10 domande sulla guerra, di Elio Paoloni

Domande assolutamente ben poste da Elio Paoloni. Sia per il merito delle motivazioni e degli argomenti che le legittimano, sia per il momento scelto. Conoscendo Elio e la sua posata inquietudine, deve averci rimuginato parecchio. Il suo appello ad intervenire sull’argomento è probabilmente il segno di una crescente apprensione riguardo alla situazione e alle dinamiche che stanno avviluppando il mondo, quello a noi apparentemente lontano e quello prossimo, all’interno stesso della nostra casa. I vecchi equilibri stanno rapidamente saltando come pure le prassi e le chiavi di interpretazione che ci hanno guidato e ingabbiato sino ad ora; con essi stanno cambiando stati d’animo e modalità di reazione non solo delle classi dirigenti ma anche di strati sempre più larghi di popolazione. A partire dal secondo dopoguerra le classi dirigenti italiche, più di ogni altra, hanno accuratamente rimosso questi temi. Una pesante cappa di conformismo ha oppresso sino a poco tempo fa quasi inavvertitamente il mondo intellettuale. Eppure il paese in passato ha conosciuto tra i propri figli il capostipite moderno, Machiavelli e ha conosciuto giganti, come Pareto e Gramsci, del realismo politico e della teoria politica. La catastrofe politica della seconda guerra mondiale e la successiva progressiva erosione del concetto stesso di difesa dell’interesse nazionale hanno prodotto una classe dirigente, a partire soprattutto dagli anni ’90, sempre più priva di radicamento identitario, abile a cogliere e vellicare soprattutto le debolezze di un popolo, del tutto incapace di assumere un qualsiasi ruolo attivo nell’agone europeo e mondiale. La condizione perfetta per trascinare nell’inconsapevolezza e nell’impreparazione generale ancora una volta una nazione tra i flutti di un mare geopolitico sempre più intricato. Qualche reazione inizia ad emergere. La fretta frenetica legata all’urgenza e all’accavallarsi degli eventi rischia di spingere a soluzioni forse peggiori, avventuriste e cialtrone, analoghe a quelle che ci hanno trascinato allegramente nella seconda guerra mondiale. Non sono mancate nel frattempo menti fertili e motivate, anche nell’oggi stesso; i più però conoscono l’ostracismo silenzioso, l’omertà e le blindature degli ambienti istituzionali. Italia e il mondo accoglie volentieri l’invito alla discussione di Elio Paoloni. E’ nata con queste finalità. Spera che sia colto negli ambienti cui il sito si rivolge ed anche oltre. Non pretende esclusive nella pubblicazione dei contributi; chiede semplicemente che ci siano trasmessi per fare di questo spazio un terreno concreto di confronto_Buona lettura_Giuseppe Germinario

 

 

10 domande sulla guerra

Diciamo subito che non si tratta qui di introdurre tesi pacifiste: si dà per scontato che chiunque non tragga direttamente vantaggi dalla guerra (non appartenga cioè a quella minoranza che non viene mai direttamente toccata da lutti e rovine) e non sia né fanaticamente indottrinato né patologicamente violento, desidera la pace; parimenti scontato è che questo non ha mai impedito le guerre. Rovesciando la nota formula di von Clausewitz, del resto, sia Carl Schmitt che Michel Foucault ebbero ad affermare che è la politica (la pace) ad essere continuazione della guerra con altri mezzi. Oppure vanno di pari passo, come notava argutamente Thomas Friedman: “La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno visibile. McDonald’s non può diffondersi senza McDonnel Douglas, il fabbricante di F- 15”.

 

Partiamo dunque da una incontrastabile verità: la guerra è ineliminabile, con buona pace dei pacifisti d’ogni tempo (non proprio di tutti i tempi dato che per secoli la categoria dei pacifisti non è esistita) i quali fanno bene a cercare di evitare questa o quell’altra guerra – folle chi non lo tenta – ma errano cercando di evitarla ‘ad ogni costo’, a prescindere. Chi davvero vuole la pace neppure la nomina. Prepara la guerra o fa finta di prepararla. “Tutte queste teorie sulla pace universale, le conferenze per la pace, ecc. – notava G. I. Gurdjieff –  non sono che pigrizia e ipocrisia. Se si costituisse effettivamente un gruppo sufficiente di uomini desiderosi di arrestare le guerre, essi comincerebbero a fare la guerra a coloro che non sono della loro opinione. Ed è ancora più certo che farebbero la guerra a uomini che vogliono anch’essi impedire le guerre, ma in un altro modo”.

 

Un terribile amore per la guerra, di James Hillman, si apre con una scena del film sul generale Patton, che passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri. Volgendo lo sguardo a quello scempio, il generale esclama: «Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita». Per Hillman la guerra è una pulsione primaria della nostra specie, dotata di una carica libidica non inferiore a quella delle pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano: l’amore e la solidarietà. Hillman spazza via la retorica degli adagi progressisti – basati su una lettura caricaturale della «pace perpetua» teorizzata da Kant – risalendo al carattere mitologico di tale ambivalenza: l’inseparabilità di Ares e Afrodite. Ma soprattutto, ricorrendo a dettagliati rapporti dal fronte, a lettere di combattenti, ad analisi di esperti in strategia – oltre che a tutti gli scrittori e tutti i filosofi che alla guerra hanno tributato meditazioni decisive, da Twain a Tolstoj, da Foucault a Hannah Arendt – Hillman ci rammenta la scandalosa verità: più che un’incarnazione del Male, la guerra è in ogni epoca – come mostrato dalla contiguità tra le descrizioni omeriche e i reportage dal Vietnam – una costante della dimensione umana. O meglio, troppo umana.

 

Non è il caso di insistere sugli aspetti antropologici, psicologici, sociologici della guerra, benché non si possa fare a meno di considerarli, sia pure di riflesso. Le pulsioni, gli istinti, i condizionamenti che inducono l’uomo alla violenza sono stati abbondantemente sviscerati, compresa quella, apparentemente nobile, della scoperta di sé: La guerra – scriveva Norman Mailer – è la prova di tutte le prove. È in guerra – sostiene – che un uomo va fino in fondo a se stesso e sa veramente chi è. L’idea che la guerra sia una cartina di tornasole per un uomo è antichissima ma la guerra è profondamente cambiata e, vivendo una fase di guerra per bande su scala planetaria, si partecipa in effetti a molti conflitti e forse – più o meno consapevolmente – lo stiamo già facendo, senza sottoporci, per ora, ad alcuna prova. Tuttavia l’alpinismo, o l’apnea profonda, potrebbero costituire un test meno pernicioso.

Per Erich Fromm la guerra reca vantaggi anche alla salute morale di una nazione: risveglia i valori di altruismo e di solidarietà… porta in luce i sentimenti essenziali… con la presenza della morte, dà un enorme valore alla vita… sarebbe molto utile nella nostra società in cui impera la crisi di identità e nella quale – a causa dell’impossibilità della guerra dovuta alla deterrenza nucleare – assistiamo all’aumento di criminalità, suicidi, problemi della droga e nevrosi. Salutare, insomma, come certe malattie, dopo le quali riscopriamo la bellezza della vita e l’importanza dei valori. I morti tuttavia non riscoprono un bel nulla.

 

Questa ricognizione tralascia in ogni caso l’atteggiamento del singolo violento o indottrinato, che non si rende conto quasi mai delle conseguenze delle sue azioni. E’ stata anche indagata, a dire il vero, la somiglianza tra i comportamenti del singolo e quelli di un organismo complesso. Ma si tratta del comportamento delle masse – che amplifica proprio le pulsioni più distruttive – quello descritto da Joseph de Maistre ne Le serate di San Pietroburgo: “L’uomo, colto all’improvviso da un furore divino, estraneo all’odio e alla collera, avanza sul campo di battaglia senza sapere quel che vuole e nemmeno quel che fa. Che cos’è dunque questo terribile enigma? Niente è più contrario alla sua natura e nulla gli ripugna di meno: compie con entusiasmo atti che lo fanno inorridire. Non avete notato che sul campo di morte l’uomo non disubbidisce mai? Potrà massacrare Nerva o Enrico IV; ma il più vergognoso tiranno, il più insolente macellaio di carne umana non sentirà mai pronunciare sul campo di battaglia la frase: Non vogliamo più servirvi. L’angelo sterminatore gira come il sole attorno a questo infelice globo e non lascia respirare una nazione se non per colpirne altre”. In effetti la jacquerie fu una rivolta contro il fisco, non contro la leva.

 

Nel suo carteggio con Freud sulla necessità di evitare la guerra, Einstein citava i mezzi con i quali una minoranza può asservire alla propria cupidigia le masse (scuola e stampa innanzi tutto) ma era incredibilmente perspicace – e controcorrente – anche nell’individuare il bersaglio più facile: non le masse incolte bensì la cosiddetta “intellighenzia” che cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l’intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata. Stigmatizza proprio quello che oggi viene da più parti definito ‘ceto medio semicolto’. Più pessimista – o realista – Freud non credeva alla possibilità di evitare le guerre. Non lo riteneva, in fondo, neppure auspicabile: Le conquiste dei Romani diedero ai paesi mediterranei la preziosa pax romana. La cupidigia dei re francesi di ingrandire i loro possedimenti creò una Francia pacificamente unita, fiorente. Ma sa anche che i successi della conquista di regola non sono durevoli; le unità appena create si disintegrano. Un altro che credeva a una qualche utilità delle guerre, o almeno alla loro inevitabilità.

 

Per Julien Freund l’uomo può cambiare vita ma non cambiare la vita. Conducendo vita pia sul piano privato può sottrarsi al male (o al demoniaco) ma non può sconfiggere, sul piano pubblico, la vita stessa, ovvero l’impulso vitale volto all’accrescimento del potere: “Questo impulso di vita, nulla può esorcizzarlo, né una contabilità di tutti i morti di tutte le guerre, né i dipinti dell’orrore delle rivoluzioni”.

Ecco, questo termine così neutro, contabilità, è il denominatore degli interrogativi che seguono. Domande che riguardano pragmaticamente proprio l’utilità, ovvero gli aspetti economici e il rapporto costo/benefici, anche applicato, brutalmente, alle perdite umane. In particolare la soglia di perdite e distruzioni che i decisori ultimi si prefiggono nel momento di intraprenderla. E soprattutto il reale vantaggio che ne trae il paese vincitore ovvero la valutazione più difficile da farsi. La famosa definizione della guerra come ‘levatrice della storia’ presuppone un andamento lineare della storia, pur con temporanei arretramenti e deviazioni, in un progresso costante. Il nostro mondo è migliore di tutti quelli precedenti, sostengono tutti, tranne, a volte, gli sconfitti. Non vi è mai controprova, naturalmente. Ma anche ammesso che questo mondo sia migliore, chi ci dice che non avrebbe potuto essere ancora migliore senza la guerra che lo ha creato?

Nella storia non esiste possibilità di comparazione, purtroppo: l’ucronia è roba da romanzieri, non da storici.

Per gli storici – scriveva Elias Canettile guerre sono come sante: esse, simili a temporali utili o inevitabili, irrompono dalla sfera del sovrannaturale nell’ovvio e comprensibile corso del mondo. Io odio il rispetto degli storici dinanzi a una cosa solo per il fatto che è avvenuta, i loro criteri falsi, a posteriori, la loro impotenza che striscia dinanzi a ogni forma di potere.

Diversi storici – per amor del vero – hanno provato a riflettere sul “se invece”. Se un banale episodio può cambiare il corso di una vita, come in Sliding doors, figuriamoci una guerra. Non sarà scientifico supporre cosa sarebbe successo se avesse vinto Hitler (un classico) ma chiederselo è un’esigenza umanissima e potente. E’ ovvio che le narrazioni riguardanti il capovolgimento del corso delle guerre risultino più avvincenti. Ma sarebbe ben più utile immaginare cosa sarebbe successo se le guerre, molto semplicemente, non fossero state combattute. E’ possibile? E quanto è possibile avvicinarsi a quella che sarebbe stata la realtà senza quella guerra? Non è semplice curiosità, fatuo arzigogolare: riguarda in fondo proprio la possibilità di una valutazione razionale della lotta. Chi stila una dichiarazione di guerra deve pur avere in mente degli scenari.

 

La definizione futurista (sola igiene del mondo) mi è sempre sembrata stupida: se darwinianamente in guerra muore il più debole, si tratta della frangia debole del settore in ogni caso più forte: giovane, sano, dotato di abilità. Troviamo infatti del tutto naturale che a crepare sia il meglio della popolazione, gli unici che potrebbero davvero essere utili anche nella ricostruzione. E’ stata un’amica a farmelo notare, con buon senso tipicamente femminile. Perché piangere sulla morte dei vecchi e degli invalidi? E quei fior di giovani? Sono veloci, resistenti, manipolabili: ovvio che siano loro a dover essere spediti in battaglia. Ma a qualcuno è venuto mai in mente di mandare avanti un reggimento di vecchiardi? La Vecchia Guardia di Napoleone non fa testo, era una riserva, un corpo pretoriano.

Anch’io però, devo confessarlo, sono vittima dell’ipocrisia che porta a compiangere le vittime civili, categoria che ormai comprende solo vecchi e bambini, dato che le soldatesse (ammesso che desinenze del genere siano ancora consentite) hanno ottenuto – a partire dagli Stati Uniti – la facoltà di recarsi in prima linea, cancellando l’irragionevole discriminazione che permetteva loro di accoppare solo per interposto guerriero. Dal secondo conflitto mondiale, in effetti, assistiamo alla guerra totale, nella quale la popolazione viene coinvolta direttamente nella guerra (terroristicamente, con bombardamenti privi di qualsiasi interesse bellico) mentre in precedenza veniva coinvolta sì pesantemente ma solo dopo – o durante – la conquista di territori.

In ogni caso la Grande Guerra dette un’energica sfoltita anche agli esponenti del movimento futurista e Boccioni, prima di morire, fece in tempo a coniare l’equazione guerra=insetti+noia. Io mi sarei tenuto un gigante come Boccioni e avrei lasciato al nemico parecchie ettari di pietraia insieme ai tirolesi, che dobbiamo pure ricoprire d’oro. Così, a proposito di costi/benefici.

 

Vero è che la pulizia bellica serve a regolare l’equilibrio tra popolazione e risorse, anche se le nuove tecniche di coltivazione e allevamento smentiscono Malthus e i suoi nipotini. D’altro canto ogni paese spera che la diminuzione della ‘domanda’ avvenga a scapito dell’avversario. Nessuno troverebbe opportuno ridurre la propria di popolazione. Almeno in passato: oggi ormai la maggior parte dei conflitti è scatenata da una categoria di persone prive di reali radicamenti su un territorio, cosmopoliti di fatto, stranieri anche a se stessi, incapaci di patriottismo o di empatia con qualsivoglia popolo.

Di sicuro quella frase va riferita allo spazzar via istituzioni fatiscenti per far nascere un uomo nuovo, una società completamente diversa, anche tecnologicamente più progredita. “La guerra ha sempre promosso la mobilità sociale – notava Erich Fromm – infatti le classi dinamiche sono sempre a favore della guerra”. E siamo alle solite: occorrerebbe valutare, caso per caso, se le istituzioni ‘nuove’ nate da questa palingenesi siano state davvero auspicabili. Vi è una forte corrente di pensiero che ritiene aprioristicamente di sì. Io mi permetto di dubitarne ma gradirei il conforto del parere di persone non necessariamente reazionarie. Ambrose Bierce scrisse che Dio usa le guerre per insegnare la geografia alla gente. Qualcuno, di certo, le usa per divertirsi a disegnare cartine geografiche nuove. Onnipotenza 2.0.

 

Non prenderei in considerazione le rivoluzioni: scatenate da una classe sociale, o da un’etnia, hanno obiettivi sufficientemente chiari, per quanto finiscano vittime anch’esse, forse ancor di più, dell’eterogenesi dei fini. I rischi sono valutati con sufficiente accuratezza: cosa si ha da perdere (spesso, come da celeberrimo aforisma, solo le proprie catene), cosa si può ottenere. Le rivoluzioni, come i colpi di stato, riescono o falliscono, non sono soggette ad escalation. L’assalto al Palazzo d’Inverno costò cinque morti, anche se occorrerebbe considerare il lungo strascico contro le armate bianche. La lunghezza della lotta di Mao non fa testo perché spezzettata da guerre e coinvolgimenti diretti di potenze straniere.

 

La domanda fondamentale, a ben vedere, è questa: alea a parte, quanto conta la valutazione realistica e quanto, invece, gli organismi decisionali di un paese (ma anche di una grossa fazione, o di una minoranza, o di una banda criminale) ovvero le élites meno influenzabili, anzi deputate a influenzare, coloro insomma che conoscono bene le conseguenze, coloro che agiscono freddamente, episodicamente o per mestiere, e sanno valutare le probabilità di uscirne indenni, con vantaggio, possono a loro volta essere influenzati da pulsioni inconsce, da riflessi pavloviani, dall’orgoglio, da ogni genere di retaggio?

Carl Schmitt sosteneva che non esistono guerre condotte per motivi puramente religiosi, o puramente morali, o puramente giuridici, o puramente economici. Può sembrare che alcune siano state scatenate unicamente per l’uno o l’altro motivo, ma solo se vi era la possibilità di inserire tali motivazioni in una riconoscibile dicotomia amico/nemico. Distinzione che il giurista tedesco pone alla base di ogni agire politico, come si trattasse di un dato sociologico, ma che ci riporta, in fondo, alla psicologia del profondo.

Esistono dunque decisioni puramente razionali? Normalmente no: nessun individuo è un essere puramente razionale. Esattamente come le folle. Ma gli organismi che di solito decidono le guerre dovrebbero essere in grado di formulare quanto di più vicino a una decisione razionale. Raramente si tratta della decisione di un singolo: anche un dittatore o un monarca assoluto hanno consiglieri, ministri, gran vizir; interpellano generali che hanno conoscenze specifiche; spesso devono tener conto delle valutazioni di sostenitori, finanzieri, boiardi. E’ vero che ognuna di queste figure ha interessi personali – e non solo – da tutelare e che ognuno di loro è condizionato da fattori non razionali, tuttavia l’insieme di queste valutazioni, contemperandosi, dovrebbe condurre – viene da pensare – a una decisione informata, avveduta, logica; di sicuro al male minore.

Succede davvero questo?

 

Qualcuno ha fatto notare che la politica statunitense verso la Russia è stata dettata per decenni dalla russofobia di un ex polacco, Zbigniew Brzezinski e dalla volontà di rivalsa di Madeleine Albright, una cecoslovacca. Sciocchezze? Le decisioni sono in realtà prese da ampi organismi supportati da stuoli di esperti, consulenti, teste d’uovo? Sarà. Ma una cosa che ho imparato – da profano – è che la pervicacia e la furbizia di un singolo ben introdotto nei gangli di comando può determinare qualsiasi evento. La più grave eredità di un marxismo forse malinteso è quella di averci costretto a pensare solo in termini di masse, di forze, di condizioni oggettive: i protagonisti sono solo portati in carrozza da queste forze e ognuno di loro avrebbe potuto essere sostituito. E’ l’opportuno contrappeso a una storiografia affollata unicamente da biografie di re e condottieri, tuttavia, portata alle estreme conseguenze, ha effetti grotteschi. L’Italia del dopoguerra, ad esempio, era affollata da traditori, voltagabbana, vigliacchi e, soprattutto, avidi arrivisti; qualsiasi funzionario messo a capo di un ente pubblico si sarebbe adagiato nel tran tran. Non Enrico Mattei, patriota e grande statista (anche se non si occupò ufficialmente di politica e di governi). In compagnia di un gruppo di gitanti Lenin si impossessò in un batter d’occhio di un paese immenso. E Stalin ne ha fatto una potenza industriale e militare in pochi decenni. Condizioni oggettive? Nel bene e nel male l’abilità di un uomo e soprattutto le sue reali intenzioni, la sua devozione agli interessi della patria, fanno davvero la storia. E viceversa: un vigliacco, un folle, un venduto, possono distruggere una nazione in men che non si dica.

 

Tutti noi abbiamo ben impresse nella memoria immagini spaventose e. soprattutto, numeri spaventosi. Ma poniamo per un istante che a un soggetto avveduto, potente e scaltro, riesca una guerra lampo. Cominciamo col dire che occorrerebbe diffidare delle riuscitissime guerre lampo, spesso seguite da lutti decennali, come ebbero ad imparare Adolf Hitler, Saddam Hussein e poi Bush insieme ai suoi successori. Ma restiamo nel solco delle ipotesi più rosee: chi ci dice che la vittoria sarà un successo? Sembra un gioco di parole ma riguarda l’aspetto cui si accennava sopra: se ogni guerra è levatrice occorre attendersi qualche novità. Chi può assicurarci che saranno ancora importanti le risorse a cui il paese tendeva, magari rimpiazzate da altre conquiste della tecnologia? Non dimentichiamo che mentre ancora si combatteva sanguinosamente per la conquista delle piantagioni di caucciù si iniziavano a produrre i primi pneumatici in gomma sintetica. Come essere certi che i guadagni che una lobby si attendeva non saranno vanificati da variazioni finanziarie, monetarie, legislative? O che le mire della classe sociale che ha appoggiato quella guerra andranno in fumo perché una nuova classe si affermerà in seguito a quella guerra? Ripensiamo a un episodio: per ottenere un po’ di consenso i generali argentini si impossessarono di quattro isolette davanti casa e nel giro di pochi mesi perdettero ogni potere. Certi andazzi fanno venire in mente i versi di una canzone di Enzo Jannacci, “Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale/per vedere come stanno le bestie feroci/e gridare aiuto, aiuto è scappato il leone/e vedere di nascosto l’effetto che fa”. Qualcuno è andato allo zoo per segare davvero le sbarre e ha poi scoperto che quando i leoni scappano non ti puoi nascondere: ti buttano giù le torri, ti accoppano l’ambasciatore, ti sgozzano i giornalisti.

L’eterogenesi dei fini è un fenomeno ricorrente nella storia – come pure in ogni singolo atto quotidiano – ma alla fine di una guerra non è solo ricorrente: è matematico. Questo dovrebbe inibire le smanie di ogni potente, ancor più del rischio di una vittoria di Pirro, con danni e decimazioni tali da impedire qualsiasi trionfo. Ma non succede.

Troppi i fattori da considerare: chi decide cosa è irrinunciabile? Esistono prassi consolidate, naturalmente: ci sono apparati che sanno perfettamente cosa una determinata nazione deve considerare vitale. Non si tratta mai però di un solo fattore, e già decidere la gerarchia di essi è complicato: competenza e capacità di previsione non sono sufficienti. E se ci sono buone probabilità che la guerra asfalti il paese, che senso ha opporsi? Tanto vale salvare delle vite. Non tutti pensano che salvare la pelle sia la cosa più importante, ma a certi livelli non si può davvero immaginare di poter fare la conta per verificare quanti cittadini la pensano così, per cui si torna sempre allo stesso punto: quali saranno le priorità in tempi bellici dei governanti, solitamente eletti in tempi di pace per occuparsi dei bilanci economici e non dei bollettini delle perdite umane?

 

Poniamo allora le domande che tutti si sono posti almeno una volta, sforzandoci di evitare che risultino retoriche. E rammentando che difficilmente sarà un generale a illuminarci: in fondo non sono i militari a prendere la decisione fondamentale (come da ammonimento di Clemenceau: La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari). Neppure un economista avrà le risposte. Perché non può esserci un valore comune, oggettivo, di ‘mondo migliore’. Perché non c’è alcuna possibilità di calcolare l’equivalenza tra il costo di una vita umana e quello di un barile di petrolio, tra la frustrazione di un popolo e due palmi di territorio, tra la vita apparente dei reduci e le rosee prospettive commerciali. Oppure sì?

Difficile trovare risposta a domande che mescolano valori quantitativi a valori qualitativi. Sarebbero necessari gli sguardi di un sociologo, di un teologo, di un moralista, di un ingegnere, di uno storico e di uno storico dell’arte. Certe risposte sono appannaggio forse solo dei filosofi, o di grandi menti non specializzate. Magari dei poeti. Ma un ampio ventaglio di intervistati potrebbe darci di sicuro qualche lume.

 

 

 

 

1 – Quante volte, davvero, i costi economici di una guerra (vinta, s’intende) sono stati sopravanzati dai benefici? Joseph E. Stiglitz ha scritto sull’Iraq che una volta pagato il prezzo di questa guerra, il debito nazionale americano sarà aumentato di tremila miliardi di dollari. Quanto se ne può guadagnare con quel po’ di petrolio in più a buon prezzo a disposizione? Quanto ci guadagneranno le industrie belliche? Ma, soprattutto, quanti di quei soldi saranno pagati dalle industrie beneficiarie – sotto forma di tasse e di occupazione – e quanti invece dal contribuente medio? Si possono contabilizzare i vantaggi derivanti dall’impoverimento degli altri paesi, che avranno meno accesso – o accesso più caro – alle risorse petrolifere? E, soprattutto, queste stime chi è in grado di farle? Già, sono tante domande, però collegate.

 

2 – Il polpo sacrifica i tentacoli per salvarsi, come la lucertola la coda. Accessori che ricrescono. Quanti milioni di euro costituiscono la coda di una nazione? Quanti milioni di cittadini ne costituiscono un tentacolo? Quanti tentacoli può perdere un polpo senza morire? C’è un numero di morti accettabile per un paese? Anzi per un pianeta, visti gli attrezzi disponibili?

 

3 –  Forse il solo indiscusso merito della guerra dei cent’anni è stato quello di fornire agli storici, con la sua cessazione, un comodo spartiacque per indicare la fine del medioevo. Lo sfacelo economico e le sofferenze per la popolazione (in particolare per i sudditi continentali, i cui sovrani potrebbero essere considerati gli ‘aggressori’) sono indescrivibili: 116 anni di saccheggio sistematico, deliberato, ininterrotto; fame, malattia, stupri, degradazione, morte. Il Pangloss di turno opporrà che, nonostante la bancarotta di tutto un continente, alla fine il sistema feudale era stato sorpassato, la Pulzella aveva ricompattato i patrioti francesi (e purtroppo diviso i cattolici, dato che anche i nemici, all’epoca, erano cattolici) e il mondo entrava in una nuova era. Ma non si viveva meglio in un feudo pacifico e florido che sotto un sovrano avido, spietato, lontano? E, ammesso che così non fosse, i vari sovrani impegnati nella contesa hanno mai pensato, per un solo momento, a questi ipotetici – e in ogni caso puramente casuali – vantaggi per il popolo?

 

4 – Si pensa alle guerre come unico motore del progresso. Forse perché le ricerche militari impegnano velocemente grandi risorse nei miglioramenti tecnologici. Ma non basterebbero le gare di Formula 1? O l’industria aeronautica (la cui storia iniziò nel ‘700 per il puro diletto dei nobili) o astronautica (che nasce forse in un orizzonte militare ma è, appunto, orizzonte, non guerra guerreggiata, tant’è che americani e russi nello spazio ci vanno insieme)?

 

5 – Quanto migliore deve diventare un paese per giustificare la distruzione dei tesori d’arte, simboli della cultura e della religione del popolo che ha guerreggiato? Strade e ponti si ricostruiscono, certo, anche più moderni. Forse è per questo che dicono che è un mondo migliore. Magari più somigliante a quello del vincitore. Ma il Senso, l’Identità, la Dignità possono sopravvivere a certe demolizioni? Ammetto che questo aspetto è il meno quantificabile di tutti. Non è questione di numeri: c’è oro (o mucchio di diamanti, visto l’argomento) sufficiente a compensare la demolizione – operata dagli inglesi stessi durante la seconda guerra mondiale – del Crystal Palace di Londra, la prima struttura realizzata completamente in vetro, considerata uno dei più begli edifici mai costruiti, perché le sue rilucenti vetrate erano un pericoloso punto di riferimento per i bombardieri nazisti? O la distruzione del tempio di Gerusalemme, la violazione del Sancta Sanctorum, la sottrazione dell’Arca dell’Alleanza? Anche se, a pensarci bene, qualcuno potrebbe sostenere che la diaspora va vista come un fausto evento, avendo diffuso il genio ebraico nelle varie nazioni.

 

6 – Non è un caso che siano i giovani a dover combattere: tradizionalmente erano le ‘teste calde’, affascinate dall’avventura, desiderose di mettersi alla prova, di sfuggire alla monotonia borghese. Ma sono proprio i giovani, in Occidente, a infoltire le schiere dei movimenti pacifisti. Mollezza dell’Occidente o presa di coscienza?

 

7 – L’impero di Bisanzio, uno dei più lunghi e prosperosi di tutti i tempi, è stato anche quello che ha guerreggiato meno di tutti. Un mix di intimidazione, lusinghe, corruzione di funzionari stranieri, istigazione ai conflitti tra gli altri stati, li ha tenuti lontani da guerre vere per secoli. Possibile che solo i bizantini abbiano avuto questa capacità? Ci sono aspetti irripetibili, esclusivi di quell’Impero?

 

8 – ­Il modo più veloce di finire una guerra è perderla (George Orwell). Pare che così la pensassero gli ammiragli italiani durante la seconda guerra mondiale. Ma nella Grande Guerra, invece, si poteva fare una pace dopo i primi massacri di trincea, quando fu chiaro, come scrisse Mario Praz, che si trattava soltanto di un’agonia di animali in agguato? In quanti hanno capito che nessuno in realtà l’avrebbe ‘vinta’? E non parlo solo dello scarso – e controproducente – bottino italico. O i morti in realtà non contano (almeno finché non si prospetta una rivoluzione, come per la Russia nella prima Guerra Mondiale) e conta solo il ‘non perdere la faccia’?

 

9 – Ogni guerra è disputa di cani sopra un mucchio di croccantini. Inevitabile che ci si azzanni per la razione quotidiana (la razione K) ma alcuni cani vogliono anche un’altra razione. Giusto, è la scorta per domani. Poi c’è quella di dodopomani. Quando le pretese diventano eccessive? Quanto grano, o banane, o rame possono bastare a tenere in vita un paese? D’accordo, le risorse sono limitate per definizione; ciascuno vorrebbe averne l’accesso esclusivo. Ecco la guerra. Ma esiste una linea oltre la quale ci si sta accapigliando per il superfluo. E’ percepibile questa linea a chi aggredisce? Sa che è una guerra immorale? O a un certo punto la nozione stessa di superfluo viene meno?

 

10 – Finora ci siamo occupati di chi ha possibilità di decisione. Ci sono paesi che non hanno molta scelta: subiscono l’aggressione e basta. Forse anche loro avrebbero avuto qualche possibilità di evitarla accettando una razione di croccantini. Il punto è sempre lo stesso: la quantificazione. Quanti rospi si possono ingoiare? La sopravvivenza è accettabile a qualsiasi condizione? Tra le rigorose condizioni di legittimità morale che la Chiesa richiede per la legittima difesa si ritrova questa: “che ci siano fondate condizioni di successo”. Quando i Vietcong iniziarono la lotta pensavano davvero alla vittoria o bastava loro sapere che la reazione all’oppressione era giusta e onorevole, anche se fossero stati annichiliti? Il debole, dunque, deve subito capitolare? Oppure una sconfitta gloriosa (ma anche umiliante come quella di Sedan) potrebbe rinsaldare i sopravvissuti per secoli alimentando il revanscismo fino al riscatto?

GEOPOLITICA VACCINALE – ZOOTECNIE PER IL GREGGE ITALICO_3a parte, di Elio Paoloni

Qui sotto la terza parte di un lungo e documentato articolo di E. Paoloni sulla problematica delle vaccinazioni e sull’acceso dibattito che imperversa in Italia da oltre tre anni. Una cosa appare certa. Quello delle vaccinazioni non è solo un problema di salute, né solo un problema medico, per altro riducibile ad una controversia tra oscurantisti e progressisti. Non è nemmeno un tema riducibile prevalentemente agli enormi interessi economici in campo medico-sanitario. Nel libro “gli stregoni della notizia” Marcello Foa, tra l’altro, illustra alcuni esempi di manipolazione dell’informazione in campo sanitario. Prossimamente recensiremo un libro dedicato all’argomento che offrirà una prospettiva ancora più ampia alla lettura di queste dinamiche_All’inizio del testo c’è l’accesso alle prime due parti. Buona lettura_Germinario Giuseppe

http://italiaeilmondo.com/2018/10/16/geopolitica-vaccinale-zootecnie-per-il-gregge-italico_2a-parte-di-elio-paoloni/

OBIEZIONI GIURIDICHE, ETICHE, POLITICHE

 

Uno stato che prescrive trattamenti sanitari obbligatori è uno stato totalitario, punto. Gli antifascisti in servizio permanente effettivo che scorgono fascionazismi ovunque dovrebbero effettuare una semplice ricognizione storica: solo i regimi totalitari (e certe democrazie anglosassoni, più bieche di qualsiasi dittatura) hanno sottoposto i sudditi a pratiche sanitarie forzate.

 

Siccome le mie parole sono quelle di un troglodita sopravvissuto agli anni in cui risuonavano nel vicinato le esortazioni alla vaccinazione naturale (su, Giovanni, vai a giocare con Giacomo che c’ha il morbillo, così ci leviamo il pensiero) sarà meglio ricorrere a quelle di Paolo Maddalena, già Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’Associazione Attuare la Costituzione, che non è contrario ai vaccini (ha deciso insieme alla figlia di far vaccinare il nipotino) ma ritiene il decreto Lorenzin platealmente incostituzionale (73). Maddalena trova inconcepibile che la valutazione sul sottoporre i bambini ai vaccini, che implica l’assunzione di rischi, sia sottratta ai genitori. Peraltro con una sanzione che viola un diritto fondamentale della Costituzione, ovvero il diritto all’Istruzione. “Non si può legiferare in questo modo. C’è poi la violazione dell’articolo 32 della Costituzione che, al secondo comma, prevede che la legge può imporre un trattamento solo nel rispetto della persona umana. Se toglie libertà di scelta e nega il consenso informato, è palesemente illegittima. Inoltre, se si fosse certi al cento per cento della sicurezza della vaccinazione, allora si potrebbe anche accettare l’imposizione. Le reazioni avverse però esistono, quindi non si può tirare in causa il diritto alla Salute. Se c’è un rischio, ognuno deve decidere per sé.

Ritengo inoltre che questo decreto violi i commi 1 e 2 dell’articolo 34 della Costituzione, che prevedono una scuola aperta a tutti e l’obbligo della scuola inferiore. Le materne fanno parte del sistema educativo, secondo la legge 53 del 2003. Privare i bambini dell’accesso alla scuola dell’infanzia significa arrecare un danno all’infanzia, creare nel bambino un trauma, farlo sentire emarginato perché non vaccinato. È una discriminazione. Poi c’è disparità di trattamento: fino a 5 anni sono obbligati a fare il vaccino, dopo i 5 no, pur dovendo pagare una multa” (74).

 

Anche il Presidente onorario della Corte Costituzionale, Ferdinando Imposimato è dello stesso avviso, e va oltre: giudica il provvedimento paranoico, e invita alla disobbedienza civile non solo i genitori ma anche i dirigenti scolastici (75).

 

Nel 1946, in vista dei processi ai medici nazisti rei di aver condotto esperimenti su esseri umani, venne redatto il Codice di Norimberga, che cercò di stabilire il confine fra gli interventi leciti e quelli illeciti in ambito medico. La prima regola individuata dai medici statunitensi incaricati della stesura fu la seguente: «la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia» (76).

 

Ora, ammettiamo per assurdo che decine di epidemie ci minaccino (le avrà previste il Mago Otelma?) e che un minoranza possa ritrovarsi a rischio, resta il fatto che somministrare una grande quantità di farmaci per tutelare altri soggetti è una violazione della Dichiarazione di Helsinki del 1964 (77) con la quale la World Medical Association ribadiva il concetto che “nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto“. Nessuno cioè può essere costretto ad un intervento medico potenzialmente dannoso per arrecare beneficio a qualcun altro. Tale principio è ribadito dalla Convenzione di Oviedo, recepita in Italia con legge n.145/2001: “Articolo 2 – Primato dell’essere umano. L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza” (78).

 

 

Riassumendo:

– ammesso che i vaccini siano utili a prevenire il diffondersi di malattie contagiose ed epidemiche
– ammesso che siano sicuri, come sostengono molti medici e le case farmaceutiche
– ammesso che sia dimostrata l’esistenza dell’effetto-gregge non solo per l’immunità naturale, ma anche per quella vaccinale
– assodato che lo Stato può, in particolari circostanze, disporre un trattamento sanitario obbligatorio come previsto dall’art. 32 della Costituzione,

 

tale intervento obbligatorio si giustifica solo a condizione che:

– ci sia un grave e immediato pericolo per la vita e la salute del minore (principio di gravità e urgenza);
– sia in corso un’epidemia che minaccia la salute pubblica (principio di emergenza),
– sia impossibile impedire in altro modo il contagio (principio di necessità)
– non sia violata l’integrità psicofisica della persona, che costituisce il limite invalicabile di ogni obbligo (principio di inviolabilità del corpo),
– sia un intervento compatibile con lo stato psico-fisico del minore (principio di personalizzazione)
– sia dimostrata l’incapacità genitoriale di esprimere un valido consenso, posto che il genitore è l’unico soggetto titolare del diritto di esprimerlo per conto del minore (principio di autodeterminazione)

 

Alla luce di quanto riportato in precedenza, possiamo considerare valide tutte le asserzioni elencate? Si badi che basterebbe valutare non del tutto certa UNA SOLA di queste asserzioni per invalidare tutta questa furia inoculatoria.

 

 

 

OBIEZIONI FILOSOFICHE

 

Riferendosi all’accanimento diagnostico, che precede la malattia e anche il sintomo, Saverio Vertone scriveva anni fa sul Corriere della sera: “la nostra salute è un suddito sospetto, in perenne libertà vigilata… Forse non bisogna stuzzicare il killer… l’assassino personale che qualche volta può essere disturbato anzitempo da queste ricerche, mentre aspetta distratto”. (Vertone parlava della semplice osservazione, cosa dovremmo dire ora dello sfruculiare dei vaccini?). “Forse – continuava – non bisogna cercare l’impossibile certezza della salute assoluta, perché non esiste e perché troviamo sempre e soltanto il suo contrario… Sappiamo che vivere fa morire. E dunque occorre mettere sotto accusa anche la falsa innocenza della salute, sospettare la vita stessa, non risparmiare la giovinezza, setacciare tutto, guardare negli angoli…”.

 

Perché è così facile per le truppe politico-mediatiche intontire le vittime dell’accanimento vaccinale? Semplice: da decenni il pensiero unico ha instillato in tutti noi la convinzione che è possibile controllare tutto, che la malattia e la morte sono sempre evitabili. Deve esserci una pillola. Noi siamo dei. Dobbiamo essere immortali. Dobbiamo padroneggiare il nostro destino. Ogni casalinga è ormai un Nietzsche in sedicesimo. Il salutismo è la nuova religione. Ogni aspetto della vita è medicalizzato. La vita dell’uomo – e quella della sua psiche, della sua natura, del suo spirito – è solo un estrinsecarsi e intrecciarsi di patologie, per le quali, ovviamente, esiste una cura infallibile (quasi: quella davvero infallibile la stiamo preparando, fidatevi).

Malinconia, tristezza, paura, collera, incertezza, euforia, non fanno più parte della condizione umana. Il Male è ormai mero disordine, il Lutto è un disturbo intollerabile, l’Infelicità va aggredita ed eradicata. Sarà difficile per i poeti maneggiare i nuovi termini con cui si designano i sentimenti ad usum Big Pharma.  Attendiamo trepidanti la sesta edizione del DSM (79) che indubbiamente sancirà il carattere patologico della stessa condizione umana (continuando a riservare la patente di sanità unicamente a ciò che fino a non molte edizioni prima rubricava tra le perversioni, inclusi incesto e pedofilia).

 

Ora, la salute è di certo la prima cosa che si augura a chiunque ma le nostre nonne, che pure avevano sempre sulla bocca la frase “Basta che ci sia la salute”, non pensavano di poterla evitare prometeicamente: forse avevano scarse cognizioni mediche ma avevano dimestichezza con gli imperscrutabili disegni del fato.

 

Quando sta per arrivare un bambino, si chiama lo specialista per mettere la casa “in sicurezza”. A norma. Ecco questa locuzione, “a norma”, domina ormai il nostro mondo. Norme emanate da burocrati nascosti in qualche parte nel centro dell’Europa stabiliscono l’amperaggio dei magnetotermici degli impianti elettrici e la presenza di acqua nella confezione delle mozzarelle, le caratteristiche degli impianti per l’alta velocità e il diametro delle ciliege. E, ovviamente, le cautele a protezione dei bambini.

In rete circola questo testo: Se eri un bambino negli anni ’50 come hai fatto a sopravvivere? Tra gli eventi mostruosi contemplati nell’elenco delle situazioni tipiche dell’epoca spiccano questi: viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto; andare in bicicletta senza casco (con le ginocchia sempre sbucciate per le cadute); bere l’acqua dal tubo del giardino invece che dalla bottiglia dell’acqua minerale e mangiare la frutta sugli alberi senza lavarla; trascorrere ore ed ore costruendo carretti a rotelle per lanciarsi in discesa e ricordare, a metà corsa, di non avere freni; tagliarsi, rompersi un osso, perdere un dente, senza mai una denuncia (la colpa non era di nessuno se non di noi stessi).

Già! lì fuori! nel mondo crudele!

Purtroppo è la vita che non è a norma. Il caso, il destino, il volere del Signore, l’ironia del diavolo, scegliete quello che vi aggrada, se ne frega delle norme.

 

L’emblema del pensiero ‘vaccinale’ totale, la sua estrema declinazione, è Angiolina Jolie, che si trancia le tette in via preventiva: potrebbe sviluppare il cancro. In attesa che il marito si tagli preventivamente i testicoli prendiamo atto che milioni di individui, sempre in via preventiva, si sono disfatti del cervello.

 

https://eliopaoloni.jimdo.com/

LINK

73 – https://twitter.com/attuarecostituz/status/873560277417160704

74 – https://www.giornalettismo.com/archives/2640312/paolo-maddalena-corte-costituzionale-vaccini

75 – https://youtu.be/4DOfFKSGMWk

76 – http://www.treccani.it/enciclopedia/codice-di-norimberga_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica%29/

77 – http://www.treccani.it/enciclopedia/bioetica_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/

78 – https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/rms/090000168007d003

79 – http://www.stateofmind.it/2013/11/dsm5-intervista-allen-frances/

 

GEOPOLITICA VACCINALE – ZOOTECNIE PER IL GREGGE ITALICO_2a parte, di Elio Paoloni

Qui sotto la seconda parte di un lungo e documentato articolo di E. Paoloni sulla problematica delle vaccinazioni e sull’acceso dibattito che imperversa in Italia da oltre tre anni. Una cosa appare certa. Quello delle vaccinazioni non è solo un problema di salute, né solo un problema medico, per altro riducibile ad una controversia tra oscurantisti e progressisti. Non è nemmeno un tema riducibile prevalentemente agli enormi interessi economici in campo medico-sanitario. Nel libro “gli stregoni della notizia” Marcello Foa, tra l’altro, illustra alcuni esempi di manipolazione dell’informazione in campo sanitario. Prossimamente recensiremo un libro dedicato all’argomento che offrirà una prospettiva ancora più ampia alla lettura di queste dinamiche_Buona lettura_Germinario Giuseppe

GEOPOLITICA VACCINALE – ZOOTECNIE PER IL GREGGE ITALICO_1a parte, di Elio Paoloni

4. Neonati in missione di guerra

 Dopo anni di accertamenti le quattro Commissioni della Difesa (delle quali una Parlamentare) (43) che hanno indagato sulle cause delle gravi patologie che colpiscono i militari italiani, hanno focalizzato l’attenzione sui vaccini e in particolare sull’MPR, evidenziando la possibilità che pratiche vaccinali particolari, massicce e ravvicinate potessero comportare una “disorganizzazione del sistema immunitario” (la tesi del prof. Tarro), suscettibile a sua volta di concorrere alla manifestazione di gravi patologie autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, eritema nodoso, lupus, artrite reumatoide, diabete e, secondo taluni studi, leucemie e linfomi, giungendo a raccomandare il numero massimo di cinque vaccini per i soldati in servizioA ben piantati guerrieri 5 e ai neonati 12. Non fa una piega.

 

 

5 – L’effetto gregge

 

Tra le pezze a colore del decreto campeggia l’effetto gregge (44 – brevi cenni) (45 – relazione più dettagliata) mero calcolo probabilistico sulla immunità della popolazione in relazione all’immunizzazione naturale, continuamente smentito dai fatti: è talmente inaffidabile che, da una previsione del 55% di vaccinati per ottenere l’immunità si è saliti pian piano, nel corso di decenni, a un 95% che sembra non bastare più (46).

Pare infatti che la malattia riesploda anche all’interno di popolazioni interamente vaccinate, come avvenuto in Mongolia (47) (48) per il morbillo (50.000 casi fra 2015 e 2016 su una popolazione di 3,2 milioni di persone con il 99% di copertura vaccinale e oltre il 95% con almeno due dosi) e negli Usa per la parotite (49).

 

I vaccini sono progettati per proteggere la persona che li riceve, non per impedire il contagio. Anzi, subito dopo alcune vaccinazioni i bambini possono essere contagiosi (50) (51) come si evince anche dagli stessi foglietti illustrativi di diversi vaccini (52) e dunque pericolosi per i coetanei e per le donne in gravidanza.

Paradossalmente il morbillo e le malattie similari sono divenute pericolose grazie alle vaccinazioni: impedendo l’immunità naturale e ritardando nel tempo la malattia, perché sposta in avanti la soglia di suscettibilità senza fornire un’immunizzazione duratura, fa sì che la malattia tenda a colpire soprattutto gli adulti (non immunizzati per via naturale) e i neonati, per i quali è più pericolosa.

 

Va tenuto presente, infine, che la copertura da vaccino non va identificata tout court con una protezione immunitaria per tre motivi:

1) c’è una percentuale di “non responders” che, appunto, non producono anticorpi (53);

2) gli anticorpi da vaccino scemano con l’andar del tempo e così la protezione, forse anche per la minor circolazione del virus selvaggio e quindi alla mancanza del rinforzo naturale della memoria immunologica;

3) i vaccini provocano l’evoluzione di agenti patogeni più virulenti (54)

 

Ma la stampa fa il gioco di Big Pharma sbattendo in prima pagina i casi limite degli infelici bambini immunodepressi, i quali, ad ogni modo, non potrebbero andarsene a passeggio neppure con la copertura del 100% della popolazione planetaria, dato che sono esposti a innumerevoli malattie per le quali non esistono vaccini; è probabile anzi che sarebbero più al sicuro tra i non vaccinati, che pare siano mediamente più sani di quelli vaccinati, come mostrano molte ricerche indipendenti e l’esperienza clinica di molti medici (per esempio, dei centoventi che firmarono con Roberto Gava una lettera a Walter Ricciardi, presidente dell’ISS (55), all’epoca dei 4 vaccini obbligatori).

 

 

6 – Perché proprio questi vaccini?

 

Il tetano non è contagioso. La poliomielite e la difterite sono pressoché scomparse; il poliovirus è assente in Europa da 35 anni e si trova praticamente solo nei vaccini. L’epatite B è una malattia grave, ma si trasmette per via ematica e sessuale e il vaccino in età neonatale si può giustificare solo in presenza di rischi accertati.

 

In quanto al morbillo, negli anni ’60 il padre dell’epidemiologia Alexander Langmuir (56) lo riteneva una malattia benigna: “infezione autolimitante di breve durata, di moderata gravità e bassa mortalità… Le complicanze sono infrequenti e, con un’adeguata terapia medica, è rara la probabilità di un decesso… L’immunità che segue alla guarigione è forte e robusta e dura tutta la vita” (57)

In effetti il morbillo si è sempre manifestato con epidemie più o meno estese. In epoca pre-vaccinale gli anticorpi materni erano in grado di proteggere il bambino piccolo fino a nove, dieci mesi, l’età più delicata. Venivano colpiti bambini e ragazzi fino ai 14 anni, che poi rimanevano immuni per tutta la vita. La mortalità è andata scemando fino a scomparire ben prima dell’era vaccinale.

Si decise ugualmente di eradicarlo. E’ famosa la risposta dello stesso Langmuir a chi gli chiedeva perché mai: la stessa che Edmund Hillary utilizzò quando gli chiesero perché voleva scalare il monte Everest: “perché è lì”. Tratterebbesi di megalomania “scientifica”, magari a caccia di qualche premio e posto nella storia. O qualcosa di più: quando c’è da guadagnarci, banalissime malattie – o semplici soglie – vengono trasformate in anticamere del terrore. Qui (58) una documentata storia del terrore falso e di quello vero.

 

 

7 – Siamo noi che siamo sbagliati

 

La variabilità genetica della popolazione rende la vaccinazione di massa uguale per tutti – come per i polli in batteria – simile ad una roulette russa.

Di recente perciò le industrie del farmaco stanno investendo ingenti capitali in una nuova branca della vaccinologia, l’adversomica (60), allo scopo di dimostrare che gli effetti collaterali dei vaccini sono legati unicamente alle caratteristiche genetiche del soggetto vaccinato. L’iniziativa è lodevolissima: queste ricerche potrebbero stoppare la vaccinazione di massa senza se e senza ma salvaguardando alcuni dei soggetti più a rischio di reazioni avverse. D’altro canto è palese il tentativo di dimostrare che ad essere difettose sono le persone mentre i vaccini sono sempre e comunque perfetti e sicuri.

 

Cosa risponde l’establishment a tutto questo?

 

Quali sono le argomentazioni dei pro-vax, (quelle “scientifiche”) a favore del decreto ndo cojo cojo?

Per rendere l’idea del tenore delle repliche basterà un articolo (59), un pezzo davvero emblematico: una summa di apoditticità, con tanta sicumera e neppure un solo riferimento a studi, ricerche, statistiche. I link che troverete sono: uno a Team Vax Italia, non funzionante, due alle pagine Facebook di povere mamme indottrinate, e uno (questo sì che taglia la testa al toro) al sito dell’incontenibile Burioni.

In nome di tanta scienza segue un elenco impressionante di NON E’ VERO. Non è vero che… non è vero che… non è vero che… Punto. Non c’è una sola argomentazione, un solo testo citato, un solo nome. Non è vero e basta, non state a rompere. Al massimo troverete questa poderosa pezza d’appoggio: “spiegano i pediatri”. Quali pediatri? Quanti? Dove? Sembra la pubblicità di un dentifricio: “i Dentisti consigliano”. La correlazione con l’autismo? E’ “falsa, ripeto falsa”. “Ripeto”. Basta ripetere per dimostrare. La correlazione è ovviamente “smentita da centinaia di studi rigorosissimi” (che ci resteranno ignoti). Alla fine sparano il pezzo forte: la bufala dell’epidemia di morbillo (qualche centinaio di casi all’anno, quanti se ne verificavano gioiosamente al paese del sottoscritto in un giorno).

Non ci sono studi. E’ la frase più ricorrente sulla bocca dei minimizzatori: non ci sono studi che dimostrino questo o quell’altro possibile effetto. Dovrebbe essere un argomento tranquillizzante, e molti cittadini, in effetti, si lasciano tranquillizzare, come se la mancanza di una dimostrazione costituisse la certezza della mancanza di danno. Ma è la più inquietante delle risposte: perché, dovrebbe chiedersi il cittadino, mi somministrate qualcosa senza averla studiata a sufficienza? Perché questi studi non ci sono? Forse perché non vi conveniva? Vi pesava il costo o temevate i risultati?

Mercurio, alluminio e stronzio. Molti eccipienti, come le cellule renali di scimmia, sono dichiarati dai produttori (del resto senza alluminio diversi vaccini non avrebbero efficacia) che, va detto, si stanno impegnando a eliminare il mercurio, responsabile, come minimo (a detta delle autorità sanitarie) di possibili reazioni allergiche. Altre sostanze sono state rintracciate da ricercatori. Una delle repliche più diffuse alle preoccupazioni sui metalli, sempre sotto il titolone “Smentita la bufala!” è questa: ci sono più metalli nel latte materno, nell’acqua e nell’aria. E giù tabelle con microgrammi e nanogrammi. Nessuno che vi dica che l’ingestione e l’iniezione sono cose un po’ diverse. Se volete comprendere perché l’alluminio iniettato non viene espulso dei reni ma crea seri problemi immergetevi pure in questa dotta esposizione: https://www.freedompress.it/alluminio-nei-vaccini-e-nellalimentazione-facciamo-chiarezza-sulla-sua-azione/.

I burioni che si autolegittimano come unici depositari della Verità e danno del Somaro a qualsiasi interlocutore di opinione diversa sono per ciò stesso al di fuori della scienza: “La scienza non è un insieme di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza: non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità come la probabilità» (Karl Popper, Logica della scoperta scientifica).

 

Siamo insomma di fronte ad un arrogante e ottuso razzismo dell’intelligenza, di cui parlava il sociologo francese Pierre Bourdieu, citato – proprio a proposito di Burioni – dal filosofo Roberto Sgobba nell’editoriale del numero di Febbraio di AboutPharma and Medical Devices (61).

 

Sull’attendibilità della “scienza” medica invito a leggere le dichiarazioni di:

 

– Richard Horton, direttore di Lancet, la più famosa rivista scientifica al mondo, secondo il quale (62) una buona metà dei cosiddetti “articoli scientifici” apparsi sulle riviste mediche accreditate potrebbe avere una base non scientifica. Anche per il flagrante conflitto di interessi che vige tra studiosi, medici e case farmaceutiche: troppo spesso gli scienziati forgiano i dati per avvalorare una tesi precostituita. Oppure rivedono le ipotesi per adattarle ai dati”;

 

–  John P.A. Joannidis, docente di politiche sanitarie e direttore del Centro prevenzione e ricerca all’Università di Stanford, che ha pubblicato nel 2005 su “Plos Medicine”, un articolo (63) dal titolo inequivocabile: “Perché la maggior parte della ricerca è falsa”;

 

Una breve riflessione: se neppure i direttori delle principali riviste scientifiche sanno cosa è vero e cosa è falso, o meglio sanno benissimo che vero e falso si spartiscono il campo esattamente a metà, come pensate che l’uomo della strada – ma anche un semplice medico – possa davvero arrivare a decidere in proposito? I dibattiti tecnici non possono che frastornare il cittadino, costretto a scegliere sulla fiducia. Inutile dire che i genitori, e in particolare le sempre più fragili mamme, tenderanno a ritenere più autorevoli i pareri di chiunque venga presentato come esperto dalle televisioni dell’universo mondo a rete unificate: ovvero qualche alfiere di Big Pharma e dell’alta finanza (già: sappiate che la finanza creativa è riuscita a partorire i bond vaccinali) (64).

 

Nel dubbio sarebbe buona norma prendere per buoni i giudizi dietro ai quali non si profila – almeno apparentemente – la lunga mano dell’industria: chi si espone al ludibrio senza possibili – o anche solo probabili – motivi di profitto, di sicurezza, di carriera, deve godere sempre, a parer mio, di un credito maggiore, benché non illimitato. Resta l’impossibilità di scegliere con cognizione di causa (e chi tra noi, medici e ricercatori compresi, ha davvero cognizione di causa – anzi di cause, e di concause?) dunque la necessità di attenersi a una regola aurea: evitare probabili rischi per ipotetici benefici.

 

A parte i disastri storicamente acclarati e diverse inoppugnabili statistiche, in queste ultime pagine sono stati riportati soprattutto studi, pareri, sospetti, dibattiti. Non sempre, come abbiamo visto, comprensibili per noi profani e, soprattutto, confutabili, anzi facilmente stigmatizzabili.

Non si insisterà dunque sulla diatriba puramente scientifica. No, non abbiamo alcun bisogno di infilarci in questo ginepraio: possiamo tranquillamente attingere a dati incontrovertibili che possono e devono mettere in guardia il cittadino: le sentenze di risarcimento per danni causati da vaccini.

 

Queste sentenze sono solo la punta dell’iceberg: ricordate le considerazioni di David Kessler a proposito del Vaers: “vengono segnalati solo circa l’uno per cento degli eventi avversi gravi” e tenete presente che gli studi legali delle aziende farmaceutiche sono in grado, solitamente, di triturare chiunque, ammesso che le famiglie arrivino in Tribunale o che, appunto, siano rese edotte sui possibili legami tra vaccinazioni ed eventi successivi).

 

Soprattutto si tenga presente che anche quando non accertano definitivamente la correlazione tra vaccini e danni gravi o gravissimi, morte compresa, le sentenze giudiziarie non le escludono MAI: nella maggior parte dei casi si limitano a riscontrare che non ve ne è assoluta certezza. Tale diffusa incertezza (parliamo di decine di migliaia di casi) sbandierata dagli inoculatori seriali come assoluta mancanza di correlazione, dovrebbe indurre alla cautela, specie se si considerano la documentata inefficacia di alcune pratiche vaccinali. Ma ecco a voi

 

LE SENTENZE

 

Qui (65) un elenco non esaustivo del foglio della Confindustria, notoriamente complottista; e qui (66) un altro terrificante esempio di superstizione, ignoranza e antiscientismo regalatoci dalla Corte di Giustizia Europea; ma voglio insistere sulle sentenze statunitensi (67) (68) e sapete perché? Non sono impugnabili dai seguaci della Lorenzin, dato che proprio un pro-vax, Andrea Grignolio, ha tentato di smontare la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea comparandola sprezzantemente (69) proprio alle serissime procedure processuali statunitensi:

“I tribunali nordamericani valutano le testimonianze degli esperti non in base all’autorevolezza del perito o in base a “indizi gravi”, né in base a liste di consulenti tecnici (CTU) spesso stilate senza un principio di competenza come avviene in Italia, bensì in base a una procedura, nota come standard Daubert. Tale standard ritiene prove legali solo ipotesi ed esperimenti che siano controllabili e falsificabili empiricamente, che siano basati su una solida letteratura scientifica, che siano disegnati con procedure di controllo di riferimento, di cui sia noto il tasso d’errore, nonché su teorie e tecniche accettate da una comunità scientifica internazionale. Con queste regole, non ci sarebbero più sentenze o decisioni dei tribunali contra scientiam”.

Bene, se lo sostiene Grignolio, vuol dire che le sentenze statunitensi sono inoppugnabili e che i danni vaccinali gravi e gravissimi esistono e sono in buon numero, anzi in numero enorme.

Pochi sanno che da decenni esiste negli Stati Uniti un tribunale apposito. Si occupa esclusivamente dei danni da vaccino e risarcisce le vittime senza ricercare alcuna responsabilità, specie penale. Un regalo a Big Pharma, che dopo essere stata fatta a pezzi da cause legali tradizionali, aveva minacciato di sospendere la fabbricazione di vaccini. Anziché costringere i produttori a garantire la produzione di vaccini meno tossici o sospenderne l’obbligatorietà, il Congresso approvò il National Childhood Vaccine Injury Act, in base al quale sono i cittadini americani – e non i produttori dei vaccini – a pagare le spese di indennizzo (70). Qui uno degli elenchi di risarcimento (71) e l’originale di una delle sentenze (72) riguardante “convulsioni, encefalopatia e ritardo dello sviluppo”.

 

Una prima conclusione: i danni vaccinali non sono inventati da qualche millantatore ma accertati da corti di giustizia. Esistono. E non stiamo parlando di un po’ di febbre passeggera. Ciò – benché non metta certo fine al dibattito scientifico – ci permette di passare alle altre considerazioni.

43 –  https://www.analisidifesa.it/2017/09/in-principio-era-luranio-impoveritopoi-i-vaccini/

44 – https://www.liberascelta.org/immunita-di-gregge-cose-come-funziona/

45 – http://www.mednat.org/vaccini/relazione-ffranchi-11-marzo-2018-effetto-gregge-f.pdf

46 – http://www.assis.it/vaccinare-il-gregge/

47 – http://www.medicinapiccoledosi.it/vaccini/mongolia-morbillo-free-50-000-casi/

48 – http://apps.who.int/immunization_monitoring/globalsummary/countries?countrycriteria%5Bcountry%5D%5B%5D=MNG&commit=OK

49 – https://autismovaccini.org/2014/02/22/nuova-epidemia-di-parotite-in-soggetti-vaccinati/

50 – https://www.sciencemag.org/news/2014/04/measles-outbreak-traced-fully-vaccinated-patient-first-time

51 – https://academic.oup.com/cid/article/58/9/1205/2895266

52 – https://www.comilva.org/comunita-scolastica-rischi-della-convivenza-tra-vaccinati-non-vaccinati-e-soggetti-a-rischio/

53 – (https://www.siaip.it/upload/riap/1434_Basi_genetiche_della_risposta_immune_vaccinazioni.pdf

54 – https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.1002198

55 – http://www.informasalus.it/it/articoli/vaccinazioni_lettera_presidente_sanita.php

56 – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4550144/

57 – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1522578/?page=1

58 – http://www.comilva.org/si-dissolvono-le-illusioni-sul-vaccino-anti-morbillo/

59 – https://www.linkiesta.it/it/article/2016/08/11/contro-tutte-le-bufale-degli-antivaccinisti/31446/

60 – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2843136/

61 – https://www.aboutpharma.com/blog/2018/02/05/burioni-vaccini-somari-la-scienza-arrogante-danneggia-stessa/

62 – https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(15)60696-1/fulltext

63 – https://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.0020124

64 – https://www.maurizioblondet.it/le-obbligazioni-sulla-morte-anche-le-obbligazioni-sui-vaccini-rendono-un-bellinteresse/

65 –https://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/responsabilita/2017-10-16/vaccinazioni-obbligatorie-e-soggetti-danneggiati-141140.php?preview=true

66 – https://www.iltempo.it/cronache/2017/06/21/news/vaccini-sentenza-choc-della-corte-di-giustizia-europea-di-bruxelles-indizi-gravi-posso-provare-il-nesso-con-la-malattia-1030487/

67 – https://www.naturalnews.com/2018-04-05-court-ruling-confirms-gardasil-vaccine-kills-people-scientific-evidence-beyond-any-doubt.html

68 –https://www.notizieora.it/notizie/vaccino-morbillo-causa-danno-permanente-a-bambina-famiglia-risarcita-con-101-milioni-di-dollari-la-sentenza/

qui trovate la sentenza:

https://www.mctlawyers.com/vaccine-cases/vaccine-case-results/16-119V-MeaslesMumpsRubella%28MMR%29-Encephalopathy.pdf

69 –http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2017/06/22/news/danni_da_vaccini_per_corte_ue_indizi_gravi_provano_nesso-168816584/

70 – http://www.informasalus.it/it/articoli/danni-vaccino-dati.php

71 – https://www.mctlawyers.com/vaccine-injury/cases

72 – http://www.uscfc.uscourts.gov/sites/default/files/opinions/ABELL.ZELLER073008.pdf

GEOPOLITICA VACCINALE – ZOOTECNIE PER IL GREGGE ITALICO_1a parte, di Elio Paoloni

Qui sotto un lungo e documentato articolo di E. Paoloni sulla problematica delle vaccinazioni e sull’acceso dibattito che imperversa in Italia da oltre tre anni. Una cosa appare certa. Quello delle vaccinazioni non è solo un problema di salute, né solo un problema medico, per altro riducibile ad una controversia tra oscurantisti e progressisti. Non è nemmeno un tema riducibile prevalentemente agli enormi interessi economici in campo medico-sanitario. Nel libro “gli stregoni della notizia” Marcello Foa, tra l’altro, illustra alcuni esempi di manipolazione dell’informazione in campo sanitario. Prossimamente recensiremo un libro dedicato all’argomento che offrirà una prospettiva ancora più ampia alla lettura di queste dinamiche_Buona lettura_Germinario Giuseppe

 

GEOPOLITICA VACCINALE – ZOOTECNIE PER IL GREGGE ITALICO

Elio Paoloni

 

Premesso che:

 

– non si può mettere in dubbio il contributo dei vaccini alla salute umana nel corso della storia;

 

– nessuno, dunque, può dirsi favorevole o contrario ai “vaccini”, poiché non esiste un’unica categoria da accettare o respingere in blocco ma una molteplicità di preparati rivolti a malattie diverse per diffusione e gravità e di tipologie molto diverse, che vengono somministrati a individui di età diverse con stato di salute differente per genetica, condizioni metaboliche e stile di vita della famiglia (il no-vax fondamentalista antiscientista è una macchietta utile ai pro-vax per ridicolizzare qualsiasi seria critica alle specifiche normative in proposito; all’opposto, molti degli scienziati critici con l’uso estensivo dei vaccini sono gli stessi che li hanno creati);

 

– per comodità si continueranno ad utilizzare le definizioni pro-vax e no-vax, intendendo con vax unicamente il decreto di stampo totalitario del governo PD (*);

 

Accertato che:

 

il 29 settembre 2014, a Washington, presente l’ex ministro Lorenzin accompagnata dal Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) prof. Sergio Pecorelli, è stato deciso da un summit di 40 Paesi, con l’intervento di Barack Obama, che l’Italia avrebbe guidato le strategie e le campagne vaccinali nel mondo, ruolo di capofila già deciso in estate durante il vertice di Giakarta, e che questo “importante riconoscimento scientifico e culturale all’Italia” è stato preceduto da una campagna terroristica del New York Times, prontamente ripresa dalla stampa collaborazionista;

 

– il piano si inserisce in un progetto globale USA mirante a vaccinare 4 miliardi di persone in 30 Paesi entro 5 anni, come da infografica del GSHA (1), che contribuirà al compiersi della distopia annunciata nel lontano 1976 da Henry Gadsen, all’epoca direttore della casa farmaceutica Merck, che dichiarò alla rivista Fortune: “Il nostro sogno è produrre medicine per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”;

 

– gli italici proconsoli hanno prontamente apprestato il decreto per inoculare obbligatoriamente nei neonati due blended più due single malt per un totale di dodici vaccini;

 

– il provvedimento non ha eguali nel mondo civile (ad esclusione della Lettonia): Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Islanda, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito non hanno nessun vaccino obbligatorio; il Belgio ne ha solo uno, la polio, Malta ne ha tre, la Grecia ne ha solo quattro; mentre i cugini francesi stanno tentando di mettersi al nostro passo;

 

– in Svezia l’anno scorso si è votato contro tutte le proposte di legge che proponevano i vaccini obbligatori (2) e che ci toccherà invadere questo paese privo di senso civico per obbligare anche i vichinghi a vaccinarsi in massa (è quello che Obama ci ha incaricato di fare; e state certi che se lasciamo fare ai suoi vassalli verrà tirata fuori per questa campagna tutta la capacità di persuasione nei confronti dei fratelli europei che non siamo mai riusciti a sfoderare negli ultimi decenni);

 

Constatato che per giustificare le misure coercitive l’ex ministro (appartenente allo schieramento che pretende di individuare e colpire le fake news) ha fatto ripetutamente ricorso alla menzogna:

 

  • a Porta a porta (3) del 22/10/2014 al minuto 36:22 Beatrice Lorenzindichiarava che “solo di morbillo a Londra, cioè in Inghilterra, lo scorso anno [quindi nel 2013] sono morti 270 bambini per una epidemia di morbillo molto grave”; secondo i dati ufficiali del governo inglese, invece, nel 2013, si è registrato 1 solo decesso, quello di un venticinquenne, in seguito ad una polmonite acuta quale complicanza del morbillo, come si legge qui (4);

 

  • a Piazza Pulita(5) del 22/10/2015 [esattamente un anno dopo] al minuto 5:57 Beatrice Lorenzin dichiarava: “Di morbillo si muore, in Europa! … c’è stata una epidemia di morbillo a Londra lo scorso anno [quindi nel 2014], sono morti più di 200 bambini”; invece nel 2014 ci sono stati 59 casi totali di morbillo a Londra e nessun decesso (6); dal 1989 al 2013 i decessi per morbillo nell’intero Regno unito sono oscillati tra 0 e 4, come si può verificare qui (7);

 

  • in un’intervista aIl Messaggero, il 21 luglio 2016 (8), l’ex ministro insisteva: «… In Gran Bretagna tre anni fa c’è stata una epidemia di morbillo – dovuta proprio al fatto che molti avevano rinunciato al vaccino – che ha causato la morte di centinaia di persone».

 

Considerato che le aziende farmaceutiche, ormai strettamente intrecciate con le famigerate multinazionali dell’agricoltura (9), hanno raggiunto immani capacità di pressione, assicurandosi la complicità di ricercatori, medici, giornalisti, funzionari, ministri con:

 

–  il tradizionale metodo della corruzione (uno dei nostri vaccini fu reso obbligatorio grazie a una tangente da 600 milioni (10) pagata da GlaxoSmithKline all’allora Ministro della Salute e obbligatorio è rimasto (11) nonostante la sentenza sia stata confermata in Cassazione nel 2012) – sancita da sentenze giudiziarie in tutto il pianeta (12) e ben descritta qui (13) da un vero esperto, l’ex Vicepresidente PFIZER dr. Peter Rost;

 

– “azioni di deterrenza e disciplina etica e professionale nei confronti dei medici e degli operatori infedeli che non raccomandano o sconsigliano la vaccinazione (14 – pag. 48): Roberto Gava, primo dei 120 firmatari di una lettera aperta all’Istituto Superiore di Sanità – che si invita a leggere per intero – nella quale si osava manifestare qualche perplessità su un certo tipo di pratica vaccinale (15) è stato radiato dall’ordine dei medici di Treviso;

 

Letto, con particolare attenzione al fumetto in prima pagina nella versione italiana (16) e, in doppia declinazione, alle pagg. 14 e 15 nella versione originale (17), il manuale del CDC, Centers for Disease Control and Prevention – le cui modalità di disinformazione vengono descritte sul Wall Street Journal  da un ex lobbista Roche (18) – per l’addestramento delle istituzioni alla creazione di “preoccupazione, ansia e inquietudine” nella popolazione allo scopo di indurre a una massiccia richiesta di vaccini, con suggerimenti su sofisticate strategie di comunicazione (le ‘ricette’) ed esortazioni alla messa in campo di maggiori investimenti, assodato che “i mass media stanno perdendo influenza ed è necessario esporre le persone al messaggio 10-12 volte”

 

VADO A ESPORRE

 

le obiezioni alle politiche vaccinali correnti; obiezioni di carattere scientifico, giuridico, etico, politico, filosofico:

 

 

 

 

OBIEZIONI SCIENTIFICHE

 

Stante la totale incompetenza in materia – pari solo a quella dei più aggressivi pro-vax – mi limiterò a esibire la imponente mole di pareri, di documenti, di statistiche – e di sentenze – sulla dannosità e/o inutilità di alcuni vaccini.

Lungi dal ritenerla esaustiva e neppure sfiorato dall’illusione di concludere definitivamente il dibattito, che resterà aperto purtroppo per decenni, intendo dimostrare che, anche se non fossimo in possesso di numerosi e inoppugnabili fatti, basterebbero gli innumerevoli, plausibili e inquietanti sospetti per indurre alla cautela, dunque perlomeno alla discussione in aula di qualsiasi provvedimento relativo all’obbligatorietà.

 

Poiché le repliche di Big Pharma e dell’establishment, in mancanza di solide argomentazioni, consistono quasi essenzialmente nella sistematica delegittimazione dell’avversario, mostrerò inoltre che gli studiosi sfavorevoli alla esasperazione di certe profilassi hanno la medesima – se non superiore – autorevolezza di quelle a favore.

 

 

1 – Danni accertati

 

Cito ora alcuni documenti storici (non studi, non opinioni, non estrapolazioni) sulla nocività di molti vaccini:

 

–  nel remoto passato (metà anni 50) la vaccinazione Salk negli Stati Uniti contro la poliomielite si trasformò in disastro perché il virus, rimasto vivo dopo un trattamento che doveva ucciderlo, provocò nei bambini vaccinati 70.000 casi di paralisi e 10 casi di morte, come asseverato da Paul Offit, MD, uno dei più noti pediatri “vaccinisti” nonché creatore del vaccino contro il rotavirus, in The Cutter Incident, Yale University Press, 2005, (la Cutter era una delle aziende responsabili dell’incidente). Qui (19) in un saggio molto articolato e con una ricca bibliografia, tutta la triste storia dell’antipolio, con un interessante aneddoto sulla manipolazione dei dati: “La dissimulazione del rischio reale viene ulteriormente aggravato da una nuova definizione della malattia poliomielitica, introdotta dopo l’inizio delle vaccinazioni di massa risalente agli anni Cinquanta e Sessanta. La definizione classica di poliomielite era ‘una malattia con paralisi residua che si risolve entro 60 giorni’; la nuova definizione è ‘una malattia con paralisi residua persistente per oltre 60 giorni’. Dato che in meno dell’uno per cento dei casi si sviluppa una paralisi residua che persiste per oltre 60 giorni, la nuova definizione ha “eliminato” in quanto non poliomielite la grande maggioranza dei casi in cui la paralisi si risolveva entro 60 giorni”.

 

– anche in un passato molto più recente buona parte dei vaccini sembrano essere stati confezionati in garage (20 – con link interni a siti di diversi paesi) (21) (22); si linka anche un sito anti-fake (23) che giustamente stigmatizza la tendenziosità di alcuni articoli che lasciano supporre – o suggeriscono – che il ritiro di alcuni lotti configuri una nocività del vaccino in quanto tale. Ma stupisce il tono rassicurante, la capacità evasiva di costoro: come se non restasse la gravità della immissione sul mercato nel corso degli anni, nei più diversi paesi, di grandi quantità di prodotti malfatti, adulterati, non verificati. E’ inconcepibile tanta superficialità nel confezionamento di farmaci. Nessun genitore a questo punto può davvero essere certo che non ci sarà qualche veleno nei vaccini che si vogliono inoculare ai loro neonati;

 

–  si prega di tener presente che già negli anni ’50 le rassicurazioni sui vaccini (con Elvis Presley testimonial d’eccezione) erano le medesime di oggi e che i mantra “ora è tutto diverso, le moderne tecnologie, il progresso della scienza, le magnifiche sorti (e progressive)” vengono recitate dai tempi dei salassi a go go;

 

 

 

 

2 – Nocività estremamente probabili (biologicamente plausibili)

 

– sempre a proposito di ‘sicurezza’ dei vaccini, fra gli anni 1955 e 1963 i vaccini antipolio vennero infettati dall’SV40, un virus di scimmia che potrebbe essere la causa di migliaia di casi di mesotelioma pleurico, tumori al cervello, linfomi non-Hodgkin e osteosarcomi. Si è costretti a usare il condizionale perché non è stato dimostrato oltre ogni dubbio l’effetto cancerogeno sull’uomo ma la letteratura scientifica è concorde su tre aspetti: l’SV40 è arrivato nell’uomo tramite il vaccino antipolio, è stato trovato in 4 tipi di tumori, i test fatti su animali di laboratorio con l’SV40 hanno mostrato il rapido sviluppo di questi 4 tipi di tumori (24 –traduzione non impeccabile) (25 – originale);

 

– già negli anni ’80 erano stati evidenziati i rapporti tra vaccinazioni e decessi in culla (26);

 

– fin dal 1994 sono noti alla comunità scientifica i possibili danni del vaccino contro il morbillo: qui (27) si dichiara chiaramente la plausibilità biologica che il vaccino contro il morbillo possa scatenare: Encefalopatia, Panencefalite Subacuta Sclerosante [PESS], Disordini Cerebrali [Residual Seizure Disorders], Neuriti ottiche, Mielite trasversa, Sindrome di Guillain-Barré, Trombocitopenia;

 

–  nel 2010 il Sunday Times pubblicò un articolo sui danni vaccinali (28) basato sui dati ufficiali del MHRA, la Medicines and Healthcare products Regulatory Authority del Regno Unito, ovvero l’autorità governativa che si occupa di farmaci e di salute pubblica, non pubblicati ufficialmente, ma ottenuti dal quotidiano grazie al Freedom of Information Act. Dai dati raccolti sulle reazioni avverse ai vaccini, in particolare al vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia, si scopre che dal 2003 vi erano state più di 2100 gravi reazioni avverse ai vaccini pediatrici, alcune delle quali a rischio della vita: “Si sospetta che quaranta bambini siano morti come conseguenza della somministrazione di routine dei vaccini negli ultimi 7 anni. Si sospetta anche che le vaccinazioni in età infantile abbiano lasciato due bambini con danni al cervello e che abbiano causato più di 1500 reazioni neurologiche, inclusi 11 casi di infiammazione cerebrale, 13 casi di epilessia e uno di coma”;

 

–  nel settembre 2011 l’Agenzia The National Institutes of Healths (programma nazionale statunitense di sorveglianza sulla sicurezza dei vaccini, un’agenzia del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti) pubblicava uno studio dal titolo “Infant mortality rates regressed against number of vaccine doses routinely given: Is there a biochemical or synergistic toxicity?” (29) basato su dati VAERS (Vaccine Adverse Events Reporting System). Nella maggior parte dei casi le reazioni avverse registrate sono “lievi effetti indesiderati”, ma nel 13 per cento dei casi si tratta di “reazioni gravi”, come pericolo di vita, ospedalizzazione, invalidità permanente o morte. Tuttavia – viene precisato – i dati sono abbondantemente sottostimati, perché lo stesso Vaers “è un sistema di farmacovigilanza passivo, intrinsecamente soggetto a sotto-segnalazione”, “una sottostima pari, secondo alcune rilevazioni, a 50 volte”. E’ David Kessler, ex commissario della Food and Drug Administration che sovrintende al sistema Vaers, a stilare questo bilancio: “vengono segnalati solo circa l’1 per cento degli eventi avversi gravi” (30);

 

–  lo studio sopra citato è doppiamente significativo perché i professionisti antibufale hanno tentato di inficiare la validità dello studio screditando gli autori, e chi li aveva citati, e dalla replica (31) si può arguire quale sia l’unico vero metodo argomentativo degli sponsor delle vaccinazioni seriali: delegittimazione dell’interlocutore;

 

–  qui (32) sono elencati alcune decine di studi in originale sui danni da vaccino pubblicati dalla stessa Agenzia. Troverete anche link a elenchi dettagliati delle azioni legali e dei risarcimenti disposti negli Stati Uniti, dei quali si parlerà più diffusamente nel seguito.

 

– il Codacons, che si batte per vaccini singoli e indagini pre-vaccinali, riferisce di migliaia di segnalazioni (parliamo dei vecchi vaccini, non delle mitragliate da dodici) (33). Ma i giornalai ci rassicurano: 8 casi su 10 non sono gravi (34). Che rassicurazione sarebbe? 2 su 10, date le cifre, è un’enormità, una catastrofe. Inutile dire che l’articolo termina con i soliti numeri falsi sui casi di morbillo;

 

– qualche notizia dalla Gabanelli (35)

 

E’ solo un ristrettissimo elenco, brevi cenni sull’universo, giusto per mettere in chiaro che la pericolosità non se la sono inventata quattro ufologi strafatti.

 

 

3 – Pericolosità, inefficacia, inutilità – Opinioni autorevoli

 

Di solito non mi lascio incantare dalle ovazioni, da qualsiasi platea provengano, ma ritengo doveroso linkare questo video (36) alla fine del quale potrete apprezzare la standing ovation ottenuta da Luc Montagnier alla convention dell’Ordine dei biologi.

Inutile dire che per Repubblica e Il Foglio il povero Montagnier, premio Nobel e scopritore del virus HIV, avendo osato sostenere che la vaccinazione obbligatoria è “un errore politico e medico”, è solo un rimbecillito e i biologi italiani sono plagiati dal Presidente del loro ordine, il Senatore D’Anna.

Tra i relatori del Convegno apparivano però il professor Yehuda Shoenfeld – qui (37) qualche dato oggettivo sulla sua autorevolezza, comparato con quella degli alfieri della vaccinazione di massa che troneggiano in Tv – Sonia Manzo, ecotossicologa, primo ricercatore al Centro Ricerche ENEA di Portici, il professor Ivano Spano – qui (38) l’impressionante curriculum – e il professor Giulio Tarro (39) pluricandidato al Nobel in medicina, allievo di Albert Sabin, presidente della Commissione sulle biotecnologie della virosfera all’Unesco, autore di numerose ricerche presso le università statunitensi (tra le quali alcune sul rapporto tra virus e tumori) e del libro 10 cose da sapere sui vaccini nel quale tenta di opporsi al terrorismo mediatico, all’arroganza di tanti Vati al soldo dell’industria farmaceutica che popolano insieme alla scodinzolante politica di casa nostra accademie e salotti parascientifici, ben protetti e foraggiati dai ricchi rubinetti di Big Pharma. Qui (40) un intervista al Prof. Tarro sul sito di Repubblica.

 

“Si può ritenere – sostiene Tarro nel suo libro – che i vaccini, analogamente agli inquinanti ambientali e alle sostanze chimiche in generale (xenobiotici) svolgano un effetto disorganizzante il sistema immunitario e quindi squilibrante/scatenante le patologie latenti che ogni organismo ha. Ciò è particolarmente facile in quei soggetti più deboli o geneticamente predisposti in cui la vaccinazione può scatenare, tanto più facilmente quanto più il bambino è immaturo, la patologia sottostante e, in casi veramente eccezionali, anche la morte”.

E ancora: “La soglia di sicurezza è un concetto basato su contestati algoritmi, ma in nome del quale è stato giustificato lo strumento del decreto per imporre una campagna vaccinale di cui nessuno – tranne gli addetti ai lavori – sentiva il bisogno. Considerato che non era imminente alcuna epidemia, ci sarebbe da domandarsi il perché di un provvedimento di urgenza invece di un disegno di legge che avrebbe garantito una discussione più pacata e certamente più produttiva”.

 

C’è un saggio molto equilibrato di Paolo Bellavite, oltre 200 pagine in cui si esaminano i vaccini uno per uno e si propongono degli aggiustamenti per nulla radicali al decreto (41); se ne riporta un brano: “Se la plausibilità biologica e l’effettività della vaccinazione come mezzo di prevenzione delle malattie infettive in generale sono scientificamente certe e basate su una lunga esperienza, l’efficacia di ogni singola vaccinazione nella situazione geografica e storica attuale deve basarsi su evidenze sicure”.

 

Per accertare senza ombra di dubbio l’affidabilità di uno studioso basta consultare gli articoli degli oppositori dello stesso, meticolosissimi nell’individuare ogni manchevolezza. Qui (42) trovate un pezzo velenoso contro Bellavite: titolo e impostazione fanno pensare a chissà quali tremende rivelazioni a proposito del docente di Verona. Bene, contro 200 pagine di argomentazioni, citazioni, evidenze, i livorosi pro-vax non riescono a tirar fuori altro che un post del professore che dovrebbe screditarlo (e non si capisce perché), attaccando poi un pippone sul fatto che Bellavite NON dice (perché è furbo, sostengono) che i vaccini causano l’autismo. E benché non lo dica loro si lanciano in una filippica contro la bufala dell’autismo. Poi si scagliano contro il Professore perché ha dichiarato di NON essere un omeopata commettendo però il delitto di interessarsi anche di omeopatia. Costoro riescono a far apparire un crimine persino l’incarico affidatogli in proposito dal Ministero della Sanità. Sarà complottista anche il Ministero?

LINK

 

1 – https://www.cdc.gov/globalhealth/security/infographics/decoding_ghsa.htm

2 – http://www.thenhf.se/riksdagen-rostade-nej-till-alla-vaccinmotioner/

3 – https://www.youtube.com/watch?v=I3QIJMyWzlE&feature=youtu.be

4 – https://www.gov.uk/government/publications/measles-deaths-by-age-group-from-1980-to-2013-ons-data/measles-notifications-and-deaths-in-england-and-wales-1940-to-2013

5 – https://www.youtube.com/watch?v=BZFyTam4Sys&feature=youtu.be

6 – https://www.gov.uk/government/publications/measles-confirmed-cases/confirmed-cases-of-measles-in-england-and-wales-by-region-and-age-2012-to-2014

7 – https://www.gov.uk/government/publications/measles-deaths-by-age-group-from-1980-to-2013-ons-data/measles-notifications-and-deaths-in-england-and-wales-1940-to-2013

8 – http://www.ilmessaggero.it/primopiano/sanita/lorenzin_vaccinazioni_diritto_salute-1868355.html

9 – https://ofcs.report/beni-culturali/ambiente/bayer-monsanto-una-fusione-inquietante-e-il-si-delleuropa/

10 – https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/12/lorenzo-poggiolini-condannati-cassazione-dovranno-pagare-milioni-testa-allo-stato/204037/

11 – https://www.byoblu.com/2017/05/03/caro-burioni-ti-scrivo-cosi-mi-rilasso-un-po/

12 –  https://codacons.it/wp-content/uploads/2017/10/Glaxo_-Le-pesanti-condanne-inflitte-alla-casa-farmaceutica-in-tutto-il-mondoJEDA-NEWS.pdf

13 – https://www.youtube.com/watch?v=TrCizlAOBAo

14 – http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2571_allegato.pdf

15 – http://www.informasalus.it/it/articoli/vaccinazioni_lettera_presidente_sanita.php

16 – https://drive.google.com/file/d/1-UmcovSOteuCioiCFEW1eBKX_Uaqeeb-/view

17 – https://drive.google.com/file/d/16EG1RKCOHLq6qGcw2Bamr9SxymRzyAA-/view

18 – https://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2017/03/07/cdc-uses-false-fears-promote-vaccine-uptake.aspx

19 – https://www.nexusedizioni.it/it/CT/fatti-poco-noti-sulla-vaccinazione-contro-la-poliomielite-5591

20 – http://www.comilva.org/ritiro-infanrix-exa-italia-no-problem/

21 – https://ilsalvagente.it/2015/10/17/3298/3298/

22 – https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/21/vaccino-anti-meningite-ossido-ferro-nelle-fiale-lotti-ritirati-famiglie-fanno-causa/1225594/

23 – https://www.davidpuente.it/blog/2017/11/11/il-presunto-ritiro-dal-commercio-del-vaccino-anti-meningite-menveo-la-solita-psicosi-social/

24 – http://www.vacciniinforma.it/2014/08/29/virus-simian-40-sv40-e-incidenza-di-cancro-vaccini-nel-mirino/1313

25 – http://www.sv40foundation.org/CPV-link.html#_edn79

26 – http://www.consumerhealth.org/articles/display.cfm?ID=19990705002005

27 – https://autismovaccini.org/wp-content/uploads/2014/03/adverse_events_associated_with_childhood.pdf

28 – https://www.thetimes.co.uk/article/40-deaths-linked-to-child-vaccines-over-seven-years-5xwhd9jtprr

29 – https://comedonchisciotte.org/vaccini-lallarme-era-noto-al-governo-usa-da-anni-dati-ufficiali-terrificanti

30https://books.google.it/books?id=w5M-DwAAQBAJ&pg=PT133&lpg=PT133&dq=david+kessler+vaers+reazioni+avverse+sotto+stimate&source=bl&ots=0alc5qizir&sig=NM3G6vdy7X1o4W5ml0NgVq03Ymo&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjkyd7OtuPdAhVPzYUKHW95AAoQ6AEwAHoECAkQAQ#v=onepage&q=david%20kessler%20vaers%20reazioni%20avverse%20sotto%20stimate&f=false

31 – https://comedonchisciotte.org/la-mia-critica-sui-vaccini-e-autorevole-studdio-allarmantew-conferemato/

32 – https://www.maurizioblondet.it/giorno-ci-dicono-non-esistono-studi-scientifici-sul-danno-vaccini/

33 –  https://codacons.it/vaccini-codacons-oltre-21-mila-segnalazioni-reazioni-avverse-nel-periodo-2014-2016/

34 – https://www.wired.it/scienza/medicina/2018/07/10/vaccini-reazioni-aifa/

35 – http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-3130cc7a-9973-49e5-99ce-71eb96d3113e.html

36 – https://www.youtube.com/watch?time_continue=2044&v=MDhstaFwsKw

37 – http://www.libreidee.org/2017/08/vaccini-la-scienza-non-e-conoscenza-non-ha-verita-stabili/

38 – https://www.pensareoltre.org/index.php/it/ivano-spano-dislessia-adhd

39 – https://westernorthodoxuniversity.files.wordpress.com/2015/09/breve-cv-prof-giulio-tarro-new.pdf

40 – http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/11/23/news/intervista_giulio_tarro-46382952/

41 –http://www.paolobellavite.it/files/170718ScienzaeVaccinazioniCorr.pdf

42 – https://www.nextquotidiano.it/paolo-bellavite-matteo-salvini/

http://italiaeilmondo.com/2018/10/16/geopolitica-vaccinale-zootecnie-per-il-gregge-italico_2a-parte-di-elio-paoloni/

http://italiaeilmondo.com/2018/10/21/geopolitica-vaccinale-zootecnie-per-il-gregge-italico_3a-parte-di-elio-paoloni/

Al Capone e il caso Viganò, di Elio Paoloni

Al Capone e il caso Viganò

 

Bergoglio e Viganò? Pfui. Trovo pretestuosa questa faccenda. Ricordo che si tentò di giocare uno scherzo simile a Sua Santità Benedetto XVI. Già questo mi rende diffidente: so bene che quando c’è da attaccare la Chiesa un bel caso di pedofilia è sempre bello e pronto, senza bisogno di eccessive manipolazioni. Ma questa volta l’attacco viene direttamente, scopertamente, dall’interno, da un arcivescovo e da un giornalista cattolico. E’ per questo che la faccenda ha destato scalpore. La pedofilia propriamente detta qui c’entra poco. In effetti il prete pedofilo è un caso rarissimo, quasi inesistente: quella che è enormemente diffusa nel clero, oggi, è l’efebofilia (attrazione verso adolescenti già puberi) oppure, molto semplicemente, l’omosessualità. Chi ha relazioni con un sedicenne non è nemmeno imputabile. E se non ha particolari incarichi di educazione e custodia nei confronti del minore coinvolto non commette reato neppure se si tratta di un quattordicenne. Questo in Italia e in quasi tutto il mondo.

 

Negli Stati Uniti, però, l’età del consenso è rimasta fissa a 18 anni, quindi da quelle parti qualsiasi omosessuale può essere accusato di pedofilia, prima o poi. Ci sarebbe parecchio da argomentare su questa Babilonia che ha diffuso il disordine sessuale su tutto il pianeta, restando ancorata ipocritamente ad alcune norme anacronistiche. Un’ipocrisia che favorisce la più grande industria americana, quella dell’azione legale. Nel paradiso degli avvocati, a casa della gente arrivavano lettere di questo tenore: “Volete un milione di dollari? Mandate vostro figlio in parrocchia e al resto pensiamo noi”. Viganò, nunzio apostolico negli Stati Uniti per diversi anni, lo sa bene.

 

Cinque anni fa nel “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, la “bibbia” occidentale per gli psichiatri, la pedofilia venne declassata da “malattia” a “disordine”, poi a un “orientamento sessuale o dichiarazione di preferenza sessuale senza consumazione”. C’è stato in seguito un mezzo passo indietro, ma la strada è segnata: la pedofilia – quella vera, non quella dei preti – rientrerà presto nella norma. Negli Stati Uniti e in Olanda si sono affacciati veri e propri partiti politici per la legalizzazione della pedofilia – http://lanuovabq.it/it/la-candidatura-di-un-pedofilo-e-limbarazzo-progressista   https://it.sott.net/article/1914-La-Normalizzazione-Della-Pedofilia-Gli-Psicopatici-Cercano-Di-Ricreare-La-Societa-Nella-Loro-Stessa-Immagine  http://www.rompereilsilenziolavocedeibambini.it/2017/12/04/lapice-della-violenza-orgoglio-pedofilo-e-legittimazione-della-pedofilia/  e girano in rete tranquillamente video dove si mostra come insegnare ai bambini a masturbarsi – https://www.youtube.com/watch?time_continue=128&v=-0vPqxSVaG4 (l’accettazione della sessualità precoce è propedeutica allo sdoganamento della pedofilia). Nessuno si è scandalizzato.

 

Intendo minimizzare? Niente affatto, sappiamo bene cosa disse Cristo di questa gentaglia. Sia dei pedofili che dei sodomiti. E già, perché lo scandalo pedofilia fa da cortina fumogena al vero scandalo di questa Chiesa, la schiacciante preponderanza ai vertici di sodomiti e filosodomiti.

 

Ma veniamo al caso. Il mese scorso il corrotto e corruttore Mc Carrick viene privato della berretta cardinalizia. Con notevole ritardo – o perfetto tempismo (in concomitanza con l’incontro mondiale delle famiglie a Dublino) –  in undici pagine talmente dense di circostanze, di nomi e di andirivieni temporali da risultare illeggibili al comune lettore, Viganò – che confonde, forse volutamente, l’accusa di pedofilia (venuta fuori nel 2018, mezzo secolo dopo i fatti) con la datata corruzione di seminaristi – denuncia Bergoglio per avere in precedenza coperto il cardinale. Le accuse all’argentino possono essere così (faticosamente) riassunte:

 

  • Mc Carrick si è vantato di aver fatto eleggere il tanguero
  • Mc Carrick incontra Viganò a Santa Marta, e riferisce di aver incontrato Papafrancisco
  • nel successivo incontro con l’ex nunzio, Bergoglio apostrofa Viganò invitandolo a essere un pastore, a non essere ideologizzato; poi gli fa una battuta sul ripasso del portoghese. Un mese dopo un monsignore riferisce a Viganò che Mc Carrick ha sostenuto che i vescovi non devono essere ideologizzati. Viganò ne deduce che Mc Carrick ha messo le parole in bocca al Papa; perché non dovremmo pensare il contrario, che è molto più ovvio? E che ci sarebbe di grave, comunque, in queste banali esortazioni?
  • Viganò sostiene di aver informato personalmente il gesuita delle malefatte e dell’impunità del cardinale invertito. A quattr’occhi.

 

Fuffa, insomma. E quando si riesce a decifrare la confusa cronistoria di Viganò si comprende che c’è una vasta gamma di responsabili dell’impunità del cardinale, artefici di una cortina fumogena che probabilmente avrebbe impedito una visione chiara a uomini ben più acuti dell’inquilino di Santa Marta. Se poi gli ordini di Benedetto XVI su Mc Carrick sono stati ignorati, il principale responsabile, ovviamente, non può che essere stato Viganò, come nunzio apostolico e dunque rappresentante del Pontefice a Washington.

 

Esaminiamo la cornice. Marco Tosatti, che pure ho sempre apprezzato, condividendone quasi tutte le opinioni, lancia il caso su La Verità. Si chiedono le dimissioni di Bergoglio. Chi le vuole?

 

Di certo non le cricche parademocratiche dell’accoglienza e gli atei in servizio permanente effettivo, che adorano Papa Ciccio, per non parlare degli islamici, ai quali liscia il pelo indecentemente un giorno sì e l’altro pure. I cattolici? Sì, ogni vero cattolico spera ardentemente che Bergoglio si allontani dal Vaticano con tutti i suoi sodali, Antonio Spadaro per primo. Ma per questa faccenda? No, per tutt’altro: quest’uomo getta un sacramento nel cesso ogni mattina, attenta ripetutamente alla dottrina, viene meno all’unico compito della Chiesa: custodire la parola. La sua resa al mondo, in particolare al globalismo, è rivoltante. Magari scomparisse. Ma non nel modo in cui è stato fatto fuori Al Capone. Il gangster venne sbattuto in galera per piccoli, banali reati fiscali. E ci stava: l’importante era neutralizzarlo. Non sono convinto invece che le dimissioni di Bergoglio per non aver agito abbastanza velocemente contro un cardinale lascerebbero la chiesa al sicuro dalle reali malefatte della sua cricca. Gli orrori del suo “pontificato” sono altri. Ed è su quelli che dovrebbe esercitarsi l’indignazione di tutti noi.

 

Un’altra considerazione: cosa c’è di realistico nello scenario delle dimissioni dell’argentino (ricordiamo che non si tratta di una prassi, da quelle parti) per uno qualsiasi dei tanti scandali sessuali del clero? Nulla. Qualcuno, Tosatti compreso, immagina davvero che domani il tanguero possa prendere carta e penna, porgere tanti cari saluti e tornarsene alla ‘fine del mondo’?

A chi giova questa operazione? A cosa serve, esattamente, questo fango retroattivo? Temo che, passato il polverone, Bergoglio finirà per apparire vittima di vendette clericali (Viganò era stato rispedito a casa dal vescovo di Roma) ovvero ne uscirà rafforzato. Possibile che Tosatti, acerrimo avversario del gesuita, non se ne renda conto?

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ponti, di Elio Paoloni

Non sono facile all’indignazione: un’opera pubblica può cedere. Nella mia coazione a distinguere, a precisare, a gerarchizzare, le colpe verrebbero ripartite, soppesate, spalmate. L’avidità è una delle precipue caratteristiche umane. Che degli imprenditori si approprino di beni pubblici grazie ai compagnucci in politica, non è una novità del nostro paese. Che funzionari pubblici preposti ai controlli evitino di mostrarsi pignoli, per denaro o per vigliaccheria, rientra nell’ordine delle cose. La speranza è che la magistratura, benché frenata – o aiutata – da norme ipergarantiste, procedure farraginose e cronica mancanza di mezzi, finisca per evidenziare e sancire queste colpe. Sapendo che, molto probabilmente, si troverà un comodo capro espiatorio da ricoprire di soldi, un capro, di una certa età, magari, così, alla fine dei nostri celeri iter giudiziari, non andrà neppure in carcere. E consapevoli, s’intende, che altre tragedie ci attendono.

 

Ma questa non è la solita storia. I porci responsabili di questa tragedia non tacciono, non si sottraggono, non si coprono il capo di cenere. Continuano imperterriti a sventolare il vessillo della superiorità morale. Non perdono occasione di ricordarci che loro sono eticamente superdotati: accoglienti, elastici, pronti all’abbraccio. Che se li accusiamo di incuria facciamo sciacallaggio.

Costruttori di ponti. Odiano i muri, costruiscono ponti. Ponti navali, perlopiù. Che reggono bene perché Soros, il filantropo, è uno che, va detto, non bada a spese. I magliari invece hanno il braccino corto. Hanno rimandato e rimandato e rimandato. Si apprestavano – poverini – a far partire un piano di ripristino proprio a breve. Mancava giusto un cincinin! L’arte del rammendo non li esalta. Che attività prosaica la manutenzione! Priva di creatività, di afflato umanitario, di visibilità mediatica.

 

I Benetton e i loro compari sono un’anima sola nell’appoggio al disegno di sostituzione etnica, anche se in proprio i beneficiari dei balzelli autostradali prediligono la soppressione etnica; ma sulla storia dei Mapuche si è scritto abbastanza. E, anche qui, niente di inconsueto. Le multinazionali se ne fottono del destino dei popoli; li espropriano, li sfruttano e li massacrano, che c’è di nuovo? Di nuovo c’è che, invece di mimetizzarsi, i Maletton (copyright Veneziani) impongono campagne per gli svantaggiati, per i reietti della terra, per i migranti.

 

Che il ministro delle infrastrutture non si degnasse di rispondere alle interrogazioni sul ponte perché era occupato a digiunare per lo ius soli è stato ricordato in innumerevoli post; non credo tuttavia che siano davvero state colte tutte le implicazioni: non si tratta solo di una distrazione, non è che lo spocchioso ministro fosse occupato, come tutti i sinistri, in faccende lontanissime da quelle che riguardano la sicurezza dei cittadini. No, il ministro si stava occupando proprio dei ponti. Quelli di barche, volute dai mondialisti. Dopo aver contribuito a consolidare la posizione dei gabellieri in autostrada, contribuiva ad attuare il piano di invasione propagandato per decenni dagli stessi gabellieri con i manifesti di Toscani. Qui non si tratta più del consueto scambio appalti-finanziamenti tra politico e imprenditore. Si tratta di tradimento: la posta è la dissoluzione del paese.

 

Dissoluzione che passa per la spoliazione dei popoli del terzo mondo, destinati a inondare i paesi europei. Purtroppo, avendo i Benetton perpetrato la spoliazione in Argentina, l’unico sbocco è la decimazione dei Mapuche. A meno che, da grandi costruttori di ponti non ne facciano uno attraverso l’Atlantico.

 

Ci sarebbe parecchio da dissertare sulla simbologia dei ponti, che molto spesso erano opere militari (famoso un ponte che Cesare costruì in tempi brevissimi, tempi che un reparto di genieri moderni ha tentato invano di uguagliare). I ponti romani che resistono impavidi in tutto il mondo erano strumenti di invasione e di controllo dei popoli sottomessi, salvo poi divenire un ausilio alle invasioni barbariche. Ma torniamo ai ponti ideali.

 

Da trentacinque anni Benetton si occupa di colori. Della pelle. E’ del 1984 l’allusione, innocente, carina, che i mille colori dei maglioncini possano accostarsi ai tanti ‘colori’ dei ragazzi che nel mondo li acquistano. Già l’anno dopo il colore della pelle diventa centrale nelle immagini, ma siamo ancora a un buonismo da sillabario. Di cinque anni dopo è la foto della nutrice nera con neonato bianco. Nel 1991 lo scatto con angioletto bianco e diavoletto nero, deliziosi ma accusati di razzismo (è il boomerang dell’antirazzista, che dà eccessiva importanza al colore delle pelle, proprio come il razzista). Nel 1996 ci viene regalato “uno dei manifesti più belli della serie: il cavallo nero che monta una giumenta bianca. Sfondo limbo, animali scontornati, solo una striscia di sabbia bianca sotto gli zoccoli: impatto impressionante”. L’entusiasmo non è mio, ovviamente: trattasi del delirio di uno specialista della comunicazione. L’allusione allo stallone nero è greve e razzista ma anche profetica.

 

Dopo qualche anno di campagne incentrate su buoni propositi universalmente accettabili (ai quali non poteva mancare l’omofilia) nel 2011 parte una galleria di baci sulla bocca tra i leader del pianeta. Non più bimbi, adolescenti, persone comuni, ma Obama e Hugo Chávez, Benedetto XVI e Ahmed el Tayyeb, Mahmoud Abbas e Benjamin Netanyahu. Uniti al precedente scatto del nudo di Eva Robin’s, icona gender, veicolano un messaggio non troppo subliminale: la pace non può che passare per le unioni omosessuali. La coppia sterile è il futuro che si vuole imporre. Il genere indistinto, l’androgino chiuso in se stesso è il vertice dell’umanità. I colori di Benetton si dispongono ordinatamente nell’arcobaleno

 

Ed eccoci al manifesto pro immigrazione. Non più soltanto generica fraternità tra individui diversamente colorati ma esplicito riferimento alla meritoria opera delle ONG, esaltazione degli incursori in barcone. La cui destinazione finale è il mondo illustrato dall’ultima campagna, Nudi come, riferimento grottesco a un vago immaginario cattolico su Francesco ma anche pretesa un po’ tardiva di un Eden senza vergogna: nove ragazzini nudi che si abbracciano ma sembrano stipati, messi vicini a forza; soggetti anoressici, effemminati i maschi, prive di sensualità le femmine; tristi superfici di pelle bianca, ebano o gialla pronta a stingersi – come scriveva Paola Belletti su Aleteia – in un unico grigio fango. Una desolata pianura dove tutte le identità sono livellate fino al suolo. Non si saprebbe che fare, dove andare, per cosa battersi, chi amare in questo mondo distopico. Gli ‘accolti’, non indottrinati da decenni di politicamente correttissime trasmissioni tv e copertine de l’Espresso, sapranno bene invece per cosa e come battersi.

 

Subito dopo il crollo Toscani ha smesso di attaccare manifesti per vestire i panni di tecnico ANAS: “Ho sempre sentito che quel ponte era tenuto a un livello altissimo di qualità. Non sono un tecnico, ma ho sempre sentito che era seguito con dei parametri molto più ampi della media europea”. Negare ogni evidenza, sfacciatamente. E’ questo la loro mission. Lui ha “sentito”. Crede nelle Voci.

 

I ponti virtuali, quelli che i Maletton di tutto il pianeta apprestano sollecitamente, non sono soggetti a collaudi e ispezioni. Si ergono fieramente nell’orizzonte utopico, eterni, incrollabili. Ma anche da quelli precipitano corpi. Il miraggio che lorsignori hanno fatto balenare in Africa (degno del Collodi: la strada per il paese dei Balocchi che dopo una parentesi di pacchia si dirama infine nei sentieri dell’illegalità o della schiavitù) comporta la discesa negli abissi di centinaia di illusi, i più deboli. Difficile però inchiodare alle loro responsabilità i costruttori di ologrammi. Si può sperare di inchiodarli solo per i ponti reali. I ponti corrosi di questa Italia lasciata andare in malora. Tanto quelli che contano, i falsi pontefici, sono ben protetti dal Muro di Capalbio.

 

Negli anni ’90 il capo della pubblicità di Benetton contattò lo scrittore Tim Parks, l’inglese tifoso del Verona, per una collaborazione pubblicitaria. Restio ad associarsi al team che “si fa un dovere di scovare oggetti di compassione”, il romanziere riportava le parole che Roberto Calasso, ne La rovina di Kasch, aveva dedicato al marchese di Lafayette, eroe delle democrazie, il quale, sempre a caccia di popolarità, assumeva d’istinto la posa esemplare: da allora in poi “chi vuole il bene dell’uomo avrà dell’uomo un’immagine grossolanamente imprecisa, bonaria, ottusa, enfatica”. Diffidente verso il samaritano con la Nikon Parks continuava: “Com’è brava la televisione a mediare tra il mondo concreto delle persone che possiamo toccare e l’innocua astrazione del genere umano! Quei rifugiati sono persone reali ma non puzzano, non mendicano, non replicano mai. Che vicini ideali!”

Convinto dai dieci milioni del compenso Parks finì per collaborare a un progetto su Corleone e la mafia, vedendosi recapitare, sotto Natale, un pullover Benetton. Al primo abbraccio della figlia venne fuori un buco nella cucitura. “Forse – commentava lo scrittore – nell’interesse del genere umano, questo è un problema al quale Luciano Benetton farebbe bene a dedicare un po’ di attenzione”. Ora conosciamo altre cuciture alle quali Luciano ha dedicato poca attenzione.

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EDOARDO ALBINATI E I SEMICOLTI, di Elio Paoloni

 

 

EDOARDO ALBINATI E I SEMICOLTI

Elio Paoloni

 

Avrei potuto prendere in considerazione altri scrittori, amici che apprezzo e seguo da decenni, tutti dotati di acume, ironia, inesauribile capacità di osservazione del costume. Ma non pensate che abbia scelto Albinati per il cinismo della famigerata frase, registrata e diffusa da tutti i media per l’indignazione di molti: “Io ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino voglio vedere che cosa succede nel nostro Governo”.

No, il cinismo non mi inquieta. In politica il cinismo è la più apprezzabile delle doti, si tratti dell’ironia bonaria di Andreotti o dei sanguinari auspici del Migliore, che all’appello per il salvataggio dei prigionieri italiani in Russia rispondeva: “Se un buon numero dei prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire, anzi… Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, è il più efficace degli antidoti”.

“Nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro – concludeva Togliatti – non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.”

 

Cosa volete che sia, dunque, in vista delle magnifiche sorti della Rivoluzione contro il criminale governo gialloverde, la morte di un bambino? No, tuttalpiù mi sorprende che Albinati si abbandoni al cinismo immediatamente dopo aver abbracciato le parole d’ordine buoniste. Mi sorprende ancor più che non abbia sognato neppure un ferito di fronte all’avvento golpista del governo Monti, di fronte alla macelleria Fornero, di fronte al taglio dei contributi per i malati di SLA, di fronte all’appoggio per l’assassinio del freschissimo alleato Gheddafi. E non si sia augurato almeno un contuso di fronte alla cessione di quel po’ di mare nostrum residuo ai cugini francesi senza alcuna contropartita evidente che non fosse il conferimento della Legion d’Onore (medagliette, paccottiglia immancabile, insieme agli specchietti, del corredo di ogni bravo colonizzatore) a quasi tutti gli esponenti PD.

 

Perché, insomma, mi soffermo su Albinati? Lo seguo da decenni, da quando qualche nostro pezzullo si incrociò su Nuovi Argomenti. Nel 2016 ha vinto lo Strega con La scuola cattolica, l’unico Strega meritato da decenni a questa parte, un romanzo come dovrebbero essere tutti i romanzi, ricco di digressioni, di riflessioni, di dissezioni. Di Memoria. Un libro di tale peso e intensità da costargli, tra l’altro, un anno di psicofarmaci. Se l’aggettivo non fosse inflazionato lo definirei proustiano. Il libro vorrebbe essere contro la borghesia, la classe ‘produttrice’ dei macellai del Circeo di cui il libro si occupa, ma non c’è pagina dalla quale non traspaia l’amarezza per il mondo regalatoci dalla rivoluzione antiborghese: “la libertà è come una di quelle immense spiagge atlantiche da cui la marea si è ritirata, lasciando la sabbia piena di residui, e quella distesa te la ritrovi a disposizione senza aver fatto nulla, e nulla potrai fare quando il mare se la riprenderà”. E ancora: “Come in ogni epoca rivoluzionaria, veniva compiuto l’elogio dell’infamia”. Quasi un reazionario! Per dare un’idea della sintonia che ho con quest’uomo, in meno di metà del libro (sono a pag. 400) la mia copia conta già una novantina di orecchie.

 

Ora, non c’è nulla di strano nell’avere opinioni politiche differenti da quelle di un artista che si apprezza. Ma qui non si tratta di semplici divergenze d’opinione: siamo di fronte a una visione del pianeta profondamente distorta, a una narrazione sentimentalista, menzognera, patologica. Per quest’uomo chiunque presti ascolto al popolo, chiunque non si prefigga l’estinzione dello stesso, chiunque avversi la tratta dei bambini a favore di ricchi invertiti, chiunque sostenga che la politica (quello Stato fino all’altro ieri idolatrato) debba opporsi ai disegni dell’alta finanza, del turbocapitalismo, del mondialismo, chiunque intenda, opponendosi alle mafie, regolare e distribuire i flussi migratori, rappresenta il Male. Va fermato. Giacché l’Italia va dissolta, fin dal nome. Naturalmente dovrebbero poi dissolversi tutte le realtà sovrane, ma noi ci portiamo avanti col lavoro. In questo, e solo in questo “prima gli italiani”.

 

Le inversioni di rotta dei politici sinistri, in realtà ultraliberali, la loro acquiescenza criminale allo strangolamento del paese sono perfettamente comprensibili in termini di poltrone e regalie. Ma non dubito dell’onestà di Albinati. Non è in cerca di prebende che lo scrittore si è accodato alle missioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Certo, Otto giorni in Niger saranno stati pochi per comprendere cosa davvero succede in Africa. Sbalzato nel cuore del continente nero dai quartieri bene della Capitale ha fatto appena in tempo a rendersi conto che il Niger è uno stato e la Nigeria un altro; non poteva certo comprendere su due piedi chi sia, per davvero, razzista, neocolonialista, predatore, egoista e vomitevole.

 

Ora, è del tutto naturale che Albinati provi pena di fronte alle persone in difficoltà. Quando abbiamo di fronte un uomo, non stiamo a chiedergli la carta d’identità, non indaghiamo su ciò che lo ha portato davanti a noi. Specie se si tratta di veri profughi, se abbiamo di fronte i deboli, le donne, i bambini, i vecchi. Siamo cristiani, sempre, volenti o nolenti, portiamo in noi gli imperativi della sollecitudine verso chi soffre. Qualcuno si offenderà nel sentirsi definire cristiano e vorrà semplicemente definirsi umano (come se l’aggettivo umano avesse una accezione positiva). Ma non ha importanza. Il primo impulso, mio, di Albinati, di tutti noi, è quello dell’aiuto immediato, personale, incondizionato. Il secondo è quello di appellarsi alla comunità perché nessuno può aiutare da solo un continente. E qui arriva il punto.

 

Una persona ragionevole si chiede innanzi tutto se sia opportuno trapiantare il sofferente in paese straniero. Il buon senso, e il Papa Emerito, non lo trovano opportuno. Ma ammettiamo che lo sia. Viene naturale chiedersi chi debba farsene carico.

 

La prima risposta dovrebbe essere: chi ha provocato lo sfacelo. Ovvero i paesi coloniali, che molti si ostinano a definire “ex”: la Francia, soprattutto, anche se il responsabile principale è sempre lo Zio Sam, senza il quale nulla è permesso. Ma nella mente confusa di Albinati – sempre per il mantra antifascista – l’unico paese che deve scontare il suo colonialismo è l’Italia, ovvero il più tardivo e residuale tra i conquistatori d’Africa. Mentre, sempre secondo Albinati, la Francia è da quelle parti per “pacificare” l’area.

 

In secondo luogo dovrebbero venire i paesi europei ricchi, solidi; la Germania, per prima.

 

In terzo luogo paesi ancora più ricchi e vocati, per affinità religiosa e un certa prossimità dei confini: l’Arabia Saudita, prima di tutto, che non ne ha accolto neppure uno.

L’Italia ne ha accolti più di tutti ma se anche ne accogliesse decine di milioni non sfuggirebbe alle accuse di razzismo dei nostri intellettuali: sempre per il mantra suddetto, l’italiano, avendo ottant’anni fa accettato (all’italiana, cioè disattendendole) le scellerate leggi razziali, è intrinsecamente, irrimediabilmente razzista. Ecco, anch’io, come Albinati, ho un sogno: vorrei che i barconi fossero carichi di bei caucasici biondi e con gli occhi azzurri. Così, finalmente, privati dell’unica arma di discussione (si fa per dire) brandita finora sull’argomento, i paladini dell’accoglienza indiscriminata, senza se e senza ma, sarebbero costretti a discutere di sostenibilità, di quote, di opportunità. Capirebbero finalmente, che gli invasori – come i crumiri – non hanno colore.

 

Cosa c’è di disgustoso in queste banalissime considerazioni? Cosa fa inalberare Albinati? Va tenuto presente che ho accettato fino ad ora la premessa dei fautori dell’accoglienza indiscriminata, ovvero che siamo di fronte a profughi sofferenti, a stuoli di donne, bambini, vecchi. In questo caso sarebbe più comprensibile l’ansia accaparratrice di costoro (non sia mai qualcuno chieda ospitalità altrove! quale offesa! cosa manca in Italia che debbano cercare in altri paesi?).

 

Ovviamente i poveri profughi si contano sulle dita di una mano. Anche tra loro, a ogni modo, considerando che più che paesi in guerra in Africa vi sono aree in guerra, molti potrebbero trovare scampo in aree dello stesso paese, presso conterranei, oppure in paesi limitrofi. Ma gli scrittori odiano questi dettagli, amano le immagini, e gli hanno propinato quelle giuste: mamme e bambini. Praticamente inesistenti sulle navi negriere delle ONG, le mamme e i bambini campeggiano nel giornalume quotidiano del radical-chic, sono l’input infallibile che scatena il riflesso pavloviano. Albinati si è catapultato in Niger ma non ha dato neppure un’occhiata ai filmati sui barconi, veri e propri mezzi da sbarco da D-Day, con plotoni di giovani muscolosi, tutti della stessa taglia e della stessa età, muniti di Smartphone (che non si bagna mai, al contrario dei documenti). Ignora le riprese delle centinaia di giovanotti ben piantati che hanno assalito e scardinato le barriere di Ceuta. Gente che non può essere partita per gravi motivi economici, dato che ha sborsato somme ingenti, e, se scappa dalla guerra, andrebbe impiccata per diserzione. Lui, che intervista tutti, si è guardato bene dall’intervistare i marinai delle nostre navi militari o i militari di guardia ai centri di accoglienza, per lo meno quelli che hanno il coraggio di parlare.

 

Ovviamente, non potendo sostenere a lungo la bufala dei profughi, ci si è aggrappati alla figura del migrante ‘economico’, categoria vaga quanto colossale (in effetti quasi nessuno, da quelle parti, potrebbe essere escluso dalla categoria). Non so se Albinati sia al corrente dell’ultima categoria di stranieri che necessita accogliere ad ogni costo: la ‘picchiata dal marito’, categoria venuta alla ribalta in relazione a una naufraga ormai notissima. E, se ne è al corrente, ha realizzato che, in questo caso occorrerebbe trapiantare nel Bel Paese, oltre a quasi tutta la popolazione dell’Africa, anche tutta quella del Medio Oriente e di buona parte dell’Asia e del Sud America?

 

L’antirazzista in servizio permanente effettivo è, quasi immancabilmente, un autorazzista. Questo sono quasi tutti gli scrittori italiani, autorazzisti: spregiatori di se stessi, del proprio retaggio, della propria patria; dell’Europa stessa. Il loro invocare continuamente l’Europa è in verità un impetrare l’affossamento dei valori fondanti dell’Europa, sostituiti da una religione di presunti nuovi diritti.

Che lottino per l’estinzione dei nostri geni è palese – vedi l’accanito dileggio delle famiglie vere con prole autoprodotta – e forse perfino auspicabile. Ma come possono buttare a mare una intera civiltà, il loro – e sottolineo loro –  patrimonio culturale? Come possono aborrire la Chiesa oscurantista e lisciare il pelo alle donne velate, regalando loro assessorati alla Cultura? E’ gente che insegna, che trae la sua identità dal mondo delle Lettere. Come faranno ad apprezzare – e far apprezzare – Virgilio e Dante e Alfieri e Leopardi e Manzoni e Verdi e Carducci e D’Annunzio? O – dato il coté – il Gramsci che rimproverava agli intellettuali italiani la mancata costruzione di un epos nazionale, cosicché il popolo italiano, lasciato in balia del romanzo storico-popolare francese, “si appassiona per un passato non suo, si serve nel suo linguaggio e nel suo pensiero di metafore e di riferimenti culturali francesi ecc., è culturalmente più francese che italiano”?

 

Oscuratosi il fascino d’Oltralpe, i nostri scrittori son tutto fumo di Londra. Si sentono cosmopoliti perché accettano ogni moda straniera, ogni parola d’ordine, ogni frase infarcita d’inglesorum, e sono solo dei provinciali abbagliati dal gran mondo. Vogliono distruggere la Nazione, abbatterne i confini, sputando su coloro che per quei confini sono morti – compresi quelli che ai confini non credevano e sono morti ugualmente. Ma idolatrano le Nazioni che presidiano saldamente i loro confini, anzi si affannano ad espanderli. Ritengono superiori i francesi e gli inglesi, per non parlare dei dem statunitensi, che ci esortano ad abbattere i muri e a decrescere felicemente, tenendosi stretti i loro muri, la loro potenza, la loro crescita e la loro determinazione a mettere a ferro fuoco il pianeta. I nostri autori sognano – anzi minacciano – di trasferirsi in questi civilissimi paesi per aiutarli a diffondere la democrazia.

 

Cosa è successo a questa gente? Certo, sono da decenni accaniti lettori di Repubblica e L’Espresso nonché del Manifesto. Se proprio va bene leggono il Corriere. Ma anche in questi giornalacci si possono trovare, tra le pieghe, le notizie necessarie a comprendere chi sia, per esempio, il filantropo Soros. Possibile che, tra un’ode agli eroi delle ONG e una riverenza alla Bonino non siano riusciti a informarsi sui motivi delle condanne che pendono sul loro mandante – a morte in Malesia e all’ergastolo in Indonesia? Davvero non sanno nulla dell’attacco speculativo del 1992? Ma cliccare su qualche sito serio, così, per curiosità, per caso, per sbaglio?

 

Nonostante le sue capacità critiche, dunque, Albinati sembrerebbe rientrare nella categoria che abbiamo imparato a definire ceto medio semicolto (Cmsk), cioè quel ceto di una «certa kual kultura» che prende forma nel ’68 radicandosi nella deriva universalista e pacifista di certo marxismo nonché nell’ideologia dei «diritti umani» risalente alla rivoluzione francese. Il semicolto (con “quattro letture”, mostre a iosa, organizzazione di visite di istruzione per le scuole ad Auschwitz e qualche altro viaggio in ambienti esotici alle spalle) è preda della forma pseudo-culturale “di sinistra” del politicamente corretto, alfiere di un pacifismo semplicistico, sprovvisto di qualsivoglia nozione geopolitica e soprattutto, vittima di una vacua presunzione di “cultura” rispetto agli “incolti”, pretesa del tutto ingiustificata, vista la sua manifesta incapacità di comprendere i problemi del tempo e di imbastire una discussione propriamente politica (il suo approccio alla politica assume infatti quasi unicamente i modi del “disgusto estetico”). Si appella di continuo ai presìdi morali della tradizione umanistica (ridotta spesso alla versione “umanitaria”) ma introietta e diffonde, in realtà, istanze nichilistiche e relativistiche del tutto incompatibili con l’umanesimo vero.

 

Bene, conosco molti individui che corrispondono perfettamente a questa descrizione. Ma non penso che Albinati possa essere arruolato nella categoria; e neppure molti dei suoi colleghi. Queste persone hanno letto ben più che quattro libri, sono colte, non semicolte.   Potremmo definirle ipercolte. E conosco spregiatori di ‘populisti’ che non si sono limitati a un viaggetto esotico alternativo e solidale ma sono stati a lungo nei teatri di guerra e di guerriglia. Allora? Cosa li distingue dai propriamente colti? Si occupano poco di storia, di geopolitica? Non sempre, anzi quasi tutti leggono almeno Internazionale. Sottilmente orientato, certo. Ma per quanto possa essere orientato, non può esimersi dal tratteggiare un mondo in cui esistono guerre, conflitti, interessi nazionali. In cui è già aperta una guerra economica micidiale nell’avanzato e pacifico mondo occidentale. Un mondo in cui le nazioni non solo esistono, ma continuano a nascere – o a sforzarsi di nascere – e sgomitano, si difendono, aggrediscono. Un mondo in cui esisterebbero addirittura nazionalismi ‘giusti’, come quelli kosovari, catalani, ucraini. Infatti, ogni volta che i poveri curdi vengono sobillati dagli esportatori di democrazia per destabilizzare le aree di pertinenza (finendo poi – quasi sempre – abbandonati al loro destino) gli intellettuali cantano emozionati la fierezza dei patrioti curdi (più spesso delle avvenenti patriote). Perché, quando è curda, l’Identità non li fa vomitare? Forse perché le soldatesse titillano in loro il dogma politicamente corretto dell’uguaglianza dei sessi?

 

Perfino dalle pagine del ‘selettivo’ Internazionale, in fondo, si dispiega un mondo in cui l’ammucchiarsi di etnie e di culture non produce alcun melting pot, ma unicamente miseria e massacro. Certo, vi si tratteggia un mondo in cui il fascismo campeggia eterno, nel quale chiunque resista all’Impero è un malvagio dittatore, ma se il mero semicolto si lascia incantare, costoro (che ripeto, colti sono, e manifestamente capaci di esercitare senso critico) dovrebbero essere in grado di ricorrere almeno alle armi dell’analfabeta intelligente, che la fuffa la avverte da lontano, a naso, grazie al cinismo popolare, al retaggio di secoli di soprusi ammantati dal latinorum (oggi englishorum).

 

Cosa gli manca? In quale momento, precisamente, hanno deciso di adagiarsi nelle narrazioni mainstream? Davvero il riflesso pavloviano che li coglie alla semplice menzione del termine fascismo li costringe ad accettare qualsiasi ‘alternativa’? Possibile che la loro intelligenza non si senta insultata dal continuo ricorso a questo spauracchio e ai suoi succedanei, razzismo, populismo, omofobia? Richiamano sempre il volgo all’etica e al rigore, ma qualsiasi atteggiamento fermo, rigoroso, severo, ovvero giusto, fa scattare la fobia (questa sì, fobia vera) dell’“autoritarismo”. Gli hanno inserito un microchip sottopelle che scatta ad ogni manifestazione di buon senso? E quando? Al superamento dell’esame di laurea? Al primo contratto editoriale?

 

Gli scrittori del passato univano alla conoscenza sofferta dell’animo umano la capacità di cogliere l’essenza della storia, degli sconvolgimenti sociali, delle guerre. Cento ponderosi saggi non riuscirebbero mai a rendere l’idea dei caratteri eterni dell’italiano, delle costanti storiche – e delle nuove forme che assumono – così come li rendono I promessi sposi, Il Gattopardo, I viceré. L’immagine del vaso di coccio tra vasi di ferro rappresenta l’Italia nei secoli dei secoli, non c’è trattato che tenga. Pasolini non si lasciava incantare dalle distinzioni dei sociologi: coglieva il filo comune tra il ragazzotto e il pariolino e al contempo distingueva i veri proletari, i poliziotti, dai rivoluzionari figli di papà. E ancor oggi uno Houellebecq mantiene uno sguardo profetico. Mi è rimasta perciò la convinzione che un narratore di vaglia DEBBA avere una visione del mondo autonoma, DEBBA comprendere l’idiozia degli slogan imposti dai poteri mondialisti, dai circoli finanziari, dalle classi dominanti, DEBBA, dopo averci scartavetrato gli attributi per decenni appellandosi a Orwell, avvertire immediatamente il dominio del Grande Fratello, DEBBA, dopo aver citato anche troppo l’Ignazio Buttitta difensore della lingua atavica, rabbrividire di fronte ai vocaboli della neo-lingua, in particolare di fronte al suffisso –fobo appiccicato ovunque per stigmatizzare chi nutra anche soltanto la minima perplessità rispetto ai dogmi del pensiero unico.

E, ogni santa volta, sbatto contro l’evidenza: c’è stata una scissione tra le due capacità di visione, quella affettiva, introspettiva, speculativa, e quella esterna, sociale, storica.

 

Questi intellettuali – ma anche il loro principale demone, Salvini – ci costringono a disperdere le nostre energie sul problema immigrazione. Che è l’ultimo dei nostri problemi. Last but not the least: in effetti è sintomatico di tutto ciò che non va nel nostro paese. Basta inquadrare il fenomeno: le frasi rubate ai francesi sullo scaricarci le vittime dei loro traffici, la potenza di Soros dietro alle navi negriere, la felicità di certi imprenditori nell’accaparrarsi schiavi per l’agricoltura (come può Albinati non completare, da esperto di comunicazione, le frasi apparentemente pragmatiche come “fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare” con la logica chiusa: non vogliono più fare a quelle condizioni, dopo decenni di lotte contro il caporalato che solo ora qualche povero schiavo nero sta tentando invano di riaccendere?); il disegno più volte dettagliatamente esplicitato da diversi circoli sovranazionali, di rimescolare popoli ed etnie con lo scopo dichiarato di favorire il multiculturalismo e quello non poi tanto occulto di fomentare guerre tra poveri e dissolvere, insieme alla famiglia, alle forze sindacali, a ogni genere di istituzione, le comunità che possono opporsi ai poteri finanziari transnazionali.

 

Ebbene, tutto questo fa della questione migrazioni l’emblema della nostra disfatta. Perché ci permette di osservare sotto una lente di ingrandimento l’abdicazione dello stato, la debolezza di fronte a ogni genere di sopruso, di bullismo, di crimine, di razzia. Il reagire al delitto con la soppressione giuridica del delitto (vedi abolizione del reato di clandestinità). O, all’opposto, il rendere delittuosi i più elementari diritti umani: perché il sarcastico Albinati non ha ironizzato sulle intenzioni dei progressisti quando volevano limitare la difesa della vita alle ore antelucane? Perché non si è augurato che un aggredito morisse alle prime luci dell’alba, mentre l’aurora di bianco vestita carezza dei fiori lo stuol?

 

L’ultimo dei nostri problemi, dicevo, dal punto di vista puramente economico. I nostri problemi son ben altri (e non si tratta del famigerato benaltrismo). Anzi è uno solo: il fiscal compact, che – senza alcun obbligo giuridico –  gli alti traditori hanno infilato a forza, col favore delle tenebre mediatiche, nella nostra magnifica e intoccabile Costituzione. Ho pensato più volte di lanciare un sondaggio tra gli scrittori italiani, compresi quelli che ripetono pappagallescamente tutti i mantra economicisti pidioti, per capire quanti di loro siano a conoscenza di questo ritocchino costituzionale e, soprattutto, se siano in grado di rendersi conto dell’impossibilità di riparare il nostro debito con le finanziarie lacrime e sangue, che, deprimendo l’economia, contraggono il PIL e rendono il debito sempre crescente, all’infinito, fino al collasso. Ma anche senza sondaggio, già lo so: non lo sanno, e se lo sanno lo hanno già accettato come si accettano i terremoti, le inondazioni, le locuste. Come se i trattati, mai analizzati, mai seriamente discussi, fossero le tavole della Legge, incise nella pietra. Come se non fossero già stati abbondantemente diffusi i dettagli tragicomici dell’adozione, casuale, estemporanea, farsesca, del muro del 3%.

 

Ma in fondo gli scrittori se ne fottono dell’economia. Tutto quello che hanno diligentemente imparato è che i Mercati (una sorta di divinità cieca, come la Giustizia) non hanno padrone, non sono politica. Accettano qualsiasi panzana e non hanno mai saputo perché lo spread, dopo un’impennata, sia improvvisamente calato mentre si costituiva l’ultimo governo. Bizzarrie del mercato! Lo scrittore orecchia i temi economici e passa avanti disgustato. Non sono temi degni della sua penna, del suo j’accuse. Vuoi mettere i bambini morti? Quelli affogati, s’intende, che’ quelli squartati nell’utero non li riguardano, men che meno quelli venduti alle coppie sodomite.

 

Il punto è che non sono in grado di guardare al quadro complessivo. Le questioni (le ‘problematiche’) vengono sottoposte loro singolarmente. I profughi vanno accolti. Il debito va ripianato. Gli invertiti non vanno discriminati. Il sostegno alle nascite è roba da fascisti, e poi siamo troppi (sull’intero pianeta, ma noi, ricordiamolo, dobbiamo sempre portarci avanti: gli altri possono essere più prolifici dei conigli, noi saremo virtuosi). Le energie fossili inquinano, via gasdotti e trivelle. Il nucleare fa male, zero centrali (Italia prima, anzi unica). I Mercati non vogliono. Il pianeta non regge all’industrializzazione, dobbiamo distruggere le nostre industrie strategiche (anche in questo prima gli italiani). L’INPS ha i conti in rosso (non la parte previdenziale, ma non approfondiamo). La difesa del cittadino è compito dello stato, noi non siamo il far west. I singoli interventi della magistratura sono dovuti (mai che si rendano conto che a reati simili a quelli perseguiti, anzi molto più gravi, non viene dato alcun seguito e che i magistrati sono usi ad archiviare ben altro).

Ogni singolo provvedimento, affrontato dalla parte giusta, sembra logico, naturale, inevitabile. Quello della inevitabilità è il mantra principale. La possibilità di governare gli avvenimenti è stata cassata dal loro pensiero. Non ci si può opporre a questo, non ci si può opporre a quell’altro. Il Mercato, il Progresso, la Globalizzazione, le Migrazioni. Questa ovina rassegnazione viene meno quando occorre opporsi a figure esteticamente svantaggiate, ovvero ai “populisti”. Allora, guai se non ti opponi. Allarmi, siam antifascisti. Pur di scongiurare l’incubo del nazirazzifascioleghismo, atei cinici e promiscui, adusi a squittire contro le “intollerabili ingerenze del Vaticano nella politica italiana” e a rimestare in ogni scandalo sessuale delle tonache, citano ormai a ogni piè sospinto Papa Francisco e la sua compagnia di tango, sventolandosi con Famiglia Cristiana.

 

Costoro volano basso. Rimbalzano come palline di flipper sui funghi disseminati dalla comunicazione mainstream; non riescono a librarsi sopra il cristallo sporco e osservare la mappa. Ci sono studiosi, filosofi, economisti, blogger, che evidenziano gli scenari planetari, i flussi, le connessioni, gli organigrammi. Diranno fesserie anche loro, individueranno forse il nemico sbagliato, ma qualche analisi pragmatica la espongono. Possibile che mai nessuna di queste narrazioni non sentimentali, non farisaiche, non ricattatorie, siano giunte alle orecchie di Albinati? Sì, gli scrittori, i critici, i giornalisti, i docenti hanno i loro siti, i loro circuiti, le loro facoltà, tutti, inevitabilmente orientati. Ma lui mi è sempre sembrato un appartato, con le sue ossessioni e le sue idiosincrasie. L’immagine di una persona libera. Nel suo caso non posso neppure prendermela con la scuola de sinistra, zeppa di semicolti allo stato brado: lui è stato educato alla scuola cattolica (quella vecchia, tra l’altro).

 

Gli scrittori hanno un sesto senso per le coincidenze. Sia quando intendono evitarle come la peste, ritenendole un indegno espediente da romanzo d’appendice, sia quando intendono corteggiarle, come amavano fare Sciascia e Kundera. “Le coincidenze – scriveva Douglas Coupland – sono talmente rare che quando in effetti accadono, allora vengono notate. Anzi, le coincidenze sono talmente rare che è quasi come se l’universo fosse progettato unicamente per impedirle. Così quando nella vita vi capita una coincidenza, vuol dire che qualcuno o qualcosa si è dato parecchio da fare per realizzarla, ed è per questo che dobbiamo sempre farci caso”. Che preferisca appellarsi al Caso piuttosto che al Destino, alla Beffa piuttosto che al Castigo, uno scrittore è allenato a notare le coincidenze. Possibile che non attraversi mai la loro mente un’ombra di sospetto di fronte alle date (anzi agli orari) di consegna di un avviso di garanzia? Nessun soprassalto quando su ogni scena terroristica campeggia, immancabile (e indistruttibile) il passaporto dell’autore? Il gas nervino usato a capocchia contro i propri cittadini da chiunque sia stato schedato di recente come cattivodittatore? E davvero è possibile che ancora non abbiano scoperto la verità su Regeni (quando la sa ogni bambino a cui abbiano messo in mano uno smartphone)?

 

Guareschi regalava tre narici ai progressisti del suo tempo. Gli scrittori d’oggi invece, andrebbero disegnati senza narici. Hanno completamente perduto il naso, quell’istinto che permetteva ai loro antenati di individuare all’istante la retorica e le banalità ideologiche. Sono a-nariciuti.

Manca loro è la capacità di guardare. Si tratta, come diceva Husserl, di guardare, semplicemente di guardare, anche se lo sguardo immediato deve essere accompagnato da una teoria che lo sostenga nella sua esplicitazione. “In questo caso – ricorda il filosofo Renato Cristin – guardare direttamente significa cogliere l’essenza delle cose senza i veli delle opinioni, dei dogmatismi o, peggio ancora, degli strumentalismi con cui una propaganda di tipo immigrazionista, anti-identitario e sostituzionista cerca di sviare l’attenzione e confondere il giudizio degli individui e, quindi, dei popoli”.

 

Questo sguardo limpido, sgombro, non appartiene più ai nostri scrittori. E la loro avversione per l’identità nazionale è solo il riflesso dell’avversione per l’identità individuale. L’uomo deve essere fluido, plasmabile, privo di radicamenti familiari, di avi e di progenie, di identità culturale e sessuale, pronto a dissolversi. Logica conseguenza dell’indifferentismo al potere, della dittatura del relativismo, premessa essenziale all’instaurazione in Europa dell’uomo nuovo teorizzato dal marxismo, vagheggiato dal sessantottismo, auspicato dalla teologia della liberazione (e dai suoi cascami in Santa Marta), ma altrimenti disegnato dai teorici della liquidità e accuratamente programmato dagli ideologizzati burocrati dell’ONU per la finanza speculativa. L’incubo che speravamo dissolto con il crollo del comunismo si ripresenta con forza decuplicata, incistato nel cuore del mondo occidentale.

 

Quest’uomo nuovo, secondo i nostri intellettuali, non può, non deve, essere bianco (gli antirazzisti sono intrisi di un profondo razzismo). Cogliendo qui, finalmente, una verità: l’europeo è finito, imbelle, svirilizzato, sterile; non ha più slancio vitale, non può avanzare. Ma fanno finta di non capire che la causa della nostra decadenza non è soltanto nel benessere (ormai relativo, molto relativo) ma nell’aver accettato ogni disvalore, professando un pacifismo acritico e morboso e abbattendo ogni caposaldo del senso comune. Come si possono difendere fino allo stremo il relativismo, il multicuturalismo, e una serie di presunti – e stranamente non relativizzabili bensì inalienabili – diritti, accogliendo nello stesso tempo, schizofrenicamente, milioni di estranei che non comprendono, non rispettano, non accettano – e mai accetteranno – quei principi? Hanno mai approfondito, i nostri coltissimi scrittori, le pratiche sacrificali e cannibaliche della religione Yoruba, quella professata dai poveri migranti nigeriani? L’abbaglio della integrazione li acceca. L’integrazione può avvenire per piccoli gruppi, in lunghissimo tempo, in società fortemente strutturate e con valori – e pensiero – forti; deve essere auspicata da chi si insedia, cosa avvenuta – a volte – negli Stati Uniti. Da noi non ci sarà. Ci attende l’annichilimento.

“Una società che si decompone interamente è evidentemente meno adatta ad accogliere, senza troppi scontri, una gran quantità di immigrati – notava Guy Debord, che i nostri intellettuali dovrebbero aver letto. Ci si compiace (On se gargarise) – continuava – della ricca espressione “diversità culturali”. Quali culture? Non ce ne sono più. Né cristiana, né socialista, né scientista. Non è sicuro che il melting-pot americano funzioni ancora a lungo (per esempio con gli Chicanos che hanno un’altra lingua). Ma è certo che qui non può funzionare nemmeno per un momento… Gli immigrati hanno tutto il diritto di vivere in Francia. Essi sono i rappresentanti dello spossessamento; e lo spossessamento è a casa sua in Francia, tanto vi è maggioritario, quasi universale. Gli immigrati hanno perso la loro cultura e il loro paese e, com’è noto, senza trovarne altri. E i Francesi sono nella stessa situazione, solo più segretamente”.

 

Si parla qui dei francesi, alfieri dell’illuminismo. Ma nipotini dell’illuminismo siamo ormai tutti, e nella contorta mentalità dei nostri pensatori, l’uomo nero è il buon selvaggio di Rousseau. Buono per definizione. L’Europa decade perché i principi dell’illuminismo hanno obnubilato – grazie anche alla collaborazione dei nostri scrittori – le radici dell’Europa, il nucleo ebraico-cristiano che si è insediato sulle fondamenta greco-romane e che ha accompagnato lo sviluppo del pensiero europeo moderno.

L’Europa fondava la sua identità sulla cacciata dei Mori, sulla battaglia di Lepanto, sulla resistenza di Vienna all’assedio di Solimano. Gli scrittori meridionali hanno passato intere estati all’ombra di torri costiere erette a difesa dalle scorrerie saracene. Mamma, li turchi! era il grido riecheggiante lungo tutte le coste della penisola. Ora l’Islam approda e sciama sotto mentite spoglie. Senza alcuna riflessione, o abbracciando un revisionismo tortuoso e imperioso, i letterati a largo raggio – e corta memoria – vengono a spiegarti perché ‘infedeli’ non voglia dire precisamente infedeli e come Jihad indichi un concetto complesso che troppo semplicisticamente viene tradotto con guerra santa (e dal loro tono sembra che l’abbia tradotto tu). Si lanciano in estesi elogi dell’astuzia, attributo divino insieme a Baran (sotterfugio) Kayd (stratagemma) Khad (inganno) e Makr (insidia). All’immancabile locuzione d’esordio, l’indiscussa tolleranza dell’Islam, vorresti afferrare lo studioso per i capelli e infilargli la testa nell’ossario della Cattedrale di Otranto, tenendocela fino a che non abiura questa sciocca credenza.

Troppo guerreschi e sanguinari, i nostri miti fondanti? Troppo murari? Le mura permettono la formazione e la sopravvivenza di ogni comunità. Non sono invalicabili: le porte sono aperte agli stranieri rispettosi, nelle ore e nei modi opportuni.

 

Concludo: nell’acquiescenza alle parole d’ordine del pensiero unico nulla distingue un ipercolto da un semicolto. Risulta evidente, dunque, che non è l’incompletezza culturale la causa dell’abdicazione dell’intellettuale italico. Lo sprezzante appellativo ‘semicolto’ è fuorviante: porta a immaginare che una “maggior dose” di cultura guarirebbe il soggetto dall’obnubilamento. Ma questa non è altro, in fondo, che l’illusione illuminista: più luce, più enciclopedie, più trattati, e tutto si sistemerà; giunto alla piena cultura l’Uomo comprenderà, finalmente, e la verità splenderà su un mondo felice. Non è così. La lucidità non dipende dal grado di cultura. Da qualsiasi morbo siano affetti i nostri acculturati, non sarà una dose massiccia di letture a guarirli. E neppure la frequentazione delle Università e delle case editrici del Bel Paese.

 

 

VOTARE: PERCHÉ SÌ, di Elio Paoloni

Qui sotto un’accorata filippica di Elio Paoloni con un appello finale. Lo scopo precipuo di questo sito è fornire uno spazio ad analisi e riflessioni politiche tese ad alimentare un dibattito partendo però da chiavi di interpretazione sufficientemente definite. Un dibattito che si spera possa aprire varchi anche negli ambienti più chiusi e ostili a questi punti di vista. Non è un sito di lotta politica legato alle scelte immediate e contingenti in particolare elettorali; il paese, il suo contesto politico sono ancora molto lontani da poter esprimere un ceto politico sufficientemente maturo e determinato nell’individuare e perseguire obbiettivi corrispondenti ai punti di vista espressi qui e in poche altre realtà che questo blog ha l’ambizione, per la verità, di mettere a confronto. E’ il motivo principale per il quale il blog evita di dare indicazioni esplicite di voto, anche se l’esplicitazione delle analisi lascia intuire il giudizio e la direzione delle scelte personali dei corrispondenti. Sulla stessa scelta di voto e sull’opportunità stessa di parteciparvi, come pure sul peso da dare all’azione nel carosello elettorale rispetto ad un’azione politica più complessa, i giudizi per altro divergono. Non sono, questi ultimi, certo punti di vista dirimenti per l’economia del blog e per l’ambizione, probabilmente la presunzione che ci anima nel poter contribuire alla formazione di un nuovo ceto politico e di una nuova classe dirigente con indirizzi e chiavi operative idonee ad affrontare con maggiore autonomia e convinzione un agone multipolare dai molteplici rischi, ma anche dalle molteplici opportunità a beneficio della condizione del paese e dei suoi componenti. Una traccia e una intenzione ben presente anche nel testo di Elio Paoloni. Giuseppe Germinario 

VOTARE: PERCHÉ SÌ

Elio Paoloni

La scorsa volta non ho votato. Non per convinzione ma per disgusto, disperazione: non tolleravo che si aggiungesse al danno la beffa, tutto qui. Non ne ho mai menato vanto, né ho fatto proselitismo, ho anzi ironizzato sugli amici che lo elevavano a fulgido atto politico,  clamorosa ed efficace protesta. La mancata partecipazione, sostenevano – e sostengono – avrebbe delegittimato i governi. Pia illusione: non riusciremo mai, nemmeno nelle più rosee previsioni, a raggiungere le percentuali di astensione delle storiche democrazie occidentali, i cui governi non si sentono per questo delegittimati anzi si considerano autorizzati a mettere a ferro e fuoco il pianeta. Figuriamoci se i nostri politici, che hanno la faccia come il …., perdono il sonno perché pinco pallino non li ha legittimati.

La vecchia ricetta del meno peggio, tuttavia, quella che tutti finiscono per adottare nel giorno fatidico, non mi convinceva. Il meno peggio non era individuabile. Sembra non ci sia neanche adesso: comunque vada questo voto – qui, credo, ne siamo tutti convinti – certo non vincerà il sovranismo. Gli scenari sono stati analizzati su questo sito ben più seriamente e dettagliatamente, ma la sostanza balza agli occhi di qualsiasi profano: quand’anche fosse eletto Bagnai nella Lega, che cosa si potrà concludere con un Berlusconi afferrato per gli attributi già da anni e pronto a tutto pur di evitare processi a sé e alle sue imprese? Un Berlusconi così ‘antieuropeo’ da ventilare un Draghi premier? Con una Meloni che nessuno, credo, oserebbe definire una statista di rango? Un improbabile governo pentastellato, d’altro canto, non si sognerebbe mai di uscire da questa Europa, per non parlare di affrancarsi dalla NATO (l’ortottero designato è già volato a rassicurare tutti i poteri che contano). Sul nostro suolo, come sempre, si svolgono tanto sanguinose quanto accuratamente celate battaglie di potenze opposte. Quelli che vediamo in TV sono quasi sempre burattini o utili idioti, privi di consistenza propria. Interscambiabili. Questo il motivo che spinge molti di noi a non votare.

MA.

Non è vero che sono tutti ugualmente dannosi. Le differenze saranno pure minime ma c’è una macroscopica discriminante: solamente il PD (insieme alle false alternative d’area: Insieme, Liberi e uguali, la criminosa + Europa) è davvero coeso, pervicace, determinato. I suoi componenti hanno una mission, sono addestrati da decenni a distruggere questo paese. Molti tra loro, probabilmente, credono davvero in una intrinseca superiorità morale. Nessun’altra formazione ha mai mostrato, o fa presumere, altrettanto accanimento nel perseguire quell’opera di distruzione del nostro tessuto sociale che va dalla svendita delle imprese statali e dei beni culturali all’abbandono dei settori strategici, dall’educazione gender alla distruzione della scuola, dall’immigrazione incontrollata alla persecuzione dei cittadini, dalla adesione bovina a tutte le spedizioni militari contro i nostri interessi alla imposizione di folli sanzioni a chi potrebbe solo aiutare la nostra economia. Il disinteresse per le sorti dei malati, dei terremotati, dei giovani lavoratori schiavizzati non è privo di precedenti ma sconcerta per la mancanza di mascheramento. Sono ascari della globalizzazione e se ne vantano. L’autorazzismo ha raggiunto vette di isteria che hanno probabilmente sgomentato i loro stessi burattinai.

Confrontiamoli con il centrodestra: da quella parte, tra tante anime, qualche patriota ci sarà, alcuni avversari dell’eurolager ci sono di certo, qualche sostenitore convinto della famiglia anche, di sicuro qualcuno che mastica economia. Potrebbe addirittura nascondersi tra loro qualcuno che conosca la storia e abbia una visione strategica. Per quanto possano in seguito tacere e mettersi d’accordo, non riesco a immaginare una reale compattezza su temi caldi.

E i grillini? Una marmaglia priva di cultura, di esperienza, di capacità. Ma, proprio perché “marmaglia”, ovvero coacervo di provenienze, di convinzioni, di “colori”, mancano di compattezza nel far danno. Non sono scafati, non ancora, non del tutto, e, se questo li rende facilmente manovrabili, può anche rendere molti di loro restii al peggio. L’inconsistenza del loro programma politico li renderà dannosi più per assenza di interventi che per azioni decise e irrevocabili. La quantità di questioni ‘da vedersi’, da sottoporre a referendum o a parere internettico dei militanti o a capriccio del momento potrebbe riservare qualche piacevole sorpresa o, almeno, lasciare in stallo questioni che i piddini forzerebbero di sicuro. Qualche pentastellato potrebbe anche capire davvero cosa sia il fiscal compact e smettere di contare i soldini della paghetta sulla punta delle dita.

Insomma, esiste un solo vero nemico, erede dei Ciampi, dei Prodi, dei Monti. Composto da maggiordomi diplomati, incapaci di opporsi non solo ai principali mandanti ma a chiunque faccia la voce grossa, si chiami Macron, Erdogan, Netanhyau. Il più insignificante dei burocrati europei li fa marciare come marionette.

Il PD può essere rimpiazzato, è ovvio: bastone e carota sono già stati apprestati per ogni candidato di questa tornata. Il tunnel non finisce qui. Non sarà uno scarabocchio sulla scheda a capovolgere le sorti del paese. Ci vuole ben altro. Saranno lacrime e sangue. Ma occorre sbarazzarsi  di certi slogan, di una insopprimibile arroganza, della neolingua che ci vanno imponendo.

L’astensione premia il PD, che ha il suo zoccolo duro di beneficati e di nostalgici convinti di votare ‘a sinistra’. Ogni voto dato ad altri, invece, ne diminuisce il peso.

 

APPENDICE

Dovendo scegliere

A – C’è un partito apprezzabile verso il quale dovrei, naturaliter, propendere: il Popolo della famiglia. Ma è un partito destinato all’insignificanza: anche se apparentemente destinato a grandi consensi per la sua trasversalità, un movimento con obiettivi limitati è destinato a squagliarsi, proprio come Aborto? No, grazie di Giuliano Ferrara, fondato al solo scopo di opporsi all’aborto. Fine lodevolissimo e inevitabile flop: un partito deve dare risposte alla globalità dei problemi. Gli obiettivi del programma di Adinolfi sono sacrosanti, li condivido interamente: reddito di maternità, aumento degli assegni familiari, incremento fondi per disabili e, ovviamente, abrogazione del divorzio breve, unioni civili e biotestamento oltre che lotta al gender e all’aborto. Ma come si propone di reperire le risorse per il suo ottimo programma? Con le solite favole belle: lotta all’evasione fiscale, alla corruzione e agli sprechi; dulcis in fundo confische alla mafia e ricorso ai sussidi europei. O non ha capito niente o non ha il coraggio di opporsi seriamente.

B – Esistono almeno due partiti dal programma davvero sovranista: il 90% del loro programma è identico benché i fronti siano fieramente opposti. Li definirebbero opposti estremismi. A me paiono ragionevoli convergenze.

 

L’ aperi-cena filosofica _ Il Manifesto convivialista , di Elio Paoloni

 

 

L’ aperi-cena filosofica

Il Manifesto convivialista

 

Elio Paoloni

 

Su questo sito si discute di Manifesti, in particolare della Dichiarazione di Parigi,(https://thetrueeurope.eu/uneuropa-in-cui-possiamo-credere/ ) che, come altri collaboratori del blog, condivido interamente. Parigi c’entra poco, in realtà, anche se tra i firmatari ci sono il medievista francese Rémi Brague, studioso di Maimonide e docente alla Sorbona e Chantal Delsol, la fondatrice dell’Istituto Hannah Arendt di Parigi: tra gli altri firmatari del documento, originariamente redatto in inglese,  troviamo Roger  Scruton, uno dei massimi filosofi anglosassoni, (https://eliopaoloni.jimdo.com/2013/01/14/un-conservatore-relativista ) il polacco Ryszard Legutko, ex ministro dell’Istruzione, docente di Filosofia antica all’Università Jagellonica di Cracovia e prima ancora responsabile intellettuale di Solidarnosc durante la Guerra fredda, il tedesco Robert Spaemann, a lungo compagno di ricerche e studi dell’allora professor Joseph Ratzinger e poi erede della prestigiosa cattedra che fu di Hans-George Gadamer a Heidelberg, lo spagnolo Dalmacio Negro Pavón, membro dell’Accademia reale spagnola per le scienze sociali e poi personalità olandesi, tedesche, norvegesi.

 

Francofoni erano invece i firmatari di un manifesto in cui mi sono imbattuto, quello convivialista, (qui http://www.edizioniets.com/scheda.asp?n=9788846739421 , qui un compendio in PDF http://www.postfilosofie.it/archivio_numeri/anno7_8_numero7/1compendio.pdf ), redatto qualche anno fa con il proposito di unire le diverse anime del pensiero alternativo, di “individuarne il massimo comun denominatore”.

 

Non è così difficile, in realtà, unire diversi volenterosi sull’ennesima esposizione di lodevoli principi: come non concordare sulla nocività della finanziarizzazione del mondo e della subordinazione di tutte le attività umane a una norma commerciale, iniziata con l’imposizione dell’idea di “Fine della storia”? Come dissentire dalla stigmatizzazione dell’imperio del Mercato a discapito di qualsiasi seria azione politica? Come non rammaricarsi, con i firmatari, che venga disconosciuta la “motivazione intrinseca” al lavoro, che si escluda il fare per senso del dovere, per solidarietà, per il gusto di un lavoro ben fatto e per il desiderio di creare?

 

Vediamo dunque i capisaldi della politica convivialista:

 

  • Principio di comune umanità: aldilà delle differenze di colore della pelle, di nazionalità, di lingua, di cultura, di religione o di ricchezza, di sesso o di orientamento sessuale, esiste soltanto un’umanità, che deve essere rispettata nella persona di ognuno dei suoi membri. Sai la novità! Dette duemila anni fa e riproposte, desacralizzate, due o tre secoli fa in tanto solenni quanto inerti dichiarazioni. Ma concordiamo pure.

 

  • Principio di comune socialità: gli esseri umani sono esseri sociali. Un po’ di storia della filosofia e la ritroviamo ancor più indietro dei duemila anni. Ma, ancora una volta, nulla da eccepire.

 

  • Principio di individuazione: la politica legittima è quella che permette a ciascuno di affermare al meglio la propria singolare individualità in divenire, sviluppando le proprie capabilità (apprezzabile richiamo all’etica di Amartya Sen).

 

  • Principio di opposizione controllata: è naturale che gli esseri umani possano opporsi. Ma è legittimo farlo solo se non si mette in pericolo il quadro di comune socialità. Perbacco! E ci si sono messi in quaranta?

 

In effetti i firmatari si rendono conto che la scommessa “porta esattamente su ciò che si cerca dall’inizio della storia umana: un fondamento durevole all’esistenza comune, al contempo etico, economico, ecologico e politico”. Per quel che mi riguarda quel Fondamento esiste già. Non per i convivialisti, ovviamente. Quale sarebbe dunque questo massimo comun denominatore?

 

Forse la costruzione di una società del care, “la cura, la sollecitudine – alle quali le donne per prime sono state storicamente assegnate”. Ed eccoci subito dinanzi alla mancanza di coraggio, o alla necessità di mediazione, insomma al timore di indispettire le femministe, perché quello storicamente andrebbe sostituito con biologicamente.

 

Ma questo non basta, ovviamente. Analizziamo le considerazioni morali dei firmatari: va proibito all’individuo “di sprofondare nell’eccesso e nel desiderio infantile di onnipotenza (la hybris dei Greci)”. Giustissimo! Ma la hybris si configurerebbe, qui, nel pretendere di appartenere a qualche specie superiore (perché mai, infatti, l’uomo dovrebbe essere superiore alla zanzara?) o nel monopolizzare una quantità di beni eccessiva. Non un cenno al galoppare dell’Eugenetica o al delirio di onnipotenza di chi cerca l’immortalità tagliandosi le tette in via preventiva, a prescindere, come la tristemente rifatta Angelina Jolie, approdo ultimo della vaccinocrazia, della medicalizzazione di ogni ambito della vita, della ricerca ossessiva della Sicurezza. Neanche una parola sul delirio di onnipotenza di chi intende annullare i generi, femminilizzare gli uomini, abbrutire le donne. Nessun riferimento a chi manovra per sradicare le tradizioni e imporre a tutto il pianeta, divinizzandolo, un unico regime politico, un unico governo. Ah, dimenticavo: il governo mondiale è anche nei disegni dei nostri buontemponi: nel paragrafo delle considerazioni politiche si prende atto che è illusorio attendere nel prossimo futuro la costituzione di uno stato mondiale. Pare di capire che in un futuro più remoto essa sia probabile, anzi auspicabile. Viva il mondialismo? E in che cosa sarebbe alternativo questo movimento? Nel frattempo, poveri noi, dovremmo accontentarci dell’azione politica di “associazioni e ONG”, magnifici strumenti sovranazionali, progressisti e – come dubitarne – indipendenti che abbiamo imparato a conoscere.

 

Concretamente, continuano i convivialisti, il dovere di ciascuno è di lottare contro la corruzione. Questi umanisti non hanno letto Croce (https://www.storiadellafilosofia.net/filosofia-moderna/benedetto-croce/l-onest%C3%A0-politica/ ). Ad ogni modo, occorre “rifiutare di fare ciò che la coscienza disapprova”. Coscienza con la minuscola? E perché mai, in un mondo relativista, la coscienza di Soros dovrebbe dettare gli stessi imperativi di quella di un derviscio rotante? Chi stabilisce, nel mondo del pensiero debole, liquido, più propriamente diarroico (che nessun convivialista si sogna di denigrare) cosa sia “giusto e intrinsecamente desiderabile”?

 

Ma nello specifico? Reddito di base, ovvero il grillino reddito di cittadinanza depurato dell’aggettivo troppo nazionalistico: non siamo tutti, soltanto, cittadini del mondo? Pare abbastanza condivisibile l’instaurazione di un reddito massimo, che però non scalfirebbe minimamente le grandi entità multinazionali e i centri di potere finanziari, le cui sedi sono immateriali. Ah, dimenticavo, nel convivialismo ‘pienamente realizzato’, il governo sarà planetario.

 

Evasivi, criptici, fumosi, gli altri proponimenti politici: “nella moltiplicazione delle attività comuni e associative, costitutive di una società civile mondiale… il principio di autogoverno ritroverebbe i suoi diritti, al di qua e al di là degli Stati e delle nazioni”. Cosa ci sarebbe qui di alternativo alla globalizzazione? Che senso ha scardinare le uniche entità che possono avere la forza di arrestare il tanto osteggiato dominio della finanza, a favore di un arcadia anarco-digitale? Digitale, già. Perché, come insegnava anche Casaleggio, “Internet è un potente mezzo di democratizzazione della società e di invenzioni di soluzioni che né il Mercato né lo Stato sono stati capaci di produrre… attraverso una politica di apertura, di accesso gratuito, di neutralità e di scambio”. Come se il Mercato non passasse ormai massicciamente dalla rete, come se la neutralità fosse un attributo necessario dei Gates e degli Zucherberg. Come se in assenza di Stato si potesse impedire il monopolio, quel monopolio che ora almeno viene – debolmente – avversato. Come se qualcuno, in assenza di Nazione, potesse garantire l’accesso gratuito. Come se davvero la gente usasse quel Linux che a costoro pare la panacea: tra le mie conoscenze, un solo amico lo ha installato (ma non lo usa: è uno smanettone e ha voluto provarlo, tutto qui).

 

Non è possibile commentare seriamente il proposito di rinnovamento dei servizi pubblici attraverso “emergenza, consolidamento e allargamento dei nuovi beni comuni dell’umanità”. Con scappellamento a destra?

La situazione planetaria “impone di regolare strettamente l’attività bancaria e i mercati finanziari e delle materie prime, limitando le dimensioni delle banche e mettendo fine ai paradisi fiscali”. Non ci avevamo pensato! Eppure sarebbe così semplice, tra una sarchiata nell’orto comunitario urbano e una corsa al mercatino equosolidale per acquistare il caffè, sbaragliare, convivialmente, i paradisi fiscali. Chi, esattamente, lo farà, in assenza di Stato e di Nazione? Ah, ecco: “sarebbe giudizioso creare un abbozzo di l’Assemblea Mondiale (Non ci sono bastate la Società delle Nazioni e l’ONU?) che comprenda rappresentanti della società civile mondiale associazionista, della filosofia, delle scienze umane e sociali e delle differenti correnti etiche, spirituali e religiose che si riconoscono nei principi del convivialismo”.

1980-16-pellegrinaggio-nucleare-cm86x71-0-126Non sbagliava Michel Lacroix: “Per affrontare i problemi odierni, il New Age sogna un’aristocrazia spirituale nello stile de La Repubblica di Platone, gestita da società segrete”. E codesta accolta di onesti uomini tecnici, che per fortuna non ci è dato sperimentare (dal brano di Croce sopra citato) che si ritroveranno a governare il mondo, così, per caso (per acclamazione?) come fermeranno i finanzieri cattivi? Con un armata di bocciofile? Con volenterose truppe internazionali, come i caschi blu di Srebrenica? No, essenzialmente con tre formidabili armi:

 

  • il sentimento di appartenere a una comunità umana mondiale” che è un sentimento abbastanza comune, preso genericamente (per certi versi un’ovvia constatazione) ma difficile da provare nel concreto a meno che non si appartenga agli esponenti della globocrazia, quella casta di cosmopoliti che scorrazzano per il mondo piegandolo ai loro illuminati voleri (Monti, Boldrini, Draghi, Rockefeller e via dicendo). Nel mondo reale solo una cerchia ristretta può essere avvertita come la nostra comunità. Già la nazione – fuori dai campionati di calcio – è qualcosa di difficilmente avvertibile: il soldato non lotta per la Patria ma per il suo plotone. L’umanità è troppo ampia perché la si possa – politicamente – avvertire come prossima. Non è questione di cultura o sensibilità: la storia tutta intera, l’antropologia, la sociologia e la psicologia ci avvertono che l’accento del paesino limitrofo già ci separa. Aci Trezza è tuttora acerrima nemica di Aci Castello. Eppure, secondo Fistetti, firmatario e postfatore del manifesto, “tocca ai cittadini delle società liberaldemocratiche «deporre le armi», o, come dice Mauss, «fidarsi interamente» e avanzare l’offerta di alleanza” ai migranti che, manco a dirlo, sono, nella loro totalità ‘profughi’ e, se proprio non ce la facciamo a infilarli nella categoria, ‘migranti ambientali”. Una «scommessa sulla generosità»(Caillé) tipicamente cristiana ma in assenza di cristianesimo e anche di una seria riflessione sulla natura della principale religione antagonista, quindi una follia. Un suicidio politico, e prima ancora morale.

 

  • l’indignazione degli onesti e, specularmente, la vergogna “che è necessario far provare a coloro che violano i principi di comune umanità” (si vergogni, califfo Al Baghdadi, si vergogni, mister Rothschild, si vergogni mister Soros. Ma se già i fantocci politici di casa nostra sono proverbialmente definiti “senza vergogna”!).

 

  • sempre in tema sentimentale, la mobilitazione degli affetti e delle passioni, ben al di là, udite udite, delle scelte razionali degli uni e degli altri. Ma come, ci hanno sempre messo in guardia dal far appello alla pancia dei cittadini, ai rischi dello scatenarsi di emotività nella massa! Ma no, nel Mondo Nuovo convivialista si affermerà per incanto “il meglio delle passioni”, “per inventare altre maniere diverse di vivere, di produrre, di giocare, di amare, di pensare e di insegnare”. Immaginazione al potere, quand’è che l’avevo già sentita? Basteranno nuove Enciclopedie – digitali, ça va sans dire – aggiornate ai dettami ecovegansolidalpacifisti, compulsate le quali narcos boliviani, narcotizzati telespettatori e coatti d’ogni continente si eleveranno a un nuovo stadio di spiritualità.

 

Scorrendo le pagine di questo fantasioso libello mi imbatto anche nell’“obbligo perentorio di far scomparire la disoccupazione”. Di perentorio in tal senso ricordo solo i piani quinquennali. Che si facevano rispettare a suon di deportazioni.

In fondo, finalmente, leggo che si “dovrà assolutamente puntare a ricongiungere sovranità monetaria, sovranità politica e sovranità sociale”. Ottimo! Anzi no: eravamo stati ingannati dalla formulazione ambigua: leggendo meglio si arguisce che la sovranità riguarderebbe una UE rafforzata, non i singoli Paesi.

 

Fin qui solo fuffa: un contenitore vuoto, una sequela di buonismi, di quelle buone intenzioni che sappiamo bene cosa sono destinate a lastricare. Anche di intenzioni pessime, per quel che mi riguarda, come lo è ogni proposito contro la sovranità nazionale. Ma, a ben vedere, una proposta politica concreta c’è: tra le anime alternative ne emerge prepotentemente una, che ho volutamente tralasciato, benché sia presente sin dalle premesse. La parola d’ordine è ‘decrescita’. Latouche risulta essere solo uno dei firmatari ma sui suoi vagheggiamenti si fonda buona parte del manifesto, che riprende i catastrofismi da Club di Roma e il tormentone del CO2 per approdare alla esaltazione della “sobrietà volontaria e dell’abbondanza frugale”. Il problema fondamentale sarebbe la “minaccia antropica”(ci mancava il neo-malthusianesimo), la “finitezza orami evidente del Pianeta e delle sue risorse naturali”. “Gli uomini non possono più considerarsi possessori e padroni della Natura”. “La situazione ecologica del pianeta rende necessario ricercare tutte le forme possibili di una prosperità senza crescita”.

 

Le infelici uscite di Latouche, che si fondano su un’idea primitiva dei sistemi economici, immaginati come insiemi di caratteristiche fisse ed immutabili nel tempo, sono state già ampiamente contestate: è chiaro per qualsiasi studioso vero che la riduzione del reddito nazionale non si traduce automaticamente in una produzione più pulita; anzi, è più facile che un calo delle risorse monetarie finisca con il tradursi in un processo di regressione industriale in cui vengano preferite tecnologie obsolete, e più dannose per l’ambiente (vedi il recente ritorno in auge del carbone tra le fonti di energia). E, soprattutto, gli effetti di una riduzione del PIL non sarebbero equamente distribuiti: andrebbero ad abbattersi in modo regressivo, colpendo la fascia più povera della popolazione, accrescendo proprio quella già enorme disuguaglianza additata nel Manifesto.

 

Collegate alla famigerata decrescita troviamo altre esplosive iniziative alternative: post-sviluppo, movimenti slow food, slow town, slow science; la rivendicazione del buen vivir, l’affermazione dei diritti della natura: “Gli uomini non possono più considerarsi possessori e padroni della Natura”. “La relazione di dono/contro-dono e di interdipendenza deve esercitarsi soprattutto verso gli animali, che non devono più essere considerati come materiale industriale. E, più in generale verso la Terra”.

Diritti della natura, attenzione. Non giuste e condivisibili preoccupazioni razionali su ciò che dobbiamo gestire e tutelare ma attribuzione di “diritti”. Per attribuirne alla gramigna e alle blatte non basta un paradigma filosofico, occorre una nuova religione, anzi no, basta forse reintrodurre quella andina (vedi elogio del pachamama). Non solo animalismo, insomma si accenna a cavalcare anche il misticismo dell’ipotesi Gaia, la teoria di Lovelock, allarmista pentito che non crede più alla fine del mondo per surriscaldamento e che, ad ogni buon conto, ha sempre sostenuto  l’unica energia abbondante veramente pulita e, per il nostro Paese, strategica e opportuna: quella nucleare, ovviamente demonizzata dai firmatari.

Il Sacro, scacciato dalla porta, rientra sempre dalla finestra. L’adorazione che non è rivolta al cielo si proietta verso il mondo. Gea, Iside o Mama Pacha, e l’immarcescibile Vitello d’oro (oggi Gattino, Cagnolino, Maialino), tutto si presta ad essere venerato dai nuovi pagani, i ‘laici’.

 

Ma cosa, insomma, sta dietro a questo movimento? Cosa lo differenzia da tanti generici propositi di tante brave (e anche pessime) persone? A conferire portata filosofica a questo documento di una povertà concettuale sconcertante, sarebbe, spiega Francesco Fistetti nella postfazione all’edizione italiana, il paradigma del Dono: molti degli studiosi firmatari, in particolare il propugnatore del manifesto, Alain Caillé, sono seguaci dell’eroe della tradizione antropologica francese, Marcel Mauss, autore del Saggio sul dono (1925), nel quale, interrogandosi sul rapporto tra diritto e interesse, teorizzava che la forma-dono delle società primitive resta uno dei capisaldi sui quali è fondata anche  la nostra società. “Non si concepiscono società senza mercato” e l’errore del socialismo è stato quello di volerlo abolire: il mercato va regolato.

Tutti noi non chiediamo di meglio anche se siamo convinti che per farlo ci vogliano un pensiero – e una azione – tutt’altro che slow. In cosa, ad ogni modo,  il convivialismo differisce dal Welfare State o dallo stato Keynesiano? Nel principio euristico, per cui l’economia, come la politica e la morale, è soltanto uno degli elementi dell’arte di viver in comune: “la società è un tutt’uno”. Non fa una piega. E dunque? “Occorre tornare al paradigma del dono”. Questo è lo slogan risolutivo, la panacea.

 

Ora, se questa parola d’ordine deve essere divulgata e portata sugli scudi, è necessario qualche chiarimento. Il termine dono , in questo contesto, è irrimediabilmente ambiguo, anzi fuorviante. Perché il destinatario del messaggio penserà al Dono, alla gratuità totale, a una postura caritatevole, disinteressata e amorevole come solo nella dimensione trascendente si dà. Stiamo invece parlando di un meccanismo di mercato molto ritualizzato e complesso, solo apparentemente libero e gratuito, in realtà obbligato e interessato (poiché il dono va obbligatoriamente ricambiato). Presso i Polinesiani gli attori coinvolti erano collettività: famiglie, clan, tribù; e non venivano scambiati solo beni ma anche “banchetti, riti, cortesie, azioni militari, donne, bambini”. Insomma “un sistema di prestazioni sociali totali”. Nelle quali, inutile dirlo, il manato ricambio veniva sanzionato anche duramente. Mauss riallacciava tutto ciò alle istituzioni di sicurezza e previdenza sociale. L’assicurazione è dunque un dono? E la previdenza? A me pare un mero accantonamento, una forma di risparmio, ma forse sto banalizzando.

 

Sarebbe il caso, ad ogni modo, di lasciar perdere questo mantra poiché il grande merito di Mauss è stato proprio quello di scoprire che quel dono non era affatto un dono. Lasciamo il Dono ai credenti e chiamiamo scambio questa forma della socialità.  Ecco che ci ritroviamo con un pallone sgonfiato. Che c’è di così nuovo nello scambio? Se ben comprendo, nel fare a meno della moneta tradizionale. Si parla infatti, nel manifesto, di commercio equo, mutua assistenza, monete parallele e complementari, sistemi di scambio locale. Si avversa dunque il signoraggio?

 

Il punto è, si sostiene, che mentre nelle società arcaiche l’economia era inserita nei rapporti sociali ora sono i rapporti sociali a essere inseriti nel sistema economico. Giusto. Sono anni che qui e su ogni sito decente del web si proclama che la politica deve riprendere il sopravvento sull’economia. Ma il dono non c’entra: c’entrano i rapporti di forza, nozione ormai abbandonata dagli intellettuali progressisti che la forza non vogliono sentirla nominare in alcun contesto.

 

Ad ogni modo, chiarito l’equivoco ci troviamo di fronte a un altro intoppo: abbiamo un paradigma che da un canto si sostiene già attivo – attivo da sempre, in ogni società, e – d’altro canto – non presente, dato che si chiede di  reintrodurlo. Si deve intendere che la reintroduzione consista semplicemente nel riconoscere – e ricollocare – le forme presenti oppure che si debba tornare a forme arcaiche, vale a dire alle usanze di piccole, lente e crudeli società patriarcali dove si “donavano” donne e bambini? C’è di che far spazientire.

 

babeleCosa disegnano costoro, insomma? Una società molto liquida basata su un economia di sussistenza, con strutture politiche anch’esse liquide, come avveniva appunto nelle società tribali, popolate di figure di prestigio prive di reale potere. Come poi tutto questo, una rete di centri sociali allargati percorsi dalla buona volontà senza neppure il supporto della Buona Novella, possa affermarsi su scala planetaria senza che si precipiti nell’anarchia più belluina non è dato comprendere. Vi saranno sempre nobili figure stoiche in grado di recepire imperativi morali, tratteggiare etiche e conformarvisi pure. Ma non è cosa che commuova le folle. Le lotte non si conducono con il salmodiare buonista ma con la dura analisi degli interessi storici e degli arcana imperii, diceva Costanzo Preve, che pure, per certi versi, col suo Nuovo Comunitarismo, potrebbe essere apparentato ai convivialisti.

 

Perché dunque spendere tante righe per confutare le affermazioni di un movimento così poco convincente, che è riuscito a darsi un nome improbabile, evocatore più di  libagioni da nouvelle cuisine che di lotte politiche, un movimento che presumibilmente si scioglierà come neve al sole o sopravvivrà in eterno come accade a quelle conferenze ininfluenti e costituzionalmente inconcludenti che sono i tavoli ecumenici del dialogo interreligioso?

 

Perché mentre i volenterosi pensatori francesi tentano di indurci alla frugalità volontaria i loro governanti si occupano della nostra decrescita forzosa. Tra banche, moda, alimentare, hi-tech ed energia, i cugini d’Oltralpe hanno speso negli ultimi cinque anni la bellezza di 24 miliardi di euro per mettere le mani sui gioielli grandi e piccoli, quotati e non, del made in Italy. Vedi qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/litalia-gi-colonia-francese-24-miliardi-1342668.html

 

Normali operazioni commerciali, all’apparenza. Ma quando il nostro governo, pochissimo tempo dopo aver stretto accordi di enorme importanza (e di mutuo soccorso militare) con Gheddafi, ha assistito coraggiosamente, favorendola pure, all’esplosione della Libia, voluta e fomentata col beneplacito della Clinton (vedi file wikileaks) dai nostri cari cugini al fine di estromettere l’ENI e concederci in cambio graziosamente la risorsa profughi, si è compreso che l’invasione è – anche – politica, strategica, preordinata. E’ di dominio pubblico la recente nazionalizzazione “temporanea” dei cantieri navali Stx, attualmente appartenenti a imprenditori coreani, pur di non farli finire nelle mani dell’italiana Fincantieri. Nonostante accordi ineccepibili con l’ex presidente Hollande. In altri tempi cose del genere potevano scatenare una guerra. Noi sorridiamo e libiamo ne’ lieti calici.

 

I nostri cari cugini, insomma, crescono, si espandono e si accaparrano risorse fossili, compreso l’uranio, mentre i loro chierici tentano di intortarci con le tavolate slow food.

 

 

 

 

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