A proposito di Gaza_di Giuseppe Gagliano

HAMAS vs ISRAELE/ I sei errori dell’intelligence che spiegano la débâcle di Tel Aviv

Giuseppe Gagliano

Valutazioni sbagliate, segnalazioni dei servizi egiziani snobbate, mini-droni commerciali usati da Hamas: così Israele non si è accorto dell’attacco

israele gaza guerra 6 lapresse1280 640x300 Soldati israeliani fuori dal muro che circonda la Striscia di Gaza (LaPresse)

È da circa una settimana che i principali analisti internazionali si chiedono cosa non abbia funzionato nell’ambito dell’intelligence israeliana. Ebbene, possiamo arrivare ad alcune conclusioni ampiamente dimostrabili almeno fino a questo momento.

In primo luogo l’intelligence israeliana era certamente in possesso di indicatori di avvertimento relativi all’attacco e questi indicatori sono stati valutati in modo errato. Nello specifico la divisione di intelligence delle Forze di difesa israeliane (IDF), nota come intelligence militare israeliana (IMI), e l’Agenzia per la sicurezza israeliana (ISA), monitorano Hamas da anni. Sappiamo che queste due agenzie hanno condotto una valutazione della situazione circa due settimane prima dell’attacco del 7 ottobre. La valutazione formulava una conclusione molto chiara e cioè che Hamas non aveva alcun interesse ad attaccare Israele a breve termine. Questa previsione è stata comunicata al primo ministro israeliano e al ministro della Difesa.

Al contrario Abbas Kamel, direttore della Direzione generale dell’intelligence egiziana, ha inviato un avvertimento a Israele pochi giorni prima dell’attacco di Hamas, indicando che sarebbe avvenuta una terribile operazione che stava per aver luogo dalla direzione di Gaza. L’avvertimento è stato inoltrato all’ufficio del primo ministro Netanyahu. Il giornale israeliano che ha pubblicato questo rapporto, Yedioth Ahronoth, è noto per la sua seria reputazione e le fonti di qualità all’interno dell’establishment egiziano.

Ora, il primo ministro israeliano ha volutamente ignorato questo avvertimento. Persino un autorevole membro del Congresso americano e cioè Michael McCaul, presidente della commissione Esteri della Camera, ha dichiarato l’11 ottobre: “Sappiamo che l’Egitto […] ha avvertito gli israeliani tre giorni prima che un evento come questo potrebbe accadere”. Una fonte del governo egiziano ha anche affermato che i funzionari dell’intelligence egiziana hanno avvertito le loro controparti israeliane che Hamas stava pianificando “qualcosa di grande” in vista dell’assalto a sorpresa del 7 ottobre. Ma questi avvertimenti sono stati ignorati.

In secondo luogo, l’11 ottobre, un portavoce dell’IDF ha ammesso che, la sera prima dell’attacco, sono stati rilevati movimenti sospetti da parte degli agenti di Hamas vicino alla recinzione perimetrale che separa Gaza da Israele. Tuttavia, secondo il portavoce, “non c’è stato alcun avviso di pericolo per questo incidente“.

In terzo luogo dobbiamo ricordare che la raccolta di intelligence israeliana sulle minacce che provengono dalla Striscia di Gaza si basa su una divisione di responsabilità: l’IMI è tradizionalmente responsabile della raccolta di informazioni attraverso segnali e intelligenza visiva, mentre l’ISA è responsabile della raccolta di informazioni attraverso l’intelligence umana. Va notato che i leader dell’ala militare di Hamas erano consapevoli delle capacità di intelligence di Israele. Ecco perché hanno evitato di utilizzare canali di comunicazione digitale per organizzare il loro attacco, il che ha reso molto difficile intercettare informazioni preziose.

In quarto luogo l’ISA non è riuscita a penetrare nella cerchia ristretta di Hamas e quindi non è riuscita a emettere un allarme precoce per l’attacco del 7 ottobre.

In quinto luogo, Hamas ha utilizzato un sistema di compartimentazione molto rigoroso, permettendo solo a pochi di avere un quadro delle sue intenzioni e del suo piano di attacco.

Ma indubbiamente ci sono altre considerazioni da formulare. Come sappiamo la Striscia di Gaza è monitorata in modo capillare: infatti le torrette non vengono mai lasciate vuote e vi è una rigorosa disciplina nel modo in cui vengono organizzati i turni. Il minimo allarme dei sensori determina l’immediato dispiegamento di una pattuglia di terra e in contemporanea vengono inviati droni da ricognizione tattica per monitorare visivamente la situazione. Cosa è accaduto allora alle torrette di sorveglianza poste sulla Striscia di Gaza? Le torrette di sicurezza sono state distrutte in luoghi chiave da cariche esplosive piazzate da Hamas su mini-droni commerciali prima dell’attacco a terra, senza essere rilevate. I militanti palestinesi non possono utilizzare i loro droni commerciali a una distanza di oltre tre chilometri; quindi erano teoricamente all’interno del perimetro di sorveglianza del sistema del Muro di Ferro quando sono stati lanciati gli attacchi alle torri.

Ora, in generale i sistemi di intercettazione anti-drone sono in grado di solito di respingere attacchi di natura aerea, ma i mini-droni commerciali sono molto più piccoli di quelli militari e quindi non sono stati rilevati dai radar dei sistemi di difesa aerea di Iron Dome, che sono responsabili dell’intercettazione dei razzi e che si trovano a circa 15 chilometri dalla recinzione di sicurezza del Muro di Ferro.

Tra l’altro, questo fallimento tecnologico ha indotto il 10 ottobre il capo di stato maggiore congiunto della Sud Corea, Kang Shin-chul, ad affermare la possibilità che la Nord Corea effettuasse un attacco simile contro la Sud Corea. Ha osservato, infatti, con preoccupazione che i sistemi di sorveglianza delle frontiere erano stati neutralizzati e resi inefficaci prima dell’attacco di Hamas. Infatti il sistema di sorveglianza installato lungo la zona smilitarizzata con Pyongyang è stato originariamente progettato da Elbit Systems e modellato sulla tecnologia utilizzata a Gaza. Ma anche gli Stati Uniti usano lo stesso sistema lungo tutto il confine con il Messico.

In sesto luogo, all’interno del gabinetto di sicurezza (che è certamente l’elemento chiave dell’apparato di intelligence israeliana ed è composto dal primo ministro e dai capi dell’intelligence) ci sono state delle profonde divisioni. Non solo: il gabinetto è stato convocato di rado dal primo ministro che ha invece preferito fare affidamento sulle analisi dello Shin Bet. Il primo ministro ha monitorato le ultime operazioni militari contro la Jihad islamica nel mese di maggio proprio facendo riferimento alle analisi date dal quartier generale dello Shin Bet. Ora, questo servizio di sicurezza israeliano ha concentrato tutte le sue analisi sulla Cisgiordania a causa della grave situazione nella quale questa zona si trova. E proprio la Cisgiordania è stata fra i punti principali all’ordine del giorno dell’incontro del direttore dello Shin Bet con la Cia a Washington il 1° giugno.

SCENARI/ La lezione (e l’errore) di al Qaeda dietro i calcoli di Hamas

Giuseppe Gagliano

Lo scopo di Hamas è di provocare una tale reazione di Israele da portarlo, insieme agli Usa, all’isolamento. Sarà la Cina a trarne vantaggio

hamas palestinesi londra 1 lapresse1280 640x300 manifestazione pro palestinesi a Londra (LaPresse)

È opportuno fare alcune precisazioni in merito al ruolo dell’azione terroristica posta in essere da Hamas. In linea di massima l’azione terroristica non è volta a rovesciare l’istituzione politica ma ha come suo scopo principale quello di intensificare il conflitto radicalizzando il contesto, finendo per indurre lo Stato in azioni che lo logorano. A tale proposito non dobbiamo dimenticare che l’azione terroristica di al Qaeda ha avuto una rilevante successo di natura strategica nel provocare gli Stati Uniti in una campagna militare che ha determinato un contesto internazionale profondamente anti-americano (basti pensare a quanto affermato da Al-Jazeera in merito all’azione militare americana).

Nel caso specifico di Hamas l’ampia pianificazione, le risorse poste in essere e la segretezza implicite negli attacchi aerei, terrestri e marittimi che sono stati coordinati su ampia scala suggeriscono che la sua finalità strategica fosse principalmente quella di  provocare una risposta israeliana così radicale da polarizzare la regione, eliminando qualsiasi via di mezzo e trascinando le istituzioni militari israeliane in una campagna prolungata che difficilmente potrà essere vinta. Anche se il prezzo che Hamas, Hezbollah e la popolazione palestinese dovranno pagare sarà altissimo, difficilmente si può negare che l’azione terroristica attuata contro Israele sia stata un successo militare e potrebbe trasformarsi in un successo politico. A cosa stiamo alludendo esattamente?

In primo luogo, è evidente che determinati organi informazione – quali Al-Jazeera, Russia Today e Telesur – evidenzieranno la drammaticità delle azioni israeliane contro la popolazione palestinese, porranno in evidenza la crisi umanitarie e finiranno per determinare una profonda ostilità nel Medio oriente nei confronti di Israele.

In secondo luogo l’azione militare israeliana non farà altro che rafforzare da un punto di vista politico l’Iran, che non a caso ha elogiato l’azione militare di Hamas; ma rafforzerà anche il governo turco e aiuterà la causa di coalizioni governative come quella dei talebani.

In terzo luogo una reazione di sostegno alla causa palestinese potrebbe provenire dall’Arabia Saudita e dall’Egitto, che non solo potrebbero prendere posizione contro Israele, ma addirittura potrebbero collaborare in funzione anti-israeliana.

In quarto luogo il contributo militare americano potrebbe isolare ulteriormente Israele all’interno del contesto mediorientale, finendo per rafforzare la posizione di Russia, Corea del Nord, Cuba, Venezuela, Nicaragua. Quanto all’Unione Europea questa rimarrà certamente paralizzata dal punto di vista politico, dimostrando ancora una volta di essere un nano politico.

Ma se c’è una nazione che potrebbe certamente trarre vantaggio da un prolungato conflitto e dal coinvolgimento degli Stati Uniti, questa è certamente la Cina. Infatti gli Stati Uniti dovrebbero investire enormi risorse per sostenere sia l’Ucraina che Israele, finendo per allontanare gli Stati Uniti dai partner tradizionali in Medio oriente.

Un altro aspetto sottovalutato dagli analisti tradizionali è che nel contesto dell’America latina una eventuale escalation del conflitto in Medio oriente potrebbe certamente avvantaggiare l’attività di Hezbollah e di altri gruppi radicali, dal momento che dal punto di vista storico questi gruppi hanno condotto proprio in America Latina una parte della loro attività di raccolta fondi.

In ultima analisi quanto più spietata sarà la reazione israeliana e quanto più ampio e sistematico sarà il contributo militare americano, tanto più vi sarà una polarizzazione sia in Medio oriente che in America latina in funzione anti-americana e anti-israeliana.

Palestina L’Iran e l’attacco di Hamas

di Giuseppe Gagliano –

Uno degli aspetti più interessanti di del conflitto in corso nel Vicino oriente è la mano di Teheran dietro l’offensiva. Il comando di Hamas lo ha ufficialmente riconosciuto. L’evidente professionalità degli aggressori non si improvvisa dall’oggi al domani, e presumibilmente sono stati addestrati da membri delle forze speciali. Le informazioni necessarie per l’attivazione dell’operazione possono essere ottenute solo da un servizio speciale competente. Tutto rimanda al ramo al-Qods dei Pasdaran, che è responsabile delle operazioni esterne dell’Iran, nonostante l’orientamento sciita fosse da sempre in contrapposizione a quello sunnita di Hamas e della Jihad islamica palestinese.
Ma la lotta dei palestinesi è di matrice nazionalista, come quella dell’FLN durante la guerra di Algeria. È per questo motivo che i salafiti-jihadisti di al-Qaida e dell’Isis di sono sempre stati tenuti (relativamente) lontani. Questo naturalmente non significa che la situazione non possa subire mutamenti in futuro.
Per quanto riguarda la ragione politica che ha indotto Teheran ad agire in questo modo è abbastanza evidente: impedire che vi sia un riavvicinamento tra lo Stato di Israele e i paesi arabi in generale e con l’Arabia Saudita in particolare. I paesi che hanno già siglato l’Accordo di Abramo a regia Usa, cioè Bahrein, Marocco, Sudan e EAU, e quelli che si stanno preparando a fare altrettanto si trovano di fronte alla scelta problematica di togliere il sostegno ai palestinesi e quindi di appoggiare lo Stato ebraico, molto impopolare preso il mondo arabo.
Secondo il portale di notizie iraniano semi-ufficiale ISNA, Rahim Safavi, consigliere del leader supremo Ali Hosseini Khamenei, ha dichiarato che l’Iran sostiene l’attacco palestinese in questi termini: “Ci congratuliamo con i combattenti palestinesi (…). Saremo al fianco dei combattenti palestinesi fino alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme”. Da parte sua il ministero degli Esteri iraniano ha notato che “in questa operazione sono stati utilizzati l’elemento di sorpresa e altri metodi combinati, che mostrano la fiducia del popolo palestinese nei confronti combattenti (…). Gli attacchi “hanno dimostrato che il regime sionista è più vulnerabile che mai, e che l’iniziativa è nelle mani della gioventù palestinese”.
I prossimi sviluppi sono imprevedibili, perché si sa come inizia una guerra ma non si sa come finisce. Ciò che è chiaro è che le mappe saranno ridistribuite in Medio Oriente.

DIETRO HAMAS/ Come funziona la struttura parallela iraniana che ha spiazzato Israele

Giuseppe Gagliano

L’Iran e una struttura parallela ad Hamas hanno probabilmente preparato l’attacco a Israele. Ecco gli errori del governo Netanyahu

quirico Gaza, miliziani di Hamas (LaPresse)

L’operazione di Hamas al-Aqsa Flood, iniziata il 7 ottobre, ha segnato il primo conflitto su larga scala all’interno dei confini di Israele dalla guerra arabo-israeliana del 1948. Tuttavia, a differenza della coalizione di eserciti arabi che affrontò 75 anni fa, Israele ora ha di fronte un’alleanza di gruppi sub-statali. Guidata dall’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, questa alleanza comprende la Jihad islamica palestinese, sostenuta dalla Siria e dall’Iran, e una serie di gruppi laici, come le Brigate dei Martiri al-Aqsa allineate al Fatah, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) e il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (DFLP).

Tali gruppi sono meno conosciuti di Hamas; tuttavia, spesso portano con sé competenze in aree di nicchia, come la gestione di reti di informatori all’interno di Israele, la costruzione di esplosivi sofisticati, l’impiego di droni da combattimento senza equipaggio o l’approvvigionamento di armi specializzate. È quindi probabile che abbiano contribuito notevolmente all’esito dell’operazione al-Aqsa Flood. La loro partecipazione ha anche permesso ad Hamas di lanciare quello che essenzialmente equivaleva a un assalto con armi combinate a Israele, che includeva elementi coordinati di terra, mare e aria e che erano volutamente low-tech. Ciò potrebbe spiegare perché gli assalitori sono stati in grado di mandare in cortocircuito e sopraffare il presunto perimetro di sicurezza inespugnabile che Israele mantiene intorno alla Striscia di Gaza.

Mettendo da parte i singoli elementi low-tech dell’operazione, il suo livello generale di organizzazione tattica indica quasi certamente un notevole sostegno da parte di attori al di fuori della Striscia di Gaza. Tali attori probabilmente includono reti di informatori all’interno di Israele, così come forse l’Iran e la sua ramificazione libanese, Hezbollah. Entrambi sono ben versati nella guerra ibrida e hanno studiato i sistemi di difesa israeliani più ampiamente di qualsiasi altro attore regionale. Inoltre, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran (IRGC) e le Brigate di Resistenza Libanesi di Hezbollah sono esperti in operazioni di inganno.

Probabilmente hanno allenato Hamas, non solo su come effettuare l’operazione al-Aqsa Flood, ma soprattutto su come impedire a Israele e ai suoi alleati di raccogliere informazioni al riguardo.

Non c’è dubbio che un’operazione di tale portata deve aver richiesto mesi – forse anche anni – per essere organizzata. Un processo così complesso avrebbe avuto luogo sotto gli occhi e le orecchie attenti delle agenzie di intelligence israeliane ed egiziane, che storicamente hanno affrontato poca resistenza nel penetrare gruppi militanti palestinesi, tra cui Hamas. Eppure nessuno sembra aver raccolto abbastanza informazioni per anticipare l’attacco. È altrettanto sorprendente che la meticolosa pianificazione dell’operazione al-Aqsa Flood sembri essere sfuggita all’attenzione delle agenzie di intelligence americane, la cui presenza in Medio Oriente è significativa. Com’è stato possibile?

È probabile che la risposta a questo puzzle si riferisca all’Iran. I suoi agenti sul terreno sembrano essere stati in grado di assemblare, finanziare e addestrare meticolosamente una struttura militante all’interno della Striscia di Gaza, che opera da un bel po’ di tempo in parallelo alla struttura ufficiale di Hamas. Questa struttura parallela probabilmente consiste in individui altamente impegnati e affidabili di vari gruppi palestinesi. Per diversi anni, questa struttura d’élite è riuscita a operare in segreto. Se questa linea di ragionamento è valida, è probabile che il lancio dell’operazione al-Aqsa Flood abbia sbalordito anche gli anziani militanti palestinesi nella Striscia di Gaza nelle prime ore del 7 ottobre. Eppure alti funzionari iraniani lo sapevano, e molto probabilmente ne era a conoscenza anche la leadership di Hezbollah. Dovrebbe essere dato per scontato che i pianificatori dell’attacco abbiano adottato un approccio veramente ermetico.

Eppure è improbabile che le agenzie israeliane, egiziane, giordane, saudite, americane e altre agenzie di spionaggio non siano riuscite a raccogliere almeno alcuni avvertimenti di intelligence sull’attacco, specialmente nelle ultime settimane e giorni, poiché i pianificatori hanno intensificato i loro preparativi a Gaza. Il livello di sorveglianza nella Striscia è semplicemente troppo esteso perché un’operazione su così larga scala sia passata completamente inosservata. È probabile, quindi, che almeno alcuni segnali di avvertimento abbiano raggiunto l’amministrazione del presidente israeliano Benjamin Netanyahu.

È anche probabile, tuttavia, che il governo altamente politicizzato e assediato di Netanyahu abbia mantenuto la sua attenzione focalizzata altrove, principalmente sulla propria sopravvivenza politica, che ha affrontato ripetute minacce negli ultimi tempi, poiché Israele si è avvicinato a quella che alcuni osservatori hanno avvertito poter essere una guerra civile. Inoltre, ci sono state accuse secondo cui il governo di Netanyahu si è concentrato in gran parte sulla “protezione dei coloni in Cisgiordania [con le truppe] piuttosto che sulla protezione dei kibbutznik al confine con Gaza”. Questo potrebbe essere un elemento centrale per spiegare la catastrofica sorpresa tattica che Israele ha subito lo scorso fine settimana.

È importante notare che l’operazione al-Aqsa Flood probabilmente rappresenterà non solo una sorpresa tattica, ma anche una sorpresa strategica per lo Stato ebraico. Come ha sostenuto Martin Indyk in una conferenza stampa di emergenza del Council on Foreign Relations domenica scorsa, è probabile che la leadership israeliana abbia frainteso le intenzioni strategiche di Hamas. Mentre Israele si è impegnato febbrilmente nella normalizzazione delle sue relazioni con una serie di Paesi arabi negli ultimi anni, il rifiuto di Hamas deve essere sembrato a volte quasi una reliquia del passato. Alcuni avrebbero persino potuto presumere che Hamas avrebbe adottato un “approccio live-and-let-live” nei confronti di Israele, purché gli fosse stato permesso di governare il suo dominio nella Striscia di Gaza. Eppure tali opinioni si sono rivelate illusorie, con risultati disastrosi.

Il governo di Israele indagherà senza dubbio sulle cause di questa catastrofe storica, a tempo debito. Nel frattempo si trova di fronte a una decisione importante: lanciare o no una incursione di terra nella Striscia di Gaza? Nel frattempo, i tank sono stati mandati al confine. Se Israele non lo fa, rischia di lasciare l’infrastruttura militante di Hamas in gran parte intatta. Se lo fa, affronta la forte probabilità che Hezbollah attacchi Israele da Nord, non solo con sbarramenti di missili, ma con un’incursione le cui dimensioni potrebbero sminuire l’operazione al-Aqsa Flood. Se lancia un attacco di terra, il gruppo libanese avrà l’aiuto dell’Iran, delle milizie sciite irachene, dei volontari siriani e persino delle unità di combattimento talebane, che si sono recentemente impegnate ad aiutare a “conquistare Gerusalemme”. Nel frattempo, profonde divisioni all’interno di Israele continueranno a condizionare le manovre del governo nelle prossime settimane.

 

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GRAHAM E. FULLER, ALCUNE RIFLESSIONI DIFFICILI SUL POST-UCRAINA

Un dibattito sempre più aperto. Buona lettura, Giuseppe Germinario

GRAHAM E. FULLER ALCUNE RIFLESSIONI DIFFICILI SUL POST-UCRAINA

https://cf2r.org/tribune/quelques-reflexions-difficiles-sur-lapres-ukraine/

La guerra in Ucraina si è trascinata abbastanza a lungo da rivelare alcune traiettorie chiare. Innanzitutto due fatti fondamentali:

Putin deve essere condannato per aver iniziato questa guerra, come praticamente qualsiasi leader che inizia una guerra. Putin può essere definito un criminale di guerra, in buona compagnia di George W. Bush, che ha ucciso molte più persone di Putin.

Condanna secondaria va agli Stati Uniti (NATO) che hanno deliberatamente provocato una guerra con la Russia spingendo incessantemente la loro organizzazione militare ostile, nonostante le ripetute notifiche da Mosca di attraversare le linee rosse, proprio alle porte della Russia. Questa guerra non avrebbe dovuto aver luogo se la neutralità ucraina, come la Finlandia e l’Austria, fosse stata accettata.

Invece, Washington ha chiesto una netta sconfitta per la Russia.

Mentre la guerra volge al termine, come andranno le cose?

Contrariamente alle dichiarazioni trionfalistiche di Washington, la Russia sta vincendo la guerra e l’Ucraina ha perso la guerra. Qualsiasi danno a lungo termine alla Russia è discutibile.

Le sanzioni statunitensi contro la Russia si sono rivelate molto più devastanti per l’Europa che per la Russia. L’economia globale ha subito un rallentamento e molti paesi in via di sviluppo si trovano ad affrontare gravi carenze alimentari e il rischio di una diffusa carestia.

Profonde crepe stanno già comparendo nella facciata europea della cosiddetta “Unità NATO”. L’Europa occidentale rimpiangerà amaramente il giorno in cui ha seguito ciecamente il pifferaio magico americano nella sua guerra contro la Russia. In effetti, questa non è una guerra ucraino-russa, ma una guerra americano-russa condotta per procura contro l’ Ucraina .

Contrariamente alle dichiarazioni ottimistiche, la NATO potrebbe, infatti, emergere indebolita. Gli europei occidentali rifletteranno a lungo sulla rilevanza e sui costi significativi degli scontri a lungo termine con la Russia o altri “concorrenti” degli Stati Uniti.

L’Europa prima o poi tornerà ad acquistare energia russa a buon mercato. La Russia è alle sue porte e una relazione economica naturale con essa alla fine avrà un senso schiacciante.

L’Europa percepisce già gli Stati Uniti come una potenza in declino la cui “visione” di politica estera erratica e ipocrita si basa sul disperato bisogno di preservare la “leadership americana” nel mondo. La volontà dell’America di entrare in guerra per questo scopo è sempre più pericolosa per gli altri.

Washington ha anche chiarito che l’Europa deve impegnarsi in una lotta “ideologica” contro la Cina, in una sorta di lotta proteiforme della “democrazia contro l’autoritarismo”. Eppure questa è davvero una classica lotta per il potere nel mondo. E l’Europa può permettersi ancora meno di virare nel confronto con la Cina, una “minaccia” percepita principalmente da Washington ma poco convincente per molti stati europei e gran parte del mondo.

L’iniziativa cinese “Belt and Road” è forse il progetto economico e geopolitico più ambizioso della storia mondiale. Collega già la Cina all’Europa via ferrovia e via mare. L’esclusione dell’Europa dal progetto “Belt and Road” le costerà cara. Si noti che “Belt and Road” attraversa la Russia. È impossibile per l’Europa chiudere le porte alla Russia pur mantenendo l’accesso a questo megaprogetto eurasiatico. Quindi un’Europa che percepisce gli Stati Uniti come già in declino ha pochi incentivi a unirsi al carro contro la Cina. La fine della guerra in Ucraina farà sì che l’Europa riconsideri seriamente i meriti di sostenere il disperato tentativo di Washington di mantenere la sua egemonia globale.

L’Europa dovrà affrontare una crescente crisi di identità nel determinare il suo futuro ruolo globale. Gli europei occidentali saranno stanchi di essere soggetti al dominio americano sulla politica estera europea, che dura da 75 anni. Attualmente, la NATO è la politica estera europea e l’Europa resta inspiegabilmente timida nell’affermare una voce indipendente. Quanto durerà?

Ora stiamo vedendo come le massicce sanzioni statunitensi contro la Russia, inclusa la confisca di fondi russi alle banche occidentali, stiano inducendo la maggior parte dei paesi del mondo a riconsiderare se scommettere interamente sul dollaro USA in futuro. La diversificazione degli strumenti economici internazionali è già all’ordine del giorno e non farà che indebolire la posizione economica un tempo dominante di Washington e la sua strumentalizzazione egemonica del dollaro.

Una delle caratteristiche più inquietanti di questa lotta russo-americana in Ucraina è la totale corruzione dei media indipendenti. Infatti, Washington ha vinto la top della guerra dell’informazione e della propaganda, orchestrando tutti i media occidentali a cantare lo stesso ritornello sulla guerra in Ucraina. L’Occidente non ha mai assistito a un’imposizione così generale della prospettiva geopolitica e ideologica di un Paese nel suo spazio. Naturalmente, non ci si può fidare nemmeno della stampa russa. In mezzo a una raffica di virulenta propaganda anti-russa come non ho mai visto nei miei anni della Guerra Fredda, analisti seri hanno bisogno di scavare a fondo in questi giorni per ottenere una comprensione oggettiva di ciò che sta realmente accadendo in Ucraina. .

Ma l’implicazione più pericolosa è che mentre ci dirigiamo verso future crisi globali, una stampa veramente libera e indipendente sta scomparendo, cadendo nelle mani dei media dominati dalle multinazionali vicini ai circoli politici, ora supportati dai social media elettronici, che manipolano tutti la narrativa per i propri fini. Mentre ci dirigiamo verso una crisi di instabilità sempre più grande e pericolosa dovuta al riscaldamento globale, ai flussi di profughi, ai disastri naturali e forse a nuove pandemie, lo stretto controllo dei media occidentali da parte di stati e società diventa molto pericoloso per il futuro della democrazia. Oggi non sentiamo più voci alternative sull’Ucraina.

Infine, è molto probabile che il carattere geopolitico della Russia si sia ora spostato decisamente verso l’Eurasia. Per secoli i russi hanno cercato accoglienza in Europa, ma sono sempre stati tenuti a distanza. L’Occidente non vuole discutere di una nuova architettura strategica e di sicurezza. L’Ucraina ha solo intensificato questa tendenza. Le élite russe non hanno altra scelta che accettare che il loro futuro economico risieda nel Pacifico, dove Vladivostok è a solo un’ora o due di aereo dalle vaste economie di Pechino, Tokyo e Seoul. Cina e Russia sono state decisamente spinte ad avvicinarsi sempre più l’una all’altra, anche a causa della loro comune preoccupazione di bloccare la libertà di intervento militare ed economico unilaterale degli Stati Uniti nel mondo. La Russia ha energia in abbondanza ed è ricca di minerali e metalli rari. La Cina ha i capitali, i mercati e la forza lavoro per contribuire a quella che sta diventando una partnership naturale in tutta l’Eurasia.

Sfortunatamente per Washington, quasi tutte le sue aspettative su questa guerra si rivelano errate e la maggior parte del resto del mondo – America Latina, India, Medio Oriente e Africa – trova scarso interesse nazionale in questa guerra fondamentalmente americana contro la Russia.

GRAHAM E. FULLER

Ex ufficiale dell’intelligence americana, avendo successivamente prestato servizio presso la CIA – era capo posto a Kabul – e poi al National Intelligence Council, di cui era vicepresidente. È poi entrato a far parte della Rand Corporation come politologo senior specializzato in Medio Oriente. Ora è professore di storia alla Simon Fraser University. Graham E. Fuller è autore di diversi libri dedicati alle questioni geopolitiche del mondo arabo.

https://centrostudistrategicicarlodecristoforis.wordpress.com/2022/06/21/graham-e-fuller-alcune-riflessioni-difficili-sul-post-ucraina/?fbclid=IwAR2vY_HsuSnmdyAZ27tamKOJ5FYK_KIQrBO-sPRNuOwA45J8WOxGZEROO1o

https://grahamefuller.com/some-hard-thoughts-about-post-ukraine/?fbclid=IwAR1h89nRgRqBSa-8kPJbgXugNgu5fqkdQByilgKhjvCiFJ0CjvoyPc0Q8UM

Jacques Baud, Il punto sulla situazione ucraina al 2 giugno

Va ricordato che l’offensiva russa lanciata il 24 febbraio ha seguito abbastanza fedelmente la dottrina militare russa. La fase 1 è stata articolata attorno a una linea principale di sforzo in direzione del Donbass, da una coalizione composta da forze russe, forze delle Repubbliche popolari di Donetsk (DPR) e Lugansk (LPR), e una linea di sforzo secondaria in direzione di kyiv, ingaggiando le forze russe. Logicamente, gli obiettivi dichiarati da Vladimir Putin, ovvero la “smilitarizzazione” e la “denazificazione” della minaccia al Donbass, si collocano nell’asse principale dello sforzo. Il

La “smilitarizzazione” riguarda le forze ucraine che erano state raggruppate nel Donbass per l’offensiva contro DPR e LPR. La “denazificazione” ha preso di mira principalmente le forze paramilitari dislocate a Mariupol.

I dati forniti dal Pentagono mostrano che la Russia ha lanciato la sua offensiva con circa 80 gruppi di battaglioni (BTG), per un totale di 65.000-80.000 soldati. A questi si aggiungono le milizie RPD e RPL. Considerando che le forze ucraine avevano in questo momento 200.000-250.000 uomini, vediamo che i russi hanno attaccato con una forza complessiva da 3 a 4 volte inferiore. Nel Donbass, l’equilibrio di potere può essere stimato da 1 (coalizione) a 2 (forze ucraine).

Ciò sembra contraddire le regole della strategia russa.Ma Solo in apparenza. La dottrina militare russa è divisa in tre componenti principali: tattica (taktika), arte operativa (operativnoe iskoustvo) e strategia (strategiya). L’arte operativa non è un tipo di operazione (come hanno affermato alcuni esperti) ma un quadro in cui sono concepite le operazioni militari. Secondo l’Enciclopedia militare russa, questo è il livello di creatività.

I russi sono maestri nell’arte operativa. Per attaccare una forza con mezzi di numero inferiore, creano superiorità locali. Manovrano le loro truppe in modo da ottenere superiorità limitate nel tempo e nello spazio, sufficienti per trarne vantaggio, prima di muovere nuovamente truppe per creare un’altra superiorità locale in un altro settore.

Il 24 febbraio, per sopraffare la difesa ucraina, i russi hanno utilizzato un vecchio concetto immaginato negli anni ’20 e ampiamente utilizzato durante la seconda guerra mondiale: il gruppo di manovra (OGM). Spesso confuso con il concetto

“dell’arte operativa”, l’OGM è una forza ad hoc, molto mobile, che spinge nella profondità del dispositivo nemico secondo il principio dell’“acqua che scorre”. I punti di forza ucraini e le principali località vengono aggirati senza un vero combattimento. L’OGM infatti non mira a distruggere l’avversario, ma a conquistare posizioni favorevoli per ulteriori operazioni.

Per creare superiorità locali, è necessario portare una forza sufficiente nel settore desiderato, impedendo che l’avversario venga a rinforzare il suo dispositivo. Questo è il ruolo di “Shaping Operations” (Shaping Operations nella terminologia americana). Il loro scopo è attrarre o fissare forze nemiche in determinati settori per lasciare il campo libero alle “operazioni decisive”, cioè quelle che consentono il raggiungimento degli obiettivi.

Durante la Fase 1, la coalizione russa ha iniziato la sua operazione decisiva nel Donbass mentre le operazioni di modellamento sono state effettuate nell’area di kyiv e Zaporozhye. Il 28 marzo, con l’accerchiamento dell’ultima piazza dei neonazisti ad Azovstal, questo obiettivo è stato considerato raggiunto e rimosso dalla lista degli obiettivi russi secondo il Financial Times.

Questo è ciò che ha permesso al comando russo di passare alla Fase 2: ha potuto ritirare le forze da Mariupol e concentrare i suoi sforzi sull’obiettivo della smilitarizzazione nel Donbass. Essendo ora in grado di raggiungere la superiorità nella sua decisiva area di operazione, il comando russo ha deciso di ritirare le truppe dal settore di kyiv per rafforzare la sua posizione nel sud del paese. La Russia ne ha approfittato per far passare questo movimento operativo come un gesto di buona volontà nel quadro dei negoziati di Istanbul.

Contrariamente alle dichiarazioni degli “esperti” sui nostri televisori – che ci assicuravano che Vladimir Putin stava cercando di impadronirsi di kiev, poi affermavano che i russi avevano “perso la battaglia di kyiv” – la coalizione russa non ha mai cercato di impossessarsi di kyiv. Inoltre, secondo i dati del Pentagono, i russi avrebbero schierato in questo settore solo circa 20.000-25.000 uomini. Tuttavia, in confronto, si stima che abbiano schierato circa 40.000 uomini per prendere Mariupol, una città notevolmente più piccola.

Nelle operazioni di “rosicchiamento” della Fase 2, il tasso di avanzamento delle forze russe è rallentato. Ciò è dovuto a tre fattori principali.

– In primo luogo, si tratta di affrontare i punti di appoggio che gli OGM avevano inizialmente aggirato. I russi si aspettavano quindi chiaramente un cambiamento nel ritmo delle operazioni.

– In secondo luogo, questi punti di appoggio sono generalmente costituiti da reti di trincee o località, dove i difensori sono difficili da rimuovere. A differenza degli occidentali in Afghanistan, Iraq o Siria, che hanno affrontato un avversario determinato e privo di armi pesanti, la coalizione russa sta combattendo contro un avversario di natura equivalente.

– Terzo, gran parte dei combattimenti è condotta da truppe RPD e LPR, che provengono dalla regione, che hanno conoscenti o parenti nella zona di combattimento e che, contrariamente a quanto affermano i nostri media, cercano di evitare di causare vittime tra i civili .

È probabile che la velocità di avanzamento della coalizione abbia deluso le aspettative di alcuni russi. La narrativa occidentale di una Blitzkrieg (“guerra lampo”) fuorvia al fine di creare queste aspettative e quindi rivendicare l’incapacità russa. In questo spirito le dichiarazioni che la Russia “volesse prendere Kiev” “in due giorni” e “finire la guerra entro il 9 maggio” erano solo disinformazione per “dimostrare” le carenze russe.

Pertanto, questo rallentamento non corrisponde a un calo delle capacità operative, ma alla natura dei combattimenti che è cambiata e che era stata pianificata. Resta il fatto che la guerra ha i suoi capricci e le truppe ucraine stanno combattendo valorosamente nonostante l’incapacità del loro comando di sostenerle.

La maggior parte delle forze ucraine si trova nel Donbass, intrappolato nella morsa creata dalle forze russe dall’inizio di marzo 2022. Sebbene l’esercito ucraino stia combattendo coraggiosamente a livello tattico, ci sono punti deboli nel modo in cui la sua leadership conduce le sue operazioni..

In primo luogo, addestrato da soldati della NATO la cui unica esperienza operativa è l’Iraq o l’Afghanistan, il personale ucraino – come nel 2014 – è incapace di svolgere operazioni dinamiche. La capacità delle truppe di resistere alle forze della coalizione russa deriva dalla loro preparazione del terreno più che dalla loro capacità di manovra. La relativa efficacia della difesa ucraina deriva principalmente dalla qualità delle loro reti di trincea, che ricordano quelle di Verdun.

In secondo luogo, l’azione delle forze ucraine sembra essere determinata più dalla politica che dalle realtà sul campo. Alcune decisioni sembrano essere prese contro il parere del personale. Questo è il caso dell’ordine di “tenere duro” a tutti i costi. Una situazione che ricorda – anche qui – la prima guerra mondiale. Sembra che la strategia del governo ucraino sia più in campo politico che in campo operativo.

Terzo, le perdite ucraine sembrano impressionanti. Volodymyr Zelensky riconosce vittime di 60-100 uomini al giorno, che sembra molto al di sotto realtà. Perché l’obiettivo di tenere a tutti i costi il Donbass comporta perdite significative, che sembrano essere confermate dai social network. Il comando ucraino ha dovuto inviare 7 brigate di difesa territoriale (Teroboronets), progettate per svolgere compiti di difesa locale, per rafforzare le formazioni di combattimento nell’est del Paese.

Mal preparate, queste truppe diventano facili bersagli per la coalizione russa e il loro tasso di vittime sembra essere enorme. Un media americano vicino al Partito Democratico stima queste perdite al 65% della forza combattente. Per fare un confronto, una formazione è considerata inadatta al combattimento dopo perdite del 15-25%. Iniettati senza una reale preparazione nelle zone di combattimento, i Teroboronetsi vengono decimati al loro arrivo. Questa situazione ha provocato manifestazioni di donne in tutto il nord del Paese, inclusa kiev, che i nostri media ovviamente non riportano.

Ricordiamo qui che l’obiettivo della Russia non è quello di impadronirsi del territorio, ma di distruggere la minaccia militare al Donbass. Gli occidentali sono stati un cattivo consiglio qui. Il comando ucraino sarebbe stato senz’altro meglio consigliato di non aggrapparsi a posizioni insostenibili; ritirare le sue truppe, che inevitabilmente sarebbero state distrutte, su una linea di difesa poco più arretrata, per ricostituire una vera capacità controffensiva. In altre parole, invece di costituire una forza robusta nel nord e nell’ovest del Paese, l’Ucraina invia le sue truppe per essere annientata in situazioni già disperate. A livello tattico, i soldati ucraini rendono la vita difficile ai russi, ma a livello operativo, il personale ucraino rende loro la vita più facile…

Da metà maggio 2022, la resa spettacolare di 1.000 combattenti della 36a Brigata di fanteria marina, poi di circa 2.500 paramilitari del reggimento Azov trincerati nel sito Azovstal a Mariupol, ha gravemente minato l’immagine della determinazione nei confronti dell’aggressore russo. Fu seguito da una pioggia di ammutinamenti di unità ucraine nel Donbass. Incapace di rifornire regolarmente queste truppe, di dar loro il cambio, di rifornirle di munizioni nonostante le promesse fatte, il comando ucraino perse la fiducia dei suoi uomini. Aumentano le testimonianze e i video delle truppe ucraine che si rifiutano di continuare il combattimento per la mancanza di supporto logistico, come ricorda il colonnello Markus Reisner dell’Accademia militare di Vienna nella sua presentazione sulla situazione del Donbass.

La fragilità della volontà di difesa ucraina non si riflette ovviamente nei nostri media mainstream, che sembrano rammaricarsi del fatto che questi ucraini non combattano fino alla morte. Sono sulla stessa linea dei volontari del movimento Azov, che minacciano Zelensky per aver permesso la resa di Mariupol.

Questa situazione crea tensioni che – secondo alcuni analisti – potrebbero portare a un duro colpo contro Zelensky. Non ci sono prove concrete per confermare questa ipotesi in questa fase, ma sembra che le autorità ne siano preoccupate. Continuano le eliminazioni degli oppositori e le nuove leggi puniscono severamente le opinioni che non supportano le opinioni del governo. A differenza della Russia, che ha bandito

gruppi e movimenti di opposizione sulla base dei loro finanziamenti esteri, la legge ucraina si applica sulla base della natura delle opinioni. Così, tra i partiti presi di mira c’è il partito Nachi, dell’oligarca Yevhen Muraiev, che è soggetto alle sanzioni russe.

Perché l’ordine di “tenere duro” a tutti i costi ha contribuito notevolmente a erodere la fiducia dell’esercito ucraino. Questo spiega la proposta di legge nella Verkhovna Rada per autorizzare gli ufficiali ad abbattere i loro soldati che tentano di disertare. Nel 2015, di fronte allo stesso problema, il parlamento ucraino aveva già adottato una legge del genere. Ma nel 2022, l’indignazione sui social media e i timori che avrebbe influenzato il sostegno occidentale hanno portato al ritiro del progetto. Questo potrebbe essere visto come un’illustrazione del carattere esemplare dello Stato di diritto e della democrazia in Ucraina, ma in realtà questo ritiro si spiega anche con il fatto che la legislazione in vigore consente già a un ufficiale di abbattere i suoi uomini in determinate circostanze …

Resta il fatto che l’immagine di un popolo determinato a combattere è una farsa. È molto probabile che questa determinazione esista nella parte nord-occidentale del paese. Al sud, invece, dove raramente si avventurano i giornalisti, la situazione sembra più sfumata. La popolazione è in gran parte di lingua russa o ha legami con la Russia. Gli abusi commessi dai paramilitari tra Odessa e Kharkov dal 2014 al 2015 hanno lasciato profonde cicatrici, anche se i Paesi occidentali hanno chiuso un occhio. Secondo un soldato ucraino intervistato dalla BBC a Lissitchansk, “il 30% è filo-ucraino, il 30% è filo-russo e il 40% non se ne cura” e la maggior parte dei filo-ucraini se ne sono andati. In altre parole, la volontà di resistere alla coalizione russa in questo settore è probabilmente debole.

L’esercito ucraino sta probabilmente combattendo per l’integrità territoriale del loro paese, ma non proprio per “una nazione”. Gli sforzi dei governi ucraini per differenziare i diritti dei gruppi etnici (legge sulle popolazioni indigene) e la definizione delle lingue ufficiali, solo per citarne alcuni, non danno l’immagine di uno Stato che cerca di unire la sua popolazione in un’unica nazione. Mentre gli abusi contro la popolazione di lingua russa sono i più noti, quelli che colpiscono la popolazione magiara e di lingua rumena spiegano ampiamente la riluttanza dell’Ungheria e della Romania a fornire armi all’Ucraina. La popolazione di Mariupol è di lingua russa e gli abusi subiti dal 2014 hanno fatto percepire gli ucraini – a torto oa ragione – come occupanti e i russi come liberatori.

Per questo non c’è movimento di resistenza nelle aree occupate dai russi, come abbiamo visto in Afghanistan e Iraq contro l’Occidente.

Inoltre, mentre gli ucraini maltrattano i loro prigionieri di guerra russi (senza disturbare i nostri media), il modo in cui i russi trattano i loro è noto nelle file dell’esercito ucraino, come notato dai media russi Readovka (condannato dal governo russo) . Questo aiuta a incoraggiare gli ucraini a deporre le armi. L’Occidente non sembra molto desideroso di svolgere indagini internazionali e imparziali su crimini come Boutcha e di limitarsi ad assistere gli ucraini. Questa non è una garanzia di imparzialità e funziona piuttosto contro il governo di kyiv, nonostante le accuse contro la Russia.

Continua il trend avviato da marzo 2022: la Russia sta gradualmente raggiungendo tutti i suoi obiettivi. La retorica di media senza scrupoli, come France 5 o RTS in Svizzera, che trasmettono sistematicamente le informazioni fornite dalla parte ucraina, ha avuto conseguenze perverse. Siamo più attaccati all’immagine romantica di una difesa eroica e disperata che al destino dell’Ucraina. Così, Claude Wild, ambasciatore svizzero a kyiv, ha dichiarato che “l’Ucraina ha vinto la battaglia per kiev ma nella battaglia per l’Ucraina, per il Donbass e per il sud del Paese, tutto è ancora aperto […] l’asimmetria è ancora totalmente a favore dei russi”.

Paradossalmente, è stata questa narrativa a distruggere l’Ucraina. L’illusione di un crollo della Russia con, come corollario, una vittoria ucraina, suggeriva l’inutilità di avviare un processo negoziale, ma al contrario di consegnare più armi.

Le iniziative di Zelensky per aprire un dialogo con la Russia sono state sistematicamente sabotate da Unione Europea, Regno Unito e Stati Uniti. Il 25 febbraio 2022, Zelensky ha lasciato intendere di essere pronto a negoziare con la Russia. Due giorni dopo, l’Unione Europea arriva con un pacchetto di armi da 450 milioni di euro per incitare l’Ucraina a combattere. A marzo stesso scenario: il 21 Zelensky fa un’offerta che va in direzione della Russia, due giorni dopo torna l’Ue con un secondo pacchetto da 500 milioni di euro per le armi. Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno quindi esercitato pressioni su Zelensky affinché ritirasse la sua offerta, bloccando così i negoziati di Istanbul.

Tuttavia, la realtà sul campo spinge l’esercito occidentale a essere più realistico. Il 24 marzo il generale Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto, aveva tentato di chiamare il generale Valeri Gerassimov, capo di stato maggiore russo,inutilmente . Il 13 maggio 2022, Lloyd Austin, Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha chiamato il suo omologo russo, Sergei Shoigu, per chiedergli un cessate il fuoco. Questa è la prima volta che i due uomini si parlano dal 18 febbraio.

I soldati americani sono quindi esigenti: vedono arrivare il disastro per l’Ucraina e cercano di guadagnare tempo. Ma non hanno sufficiente credibilità perché i russi entrino nella questione. Questi ultimi sono in una dinamica per loro attualmente favorevole e le proposte dei militari americani non sembrano avere eco con la Segreteria di Stato. A questo punto, per convincere i russi servirebbero gesti concreti che nessuno è in grado o vuole compiere.

Non solo le sanzioni stanno lottando per avere un effetto concreto sull’economia russa, ma il loro impatto sulle nostre economie comincia a farsi sentire a livello politico. È il caso dell’Estonia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e, in una certa misura, della Francia. Negli Stati Uniti, la prospettiva di medio termine spinge i repubblicani a mettere in discussione queste sanzioni che incidono sul potere d’acquisto, sul ruolo del dollaro e, più in generale, sull’economia americana.

Quanto all’economia russa, non sembra risentire delle sanzioni. Il quotidiano britannico The Guardian, feroce oppositore della Russia, deve notare che “la Russia sta vincendo la guerra economica”. L’inflazione che colpisce l’emisfero settentrionale è il risultato della giustapposizione di una flessione dell’offerta a seguito della crisi del CoViD e di un più difficile accesso alle materie prime a seguito delle sanzioni occidentali. Tuttavia, questa seconda causa non riguarda la Russia. Secondo i media Bloomberg, la Russia potrebbe avere un surplus commerciale di circa 285 miliardi di dollari nel 2022. Questo surplus però non deriva da un aumento della produzione di idrocarburi, ma essenzialmente dall’aumento dei prezzi causato dalle sanzioni europee. Quindi, secondo The Guardian, la Russia avrebbe ricevuto un surplus commerciale di 96 miliardi di dollari durante i primi quattro mesi del 2022.

Il problema è che fino a quel momento l’Occidente aveva applicato sanzioni solo ai paesi da cui dipendevano poco, il che ovviamente non è il caso della Russia. Inoltre, gli “esperti” di France 5, RTS o BFM TV, che hanno paragonato l’economia russa a quella italiana o spagnola, hanno deliberatamente liquidato un fattore essenziale: la Russia era una delle meno indebitate al mondo. In altre parole, praticamente non dipendeva dall’esterno. Per questo il rublo, di cui Bruno Lemaire ha annunciato il crollo a seguito delle sanzioni europee, sta facendo meglio che mai! È stata definita “la valuta con le migliori prestazioni dell’anno” dal media finanziario americano Bloomberg.

Quanto alle esportazioni di materie prime e cereali, contrariamente a quanto affermano i nostri media, non sono impedite dalla Russia, ma dalle sanzioni europee e… dall’Ucraina.

In teoria, il trasporto marittimo di grano e fertilizzanti non risente delle sanzioni americane. Ma in pratica, le aziende occidentali non si fidano delle decisioni occidentali che fluttuano irrazionalmente e sono riluttanti a ordinare. Inoltre, le sanzioni occidentali non solo limitano l’acquisto di grano dalla Russia colpendo i mezzi di pagamento, ma ne impediscono la consegna vietando alle compagnie assicurative (e riassicurative) di coprire le spedizioni russe.

Sono operativi i porti del Mar Nero sul versante russo, compreso quello di Mariupol che ha iniziato a riprendere le proprie attività. Quanto al porto di Odessa, non è bloccato dalla Russia, che – al contrario – ha lasciato aperti i corridoi di accesso per rifornire la città. Questi corridoi sono permanentemente aperti e le loro coordinate geografiche sono comunicate a intervalli regolari su frequenze internazionali.

Furono infatti gli ucraini che, temendo uno sbarco a Odessa, minarono loro stessi la costa con vecchie mine a fune. Queste mine, mal posizionate, tendono ad andare alla deriva, mettendo in pericolo tutta la navigazione marittima. La Marina turca ha dovuto disinnescare le mine che hanno raggiunto il Bosforo. Le accuse di un blocco russo sembrano mirare solo a giustificare un possibile intervento occidentale, come riportato dal Washington Post.

In queste condizioni, la domanda sussidiaria è perché l’Ucraina dovrebbe esportare la sua produzione via mare… Perché in effetti, il modo più economico per esportare il grano ucraino sarebbe il treno, attraverso la Bielorussia. A condizione, però, di riconsiderare le sanzioni che lo colpiscono!

Come per tutti gli altri aspetti del conflitto ucraino, i media e gli “esperti” cercano di presentarci Vladimir Putin come un individuo irrazionale. Secondo loro, l’impasse in cui si troverebbero le forze russe in Ucraina, potrebbe spingerlo a ingaggiare l’arma nucleare. All’inizio di maggio, poco dopo il lancio di prova di un missile russo RS-28 Sarmat, i nostri media hanno brandito (di nuovo) la minaccia di un uso irrazionale delle armi nucleari.

In realtà, quello che nessun media ha detto è che alla fine di aprile 2022 il presidente Joe Biden ha deciso un grande cambiamento nella politica nucleare americana abbandonando il principio del “non primo utilizzo” dell’arma nucleare. In altre parole, mentre gli Stati Uniti fino ad allora avevano considerato l’uso delle armi nucleari solo a scopo di deterrenza (politica del “Solo Scopo”), Biden ha approvato una politica “che lascia aperta la possibilità di utilizzare armi nucleari non solo per rappresaglia per un attacco nucleare, ma anche per rispondere a minacce non nucleari”. In altre parole, gli Stati Uniti si permettono in qualsiasi momento di usare armi nucleari.

La narrativa occidentale dell’annunciata sconfitta della Russia e della vittoriosa resistenza dell’Ucraina è l’argomento principale per incoraggiare l’invio di armi. Si ritiene che tutto ciò che serve sia “l’ultima piccola spinta” per ottenere la vittoria. Ma la realtà è meno romantica.

Prima di tutto, precisiamo che le armi fornite dagli Stati Uniti, sono soggette a una legge “Lend-Lease” adottata molto opportunamente il 19 gennaio 2022. In altre parole, le armi fornite dovranno essere pagate dall’Ucraina. A titolo indicativo, un tale meccanismo è stato istituito all’inizio della seconda guerra mondiale per finanziare l’armamento del Regno Unito e della Russia. Hanno finito di ripagare i loro debiti nel… 2006. E per il momento, non si tratta di cancellare il debito dell’Ucraina. Beneficenza ben organizzata…

In secondo luogo, le armi consegnate all’Ucraina non raggiungono i combattenti in prima linea. Diverse ragioni per questo.

– In primo luogo, parte di queste armi che arrivano in Polonia per essere poi inviate in Ucraina, vengono dirottate sul suolo europeo. Così i missili anticarro FGM-148 Javelin, che trasportano speranze occidentali contro le forze russe, vengono rivenduti sul darknet a 30.000 dollari ciascuno da elementi del governo ucraino.

– In secondo luogo, non esiste un vero e proprio meccanismo per la distribuzione di queste armi, le migliori delle quali vengono cedute a unità nell’ovest del Paese, a scapito dei combattenti al fronte.

– Terzo, le azioni ucraine stanno rapidamente cadendo nelle mani dei russi. Questi ultimi hanno così recuperato notevoli quantità di giavellotti che hanno consegnato alle milizie del Donbass, dove ora sono impiegati! Non sono gli unici. Così, alcuni elicotteri ucraini che cercavano di evacuare i caccia da Mariupol furono abbattuti dai missili antiaerei Stinger, forniti dagli americani…

In effetti, anche i servizi di intelligence americani non sanno dove esattamente le armi consegnate in Ucraina finiscano .Questa situazione allarma Juergen Stock, segretario generale dell’Interpol, che teme che queste armi vadano alle organizzazioni criminali. Tuttavia, ciò avviene con la complicità dei governi occidentali che sono riluttanti a mettere in atto tutele e meccanismi di verifica sull’uso di queste armi.

Per quanto riguarda la loro capacità di cambiare l’equilibrio di potere sul terreno, è discutibile. Prima di tutto, la loro quantità è lungi dal sostituire le centinaia di attrezzature ucraine simili che i russi hanno distrutto dal febbraio 2022. In secondo luogo, poiché sono diversi da quelli per i quali è stato formato l’esercito ucraino, rendono difficile standardizzare i metodi di apprendimento e richiedono una manutenzione differenziata. In altre parole, probabilmente causano perdite russe, ma rendono anche la gestione dei combattimenti più complicata per gli ucraini. I loro effetti positivi sono quindi tattici, ma i loro svantaggi sono di natura operativa. Tuttavia, come abbiamo visto, la debolezza ucraina è già a livello operativo. Questo problema è ovviamente evidente all’esercito ucraino, motivo per cui il governo sembra aver emanato una direttiva che vieta ai militari di criticare pubblicamente le attrezzature consegnate dagli occidentali!

Per alcuni, la crisi ucraina ha rafforzato l’unità europea, il collegamento transatlantico e l’importanza della NATO. Le sanzioni sono state applicate all’unanimità nell’euforia e nella prospettiva di un rapido collasso della Russia.

Ma la Russia non è crollata e le sanzioni stanno iniziando ad avere effetti perversi sui paesi occidentali, che non possono più fare marcia indietro senza perdere la faccia. L’unità europea è solo una facciata che l’inflazione creata dalle sanzioni potrebbe rompere ulteriormente nei prossimi mesi. Negli Stati Uniti e In Europa, i commentatori stanno iniziando a mettere in discussione la gestione della crisi e l’allineamento con Washington, che sembra essere stata totalmente sopraffatta dagli eventi. Per quanto riguarda la NATO, la reazione della Turchia alle candidature di Svezia e Finlandia evidenzia due cose.

Prima di tutto, l’incredibile dilettantismo dei leader svedesi e finlandesi che hanno totalmente trascurato di consultare i vari membri dell’Alleanza – e la Turchia in primo luogo – per sondare il loro sostegno. All’inizio degli anni ’90, quando la Svizzera si chiedeva di aderire al partenariato per la pace (PfP) della NATO, una delle nostre prime visite è stata a Mosca, al fine di sondare la loro percezione della neutralità svizzera in questa nuova situazione.

In secondo luogo, la leggerezza della lettura strategica dei paesi nordici, che tendono a credere di essere al centro delle preoccupazioni strategiche della Russia. La loro lettura potrebbe essere quella della Polonia, o anche della Germania. Ma per la Svezia in particolare, l’adesione alla NATO rappresenta un peggioramento della sua posizione strategica.

A differenza di coloro che annunciano perentoriamente da febbraio che la Russia sta cercando di conquistare l’Ucraina, il suo obiettivo finale non è realmente noto. Ci si può aspettare che le forze russe spingano fino alla Transnistria, come annunciato dal Ministero della Difesa russo. Così sarebbe più o meno ricostituita la Novorossiya che ha avuto un’esistenza molto effimera nel 2014. Ci stiamo muovendo verso una situazione in cui l’Ucraina e l’Occidente dovranno fare concessioni di cui non hanno ancora misurato l’importanza. L’idea che lo status della Crimea, del Donbass o persino dell’Ucraina meridionale possa ancora essere negoziabile è un’illusione. Questo era il messaggio di Henry Kissinger al World Economic Forum di Davos a maggio.

È molto probabile che se a Zelensky fosse stato permesso di negoziare come intendeva con la Russia fin dall’inizio dell’offensiva, l’Ucraina avrebbe potuto mantenere la maggior parte del sud sotto la sua sovranità. Oggi, la combinazione di implacabilità occidentale nel prolungare il conflitto e il rifiuto ucraino di impegnarsi in un processo negoziale mette la Russia in una posizione di forza. L’incapacità degli occidentali di giudicare razionalmente il loro avversario sembra portare l’Ucraina al disastro.

https://cf2r.org/documentation/le-point-sur-la-situation-militaire-en-ukraine-au-2-juin-2022/

https://centrostudistrategicicarlodecristoforis.wordpress.com/2022/06/17/jacques-baud-il-punto-sulla-situazione-ucraina/?fbclid=IwAR0jg1a-vXyZThQDsf1BhIgaV7VD6Ka-ZTMA4-YIiB12e-FRZZOZsX4zTIE