideologica della Guerra Fredda. Dopo aver conquistato l’indipendenza, la maggior parte dei Paesi si allineò rapidamente al blocco democratico o al blocco comunista. Anche i Paesi che non vollero scegliere da che parte stare definirono comunque la loro identità in riferimento alla Guerra Fredda, formando un “movimento dei non allineati”.

Entrambe le tendenze sono in evidenza oggi e gli Stati Uniti ritengono che la storia si stia ripetendo, in quanto i politici cercano di far rivivere la strategia che ha avuto successo contro l’Unione Sovietica. Pertanto, stanno dividendo il mondo e mobilitando i propri alleati. Pechino non è d’accordo e sta perseguendo politiche adatte alla sua scommessa che il mondo stia entrando in un’era in cui l’autodeterminazione e il multiallineamento avranno la meglio sul conflitto ideologico.

Il giudizio di Pechino è più probabile che sia accurato perché l’epoca attuale differisce da quella della Guerra Fredda per tre aspetti fondamentali. In primo luogo, le ideologie di oggi sono molto più deboli. Dopo il 1945, sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica offrivano visioni ottimistiche e convincenti del futuro che facevano presa sulle élite e sui lavoratori di tutto il mondo. La Cina contemporanea non ha un messaggio simile e la tradizionale visione statunitense della democrazia liberale è stata notevolmente ridimensionata dalla guerra in Iraq, dalla crisi finanziaria globale del 2008 e dalla presidenza di Donald Trump, che hanno fatto apparire gli Stati Uniti meno vincenti, meno generosi e meno affidabili. Inoltre, anziché offrire ideologie nettamente diverse e opposte, Cina e Stati Uniti si assomigliano sempre di più su questioni che vanno dalla politica industriale e commerciale alla tecnologia e alla politica estera. Senza messaggi ideologici in grado di creare coalizioni internazionali, non si possono formare blocchi in stile Guerra Fredda.

In secondo luogo, Pechino e Washington non godono dello stesso dominio globale che l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti avevano dopo il 1945. Nel 1950, gli Stati Uniti e i loro principali alleati (Paesi della NATO, Australia e Giappone) e il mondo comunista (Unione Sovietica, Cina e blocco orientale) rappresentavano insieme l’88% del PIL globale. Oggi, invece, questi gruppi di Paesi insieme rappresentano solo il 57% del PIL globale. Mentre le spese per la difesa dei Paesi non allineati erano trascurabili fino agli anni ’60 (circa l’1% del totale globale), oggi sono pari al 15% e in rapida crescita.

In terzo luogo, il mondo di oggi è estremamente interdipendente. All’inizio della Guerra Fredda, i legami economici tra l’Occidente e i Paesi dietro la cortina di ferro erano molto limitati. Oggi la situazione non potrebbe essere più diversa. Mentre negli anni ’70 e ’80 il commercio tra Stati Uniti e Unione Sovietica si attestava intorno all’1% del commercio totale di entrambi i Paesi, oggi il commercio con la Cina rappresenta quasi il 16% della bilancia commerciale totale degli Stati Uniti e dell’UE. Questa interdipendenza impedisce la formazione di un allineamento stabile di blocchi che ha caratterizzato la Guerra Fredda. Ciò che è più probabile è uno stato di tensione permanente e di alleanze mutevoli.

I leader cinesi hanno fatto un’audace scommessa strategica preparandosi a un mondo frammentato. Il PCC ritiene che il mondo si stia muovendo verso un ordine post-occidentale non perché l’Occidente si sia disintegrato, ma perché il consolidamento dell’Occidente ha alienato molti altri Paesi. In questo momento di cambiamento, è possibile che la dichiarata disponibilità della Cina a permettere ad altri Paesi di mostrare i muscoli renda Pechino un partner più attraente di Washington, con le sue richieste di un allineamento sempre più stretto. Se il mondo sta davvero entrando in una fase di disordine, la Cina potrebbe essere nella posizione migliore per prosperare.

MARK LEONARD è direttore dell’European Council on Foreign Relations e autore di What Does China Think? e The Age of Unpeace: How Connectivity Causes Conflict.

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