L’Europa è una religione?, di Donika Chiaramonte

L’Europa è una religione?

 

Se c’è qualcosa che può spiegare l’ostinazione italiana di continuare a far parte dell’Unione Europea, questo qualcosa ha di certo a che fare con la sfera dei sentimenti e non della ragione.

È pacifico, lo dicono e scrivono tutti, che la pandemia da Covid 19[1] è una guerra, che chi è in prima linea sta combattendo con poche armi e scarse munizioni e che avremmo risparmiato tempo e morti, se fossimo stati più attrezzati[2]. Se si aggiunge la conta mediatica giornaliera dei tamponi positivi e dei decessi, si ha tutta la gamma dei contenuti della narrazione giornalistica italiana di queste settimane.

La gestione europea del virus Covid 19 sta mostrando i limiti dell’istituzione Europa, oltre ai danni che la sua legislazione ha perpetrato in anni di austerity e di pesanti limitazioni alla spesa pubblica[3]. Purtroppo, l’opinione pubblica non viene chiamata a riflettere sulla causa da cui originano gli attuali problemi; in altre parole, stimolare negli italiani la logica induttiva non è tra le finalità dell’informazione di questo tempo. Si preferisce invece dedicare tutto lo spazio possibile a fornire, in dettaglio, dati e circostanze sul  contagio (ancorché approssimativi o addirittura errati[4]), per alimentare quella giusta dose di paura che renda accettabile, se non addirittura acclamata, la limitazione della libertà personale e le restrizioni poliziesche che, come in ogni stato di emergenza che si rispetti, sono comminate attraverso la decretazione d’urgenza.

Non stupisce, anzi conferma il buon cuore degli italiani, il fatto che essi stiano accettando di buon grado tali restrizioni, avvertendo la necessità di proteggere sé stessi e soprattutto gli altri[5], ma sconforta il pensiero che questo impegno civico resti, in questo particolare momento storico, la principale occupazione della coscienza pubblica che, concentrandosi sui bisogni contingenti, non è chiamata a riflettere sul come e perché siamo arrivati a questo punto.

Non è difficile collegare i tagli alla Sanità – la principale voce di spesa del nostro Paese, essendo la Sanità in Italia pubblica – con le richieste di spending review che l’Europa chiede al nostro paese ogni anno, da 10 anni. Il settore sanitario non è il solo ad aver beneficiato dell’efficace ricetta europea che si chiama, in linea con gli edulcorati neologismi di matrice europea,  Patto di Stabilità[6]; l’elenco è lungo e certamente ne fanno parte l’Istruzione Scolastica e Accademica, la Ricerca, il Mercato del Lavoro. Moltissimi sono gli italiani che, direttamente o indirettamente, fanno esperienza della difficoltà, se non addirittura dell’impossibilità, di trovare un’occupazione e, quando la trovano, essa è per lo più precaria e sottopagata; molti giovani istruiti e volenterosi emigrano; chi resta, per il proprio sostentamento, trova conforto nel risparmio dei genitori se non addirittura dei nonni[7].

Eppure gli italiani, quel sistema statale che ha consentito di poter fare quel risparmio tanto vitale oggi, non lo ricordano più; gli italiani non pensano che quello Stato può ancora esistere; che il benessere, la prosperità e la piena occupazione dipendono dalle scelte economiche di un ordinamento e che, da una ricetta economica sbagliata, possono scaturire malessere sociale, conflittualità, inoccupazione e … morte.

Al contrario, gli italiani difendono l’appartenenza all’Europa, ne riconoscono dogmaticamente i vantaggi e pronunciano frasi enfatiche, come “fuori dall’Europa saremmo morti”, “da soli siamo troppo piccoli”, “non saremmo in grado di sostenere da soli la globalizzazione”, “se usciamo dall’euro, la nostra moneta sarebbe carta straccia” anche se, in pochi, si avventurano a sostenere gli argomenti a favore di tali, astrattamente legittime, considerazioni.  Preoccupa osservare come, attraverso un vero e proprio ribaltamento della realtà, taluni definiscano fatale l’uscita dell’Italia dall’Europa e dall’Euro, ma non considerano quanto dannoso sia stato, e continua ad essere, applicare i dettami dell’Europa.

Questo è il dilemma: cosa può essere così potente, da far superare la forza dell’evidenza, la consapevolezza del disagio sociale, la visione della povertà, il senso di precarietà che sperimentiamo?

Esistono diverse possibili risposte: molte attingono dalla psicologia, le altre dall’ “arte” della comunicazione.

Non c’è dubbio che la cooperazione e la pace fra gli Stati usciti dalla seconda guerra mondiale, siano le finalità che gli europeisti più ortodossi attribuiscono all’Europa. Ed in effetti, l’Europa trae origine dai postumi della guerra: la minaccia sovietica, che ha contribuito alla coesione fra i paesi europei; la spinta americana, favorevole all’integrazione e, soprattutto, la debolezza degli Stati nazionali, in particolare della Germania e dell’Italia, che escono dal secondo dopoguerra prostrate dalle rispettive dittature e, consapevoli degli errori commessi, più disponibili ad abbandonare le posizioni nazionali, per favorire la creazione di istituzioni sovranazionali. La nascita della Comunità Europea accrebbe, nell’immaginario degli italiani, l’idea in base alla quale, la limitazione di sovranità dello Stato Italiano, fosse a ragione ripagata dalla partecipazione ad un organismo sovranazionale, che avrebbe significato protezione, un sicuro argine di fronte a spinte nazionalistiche, la possibilità che persone e merci potessero, liberi da frontiere e dogane, liberamente circolare, in uno spazio comune e amico[8].

Tuttavia, con l’Unione Europea e l’Euro, cominciarono a manifestarsi, sin da subito, i limiti e i grossi pericoli di tenuta di un’area monetaria comune tra Paesi centrali e periferici, proprio in ragione delle diverse velocità delle rispettive economie[9].

La bontà dell’Euro e dell’Unionismo Europeo si sono radicati con la stessa forza della fede per un credente, come un dogma incontrovertibile; l’adesione è totale e rafforzata da un sentimento di inevitabile necessità che rende impari la battaglia con la ragione. Ed è così che l’italiano, plagiato dalla politica nazionale (di tutti i colori) e dall’Informazione, fedele ancella delle forze dominanti, accetta i sacrifici imposti in nome dell’austerity, come si accettano le penitenze. I peccati sono quelli che i Paesi Centrali, di impostazione calvinista, imputano a quelli periferici cattolici[10]: l’avere esagerato con la spesa pubblica e generato un deficit che va drasticamente ridotto. Così l’Italia, con i politici assurti a burattini, in nome dell’Europa unita, comincia a tagliare, anno dopo anno, le pensioni, la Ricerca  (generando l’effetto noto come “fuga dei cervelli”), l’Istruzione a tutti i livelli (ormai insegnante è diventato sinonimo di “precario”), il Mercato del Lavoro (più tasse, meno investimenti pubblici = deflazione) e la Sanità, come ormai tristemente noto.

L’italiano accetta la purga nella convinzione, neanche troppo sotterranea, di meritarsela perché “i politici sono incompetenti” e “stiamo pagando per la loro corruzione”.

Ancora una volta gli organi di informazione mainstream fanno la loro parte e concorrono nello spostare il focus dell’opinione pubblica su qualche faccenda interna o di natura microeconomica, quindi ben lontano dai veri interrogativi[11]. Perché, per uno Stato è sano fare austerity? Perché la spesa pubblica, se serve a fare investimenti, a vantaggio dei cittadini, va contenuta nei limiti del Patto di Stabilità?

Sono interrogativi che non parlano alla ragione, scalzata dall’ideale immaginario e impoverita dall’ignoranza. Si,  perché la partita vera con l’Europa si dovrebbe giocare sul piano della legislazione e delle regole economiche previste nel suo ordinamento. Peccato però che tale legislazione rimanga sconosciuta ai più. Un tempo, in tutte le case degli italiani, accanto alla Bibbia non mancava la Costituzione Italiana, e i principi fondanti dallo Stato venivano spiegati nelle scuole. Ci veniva insegnato che essi rappresentano i valori a cui lo Stato e i cittadini si ispirano, per orientare il comportamento di ciascuno. Oggi, buona parte di quei principi fondamentali è stata tradita dallo Stato, per asservirsi alle regole dell’Europa, i cui trattati, oltre a non essere stati sottoposti al referendum popolare[12], sono ignoti alla maggioranza dei cittadini europei.

Il bisogno di protezione, l’illusione ingannevole di un’unione tra Stati, che esiste solo come ideale immaginario, e l’ignoranza alimentata dai mezzi di informazione, espressione delle forze dominanti di questo tempo, sono le ragioni profonde che impediscono il disvelamento della verità. Ma c’è un altro aspetto da considerare, di cui tutti noi nella nostra esistenza facciamo spesso esperienza. Si tratta del mantenimento dello status quo, l’istinto ancestrale dell’essere umano di essere conservativo, anche quando versa in una situazione sfavorevole, per paura di avventurarsi nel cambiamento e nell’ignoto che esso porta con sé[13]. Siamo conservativi nel rapporto di coppia, quando decidiamo di non voler vedere il fallimento di un progetto comune o persino un tradimento; è conservativa la vittima di una violenza che ha paura di denunciare e spera che l’aguzzino possa ravvedersi. Si tratta di una dinamica istintiva frequente nel mondo animale: la gazzella, sotto il mirino del leone, rimane immobile e tremante, accettando la fine inevitabile, anche se la separano parecchi metri dal suo predatore e, con il suo scatto, potrebbe salvarsi.

In una società liquida, mutevole, delocalizzata e globale, dove la politica e i mezzi di informazioni ci forniscono messaggi contrastanti e si assiste ad una totale assenza di codici di comportamento univoci, il pensarci dentro l’Unione Europea ci fornisce certezza e stabilità; al contrario ipotizzarne l’uscita ci procura una percezione inconscia di pericolo che ci impedisce di prendere in considerazione, in modo razionale, i vantaggi che una soluzione di questo tipo potrebbe avere[14].

A ciò si aggiunge la sempre più pervasiva sfiducia per la Politica che si percepisce come assente o distante dai bisogni della società, presenzialista solo in fase elettorale, ma incapace di garantire spazi protettivi di statalità che costruiscano, attorno al cittadino – uomo contemporaneo, un argine di socialità garantita. In un mondo globalizzato, che ha scardinato la certezza del lavoro e della famiglia, l’uomo fa i conti con una progettualità precaria e fragile che, se da un lato, lo inducono a intraprendere nuove formule di socialità, dall’altro, lo fanno sentire solo e disorientato. Ciò determina la difficoltà, per la persona, di sentirsi parte di una comunità stabile, orientata al bene comune e, al contrario, ne limita gli orizzonti alla propria dimensione privata, producendo bisogni sempre più individualistici ed egoistici[15].

Ed è così che gli italiani reagiscono esterrefatti alle parole della Lagarde, senza capirne il valore di “smascheramento” che quella “gaffe” ha avuto sul vero ruolo della BCE[16]; sperano che l’Europa accetti l’emissione di Eurobond, ma constatano l’amaro veto che gli stati centrali dell’Unione vi hanno posto e adesso attendono, come chiede il Capo del Governo, ancora 10 giorni per verificare l’esito degli ulteriori negoziati con l’Europa che sarebbe disposta ad aprire una linea di credito (con relativo piano di rientro e interessi) tramite il MES e le sue condizionalità.

Tutto questo accade mentre il Covid 19 continua a fare le sue vittime; mentre gli Stati Centrali d’Europa, in barba ai vincoli europei, inondano di liquidità i loro Paesi, per fronteggiare l’emergenza e arginare già i danni del post pandemia e, intanto,  Stati sovrani , come USA e Hong Kong, con il così detto elycopter money, fanno giungere denaro direttamente sui conti correnti di aziende e privati, disastrati dalla crisi economica che è e sarà forse più grave di quella sanitaria, se non la si saprà affrontare rapidamente.

Se usassimo la ragione, invece della paura, capiremmo di essere al capolinea di questa unione illusoria. La pandemia costituisce  la grande occasione – “divina” o “satanica” chi può dirlo – per un cambiamento necessario, guidato da una nuova consapevolezza. Perché, solo la consapevolezza è in grado di illuminare le coscienze, indirizzando le menti all’analisi e alla valutazione, per imprimere una svolta epocale alla storia ed illuminare il futuro con la luce del progresso[17].

Diversamente, ci aspetterà un nuovo lungo periodo in cui, ancora per un po,’ ci tureremo naso e occhi; poi, cominceremo a sentire i morsi della fame e quando, solo quando avremo perso tutto, allora arriverà il cambiamento, attraverso una rivoluzione, una rivoluzione cieca e manipolabile[18].

 

Pavia, 6 aprile 2020

 

 

 

[1]  Il COronaVIrus Disease 19 o COVID 19 è una malattia dell’apparato respiratorio causata dal virus SARS-CoV-2. Le prime manifestazioni della malattia si fanno risalire agli inizi del dicembre 2019 nella città di Wuhan, capoluogo della provincia cinese dell’Hubei, da cui si è successivamente diffusa in diverse nazioni del mondo. In Italia, l’inizio dell’epidemia si attesta il 31 gennaio 2020, quando due turisti cinesi sono risultati positivi al SARS-CoV-2 a Roma ed il Presidente del Consiglio Conte, sospesi tutti i collegamenti diretti con la Cina, ha dichiarato lo stato di emergenza. Tuttavia questo intervento non è stato sufficiente a fermare la corsa del virus che si è velocemente diffuso in tutto il Paese, con focolai e picchi particolarmente violenti in Lombardia ed Emilia Romagna. Inizialmente le città e le regioni più colpite sono state poste in quarantena, ma dal 9 marzo 2020 la quarantena è stata estesa a tutta l’Italia e tutte le attività pubbliche nonché le attività produttive sono state sospese, al di fuori dei negozi di generi alimentari , farmacie e attività fornitrici di beni di prima necessità. Le misure di contenimento del contagio hanno ridotto al minimo le possibilità di spostamento dei cittadini, ai quali è stato chiesto di restare presso le proprie abitazioni e di uscire esclusivamente per necessità primarie, e paralizzato l’economia del Paese.

[2]      Il Report dell’Osservatorio GIMBE n. 7/2019 documenta come nel decennio 2010-2019 tra tagli e definanziamenti, al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) siano stati sottratti circa € 37 miliardi, mentre il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) è aumentato di soli € 8,8 miliardi (https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf). Inoltre, il Documento di Economia e Finanzia (DEF) 2019 ha certificato che gli aumenti del FSN previsti per il 2020 e 2021 sono utopistici sia perché la crescita economica del Paese è stata drammaticamente ridimensionata, sia perché il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane stabile sino al 2020 per poi ridursi dal 2021 http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2019/01/Rapporto-politica-di-bilancio-2019-_persito.pdf). In questo scenario, da un lato il Ministro della Salute non può offrire alcuna garanzia sull’aumento delle risorse previste per il 2020-2021, dall’altro per esigenze di finanza pubblica il Governo sarà libero in qualsiasi momento di operare tagli (o mancati aumenti) alla sanità.

[3] Nel 2018 l’Italia ha speso per il Sistema Sanitario Nazionale il 6,5% (investimenti pubblici). In numeri assoluti ciò si traduce in un esborso per lo Stato di 2.326 euro a persona (2000 euro meno della Germania) e complessivamente 8,8 miliardi più rispetto al 2010. Una tasso di crescita in circa 10 anni dello 0,90% annuo, che compensato da un aumento dell’inflazione (ndr leggasi: diminuzione del potere di acquisto) media annua all’1,07%,  si traduce in un definanziamento di 37 miliardi. La Fondazione Gimbe calcola che il grosso dei tagli sia avvenuto tra il 2010 e il 2015 (governi Berlusconi e Monti), con circa 25 miliardi di euro trattenuti dalle finanziarie del periodo, mentre i restanti 12 miliardi sono serviti per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica tra il 2015 e il 2019 (governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte). Nella sua relazione annuale per il 2019 (dati 2018), la Corte de Conti documenta che nel 2018 “l’Italia ha versato all’Unione, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 17 miliardi (+23,1% rispetto all’anno precedente) . Ciò porta l’ammontare dei versamenti italiani al secondo valore più alto dal 2012, con una notevole differenza rispetto all’importo registrato nell’anno 2017”. Osservando invece le risorse che l’Europa destina all’Italia, “l’Unione ha accreditato complessivamente al nostro Paese nel 2018 la somma di 10,1 miliardi. Come si nota, la forbice tra contributi ed accrediti è significativa (17 miliardi a fronte dei cennati 10,1) (omissis). Il “saldo netto negativo” si accentua quindi sensibilmente: il valore cumulato dei saldi netti negativi per l’Italia, nel settennio 2012-2018, è pari a -36,3 miliardihttps://www.corteconti.it/Download?id=7d88336e-1125-487a-988b-f6b6bf8120a3. Come si legge nell’annuale relazione della Corte dei Conti, la frenata più importante è arrivata dagli investimenti degli enti locali (-48% tra il 2009 e il 2017) e dalla spesa per le risorse umane (-5,3%), una combinazione che in termini pratici si ripercuote sulla quantità e sull’ammodernamento delle apparecchiature, oltre che sulla disponibilità di personale dipendente, calato nel periodo preso in considerazione, di 46mila unità (tra cui 8mila medici e 13mila infermieri). I mancati investimenti si fanno sentire soprattutto nel sud Italia, dove tutte le regioni spendono meno della media nazionale.

[4]  Dalle colonne del New York Times in un articolo dal titolo  “We’re Reading the Coronavirus Numbers Wrong” pubblicato il 18 febbraio 2020, il matematico John Allen Paulos, docente della Temple University di Philadelphia avverte che seppure le cifre fornite ogni giorno sono importanti per le autorità sanitarie e gli epidemiologi, che devono valutare l’efficacia delle politiche di contenimento dei contagi, esse possono risultare fuorvianti per l’opinione pubblica, soprattutto se sono presentante con poche informazioni di contesto. La principale causa di incertezza dei dati è dovuta al fatto che i test non vengono effettuati a tappeto, pertanto, il numero dei contagiati rispetto al quale si misura la percentuale di mortalità, si riferisce a coloro che sono risultati positivi al tampone, anche se è noto che vi è un’estesa platea di Covid positivi con sintemi lievi o assenti ai quali il test non viene somministrato.  Se ci ponessimo in una condizione fattuale ex ante e il numero totale degli infetti, inclusi i puacisintomatici,  aumentasse osserveremmo diminuire la percentuale di decessi. Questo diverso calcolo matematico non cambierebbe il numero dei morti, ma di certo allieverebbe la percezione della letalità del virus (https://www.nytimes.com/2020/02/18/opinion/coronavirus-china-numbers.html).

[5] Con i decreti di marzo (2020), il Governo Italiano ha prescritto ai cittadini forti limiti agli spostamenti, consentiti esclusivamente in presenza di giustificazioni tipiche, pena l’applicazione di sanzioni pecuniarie e/o personali. Sono allo studio anche in Italia forme tecnologiche di controllo già adottate in altri paesi, come la Corea del Sud, in particolare la società valtellinese Webtek  sta per avviare la sperimentazione di un’applicazione che consentirà di tracciare, tramite tecnologia Gps, gli spostamenti degli utenti e di avvertirli in caso di contatto con soggetto positivo al virus. L’assessore della Regione Umbria, Michele Fioroni, dove questa sperimentazione verrà effettuata, ne ha già illustrato i vantaggi, più che nel brevissimo periodo, nel post emergenza, quando la gente ricomincerà a circolare e i dati verranno trasmessi all’Autorità Sanitaria per contenere eventuali contagi. Non sfugge ai più saggi il timore che le restrizioni alla libertà personale introdotte e accettate in nome del buon senso e dello stato di necessità durante l’emergenza Covid 19 possano radicarsi nell’ordinamento degli Stati; questo per effetto dell’opportunità che il Potere intravede nei contesti emergenziali di legittimare l’aumento di controllo sui cittadini. Un esempio è l’USA Patriot Act, la legge federale che George W. Bust, nell’ottobre successivo al crollo delle Twin Towers (11 settembre 2001), istituì con la finalità di rafforzare il potere dei corpi di polizia e di spionaggio statunitensi, CIAFBI e NSA, e il dichiarato scopo di ridurre il rischio di attacchi terroristici negli Stati Uniti. Le misure, nate per fronteggiare l’emergenza e che consistevano, fra l’altro, nel potenziamento del ricorso alle intercettazioni telefoniche, l’accesso a informazioni personali e il prelevamento delle impronte digitali nelle biblioteche, sono state confermate; quattordici disposizioni su sedici sono tuttora in vigore e costituiscono un vulnus permanente alla privacy dei cittadini americani. Sull’argomento, lo storico israeliano Yuval Noah Harari ha rilasciato al Financial Times del 20 marzo 2020 un interessante contributo dal titolo “The world after coronavirus: this storm will pass. But the choices we make now could change our lives for years to come”. Per Harari il Potere tende a strumentalizzare la paura delle persone, ponendole davanti ad un aut aut tra l’interesse alla protezione (tutela della salute evitando il contagio) e la difesa della propria libertà personale (tutela della privacy) facendo apparire inevitabile e primario per coscienza dell’individuo  scegliere il primo interesse a scapito del secondo. Tuttavia, secondo Harari, il governo di decisioni che coinvolgono beni parimenti essenziali non può essere affidato ad una scelta binaria, ma richiede il bilanciamento di entrambi gli interessi al fine di non determinare mai la rinuncia ad uno di essi con l’effetto di condannare questa scelta all’irreversibilità e quell’interesse all’oblio  https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75, pubblicato in italiano dalla rivista Internazionale: https://www.internazionale.it/notizie/yuval-noah-harari/2020/04/06/mondo-dopo-virus

[6] Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) è un accordo internazionale sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell’Unione Europea, che si prefigge come finalità il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Eurozona). Il PSC, richiamandosi agli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea, così come modificato dal trattato di Maastricht (1992) e dal trattato di Lisbona (2008), si attua attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché attraverso un particolare tipo di procedura di infrazione, la “procedura per deficit eccessivo” (PDE). In particolare, i parametri di  Maastricht  prevedono i seguenti vincoli: 1) un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL (rapporto deficit/PIL < 3%); 2) un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro; rapporto debito/PIL < 60%). Il PDE è previsto all’articolo 104 del Trattato e consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione: se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso può essere sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo,  pari a una componente fissa dello 0,2% del PIL ed una variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3%.

[7] In base alla Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto (omissis)” (art. 4); “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Neppure un’interpretazione programmatica della Costituzione basterebbe a giustificare lo scenario esistente in Italia, con una disoccupazione per la fascia d’età compresa tra i 15 e i 34 anni del 17, 8 % e una media nazionale (15 – 64 anni) del 9,8% (dati Istat trimestre luglio – settembre 2019 https://www.istat.it/it/files/2019/12/Nota-Trimestrale-Occupazione-III.pdf#page=6. Tra le fila degli occupati, che non figurano nelle statistiche, i lavoratori con voucher (Deliveroo, Glovo, Just Eat, Foodora, Amazon), gli stagionali, i precari come gli assegnisti e gli eterni collaboratori coordinati e continuativi.

[8] La Comunità Economica Europea (CEE) istituita con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, soppressa con l’adozione nel 2009 del Trattato di Lisbona e confluita nell’Unione Europea,  aveva nei suoi obiettivi principalmente l’unione economica dei suoi membri (BelgioFranciaItaliaLussemburgoPaesi Bassi, e Germania Ovest) ed in secondo luogo, quale conseguenza di ciò, un’eventuale unione politica. La CEE infatti si adoperò moltissimo per il libero movimento dei beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali, per l’abolizione dei cartelli e per lo sviluppo di politiche congiunte e reciproche nel campo dell’agricoltura, dei trasporti, del commercio estero. Per queste ragioni più di un economista ed intellettuale definisce già dalle sue origini l’Unione Europea come una tecnocrazia: con essa si è generato un apparato di rigide regole economiche, commerciali e, con l’avvento dell’euro, anche monetarie, inadatte ad essere applicate a Paesi con economie, storia e culture profondamente differenti,  con l’effetto che l’Europa non ha prodotto un unione di intenti politici, ma un coacervo di forze sparse ad alto tasso di competitività.

[9] Che obbligare Paesi diversi ad adottare la stessa moneta, peraltro agganciandola ad un tasso di cambio fisso, fosse una scelta, potremmo dire, non intelligente lo aveva, con altre parole, sostenuto anche Mario Draghi, già Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) negli anni 2011 – 2019, il quale, prima di abbandonare la visione keynesiana per sposare la corrente liberistica, aveva persino dedicato la propria tesi di laurea all’argomento. Nella tesi intitolata “Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio” Draghi,  come ammetterà in seguito nel libro della Tamburello (Il Governatore, Rizzoli, 2011, pag. 23), sosteneva “che la moneta unica era una follia, una cosa assolutamente da non fare”. E se le considerazioni di Draghi possono apparire relegate al passato adolescenziale, faranno allora comodo alla comprensione le opinioni di una serie di premi Nobel dell’Economia (di tutte le correnti), come il neo-liberista Milton Friedman, il keynesiano Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Amartya Sen, che sono sinteticamente riportati nell’articolo di Alessandro Montanari pubblicato il 13 novembre 2017 alla pagina https://www.interessenazionale.net/blog/leuro-e-follia-diceva-anche-draghi-dicono-tutti, dalle quali emerge una sostanziale concordanza di contenuto: l’eurozona è un progetto fragile e destinato a fallire.

[10] La pervicacia manifestata in queste settimane di crisi pandemica, dagli Stati del Nord Europa e soprattutto dall’Olanda nel porre il veto alle richieste avanzate dai paesi del Sud Europa (Italia, Spagna e Portogallo) che chiedono di fronteggiare la terribili crisi economica causata dal Covid 19 ottenendo strumenti di finanziamento garantiti direttamente dalla Banca Centrale, come gli eurobond, e non invece attraverso prestiti a interessi e altre condizionalità come sarebbe invece il Fondo Salva Stati (anche conosciuto come Meccanismo Europeo di Stabilità, MES), ha riportato alla luce un antico dibattito, nato a seguito della pubblicazione nel 1905 del testo di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” sulle origine calvinistiche o meno del capitalismo. Questa tesi è stata smentita sulla scorta dell’evidenza storica dell’esistenza di forme di capitalismo precedenti a Calvino e geograficamente collocabili nell’Italia del ‘500. Tuttavia, ciò che è utile dell’analisi weberiana è quanto lui stesso scriveva: esistono delle “affinità elettive” tra l’etica protestante e il capitalismo, non intendendo con ciò attribuire una connotazione negativa a questa circostanza. In altre parole,  il pensiero di Calvino, a differenza di quello di Lutero, avrebbe per Weber contribuito allo sviluppo di una nuova concezione della vita terrena, secondo la quale il successo nel lavoro e l’arricchimento personale possono essere interpretati come un segno della benevolenza e del favore di Dio. Per entrambi i pensatori protestanti l’uomo riceve una predestinazione da Dio e a nulla vale il libero arbitrio perché l’l’umanità, colpevole del peccato originale, è sottoposta all’insindacabile giudizio del Creatore. A differenza di Lutero, però, Calvino propone più convintamente una visione dell’esistenza basata sul concetto di “ascetismo mondano”: ogni uomo, pur essendo predestinato, riesce comunque a instaurare un rapporto con Dio (ascesi) se, e solo se, nella vita terrena (cioè nella mondanità) si impegna a diventare uno strumento attivo dei programmi e dei disegni divini. Calvino trasferisce dunque alla mondanità il concetto di vocazione, che nel cattolicesimo è riservato soltanto a coloro che scelgono di entrare a far parte dell’ordine religioso. Per l’etica calvinista e protestante, invece, ogni individuo può seguire la propria vocazione professionale con lo stesso rigore e ascetismo che caratterizzano l’esistenza monacale. Inoltre, mentre per i cattolici il prestito di denaro con interessi costituiva usura e dunque peccato, Calvino si dimostrò più aperto allentando le prescrizioni morali dell’epoca e giustificando il pagamento degli interessi.  Certamente, gli aspetti teologici non bastano da soli a spiegare il passaggio da un capitalismo industriale al capitalismo finanziario dei nostri giorni, né a collegare le origini di quest’ultimo necessariamente ad un Paese o ad un gruppo di Paesi piuttosto che ad altri giacché il mondo globalizzato odierno sembra essere pervaso tutto della stessa impostazione. Ma se si considerano quei fattori ereditari stabili di Le Bon-niana memoria che informano la storia e il sentire di un popolo, è possibile affermare che si assiste in Europa a due visioni del mondo: uno realista fino al darwinismo  – il “sopravviva il migliore” o, di questi tempi,  l’”immunità di gregge” di Boris Johnson –  pragmatico fino al cinismo. L’altro, su cui si avverte forte l’influenza del Vaticano, solidale fino all’assistenzialismo e derogatorio delle regole.

[11] Già nel 1928, Edward Bernays in Propaganda, rilevava che la manipolazione cosciente, intelligente delle opinioni e delle abitudini organizzate delle masse gioca un ruolo importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo impercettibile meccanismo sociale formano un governo indivisibile che dirige veramente il paese.

[12] L’Italia non ha mai sottoposto a referendum l’adesione ai trattati Europei, ancorché nel trattato di Maastricht del 1999 sia stata ceduta parte della sua sovranità nazionale e con il trattato di Lisbona, ratificato nel 2008, siano state rafforzate le “deleghe” all’Unione Europea, includendo anche la ripartizione diseguale di poteri fra gli Stati aderenti. Giova qui ricordare che anche nei pochi Paesi in cui il referendum è stato fatto ed è stato sfavorevole alla ratifica, l’approvazione finale sia stata in ogni caso ottenuta ripetendo una seconda volta il referendum. È il caso della Danimarca (referendum sfavorevole al Trattato di Maastricht nel 1992, poi favorevole nel 1993), dell’Irlanda (referendum sfavorevole al Trattato di Lisbona nel 2008, poi favorevole al secondo che si tenne lo stesso anno, esattamente stesso iter che nel 2001 era già accaduto per il Trattato di Nizza), della Francia e dell’Olanda che nel 2003 votarono “no” alla Costituzione Europea, le cui previsioni vennero poi fatte confluire nel Trattato di Lisbona e infine accettate nel 2008.

[13] Noto nelle scienze psicologiche come Bias o Pregiudizio dello Status Quo. Si tratta di un errore cognitivo che consiste nella preferenza per la situazione attuale rispetto ad altre possibili ed è determinato da una istintiva resistenza al cambiamento: il cambiamento spaventa e si tenta di mantenere le cose così come stanno. La parte più dannosa di questo pregiudizio è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa potrà far peggiorare le cose.

[14] Per il sociologo e filosofo polacco, Zygmunt Bauman, noto per aver coniato la definizione di “società liquida” e per la capacità di condensare in concetti vividi i cambiamenti della società di cui si ha ancora una percezione confusa, il presente è schiavo della paura. Per Bauman l’origine delle paure che percorrono il nostro presente è il declino, la scomposizione e la scomparsa dell’organizzazione sociale, politica ed economica che andava sotto il nome di «fordismo», da intendersi come il sostrato industriale che reggeva l’intero edificio. Questa base irradiava sicurezze e solidità nel corpo sociale. E ciò avveniva, sì, anche grazie alla redistribuzione della ricchezza ad opera di uno Stato capace di provvedere alla copertura di molti bisogni, ma il «nucleo centrale» di quella forza irradiante era sopra ogni altra cosa la «protezione» che esso forniva, in forma di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali.

[15]Oggi i lavoratori, imprenditori di sé stessi, sono dominati da forze psichiche inconsce, installate dalla propaganda neoliberista, che agiscono da virus del pensiero, da truppe di occupazione, che distorcono in modo sistematico la lettura della realtà interna ed esterna. Questa distorsione produce alienazione dal vero sé relazionale e sociale, e costruisce un falso sé insocievole con sé stesso e con gli altri, competitivo, arrogante, individualista, narcisista. (omissis). Il narciliberismo si genera, non solo in famiglia, ma soprattutto socialmente collettivamente, nelle pubbliche scuole e nelle università, attraverso l’interiorizzazione di idee mitiche sotterranee, implicite in modo pervasivo nella propaganda mediatica e nelle pratiche disciplinari di controllo sociale, che sfuggono ad ogni analisi critica da parte dell’io che governa la personalità. Queste idee contaminano non solo l’inconscio, amplificando la propensione al conflitto tra pulsioni aggressive e socievoli, ma l’io stesso che dovrebbe gestire il conflitto” (Prof. Mauro Scardovelli, Economia e Psiche, 13).

[16] Ci si riferisce alla frase shock pronunciata dalla neo Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Christine  Lagarde che, intervistata il 12 marzo 2020 sugli strumenti che la BCE avrebbe attivato per fronteggiare la gravissima crisi economica causata dalla pandemia, rispondendo a una domanda a proposito dell’Italia, ha affermato: “Non siamo qui per ridurre gli spread, non è compito nostro”.

[17] “Dobbiamo ammetterlo, dobbiamo riconoscerlo: siamo stati distratti, superficiali, assenti. Dove eravamo quando ci hanno sottratto giorno dopo giorno quei diritti e libertà che erroneamente davamo ormai per acquisite e naturali, ma che naturali non sono affatto? Ci eravamo dimenticati che dietro quelle libertà c’erano i corpi mutilati. Torturati e uccisi di tanti resistenti (omissis). Scoraggiarsi, chiudersi in sé stessi, deprimersi fa solo il gioco dell’avversario. La storia ci insegna che nessuno può continuare ad opprimere un popolo che si fa consapevole e che progressivamente si unisce nella dedizione al bene comune e alla giustizia” (Prof. Mauro Scardovelli, Economia e Psiche, 28-29). “ I cittadini, per tutelare i loro diritti costituzionali, così gravemente messi in pericolo, oggi devono impegnarsi in una estrema difesa. Difesa che non può prescindere da una diffusa consapevolezza culturale dei presupposti storici e socio – economici della forma di repubblica democratica prevista dalla Costituzione del ‘48” (Luciano Barra Caracciolo, citato in  Economia e Psiche, 29, Prof. Mauro Scardovelli),

[18] Torna attuale l’osservazione che Gustave Le Bon in Psicologia delle folle fa a proposito dello sradicamento delle idee fondamentali di un popolo o, come le definisce anche Le Bon, delle credenze stabili. Queste si posso definire come l’insieme dei fattori ereditari, dei sentimenti, delle opinioni e degli orientamenti di una razza (ndr leggasi: nazione) che difficili e lunghe a radicarsi, sono altrettanto difficili ad essere abbandonate. Di norma, osserva Le Bon, questo accade con una violenta rivoluzione, tuttavia avverte il fondatore della Psicologia Sociale, “ le rivoluzioni acquisiscono un vero potere solo quando la credenza ha perso quasi del tutto la sua presa sulle anime. Le rivoluzioni servono allora a eliminare definitivamente ciò che era praticamente già abbandonato del tutto. Le rivoluzioni che cominciano sono in realtà credenze che finiscono (omissis). Il giorno preciso in cui una credenza è destinata a morire è quello in cui si comincia a discuterne il valore”(pag. 126).