Responsabilità e dilemmi, di Andrea Zhok e Antonio de Martini

RESPONSABILITA’, di Andrea Zhok
Il quadro di evoluzione della pandemia in Italia e il DPCM in fase di elaborazione sollecitano alcune brevi riflessioni sulla questione delle responsabilità civili, a vari livelli.
1) In primo luogo, una considerazione la merita il ruolo delle regioni. Finora tutte le regioni avevano la facoltà di intervenire in forme più restrittive di quelle blande promosse a livello centrale. Questa opzione era coerente con l’idea, costantemente rivendicata dai presidenti di regione, secondo la quale essi avrebbero il polso della situazione locale e potrebbero prendere decisioni consone. Ma curiosamente (con l’eccezione del talentuoso cabarettista che guida la regione Campania), nessun presidente di regione è intervenuto restrittivamente, modulando in forme specifiche e selettive gli interventi, se non in misura omeopatica.
Anzi, al contrario, tutte le regioni sollecitano il governo centrale ad intervenire per ‘coordinare gli interventi’.
Ma questo sollecito in verità esprime un desiderio molto più semplice: i presidenti delle regioni vogliono che a loro sia lasciato il ruolo del ‘poliziotto buono’.
Vogliono che sia lo stato centrale a fare la faccia feroce, mentre, agli occhi dei propri elettori, loro vestono i panni di chi si batte per preservarne la libertà.
Si tratta di un gioco di deresponsabilizzazione alquanto vile, con tanti saluti alle ciance sulle autonomie regionali: l’autonomia la vogliono quando si tratta di spendere, ma quando si tratta di sporcarsi le mani con assunzioni di responsabilità, allora si ritirano su postazioni protette.
2) Se le regioni hanno torto, non è che il governo centrale abbia ragione. Gli interventi che si profilano nel DPCM sono come al solito tagliati con l’accetta e ispirati da un’approssimazione che solo la perenne emergenzialità può cercar di nascondere.
Le aree in cui il governo poteva e doveva intervenire direttamente erano una principale, e due di rincalzo.
Innanzitutto si doveva portare subito in remoto tutto quanto era possibile portare in remoto della pubblica amministrazione, oltre che delle scuole superiori e dell’università. Questo intervento da solo avrebbe ridotto drasticamente gli spostamenti nei mezzi pubblici, che sono certamente il principale veicolo di diffusione del virus.
In tutti e tre questi comparti, un po’ di preparazione (in gran parte già fatta in occasione della prima ondata) avrebbe consentito di svolgere questi servizi con una perdita di efficacia tutt’al più modesta.
Ma rispetto a questa prospettiva ha avuto la meglio una componente squisitamente ideologica, in cui, le invettive di Confindustria contro la pubblica amministrazione neghittosa che sta a casa, e le paranoie sulla sostituzione definitiva dell’insegnamento pubblico con forme telematiche hanno avuto la meglio.
Interventi collaterali a questi dovevano essere l’intensificazione del trasporto pubblico e della medicina territoriale. Trattandosi di interventi massivi, non potevano essere implementati abbastanza da essere decisivi, ma qualcosa di più poteva essere fatto.
Così, invece di predisporre (anche sul piano normativo, oltre che tecnico) un buon sistema di didattica a distanza, ed un efficiente sistema di erogazione del lavoro in remoto, (abbinato ad incremento del trasporto pubblico e di medici sul territorio) si è preferito puntare i piedi proclamando d’ufficio il ‘ritorno alla normalità’.
E se la realtà non è d’accordo, tanto peggio per la realtà.
Invece di questo tipo di soluzioni, semplicemente pragmatiche, si finirà per chiudere forzosamente e a tappeto bar, ristoranti, palestre, piscine, ecc. anche quando sono stati ligi ai protocolli, e anche in regioni in cui la circolazione del virus è relativamente bassa (ci sono regioni in cui le percentuali di positività sono un terzo o un quarto di altre).
Così, alla faccia del richiamo alle ‘responsabilità individuali’ e alle ‘specificità dei territori’, si farà il solito taglio lineare che dimostra solo la pochezza e imprevidenza di un ceto politico.
3) Infine, quanto alle responsabilità individuali, una parola va spesa nei confronti di tutti quelli che in questi mesi hanno giocato la partita della minimizzazione. Tutti questi, e sono tanti, che con i loro argomenti farlocchi hanno alimentato comportamenti sciatti e incauti (in particolare tra i giovani, passabilmente certi di non correre comunque seri rischi), questi che hanno persino promosso l’idea del ‘contagio terapeutico’ (variante dell’immunità di gregge) magari finendo per contagiare altri, quando non per finire essi stessi ad occupare un letto d’ospedale, ecco tutti questi sono corresponsabili della situazione emergenziale attuale.
Essi hanno remato nella stessa direzione che ora porta all’intasamento dei pronto soccorso e dei ricoveri, tirando con la loro stupefacente ottusità la loro palata di terra sulla salma del paese.
Ecco, tutti questi, se avessero pudore, dovrebbero soltanto e definitivamente uscire in silenzio dal dibattito pubblico per non farvi più ritorno.
SCEGLIERE TRA SALUTE E ORDINE PUBBLICO ?, di Antonio de Martini
Temo che la gente non abbia capito a cosa serva la QUARANTENA e il termine americano LOCKDOWN non abbia semplificato la situazione.
A questo, si aggiunge una banda di pubblici amministratori e imbonitori sanitari che hanno drammatizzato i fatti distorcendoli vieppiù per valorizzare le proprie persone/funzioni/trasmissioni.
La Quarantena è l’unico strumento a disposizione per difenderci ( relativamente) dal contagio e mantenere efficiente ( relativamente) il servizio sanitario nazionale scaglionando gli afflussi alle terapie intensive.
Se le terapie intensive si intasano, il pericolo di morte dei contagiati diventa certezza.
Il fatto che esistano piu numerose cause INELUDIBILI di morte non ha senso.
Se la morte – anche di pochi – è eludibile, va rimandata, altrimenti la società civile non ha motivo di esistere. A morire da soli siamo buoni tutti.
La Svizzera ci ha forse preceduti di poco decidendo di non ammettere più gli anziani ( della mia età) in terapia intensiva per riservare i non sufficienti letti a disposizione a chi ha ( relativamente) maggiori probabilità di sopravvivenza.
Sta accadendo quel che è successo durante la grande crisi finanziaria: si cercò anzitutto di salvare il sistema bancario indispensabile a mantenere in funzione una società civile.
Analogamente, senza un sistema sanitario generale, salterebbe ogni forma di pacifica convivenza civile.
Le avvisaglie affiorano: la selezione alla dottor Mengele tra gli “ atti alla vita” e no ; il ribellismo dei lazzaroni napoletani e la convocazione del Consiglio Supremo di Difesa al Quirinale con un ordine del giorno surreale.
Se guardate il sito della Unione Europea sul COVID19 le statistiche di tutti i paesi, potrete fare un collegamento tra la credibilità di ogni singola classe dirigente e i risultati di morte.
Dove i dirigenti sono rispettati, credibili e sinceri, i contagiati e i morti sono di meno ( sotto il famoso 1%) e il SSN regge.
Dove la direzione è carente, insincera, pulcinellesca e pretesca il sistema va verso la crisi.
Se la gente non comprerebbe un auto usata da costoro, come volete che li creda capaci di sottrarci alla morte e all’impoverimento dei superstiti ?
La comunicazione sia univoca e affidata a veri portavoce professionali e i politici siano banditi dalle TV su questi temi.
Si dica la verità senza infingimenti , si usino i militari come cervelli esperti in sopravvivenza e non come becchini, spazzini o protettori di incapaci e la crisi rientrerà entro parametri gestibili.
UN MIO COMMENTO _ Giuseppe Germinario

Allo scaricabarile ha partecipato ampiamente anche il Governo Centrale sin dall’inizio della crisi ma con una aggravante: i governi regionali sono in realtà dei centri di spesa e di amministrazione. La deresponsabilizzazione è quindi consustanziale e su quello, con poche eccezioni si è formato il personale politico che poi di solito assurge ad incarichi nazionali. Il Governo no; ha la piena responsabilità gestionale sia pure all’interno del disastro istituzionale ormai venuto alla luce non a caso in una situazione di crisi gravissima anche se non ancora catastrofica. Stasera pubblicherò una videointervista al dottor

Giuseppe Imbalzano

che offrirà qualche ulteriore spunto di riflessione

PARADOSSO, di Roberto Buffagni

E’ comica la nostra epoca, la più fissata con il cambiamento di tutta la storia umana, e la meno dotata delle capacità intellettuali e morali di cambiare alcunché.

ASCOLTATE QUESTO INTERVENTO. PARTICOLARE ATTENZIONE ALLA PARTE CONCLUSIVA

NB_ tratti da facebook

All’ombra del sole ottomano_con Antonio de Martini

Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan riporta alla luce rivalità secolari nell’area del Caucaso.

Con esse emerge ormai la Turchia, un attore sempre più spregiudicato che non esita a giocare su più tavoli, dal Mar Nero, al Mediterraneo, all’Egeo, alla Siria, alla Libia, all’area turcomanna. Una spregiudicatezza che lascia intuire sostegni e coperture evidentemente solide a sufficienza. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

LA PACE DI ABRAMO, di Antonio de Martini

Anche se per la verità gli esponenti politici da assassinare in contemporanea cominciano ad essere un po’ troppi. Gli accordi sanciscono comunque la frattura definitiva dei paesi arabi con l’Iran e molto facilmente con la Turchia piuttosto che il sodalizio con Israele_Giuseppe Germinario
LA PACE DI ABRAMO
Si tratta di un nuovo reality show col quale Trump pensa di vincere le elezioni a novembre?
Come noto, Abramo era un estraneo in Palestina proveniva dall’odierno Irak ( Ur di Caldea) come sua moglie Sara.
Si arricchì facendola prostituire ( lo dice la Bibbia) e facendosi pagare con pecore e capre, ma importò dalla Mesopotamia il monoteismo e la pratica della circoncisione.
Il nome dell’accordo di pace tra Bahrein, l’UAE e Israele è quindi stato scelto in base alla notorietà statunitense del personaggio, ma il contenuto degli accordi non è stato divulgato, dato che non c’è mai stato un contenzioso tra loro.
Storici accordi di pace tra Israele e suoi vicini con cui ha invece effettivamente guerreggiato ci sono gia stati: nel 1979 con l’Egitto di Saadat ( poi ucciso) e nel 1994 con la Giordania ( uccisero re Abdallah – bisnonno dell’attuale re- nel 1948 quando si accordò segretamente con gli israeliani).
Nessuno di questi accordi di pace ebbe impatti positivi sulla pace nella regione, ma, negativi, sulla salute dei firmatari.
Si capisce quindi il motivo per cui nessun rappresentante saudita e nessun regnante di Bahrein ( Ahmed ben Issa al khalifa di Bahrein e Mohammed ben Zayed al Nayhan dell’UAE ) fosse presente allo “ storico evento”. Le firme “ arabe” le hanno messe i ministri degli esteri.
Le grandi attese furono deluse anche il occasione degli accordi di Oslo ( tra palestinesi e Israeliani) in cui l’ucciso di turno fu il premier israeliano Isaac Rabin.
Ci sarà certamente – oltre alla prospettiva di vendere qualche F 35 – qualche contratto di tecnologie di sicurezza del polo elettronico israeliano e il possibile vantaggio militare che Israele avrà avvicinato all’Iran le basi di partenza della propria aeronautica verso l’Iran.
Vedremo chi morirà per primo stavolta.

SANTA SOFIA, LUNTANO A TE !, di Antonio de Martini

SANTA SOFIA, LUNTANO A TE !

La Turchia é grande due volte e mezzo l’Italia (784.000 kmq) , ha 84 milioni di abitanti sul suo territorio ( +4 miloni di emigrati in Germania) e un esercito di un milione e duecentomila uomini sotto le armi e controlla lo stretto dei dardanelli.

Il suo servizio segreto opera in quella zona strategica compresa tra Belgrado e Bassora da oltre tre secoli con continuità.

Dal 1952 ha rappresentato l’ala destra del dispositivo NATO schierato contro l’Unione Sovietica ai tempi della guerra fredda. È membro fondatore del Consiglio d’Europa.

Dalla fine della guerra fredda, la NATO non é piu riuscita a coagulare il consenso di tutti i contraenti attorno a una qualche nuova missione condivisa.

Gia dai primi anni sessanta i turchi hanno guardato al Mercato Comune Europeo ( MEC) intavolando trattative che si sono eternizzate, ma hanno procurato annualmente alla Turchia ingenti aiuti economici e indulgenza per le periodiche impiccaggioni di primi ministri accusati di clericalismo islamico.

Un momento di riconoscenza occidentale ci fu nel 1974 quando un intervento militare turco pose fine a un colpo di stato a Cipro e provocò la caduta del regime militare greco che l’aveva ispirato.

L’intervento fu fatto in virtù del trattato di Losanna ( ultimo quarto del XIX secolo) che riconosceva ad un tempo il dominio inglese su Cipro e la sovranità turca sull’isola.

Il costante adeguamento legislativo rispetto all’Europa, la nomina di una donna a premier ( Tansu Ciller), il fatto che il paese fosse membro fondatore del Consiglio d’Europa lasciarono immaginare che, in un futuro indefinito ma prossimo, il paese sarebbe stato accettato nel mercato unico.

Il tumultuoso sviluppo dovuto a Turgut Ozal ( prima ministro dell’economia, poi premier ed infine presidente) lasciarono però immaginare l’ingresso di un temibilissimo concorrente specie nel tessile, pelletterie , agroindustria e edilizia.

Il colpo di Stato anticlericale del generale Evren fu il pretesto per allargare il fossato e rinviare sine die.

Il risorgere della questione d’Oriente – dai Balcani al Vicino e Medio Oriente- spinse la Turchia che aveva visto prevalere il nuovo partito AKP semi clericale, a cercare un posizionamento regionale in una con Israele, lArabia Saufita e l’Egitto.

La Turchia, forte di uno sviluppo a due cifre per oltre un quarto di secolo, a un export sostenuto nelle ex repubbliche sovietiche di cultura para turca, e di uno status amicale con gli USA, nonché buoni rapporti – unico paese islamico- con Israele, iniziò a volere il suo posto al sole.

Le questioni di Cipro – ormai divisa in due- dell’ex impero, della zona petrolifera di Mossul – abusivamente occupata dagli inglesi tre giorni dopo l’armistizio del 1918 – ogni pretesto era buono per ricordare vecchi torti da riparare e nuovi spazi da rivendicare.

La protezione concessa alla striscia di Gaza, e l’incidente del MAVI MARMARA , in cui persero la vita otto cittadini turchi , iniziarono a incrinare i rapporti con Israele, cui la Turchia concedeva acqua , spazi aerei per l’addestramento e turismo vicino e a buon mercato.

L’allontanamento da Israele ha comportato fatalmente un raffreddamento con gli USA.

I militari, grandi tutori della laicità fino all’insubordinazione, certi della cameratesca simpatia americana , tentarono un golpe nel luglio 2016 per cacciare Erdogan.

Il fallimento del tentativo inasprirì la situazione fino a provocare una rappresaglia all’interno e un riavvicinamento col tradizionale nemico russo in politica estera in cerca di una intesa sulla questione siriana e di una rivincita- monito verso il grande alleato.

L’adozione di un formidabile sistema d’armi antiaereo sovietico (S 400), l’esclusione dal mercato dell’F35 , l’aver gli USA armato milizie curde indiscriminatamente senza considerare la guerriglia anti turca condotta da oltre un quarto di secolo, l’arresto per spionaggio di un pastore protestante americano ed i continui tentativi di creargli difficoltà di governo tramite effimeri cartelli elettorali sono culminati nella fuoriuscita dal governo e dal partito, del ministro dell’economia Babacan e degli Esteri Davusoglu ciascuno con un nuovo partito moderato, hanno seriamente indebolito il presidente Erdogan.

Per non subire un’altra scissione da parte degli islamisti cui resisteva da anni alla richiesta di trasformare Santa Sofia in Moschea, Erdogan ha ceduto.

L’indomani è iniziata una cagnara orchestrata da atei e laici filo occidentali cui del cristianesimo non importa nulla, ma del fianco destro della NATO importa moltissimo.

La situazione reale non cambierà granché. A duecento metri c’è la Moschea blu semivuota da decenni e ormai museo di fatto. Santa Sofia avrà identico destino.

La propaganda religiosa attecchì poco anche ai tempi delle crociate, figuriamoci adesso che le primavere arabe hanno dissolto le ultime illusioni circa la religiosità mussulmana.

Invece di speculare su Cristi e Madonne cui loro stessi danno credito limitato, gli occidentali dovrebbero porsi alcune semplici domande.

Se col pretesto religioso si rifiuta di accettare la Turchia in seno alla UE, dove altro questa potrà rivolgersi ?

La geopolitica è come la natura, non facit saltus e ha orrore del vuoto.
E si fa beffe di tutte le religioni, il cui utilizzo è strumentale.

A chi vogliamo regalare l’esercito più agguerrito e numeroso d’Europa che ha sconfitto in campo la Francia e la Grecia e intimorito l’inghilterra mentre il paese era ancora in formazione ?

LIBANO AL CENTRO DI UN INTRIGO MORTALE PER LA SECONDA VOLTA IN MEZZO SECOLO, di Antonio de Martini

Qui sotto una serie di considerazioni di Antonio de Martini sulla situazione del Libano. Lo scritto, aggiornato, in parte già riportato su questo sito, è di circa otto anni fa, ma torna di grande attualità alla luce dei movimenti in corso in quella regione al netto dei grandi limiti e azzardi che anche la classe dirigente iraniana, in buona compagnia dei tanti suoi avversari, ha compiuto_Giuseppe Germinario

LIBANO AL CENTRO DI UN INTRIGO MORTALE PER LA SECONDA VOLTA IN MEZZO SECOLO

di antoniochedice

Il mio amico Nachik Navot, del cui patriottismo non è lecito dubitare, ha lasciato il servizio come vice capo del Mossad e che ormai temo non sia più tra noi perché non risponde più alle mie  mail,( ora dovrebbe sfiorare il secolo..)mi regalò due articoli che pubblicai sul mio blog. www.corrieredellacollera.com  il 6 luglio 2012 egli scrisse parole lucide sulla situazione mediorientale che conosceva bene essendo stato in servizio anche in Iran e in India.

Ecco il link al suo articolo che consiglio di leggere

https://corrieredellacollera.com/2012/07/06/fortress-israel-la-sindrome-dell-olocausto-e-il-senso-della-vera-sicurezza-senza-cui-non-ce-pace-di-nachik-navot/

Una delle considerazioni, a mio avviso più più importanti che ci ha lasciato, è che se Israele vorrà ottenere una pace duratura, dovrà liberarsi della “ sindrome della Fortezza Israele” e crearsi nuove motivazioni e azioni per vivere in armonia coi suoi vicini.

Questa sindrome è frutto di una imposizione altrui dato il trattamento inumano europeo inflitto agli ebrei con l’Olocausto. Gli Israeliani si sentono assediati, da tutti e per sempre, e si comportano di conseguenza. Peccando spesso di “overeaction” aggiungo io.

E’ comprensibile, che  questa situazione abbia avuto implicazioni culturali negative sullo sviluppo iniziale  dello Stato di Israele ma,  il numero di israeliani e membri delle Diaspore consapevoli che vada superata, cresce ogni giorno di più.

Ho deciso di fare riferimento a Nachik ( diminutivo di Menachem) per introdurre la pedina “ Israele” nel tragico gioco della crisi libanese, dove a tutta prima – e in questa fase- sembrerebbe assente perché il proscenio  è occupato dall’ambasciatrice statunitense Dorothy Shea cui piace molto il ruolo di Proconsole e ha l’empatia di un celenterato.

I libanesi hanno dovuto più volte ricordarle l’esistenza della Convenzione di Vienna del 1969 con cui si conveniva il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi ospitanti.

Oggi il Libano, unico paese del vicino e medio oriente a guida cristiana ed economia liberista, vive una profonda crisi morale, politica ed economica causata in parte dalla diluizione della identità culturale di cui tutti si dicono fieri a parole, e in parte dalle pressioni di una violenza inusitata esercitata dalla amministrazione americana che ha il duplice scopo di promuovere la firma  di

un trattato di pace con Israele ( dai tempi di Sadat nessuno vuole firmare senza che sia prima conclusa la pace coi palestinesi, a pena la morte) e di rassicurare l’alleato circa il  concreto pericolo incombente rappresentato dal partito Hezbollah che conta su un elettorato del 50% della popolazione, dispone di  un esercito ben addestrato di ventimila uomini e trentamila riservisti  e di un arsenale missilistico inizialmente composto da missili obsoleti ( Zelzal 2 e 3) che grazie ad un ammodernamento artigianale, alla possibilità di lancio da mezzi mobili e al loro numero,  si ritiene possano distruggere il grosso delle infrastrutture israeliane concentrate su un territorio circoscritto e mescolate con la popolazione.

Si tratta di un dilemma che nessun governo può accettare. Israele, nato per difendere gli ebrei, sarebbe il solo paese in cui la loro vita sarebbe a continuo repentaglio.

L’ANTEFATTO

Rubricare come “organizzazione terroristica” un partito politico che prende il 50% dei voti alle elezioni politiche, non è stata la scelta più intelligente dell’amministrazione USA in un’area in cui scelte intelligenti non ne fa da almeno un trentennio.

Ma andiamo per ordine lasciando da parte il contenzioso palestinese che ci porterebbe ad allargare troppo questa esposizione e che è il convitato di pietra di ogni situazione in quest’area.

1Nel 1975 scoppiò a Beirut , per ragioni che non interessano in questa sede, una guerra tra i palestinesi rifugiati in Libano e una fazione politica locale che si allargò a tutte le componenti politiche  e tribali dell’area.

La guerra , durò fino al 1990 circa, fece centomila vittime e scosse dalla fondamenta quella che era la società più progredita e cosmopolita del mondo arabo. Ogni fazione si trovò degli sponsor politici e militari, ottenne sovvenzioni al punto che- in piena guerra- la lira libanese si apprezzò sul dollaro. L’esercito mantenne la neutralità ( che risultò preziosa per la ricostruzione della concordia nazionale)  e si assisté al paradosso che combatterono tutti tranne i soldati.

2 Presi dalla sindrome “ Fortress Israel” i militari di Tsahal immaginarono una operazione suscettibile di allargare i confini nord del paese spingendo via le popolazioni di confine  che non ostacolavano i guerriglieri palestinesi e le loro incursioni.

Obbiettivi strategici:  bonificare l’area, impadronirsi delle sorgenti del fiume Litani, liberare il fianco del Giabal Druso ( una setta eterodossa dell’Islam che collabora da sempre con gli israeliani al punto di fornire una brigata all’Esercito), mostrare di voler annettere il territorio del sud Libano ed eventualmente rilasciarlo in cambio di un formale trattato di pace.

L’operazione  lanciata nel 1982 chiamata “ Pace in Galilea” mirava anche  a dare sicurezza ai kibbutz della alta Galilea esposti ai blitz palestinesi, ebbe successo militare ma si risolse in un fallimento politico completo. Nessuno degli obbiettivi fu raggiunto, nemmeno parzialmente, anche per gli eccessi di violenza commessi come la strage di Sabra e Châtila.

https://corrieredellacollera.com/2012/09/18/obama-punisce-israele-sharon-ha-ordinato-e-voluto-la-strage-di-sabra-e-chatila-ingannando-gli-u-s-a-se-netanyau-non-lascia-obama-potrebbe-rincarare-la-dose-con-unaltra-accusa-terribile-l/

Israele si trattenne però una fascia frontaliera di dieci km facendo così nascere un movimento di resistenza non significativo da parte di una organizzazione caritativa già esistente chiamata Hezbollah e creata per scopi assistenziali da due religiosi, l’Imam Moussa Sadr e Monsignor Grégoire Haddad, cristiano di rito greco ortodosso.

Israele evacuò la zona a seguito di pressioni USA, ma Hezbollah si vantò – con mentalità tipicamente orientale- di essere all’origine della ritirata con le sue imprese.

Fu l’inizio della gestazione dell’Hezbollah che oggi conosciamo.

Negli anni, la  placida assistenza ai partigiani palestinesi, divenne azione  sistematica  fino al punto da indurre l’Esercito israeliano a progettare un’altra, più circoscritta, sortita  fuori della

“ Fortress Israel” per dare una lezione ai “contadini”. E questo fu il secondo errore di cui tratteremo più tardi.

La principale conseguenza della fine della guerra in Libano fu la cessazione degli aiuti finanziari da parte di tutti i partecipanti indiretti che avevano – con gli stipendi ai combattenti – sostenuto il corso della lira libanese.

Deflazione lampo e disoccupazione generale.

IL DOPOGUERRA

Unici a mantenere attivi, riconvertendoli,  i finanziamenti furono gli iraniani ( avevano piegato i francesi con un ennesimo attentato e questi si decisero a restituire 700 milioni del miliardo di dollari anticipato dallo scià per dotarsi di tecnologia nucleare che L’Ayatollah Khomeini aveva bollato come empia in una fatwa, e chiesto la restituzione dell’anticipo).

Isolati dagli USA a seguito dei noti eventi rivoluzionari, gli iraniani ruppero l’accerchiamento cercando di far leva sul proletariato sciita ed allargando il giro anche visivamente: cento euro al mese se Ali si fa crescere la barba ( segno di pietas), altri cento se tua moglie si mette il velo; duecento se obblighi  anche tua figlia a fare altrettanto….

Un padre di famiglia sbarcava il lunario e il partito di Allah ( Hezbollah) fungeva da ufficiale pagatore e beneficiario di una palpabile crescita di immagine che contrastava la narrativa dell’isolamento.

L’intesa politica, il controllo del partito da parte degli elementi sciiti, e la fornitura di armi furono le logiche conseguenze della intesa anti crisi.

Gli occidentali curavano l’élite e l’Iran il sottoproletariato.

L’élite viaggiava per il mondo e il sottoproletariato scavava bunker.

Quando gli israeliani, a seguito di un ennesimo sconfinamento con sparatoria, attaccarono credendo di fare una passeggiata militare di rappresaglia, dovettero ritirarsi con perdite e il generale di brigata israeliano comandante della spedizione, fu rimosso. Rimediarono con un bombardamento.

Fu cosi che Hezbollah passò dalla millanteria levantina al rango di unica potenza militare che aveva battuto gli israeliani in campo aperto.  Divenne, con un estorto consenso governativo, una sorta di Stato nello stato con l’incarico di gestire eventuali proxy war contro Israele senza coinvolgere il governo legale.

L’inizio della guerra in Siria – un altra guerra di aggressione esterna presa per guerra civile-  ha offerto a Hezbollah l’opportunità di rodare i suoi soldati e di agire di concerto ad altri volontari cristiani che sono intervenuti a sostegno dei cristiani di Siria minacciati fin nella decapoli dove risiedono dai tempi di Cristo di cui parlano ancora la lingua aramaica.

Furono i diecimila volontari di Hezbollah a liberare le colline del Kalamoun che riaprirono le comunicazioni tra Damasco e il Libano e determinarono l’esito delle battaglie in corso.

LA SITUAZIONE POLITICA ATTUALE

Sono in corso pressioni politiche, giornalistiche e finanziarie sul presidente della Repubblica, il generale Michel  AOUN  e su suo genero Gebran BASSIL ( fino a poco fa ministro degli Esteri) .

Le pressioni USA sul Libano mirano a costringere l’Esercito Libanese a confrontarsi con l’Hezbollah, che è più numeroso, più esperto, collaudato in combattimento e meglio armato ad onta delle dichiarazioni del generale Frank Mckenzie che da Washington incoraggia moderatamente allo scontro,  in supporto all’ambasciatrice che attribuisce la crisi monetaria sul cambio del dollaro  all’Hezbollah, dicendo però che gli USA sono pronti ad aiutare qualora Hezbollah venga “ allontanato dal governo”, il che è già stato fatto, istallando un governo tecnico giudicato però insoddisfacente.

La diplomatica da la colpa della crisi  “ alla corruzione praticata da decenni”. Questa dichiarazione è contraddittoria con la consapevolezza che il Libano, appunto per decenni,  è stato prospero al punto di essere definito “ la Svizzera del Medio Oriente” e con il fatto – noto a chiunque abbia letto un libro – che la corruzione impera nell’area – e non solo- da almeno due millenni, al punto di essere contemplata dal codice di Hammurabi.

LA SITUAZIONE MILITARE OGGI

LA MINACCIA A ISRAELE

Sembra che le modifiche artigianali ai vecchi missili iraniani ZELZAL 2 del costo di poche migliaia di dollari, consistano nell’inserimento di un sistema di guida cinese, l’adozione del navigatore  GLONASS , il GPS russo, in aggiunta a quello occidentale e un arsenale già pronto di circa 200 missili ribattezzati Fateh 100 siano all’origine dell’allarme rosso Israeliano.

Circa un anno e mezzo fa, una pioggia di missiletti lanciata in Galilea su località disabitate di Israele, ha permesso di capire che il sistema originale antiaereo “ Iron Dome” possa al massimo acquisire ed abbattere da 150  a 200 intrusi volanti su 250 lanciati contemporaneamente.

Valutazioni di Stato Maggiore attribuiscono a Hezbollah una capacità massima di lancio di poco più di mille missili in un giorno.

Inviarne 400 assieme metterebbe in crisi lo Stato maggiore  israeliano che sarebbe costretto a scegliere se difendere prioritariamente le infrastrutture strategiche ( la raffineria di Haïfa, gli aeroporti, l’impianto nucleare di Dimona, Il quartiere generale dell’Esercito, o le basi principali di Tsahal a Kyria o Tel Nof ,  Nevatim e Hatzor.) oppure la popolazione finora rimasta sostanzialmente indenne da urti militari importanti.

Gli israeliani valutano che la portata di 250 km , il carico esplosivo oscillante tra i 500 e i 900 kg, produrrebbero danni non riparabili anche quanto a sicurezza della popolazione esposta in gran parte alla tentazione di far uso della seconda nazionalità che molti hanno conservato. Israele mancherebbe alla sua missione di protezione degli ebrei sul suo territorio e la bilancia demografica, già sospettata di essere, deficitaria diverrebbe palesemente fallimentare.

Hezbollah ha insomma messo a punto un “ Game Changer” del quadro geopolitico.

Di qui l’esigenza di eliminare il pericolo per Israele e ristabilire l’equilibrio per gli USA.

LA TRAPPOLA DI TUCIDIDE

ISRAELE

La partita di scacchi in corso é così configurabile: Israele può scegliere di ricorrere alla sindrome “ Fortress Israel” – anche per distrarre dalla crisi economica interna, facendo passare in seconda fila l’annessione della valle del Giordano e  potenziando così la sua leadership- e organizzare una sortita nucleare contro l’Iran e/o contro Hezbollah, approfittando della fase pre elettorale americana (tutti i blitz iniziati dagli israeliani sono stati fatti in questa fase pre elettorale), ma pagherebbe un prezzo valutabile in 300/400 missili sui suoi obbiettivi vitali concentrati in un fazzoletto di territorio, col pericolo che i piloti al ritorno dalla loro missione rischierebbero di non ritrovare né la base di partenza e forse neppure la famiglia.

L’Iran si troverebbe, dopo uno scontro mortale, ad aver cavato le castagne dal fuoco all’Arabia Saudita, il suo rivale storico.

Lo scontro, non conviene a nessuno. Si ripeterebbe la certezza della MAD (Mutual Assured Destruction ) che animò la guerra fredda.

La soluzione del dilemma sembra essere stata stata individuata con la stessa logica del 1982 che ha portato al fallimento della operazione “ pace in Galilea”: costringere Il governo libanese a scontrarsi con Hezbollah chiedendo al governo di disarmarlo e cacciarlo dalla maggioranza di coalizione che governa il paese. ( Nasrallah,  il loro capo, non è un chierichetto e sa che la cacciata dalla maggioranza sarebbe solo l’inizio, quindi resisterebbe fin dal primo cenno).

IL LIBANO

Gli esiti grotteschi delle primavere arabe, l’indefinito protrarsi della guerra in Yemen,la “sirizzazione” della Libia, la penetrazione incruenta della Russia nel fianco destro della NATO, il ripudio delle organizzazioni internazionali promosse dall’America che tutti amavamo,  la perdita della leadership mondiale per gli innumeri errori in Medio Oriente  – e negli States col COVID e la questione razziale – hanno ridotto la credibilità e il prestigio di mediatori dei diplomatici e politici USA a livelli impensabili solo dieci anni fa.

Non potendo accettare tutte le “ istruzioni” ricevute, il Libano  ha trovato una soluzione di compromesso: fuori tutti dal governo che viene affidato a un tecnico assistito da tecnici.  Piiché i tecnici sono neutrali a favore o contro qualcuno, il problema si è riproposto e lo zio Sam ha applicato ala cura russa ( – 50% del rublo in due settimane)  e quella turca ( – 50 % del valore della lira turca in due settimane). Oggi  con la lira libanese si ottengono dollari a 10.000 contro uno; le banche concedono accesso limitato ai conti per 30 dollari al giorno e la popolazione ha il 50% di disoccupati, erogazione limitata di acqua e elettricità e scontri di piazza.

Le pressioni sul Presidente sono diventate attacchi personali e metà della popolazione attribuisce ogni colpa a Hezbollah, l’altra metà all’America.

L’ARABIA SAUDITA

Il regno sta affrontando – e perdendo- una guerra calda in Yemen e una fredda col Katar e l’Oman. Ha già perso la guerra di Siria ed è in preda a convulsioni interne a livello della élite e di famiglia reale, mentre l’”unrest” di Al Kaida e della provincia est sciita a influenza iraniana.

Far tornare al potere Saïd Hariri  – il premier libanes che ha scatenato lo show-down con le sue dimissioni che avrebbero dovuto essere brevi e vittoriose – è per il Crownprince un affare di vita o di morte. Nella sua ottica malata, Mohammed ben Salman ha bisogno che il LIbano firmi la pace con Israele per poi poterla firmare anche lui è dare il via al piano Marshall per la penisola araba che dovrebbe portare alla pace generale  per tutti e lui al trono di Riad.

Ha un sistema di sicurezza impeccabile, ma la perfezione non è di questo mondo.

GLI USA

Anche Trump e Pompeo devono affrontare un difficile dilemma :

1: continuare a bulleggiare  selvaggiamente con sistemi di macelleria sociale – il Libano, forti dell’ottenuto, complice, inspiegabile, silenzio Vaticano- un piccolo paese che ha creato l’alfabeto e il commercio internazionale, da sempre amico dell’Occidente che ospita pacificamente un numero di profughi pari alla propria popolazione e sul quale si scaricano tutte le tensioni del Levante.

2: aiutare Israele a capire che è il momento di uscire dalla “Fortress Israel” con tutte le garanzie di una mediazione internazionale decisa e con le idee chiare di cui gli USA siano primi tra pari.

3: Affrontare l’aléa di una ennesima guerra in cui potranno annientare l’Iran e il Libano, ma il loro alleato israeliano subirà tutti i colpi e regnerà su un cimitero.

LA SIRIA

Esausta e vittoriosa  deve fare i conti con l determinazione USA che insiste nelle sanzioni e nell’aiuto a curdi e turchi per tenerla occupata e ha rincarato la dose inserendo la moglie di Assad- ASMA- nella lista dei criminali d punire con le sanzioni. Lei che pochi mesi fa è uscita da una feroce lotta contro il cancro ed è sempre stata lontana dalla politica e vicina al marito.

La viltà di questo atteggiamento mostra quanto gli USA siano disperati e a corto di idee: peggio di una battaglia perduta contro una fragile donna che aveva rifiutato le migliori cure russe pur di non lasciare il suo popolo e suo marito. La Siria distrutta nelle infrastrutture e nel commercio, ha ancora carte da giocare: dai rifornimenti a Hezbollah, ai tunnel segreti per entrare in Israele e al finanziamento di una intifada ben più cruenta in caso di annessione della valle del Giordano.

HEZBOLLAH

E forte nel suo territorio; rispettato da tutti perché “ fa quel che dice e dice quel che fa”,

In caso di attacco potrà contare sull’appoggio diretto di Iran e Siria e quello indiretto di Cina, Indonesia e Russia, ma anche dei palestinesi della striscia di Gaza e in una Intifada palestinese .

Ma sopratutto nei missile FATEH 100 e nel coltello che ogni arabo sa manovrare con maestria specie nelle notti senz luna.

Intanto il Libano, preda di stupidi privi di scrupoli, Domanica 5 luglio si farà sentire : tutti i libanesi alle sette ora Italia e nove ora di Beirut, in contemporanea su Facebook, you tube e in tutte le TV locali faranno sentire a tutto volume la loro voce di resistenza. Sintonizzatevi su

https://www.facebook.com/BaalbeckInternationalFestival/live/

Oppure

https://www.youtube.com/watctch?v=KQ0K8UE651E&feature=YouTube.be 

PRIMA GLI SPAGNOLI, POI I GRECI ED ORA I TURCHI, di Antonio de Martini

PRIMA GLI SPAGNOLI, POI I GRECI ED ORA I TURCHI

L’Italia sta scendendo gradino dopo gradino, nella gerarchia dei paesi mediterranei.
Adesso dobbiamo abbracciare con gratitudine tunisini e albanesi perchè ci permettono – ancora per poco- di non essere gli ultimi nella considerazione dei rivieraschi.
A fronte di tanta inattività, col nostro ministro degli Esteri che va in Svizzera a invitarli a venire in vacanza da noi, la Turchia di Erdogan , dopo averci sostituito di fatto nel Levante e nel Golfo, ci sta emarginando dal Nord Africa e non solo dalla Libia.
Questo attivismo bellicoso, ma non belligerante, di Erdogan sta non soltanto aprendo spazi commerciali e politici nuovi alla Turchia in tutta l’Africa, ma mette in crisi anche tedeschi e francesi che credevano di potersi approfittare dell’assenza italiana – in parte agevolata da loro- e si trovano di fronte un paese ben più difficile, deciso a trovare il suo posto al sole fottendosene dei vincoli NATO, delle buone maniere e degli usi internazionali.

In questa epoca di, nella migliore delle ipotesi castrati, chi non ha paura di combattere ha già vinto, specie se pensa di aver ragione e se il 70% dei suoi cittadini si dichiara disposto a combattere per la Patria ( contro il 20% degli Italiani e il 19% dei tedeschi e francesi, Pew research dixit).

COSA FANNO E DOVE

IRAK
Le FFAA turche, addestrate e largamente equipaggiate dagli USA, sono in questo momento impegnate nel Nord Irak nella repressione degli sconfinamenti dei curdi del PKK verso l’Irak.
Hanno ormai consolidato il diritto all’inseguimento oltre frontiera e guardano sempre più verso la zona petrolifera di Mossul che – a rigor dei termini armistiziali del 1918 – non avrebbe dovuto essere occupata tre giorni dopo il cessate il fuoco dalle truppe inglesi.
Al generale Ihsen Pascià, la sua remissività nel non ricacciarli indietro è stata rimproverata fino alla morte avvenuta negli anni settanta. Must afa Kemal che buttò a mare francesi e greci, si vide offrire la guida del paese.

SIRIA
Anche l’hinterland di Alessandretta con Idlib ( e guardando ad Aleppo) è occupato dalle truppe turche, la lira turca ha già sostituito la fragilissima lira siriana e le bande anti-Assad vivono grazie ai rifornimenti centellinati dal MIT ( il servizio segreto turco) e sono protetti dalle incursioni aeree russe dal mega contratto delle batterie antiaeree russe AS400 che i turchi stanno testando e che ogni tanto frenano nell’addestramento. Per i russi la Turchia vale molto di più che lo stremato Assad: sono in ballo gli stretti di accesso al Mediterraneo e l’intero fianco destro dell’alleanza Atlantica. Per averne una neutralità benevola sono disposti a tutto e di più.

CIPRO

Nel Mediterraneo, i turchi presidiano – anche qui con qualche ragione le acque di Cipro Nord occupata da Bulent Ecevit , il leader socialdemocratico costretto a reagire al colpo di mano annessionista dei colonnelli greci che caddero per via di quella reazione turca osannata come salvifica e democratica da tutta la NATO.
Inoltre , quando l’Inghilterra si impossessò dell’isola, nel Congresso europeo del 1878 – per un colpo di ipocrisia non nuovo per Albione- fu riconosciuta la sovranità turca su Cipro.
Ora che c’è il petrolio e il gas, farebbe comodo a tutti trattare coi ciprioti piuttosto che coi turchi che hanno tariffari più consistenti. Ma anche questo è un dossier aperto con le baionette.

KATAR
Una brigata turca si è sistemata di guarnigione in Katar a protezione ostentata del regnante e in funzione deterrente verso i sauditi.
In Libia, dove L’inutile Serraj – riconosciuto dalla comunità internazionale- fece appello alla NATO che aveva detronizzato Gheddafi per reagire contro l’auto promosso “ Maresciallo “ Haftar , un incapace già rimosso dal comando dal precedente regime riparator in VIrginoia accanto alla sede CIA

MAR ROSSO
Un presidio di una compagnia circa Erdogan lo ha installato su uno scoglio-isolotto appartenente al Sudan in mezzo al mar rosso: anche lui può influire sulla fluidità del traffico marittimo. L’aiuto datoci nella vicenda somala della giovane Italian rapita, dimostra che l’influenza turca ci h sostituito anche in Somalia e forse anche a Gibuti di cui non sono informato, ma…

LIBIA
Il premier libico riconosciuto dalla comunità internazionale, Serraj, fece a suo tempo appello ai paesi della NATO per reagire all’aggressività di Haftar – il’autonominato Maresciallo- che cercava di impossessarsi di tutto il bottino e faceva il prezioso con il nostro presidente del Consiglio Conte.
L’unico a rispondere positivamente – senza fingere equanimità impossibili nelle diatribe tra ladroni- è stato, ancora una volta Erdogan: ha firmato un “ memorandum of understanding” , ha fornito addestratori e volontari e sta rifornendo di armi Serraj facendole scortare dalla marina turca.
E’ stato così che si sono scoperti gli altarini della Francia che finge di partecipare lealmente alla operazione “ Sea Guardian” per proibire l’import di armi verso i belligeranti libici ( in realtà russi contro turchi con chaperons libici di contorno).

La nave battente bandiera tanzaniana , il “ Cirkin” , lascia l’Egeo con rotta il porto tunisino di Gabes. Il comando NATO ( Marco) lo reperisce , nota il cambiamento di rotta verso il golfo di Sirte e alle navi ( notate) greche e francesi che lo intercettano chiedendogli l’identità, il battello – scortato da due fregate turche- risponde di essere NATO.

La fregata francese “ Courbet” che mostrava di voler intervenire – la Francia si è schierata con Haftar e non da oggi- ha tentato l’intercettazione, ma è stato bloccato dalle fregate turche che hanno “ illuminato” coi loro radar di puntamento la nave francese per ben tre volte e messo gli uomini ai posti di combattimento. Il battello greco si è ben guardato dall’intervenire.

Ora la situazione è chiara : la NATO è divisa tra le due fazioni libiche a seconda degli interessi di ciascuno e la Turchia fa i propri interessi, ma anche stavolta in accordo con le determinazioni ONU ( come per il caso di Gaza).
Dei cinque dossier in ballo tutti hanno al centro risorse energetiche di cui la Turchia ha bisogno per assurgere al rango di potenza regionale in Asia, in Africa o nel Mediterraneo.
Da sola dovrà lottare ancora a lungo e con incerto risultato. Se appoggiata politicamente e strategicamente ( ah, la geografia e la tecnologia) dall’Italia, ogni traguardo diventa possibile e ogni contropartita accettabile da pagare.

Lo stesso accadde a Mustafa Kemal , Ataturk, che per riemergere dalle rovine del Califfato sconfitto, tra il 19 e il 23 si appoggioò strumentalmente alla Russia sovietica e all’Italia premussoliniana rappresentata da Sforza. E tutti i paesi coinvolti sono nostri amici/clienti preferenziali.

Attualmente impieghiamo all’estero più truppe e navi della Turchia ( Libano, Sinai, Afganistan, Libia e entità minori) in cambio di qualche pacca sulla spalla, mentre Germania e Francia stanno pigiando senza vergogna sull’affare Regeni per guastarci anche con l’Egitto che proprio ieri ha – come dice pudicamente il “ Corriere della sera” “varcato il Rubicane.” Solo che stavolta si tratta di un fiume di petrolio.

Libano e Vicino Oriente, con Antonio de Martini

Torniamo ancora una volta a discutere di Vicino e Medio Oriente con Antonio de Martini. L’attenzione questa volta è centrata integralmente sul Libano. Un paese dove sono presenti tre comunità religiose principali che riuniscono la maggior parte dei clan in cui è suddiviso. Dopo l’Iraq e la Siria l’attenzione e le mire dei paesi di quella zona e dei loro tutori si stanno concentrando sul paese dei cedri. Il rischio che il Libano possa ricadere nella guerra civile che lo ha sconvolto trenta anni fa è concreto, visto che le rivalità interne spingono le varie fazioni a rafforzare i legami con i propri referenti esterni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

ATTACCO AL LIBANO. POI A CHI ?, di Antonio de Martini

ATTACCO AL LIBANO. POI A CHI ?

Mi pare che la gente non accetti di rendersi conto che esistono verità che non siamo in grado di conoscere e che la scienza ha limiti di ignoranza e presunzione non ancora raggiunti, ma già ragguardevoli.
Particolarmente isterichiti da questa prospettiva, gli “intellettuali”, ( def. persone che hanno ricevuto una educazione superiore alla loro intelligenza) da sempre affannati a chiedersi il significato della vita e adesso a cercare di trovare un significato all’epidemia.

C’é chi la vede come una cospirazione della élite mondiale, chi come un esperimento globale e inumano, chi come una opportunità di apportare una serie di cambiamenti epocali impossibili in presenza di società non destabilizzate.
Qualcuno ci proverà ad accentuare la destabilizzazione in atto, altri a suggerirla, altri ancora a pensare di approfittarsene per restaurare l’antico ordine.

L’unico che mi sembra abbia mantenuto un passabile controllo dei nervi e della mente è Emanuele Macaluso che in una intervista ha detto di non scorgere. un orientamento al cambiamento – che non vede- in nessuna forza politica.
Aggiungerei nazionale.

Sul piano internazionale, le cose stanno diversamente.
Il duo Stati Uniti-Israele stanno mettendo in atto una serie di azioni di disinformazioni massicce in funzione anti cinese gli uni e pro domo sua gli altri. Gli esempi dell’ultima settimana basterebbero a riempire un hard disk.

L’unica strada in comune è la strategia di disinformazione che però biforca: Gli USA con la loro caratteristica filosofia pragmatista vogliono ridimensionare la Cina togliendole mercati e investimenti da riportare a casa, finire di distruggere quel che resta della influenza iraniana nel Vicino Oriente e assistere con finto disinteresse allo sfascio della Unione Europea.

Israele mira ad assumere il ruolo di subappaltatore degli USA nell’area MEME ( neologismo creato da me: Mediterraneo e Medio Oriente).
Per fare questo ha mosso parecchie pedine, ma incontrato ostacoli imprevisti come, ad esempio, Erdogan che sta riavvicinandosi agli Stati Uniti e la Merkel che ha deciso di impuntarsi definendo al Bundestag l’Unione Europea “ una ragion di Stato per la Germania”. Si è inoltre appoggiata alla traballante dinastia saudita con la quale contava istaurare una collaborazione di antichissima memoria ( trascurando però il fatto che i sauditi non discendono da Maometto e loro non sono i Khaibari).

Dopo la Libia, lo Yemen, L’Irak, la Siria, l’Afganistan e la Somalia, questa pericolosa coppia, sta preparando l’assalto al bastione di Hezbollah e per fare questo sta premendo brutalmente sul Libano.
Secondo questo piano, il governo dovrebbe estromettere Hezbollah (50% alle ultime elezioni)dalla governance ( già fatto in parte ma con un governo tecnico) poi disarmare la milizia sciita ( che è più grande e meglio armata dell’esercito libanese ed ha esperienza di guerra vittoriosa in Siria).

Al momento hanno attaccato la lira libanese come fecero tre anni fa col rublo (- 50%)e con la lira turca (-50%) – cosa di cui Trump si è vantato nella lettera a Erdogan resa pubblica) , provocando una crisi senza precedenti nel piccolo paese già oberato da una presenza di profughi pari alla popolazione e dando la colpa all’Hezbollah che, secondo la propaganda locale, avrebbe rastrellato i dollari per distruggere il paese in cui vive rafforzando il dollaro…..

Altro argomento chiave è la solita “lotta alla corruzione” che detta nel paese dei fenici – corrotto, come l’Italia da almeno duemila anni – farebbe sorridere se non fosse per la martellante capillarissima propaganda che ne ha fatto un articolo di fede.

Si tratta, mutatis mutandis, di una replica – con mezzi non ancora militari- della operazione “Pace in Galilea” fallita nel 1982 e che diede vita alla militarizzazione di Hezbollah nella zona occupata da Israele, che prima di quella guerra era una organizzazione di soccorso caritativo creata da Moussa Sader e dal Vescovo Gregoire a sostegno della fascia sciita che era la più povera del paese.

Questo obbiettivo prevede un progressivo indebolimento di Hezbollah, se possibile uno scontro tra Esercito LIbanese e la milizia sciita e poi l’attacco finale israeliano. Tanta cautela si è resa necessaria perché temono uno scontro diretto da cui già una volta sono usciti malconci.

Nella campagna per la ghettizzazione dell’hezbollah, stanno ricopiando , passo per passo, la tecnica nazista di dare la colpa di ogni male a una minoranza religiosa come accade in Germania negli anni trenta.
Hanno imparato la lezione a memoria, solo che – a parte il grottesco di accusare l parte più misera della popolazione di speculazioni finanziarie internazionali- non si tratta di una minoranza e sono armati fino i denti e pare siano in grado di bombardare intensamente Tel Aviv penetrando il sistema di difesa antiaerea israeliano.
Di qui l’imperativo di un attacco dell’esercito libanese che contrasti una reazione missilistica.
Come pensare di arricchire puntando ai cavalli.

Peculiarità, di Antonio de Martini

m’aggio accattat’ a jurnata

Ieri ho liquidato in maniera scortese un lettore che mi chiedeva di spiegare perché a Napoli il Coronavirus è stato contenuto e nella meglio attrezzata Milano, no.

Succede quando devi rispondere a due/trecento notifiche e messaggi personali in un giorno e sei arrivato a sera.

Ora che é mattina, cerco di spiegare questa differenza tra Milano e Napoli che negli ultimi quattro giorni ha registrato un numero di decessi uguale a zero.

1) i partiti. A Milano le differenze politiche tra sindaco, regione e governo hanno occupato politici e giornalisti che hanno trascurato le esigenze reali.facevano interviste.

A Napoli, un sindaco ( e anche un presidente di regione) battitore libero hanno prestato immediatamente orecchio ai medici, tra i quali lo “ scopritore del vibrione” di cui ora non ricordo il nome.
Gli ordini non sono stati contestati da oppositori preconcetti. La quarantena qui é una tradizione.

2) l’intelligenza critica e vivace dei napoletani abituati ad arrangiarsi e a vedere con garbato scetticismo le “ linee guida” di enti distanti, ha fatto si che ci si industriasse a trovare una cura e non a sperare in un vaccino. La Magna Grecia ha reagito come la Grecia: immediatamente.

3) Napoli e la zona vesuviana hanno la densità di popolazione di Hong Kong o quasi. Il distanziamento e stato attuato semplicemente accentuando di poco le distanze e alcune profilassi erano gia in voga. Mentre la Confindustria ha visto nella Pandemia una occasione per bussare a cassa, la Camorra ha collaborato con le forze dell’ordine perché non poteva sperare in indennizzi.

4)il primo segnale nazionale di lotta contro il virus è venuto dall’ospedale Cutugno con l’uso di farmaci antiartrite. In contrasto con le direttive nazionali e internazionali che bandivano gli antinfiammatori.
Il medico napoletano come curatore del malato e non della malattia.

5) lo spirito ironico e tollerante e la naturale empatia partenopea, il fatalismo esistenziale, hanno certo contribuito più di altre caratteristiche a mantenere forte l’animo e predisporlo psicologicamente a reagire al male. Sia i malati che gli operatori.

6) l’essere resilienti a espellere nonni e genitori dal nucleo familiare ha limitato il numero dei focolai che hanno falcidiato il nord.
E ogni mediocre intelligenza medica ha capito che i malati « infettivi » non andavano mischiati con gli altri.

7) Sole e Mare hanno certamente aiutato a sintetizzare la vitamina D di cui tutti i morenti sono risultati carenti.

8.) Nel Napoletano famiglia e amici precedono il lavoro nelle priorità dell’individuo.
Il motto partenopeo é « m’aggio accattato a jurnata » : ho di che sfamare la famiglia per oggi; smetto e mi dedico ai miei affetti e hobbies o al riposo. Fiducia nella provvidenza e sistema immunitario al meglio.

Per capire appieno quel che vorrei esprimere, ma sento di non riuscirvi appieno, consiglio di leggere le pagine dedicate a Napoli da Goethe nel suo viaggio in Italia.

Lui scriveva meglio di me e non era intontito da 36 notti di galera.

Insomma, i napoletani sopravvivono, perché hanno capito i valori veri dell’esistenza e per definire il lavoro hanno un termine spettacolare: a fatica.

Ditemi voi perché dovrebbero morire anzitempo. Non é questione di razza superiore caro Giacomo Crasti , ma di sapere mettere al posto giusto affetti, lavoro, amori e ambizione, perché la vita ama chi la ama.

le nuove strade aperte dal coronavirus, con Antonio de Martini

La conversazione è lunga; la segregazione in casa aiuterà certamente all’ascolto. Il titolo è un po’ paradossale. Il resto lo farà la pacatezza delle argomentazioni offerte da Antonio de Martini. E’ tempo di scelte. Dall’esterno le pressioni, le sollecitazioni a compierle si intensificano. Ad un quadro sempre più dinamico si contrappone una classe dirigente tremebonda ed arruffona, abbarbicata all’attesa e alla conferma di vecchi schemi e sistemi di relazione ormai deleteri. La crisi epidemica in corso si sta rivelando un vero e proprio acceleratore delle dinamiche in corso della geopolitica, quindi anche della geoeconomia. Una posizione di attesa o, nel peggiore dei casi, abbarbicata agli schemi classici della diplomazia e delle relazioni internazionali è il modo migliore per un paese di diventare oggetto piuttosto che protagonista. Rimane, purtroppo, la cieca propensione della nostra classe dirigente. Ne discutiamo con Antonio de Martini. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 

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