DER ELEFANT IM RAUM (L’elefante nella stanza), di Pierluigi Fagan

I migliori, i più furbi. Non è detto i più intelligenti_Giuseppe Germinario

DER ELEFANT IM RAUM (L’elefante nella stanza). Un fantasma si aggira nelle statistiche mondiali sul fenomeno pandemico. Un solo Paese al mondo, mostra statistiche del tutto fuori logica tra i dichiarati contagiati ed i morti: la Germania.

E sì che la Germania è il Paese europeo più grande (demograficamente circa un terzo circa più grande dell’Italia, della Francia e dell’UK), ha un peso di popolazione anziana praticamente pari all’Italia ed in più, è il primo Paese europeo in cui si è accertata la precoce presenza del virus il che è ovvio visto che è anche il Paese con i maggiori contatti ed interscambi economici coi cinesi. Il virus è lì da più tempo che altrove, in un Paese pieno di anziani, un terzo almeno di più che in Italia, ma i tedeschi non muoiono. Lo “spread dei morti” tra ogni Paese del mondo e la Germania è ovunque alto ma si sa, quando si tratta di spread, ai tedeschi piace ben figurare.

Il mistero ha attratto i giornalisti anglosassoni, vi hanno scritto articoli a vario titolo il FT, the Guardian, the Indipendent, WSJ, ma molto meno la stampa europea. L’Espresso, l’altro giorno, vi ha posto ritardata attenzione confezionando un “the best of” di ragioni a spiegazione, copiato dagli articoli anglosassoni che avevano doverosamente riportato le risposte tedesche alle domande poste:

1) Il loro facente funzione di ISS, il Robert Koch Institute (RKI) afferma che i morti tedeschi sono più giovani quindi la popolazione anziana è stata misteriosamente per il momento evitata dal virus (a parte il medico della Merkel). Qualcuno sostiene che gli anziani tedeschi vivono più “isolati” dai giovani che non in Italia o Cina, ma francamente a me pare una stupidaggine insostenibile, anche perché andranno pur in giro a far la spesa come tutti, no? ma le spiegazioni arzigogolate hanno anche varianti;

2) i tedeschi sostengono che l’epidemia, da loro, si sarebbe sviluppata più tardi. Ma come? esistono studi pubblicati su the Lancet che confermano la precocità del paziente 0 in Germania come è ovvio che sia. Portano loro l’infezione in Lombardia ma non in Germania? Tutta Europa ha più morti percentuali di loro perché loro sono “in ritardo” nella diffusione del contagio? Incredibile … anche perché la stampa tedesca se ne uscì a gennaio e primi febbraio con notizie di una incredibilmente contagiosa e virulenta epidemia di influenza polmonare, rigorosamente diagnosticata come tale e non corona virus come probabilmente era. Alla domanda se RKI dispone di test Covid-19 post mortem, gli interessati hanno risposto sì ma i giornalisti inglesi hanno verificato che la strana struttura sanitaria tedesca che è iper-federale, crea notevoli asimmetrie tra centro e periferia, ognuno fa un po’ come gli pare. In più perché fare i tamponi ex post e non ex ante visto che dichiarano di farne in ognidove? Questa strana struttura della sanità tedesca darebbe anche conto del perché i tedeschi danno le cifre in ritardo mentre John Hopkins University che segue la pandemia dall’inizio, dà cifre diverse perché attinge direttamente ai Lander. Insomma, a voler pensar male si potrebbe notare una certa cortina fumogena di grande confusione fatta apposta per render difficile la comprensione reale degli eventi e sopratutto per darsi la libertà di sparare cifre ad estro;

3) poi c’è la versione secondo la quale i tedeschi farebbero molti più tamponi di chiunque altro, dichiarazione del RKI riportata anche dalla stampa inglese (in effetti RKI dichiara che “possono” far tamponi, non che li fanno). Non so, a me secondo altri dati non risulterebbe, o sono sbagliati i miei dati o la stampa inglese riporta dichiarazioni tedesche senza verificarle e chissà perché tutti fanno finta di crederci;

4) si arriva così alle note enormi capacità di ricovero ospedaliero e letti di terapia intensiva tedesche. Ma dati alla mano, è vero che la Germania sta messa meglio dell’Italia ma l’Italia starebbe comunque messa meglio di (in ordine) Francia, Svizzera, UK ed Olanda oltre a molti altri. Ma più che altro, questa spiegazione se sembra logica di primo acchito non lo è in approfondimento. In Italia il SSN ha retto botta per un bel po’ prima di andare in affanno ed è andato in affanno solo nell’area più colpita. I morti a casa perché gli ospedali son pieni, in Italia non compaiono nelle statistiche. In più i morti italiani censiti, passano dai letti di terapia intensiva e finiscono nella bara comunque, come per altro in tutto il mondo visto che non sembra esserci una cura effettiva ma solo un supporto terapeutico che è lo stesso in tutto il mondo. Cos’hanno i tedeschi di diverso? Letti più comodi? Respiratori fabbricati dalla Mercedes? Dottor House in ogni stanza? Non si sa …

Ma una rasoiata di Occkam comincia qui e lì a comparire a mezza bocca. Un portavoce del direttivo del’ISS che ogni sera affianca Borrelli in conferenza stampa, a precisa domanda, qualche giorno fa ha risposto qualcosa tipo “io so che noi contiamo sia “morti di” che i “morti con”, come contano gli altri, non lo so”. Da qualche giorno questo insistere sul fatto che noi contiamo -tutti- i morti è stata ripetuta da Borrelli, Brusaferro e altri membri dell’ISS che si alternano giornalmente anche fuori dal contesto della “questione tedesca”. Ieri hanno avanzato dubbi su questa differenza che è logicamente l’unica e per giunta auto-evidente statisticamente e logicamente parlando, un biologo su la Stampa ed uno sul Corriere.

Nessuno può ufficialmente accusare i tedeschi di contare i morti in modo scorretto è evidente, sarebbe guerra diplomatica ed anche improprio perché non lo si può dimostrare, ovviamente. E’ inoltre una questione più politica che non virologica o biologica, non sta a gli scienziati fare ipotesi di tal fatta anche se ogni biologo o virologo o statistico sa che quella sproporzione è talmente esagerata che non c’è altro modo per spiegarla. E così si spiega anche il silenzio pudico in Europa, chi va a fare una accusa così grave ed indimostrabile e pure antipatica perché politicizzare i morti è davvero brutto?

Abbiamo visto tutti come ogni cancelleria ha negato sin dall’inizio l’esistenza del problema del virus pur nota a tutti come ora viene fuori nei rapporti dati con grande anticipo tanto negli USA che in Francia, UK e non c’è motivo di non ritenere, anche Germania. E tutti abbiamo visto come i Paesi più ostinatamente difensori del mercato come ordinatore sociale abbiamo ritardato gli interventi a costo di mentire, inventare idiozie come “l’immunità di gregge”, modulare interventi ma salvaguardando l’operatività economica come plaudono anche molti insospettabili difensori del “market first”, forse involontari, qui da noi. Magari avanzando cautele costituzionali o biopolitiche o libertarie o sdilinquendosi davanti ai miracoli del “modello coreano” o solo perché ormai il far polemica su tutto gli parte di riflesso facebook-esistenziale. E vediamo tutti la reazione furibonda al decreto del Governo pur in ritardo, pur mal comunicato, pur pieno di difetti, quando tocchi la fabbrica ed il denaro scoppiano scintille, è ovvio.

Il governo tedesco non conta i morti reali per non spaventare la propria popolazione che lo costringerebbe a misure che vogliono ritardare il più a lungo possibile, come hanno provato a fare tutti, e questo avviene nel cuore dell’Europa, dell’Occidente democratico e trasparente che s’indigna per i ritardi cinesi e le nebbie russe. Il virus in Germania colpisce solo giovani alti, biondi e sanissimi, per questo le Merkel va in quarantena stanziando miliardi di miliardi per far fronte ai 90 morti dichiarati (cioè come gli svizzeri che sono otto volte di meno!) in un mese e mezzo su 82 milioni di individui. “Buying time”, comprare tempo pagandolo con morti non censiti. Berlino manipolando la sua opinione pubblica ed iniettando al contempo denaro nell’economia, si vuole garantire il suo rimaner al centro del sistema europeo anche nel “dopo”, perché è quella la sua “potenza”. Ed alla potenza si sacrifica tutto.

[Il post è della serie libere opinioni. Naturalmente seguo la faccenda da giorni ed ne ho letto e studiato il più possibile, per quanto mi è stato possibile. Se qualcuno ha da postare dati (le opinioni di articoli che si arrampicano sugli specchi per favore no), che facciano ulteriore luce, è il benvenuto. Vediamo chi mi fa cambiare opinione …]

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PREVISIONI BRITANNICHE, di Pierluigi Fagan

PREVISIONI BRITANNICHE. Secondo la PHE britannica (Ministero della Sanità), l’epidemia di CV, durerà fino alla primavera 2021 con un calo estivo ed un ripresa nel prossimo autunno-inverno. In questa sua, inarrestabile, diffusione, infetterà circa l’80% della popolazione. Stimano 8 milioni di ricoverati, (spalmati non uniformemente nell’anno epidemico aprile 2020-aprile 2021) e circa 320.000 morti con un rate tra infettati complessivi (asintomatici, sintomatici influenzati a casa e sintomatici problematici e gravi ricoverati) dello 0,6% di quell’80%. Se fossero invece ad un rate dell’1% i morti sarebbero 530.000. Questo non è un post su come gestire il fenomeno, se all’inglese o all’italiana (tema interessantissimo che discuteremo a parte), è un post sulla attesa dimensione del fenomeno in quanto tale che rischia di rimaner più o meno tale a prescinder da come i diversi Paesi decideranno di gestirlo.

Alcune considerazioni:

1) la biologia non è l’ingegneria, le cifre dei fenomeni biologici non vanno prese alla lettera ma come media possibilmente oscillante tra +/-;

2) il PHE, come alcuni hanno fatto notare in questi giorni generando discussioni anche accese, ritiene che il virus non possa esser debellato se non con vaccino o medicinali oggi ancora in fieri. Tali medicinali sono in studio e creazione. Ma il protocollo int’le prevede –credo- un test topi e almeno tre test successivi su gli umani, poco più di un anno di tempo, di solito, prima di poter esser messi in circolazione. WHO però, potrebbe decidere di semplificare alcuni passaggi ed in assenza almeno di gravi effetti collaterali, autorizzare in via eccezionale una più precoce diffusione sperimentale di massa. A Pomezia dove una joint italo-britannica sembra esser molto avanti (vaccino) stimano comunque una eventuale operatività accelerata non prima di questo autunno-inverno. Altro discorso per medicinali che aiutano la gestione delle crisi respiratorie che diventano letali, su cui sono in corso altre sperimentazioni;

3) il virus non potrà mai esser fermato completamente perché anche ne rimassero in giro pochissismi esemplari, si riattiverebbe comunque la catena trasmissiva daccapo. Su dove, come e quanto resista il virus fuori del corpo umano, non ci sono certezze. Pare comunque resista quindi anche in assenza di casi conclamati per un po’ di tempo, potrebbe sempre rimettersi in circolo. Ovviamente, stante che non si potranno tenere i singoli Paesi ermeticamente isolati gli uni dagli altri per un anno, il circuito va inteso in senso ampio. La logica globale del CV è paradossale per noi, da una parte ti dice che l’alta interrelazione lo favorisce, dall’altra ti dice che, stante che anche minimizzandola non la puoi eliminare del tutto se non per brevissimi periodi, siamo parti di un unico sistema comunque tu decida di gestire tali interrelazioni.

4) gli indici di una contaminazione all’80% o un rate infettati/morti dello 0,6% o dell’1.0%, sono stime. Potrebbero esser 70%, l’indice potrebbe esser 1,5% – 1,0% – 0,5%, siamo a grana grossa, le cifre esatte le avremo solo fra qualche anno visto che il fenomeno non ha storia precedente su cui basarsi. Siamo dunque nel campo delle ipotesi. Ho usato fonti britanniche visto che queste sembrano -per alcuni- le meno colpite da virus sansazionalistici.

Ricordo che: 1) per quanto i morti siano il dato più clamoroso che attira la nostra attenzione, i dati da tener sottocchio sono due: A) i morti; B) gli ospedalizzati più o meno gravi. PHE, stima in 12% questi secondi sul totale popolazione, 15% sul totale infettati (80% della popolazione). Nessun sistema sanitario la mondo è in grado di gestire tali cifre, se non provando il più possibile a spalmarle in modo il più orizzontale possibile nei prossimi 12 mesi. Sul come farlo ci sono varie strategie, quella cinese , quella coreana, quella italiana, vedremo poi quali altre una volta che UK, Germania ed USA arriveranno a tassi di contagio più ampi.

Applicando gli indici dello studio britannico qui da noi, sarebbero tra i 5.5 ed i 7 milioni di ospedalizzati in un anno, con tra circa 250.000 – 500.000 morti in dodici mesi. Morti che si confermano per lo più (non del tutto ma grandemente) nella fascia anziana con da 2 a 4 patologie pregresse. Tra le patologie, si trovano anche i semplici diabetici, gli ipertesi, quelli con cuore un po’ ballerino. Qualcuno ancora sostiene la tesi CV=influenza, ma per quanto i dati siano disomogenei, si stima mi pare tra soli 4.000 a 10.000 i morti annui per complicazioni da virus influenzale, e molti ma molti meno ospedalizzati. Quell’equivalenza quindi non sembra avere senso.

Conclusioni: 1) questo studio britannico si muove sul solco di altri (un australiano, uno mi sembra americano) che rimangono per lo più secretati o poco pubblicizzati visto che danno una dimensione del problema piuttosto evidente e chiaramente, si cerca di non allarmare più di tanto le già allarmate popolazioni; 2) siamo nel campo di ipotesi su ipotesi ma A) non si può far a meno di fare ipotesi; B) questo è quello che si può fare stante dati, esperienze, conoscenze incomplete e senza storia pregressa; 3) chiaramente, il fenomeno sembra mostrarsi con un profilo davvero epocale ed a suo modo catastrofico intendendo questo termine per etimologia (καταστρέϕω «capovolgere»). Molti parametri della nostra vita associata vanno in capovolgimento.

Aggiungo una mia riflessione veloce che giustifica questo stesso post. Dal momento che c’è la fondata previsione andremo incontro a tempi di molteplici capovolgimenti, su quali aspetti e con quale intensità è tutto da vedere, chi se la sente, potrebbe cominciare a dar vita ad un dibattito di accompagno del fenomeno. La storia diventa, in questo periodo, una materia malleabile. Alcune forze potranno dar forma a questa storia, più che in passato. C’è da aumentare la nostra riflessione, la nostra facoltà previsionale della cascata degli eventi, preparare la partecipazione a gli stessi eventi. Si apre una finestra di contendibilità delle forme sociali, tramite la politica. Veniamo tutti da decenni di anestesia intellettiva e soprattutto di impotenza politica, di arrendevole pessimismo, di sviluppo della sola funzione critica passiva. La nostra vita associata verrà sconvolta dal passaggio dell’angelo della storia ed il futuro non è scritto. E’ il momento di prender la penna, collegare la mano al cervello, le menti tra loro, è mettersi nella nuova condizione di scriverla assieme questa storia. Altrimenti la scriveranno altri. Il mondo non sarà più lo stesso ormai tutti hanno capito, come sarà però lo deciderà la nostra partecipazione attiva al dargli forma.

[Nei giorni scorsi ho avuto discussioni anche nervose con amici di matita come Giorgio Bianchi e Vincenzo Cucinotta. Anche grazie a loro tesi, per me eterodosse, è stato scritto questo post. Non vergogniamoci di litigare, di discutere, di far cozzare l’un contro l’altro i nostri sistemi di idee. Solo l’intelligenza collettiva può tentar di scalare questo esplosione di complessità in atto. Di tale sistema collettivo pensante, ognuno di noi è un neurone o piccolo gruppo di neuroni. Se qualcuno trova errori di calcolo nel post li segnali, ho preferito la puntualità della notizia più che l’accuratezza, possono quindi esserci errori, se me li segnalate, li correggiamo. Nel discutere tra noi, il nemico comune è l’inconosciuto non quello che dice una cosa diversa dalla tua. Se su singoli dati qualcuno ha altre fonti le posti]

CONTINUARE A RIFLETTERE MENTRE ACCADONO I FATTI, di Pierluigi Fagan

CONTINUARE A RIFLETTERE MENTRE ACCADONO I FATTI. Una settimana fa, scrivemmo un post sul fatto dei tempi, lasciando lì una domanda di accompagno allo svolgersi dei fatti: in che misura quanto sta succedendo cambierà la mentalità e poi le forme sociali, se le cambierà? Mi pare la domanda sia e sarà, a lungo, attuale. Vediamo allora, se qualcosa sta cambiando, cosa sta cambiando.

Al momento sta cambiando una cosa sola che però non è di poco conto. Stiamo mano a mano sapendo di non sapere. Il virus sta avendo una funzione socratica, almeno potenzialmente. Non sappiamo un sacco di cose, vediamo di farne un primo elenco:

1) Del virus non sappiamo l’origine. Le tesi possibili, al momento, sono due, l’origine animale e quella umana. Quella umana ipotizza il caso o l’intenzione deliberata. La prima possibilità, l’inavvertita fuga da un laboratorio mi pare molto improbabile, la seconda mi pare ancor meno probabile per varie ragioni, ma il post non è su quello che io penso a riguardo quindi lasciamo lì la pista. L’origine animale a sua volta, chiama due considerazioni. La prima, come alcuni stanno cominciando a fare, è sul quanto il cambiamento climatico ovvero il cambiamento degli equilibri dinamici delle ecologie, stia portando a contatto le specie in modo nuovo, contatto che forma le prime catene si trasmissione che poi arrivano all’uomo.

La seconda considerazione invece è più una constatazione, una deduzione cioè cosa certa eppure fintanto che viene espressa, non conosciuta esplicitamente. L’ha espressa ieri una biologa italiana “gli uomini sono animali”. Questo potente ritorno del biologico che riprende il dominio dell’immagine di mondo dopo esser stato a lungo chiuso in cantina mentre all’attico dell’edificio cognitivo il metafisico, l’economico e l’informatico si dilettavano a dar dell’umano astratte descrizioni ad hoc necessarie poi a sciorinare il loro discorso egemone, è il grande ritorno del principio di realtà. Si noti ad esempio come alcuni concetti di recente o meno recente, grande diffusione stiano cambiando significato: il virale ad esempio, la realtà aumentata, la sempiterna relazione problematica mente-corpo, l’altra sempiterna problematica relazione emozione-ragione, il presunto concetto di “singolarità”, il nostro tendere a costruire cose morte che poi ci fanno pensare di essere divinità creatrici, il trans umanesimo e l’immortalità, il grande significato dei Big data, la distruzione creatrice, confini e frontiere, libertà, e molto altro. Il virus, sull’immagine di mondo, potrà avere un certo effetto, credo.

2) La seconda cosa che non sappiamo è anch’essa duplice: che effetto ha sugli individui e che effetto ha nei grandi numeri? Il virus si sta scavando una sua nicchia definitoria tra l’influenza nomale e quella spagnola. Ma fanno fatiche molte menti ad aggiornare la classificazione e quindi s’è speso inutilmente molto tempo per cercar di capire se fosse dell’una o dell’altra categoria, quando il suo posto è semplicemente in un’altra categoria, una categoria propria. Fanno fatica le menti individuali ma fa molta più fatica la mente collettiva anche perché gli esperti riflettono lo stato di incertezza. Scopriamo così lo statuto limitato della stessa nozione di “esperto”. Esperto di cosa? Innanzitutto se il virus è di tipo nuovo e categoria propria, le analogie non funzionano. La novità poi di per sé significa che non ha storia pregressa e quindi è difficile fare induzioni. Poi tra i biomolecolari, i biologi, gli epidemiologi, i medici, gli statistici, i nutrizionisti, gli immunologi, i farmaceutici ci sono decine di gradazioni di esperti. Ci vorrebbe une esperto di esperti, ma temo che direbbe: ancora non sappiamo dire precisamente. Forse è proprio che quell’aspettativa di “precisione” è sbagliata, le cose morte sono precise, quelle vive no. Ma a noi piacciono i numeri, i confini definiti, le cose chiare e distinte e poiché non vogliamo rinunciare a questa aspettativa a priori, costringiamo i fatti nel nostro letto di Procuste, tagliandoli, allungandoli, legandoli, obbligandoli a stare lì dove non possono stare ed a dirci quello non ci possono dire. Ci metteremo un po’ a cambiare i nostri presupposti, è questo il destino del nostro obbligo ad adattarci alla realtà. Questo poi se gli esperti vivessero nel migliore dei mondo possibili. Nei fatti però vivono nel nostro imperfetto mondo e quindi ecco che prima si allarmano, poi rimangono allarmati ma gli vien detto di esser rassicuranti, poi sono in competizione tra loro, oscuri funzionari della scienza vengono sbattuti davanti al microfono ed il video provando il warholiano quarto d’ora di celebrità e fanno pasticci. Ne potrebbero conseguire effetti positivi, tipo domandarsi cos’è la scienza o se sono legittime le nostre aspettative per un certo tipo di scienza che però non corrisponde alla scienza in quanto tale, quanto finanziamo e quale scienza finanziamo nella ricerca e molto altro. Ma è presto per dire, vedremo. Nel frattempo scopriamo di non sapere molte cose come accadde a suo tempo per il termine “spread” ovvero la differenza tra epidemia e pandemia, tra causa unica (il virus ammazza) e causa complessa (il virus può portare sistemi già compromessi all’esito finale, è causa quindi? O concausa? Che cos’è una concausa?). Non sapendo che WHO ha lanciato un voluminoso paper su i rischi epidemico-pandemici come fenomeno probabile per una serie di ragioni già nel 2007 (ma altri ne parlavano già negli anni ’70), ci meravigliamo che Bill Gates se ne occupi per cui se si occupa sapendo cose che noi non sappiamo, invece di domandarci cosa non sappiamo, deduciamo che Bil Gates fabbrica apposta virus per sterminarci. Anche se il virus ha mortalità relativa. Tra l’altro, WHO ossia OMS è l’unica entità pubblica ad aver mantenuto costante forma e contenuto del suo dire in queste settimane, un dire settato sul problematico-plumbeo direi.

Il secondo effetto è nei grandi numeri. Qui appaiono chiare alcune cose, ovvero che le cose non sono chiare. Come fa il Sud Est asiatico ad avere così pochi casi? O il Pakistan? O le monarchie del Golfo? E l’Africa? La Germania? Gli Stati uniti d’America? Abbiamo citato tutte aree che statisticamente hanno dalle decine alle centinaia di linee di interrelazione coi cinesi, più che non quelli di Codogno lodigiano. Scopriamo così che in alcune parti del mondo globale gli standard sanitari non sono globali (accipicchia, una deduzione davvero illuminante!), ma non lo sono neanche quelli politici. Spicca il caso americano dove il presidente ha nominato addirittura uno “Zar”, un terminale unico che è l’unico che ha diritto a parlare di cosa sta succedendo. Però è scientificamente affidabile visto che si è più volte dichiarato per il “disegno intelligente”. E cosa succede quindi nel Paese che non ha una sanità pubblica, in cui i test tamponi sono a volte a pagamento, dove la lobby delle assicurazioni private trema al timor di doversi dissanguare per pagare gli effetti del cigno nero, dove il partito di opposizione rischia di veder nominato candidato uno che propugna la sanità pubblica sul modello europeo e dove tra nove mesi si va ad elezioni col rischio di esser in recessione economica e l’evidenza che solo i ricchi possono sperare di sopravvivere indenni alla cieca furia infetticida del virus cinese? Ma che domande, non succede (quasi) niente, è ovvio! Quindi, sì non sappiamo perché non abbiamo esperienza ma neanche sapremo perché chi detiene le chiavi del diritto pubblico all’informazione, deciderà che è meglio non sapere. Infatti, una prima cosa che abbiamo capito presto, è che non il virus in sé ma le aspettative su i suoi effetti sono molto più dannose del virus stesso, per cui la società dell’informazione diventa improvvisamente la società della non informazione. I dati saranno Big per le banche dati che servono la marketing ed al controllo panoptico ma rimarranno Small per quanto riguarda ampiezza e velocità dell’epidemia.

Questa enorme bolla di incertezza oscura poi tutto il resto. L’Antartide nell’ultimo mese si sta sciogliendo e se si scioglie tutta, dio non voglia, i mari saliranno di cinquanta metri. Di cavallette abbiamo già parlato in altro post. In India si massacrano tra hindu e musulmani con un bilancio morti e feriti che fa di Delhi un posto più rischioso di Vo’ euganeo. Trump fa finta di fare pace coi talebani ma con effetti a quattordici mesi per cui c’è tutto il tempo per presentarsi alle elezioni come “ho mantenuto le mie promesse” e poi ripensarci. La Nato che ha perso l’andata della guerra in Siria, vuole giocare il ritorno scendendo in campo con i turchi che nel frattempo ci vogliono inondare di siriani, a noi che poi in teoria siamo Nato. A dirigere la CDU si candida un certo Merz che oggi lavora per Blackrock che fa paura solo a guardarlo con la sua aria da feldmaresciallo sadico che ci farà ricordare la Merkel come Nonna Papera. Prestigiose università americane hanno verificato e confermato che i risultati delle elezioni che si tennero in Bolivia erano assolutamente corretti e quindi abbiamo cacciato un presidente legittimo perché trionfasse la vera democrazia. Roubini è l’unico che dice quello che tutti sanno ovvero che ci sarà una recessione globale. Nel mentre torme di sciacalli si aggirano furtivi intorno al caos per trarne qualche piccolo vantaggio, economico, finanziario, politico, geopolitico, di momentanea notorietà.

Non sappiamo poi tante altre cose, dal quanto durerà, al che effetto finale avrà, del che faremo dopo, se ci saremo nel dopo e così via. Ma dovremo abituarci, è passata una sola forse un paio di settimane dall’inizio della storia, almeno la sua italica fase conclamata. C’è tempo per sapere quante altre cose non sappiamo e sapremo e domandarci meglio che ruolo hanno informazione e conoscenza nei funzionamenti delle nostre società complesse. Intanto, laviamoci le mani …

NB tratto da facebook

DELLA FUNZIONE INTELLETTUALE IN SOCIETA’, di Pierluigi Fagan

DELLA FUNZIONE INTELLETTUALE IN SOCIETA’. I rapporti tra immagini di mondo individuali e quella collettiva sono complessi. Chi ha quasi coincidenza, naturale o indotta, tra le due, avrà successo sociale assicurato. Chi no, dipende da come gestirà la relazione. Un individuo a tendenze intellettuali in una popolazione seminomade-militare, ad esempio, potrà soffrire di disadattamento finendo con l’esser un cattivo soldato sebbene sia un ottimo pensatore. Ma c’è anche la possibilità di scavarsi una nicchia adattiva, ad esempio diventare un cantore delle gesta dell’orda (fornirle la funzione di memoria), uno storico, il redattore dei discorsi pubblici dei capi, colui che aiuta a spiegare al “popolo” perché si fa così ed è giusto si faccia così e non in altro modo.

Può anche diventare un sacerdote, molte volte gli individui a tendenze intellettuali, nella storia, hanno avuto sfogo solo nell’appartenenza al clero. Così era nell’Antico Egitto ed in Mesopotamia, nei mille anni del medioevo europeo è stato così, lo studioso confuciano nella longeva Cina imperiale anche, (sebbene il confucianesimo non sia propriamente una religione per il significato che diamo in Occidente del termine), il monaco buddista pure, i filosofi arabi in effetti aristotelico-neoplatonici erano necessariamente, prima, islamici. Poi qualcuno ha capito il trucco ed ha detto “se siete islamici siete già dotati di un filosofia, quindi il resto fa solo confusione” e da allora l’islam non ammette più il pensiero filosofico (circa 1200 d.C.). Spesso, sono proprio gli intellettuali se in forma civile o i chierici in forma religiosa a “costruire” l’immagine di mondo. Non che se la inventino, usano certo pezzi esistenti, svolgono però la funzione di cucitori di pezzi dandone coerenza estesa, ci mettono le cause, abbinano i valori e conseguenti giudizi, danno coerenza ed offrono compiuta forma narrativa.

Poiché l’idm collettiva non ha un Io penso, per giungere sul piano sociale alla complessità funzionale che hanno le idm individuali, qualcuno dotato di Io penso deve confezionarle e revisionarle di continuo in nome e per conto del gruppo sociale o come più spesso avviene, delle proprie élite di potere. Gramsci aveva capito il problema e la sua definizione di “intellettuale organico” era appunto la presa di coscienza e di responsabilità dell’intellettuale che invece di operare al servizio del potere, si mette a servizio dei suoi simili. La cosa poi non è così semplice perché se i contro-poteri o poteri alternativi, non hanno parte anche minoritaria del potere sociale (come accadde in Italia con l’egemonia del PCI anni ’50-’60-’70), non potranno mantenere i propri intellettuali che comunque sono individui necessitati come chiunque altro. Se quindi un potere domina tutte le fonti di reddito per intellettuali, coloro che sfidano quel potere non avranno gli “Io penso” che costruiscono, coordinandole, le immagini di mondo organiche ed estese e quindi non avendo una facoltà pensante condivisa, la loro azione politica sarà depotenziata ed inefficace.

Alcune forme di potere nelle varie comunità occidentali, si sono talmente evolute, da prevedere a loro beneficio, anche la coltivazione del pensiero dissenziente. Naturalmente sarà un pensiero dissenziente inefficace, cioè che non produce teorie viabili per un altro modo di stare al mondo. In Occidente, ciò ha preso la forma tipica del “pensiero critico”, una voluminosa tradizione di chirurghi della contraddizione e giudici morali che sanzionano lo status quo, i quali producono solo “coscienza infelice”. Hanno qualche cattedra, pubblicano qualche volume, vengono interrogati pubblicamente quando la società ha bisogno di far della falsa contrizione e pentimento, ma tanto si sa che tutto questo non sposta l’ordine sociale di un millimetro. Purtroppo, le vicende del pensiero occidentale, ad un certo punto hanno portato questa convinzione che la funzione critica o negativa, sia parte dello sviluppo adattivo di una immagine di mondo. In parte è così, ma in parte no, perché la forma complessiva di una immagine di mondo non cambia perché cambiano o si aggiustano alcune sue parti minori. Su quelle maggiori o strutturali, i poteri dominanti accettano l’alternativo volo pindarico solo se è di tipo ideale, cioè ineffettivo sul piano pratico.

Così, gli ultimi centosettanta anni di invocazione dell’uscita dal capitalismo che è come invocare di uscire dalla polmonite per uno che vive nudo al polo nord.

tratto da facebook

la matassa, di Pierluigi Fagan

Avevamo detto che la logica degli eventi culminati con l’uccisioni di Soleimani, ci sarebbe apparsa più chiara in seguito ai suoi sviluppi. Proviamo dunque a fare il punto del cosa e quanto successivamente successo, ha o non ha chiarito il quadro.

L’Iran ha inviato una serie di missili forse avvertendo per tempo gli americani di modo da non fare vittime. Ha mostrato i suoi gioielli (i missili erano tutti made in Iran), ha dato in pasto alle sue opinioni pubbliche un segno di presenza, ha minimizzato gli effetti concreti dell’attacco. In realtà, per dichiarazioni convergenti dei suoi vari vertici politici e militari, l’Iran ha ribadito che l’obiettivo di fondo rimane l’estromissione degli americani dalla regione, che a sua volta è una dichiarazione propagandistica che va ridotta a “estromissione dall’Iraq”.

Ci sono almeno tre buoni motivi per perseguire questo obiettivo: 1) non avere gli americani vicini di terra, stante che rimarranno vicini di acqua sulla sponda occidentale del Golfo Persico ed in parte nel Kuwait; 2) poter espandere la propria influenza sul territorio vicino vista la maggioranza sciita di quest’ultimo; 3) continuare a perseguire l’obiettivo del continuum territoriale che dia in qualche modo a Teheran la possibilità di portare una pipeline a sfociare nel Mediterraneo che poi era il cuore del lavoro tessuto da Soleimani.

A proposito di gas e Mediterraneo, va segnalato che: 1) il giorno dell’attacco Netanyahu si trovava in Grecia dove ha firmato con la Grecia e Cipro, accordi per una nuova pipeline che partendo dalle acque territoriali israeliane, via Cipro, arriverà in Grecia. I Greci hanno specificato che dell’accordo fa implicitamente parte l’Italia (poiché la pipeline, dalla Grecia andrebbe in Italia) che però non era presente per suoi motivi interni di governo; 2) pare che i Greci si apprestino anche a diventare porto d’attracco per l’importazione di gas GNL offerto dagli USA (fonte analista di al Jazeera ovvero Qatar). Più in generale, si stanno configurando due cartelli del gas, uno è quello turco-russo, l’altro è quello americano-israeliano-egiziano-cipriota-greco (con la linea egiziana che è concorrente di quella israeliana). Entrambi contano sulla riconversione energetica europea di transizione (da petrolio e carbone a gas, in attesa delle rinnovabili) ampiamente annunciata dalla ex punk U. von der Leyen; 3) pochi giorni fa il cartello turco-russo ha inaugurato il TurkStream che arriverà in Bulgaria e da lì Serbia ed Ungheria, mentre per completare a nord il NorthStream2 che arriverà in Germania, mancano solo 300 Km su i 2.500 previsti e già pronti. Su entrambi o meglio su i paesi partner, Trump è pronto ad elevare sanzioni secondo una legge firmata a dicembre e ratificata dal Congresso. Per altro i russi hanno fatto anche un nuovo accordo con gli ucraini nell’ambito dell’operazione disgelo promossa da Macron per far passare il gas di nuovo anche tramite loro. In Italia arriverà anche il TAP si stima nel 2020.

I turchi sono su tutte le furie con gli israeliani-greci-ciprioti in quanto, sebbene non riconosciuta dalla comunità internazionale, c’è una parte turca di Cipro e quindi pretendono di esser messi in torta al nuovo progetto. Ignorati, hanno allora fatto un accordo con la Libia e questa nuova liaison spiega anche il perché delle truppe di jihadisti siriani amici di Ankara inviati da quest’ultima in Libia. Libia in cui oltre a quello di terra, si può perforare nel Golfo di Sirte sotto il quale c’è sicuramente altro gas abbondante. La faccenda turco-greca animerà le cronache dei prossimi mesi/anni poiché sotto c’è una certa confusione su i diritti delle acque territoriali e quindi ci sarà da questionare parecchio. In questo casino s’inscrive l’ambizione di Teheran di aggiungersi al “porta anche tu il metano in Europa”, stante che a questo punto potrebbe anche portare quello del Qatar (visto che l’operazione Siria non è andata in porto) che è alleata e finanziatrice di Serraj tramite Erdogan, anche condividendo i panni ideologici sempre utili della comune “fratellanza musulmana”, che invece fa venire l’orticaria a quelli del Golfo ed all’Egitto.

Tornando a USA vs Iran, il giorno dopo lo strike iraniano, Trump ha detto che aumenterà la pressione sanzionatoria verso Teheran e tutti coloro che ancora fanno affari con Teheran (cioè l’Asia e la Russia), pretendendo più impegno da parte della NATO. Si potrebbe allora ipotizzare che Trump voglia in effetti quasi uscire quatto-quatto dall’Iraq facendo bella figura elettorale tipo “riporto i ragazzi a casa”, facendo anche finta di assecondare le volontà irachene che però vanno pesate in quanto sunniti e curdi non sono affatto d’accordo col ritiro americano voluto dagli sciiti, allentando la tensione con Teheran, ma senza effettivamente levare il piedino dall’Iraq poiché sostituito da quello NATO che è pur sempre una sistema ordinato dagli americani. La cosa diventerebbe confusa, con sopra tutta l’ulteriore confusione propagandistica, si guadagnano un po’ di mesi e dopo la rielezione si vedrà.

Ma Trump, invero, nel mentre tutti si aspettavano notizie sul fatto del giorno che era lo strike missilistico, è apparso circonfuso di luce avvicinandosi al leggio della conferenza stampa in quel della Casa Bianca, parlando invece di nucleare. E sul nucleare iraniano ha detto che tutti i paesi del precedente accordo debbono archiviarlo, incluso l’Iran che per altro non lo ha abbandonato del tutto pur avendo dichiarato l’aumento delle produzioni connesse. La sua raccolta di nuovi accordi da portare all’esame elettorale (di cui parlammo in un precedente post), avrebbe compimento laddove potesse presentarsi con un nuovo accordo con l’Iran. Trump infatti, mentre tutti aspettavano di sapere notizie sull’attacco, si è dilungato su i miliardi dati da Obama all’Iran a seguito di quell’accordo, mostrando alla propria opinione pubblica come questi abbiamo finanziato le strategie del super-cattivo Soleimani. Vedo analisti che snobbano la partita elettorale americana nell’analisi dei fattori, ma mi sa che sono poco informati sulle reali condizioni politiche di Trump e del suo centro di potere. Super sanzioni all’Iran quindi ed a tutti coloro che ci fanno affari cioè i co-firmatari del precedente accordo, a dire: “perché non la fate finita e mi fate fare questo nuovo accordo che ce ne stiamo tutti più tranquilli e felici?”.

Sul piano militare si segnala che gli USA stanno silenziosamente rinforzando la presenza aero-navale-missilistica nella zona a dire “io voglio trattare con le buone ma se necessario da qui a novembre, posso anche usare le cattive se preferite”. Tant’è che i dem hanno fatto un pronunciamento che tanto non passerà al Senato, per limitare i “poteri di guerra” del Presidente. Certo che i dem sanno cosa sta succedendo sul piano militare e lo sanno dal di dentro. “Speak softly and carry a big stick; you will go far” diceva Theodore Roosevelt, tra i beniamini di Trump per sua esplicita ammissione.

Middle East Eye (Qatar, se non amico, quasi-amico o non nemico dell’Iran, stante che comunque ospita la più grande base americana della zona da cui probabilmente è partito il drone killer di Soleimani, ma ha anche in condominio con l’Iran il più grande giacimento di gas del mondo sotto le onde del Persico) ha sostenuto che spifferi ottenuti dai diretti interessanti, dicono che le forze irregolari alleate di Teheran nella regione non sono pronte a condurre attacchi significativi, la decapitazione missilistica americana ha anche gettato in confusione le forze sciite in Iraq. Tant’è che si segnala la nascita di una sorta di federazione delle forze sciite perché lo sbandamento è stato forte. Iraq in cui si comincia a giocare anche la partita di nuove elezioni per un nuovo governo (parallelamente anche in Israele, con probabilità) che è poi quello che dovrebbe dar seguito ai pronunciamenti del parlamento sull’uscita della forze straniere dal proprio territorio e stante che il nazionalismo iracheno (inclusa una parte sciita), comincia a mal soffrire tanto gli americani, che gli iraniani.

Infine, Teheran, ha ammesso l’errore dell’abbattimento dell’aereo ucraino. Poteva non farlo ma l’ha fatto, segno che ci tiene a tenere un certo profilo a livello di comunità internazionale, pagando in immagine di affidabilità ma guadagnando in onestà. Potrebbe anche trattarsi di un segno di prevalenza dell’ala riformista vs quella militare, partita nota a gli USA da prima di colpire Soleimani e parte del quadro come dicemmo il giorno dopo il fatto.

Insomma, non abbiamo le idee molto più chiare o meglio abbiamo chiarito certi punti ma se ne sono aperti altri, come al solito. Chiudo con una nota metodologica. Allego cartina presa da un post di un contatto amico che ringrazio (Davide Ragnolini) perché esemplifica visivamente che sorta di grande casino sia il Medio Oriente, tenuto conto che manca l’affaire palestinese-israeliano, le questioni petrolifere, quelle ideologiche, gli sciiti e sunniti, per “semplificare”. Nonché la Cina, l’India e Keyser Söze. Anche a consigliare a molti amici di moderare gli impeti ideologici nel fare analisi, la realtà è già bella complicata e dovremmo tutti cercar di comprenderla meglio moderando l’entropia dei giudizi in libera uscita. Dopo tifiamo, ma prima raccontiamo la partita. Al prossimo aggiornamento che tanto la faccenda, come si sarà capito. “non finisce qui”.

 

SOLEIMANI_DEI FATTI E DELLE INTERPRETAZIONI, di Pierluigi Fagan

DEI FATTI E DELLE INTERPRETAZIONI. Al solito, il volume dei commenti, analisi, interpretazioni dell’attentato americano al generale iraniano in Iraq, supera di molti gradi la manciata risicata dei fatti noti. Ieri ho seguito lunghe dirette televisive su i canali -all news-, oltre ovviamente ad aver dragato nel mondo della stampa e dell’on line. I punti più interessanti da qui riportare mi sembrano tre.

1) Si sta formando un consenso interpretativo maggioritario basato soprattutto sulle idee di chi sa più fatti di altri, sul fatto che la posta immediatamente in gioco sia l’Iraq. Non potendo più contare sulla piena agibilità delle basi in Turchia, gli americani avrebbero cominciato a trasferirsi in parte in Iraq. Soluemani, aveva individuato proprio l’Iraq come terreno di contesa. Molti fatti poco seguiti da chi non si occupa di queste cose, ma è sempre pronto a farci sapere la sua opinione quando qualche botto risveglia la sua assopita attenzione, confermerebbero questa lettura. La questione è troppo complicata per esser qui riassunta, indico solo il tema e do due riferimenti, Negri e NYT. Sul M.O. Alberto Negri indubbiamente sa più fatti di chiunque altro in Italia, fatti reperiti in loco e per decenni e non desunti dalla poltrona di casa scorrendo ieri tre articoli a caso. NYT è sempre indicatore del consenso di certe letture americane provenienti da ambienti meglio informati di chiunque altro.

2) C’è chi ha notato l’insistere ieri di Trump ed in parte Pompeo, sul fatto che: a) forse non poi così tanti, nello stesso Iran oltre che in Iraq, sarebbero stati sinceramente dispiaciuti della scomparsa di Soleimani; b) l’Iran sa che militarmente, in un confronto diretto con gli USA, non andrebbe da nessuna parte (tra droni, missili, aerei e satelliti, nelle prime quattro ore di eventuale conflitto diretto, gli USA possono incenerirti facendo danni molto più decisivi di quelli che tu puoi far loro). Perché allora non accettare l’offerta di ridiscutere l’accordo che Trump ha rimesso in discussione perché fatto da Obama? A dire che Soleimani era il capo del deep state iraniano che come ogni deep state a base di “complesso militar-industriale” vive letteralmente di conflitto. Dato il peso che questo deep state ha negli equilibri interni iraniani, far fuori il suo capo è oggettivamente indebolirlo, il che potrebbe avvantaggiare l’ala più aperta all’ipotetica ripresa della trattativa. Non so se è wishful thinking, ho sentito ripetere l’ipotesi da rappresentanti di aree altrettanto ben informate, ma che lo siano davvero o solo pensino di esserlo, non so dire. Quando si tratta di questioni interne all’Iran, non so dire chi effettivamente ha le informazioni complete, incluse CIa e Mossad.

3) Si nota un diffuso limite analitico tipico delle partizioni che le specializzazioni del lavoro producono. Chi segue politica estera non s’intende di politica interna e viceversa. Ma il presidente degli Stati Uniti, ogni giorno, ha sul tavolo problemi dell’uno e dell’altro, oltre a quelli economici e sociali, quindi quando prende una decisione lo fa non con quello che ha testa l’esperto del parziale ma con quello che riguarda la sua funzione, che è generale. Viepiù se deve andare ad elezioni tra pochi mesi e sa di esser stato eletto con meno voti dell’avversario, grazie a stati in cui si era presentato come protettore dell’industria e potenziale investitore pubblico (promesse che ha mantenuto solo in parte, la seconda per niente), dopo quattro anni in cui la sua notorietà e consenso ecumenico non si è certo allargato. In più è sotto impeachment e se non dovesse esser rieletto perdendo l’immunità, oltretutto anche preda di possibili persecuzioni amministrative e fiscali. Sul piano personale poi, certo a nessun presidente piace non esser riconfermato per il secondo mandato (una manciata su i 44 presenti in lista), ma per il profilo psichico di Trump sarebbe una vera e propria catastrofe psicotica. A parte il gruppo di interesse che lo sostiene, poco propenso a farsi da parte. Quindi, quando Trump ha dato l’ordine tocca ricostruire cosa aveva in testa lui, non quello che abbiamo in testa noi.

L’ampio ventaglio del possibile si amplierà geometricamente fintanto che non avremo la reazione iraniana che ieri ha precisato avverrà “a luogo e tempo debito”. Come detto ieri, anche gli iraniani hanno tre punti da considerare: 1) il messaggio da dare internamente alla nazione divisa politicamente e con recenti manifestazioni represse con molta decisione (difficile aver certezza dei numeri ma il numero dei morti ammazzati non sembra del tipo “c’è scappato il colpo”, quindi il problema c’è ed è bello grosso); 2) il messaggio da dare all’intricata rete delle penetrazioni d’influenza iraniane negli ambienti sciiti della regione (Siria, Libano, Yemen, Iraq ma ricordo che gli abitanti del Bahrein sono in maggioranza sciiti sebbene il monarca sia sunnita filo-saudita e anche la zona dei pozzi sauditi è a forte presenza sciita); 3) più forse che l’America in senso generale, cercar di colpire dove posa far più male proprio a Trump perché altri quattro anni di Trump sarebbero una sciagura e poiché Trump va ad elezioni, “tempo e luogo” forse va interpretato in questo senso. Se l’Iran è diviso, lo sono anche gli Stati Uniti, quindi quella che sembra una partita a due, in realtà è a quattro.

Ricordo infine il quadro strategico a più ampia inquadratura spazio-temporale della questione iraniana. Oltre al ruolo geopolitico regionale (sciiti-sunniti, Siria-Russia-Turchia) e mondiale (in riferimento all’Asia, quindi India, Cina e non solo), c’è il problema della continuità territoriale Iran-Iraq-Siria per il famoso piano delle condotte che possano trasportare il gas del più grande giacimento scoperto sino ad oggi, il North Dome/South Pars del Golfo Persico che gli iraniani hanno in condominio amichevole col Qatar -alleato della Turchia nello scacchiere-, nel Mediterraneo. A suo tempo, c’era chi poneva questa questione a base di tutta la storia iniziata con Stato islamico e guerra siriana. Questo confermerebbe l’importanza del primo punto, condizionato dagli sviluppi del secondo, tenuto conto del terzo. Aspettiamo quindi “tempo e luogo” e capiremo meglio l’entità ed il possibile esito del gioco.

[L’immagine fotografava la faccenda citata in chiusura del post all’inizio della guerra siriana. Oggi, il Qatar esporterebbe tramite l’ipotetica pipeline iraniana. Infine, la condotta ipotetica potrebbe anche passare in Libano facendo di Hezbollah il gruppo più influente in loco.La legenda è quindi superata da altri assetti/alleanze. Per gli amanti del cappa e spada a cui sfuggono le contorsioni della realtà, evidenzio che ai russi non farebbe piacere avere una condotta concorrente che sfocia nel Mediterraneo, ovviamente men che meno ad Israele, Arabia Saudita, EAU, Kuwait]

NEGRI: https://www.radioradicale.it/…/iraq-gli-usa-uccidono-il-gen…

NYT: https://www.nytimes.com/…/01/03/wo…/middleeast/us-iraq.html…

le bussole, di Pierluigi Fagan

ORIENTARSI DUE. Oltre a quelle già note da tempo, ecco tre belle azioni di riorientamento operate dagli Stati Uniti d’America che con Trump hanno già da tempo scelto di realisticamente accettare gli standard del nuovo mondo multipolare. Letture pigre ed offuscate da immagini di mondo poco lucide, hanno proposto la categoria dell’isolazionismo per la politica estera USA, ma solo degli idioti a trazione integrale potrebbero immaginare gli USA che si isolano. A meno di non intendere il termine “isolamento” come un prender coscienza del fatto che si è un’isola (il Nord America per certi versi lo è) e stante che le isole non sono di per loro “isolate”, solo stanno un po’ più a sé rispetto a chi abita una porzione continentale. Quindi gli USA, con Trump, non si isolano, solo tornano a prender coscienza della loro natura geografica e recedono dunque dalle impostazioni post-geografiche per cui sembrava che USA-Europa-Mondo fossero un unico sistema immateriale, a-spaziale, a-geografico. Il mondo invece sta tornando geografico ( e geostorico) e quindi chi sta su un’isola spaziata tra due oceani, sta naturalmente tra sé e sé, il che non significa affatto stia isolato nel senso di chiuso in sé.

Quindi, della serie “selezioniamo le vecchie amicizie”, ancora e sempre più amici di Israele e non più amici di Germania e fintanto che rimarrà euro ed UE, Europa. Tutte cose note da tempo, strategie perseguite con costanza, costanza strategica che molti analisti hanno negato a lungo sostenendo di aver a che fare con un metereopatico che twitta furioso secondo estro. Come se poi il centro del potere formale attuale americano fosse nelle mani di un individuo, illusione tipica di letture riduzioniste ma anche molto irrealistiche figlie di concezioni storiche anglosassoni basate sul Big man. Si noti quel non riconoscere valore di primazia giuridica internazionale (CPI) poiché ognuno ha la sua giustizia e non esiste una giustizia sovranazionale, nulla esiste nel sovranazionale, dagli accordi sul clima, ai diritti umani se non quelli decisi unilateralmente dagli USA secondo convenienza. E si noti quel mettersi accanto alle paranoie dell’ex Europa dell’est alle prese con il solito incubo geo-grafico-storico dell’immensa pianura stretta tra Germania e Russia, con evidenti ricadute anche sul mercato delle energie in cui gli USA hanno da poco ritrovato il primato produttivo.

Ma la notizia più gustosa è quella della nuova sesta forza armata, un paio di giorni appena dopo l’uscita mondiale dell’ultima puntata di Guerra Stellari. Notizia nota e più che annunciata per altro, ma sempre della serie “abbiamo un piano complesso e coordinato”. Il controllo dello spazio è la “Nuova Frontiera” e per una paese nato su quel concetto, la cosa è identitaria. Ma sotto l’identità ci sono anche le opzioni del controllo climatico con la geo-ingegneria, la corsa alle materie prime, il controllo delle telecomunicazioni future, il traino ad una nuova stagione di Ricerca&Sviluppo in ambito A.I. e tecnologie ed armi conseguenti. Nonché il sempiterno keynesismo da guerra simulata. Al casinò del gioco di tutti i giochi, il banco ora insidiato dai nuovi ricchi giocatori asiatici, reagisce aprendo un nuovo tavolo di gioco nel quale parte con un certo vantaggio che intende consolidare. “Venite a giocare anche voi” sembra dire il croupier, “venite a dissipare la vostra nuova ricchezza invece di reinvestirla nella crescita economica, quindi sociale, quindi politica, quindi geopolitica.” Schema da Guerra Fredda poiché se ha funzionato una volta, perché non riproporlo?

Insomma, il mondo è in pieno e potente movimento e chi non ha una strategia realistica per i prossimi trenta anni, sarebbe già qualcosa prendesse atto dei rischi che corre. Esattamente un secolo fa, il Poeta pubblicò i versi dettati dalla condizione di soldato di trincea esposto alla più grave delle incertezze esistenziali “Si sta come – d’autunno – su gli alberi – le foglie”. Sapendo che s’alzeranno venti potenti …

ORIENTARSI. Con il 60% dell’umanità, l’Asia, avendo da un po’ di tempo applicato alle proprie diverse forme di vita associata i principi dell’economia moderna inventata dagli anglosassoni, poi europei, poi americani, è ovvio stia diventando la massa critica economica del pianeta, fatto a noi qui già noto da tempo. A numero-peso-misura, lo rileva anche il FT su dato ONU, l’anno prossimo quel 60% peserà economicamente quanto tutto il resto del mondo. In seguito arriverà presto ad equiparare peso demografico con peso economico. L’Asia è ovviamente un sistema non una collezione di eterogenei, quindi ci saranno feedback positivi accrescitivi ed impiegherà poco tempo per quel riallineamento.

Il mondo multipolare, è fortemente legato a questa novità. In Asia ci sono almeno quattro economie di peso assoluto (Cina, India, Giappone, Corea del Sud), due giganti demografici (India e Cina) ed almeno altri due pesi massimi (Indonesia e Pakistan). Per vari motivi noti, la Russia si sta ri-orientando ad Oriente, così faranno -in parte- la Turchia e l’Iran, attirati dalla mega-gravità asiatica

Per meglio capire le logiche del nuovo mondo multipolare, è istruttivo non tutto l’ultimo numero di Limes sulla “strana coppia” Russia-Cina (abbastanza noioso), ma solo lo specifico articolo di Manoj Joshi dell’Observer Research Foundation di New Dehli. Il titolo del suo articolo deve esser stato dato dalla redazione della rivista “Scegliere di non scegliere” a proposito dei rapporti ben bilanciati che gli indiani coltivano tanto coi russi, che con gli americani, che coi cinesi. In realtà, il titolo è ampiamente sbagliato poiché applica una categoria “lo scegliere l’allineamento” o il “da che parte stare” che nel mondo multipolare non si darà proprio per diversa logica. Nel mondo multipolare, chi potrà, sceglierà di star per sé coltivando molteplici relazioni (non mettere tutte le uova nello stesso paniere), non in favore di qualcun altro. Quindi la categoria è sbagliata, desueta, sintomatica del ritardo categoriale (quindi di mentalità) con cui analizziamo il mondo. Al netto di altre questioni (ecologiche, finanziarie, tecnologiche) potrebbe esser un mondo molto divertente e potenzialmente anche più equilibrato, almeno tra civiltà e nazioni.

Poiché pare probabile che qualcuno a Westminster legga il FT, si capisce allora anche meglio del perché UK abbia sentito così forte il bisogno di darsi “mani libere”. Quando si tratta di “orientarsi”, i brit non sono secondi a nessuno essendo intrinsecamente navigatori.

Se l’anno prossimo, nel mondo, torneranno in vigore i pesi economici del 1700 speriamo non tornino in auge anche le diseguaglianze interne alle società occidentali di allora. Convincere le nostre élite che le minori condizioni di possibilità dovrebbero esser equamente ripartire non sarà per niente facile. C’è chi tutto ciò già lo sapeva da qualche decennio poiché bastavo due dati in croce per predirlo. Ed infatti è in vista di tutto ciò che qualcuno s’è preparato per tempo, il manifesto del “neoliberismo” è tutto dentro il Washington consensus, che è del 1989. Convincere gli occidentali che si dovrebbe aprire una stagione di ripensamento di tutti i fattori, per adattarsi al mondo nuovo, non sarà per niente facile. Alcuni di loro non ne vorranno proprio sentir parlare.

Urgono sperimentatori-coltivatori di nuove mentalità quindi, perché la sfida sarà “epocale”.

THE TMP THEORY. (TMP=Trump-Macron-Putin), di Pierluigi Fagan

A fine agosto in occasione del G7 di Biarritz, a seguito del lungo colloquio tra Macron e Trump, avanzammo l’ipotesi di un patto tra i due per il quale Macron avrebbe cercato si risolvere il contenzioso russo-ucraino, con successiva normalizzazione dei rapporti tra UE e Russia (quindi uscire dallo stato sanzionatorio), onde permettere a Trump di invitare Putin al successivo vertice in Florida nel 2020, come per altro Trump aveva annunciato possibile. Su questa supposta operazione di diplomazia inclusiva si sommano una serie di interessi, alcuni a favore, altri contro.

Trump cerca di perseguire il dialogo con Mosca dalla sua elezione ma è stato a lungo tenuto sotto scacco dal Russiagate poi terminato in un nulla di fatto. Ora è sotto procedura di impeachment però questo non pregiudica la sua operatività in politica estera. Il fine è noto a chiunque sappia due-cose-due di geopolitica. Ostracizzando al contempo Russia e Cina, gli USA si creano un nemico bicefalo che compensa mancanze con punti di forza. Potenza militare la Russia ma non economica, potenza economica ma non militare la Cina, un vero capolavoro di stupidità strategica. Il fatto è che buona parte del Deep State americano non ha nulla di specifico contro la Cina mentre confinare la Russia nel corner dei nemici assoluti ha grande utilità soprattutto per alimentare la macchina militar-industriale, NATO annessa. Di contro, per Trump ed il suo gruppo di potere, le posizioni sono esattamente inverse. La Russia potrebbe su base gas-petrolifera addirittura esser un partner come lo è stato per lungo tempo prima dell’affaire ucraino (si pensi anche a gli sviluppi siberiano-polari che avevano portato alla nomina a Segretario di Stato dell’ex CEO di Exoxn-Mobil, Rex Tillerson, grande amico dei russi) , il nemico strutturale e prospettico è obiettivamente la Cina in quanto la partita dei poteri mondiali è certo economico-finanziaria e non certo militare, spingere i primi ad unirsi ai secondi è esattamente il contrario di ciò che fece a sui tempo Kissinger ai tempi di Mao e Nixon, quando Cina ed URSS erano oltretutto allineate ideologicamente.

Putin certo è consapevole delle trappole insite in questo disegno e certo non ha nessuna intenzione di ri-orientarsi strategicamente dal formato “strana coppia” (RUS-CHI) come la chiama Limes, ad un improbabile nuova amicizia con gli infidi occidentali però, realisticamente, ottenere una qualche possibilità di “bilanciamento” avrebbe un suo appeal. Questo aumenterebbe il potere negoziale russo ed aiuterebbe la Russia ad aprirsi ventagli di possibilità sul prezzo a cui vendere i suoi patrimoni energetici fossili e potersi comprare tecnologia per far fare qualche salto alla sua industria.

Macron ne otterrebbe molti vantaggi. Il prestigio del ruolo di Ministro degli Esteri nella diarchia di Aquisgrana in cui Merkel è il Ministro del Tesoro, la possibilità del ruolo di intermediario primo con ricadute di affari con i russi a seguire, la diminuzione del peso geopolitico dell’Europa del’Est vs Europa dell’Ovest, un credito nei confronti di Trump ma anche di Putin, la titolarità per portare avanti la sua idea di parziale sganciamento dell’Europa dalla NATO che è la precondizione per i progetti di costituzione di una potenza militare europea che è l’unica carta che le permetterebbe di sedersi al tavolo della nuova fase di geopolitica multipolare.

Merkel di fatto è già da tempo e nonostante le roboanti dichiarazioni pubbliche contrarie, di fatto partner commerciale coi russi, si pensi al raddoppio del North Stream 2. Per altro, larga parte della confindustria tedesca e della politica bavarese sarebbe entusiasta di una normalizzazione. Pubblicamente però non si espone per salvaguardare equilibri interni contrari e soprattutto per non creare tensioni con quell’Europa dell’Est che è il suo bacino egemonico naturale. Lascia fare a Macron con l’aria di chi deve pur permettere al junior partner di avere il suo protagonismo.

Zelensky ha ricevuto poteri largamente maggioritari in Ucraina anche se le minoranze nazionaliste sono agguerrite e poco disposte al disgelo. Nei fatti, il gruppo di potere attorno a Zelensky bada a gli interessi ucraini e l’Ucraina dopo esser stata sedotta dall’amministrazione Obama che ha pilotato il colpo di stato travestito da insurrezione popolare, è stata nei fatti abbandonata. La situazione economica e sociale in Ucraina è pessima ed è su questo scontento palese che Zelensky sta costruendo la sua fortuna politica. La relazione a due vie tra Ucraina e Russia è di logica geo-storica, si può far davvero poco per trovare una logica sostitutiva e certo non senza il favore di Trump, Macron e Merkel che nei fatti vanno in direzione opposta.

Contro questo movimento si segnano: l’Europa dell’Est in perenne paranoia anti-russa, i britannici al solito inorriditi dalle pretese geopolitiche degli euro-continentali viepiù se saldate in relazioni coi russi (l’incubo Heartland di Mackinder), la NATO che dal felice esito di questo movimento vedrebbe fortemente ridimensionati i suoi interessi (con un bel po’ di generali e funzionari disoccupati, nonché parte del complesso industriale americano connesso in crisi), buona parte del Deep State americano, i democratici americani, i loro alleati liberali europei.

Ecco allora che si fa fatica a trovare oggi notizie sul felice esito della riunione “formato Normandia” (Macron, Merkel, Putin, Zelensky) di ieri a Parigi, sia sulla stampa nazionale che internazionale, molto meglio la notizia del ban alle Olimpiadi e forse Mondiali di calcio, per presunto doping russo. Una spessa cortina di silenzio intorno alla notizia che quando data, è data con sospetto corredato da sfiducia e dubbi.

Nei fatti però, dopo Biarritz, Macron è andato in Ucraina e si è sentito spesso con Putin, Zelensky si è telefonato con Putin quattro volte, hanno cominciato e sono a buon punto nello scambio dei prigionieri reciproci, hanno annunciato una sospensione delle ostilità in Donbass sebbene non sempre rispettata da chi ha evidentemente interessi contrari (nazionalisti ucraini e del Donbass), ieri si sono stretti la mano e parlato a quattro occhi fissando un successivo piano di diplomazia attiva a scadenza marzo 2020. Difficile chiudere in tempo e con venti contrari il processo per firmare una pace ad aprile e revocare le sanzioni a maggio per il G8 americano che è a giugno, con le elezioni americane a novembre. Però sembra che più d’uno abbia voglia di provarci, vedremo …

Certo va notato che il tema “pace e diplomazia” non riscuote grande successo d’attenzione presso le opinioni pubbliche occidentali, il che denota una forte contraddizione adattiva a quello che volenti o nolenti sarà lo statuto multipolare del nuovo equilibrio mondiale. Meglio spingere senza tregua ad odiare qualcuno e poi inveire contro l'”odio dilagante”, no?

commenti:

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10219535446952376

 

PRÌNCIPI E PRINCÌPI, di Pierluigi Fagan

PRÌNCIPI E PRINCÌPI. Le società economiche hanno sede legale lì dove pagano le tasse, questo è il princìpio della loro soggettività giuridica. Così il prìncipe, in senso machiavelliano il “sovrano”, è colui che si fa pagare le tasse, cosa che assieme al monopolio di fatto e di diritto della forza (interna ed esterna), costituisce la base storica delle entità statali. Lo Stato in senso moderno, fu una invenzione progressiva che si affermò per prima in Francia, nel ‘500.

Così i francesi che sulla questione hanno le idee -in teoria- chiare, di recente, prima hanno cominciato a rivendicare il proprio diritto fiscale nei confronti delle compagnie americane del Mondo 2.0 (la dig-info sfera), poi a rumoreggiare intorno a fini e ragioni della NATO.

Così Trump, poco prima dell’inizio del vertice NATO a Londra, ha fatto sapere ai francesi ed a chiunque altro europeo volesse seguirli su queste idee balzane, che i princìpi sono prerogative dei prìncipi ovvero dei sovrani ed in mancanza di forza reale per competere sul punto, il sovrano dell’Occidente sono gli Stati Uniti d’America, quindi lui. “ Se voi suonerete le vostre trombe” dice Trump “noi suoneremo le nostre campane”. Lo scontro del 1494 era appunto su una questione di sovranità su pezzi d’Italia pretesa dal francese ed osteggiata dalla ritornata repubblica fiorentina. Le campane di Trump sono i dazi, fino al 100% di dazi ovvero l’estromissione dal più ricco mercato di acquirenti del mondo. Poi non sono solo i dazi però, come ben si sa ma si fa finta di non ricordare pensando che il sovrano lontano (USA) è meno incombente del sovrano vicino (UE).

Stante la presenza di fondo del problema dell’alleanza militare, il caso d’attualità è sulla “web tax” che i francesi vorrebbero elevare ai big five -Facebook, Amazon, Google, Apple, Netflix- i quali notoriamente non pagano le tasse nei paesi in cui pur operano. Non solo drenano ricchezza aspirando voracemente e riportando il bottino in USA, non solo la loro presenza commerciale monopolista (un solo venditore) e monopsonista (un solo acquirente) distrugge il mercato locale facendo chiudere imprese concorrenti -concorrenti nel Mondo 2.0 dig-info invero poche ma nel Mondo 1.0 del materiale (giornali, librerie, negozi vari, cinema, elettronica e molto altro) sempre di più- ma, seguendo a fondo il princìpio si potrebbe venir a creare la conseguenza che anche la responsabilità legale di queste imprese, verrà rivendicata di territorialità americana. Princìpio forse oggi di apparente non grave peso, ma che invece sempre più l’avrà all’espandersi egemonico del Mondo 2.0. Bioetica ad esempio?

A noi può sembrare che il Mondo 2.0 in cui si svolge questa guerra della sovranità, la prima guerra che è quella fondamentale perché stabilisce della sovranità il princìpio, sia solo una appendice poco rilevante della consistenza generale di un Paese ma già oggi non è propriamente così, ma soprattutto lo sarà sempre meno. Il Mondo 2.0 ha in animo di sostituire una buona parte del Mondo 1.0.

Non abbiamo qui spazio per fare una pur veloce overview dell’economia digitale all’oggi, ma soprattutto nell’immediato domani. Se vi fidate, sappiate che il disegno è quello di portare una grande parte del Mondo come lo conosciamo, nel Mondo 2.0 creato a partire dagli anni ’60 dagli Stati Uniti d’America a partire dalle idee del loro think tank militare RAND Corporation e del braccio operativo della Defense Advanced Research Projects Agency- DARPA del Dipartimento alla Difesa di Washington e da loro dominato con giganti deregolamentati che sono ormai di dimensione e potenza inarrivabile per chiunque volesse sfidarli. Naturalmente tutta questa storia è stata impacchettata con carta sbrilluccicosa di soft power ovvero scienziati che volevano il bene del mondo, giovani scamiciati imprenditori geniali nati in un garage, geek un po’ autistici in missione per conto della Fratellanza Universale. Ma si sa, “dare un pacco” è l’arte di far sembrare fuori una cosa che dentro è poi diversa, vedi Treccani alla voce: cavallo di Troia. “Temo i Greci anche quando portano doni” ammoniva il virgiliano Laocoonte, ma i laocoonti alla fine non contano niente, i donatori di pacchi sanno di psicologia molto più di Freud.

Il Progetto Mondo 2.0 ha piani ambiziosi. Non si tratta solo di informazione e comunicazione che già di per sé sarebbe già una bella potenza (naturalmente invisibile per chi sta ancora alle ferriere, il proletariato, l’acciaio e l’altoforno), ma anche di sanità e biologia, finanza, valute, distribuzione commerciale al servizio privilegiato di produzioni di paesi amici, funzioni amministrative d’impresa, telecomunicazioni, piazze e mercati, standard giuridici del lavoro, redditi, sviluppo ricerca e tecnologia, trasporti e logistica, reti, cultura popolare e non, sistema educativo, fisco e molto altro. Infine il nuovo “oro del Klondike”, i dati su tutto di tutti. L’insieme secondo logica cibernetica ovvero scienza del controllo tramite comunicazione. Ciò che Platone chiamava “kybernetikès techne” ovvero arte del governo (Alcibiade I, Repubblica). Potere alla sua essenza.

Così, non mi rimane che ricordarvi il contestato ed antipatico solito ammonimento. I volenterosi che oggi si pongono giustamente il delicato e complicato problema della sovranità ai tempi del secondo millennio, dovrebbero considerare che il controllo (la sovrantà) è nullo senza la potenza. Vale per la Grande Sorella di Bruxelles e vale per il Grande Fratello di Washington che assieme a zio Xi e cugino Putin saranno l’Addams Family dei prossimi, complicati, decenni. Auguri a tutti noi!

[L’articolo di riferimento alla notizia dell’ammonimento di Trump: https://www.repubblica.it/…/dazi_trump_minaccia_italia_fr…/…

tratto da facebook

DALLA MANO ALLA MENTE INVISIBILE, di Pierluigi Fagan

DALLA MANO ALLA MENTE INVISIBILE. Negli anni ’60, al centro del sistema moderno o capitalistico occidentale e cioè negli Stati Uniti d’America, si mostra un preoccupante e poco noto effetto. La spinta alla crescita mostruosa oltre il 5% annuo per diversi anni di fila, che stava distinguendo la crescita post bellica un po’ in tutto il mondo e che in Europa meritò i concetti di Miracolo economico, Les Trente Glorieuses, Wirtschaftswunder, negli Stati Uniti cominciava a flettere pronunciatamente.

L’abitudine all’analisi qualitativa che produce narrazioni e contro-narrazioni, qualche volta si perde il quantitativo con risultato che, se da una parte si pensa si capire bene le cose, cioè la loro narrazione, dall’altra non si capisce mai perché certe cose avvengono ed in che misura. Quello che avveniva era che gli Stati Uniti, avendo per primi iniziato a crescere poderosamente negli anni ’50, stavano perdendo la spinta, non occasionalmente, strutturalmente. Spinta invece che continuava a sostenere il Resto del Mondo (Europa del’Ovest, dell’Est e dell’Asia, Giappone più di tutti, ma anche altrove). Il Nixon shock del 1971, per chi scrive, proviene da questo.

In quel decennio succedono molte cose interessanti. Sono gli anni in cui si sviluppa la tecnica produttivo-commerciale che poi si chiamerà marketing. Come molte cose del moderno, ahinoi, i primi passi della tecnica ragionata della manipolazione del mercato, sono fatti da un italiano che sviluppa i primi passi delle “ricerche di mercato”. P. Kotler conierà poi il termine e diventerà il fondatore e più illustre rappresentante teorico di questa tecnica. Sono gli anni del consumismo poi ragionati e raccontati criticamente da autori di cui spesso inconsapevolmente continuiamo a ripetere le intuizioni, tipo Adorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm, ancora dopo cinquanta e passa anni.

Della tecnica fa parte la strategia “push and pull”. Se “push” è un insieme di tecniche per spingere i prodotti verso gli acquirenti ed intermediari, “pull” è l’insieme di tecniche utilizzate per attirarli. Tra queste tecniche c’è la conoscenza da parte delle aziende del proprio gruppo d’acquisto ideale detto target, termine mutuato come gran parte del vocabolario dei marketer, da quello militare (Marketing è guerra, Al Ries, JackTrout, testo anni ’80 McGraw-Hill). Se la mano invisibile mostrava pigrizia, c’era da dargli una mano visibile che spingesse concretamente, un aiutino insomma.

Negli anni ’60 in USA, si sviluppa una tecnica di analisi dei target che non è più quella tradizionale statistica su variabili socio-demografiche classiche (sesso, età, reddito), ma su variabili comportamentali. Si scopre cioè che i comportamenti d’acquisto originano dalla psiche che è certo correlata al sesso, età e reddito ma non così precisamente come si potrebbe pensare. Si scopre cioè che la “piramide dei bisogni” teorizzata negli anni ’50 dalla psicologo americano A. Maslow, ha sede e profonda origine in una psiche che ha proprie regole decorrelate in parte da quelle oggettive della condizione sociale. In accordo ai principi guida della psicologia americana a quel tempo dominante che è il behaviorismo (il comportamentismo), si decide di ignorare l’analisi del cosa succede davvero in quella psiche. Si sigilla il sistema e lo si definisce “scatola nera” ovvero sistema di causa che però non si analizza dentro, solo fuori. Se la psiche origina il comportamento, si osserverà direttamente il comportamento e per tentativi ed errori come negli esperimenti coi topi o cani del russo Pavlov, si cercherà di capire a quali imput corrispondono certi output (stimolo-risposta-rinforzo). Se si comprendono questi meccanismi si potrà condizionare il comportamento. Il corrispettivo nelle ricerche di mercato che anticipano ogni strategia di marketing, diventerà un nuovo tipo di analisi che si chiamerà “psicografica”. Siamo sempre negli anni’60.

Mentre i teorici dell’economia ovvero gli economisti ripetono il mantra dell’homo oeconomicus che è un calcolatore razionale delle sue utilità a presupposto della loro scolastica matematizzata, i pratici dell’economia cinquanta anni fa, si occupavano invece di psiche e comportamento reale. Il mondo dei bisogni su cui si basa mercato ed economia, per gran parte non è razionale. Un economista teorico si sveglierà cinquanta anni dopo e ci scriverà su un libro che gli varrà nel 2017 quel premio della Banca di Svezia che gli economisti chiamano Nobel (tale R.Thaler). Da quella svolta degli anni ’60, conseguirono marketing, pubblicità, società dei consumi, dei segni, innovazione, rivoluzioni economiche, tecnologie, neuromarketing e molto altro tra cui tutto il nostro Mondo 2.0 ovvero quello on line.

Come spesso racconto, io ho per venticinque anni fatto parte di quel mondo e non a livelli secondari. Quando ho cambiato vita e sono diventato uno studioso, balzellando tra meccanica quantistica e filosofia hardcore, quando ho cominciato a studiare i sacri testi degli economisti, per molti di loro sopratutto del Novecento (a parte Keynes) a lungo ho fatto fatica a capire di cosa stessero parlando per questo motivo. La rappresentazione del mercato come universo liscio con traiettorie perfettamente razionali che disegnano curve e linee geometriche posso dire sia una del tutto infondata astrazione non per piglio critico intellettuale, ma proprio perché so di certo che nulla ha a che fare con il fenomeno che si vorrebbe descrivere. Le narrazioni non corrispondono mai precisamente alle cose ma molte non hanno proprio nulla a che fare assolvono altri compiti.

La svolta psichica del capitalismo origina da più di cinquanta anni fa e le conseguenze giungono oggi a Cambridge Analytica, il totalitarismo dei Big Data, i Facebook-Amazon-Google-Apple-Netflix (FAGAN), la colonizzazione dell’immaginario, il “Capitalismo di sorveglianza” (Zuboff), “L’Internet ci rende stupidi” (N. Carr), la psicopolitica (P. Sloterdijk – Byung-chul Han), l’utilizzo di queste tecniche (nel frattempo, nel mondo della psicologia teorica americana il behaviorismo si è trasformato in un 2.0 detto “cognitivismo” ed è proceduto parallelo allo sviluppo delle scienze neuro-cognitive che oggi sfociano nel grande sviluppo dei programmi di ricerca detti A.I. Artificial Intelligence) non più o non solo per il dominio produttivo-commerciale ma ora anche direttamente sociale e politico.

Il discorso sarebbe lungo e complesso ma qui lo spazio c’impone la chiusura. Chiudiamo quindi osservando due cose:

1) La svolta psichica del capitalismo origina dal momento in cui l’economia americana non funzionava più in modo diciamo “naturale” o “semi-spontaneo”, occorreva collegare la stanca mano invisibile ad una vivace mente invisibile stimolata la quale sarebbero conseguiti comportamenti, prima economici, quindi sociali, infine politici. Da allora, è per lo più “economia del criceto”.

2) L’area critica del moderno e del capitalismo, origina da un pensatore di metà XIX secolo che ha detto molte cose giuste ed interessanti ma coloro che ancora usano quelle strumentazione analitica come integrale tendono a considerare le relazioni tra “struttura e sovrastruttura” in modo uni-diretto, del tutto simile al mainstream liberale che domina la disciplina economica (del resto sono in unità di tempo -metà XIX secolo- e luogo -Londra-) e che non ha alcuna attinenza con quello che è il nostro mondo moderno che intanto chiamiamo post-moderno già da diversi decenni. Ne consegue lo spiazzo di ogni teoria politica alternativa poiché i presupposti antropologico-sociali sono parziali se non infondati. Per costoro immagine di mondo, cultura, psiche e comportamento, valori, motivazione all’azione, sono conseguenze di presupposti ficcati da qualche parte in una scatola nera mossa solo dalla condizione sociale. Toccherebbe invece aprirla quella scatola e provare ad illuminarla se si vuole dare una bacchettata a chi ci sta da tempo mettendo le mani dentro. Oppure scriviamo l’ennesimo saggio corrucciato sul neoliberismo impazzito ed attrezziamoci per un lungo inverno di servitù volontaria.

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