Terrorismo in Pakistan, un “imprevisto” per la Via della Seta di Pechino, di Giuseppe Gagliano

Un articolo che evidenzia opportunamente che la dinamica multipolare prosegue per vie incerte e problematiche non solo per la competizione tra i soggetti più importanti e potenzialmente egemoni, ma anche per le contraddizioni e le dinamiche politiche interne ai territori oggetto di penetrazione. L’articolo parla di Pakistan e accenna alle Filippine e all’Indonesia; ma anche in Africa emergono ormai situazioni simili. Sino ad ora la Cina, sulla base delle sue stesse radici culturali e di cultura politica e dell’assenza di un apparato militare e in parte diplomatico capace di proiezione esterna, ha privilegiato il rapporto diretto con le autorità locali sino a ritrarsi in situazioni di estrema precarietà politica ed istituzionale. Per il futuro, molto dipenderà dalla dinamica di competizione con gli Stati Uniti. Non a caso la diplomazia cinese è ancorata ad una visione delle relazioni internazionali ancora esente, almeno formalmente, da un sistema di alleanze stabili, così come propugnata dal mondo occidentale.

Del resto le fortune e il grande successo della Cina è dovuto, sino ad appena pochi anni fa, alla capacità della sua classe dirigente di sfruttare gli spazi offerti dalla globalizzazione così come disegnata dalle élites statunitensi. I problemi di competizione ostile esplicita si sono manifestati negli ultimi sette anni e disegneranno la conformazione multipolare con tratti inediti rispetto ad analoghe fasi nel passato, vista la profonda compenetrazione economica tra Cina e Stati Uniti, dalla quale sarà particolarmente problematico districarsi. Vero è che la compenetrazione economica non è necessariamente sinonimo di coesistenza geopolitica relativamente pacifica; certamente condizionerà gli aspetti conflittuali di essa, anche i più estremi. E’ altresì sempre più evidente che non solo conta l’azione e l’influenza esterna nelle dinamiche di un paese, ma che sono le classi dirigenti e i centri politici locali che sfruttano gli apporti esterni nei loro conflitti e rapporti cooperativi interni. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Per sviluppare il suo progetto della Nuova via della Seta, la Cina ha stretto un accordo col Pakistan che calpesta e impoverisce la regione del Belucistan

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Autobomba (LaPresse)

Davvero la sinergia tra la Cina e i Paesi dell’Asia meridionale non presenta difficoltà di alcun genere? Se è vero che la collaborazione tra Cina e Pakistan nel contesto del China-Pakistan Economic Corridor (Cpec) è un progetto di punta della Bri (Nuova Via della Seta) che collega la Cina al porto di Gwadar sull’Oceano Indiano, guardando con attenzione la cartina  geografica non dobbiamo dimenticare che Gwadar si trova nel Belucistan, la più grande provincia del Pakistan e sede di violente insurrezioni.

Ci sono un totale di 42 progetti in Cpec in più settori. Finora ne sono stati completati solo nove, tutti nel settore energetico. È vero certamente che le relazioni bilaterali sono positive, considerando che l’oligarchia militare pachistana controlla la politica estera del proprio Paese e quindi non ci possono essere mutamenti tali da inficiarne  l’autorevolezza e i privilegi. Ma è anche vero che a causa dell’inettitudine del regime di Imran Khan in Pakistan, del disaccordo sulla tabella di marcia tra i due Paesi e della fragilità politica, il Cpec ha dovuto affrontare rallentamenti significativi negli ultimi quattro anni.

Ma esiste anche un’altra minaccia forse ancora più significativa: il 26 aprile infatti sono stati uccisi tre docenti cinesi durante un attacco suicida vicino all’Istituto Confucio che si trova all’Università di Karachi. Questo attacco terroristico è stato rivendicato da un gruppo separatista e terrorista noto come Baloch Liberation Army. Un attacco sporadico? Al contrario. Infatti questo drammatico incidente non è altro che uno degli svariati attacchi contro i lavoratori cinesi da parte di questo gruppo di separatisti.

Non dobbiamo dimenticare che il Belucistan condivide un onere sproporzionato dei progetti Cpec, fornendo il 62% della terra, compresa la costa di Gwadar, ma riceve i minori benefici dall’impresa. Dei progetti da 62 miliardi di dollari, il Belucistan ottiene solo il 4,5% del budget. Al contrario, il confine orientale del Paese, relativamente sviluppato, le province del Sindh e del Punjab, ottengono le autostrade e i progetti più redditizi attraverso il Cpec.

Cosa ha a che fare tutto ciò con i separatisti? L’esistenza di una iniqua distribuzione dei benefici non sta facendo altro che alimentare disordini sociali proprio tra la popolazione del Belucistan. Questo infatti ha posto in essere una vera e propria campagna di protesta contro le politiche di sfruttamento da parte del  governo federale. Accuse infondate? Per nulla. Sui 21 miliardi di dollari di “progetti energetici prioritari”, c’è solo un progetto in Khyber Pakhtunkhwa del valore di 1,8 miliardi di dollari e due in Belucistan (del valore di 1,3 miliardi di dollari). I partiti politici del Belucistan e del Khyber-Pakhtunkhwa affermano che mentre le loro risorse vengono utilizzate, i benefici maturati vanno principalmente alle altre due province.

Nel 2018 l’Assemblea del Belucistan ha approvato una risoluzione in cui esortava il governo federale a costituire una commissione nazionale per definire “l’ingiusta distribuzione di progetti e fondi nell’ambito del Cpec”. Tuttavia questo non è servito a cambiare le  scelte del  governo federale. Ma esistono altri problemi: quando la Cina ha affittato il porto di Gwadar a una società statale cinese per 40 anni, aveva promesso che questa città portuale sarebbe diventata un’altra Singapore, cioè una Singapore del Pakistan, ma in realtà la popolazione del Belucistan accusa i cinesi di scarsità di cibo, di acqua, elettricità e questo ha indotto migliaia di persone a organizzare proteste. Ma queste proteste sono anche legate alla presenza di pescherecci illegali cinesi nelle acque vicine, che vengono visti dalle popolazioni come una minaccia per la sussistenza locale.

I problemi non sono certamente finiti: noi sappiamo che gli investimenti cinesi sono secretati e che le operazioni finanziarie cinesi sono nella maggior parte dei casi opache, escludendo di fatto i funzionari  provinciali del Belucistan dal processo decisionale. Cosa hanno fatto le autorità federali per risolvere queste problematiche? Hanno attuato una dura repressione non facendo altro che esasperare l’etnia baloch del Belucistan. A questo riguardo non sorprendono le denunce fatte da Amnesty International sul fatto che il governo federale pachistano abbia non solo represso i legittimi dissensi sociali, ma abbia addirittura attuato sparizioni forzate nei confronti di studenti, attivisti e giornalisti e più in generale difensori dei diritti umani.

Insomma  i gruppi ribelli beluci vedono il Cpec come un’impresa imperialista, vogliono cacciare gli investitori cinesi e proprio per questo i gruppi terroristici stanno aumentando gli attacchi ai lavoratori cinesi per spingerli a lasciare il Belucistan.

Queste problematiche non sono localizzate solo in Pakistan. Lo dimostra ad esempio il progetto Chico River Pump Irrigation Project (Crpip) della Bri, che si trova nella provincia di Kalinga nelle Filippine e presenta gli stessi problemi.

Un altro caso è l’Indonesia Morowali Industrial Park (Imip) che ha sfruttato le divisioni etniche tra la forza lavoro indonesiana. Insomma la Bri ha esacerbato le divisioni etniche esistenti nei Paesi ospitanti, grazie alla preferenza della Cina a trattare esclusivamente con coloro che detengono posizioni di potere. Quando si prende in considerazione la Bri bisogna  allora considerare attentamente l’impatto che questo progetto ha sull’aspetto etnico e in generale sulla società civile.

https://www.ilsussidiario.net/news/scenari-terrorismo-in-pakistan-un-imprevisto-per-la-via-della-seta-di-pechino/2352287/?fbclid=IwAR0bwYzgIWHnglzmQx4mJNGmUUcIUx4iLGjsfBaJcZspHpLutwYJYvsg0ww

Come finirà la guerra…  di gilbertdoctorow 

Come finirà la guerra…

È stata mia regola non unirmi alla stragrande maggioranza dei miei colleghi commentatori politici sulla linea di mischia in sterili dibattiti sull’unico argomento del giorno, settimana, mese che ha attirato la loro piena attenzione. I loro dibattiti sono sterili perché ignorano del tutto alcuni parametri della realtà in Russia e in Ucraina. Per loro, l’ignoranza è beatitudine. Non si muovono dalle loro poltrone né cambiano canale per ottenere informazioni dall’altra parte delle barricate, cioè dalla Russia.

Violerò questa regola fondamentale e solo per questa volta mi unirò al dibattito su come finirà l'”operazione militare speciale” della Russia. Quasi tutti i miei colleghi dei media e del mondo accademico occidentali forniscono letture basate sulla loro certezza condivisa sull’ambizione militare e politica della Russia dall’inizio dell'”operazione”, su come la Russia abbia fallito sottovalutando la resilienza e la professionalità dell’Ucraina, su come Putin deve ora salvare la faccia catturando e trattenendo una parte dell’Ucraina. L’argomento del disaccordo è se alla fine della campagna i confini torneranno allo status quo prima del 24 febbraio in cambio della neutralità ucraina o se i russi dovranno rinunciare completamente alle pretese sul Donbas e forse anche sulla Crimea.

Per quanto riguarda i commentatori nell’Unione Europea, c’è un’esagerata indignazione per la presunta aggressione russa, per ogni possibile revisione dei confini europei sanciti dall’Helsinki Act del 1975 e il successivo impegno di tutte le parti all’inviolabilità territoriale degli Stati firmatari. C’è puzza di ipocrisia da questa folla nello stesso momento in cui trascura ciò che ha fatto nella decostruzione della Jugoslavia e, in particolare, nel distacco del Kosovo dallo stato della Serbia.

Cito tutto quanto sopra come sfondo di ciò che vedo ora in corso nella vita politica russa, vale a dire una discussione aperta e vivace sull’opportunità di annettere i territori dell’Ucraina appena “liberata” dalle forze delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk con la decisiva assistenza dell’esercito russo. Per ammissione del presidente Zelensky ieri, questi territori ora rappresentano il 20% dello stato ucraino come era configurato nel 2014.

Nelle ultime settimane, quando la Russia ha concentrato i suoi uomini e il suo materiale sul Donbas e ha iniziato a ottenere vittorie decisive, in particolare in seguito alla presa di Mariupol e alla capitolazione dei combattenti nazionalisti nel complesso dell’Azovstal, importanti funzionari pubblici della DPR, la LPR e l’oblast di Kherson hanno chiesto una rapida adesione delle loro terre alla Federazione Russa con o senza referendum. A Mosca, i politici, compresi i membri della Duma, hanno chiesto lo stesso, sostenendo che il fatto compiuto potrebbe essere raggiunto già a luglio.

Tuttavia, come vedo e sento nei talk show politici e persino nei semplici reportage politici sulle radio tradizionali russe come Business FM, è emersa una controargomentazione. Quelli da questa parte si chiedono se è probabile che le popolazioni delle potenziali nuove parti costituenti della RF siano fedeli alla Russia. Chiedono se c’è davvero una maggioranza filo-russa nella popolazione in caso di organizzazione di un referendum.

Tutto questo è molto interessante. È sicuramente una continuazione del dibattito interno a Mosca nel 2014, quando fu presa la decisione di concedere alla Crimea l’ingresso immediato nella RF negando le richieste di un trattamento simile da parte dei leader politici delle oblast di Donbas.

Tuttavia, ci sono sicuramente altre considerazioni che pesano sul Cremlino che non ho visto finora andare in onda. Si possono paragonare alle considerazioni della Francia dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando si parlava della possibile riunificazione della Germania. Osservatori arguti dissero all’epoca che al presidente Mitterand piaceva così tanto la Germania da voler continuare a vederne due. Oggi Vladimir Putin potrebbe piacere così tanto all’Ucraina e ai suoi fratelli slavi da volerne vedere tre o quattro.

Per essere precisi, fin dall’inizio la questione numero uno per Mosca all’inizio della sua avventura militare in Ucraina è stata geopolitica: garantire che l’Ucraina non venga mai più utilizzata come piattaforma per minacciare la sicurezza dello Stato russo, che l’Ucraina non diventi mai un Membro della NATO. Possiamo tranquillamente presumere che la neutralità dell’Ucraina, garantita e controllata a livello internazionale, farà parte di qualsiasi accordo di pace. Sarebbe ben supportato da una nuova realtà sul campo; vale a dire ritagliandosi diversi mini-stati amici della Russia e dipendenti dalla Russia nell’ex territorio dell’Ucraina orientale e meridionale.

Se Kiev è obbligata a riconoscere l’indipendenza di queste due, tre o più ex oblast come richiesto dalle loro popolazioni, questa è una situazione pienamente compatibile con la Carta delle Nazioni Unite. In una parola, la decisione del Cremlino di non annettere parti dell’Ucraina al di là della Crimea, da tempo tranquillamente accettata da molti in Europa, preparerebbe la strada per un graduale ritorno delle relazioni civili all’interno dell’Europa e anche, eventualmente, con la Stati Uniti

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/06/03/how-the-war-will-end/

Kissinger e la lotta per la Russia, di Timofei Bordachev

Il recente discorso di Kissinger a Davos continua ad alimentare un importante dibattito, ancora una volta per lo più negletto in Italia. Il conflitto in Ucraina viene indicato ormai un punto di svolta delle dinamiche geopolitiche successive all’implosione della Unione Sovietica. In realtà è uno dei punti di precipitazione di un processo conclamato con il discorso di Putin alla conferenza di Monaco del 2007, in realtà avviato, anche nel suo significato profondamente simbolico, con il ritorno a mezza strada in volo a Mosca dell’allora Primo Ministro di Russia Primakov al momento dello scoppio della guerra della NATO alla Serbia. Contestualmente ai numerosi tentativi di recupero di un sistema accettabile di relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa, Putin da almeno dieci anni ha cercato alternative sino a pervenire ad una scelta ormai definitiva. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Nel caso in cui la fase acuta del conflitto in Ucraina si riveli davvero molto lunga, come pare sia il caso, allora le elementari necessità di sopravvivenza costringeranno la Russia a liberarsi di ciò che la lega all’Europa. Valdai Club Program Direttore Timofei Bordachev .

Nel caso in cui il conflitto crescente dentro e intorno all’Ucraina non porti a conseguenze irreparabili su scala globale nel prossimo futuro, il suo risultato più importante sarà una demarcazione fondamentale tra Russia ed Europa, che renderà impossibile mantenere una neutralità anche in zone insignificanti e comporterà una sostanziale riduzione dei legami commerciali ed economici. Il ripristino del controllo sul territorio dell’Ucraina, che, molto probabilmente, dovrebbe diventare un obiettivo a lungo termine della politica estera russa, risolverà il principale problema della sicurezza regionale: la presenza di una “zona grigia”, la cui gestione diventa inevitabilmente l’oggetto di un confronto pericoloso dal punto di vista della progressiva tensione. In questo senso possiamo contare su una certa stabilizzazione nel lungo periodo, anche se non si baserà sulla cooperazione tra le principali potenze regionali. Tuttavia, è già evidente che la strada per la pace sarà abbastanza lunga e sarà accompagnata da situazioni estremamente pericolose.

Nel suo discorso ai partecipanti al forum di Davos, Henry Kissinger, il patriarca della politica internazionale, ha indicato proprio tale prospettiva come la meno desiderabile dal suo punto di vista, dal momento che la Russia allora “potrebbe alienarsi completamente dall’Europa e cercare una stabile alleanza altrove”, che porterebbe all’emergere di distanze diplomatiche sulla scala conosciuta nella Guerra Fredda. A suo avviso, i colloqui di pace tra le parti sarebbe il modo più conveniente per impedirlo; ciò comporterebbe la presa in considerazione degli interessi russi. Per Kissinger, questo significa che per certi aspetti la partecipazione della Russia al “concerto” europeo è un valore incondizionato, e la perdita di questo deve essere prevenuta finché rimane qualche possibilità.

Tuttavia, con tutto il massimo apprezzamento dei meriti e della saggezza di questo statista e studioso, la logica impeccabile di Henry Kissinger deve affrontare un solo ostacolo: funziona quando l’equilibrio di potere è determinato e le relazioni tra gli stati hanno già superato la fase del conflitto militare. In questo senso, segue certamente le orme dei suoi grandi predecessori: il Cancelliere dell’Impero Austriaco Klemens von Metternich e il Segretario agli Esteri britannico visconte Castlereagh, le cui conquiste diplomatiche furono oggetto della dissertazione di dottorato di Kissinger nel 1956. Entrambi passarono alla storia proprio come gli artefici del nuovo ordine europeo, instauratosi dopo la fine dell’era napoleonica in Francia e che persistette, con piccoli aggiustamenti, per quasi un secolo nella politica internazionale.

Come i suoi grandi predecessori, Kissinger appare sulla scena mondiale in un’era in cui l’equilibrio di potere tra i giocatori più importanti è già determinato da “ferro e sangue”. Il momento del suo più grande successo è stata la prima metà degli anni ’70, un periodo di relativa stabilità. Tuttavia, non si può ignorare il fatto che la capacità degli stati di comportarsi in quel modo non era dovuta alla loro saggezza o responsabilità nei confronti delle generazioni future, ma a fattori molto più prosaici. Il primo fattore fu il completamento del “restringimento” dell’ordine che assunse le sue caratteristiche approssimative a seguito della seconda guerra mondiale. Nei successivi 25 anni (1945 – 1970), questo ordine fu “finalizzato” durante la guerra in Corea, l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam, le azioni militari dell’URSS in Ungheria e Cecoslovacchia, diverse guerre indirette tra l’URSS e gli Stati Uniti in Medio Oriente, il completamento del processo di disintegrazione degli imperi coloniali europei, nonché un numero significativo di eventi minori, ma anche drammatici. Quindi ora sarebbe difficile aspettarsi che la diplomazia riesca a prendere il primo posto negli affari mondiali nella fase iniziale del processo, che si preannuncia molto lungo e, molto probabilmente, piuttosto sanguinoso.

La base materiale di quell’ordine, a cui la diplomazia di Kissinger, la politica di “distensione” con l’URSS e la riconciliazione del 1972 con la Cina hanno dato il suo definitivo slancio, è stata la sconfitta strategica dell’Europa a seguito di due guerre mondiali nella prima metà del 20° secolo. Il crollo degli imperi coloniali europei e la storica sconfitta della Germania nel suo tentativo di essere al centro degli affari mondiali hanno portato in primo piano gli Stati Uniti; ciò che ha permesso di rendere la politica veramente globale. Come risultato dell’autodistruzione dell’URSS, questo ordine si rivelò di breve durata. Vediamo ora che questa è stata una grande tragedia, poiché ha portato alla scomparsa dell’equilibrio di potere a favore del predominio di un solo potere.

Ora possiamo presumere che la massiccia emancipazione dell’umanità dal controllo occidentale sia di fondamentale importanza, il fattore del quale più importante è la crescita del potere economico e politico cinese. Se la stessa Cina, così come l’India e altri grandi stati al di fuori dell’Occidente, faranno fronte al compito loro affidato dalla storia, nei prossimi decenni il sistema internazionale acquisirà caratteristiche sino ad ora del tutto inusuali.

La maggior parte degli eventi significativi che si stanno verificando ora, sia a livello globale che regionale, sono legati al processo oggettivo di crescita dell’importanza della Cina e, a seguire, di altri grandi paesi asiatici. La determinazione che la Russia ha mostrato negli ultimi anni, e soprattutto mesi, è anche associata ai cambiamenti globali. Il fatto che Mosca si sia alzata così intenzionalmente per proteggere i suoi interessi e valori non era dovuto solo a ragioni interne russe, sebbene siano di grande importanza. Né si basavano sulle aspettative di assistenza materiale diretta dalla Cina, che potesse compensare le perdite durante la fase acuta del conflitto con l’Occidente.

La principale fonte esterna della fiducia in se stessi della Russia è stata una valutazione obiettiva dello stato dell’ambiente politico ed economico internazionale, in cui anche una rottura completa con l’Occidente non sarebbe mortalmente pericolosa per la Russia dal punto di vista della risoluzione dei suoi principali compiti di sviluppo. Inoltre, proprio la necessità di un riavvicinamento più attivo con altri partner, che la Russia non ha sperimentato fino a poco tempo fa, potrebbe rivelarsi un modo molto più affidabile per sopravvivere in un ambiente in evoluzione.

Questo è ciò che viene compreso negli Stati Uniti e in Europa con la massima preoccupazione. Nel caso in cui la Russia, durante gli anni dell’emergente disimpegno dall’Europa, crei un sistema comparabile di legami commerciali, economici, politici, culturali e umani nel sud e nell’est, il ritorno di questo paese nell’area occidentale diventerà tecnicamente difficile, se mai realizzabile. Finora, un tale sviluppo di eventi è ostacolato da un numero colossale di fattori, tra i quali in primo luogo c’è l’inerzia della stretta interazione con l’Europa e la presenza reciproca attiva accumulata negli ultimi 300 anni. Inoltre, è stata l’Europa l’unico partner costante della Russia dopo l’apparizione di questa potenza nell’arena della cooperazione internazionale. Tuttavia, nel caso in cui la fase acuta del conflitto in Ucraina si riveli davvero molto lunga, come, a quanto pare, è il caso, allora le esigenze elementari di sopravvivenza costringeranno la Russia a liberarsi di ciò che la lega all’Europa. Questo è esattamente ciò che chiedono quegli studiosi e personaggi pubblici russi, che in tutti i modi sottolineano la natura esistenziale dello scontro in corso ai nostri confini occidentali.

Pertanto, è la comprensione da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati che il movimento verso un nuovo ordine mondiale ha basi oggettive che sono la fonte più importante della loro lotta con la Russia.

L’inevitabile ridistribuzione di risorse e potere su scala globale non può avvenire in maniera del tutto pacifica, sebbene l’irrazionalità di una guerra offensiva tra le grandi potenze, dato il fattore di deterrenza nucleare, ci fornisca qualche speranza per la conservazione dell’umanità. Nel mezzo della lotta che sta prendendo slancio, la Russia, come l’Europa, è, nonostante le sue capacità militari, un partecipante inferiore in forza alle principali parti in guerra: Cina e Stati Uniti. Pertanto, c’è una lotta per la Russia e c’è una possibilità in diminuzione per l’Occidente di vincere, che ora Henry Kissinger sta cercando di spiegare.

https://valdaiclub.com/a/highlights/kissinger-and-the-fight-for-russia/?fbclid=IwAR3AFHvRP_rLtO6HSHEOUsoYwrN2Bpox6FuYvboTZv1GSHd4IkLY342bHzE

La voce e il ventriloquo_a cura di Giuseppe Geminario

Sarebbe un po’ improprio accostare un ventriloquo ad una “voce”, specie se la modalità di trasmissione del pensiero dovesse incappare in qualche corto circuito. Sarebbe come mettere a confronto il ronzio e il raggio operativo di un insetto fastidioso con la visione maestosa di un’aquila. Tant’è, nel baraccone mediatico del nostro “pauvre pays”, in nome del contrasto alle “fake” trovano sempre più collocazione autorevole saltimbanchi e giullari e si cerca di relegare al ruolo di giocolieri e commiserevoli le poche voci autorevoli che riescono comunque ad esprimersi. E’ altrettanto improprio associare un tweet a un testo articolato. Tant’è, il primo non ha molto di più significativo da offrire sull’argomento. Si tratta tutt’al più di cercare di ripristinare quantomeno il circuito corretto tra la voce e il ventriloquo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La7
@La7tv
#ottoemezzo Beppe Severgnini: “Gli Stati Uniti? Non hanno interessi nella guerra in Ucraina”

Gli interessi americani in Ucraina

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Quasi ogni volta che la Russia è stata invasa, è stata salvata dalla sua profondità strategica. La Russia non può essere veramente sconfitta senza prima aver preso Mosca, ed è una lunga strada per Mosca. Da Napoleone a Hitler, gli invasori dall’ovest dovettero cercare di raggiungere la capitale prima che arrivasse il brutale inverno, anzi, aiutò ad arrivare prima che le piogge autunnali soffocassero le strade di fango. La Russia deve quindi mantenere il punto di partenza di un attacco il più lontano possibile e utilizzare il suo esercito per ritardare il più possibile la sua avanzata.

Così è il valore strategico dell’Ucraina per la Russia. Se l’Ucraina rimane intatta e se entra a far parte della NATO, Mosca si troverebbe a meno di 480 chilometri dagli attaccanti. Molti sostengono che la NATO non abbia intenzione di invadere. Io sostengo che niente è meno affidabile delle intenzioni. I pianificatori di guerra devono pianificare le capacità, che cambiano molto più lentamente delle intenzioni. Considerazioni come i diritti delle nazioni sovrane hanno storicamente sempre passato in secondo piano rispetto alla necessità di garantire la sicurezza di una nazione.

Alcuni hanno affermato che gli Stati Uniti non hanno alcun interesse per l’Ucraina, o se lo hanno, è un interesse morale. L’argomento morale non è sufficiente nelle dure realtà della geopolitica. Penso che gli Stati Uniti abbiano un interesse nazionale fondamentale nella guerra. Gli Stati Uniti sono al sicuro dall’invasione terrestre, quindi le uniche minacce che possono sorgere provengono dagli oceani. La protezione dei mari è stata quindi la base della sicurezza nazionale degli Stati Uniti dal 1900.

La storia lo conferma. Entrò nella prima guerra mondiale dopo l’affondamento del Lusitania. L’attacco non era la base per entrare in guerra, ovviamente, ma ha portato a casa il punto che il conflitto sarebbe stato anche una guerra navale e che una guerra navale avrebbe potuto minacciare gli interessi fondamentali degli Stati Uniti. Se la Germania avesse vinto, avrebbe controllato l’Atlantico, mettendo a rischio gli Stati Uniti orientali.

La seconda guerra mondiale ha risollevato il problema. Gli Stati Uniti erano sufficientemente allarmati da accettare il Lend-Lease Act, in base al quale Washington avrebbe prestato al Regno Unito le forniture tanto necessarie in cambio dell’affitto della maggior parte delle basi britanniche vicino al Nord America a Washington. Ma in un addendum segreto, Londra concordò che se fosse stata costretta ad arrendersi alla Germania (non un’idea inverosimile all’epoca) la Marina britannica sarebbe salpata per il Nord America. Detto diversamente, l’America avrebbe aiutato, ma il suo aiuto era subordinato all’allontanamento della potenza britannica dal Nord America, nonché all’impegno, nel peggiore dei casi, a consegnare la marina britannica agli Stati Uniti.

La Guerra Fredda aveva anche una componente navale importante, anche se trascurata. Tutti i conflitti di terra che hanno avuto luogo hanno richiesto l’infusione di rifornimenti alle forze locali. I rifornimenti della NATO, ad esempio, erano stati promessi dagli Stati Uniti e l’Unione Sovietica aveva un interesse schiacciante a fermarli. In una guerra, i sottomarini sovietici sarebbero passati attraverso il varco GIUK (Groenlandia, Islanda e Regno Unito) e i bombardieri sovietici sarebbero usciti dalla penisola di Kola, colpendo basi aeree in Norvegia, mentre sparavano anche attraverso il GIUK verso convogli contenenti portaerei e enormi capacità antiaeree e antimissilistiche. Per gli Stati Uniti, la Guerra Fredda è stata tanto una guerra navale quanto una guerra di terra.

Per Washington, l’espansione sovietica in Europa era la stessa dell’espansione sovietica nell’Atlantico. Se la penisola europea fosse mai dominata da un’unica potenza in grado di consolidare le sue risorse umane e materiali, potrebbe costruire una forza navale che potrebbe minacciare il Nord America.

Per gli Stati Uniti, impedire il dominio della penisola europea da parte di una singola potenza ferma una minaccia prima che si realizzi. E questo è il punto cruciale del suo interesse in Ucraina. Tra le altre ragioni, la Russia ha invaso per limitare la minaccia rappresentata dalla NATO. Anche se la Russia soggioga l’Ucraina, c’è ancora un altro alleato della NATO a ovest. Una rapida vittoria in Ucraina ha quindi sollevato la possibilità di ulteriori movimenti militari più a ovest. La gestione della guerra da parte della Russia ha reso questo risultato più improbabile, ovviamente, ma improbabile non è la stessa cosa di impossibile.

Questo perché per un paese come la Russia c’è sicurezza a distanza. È ragionevole presumere che Mosca si spingerà il più a ovest possibile, ragionevolmente e in sicurezza. E questa è davvero una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Fermare la Russia in Ucraina, con le truppe ucraine che combattono e gli Stati Uniti che forniscono armi mentre conducono una guerra economica parallela, è un efficace controllo dell’ambizione russa.

https://geopoliticalfutures.com/americas-interests-in-ukraine/?tpa=NmE3MWM3ODA4ZmRiMmU1MjU1YTFiMDE2NTQ3ODg5MjU5OTFkNDc&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/americas-interests-in-ukraine/?tpa=NmE3MWM3ODA4ZmRiMmU1MjU1YTFiMDE2NTQ3ODg5MjU5OTFkNDc&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Note sulla guerra russo-ucraina, di Andrea Zhok

Note sulla guerra russo-ucraina
1) All’indomani dell’invasione, l’Europa aveva due opzioni.
Poteva accompagnare le necessarie sanzioni con una richiesta a Zelensky e Putin di avviare immediate trattative sulla base delle due istanze fondamentali del contenzioso: la neutralità dell’Ucraina e il rispetto degli accordi di Minsk. Se Zelensky non si fosse sentito coperto e garantito nella prosecuzione della guerra probabilmente la pace si poteva ottenere in una settimana.
Oppure, e questa è stata la scelta fatta, l’Europa poteva mettersi a dire che Putin era il nuovo Hitler, un pazzo, un animale, poteva mettersi a rifornire di soldi, istruttori e armamenti pesanti l’Ucraina, poteva scatenare un’ondata di russofobia imbarazzante e poteva perseverare in questa linea fino a dire (Borrell) che la guerra doveva risolversi sul campo (diplomatici che si improvvisano guerrieri con il culo degli altri).
2) Fornendo una caterva di armi all’Ucraina e senza alcuna garanzia di dove esse andassero a finire, l’Europa ha creato alle porte di casa un bacino bellico pazzesco, cui partecipa non solo l’esercito regolare, non solo milizie mercenarie, ma anche gruppi e gruppuscoli paramilitari, incontrollabili, che agiscono in modo autonomo, spesso con intenti più terroristici che militari (come il bombardamento di ieri su una scuola a Donetsk), e che non obbediranno mai ad un’eventuale pace firmata da Zelensky. Si prospetta (e questo è stato dall’inizio un desideratum americano) un conflitto duraturo, magari dopo una dichiarazione di tregua un conflitto ad intensità ridotta, che impegnerà l’esercito russo a lungo e che condurrà alla distruzione totale dell’Ucraina – almeno di quella ad oriente del Dnepr.
3) Come sempre accade, più il conflitto dura, più lutti avvengono, più gli animi si caricano di un odio irrevocabile, e più spazio ci sarà per un abbandono delle ultime remore nel condurre la guerra (la Russia ha progressivamente aumentato il peso del tipo di armamento utilizzato, l’Ucraina ha iniziato a bersagliare il territorio russo nella provincia di Belgorod). Quale sarà il limite dell’escalation lo vedremo.
4) Nel frattempo abbiamo tutti bellamente rimosso che in Ucraina, oltre a gasdotti e centrali nucleari, ci sono alcuni dei maggiori depositi di plutonio e uranio arricchito al mondo. Insomma stiamo giocando alla guerra, in progressiva escalation, in una delle aree più pericolose del pianeta quanto a possibili ripercussioni generali. E’ utile ricordare che la distanza tra l’Italia e l’Ucraina è di 1.500 km in linea d’aria, quella tra l’Ucraina e gli USA è di 7.500 km (con in mezzo un oceano).
5) Sul piano economico l’Europa si è giocata in questo modo l’accesso a fonti energetiche abbondanti e a prezzi moderati. Essendo l’Europa l’area al mondo maggiormente dedicata alla trasformazione industriale e meno dotata di risorse naturali, questo equivale ad essersi confezionati un cappio e averci messo il collo dentro. L’Europa sta supportando e alimentando una guerra alle porte di casa propria, non solo, sta facendo di tutto per farla durare a lungo e per troncare definitivamente tutti i rapporti con il resto dell’Eurasia. In sostanza, ci stiamo tagliando i ponti con quella parte del mondo rispetto a cui siamo economicamente complementari (Russia per le risorse, Cina per la manifattura di base, tutti i BRICS come il più grande mercato al mondo). Al tempo stesso ci stiamo subordinando di nuovo e senza alternative ad un competitore primario con cui siamo in diretta concorrenza sul piano industriale, ma che, a differenza dell’Europa, è energeticamente autonomo.
6) Arrivati a questo punto, la Russia non ha più un interesse primario a pervenire ad una pace rapida. Sul piano economico sta sì pagando un costo, ma sul piano strategico sta diventando il punto di riferimento mondiale per una “rivincita” di quella maggioritaria parte del mondo che si sente da decenni bullizzata dallo strapotere americano. Questa vittoria strategica consente alla Russia di coltivare una sostanziale alleanza con la Cina, un’alleanza assolutamente invincibile e inscalfibile da qualunque punto di vista: territoriale, demografico, economico e militare.
7) L’Europa, invece, si è scavata la fossa. Se i governi europei non riescono in qualche modo (e a questo punto comunque con gravi costi) a riallacciare i rapporti con la rimanente parte dell’Eurasia, il suo destino è segnato.
I due secoli di ascesa sul piano mondiale avviati all’inizio del XIX secolo si avviano ad un’ingloriosa conclusione. Già a partire dall’autunno cominceremo ad avere la prime avvisaglie di quella che si prospetta come una nuova durevole contrazione economica, una contrazione che, coinvolgendo en bloc i paesi europei, avrà caratteristiche finora inaudite, molto più pesanti della crisi del 2008, perché qui non ci saranno “garanzie di affidabilità finanziaria” che tengano.
Guardando in faccia oggi i Draghi, i Macron, gli Scholz, e i loro puntelli parlamentari (in Italia quasi l’intero arco parlamentare), l’unica domanda che rimane è: qualcuno pagherà?
Chi pagherà per l’operazione più autodistruttiva sul continente europeo dalla seconda guerra mondiale? Pagheranno i giornalisti a gettone che hanno fomentato la narrativa propagandistica funzionale ad alimentare la guerra? Pagheranno i politici che hanno sostenuto attivamente la guerra o che si sono genuflessi ai diktat del presidente del Consiglio?
Oppure di fronte ai nuovi disoccupati e ai nuovi working poors riusciranno ancora una volta nel gioco di prestigio di spiegare che non c’era alternativa?
NB_Tratto da facebook

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo_di Ekaterina Zolotova

Oggi presentiamo due articoli, rispettivamente di oneworld.press nel testo precedente e di geopoliticalfutures, qui sotto, incentrati praticamente sulla stessa area geografica. Uno spazio strategico a suo tempo pienamente integrato nella ex Unione Sovietica ed ora rimasto sotto la sfera di influenza russa, non più però in maniera univoca. Il Kazakistan fa parte di questa area in una posizione privilegiata; è un immenso paese, poco popolato, strategicamente importante come crocevia nelle comunicazioni, come detentore di importanti materie prime, come punto di incontro delle dinamiche geopolitiche della Russia, della Cina, dell’area turcomanna, quindi della Turchia. Dispone di una classe dirigente in grado di districarsi con una certa autonomia all’interno di queste dinamiche. Koribko parla di una “grande strategia” della Russia tesa alla creazione di un ordine internazionale genuino basato sul rispetto della Carta dell’ONU. La realtà è invece più modesta e circoscritta, tesa a recuperare almeno in parte il sistema di relazioni vigente ai tempi dell’URSS. Le novità sono piuttosto altre: è un progetto che si interseca con altri a carattere sia economico che politico-militare in una sorta di cerchi concentrici ed intersecantisi; gli attori protagonisti sono almeno tre (Russia, Turchia e Cina) con il quarto (Stati Uniti) appena defilato; si può parlare di sistema di relazioni ancora relativamente instabili, tipiche di una fase multipolare ancora in divenire; le dinamiche geoeconomiche assumono un ruolo peculiare e ancora relativamente autonomo rispetto a quelle geopolitiche. Il testo di Geopolitical Futures mantiene certamente un tono più prudente e attendista. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo

Mosca non è poi così preoccupata per un fondamentale riorientamento politico rispetto al suo vicino.

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L’invasione russa dell’Ucraina ha mostrato al mondo fino a che punto Mosca si sarebbe spinta per proteggere i suoi interessi. E mentre la guerra infuria, molti si chiedono se altri punti importanti lungo la periferia della Russia, tra cui Georgia, Bielorussia o il Caucaso meridionale, potrebbero essere i prossimi. Forse nessun luogo è più preoccupante dell’Asia centrale, che separa la Russia dalla Cina e dall’Iran e la isola dall’instabilità proveniente dall’Afghanistan. Questi paesi sono inondati di risorse naturali che la Russia può sfruttare, si trovano lungo importanti rotte commerciali verso il Medio Oriente e l’Europa e sono una fonte affidabile di lavoro per i posti di lavoro russi.

Il Kazakistan è il paese più importante dell’Asia centrale. Vanta l’economia più sviluppata e più grande della regione, già strettamente integrata con quella russa attraverso la Comunità degli Stati Indipendenti e l’Unione Economica Eurasiatica. Ha un unico spazio doganale con la Russia, è membro dell’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva e in generale dipende più dalla Russia come partner commerciale e di investimento rispetto ad altri paesi. Il Kazakistan condivide il confine terrestre più lungo con la Russia e ospita quindi un’ampia minoranza di etnia russa, che costituisce quasi il 20% della popolazione.

Per questi motivi, il Kazakistan è stato storicamente considerato un partner russo affidabile. Ma ultimamente non è stato così. Il governo di Nur-Sultan si è espresso nella migliore delle ipotesi in modo ambiguo su questioni su cui il Cremlino si aspettava una sorta di sostegno se non addirittura unità. Ad esempio, il Kazakistan ha dichiarato la sua neutralità sulla guerra in Ucraina e ha consentito proteste a sostegno dell’Ucraina. Ha iniziato a considerare la rotta di trasporto transcaspica, che aggira la Russia, per le merci dalla Cina all’Europa. Funzionari del governo stanno tenendo colloqui economici con i rappresentanti occidentali e stanno dialogando con le forze statunitensi che promettono protezione dalle sanzioni anti-russe (anche se il Kazakistan ha affermato che non aiuterebbe Mosca a bypassare quelle stesse sanzioni per paura di scontrarsi con loro).

Ciò solleva una domanda importante: questa è solo un’assicurazione a breve termine o il Kazakistan si sta allontanando dalla Russia?

Mezzo pivot

In particolare, il perno dalla Russia è iniziato molto prima dell’invasione dell’Ucraina. Il Kazakistan ha privilegiato la neutralità e una politica estera multiforme sin da quando ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica, anche se, come tutti gli ex satelliti sovietici, aveva legami economici, politici e culturali esistenti che non poteva permettersi di tagliare. Ma negli ultimi decenni, il Kazakistan ha compiuto progressi significativi nella ricostruzione della sua economia, nell’accelerazione della crescita del prodotto interno lordo e nella diversificazione dei legami commerciali ed economici con partner in tutto il mondo, anche aderendo a organizzazioni come l’Organizzazione mondiale del commercio. Si sta anche allontanando dalla cultura politica del suo fondatore: Nursultan Nazarbayev, che fino a poco tempo fa era l’unico presidente che il paese avesse mai avuto, era in gran parte un prodotto del sistema sovietico ed esercitava il controllo dall’alto dello stato – in un certo senso che promuove l’indipendenza e sottolinea l’identità nazionale.

L’economia del Kazakistan è ancora strettamente integrata con quella russa, ovviamente, quindi Mosca la vede ancora come un’entità instabile e dipendente. Ma pochi altri condividono questo punto di vista. La maggior parte dei paesi vede il Kazakistan come un attore indipendente e partecipante al commercio internazionale, un paese in via di sviluppo dinamico con notevoli risorse naturali che tuttavia rimane nella sfera di influenza della Russia. Ma con l’economia russa allo sbando, i paesi ora vedono il Kazakistan come qualcosa che potrebbe essere strappato dalle grinfie della Russia.

I migliori partner commerciali del Kazakistan | 2021
(clicca per ingrandire)

Le sanzioni russe aiutano anche il Kazakistan in questo senso. La pandemia di COVID-19 ha contratto l’economia kazaka, che è alla ricerca di modi per mantenere la stabilità, favorire la crescita economica e limitare la sua esposizione alla Russia. A tal fine, le società kazake che in precedenza spedivano merci in Europa attraverso la Russia stanno cercando corridoi alternativi come la suddetta rotta commerciale transcaspica. E l’attenzione al Kazakistan prestata da altri paesi , in particolare quelli occidentali abbastanza ricchi da aiutare il Kazakistan a diversificare, sta mettendo pressione anche sulla Russia.

Opzioni di pesatura

Se è vero che l’invasione russa dell’Ucraina ha reso il Kazakistan particolarmente nervoso, data la sua numerosa popolazione russa e i rischi punitivi degli scambi commerciali con la Russia, ci sono molte ragioni per cui Nur-Sultan vuole tenere Mosca vicina, almeno a breve termine .

Per quanto riguarda la sicurezza, ha ancora bisogno di buoni legami con il suo vicino molto più forte. Nonostante il relativo successo economico, il Kazakistan è stato a lungo un paese politicamente instabile. I disordini di gennaio , ad esempio, sono stati tenuti a bada in gran parte grazie alla CSTO filorussa. Inoltre, condivide un confine con paesi molto più instabili la cui volatilità potrebbe diffondersi in Kazakistan e condivide un enorme confine con la Russia. A differenza dell’Ucraina, la NATO non ha una presenza reale nelle vicinanze e sarebbe più difficile sostenere il Kazakistan e reagire ai problemi lì.

Opinioni kazake sul conflitto ucraino
(clicca per ingrandire)

Economicamente, il Kazakistan è molto più dipendente dal commercio e dagli investimenti russi di quanto non lo sia l’Ucraina e fa affidamento su di esso per beni come il grano a buon mercato. Questo grazie alla sua vicinanza geografica e alla sua appartenenza all’Unione economica eurasiatica, dalla quale non ha fretta di andarsene. E sebbene il Kazakistan stia cercando di ridurre la sua dipendenza dal commercio russo, non è particolarmente interessato ad andare all-in con un paese come la Cina che potrebbe essere il suo principale acquirente di materie prime e potrebbe quindi dettare i prezzi. I paesi più lontani sono semplicemente una scommessa più sicura.

Tuttavia, la geografia e la distanza sono in alcuni casi ostacoli da superare, esacerbati dall’incapacità del Kazakistan di gestire i processi di trasporto. Qui è dove la Russia ha il vantaggio. Non solo la Russia confina con il Kazakistan, ma l’EAEU è la via principale per l’esportazione di merci kazake, in particolare petrolio, attraverso ferrovie e oleodotti in territorio russo che collegano il Kazakistan con il Mar Nero e l’Unione Europea. La diversificazione non è solo una questione di denaro; il conflitto tra Armenia e Azerbaigian e il fatto che Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan utilizzino tutti i propri standard, rendono difficile lo svolgimento del commercio in Asia centrale.

Demograficamente, i russi etnici in Kazakistan di solito non si considerano kazaki. E con più russi che fuggono dalla Russia, è probabile che le enclavi di espatriati russi crescano. In effetti, gli ex satelliti sovietici sono considerati buoni posti in cui vivere per molti russi a causa delle loro somiglianze linguistiche e culturali, con il Kazakistan che sta diventando una delle destinazioni più popolari per coloro che lavorano con aziende straniere. I russi portano con sé competenze e servizi e, cosa importante, la domanda di beni e servizi locali kazaki.

Dal punto di vista di Mosca, il recente comportamento del Kazakistan non è la minaccia dell’Ucraina semplicemente perché la diversificazione economica non significa necessariamente che si stia avvicinando all’Occidente. Tutti gli incontri nel mondo non cambiano il fatto che le opportunità di finanziamento e di investimento da USA e UE sono limitate; ci sono altri candidati redditizi, e nessuno dei due è troppo desideroso di ripristinare le infrastrutture di trasporto in un luogo in cui la Russia è ancora attiva e influente. Invece, il Kazakistan è ansioso di stabilire legami più stretti con Cina, Turchia e Iran e di espandersi ulteriormente nel mercato asiatico, il che potrebbe effettivamente avvantaggiare Mosca se il Kazakistan fosse un hub di transito neutrale con buone relazioni con la maggior parte delle potenze mondiali. Anche così, la Russia comprende che ha bisogno di mantenere l’economia kazaka in fermento in modo che non abbia un governo instabile al suo confine.

I funzionari in Kazakistan stanno valutando le loro opzioni, ma alla fine si rendono conto che non possono rimproverare del tutto la Russia. Il suo comportamento recente è semplicemente una tattica a breve termine intesa a mantenere l’economia sul punto. Il Kazakistan continuerà a cercare di essere amico di chiunque potrà, per quanto con cautela.

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Putin ha parlato della grande strategia geoeconomica della Russia in Eurasia, di Andrew Korybko

Oggi presentiamo due articoli, rispettivamente di oneworld.press, qui sotto e di geopoliticalfutures nella pagina successiva, incentrati praticamente sulla stessa area geografica. Uno spazio strategico a suo tempo pienamente integrato nella ex Unione Sovietica ed ora rimasto sotto la sfera di influenza russa, non più però in maniera univoca. Il Kazakistan fa parte di questa area in una posizione privilegiata; è un immenso paese, poco popolato, strategicamente importante come crocevia nelle comunicazioni, come detentore di importanti materie prime, come punto di incontro delle dinamiche geopolitiche della Russia, della Cina, dell’area turcomanna, quindi della Turchia. Dispone di una classe dirigente in grado di districarsi con una certa autonomia all’interno di queste dinamiche. Koribko parla di una “grande strategia” della Russia tesa alla creazione di un ordine internazionale genuino basato sul rispetto della Carta dell’ONU. La realtà è invece più modesta e circoscritta, tesa a recuperare almeno in parte il sistema di relazioni vigente ai tempi dell’URSS. Le novità sono piuttosto altre: è un progetto che si interseca con altri a carattere sia economico che politico-militare in una sorta di cerchi concentrici ed intersecantisi; gli attori protagonisti sono almeno tre (Russia, Turchia e Cina) con il quarto (Stati Uniti) appena defilato; si può parlare di sistema di relazioni ancora relativamente instabili, tipiche di una fase multipolare ancora in divenire; le dinamiche geoeconomiche assumono un ruolo peculiare e ancora relativamente autonomo rispetto a quelle geopolitiche. Il testo di Geopolitical Futures mantiene certamente un tono più prudente e attendista. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

La Greater Eurasian Partnership rappresenta il principale progetto della Russia per la creazione di un ordine internazionale genuinamente basato su regole, modellato sui principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Il suo nucleo dell’Unione economica eurasiatica servirà come prova del concetto per questa grande strategia che letteralmente cambierà il mondo che rivoluzionerà l’architettura politica ed economica del supercontinente. Il risultato finale è che entrambi accelereranno la transizione sistemica globale alla multipolarità.

Giovedì il presidente Putin si è rivolto in video all’inaugurazione del Forum economico eurasiatico (EAEF) insieme ai suoi omologhi dell’Unione economica eurasiatica (EAEU), che comprende anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. Il Western Mainstream Media (MSM) guidato dagli Stati Uniti sta facendo molto rumore sul suo conto per il suo ” ringraziando Dio ” che alcune compagnie straniere hanno lasciato il suo paese dopo le sanzioni senza precedenti imposte a Mosca per la sua operazione militare speciale in corso in Ucraina, ma ciò ignora di tanto le altre cose importanti che ha detto durante il suo discorso. Il presente pezzo lo riassumerà poiché il leader russo ha anche toccato la grande strategia geoeconomica del suo paese in Eurasia.

Ha iniziato ricordando a tutti che i processi di integrazione eurasiatica rilevanti non hanno alcun collegamento con gli eventi recenti poiché li precedono di circa un decennio. Il presidente Putin ha anche riaffermato che lo sviluppo globale dei legami con i vicini post-sovietici della Russia è sempre stata la sua massima priorità. È impossibile isolare il suo paese, ha affermato, e continuerà a interagire con la regione Asia-Pacifico all’interno della quale gli sviluppi economici sono più dinamici. Questa direzione aiuterà anche la Russia a proteggersi dalle conseguenze controproducenti autoinflitte delle sanzioni anti-russe dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, che hanno portato, tra gli altri problemi, a un’elevata inflazione, disoccupazione e gravi interruzioni della catena di approvvigionamento.

Quelle armi economico-finanziarie saranno impugnate non solo contro la Russia e forse un giorno presto anche la Cina, ha previsto il presidente Putin, ma contro qualsiasi Paese che pratichi una politica estera indipendente . Tuttavia, è certo che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti non sarà in grado di fermare l’irreversibile transizione sistemica globale alla multipolarità , non importa quanto disperatamente ci provino. Un mezzo per aumentare le possibilità che un paese preso di mira sopravviva a questo assalto della Guerra ibrida è dare la priorità alla sostituzione delle importazioni, cosa che il leader russo ha riconosciuto che il suo stato di civiltà non ha fatto in modo completo, ma ha comunque lodato i suoi successi negli ultimi anni, cosa che ha detto ha contribuito a proteggere la sua sovranità.

È stato in questo contesto che ha retoricamente ringraziato Dio per alcune aziende straniere che hanno lasciato la Russia perché ha affermato che quelle nazionali le sostituiranno. Il presidente Putin ha anche osservato come questo darà la priorità alla sostituzione delle importazioni nelle sfere in cui si è verificata, il che aiuterà la Russia a recuperare il tempo perso e le precedenti carenze in quei settori. Le tabelle di marcia per l’agricoltura e l’industrializzazione sono già state preparate dall’EAEU con una tecnologia digitale in cantiere, che rafforzerà la complementarità economica tra i membri del blocco. Il commercio in valute nazionali è già in corso, così come l’uso di sistemi di pagamento non SWIFT, che li protegge da shock esterni.

In un contesto più ampio, il presidente Putin vede che l’EAEU funziona come il fulcro del Greater Eurasian Partnership (GEP), che fa riferimento alla grande strategia del suo paese dalla metà dell’ultimo decennio in base alla quale mira a integrarsi in modo completo con il resto del supercontinente. Gli eventi recenti hanno portato la Russia a privilegiare naturalmente i suoi partner del Sud del mondo, in particolare Cina e India , ma anche gli altri nell’ASEAN e anche nella SCO. Ritiene che sia necessario un impegno più proattivo con loro per realizzare questa visione ambiziosa, a tal fine ha proposto società di esportazione e commercio, una compagnia di assicurazioni eurasiatica, zone economiche transfrontaliere speciali e consigli d’affari.

La parte più importante del discorso del presidente Putin è arrivata verso la fine, quando ha affermato che “è giunto il momento di elaborare una strategia globale per lo sviluppo di un partenariato eurasiatico su larga scala. Deve riflettere le principali sfide internazionali che dobbiamo affrontare, determinare obiettivi futuri e contenere strumenti e meccanismi per raggiungerli. Dobbiamo considerare ulteriori passi nello sviluppo del nostro sistema di accordi commerciali e di investimento, in parte con la partecipazione dei paesi membri di SCO, ASEAN e BRICS… Non sarebbe esagerato dire che la Grande Eurasia è un grande progetto di civiltà”. Ciò ha poi portato alla sua conclusione finale che ora seguirà.

Nelle parole dello stesso leader russo, “La Greater Eurasian Partnership è progettata per cambiare l’architettura politica ed economica e garantire stabilità e prosperità all’intero continente, naturalmente, tenendo conto dei diversi modelli di sviluppo, culture e tradizioni di tutte le nazioni”. In altre parole, il GEP rappresenta il principale progetto russo per la creazione di un ordine internazionale genuinamente basato su regole, modellato sui principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Il suo nucleo EAEU servirà come prova del concetto per questa grande strategia che letteralmente cambierà il mondo che rivoluzionerà l’architettura politica ed economica del supercontinente. Il risultato finale è che il GEP accelererà la transizione sistemica globale.

L’MSM occidentale guidato dagli Stati Uniti ha deliberatamente omesso qualsiasi rapporto su questa parte fondamentale del suo discorso, ossessionato invece dai ringraziamenti retorici che ha reso a Dio per la partenza di alcune aziende straniere sotto la pressione di sanzioni illegali. La ragione dietro questa censura de facto è probabilmente perché vogliono mantenere il loro pubblico mirato all’oscuro del ruolo guida della Russia nella transizione sistemica globale al multipolarismo. Dopotutto, questi fatti “politicamente scomodi” sfatano la “narrativa ufficiale” secondo cui le sanzioni avrebbero portato all'”isolamento globale” della Russia. Questa è ovviamente una bugia dal momento che la Russia si sta ora preparando attivamente a fare della sua EAEU il fulcro della multipolarità, come dimostrato dal discorso del presidente Putin.

Primo Forum Economico Eurasiatico

Vladimir Putin si è rivolto alla sessione plenaria del 1° Forum economico eurasiatico, in videoconferenza.

14:25
Il Cremlino, Mosca
Primo Forum Economico Eurasiatico (in videoconferenza).
Primo Forum Economico Eurasiatico (in videoconferenza).
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Primo Forum Economico Eurasiatico (in videoconferenza).

All’incontro hanno partecipato anche il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan , il Presidente del Kazakistan Kassym-Zhomart Tokayev , il Presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov , il Primo Ministro della Bielorussia Roman Golovchenko e il Presidente del Consiglio della Commissione Economica Eurasiatica Mikhail Myasnikovich. Il moderatore del forum è stato Alexander Shokhin , presidente dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori, membro del Presidium dell’EAEU Business Council.

Lo scopo del Forum economico eurasiatico, istituito con una decisione del Consiglio economico eurasiatico supremo e programmato per coincidere con una riunione della SEEC, è quello di approfondire ulteriormente la cooperazione economica tra gli Stati membri dell’EAEU.

L’EEF 2022 a Bishkek, a tema Eurasian Economic Integration in the Era of Global Shifts: New Investment Opportunities , si concentrerà su aree promettenti per lo sviluppo strategico dell’integrazione. I partecipanti discuteranno i modi per approfondire la cooperazione industriale, energetica, dei trasporti, finanziaria e digitale.

* * *

Discorso alla sessione plenaria del 1° Forum economico eurasiatico.

Presidente della Russia Vladimir Putin: sono grato per questa opportunità di rivolgermi a lei, di parlare delle questioni che lei [Alexander Shokhin] ha sollevato e che, come lei ha suggerito, dovrebbero essere affrontate in modo più dettagliato.

Prima di tutto, vorrei ringraziare il Presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov e il suo team per aver organizzato questo evento. Riesco a vedere molte persone tra il pubblico, inclusi uomini d’affari e funzionari governativi. Sono sicuro che i media avranno un vivo interesse per il forum.

Questo è ciò da cui vorrei iniziare quando rispondo alla tua domanda. Lo sviluppo dell’integrazione eurasiatica non ha alcun legame con gli sviluppi attuali o le condizioni del mercato. Abbiamo fondato questa organizzazione molti anni fa. In effetti, l’abbiamo stabilito su iniziativa del Primo Presidente del Kazakistan [Nursultan Nazarbayev].

Ricordo molto bene la conversazione principale che abbiamo avuto su quell’argomento, su quell’argomento, quando ha detto: “Devi scegliere ciò che è più importante per te: lavorare più attivamente e più strettamente con i tuoi vicini diretti e partner naturali, o dare priorità, per esempio, l’ammissione all’Organizzazione mondiale del commercio”. Era in questo contesto che dovevamo prendere delle decisioni.

E sebbene fossimo interessati all’adesione all’OMC e allo sviluppo delle relazioni di conseguenza con i nostri partner occidentali, come lei ha affermato e come continuo a dire, abbiamo comunque considerato la nostra principale priorità lo sviluppo delle relazioni con i nostri vicini diretti e naturali all’interno del comune quadro dell’Unione Sovietica. Questo è il mio primo punto.

Il secondo. Già in quel momento, abbiamo iniziato a sviluppare legami – di cui parlerò più avanti – nel quadro del Greater Eurasian Partnership. La nostra motivazione non era la situazione politica, ma le tendenze economiche globali, perché il centro dello sviluppo economico si sta gradualmente spostando – ne siamo consapevoli e i nostri uomini d’affari ne sono consapevoli – si sta gradualmente spostando, continua a spostarsi nella regione Asia-Pacifico.

Naturalmente, comprendiamo gli enormi vantaggi dell’alta tecnologia nelle economie avanzate. Questo è ovvio. Non abbiamo intenzione di isolarci da esso. Ci sono tentativi di estrometterci un po’ da quest’area, ma questo è semplicemente irrealistico nel mondo moderno. È impossibile. Se non ci separiamo erigendo un muro, nessuno sarà in grado di isolare un paese come la Russia.

Parlando non solo della Russia, ma anche dei nostri partner nell’EAEU e del mondo in generale, questo compito è del tutto impraticabile. Inoltre, coloro che stanno cercando di soddisfarlo si danneggiano di più. Non importa quanto siano sostenibili le economie dei paesi che perseguono questa politica miope, lo stato attuale dell’economia globale mostra che la nostra posizione è giusta e giustificata, anche in termini di indicatori macroeconomici.

Queste economie avanzate non hanno avuto una tale inflazione negli ultimi 40 anni; la disoccupazione sta crescendo, le catene logistiche si stanno rompendo e le crisi globali stanno crescendo in aree così delicate come il cibo. Questo non è uno scherzo. È un fattore grave che colpisce l’intero sistema delle relazioni economiche e politiche.

Nel frattempo, queste sanzioni e divieti mirano a limitare e indebolire i paesi che stanno perseguendo una politica indipendente e non si limitano alla Russia o persino alla Cina. Non dubito per un secondo che ci siano molti paesi che vogliono e perseguiranno una politica indipendente e il loro numero sta crescendo. Nessun poliziotto mondiale sarà in grado di fermare questo processo globale. Non ci sarà abbastanza energia per questo e il desiderio di farlo svanirà a causa di una serie di problemi interni in quei paesi. Spero che alla fine si rendano conto che questa politica non ha prospettive di sorta.

Violare le regole e le norme nelle finanze e nel commercio internazionale è controproducente. In parole semplici, porterà solo problemi a coloro che lo stanno facendo. Il furto di beni esteri non ha mai giovato a nessuno, in primo luogo a coloro che sono coinvolti in queste azioni sconvenienti. Come è emerso ora, l’abbandono per gli interessi politici e di sicurezza di altri paesi porta al caos e sconvolgimenti economici con ripercussioni globali.

I paesi occidentali sono sicuri che qualsiasi persona non grata che abbia il proprio punto di vista e sia pronto a difenderlo possa essere cancellato dall’economia mondiale, dalla politica, dalla cultura e dallo sport. In realtà, questa è una sciocchezza e, come ho detto, è impossibile che ciò accada.

Possiamo vederlo. Onorevole Shokhin, in qualità di rappresentante della nostra attività, ha certamente problemi, soprattutto nel campo delle catene di approvvigionamento e dei trasporti, ma tuttavia tutto può essere adattato, tutto può essere costruito in un modo nuovo. Non senza perdite a un certo punto, ma porta al fatto che diventiamo davvero più forti in qualche modo. In ogni caso, stiamo sicuramente acquisendo nuove competenze e stiamo iniziando a concentrare le nostre risorse economiche, finanziarie e amministrative su aree di svolta.

È vero, non tutti gli obiettivi di sostituzione delle importazioni sono stati raggiunti negli anni precedenti. Ma è impossibile ottenere tutto: la vita è più veloce delle decisioni amministrative, si sviluppa più velocemente. Ma non c’è nessun problema. Abbiamo fatto tutto il necessario in settori chiave che garantiscono la nostra sovranità.

Andiamo avanti. Dopotutto, la sostituzione delle importazioni non è una pillola per tutti i mali e non ci occuperemo esclusivamente della sostituzione delle importazioni. Ci stiamo solo sviluppando. Ma continueremo a organizzare la sostituzione delle importazioni nelle aree in cui siamo costretti a farlo. Sì, magari con risultati contrastanti, ma sicuramente diventeremo più forti solo grazie a questo, soprattutto nel campo delle alte tecnologie.

Guarda, dopo le liste CoCom – di cui ho già parlato molte volte – dopo quello che hai detto sul nostro lavoro, ad esempio, all’interno dello stesso ex G8 e così via, le restrizioni sono rimaste ancora. Nelle zone più sensibili, tutto era ancora chiuso. In effetti, fondamentalmente – lo tengo a sottolineare – nulla è cambiato fondamentalmente.

Questi problemi legati alle assemblee di grandi blocchi e così via, ci sono voluti così tanti sforzi per aumentare la localizzazione all’interno del paese, nella nostra economia, nei settori reali dell’economia, nell’industria. E anche allora non eravamo d’accordo su questioni chiave sotto molti aspetti.

In realtà, era necessaria la sostituzione delle importazioni

creare non solo officine di montaggio, ma anche centri di ingegneria e centri di ricerca. Questo è inevitabile per qualsiasi paese che voglia aumentare la propria sovranità economica, finanziaria e, in definitiva, politica. È inevitabile.

Questo è il motivo per cui lo abbiamo fatto, e non perché lo stato attuale delle cose ce lo richiede, ma semplicemente perché la vita stessa lo richiedeva, e noi eravamo attivi.

E, naturalmente, lavoreremo attivamente nel quadro dell’Unione economica eurasiatica e, in generale, all’interno della CSI, lavoreremo con le regioni dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa. Ma vi assicuro, e potete vederlo voi stessi, che molte delle nostre aziende dall’Europa, i nostri partner dall’Europa, hanno annunciato che se ne andranno. Sai, a volte quando guardiamo chi parte ci chiediamo: non è un bene che se ne sia andato? Prenderemo le loro nicchie: la nostra attività e la nostra produzione – sono maturate e attecchiranno in sicurezza sul terreno che i nostri partner hanno preparato. Nulla cambierà.

E coloro che vogliono portare alcuni beni di lusso, potranno farlo. Bene, sarà un po’ più costoso per loro, ma queste sono persone che stanno già guidando la Mercedes S 600 e continueranno a farlo. Vi assicuro che li porteranno da qualsiasi luogo, da qualsiasi paese. Non è questo ciò che è importante per noi. Ciò che conta per il Paese, per il suo sviluppo – l’ho già detto e lo ripeto – sono i centri di ingegneria e di ricerca che sono alla base del nostro stesso sviluppo. Questo è ciò a cui dobbiamo pensare e su cui dobbiamo lavorare sia all’interno dell’EAEU che in senso lato con i nostri partner, coloro che vogliono collaborare con noi.

Abbiamo un’ottima base che abbiamo ereditato dai vecchi tempi, dobbiamo solo sostenerla e investire risorse lì. Quanto a quei settori, in cui prima non abbiamo investito risorse adeguate, comprese, diciamo, risorse amministrative, contando sul fatto che tutto si può comprare vendendo petrolio e gas, la vita stessa ora ci ha costretto a investire lì.

E grazie a Dio che è successo. Non vedo alcun problema qui con il fatto che non abbiamo completato qualcosa nel campo della sostituzione delle importazioni. Non lo faremo solo perché l’attuale situazione economica ce lo obbliga, ma solo perché è nell’interesse del nostro Paese.

L’Unione economica eurasiatica ha sviluppato una tabella di marcia per l’industrializzazione, con oltre 180 progetti con un investimento totale di oltre 300 miliardi di dollari. È stato preparato un programma per lo sviluppo agricolo, che comprende più di 170 progetti per un valore di 16 miliardi di dollari.

La Russia ha qualcosa da offrire qui e gli uomini d’affari ne sono ben consapevoli. Siamo cresciuti per essere altamente competitivi a livello globale, nei mercati globali. La Russia resta – se parliamo di agricoltura – il maggior esportatore di grano, numero uno al mondo. Fino a poco tempo lo stavamo comprando, ora lo vendiamo, il numero uno al mondo. È vero, paesi come gli Stati Uniti o la Cina producono ancora di più, ma consumano anche di più. Ma la Russia è diventata la numero uno nel commercio internazionale.

Anche le nostre industrie high-tech stanno crescendo con successo. E vorremmo continuare a crescere insieme ai nostri partner EAEU. Possiamo e dobbiamo ripristinare le nostre competenze collaborative.

Ne ho discusso con i miei colleghi, con il Presidente del Kazakistan e il Primo Ministro dell’Armenia, non perché alcuni dei lavoratori informatici russi si siano trasferiti in Armenia, per niente. Sono liberi di trasferirsi e lavorare ovunque, e Dio li benedica. Ma ancora una volta per noi è una certa sfida: significa che dobbiamo creare condizioni migliori.

Abbiamo l’opportunità di lavorare con la Repubblica di Bielorussia in una serie di aree di cooperazione e lo faremo sicuramente, perché la Repubblica di Bielorussia ha conservato alcune competenze che sono molto importanti per noi, compresa la microelettronica. Il presidente Lukashenko e io ci siamo appena incontrati a Sochi e ne abbiamo parlato, e abbiamo persino deciso di mettere da parte i finanziamenti per quei progetti in Bielorussia. I prodotti che queste imprese, queste industrie realizzeranno, godranno della domanda in Russia. Questa è un’area molto interessante e promettente.

I paesi EAEU hanno gettato le basi per un panorama digitale comune, compreso un sistema unificato di tracciabilità dei prodotti. Sono in fase di sviluppo diverse soluzioni di piattaforma, ad esempio il  sistema di ricerca Lavoro senza frontiere . Il progetto è molto importante per tutti i nostri paesi. Nonostante tutte le crisi e le sfide causate dall’attuale situazione politica, i migranti per lavoro continuano a inviare a casa dalla Russia quasi quanto prima. Inoltre, alcuni paesi stanno ricevendo ancora più soldi ora, come mi hanno detto i miei colleghi della CSI.

La pratica dei pagamenti in valute nazionali si sta espandendo, il che è molto importante. In particolare, la loro quota nel commercio reciproco dei paesi dell’Unione ha già raggiunto il 75%. Continueremo a lavorare per collegare i nostri sistemi di pagamento nazionali e le carte bancarie.

Riteniamo importante accelerare il dialogo sui meccanismi finanziari e di pagamento internazionali interni, come il passaggio da SWIFT ai contatti diretti di corrispondenza tra le banche dei paesi amici, anche attraverso il sistema di messaggistica finanziaria della Banca centrale russa. Proponiamo inoltre di rafforzare la cooperazione con i principali centri finanziari e di prestito nella regione Asia-Pacifico.

Nuovi argomenti relativi all’integrazione eurasiatica includono lo sviluppo della cooperazione nelle tecnologie verdi, la protezione dell’ambiente e il risparmio energetico. Ci aspettiamo di ricevere supporto e suggerimenti proattivi dalla comunità imprenditoriale.

Colleghi,

Nelle attuali condizioni internazionali in cui, purtroppo, i tradizionali legami commerciali ed economici e le catene di approvvigionamento vengono interrotti, l’iniziativa della Russia di formare un Partenariato Maggiore Eurasiatico – un’iniziativa di cui discutiamo da molti anni – sta acquistando un significato speciale.

Siamo grati ai leader dei paesi EAEU per aver sostenuto questa proposta sin dall’inizio. I membri BRICS come Cina e India, così come molti altri paesi, hanno anche sostenuto la creazione di una Greater Eurasian Partnership. L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, l’ASEAN e altre organizzazioni hanno mostrato interesse per questa iniziativa.

Vorrei qui citare diverse idee specifiche relative allo sviluppo globale del Greater Eurasian Partnership.

In primo luogo, è ragionevole sviluppare istituzioni condivise per specifici punti di crescita, inclusa la creazione di un centro di esportazione eurasiatico e case commerciali, accelerare la creazione di una compagnia di riassicurazione eurasiatica, esaminare la questione dello sviluppo di zone economiche transfrontaliere speciali, probabilmente anche con autorità sovranazionale .

Il secondo punto. È importante rafforzare la cooperazione dell’EAEU con i partner stranieri e informarli sui vantaggi e sui vantaggi della collaborazione con l’EAEU e sui nostri progetti e piani chiave. I miei colleghi sanno che l’interesse per la nostra associazione sta crescendo. In questo contesto, l’EAEU Business Council potrebbe svolgere un ruolo significativo. Sta già sviluppando con successo legami al di là della nostra unione. Il suo sistema di dialogo commerciale potrebbe diventare un esempio per una potenziale piattaforma di cooperazione commerciale nella Grande Eurasia.

Detto questo, come ho già notato, sarebbe auspicabile sostenere la libertà di iniziativa imprenditoriale, l’attività creativa di impresa, dei nostri investitori. Suggerisco di creare incentivi aggiuntivi e migliori per questo scopo e di investire di più in progetti eurasiatici. Naturalmente, le aziende che rappresentano le imprese nazionali dei paesi EAEU devono ricevere un sostegno prioritario.

Il mio terzo punto. È tempo di elaborare una strategia globale per lo sviluppo di un partenariato eurasiatico su larga scala. Deve riflettere le principali sfide internazionali che dobbiamo affrontare, determinare obiettivi futuri e contenere strumenti e meccanismi per raggiungerli. Dobbiamo considerare ulteriori passi nello sviluppo del nostro sistema di accordi commerciali e di investimento, in parte, con la partecipazione dei paesi membri SCO, ASEAN e BRICS.

In effetti, potremmo redigere nuovi accordi che svilupperanno e integreranno le regole dell’OMC. In questo contesto, è importante prestare attenzione non solo alle tariffe, ma anche all’eliminazione delle barriere non tariffarie. Ciò può produrre risultati considerevoli senza sottoporre a rischi le nostre economie nazionali.

In conclusione, vorrei dire quanto segue. Non sarebbe esagerato dire che la Grande Eurasia è un grande progetto di civiltà. L’idea principale è quella di creare uno spazio comune per una cooperazione equa per le organizzazioni regionali. La Greater Eurasian Partnership è progettata per cambiare l’architettura politica ed economica e garantire stabilità e prosperità all’intero continente, tenendo naturalmente conto dei diversi modelli di sviluppo, culture e tradizioni di tutte le nazioni. Sono fiducioso, e questo è comunque ovvio, che questo centro attirerebbe un vasto pubblico.

Vorrei augurare successo e cooperazione produttiva a tutti i partecipanti al Forum economico eurasiatico.

Grazie per l’attenzione. Grazie.

http://en.kremlin.ru/events/president/news/68484

La grande strategia dell’Inghilterra, di OLIVIER KEMPF

Un articolo importante non solo per la ricostruzione storica e per la comprensione delle scelte di un paese dal recente passato importante, ridimensionato nel ruolo presente, ma con grandi ambizioni ed una ineguagliata capacità di muovere ed influire indirettamente sulle dinamiche geopolitiche. Il conflitto in Ucraina e la polarizzazione proatlantica di quasi tutti i paesi del Nord ed Est Europa sono almeno in parte l’esito di questo retaggio. Importante perché è la filosofia di fondo adottata per trasmissione culturale e simbiosi politica dalla potenza egemone da ormai oltre un secolo, ma che probabilmente sta conoscendo una fase di transizione e di probabile declino per molti versi simile a quella vissuta dal Regno Unito a cavallo tra ‘800 e ‘900. Le classi dirigenti statunitensi, in realtà, stanno mostrando una minore flessibilità nell’affrontare la fase transitiva al multipolarismo, segno dell’acutezza dello scontro politico interno e dell’influsso di diverse componenti culturali, in particolare tedesca, proprie di una formazione sociale particolarmente composita e polarizzata, incapace al momento di una sintesi coerente. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La grande strategia dell’Inghilterra

di 

L’Inghilterra è un’isola. L’osservazione è nota, ma i geografi emettono subito chiarimenti: l’Inghilterra è solo una parte dell’isola principale (Gran Bretagna) che condivide con il Galles e la Scozia, a cui si deve aggiungere l’Irlanda del Nord (Ulster) per costruire il Regno Unito, a cui va aggiunta la Repubblica d’Irlanda (Eire) per finire nelle isole britanniche. Tuttavia, nonostante questi dettagli, nonostante il desiderio di indipendenza (Irlanda o Scozia) o addirittura di autonomia, ogni francese di solito designerà l’altra sponda della Manica con questo nome comune dell’Inghilterra. La rivalità è ancestrale come spesso accade in Europa quando si parla di Francia: il 20°secolo ci ha parlato del nemico ereditario parlando della Germania, facendoci dimenticare l’inespiabile lotta con la maggiore Spagna nei secoli XVI e XVII in particolare Ma è vero che abbiamo un rapporto millenario, contrastato e complicato con l’Inghilterra.

L’Inghilterra è quindi questa terra degli Angli, popolo germanico che, tra gli altri, si stabilì nell’isola al tempo delle grandi invasioni. Perché non solo Cesare o Guglielmo il Conquistatore riuscirono a sbarcare lì, ma anche tedeschi e vichinghi. Ciò diede origine ad una curiosa mescolanza tra antiche radici celtiche, poi romane e francesi, a cui infine se ne aggiunsero altre, più barbariche. Questa filiazione multipla non va omessa se si pensa a questo Paese: può manifestare talvolta una grande ferocia e poi la sua flemma e la sua correttezza possono improvvisamente scomparire. La versione più civile di questo tratto caratteriale è la tenacia e la testardaggine. Tuttavia, ci volle l’Inghilterra per passare da un paese scarsamente popolato e isolato alla più grande potenza del mondo,

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Quando l’Inghilterra ha inventato la diplomazia dei diritti umani

Come spesso, tutto è iniziato con una sconfitta. Nel 1453, la battaglia di Castillon suonò la campana a morto per le ultime speranze inglesi di avere un punto d’appoggio nel continente: c’erano voluti duecento anni di guerra per giungere a questa conclusione: l’Inghilterra non avrebbe più il possesso diretto del continente europeo. Influenze ovviamente, possibilmente punti di appoggio (qui Gibilterra, là Malta o Cipro), sostenitori ovviamente, ma nessun territorio in quanto tale. L’Inghilterra tornò ad essere un’isola, in esclusiva. Dopo un Cinquecento segnato da una dichiarata autonomia (la creazione dell’Anglicanesimo), il Seicentosecolo conobbe molti problemi interni (prima rivoluzione, Rivoluzione gloriosa), ma si concluse con l’Atto di Unione del 1707 che legò la Scozia all’Inghilterra. È in un certo senso una prima colonizzazione e il Regno diventa il Regno Unito. Si stava aprendo un ciclo imperiale…

Le Americhe o commercio triangolare (XVII secolo )

Tuttavia, le sue prime fondazioni risalgono alla fine del XVI secolo . Infatti, la lotta contro l’impero spagnolo passò poi attraverso le lettere di razza consegnate ai corsari Francis Drake e John Hawkins, prima sulle coste del Nord Africa, poi fino alle Americhe. Dall’inizio del XVII secolo, l’Inghilterra stabilì i primi posti commerciali nelle Americhe e il Parlamento decretò che solo le navi inglesi potevano commerciare con le colonie inglesi Ciò portò a una serie di guerre con le Province Unite (Paesi Bassi) per tutta la prima metà del secolo, che permisero l’espansione dei possedimenti britannici: Giamaica nel 1655, Bahamas nel 1666. Nel continente americano, Jamestown fu fondata nel 1607 con la Compagnia della Virginia. Seguono altre colonie: Plymouth (1620), Maryland (1634), Rhode Island (1636), Connecticut (1639), Caroline (1663). Fort Amsterdam fu conquistata nel 1664 e ribattezzata New York, quando la Pennsylvania fu fondata nel 1681. Le colonie americane erano meno redditizie di quelle dei Caraibi, ma i vasti tratti di terra disponibili attirarono molti coloni. Nel 1670, la Compagnia della Baia di Hudson ricevette il monopolio delle terre scoperte in quello che sarebbe diventato il Canada.

Questo sistema doveva essere completato dalla fondazione nel 1672 della Royal African Company. Le condizioni economiche dei Caraibi, infatti, imposero un cambiamento nella coltivazione della canna da zucchero e quindi l’arrivo di molti schiavi neri. La popolazione africana delle isole passò dal 25% nel 1650 all’80% nel 1780 (e dal 10% al 40% nelle colonie americane, soprattutto quelle del sud). Da quel momento in poi, fu istituito un commercio triangolare con forti stabiliti nell’Africa occidentale per fornire schiavi alle colonie americane. Vengono deportati 3,5 milioni di africani (un terzo di tutte le vittime di questo traffico), il che garantisce la ricchezza di città come Bristol o Liverpool. Il primo impero britannico fu quindi americano.

L’Asia e la lotta contro i Paesi Bassi e la Francia ( XVIII secolo )

Alla fine del XVII secolo, Inghilterra e Paesi Bassi si interessarono all’Asia e al monopolio portoghese del commercio delle spezie. Se la Compagnia inglese delle Indie orientali fu fondata nel 1600 (l’America è ancora chiamata “Indie occidentali), furono gli olandesi a prenderne inizialmente il vantaggio, soprattutto perché i problemi politici interni inglesi ostacolavano il progresso. Dopo la Gloriosa Rivoluzione del 1688, Guglielmo d’Orange divenne re d’Inghilterra. Si raggiunge un accordo: agli inglesi il commercio dei tessuti, agli olandesi quello delle spezie. Ma a poco a poco il commercio del tè e del cotone si sviluppò e gli inglesi ne approfittarono all’inizio del 18° secolo .

L’Inghilterra era così riuscita a sconfiggere la potenza spagnola ea controllare la rivale navale olandese. Rimase al suo posto un ultimo avversario: la Francia. Ci vorrà un secolo per raggiungere questo obiettivo. Dal 1702 al 1714, l’Inghilterra ha preso parte alla coalizione contro la Francia durante la guerra di successione spagnola. Nel Trattato di Utrecht, l’Inghilterra riceve Gibilterra, Minorca e Acadia. Gibilterra è la principale risorsa strategica che blocca l’accesso al Mediterraneo.

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Dalla grandezza al declino

La Guerra dei Sette Anni iniziò nel 1756 e fu la prima guerra “mondiale”, viste le operazioni in Europa, India e Nord America. Nel 1763, al Trattato di Parigi, la Francia abbandonò la Nuova Francia (i famosi “arpenti di neve in Canada” derisi da Voltaire) all’Inghilterra e la Louisiana alla Spagna. In India, se la Francia mantiene le sue stazioni commerciali, deve abbandonare il suo piano di controllo del subcontinente. Il primo impero coloniale francese è dislocato. Parigi vorrà la sua vendetta e la otterrà qualche anno dopo appoggiando le colonie americane che si stanno ribellando contro Londra.

Tuttavia, la Compagnia delle Indie Orientali approfittò della nuova situazione: conquistò molti territori, amministrava più o meno direttamente, quindi organizzò un proprio esercito. L’India britannica divenne dalla fine del diciottesimo secolosecolo la più redditizia delle colonie britanniche e il “gioiello dell’Impero”. Contemporaneamente alla perdita delle tredici colonie americane durante la Guerra d’Indipendenza americana, resa possibile dal sostegno francese, in particolare dalla flotta di Grasse. L’Inghilterra mantenne alcuni possedimenti nei Caraibi e in Canada, ma ora si interessava principalmente all’Asia. Ha anche continuato la sua espansione in Oceania con l’esplorazione dell’Australia (James Cook) e della Nuova Zelanda. L’Australia inizialmente divenne una colonia penale (fino al 1840 circa) prima di sperimentare la corsa all’oro.

La lotta contro Napoleone portò alla doppia osservazione della difficoltà della lotta di terra e del vantaggio della preminenza navale, confermata dalla vittoria di Trafalgar nel 1805. I Trattati di Vienna riorganizzarono alcune colonie: Mauritius, Trinidad e Tobago o Sainte-Lucia , ma anche Ceylon o la Provincia del Capo tornarono a Londra, che restituì alla Francia Guadalupa, Martinica, Guyana e Riunione. L’inizio dell’Ottocento vide anche la progressiva abolizione della schiavitù (1833). Così, il diciottesimo secolo vide l’impero inglese spostarsi dall’America all’Asia. Questa tendenza si accentuò nel secolo successivo.

Il periodo di massimo splendore (1815-1914)

Un secolo d’oro imperiale si aprì allora per l’Inghilterra, che non ebbe più avversari marittimi e poté costituire una pax britannica legata ad una politica di splendido isolamento. Questa situazione geopolitica fu supportata da due rivoluzioni tecniche: il battello a vapore e il telegrafo consentirono a Londra di controllare l’impero che crebbe di 26 milioni di km².

Questo è stato il primo caso in Asia: Singapore e poi Malacca sono state conquistate, consentendo di estendere la rotta dall’India all’Estremo Oriente. Il commercio di oppio con la Cina è stato organizzato per bilanciare i deflussi di denaro legati all’importazione di tè cinese. L’opposizione cinese fu contrastata dalla prima guerra dell’oppio, conclusa dal Trattato di Nanchino, che concedeva a Londra il porto di Hong Kong. In India, la rivolta dei Sepoy (1857) non fu repressa. La Compagnia delle Indie Orientali viene sciolta, i suoi possedimenti trasferiti al Raj, il regime coloniale che gestirà il subcontinente. La regina Vittoria fu incoronata imperatrice d’India nel 1876.

La rivalità con la Russia (il Grande Gioco) iniziò all’inizio del XIX secolo, sullo sfondo del crollo degli imperi ottomano e persiano. L’Inghilterra tenta di conquistare l’Afghanistan senza molto successo (1842), mentre sconfigge la Russia nella guerra di Crimea (1853). L’Inghilterra annette il Balochistan (1876) mentre la Russia si impossessa del Kirghizistan, del Kazakistan e del Turkmenistan (1877). Fu finalmente firmato un accordo sulle sfere di influenza e la rivalità si spense completamente con l’accordo anglo-russo del 1907.

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Il dominio dell’impero asiatico si basava su un certo numero di staffette: Gibilterra, Malta, Cipro, attraverso il Mediterraneo, il Capo aggirando l’Africa, poi Oman, India, Singapore, Hong Kong. La Colonia del Capo era stata annessa nel 1806 e scatenò l’immigrazione britannica che si oppose ai boeri locali. Questi si trasferirono (il grande Trek) alla fine degli anni ’30 dell’Ottocento, fondando la Repubblica del Transvaal e lo Stato di Orange. La guerra boera (1899-1902) portò all’annessione di questi due stati nel 1902. All’altra estremità del continente, lo scavo del Canale di Suez collegava il Mediterraneo all’Oceano Indiano. Gli inglesi vi investirono e l’Egitto fu occupato nel 1882 dopo una rapida guerra. Poco dopo gli inglesi si spostarono a sud e alla fine sconfissero i Mahdisti del Sudan, poi respinse l’avanzata francese nell’Alto Nilo (Fashoda, 1898). Da quel momento in poi, il desiderio di collegare le colonie africane fece nascere l’idea di una ferrovia, idea spinta da Cecil Rhodes e che provocò nuove occupazioni, una delle quali prese il nome di Rhodesia in suo onore (futuro Zambia e Zimbabwe).

Altrove, le posizioni inglesi si stanno rafforzando. I territori nordamericani si estendono attraverso il continente fino al Pacifico (British Columbia, Northwest Territory, Vancouver Island). La questione dell’emancipazione delle colonie bianche è sorta abbastanza rapidamente. L’Atto di Unione del 1840 creò così la provincia del Canada, prima della creazione di un dominio nel 1867, paese dotato di totale indipendenza tranne che per quanto riguarda la diplomazia. Lo statuto fu adottato per l’Australia nel 1901, la Nuova Zelanda nel 1907 e il Sud Africa nel 1910. Il dibattito per l’applicazione di tale statuto all’Irlanda continuò per un’adozione tardiva nel 1914, troppo tardi per essere applicata: questa fu una delle cause dell’insurrezione del 1916 e della futura indipendenza della Repubblica d’Irlanda.

Potenza navale, maestria tecnica, invenzione economica, ma anche grande emigrazione, queste sono le ricette di questo grande impero mondiale che si estende dal Canada all’Africa, dalle varie staffette asiatiche (Oman, India e Hong Kong) all’Oceania. Già però l’invenzione dei domini suggerisce che questo dominio non può essere duraturo e che sarà necessario, a poco a poco, liberarlo fino al completo abbandono.

RE GIORGIO V E LA REGINA MARY VISITANO L’INDIA

Il declino

Le due guerre mondiali videro la relativizzazione del potere britannico. L’ascesa della Germania e la sfida posta al dominio navale sono una delle cause del cambio di posizione inglese e dell’alleanza con Giappone (1902), Francia (1904) e Russia (1907). Durante la prima guerra mondiale, i soldati dei Domini si allearono con gli inglesi. La battaglia dei Dardanelli segna quindi la coscienza nazionale australiana o neozelandese, proprio come la battaglia di Vimy Ridge fa per la coscienza canadese. Tuttavia, il Trattato di Versailles consente all’Impero britannico di trovare la sua massima espansione, con la messa sotto mandato di colonie precedentemente tedesche e ottomane. La Gran Bretagna conquistò così Palestina, Iraq, Togo, Tanganica, parte del Camerun.

Ma questi guadagni non nascondono il fatto che Londra deve comporre e lasciar andare la zavorra. Nel 1922 firmò il Trattato di Washington dove accettò la parità navale con gli Stati Uniti. L’indipendenza sta già prendendo piede. Un trattato creò lo Stato d’Irlanda nel 1921 (diventato una Repubblica nel 1937), mentre l’Egitto divenne ufficialmente indipendente nel 1922 e l’Iraq nel 1932. Una conferenza imperiale concesse ai domini il potere di gestire la propria diplomazia.

La seconda guerra mondiale completa l’indebolimento degli equilibri imperiali. Le colonie e l’India prendono parte al conflitto così come gli ex domini, l’Irlanda rimanendo neutrale. La caduta della Francia nel 1940 e la guerra combattuta dai giapponesi (offensiva contro Hong Kong e Malesia) lasciarono l’Inghilterra sola. La Carta atlantica del 1941 ha stretto un’alleanza con gli Stati Uniti, ma l’incapacità di difendere le colonie asiatiche ha inferto un duro colpo all’immagine della potenza britannica. Di certo la Gran Bretagna è stata una delle vincitrici indiscusse della guerra, che le ha conferito un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza della nuova ONU. Ma una pagina è stata irrimediabilmente voltata. L’impero aveva permesso a Londra di sconfiggere la Germania, ma era un contributo definitivo. Ora dovevamo andare avanti.

Decolonizzazione

Le elezioni del 1945 videro la sconfitta di Churchill e l’ascesa al potere dei Labour, sostenitori della decolonizzazione. La guerra aveva indebolito profondamente l’economia britannica, che era quasi in bancarotta, dalla quale Londra si salvò solo con un ultimo prestito americano. Tuttavia, in questa nascente guerra fredda, sia Mosca che Washington si opposero al sistema coloniale. Dal 1946 in India scoppiarono gli ammutinamenti che costrinsero a concedere l’indipendenza nel 1947 e la scissione in due stati, uno indù, l’altro musulmano, che causò massicci trasferimenti di popolazione. Birmania e Ceylon ottennero la loro indipendenza nel 1948. Anche la Gran Bretagna si ritirò dalla Palestina nel 1948, lasciando due stati che entrarono immediatamente in conflitto. Infine, La Malesia entrò in insurrezione nel 1948 fino ad ottenere l’indipendenza nel 1957 (Singapore se ne separò rapidamente nel 1965 mentre il Brunei rimase un protettorato fino al 1984). In Kenya, la ribellione Mau-Mau fu attiva dal 1952 al 1957.

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Conflitto di confine sino-indiano: colpa della colonizzazione britannica?

La crisi di Suez è una delle ultime manifestazioni dell’imperialismo. Volendo contrastare la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Nasser, Londra unì le forze con Parigi e Tel Aviv per organizzare una spedizione. Questo fu un successo militare, ma la pressione combinata dell’URSS e degli Stati Uniti costrinse l’Inghilterra a ritirarsi, che all’epoca era sentita come una “Waterloo britannica”. Altri interventi ebbero luogo (Oman nel 1957, Giordania 1958, Kuwait 1961), ma la Gran Bretagna si ritirò da Aden e Bahrain alla fine degli anni 1960. Così la decolonizzazione inglese fu forse più rapida di quella francese ma conobbe anche vicissitudini e conflitti armati.

Gli anni ’60 videro la decolonizzazione dell’Africa. Il Sudan e la Gold Coast avevano già ottenuto la loro indipendenza nel decennio precedente, ma Londra si ritirò da tutti i suoi possedimenti, nonostante la presenza di popolazioni bianche in alcuni, in particolare la Rhodesia. Cipro divenne indipendente nel 1960, così come le colonie caraibiche (Giamaica e Trinidad, poi Barbados, Guyana, ecc.). Negli anni ’70, queste erano Fiji e Vanuatu. Le ultime indipendenze sono avvenute negli anni ’80: Honduras britannico (Belize) e Rhodesia (Zimbabwe). Un ultimo colpo di stato britannico ebbe luogo nel 1982 quando l’Argentina invase l’arcipelago delle Falkland. L’Inghilterra ha lanciato una spedizione militare alla fine del mondo per mantenere questo territorio definitivo. Nel 1984 è stato raggiunto un accordo con la Cina sul futuro status di Hong Kong,

Avanzi, eredità e significato geopolitico

La Gran Bretagna conserva ancora 14 “British Overseas Territories”, a volte disabitati, il più delle volte con varie autonomie. Alcuni sono contestati (Gibilterra, Falkland, ecc.). Un Commonwealth, che riunisce i territori precedentemente britannici, è stato istituito nel 1949 (30 milioni di km², 2,5 miliardi di abitanti). Questa organizzazione intergovernativa non prevede alcun obbligo tra i membri che sono accomunati da lingua, storia, cultura e valori. 15 dei 54 stati sono monarchie guidate dalla regina d’Inghilterra.

Questo impero, tuttavia, ha lasciato molti segni. Oltre a un’intensa emigrazione di britannici in tutto il mondo e che da allora sono diventati cittadini di paesi diventati indipendenti, l’Inghilterra ha prima condiviso la sua lingua. 400 milioni di persone la condividono come lingua madre e diversi miliardi come lingua di comunicazione (grazie all’influenza americana, è vero). Ma il modello politico britannico, il suo modello giudiziario, la sua cultura, i suoi sport (calcio, rugby, cricket, tennis, golf) ei suoi missionari hanno lasciato numerose tracce in tutto il mondo.

Questo impero raggiunse il suo apice poco prima della prima guerra mondiale. Non è un caso che Halford MacKinder pubblicò The Geographical Pivot of History nel 1904, che è il testo fondante della geopolitica anglosassone. Inventa il concetto di Heartland (l’isola globale composta da Eurasia e Africa) a cui si contrappongono le isole esterne (America e Australia). In quanto potenza navale, l’Impero britannico deve controllare l’emergere delle potenze continentali (la Germania ai suoi tempi). È quindi necessario controllare l’Heartland dall’esterno, dalle rive. Il tema sarà ripreso qualche anno dopo dall’americano Spykman che inventerà il concetto di Rimland.

I nostri lettori conoscono questa fondamentale contrapposizione tra i popoli della terra ei popoli del mare: questa è infatti la ragione principale della potenza inglese che ben presto ne accettò il carattere insulare e quindi navale. Sir Walter Raleigh spiegò presto (dall’inizio del diciassettesimo secolo ) il principio che l’impero avrebbe seguito nel corso dei secoli: “Chi detiene il mare detiene il commercio del mondo; chi detiene il commercio detiene ricchezza; chi detiene la ricchezza del mondo detiene il mondo stesso. Da lì nasce l’ambizione di “ Rule Britannia, domina le onde   .

Il mare, fonte di ricchezza, esso stesso fonte di potere: questo è in fondo il destino dell’Impero Britannico. Approfittando della scoperta di un nuovo mondo, stabilendo una prima ricchezza commerciale poi estendendo il suo interesse a nuovi possedimenti sempre più lontani, inventando contemporaneamente la rivoluzione industriale, sfruttando appieno le nuove tecnologie (vapore, telegrafo), mandando i figli e le figlie a fondare stessa alla fine dei mondi per stabilirvi durevolmente la sua influenza, l’Inghilterra seppe costruire un sistema mondiale notevole per la sua durata. L’apogeo britannico durò infatti quasi un secolo, dalla caduta di Napoleone all’entrata in guerra nel 1914. Un dominio così lungo e universale è unico.

Questo orizzonte mentale su scala mondiale, questa associazione precoce della prosperità commerciale con il potere, questo feroce bisogno di una sovranità inalienabile sono invarianti inglesi: devono essere tenuti a mente per comprendere la scommessa della Brexit.

https://www.revueconflits.com/la-grande-strategie-de-langleterre/

Putin sta combattendo la guerra che ha scelto, Di Ernest Sipes

La conferma di un dibattito molto più serio presente al centro dell’impero piuttosto che nella sua periferia_Giuseppe Germinario

Dato che sono tornato dall’Ucraina alcuni giorni fa dopo il mio primo viaggio di segnalazione post-COVID e dopo un paio di giorni in cui ho lasciato che le mie ossa invecchiate riprendessero la loro posizione corretta dopo il trauma di 10 ore in un posto in una compagnia aerea di classe economica, credo di dopotutto hanno acquisito una visione della logistica di questo conflitto.

Che devo dire che inizialmente dubitavo.

Durante quelle tre settimane in Ucraina, sono stato presente per attacchi missilistici in due città, mi sono seduto con gli occhi spalancati attraverso dozzine di sbarramenti di artiglieria, ho passato ore a discutere della guerra con un soldato ucraino ferito durante un viaggio in treno di 17 ore da Leopoli a Dnipro in un una piccola cabina del treno, visitata con membri in servizio dell’esercito ucraino, fotografato molti edifici distrutti nella parte orientale del paese e mangiato borscht così tante volte che credo di poter ora identificare le differenze di ricetta tra Dnipro e Lviv.

Foto dell’autore

Prima di iniziare, vorrei stabilire un paio di cose come punto di riferimento per le mie opinioni.

In primo luogo, ovviamente, Putin ha sbagliato a invadere l’Ucraina, questo è un dato di fatto.

La perdita di vite umane è orribile.

Sostengo pienamente il popolo ucraino nei suoi sforzi per espellere quelli che lì vengono chiamati gli “occupanti russi”. (Significativamente, i soldati russi ora vengono chiamati “Orchi” dai giovani ucraini.)

 

Ma il rapporto tra Russia e Ucraina è lungo ed è molto più complesso di quanto noi estranei possiamo mai immaginare. Ho avuto una conversazione di tre ore con un tecnico informatico polacco di nome Vasily che si è seduto accanto a me sull’aereo in partenza da Varsavia su questo esatto problema. E mentre ammetteva di essere sorpreso dall’invasione, non era così sprezzante nei confronti dei metodi e degli obiettivi russi come si potrebbe pensare. Più di una volta mi è stato espresso il concetto di essere russo non solo come nazionalità, ma come stato dell’essere etno-spirituale.

Quindi, detto questo, preferirei commentare solo alcuni dettagli e inserire una piccola speculazione che dichiarerò in una certa misura come un fatto, semplicemente perché fare altrimenti diventerebbe noioso per il lettore.

Mi sembra che Mosca (e io scelgo di usare Mosca per riferirmi alla Federazione Russa poiché per me è un po’ riduttivo riferirmi a un uomo come il leader di una nazione con un corpo rappresentativo come la Duma) abbia una serie fissa di obiettivi in ​​guerra. Ora potremmo discutere tutto il giorno sul fatto che la Duma rappresenti veramente il popolo della nazione, ma ciò sarebbe inutile dato il motivo per cui scrivo questo pezzo.

Percepisco gli obiettivi di Mosca in questo impegno militare come:

  1. Una rotta verso il Mar Nero.
  2. L’unificazione di aree percepite come appartenenti alla Russia e i cui cittadini (almeno la maggioranza) desiderano unirsi alla Russia.
  3. Un avviso al mondo che le terre che un tempo formavano il blocco sovietico sono ancora sotto la guida di Mosca a un certo livello.
  4. Per scoraggiare l’Ucraina e le nazioni circostanti dall’adesione alla NATO/UE.
  5. Per illustrare che tutta l’Europa orientale è ancora sotto l’influenza di Mosca.

Se affrontiamo la situazione tenendo presenti questi punti, gli eventi e le decisioni prese da Mosca cominceranno ad avere un po’ più senso.

Nonostante ciò che i media stanno presentando, l’esercito della Federazione Russa non è composto da orchi furiosi che violentano, uccidono e saccheggiano. E non sono stati, come ci è stato detto, sconfitti in ogni gara con l’esercito ucraino. Inoltre, l’esercito di Mosca non è esausto e senza carburante, equipaggiamento e rifornimenti. Non ci sono state diserzioni di massa dall’esercito russo. Quella che state leggendo è la tipica propaganda che sembra sempre farsi vedere in una guerra in questa regione. Ho visto esattamente la stessa cosa e gli stessi dispositivi usati nella guerra dell’Ossezia del Sud del 2008 quando lavoravo per il quotidiano Georgia Today e quella particolare invasione russa si stava verificando.

Forse è meglio iniziare con l’essere onesti e riconoscere che Mosca sta esercitando (in una certa misura comunque) moderazione in questa azione finora. Non sto difendendo questo sforzo, ma questo è il semplice fatto della situazione militare come la percepisco io.

Se si accetta che sia stata presa la decisione di raggiungere solo una serie relativamente piccola di obiettivi specifici come indicato sopra, è facile vedere che questo è il motivo per cui non c’è stata alcuna distruzione totale dell’infrastruttura dell’Ucraina quando è ben all’interno della capacità di Mosca di farlo.

Con una mappa del paese in mano e dopo aver preso il treno e l’autobus su molte delle rotte est-ovest-nord, molto probabilmente vedrai che non ci vuole un genio militare per rendersi conto che la topografia dell’Ucraina ce la fa molto vulnerabile ai bombardamenti aerei. E il Paese, a quanto pare, non è preparato per attacchi in questi punti vitali.

Ad esempio, sul ponte che attraversa il fiume Dnepr a Dnipro, non erano presenti sistemi di difesa aerea; invece, c’erano solo due piccoli gruppi di soldati alle due estremità armati di PKM in recinti di sacchi di sabbia.

Inoltre, in termini di trasporto all’interno del paese, l’Ucraina soffre di strutture e materiale rotabile antiquati, in particolare nel settore delle ferrovie. Parte del materiale rotabile è ancora d’epoca sovietica. E non come curiosi oggetti d’antiquariato per i turisti in giro, ma per il vero trasporto di merci.

Di seguito è una mappa dell’Ucraina. Vorrei che esaminassi questa mappa prima e dopo aver letto i miei punti.

Credito mappa: licenza Lencer CC BY -SA 3.0

Vale la pena notare la presenza e la posizione geografica del fiume Dnepr, che divide essenzialmente l’Ucraina in una sezione occidentale e una orientale. Dal punto di vista della difesa di una nazione da un’invasione terrestre, sarebbe difficile sopravvalutare il significato di questo fatto. In poche parole, se il vero obiettivo di Mosca fosse semplicemente invadere e occupare l’Ucraina, allora la seguente sarebbe la loro logica linea di condotta da perseguire:

  1. Colpisci e distruggi i ponti sul fiume Dnepr a Kiev, Cherkasy, Dnipro e Zaporizhzhia usando bombardieri pesanti TU22 e TU60 o equivalenti.
  2. Distruggi gli scali ferroviari di Leopoli, Kiev, Dnipro, Poltava e Uman usando una combinazione di TU 22 e cacciabombardieri come il Sukhoi 34 e il Tupolev 160.
  3. Fondamentalmente risciacquare e ripetere quanto sopra per i sistemi autostradali M06 e MO3 a Kiev, M12 a Kirovgard, MO4 a Dnipro e M20 a Kharkiv.
  4. Invia qualsiasi aereo adatto per sparare semplicemente ai sistemi ferroviari e stradali dopo che quanto sopra è stato completato.
  5. Prendi di mira i missili terra-superficie montati su camion 9K720 e distruggi le stazioni elettriche in città chiave come Leopoli, Kiev, Dnipro, Kharkiv e Zaporizhzhia. Ciò avrebbe diversi effetti, uno dei quali demoralizzerebbe i cittadini nelle città colpite.

Mosca potrebbe realizzare tutto quanto sopra in circa una settimana. Ha superiorità aerea nonostante quello che leggi. Ed è anche importante ricordare che Mosca ha l’aereo – un bombardiere pesante 964 pronto per il combattimento e caccia come riportato dalla Janes Intelligence Review – per resistere alle perdite che si verificherebbero se si scegliesse questa rotta per l’invasione.

Se una tale serie di misure fosse adottata da Mosca, accadrebbe quanto segue:

  1. Con i ponti e le altre infrastrutture di trasporto distrutte, nessun carburante, equipaggiamento militare, cibo o merci si sarebbe spostato da ovest a est.
  2. Le comunicazioni militari interne sarebbero gravemente interrotte.
  3. I rifugiati brulicherebbero i siti dei ponti sul lato orientale del fiume, il che ostacolerebbe ancora di più i movimenti e produrrebbe una crisi umanitaria quasi inimmaginabile.
  4. Praticamente nessun equipaggiamento o rinforzo militare poteva essere spostato nelle aree orientali del Donbas, Odessa, ecc. per rinforzare i già stressati difensori ucraini.
  5. Con la parte orientale del paese tagliata fuori, dopo poche settimane ciò che le forze ucraine rimaste in quella regione sarebbero state costrette ad arrendersi.

Quello che trovo quasi sbalorditivo è che potrei andarci, viaggiare un po’, intervistare alcune persone, guardare come vengono difesi male i ponti, gli incroci stradali e le stazioni ferroviarie, e poi capire che Mosca ha deciso di portare avanti questa guerra con forse solo il 10% della capacità delle sue forze armate. Invece di esaminare i semplici fatti di questo conflitto, analisti e personalità dei media scelgono di ignorare l’ovvio e invece diventano estasiati da una serie di video di BTR 80, BMP2, T72 (e almeno uno dei nuovi T90) russi che vengono fatti saltare in aria in impegni minori con le forze ucraine.

Mosca ha un finale di partita.

Sta infatti raggiungendo quelli che sembrano essere gli obiettivi con cui era iniziato il 24 febbraio.

La Russia sta combattendo esattamente la guerra che vuole combattere con un calendario apparentemente regolabile.

Non ho idea del perché Mosca stia combattendo la guerra in questo modo, ma finora ha deciso di non conquistare l’Ucraina, o addirittura di non far soffrire in larga misura gli abitanti al di fuori di alcune città.

La mia ipotesi migliore è che il trattenimento delle forze russe faccia parte di un piano in evoluzione in modo che quando inizieranno gli inevitabili negoziati di pace, sarà più facile per entrambe le parti venire a patti.

Se, tuttavia, iniziamo a sentire che le stazioni ferroviarie, gli svincoli stradali e le stazioni elettriche nel paese vengono sistematicamente distrutte su vasta scala in numero in rapido aumento (in particolare se i ponti di Kiev, Cherkasy, Dnipro e Zaporizhzhia sono presi di mira), allora che potrebbe benissimo indicare che c’è stato un cambiamento di piani da parte di Mosca in termini di obiettivi per questa invasione.

La mia opinione è che tutto viene eseguito secondo un calendario, con alcune ovvie battute d’arresto per Mosca, poiché gli ucraini stanno ricevendo enormi quantità di equipaggiamento militare dall’ovest e stanno combattendo nel miglior modo possibile.

 

Ma la Federazione Russa non sta perdendo questa guerra.

Per favore, non lasciarti ingannare dal pensiero.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/05/putin_is_fighting_the_war_he_chooses.html

Un duello tra amici_a cura di Giuseppe Germinario

Roberto Buffagni

Germano Dottori, una analisi equilibrata dei primi tre mesi di ostilità in Ucraina. Personalmente dissento su alcuni punti (ad es. l’interpretazione degli obiettivi della prima fase dell’attacco russo) ma quel che conta è che Dottori è competente, informato (per quanto è possibile esserlo) e che si sforza di essere obiettivo. Essere obiettivo non significa essere imparziale, significa non lasciarsi guidare dai propri pregiudizi, sapere quanto margine di incertezza vi sia nell’analisi di una guerra in corso, tentare di accertare per quanto possibile la realtà dei fatti.

Pierluigi Fagan

Roberto Buffagni Mah: 1) Come sa ogni stratega militare, la conquista di una città è l’incubo di tutti gli incubi. Del resto, la cosa si è resa nota ai più con Mariupol e stante che i russi non l’hanno bombardata dall’alto come si conviene a questi casi. Ci sono voluti più di due mesi e Mariupol, ho controllato oggi, è tra un quinto ed un sesto di Kiev, per popolazione e per estensione area in km2, cioè la presa di Kiev sarebbe stata una Mariupol alla quinta/sesta. Il che dice ulteriormente dell’improbabilità dell’idea visto il ruolo storico culturale che Kiev ha nella russità (come per altro Odessa). Pochissimi in Russia avrebbero accettato una cosa del genere; 2) come anche sa lo stratega militare, ci si deve presentare, oltre che con i bombardieri, con un rapporto minimo di 3:1 in termini di effettivi, cosa che non era neanche lontanamente lo stato del campo il 24 febbraio e tantomeno dopo; 3) si fa finta di non sapere l’ovvio ovvero che i satelliti americani hanno letto l’addensamento di truppe russe per settimane e settimane, preparando la difesa degli ucraini che erano tutt’altro che sprovveduti e questo anche era noto ai comandi russi; 4) forse quello che non si comprende è che i russi hanno mandato scientemente al macello o quasi, truppe inesperte, armate all’incirca e senza alcuna reale possibilità di conseguire un obiettivo che non si voleva/poteva conseguire, al fine di porre dei dilemmi di posizionamento truppe a gli ucraini. Lo hanno fatto anche a Simy e Karkhiv, mentre le cartine dell’Institute of Study of War mostrano chiaramente che proprio in quel mentre i russi sono esondati dalla Crimea incontrando quasi nulla resistenza. Un’area di due volte la Crimea stessa che oggi raccontano esser stato un obiettivo di ripiego mentre sappiamo del contrario, in tutta evidenza. Tra l’altro, visto che era proprio questo che volevano prendersi e prenderlo per sempre, la presa facile e quasi intatta ha abbassato i costi di ricostruzione; 5) su questo ha parzialmente ragione chi in video, molti episodi di cattivo coordinamento, defezione e forse l’abbandonarsi a qualche immotivata rappresaglia rabbiosa, discendono dal fatto che quello non era un vero attacco e quando chi sul campo se ne è accorto, certo non l’ha presa bene. Questo vale anche per i comandi locali, è ovvio che una cosa del genere il Cremlino non l’ha certo condivisa; 6) inoltre prendere Kiev e metterci un Quisling non avrebbe in alcun modo garantito la resa ucraina come abbiamo visto dal feroce coinvolgimento delle forze armate e della bande nazionaliste che certo non sono state pompate da Zelensky, il cui convincimento va ben oltre lo stesso Zelensky e che si preparavano da anni; 7) infine, per “tenere” l’Ucraina così messa ci sarebbero voluti tra i 400.000 ed i 500.000 uomini e non certo i 100-130.000 inviati lì. Con manifestazioni contrarie, terrorismo ed un calvario senza senso, oltre ai costi del dover mantenere un nuovo stato essendo per altro sotto sanzioni. Questa storia della presa di Kiev è incredibile, è incredibile come non si ragioni sulla sostenibilità concreta di ciò che si dice. Al punto da domandarsi se chi la sostiene è del tutto in possesso delle sue facoltà mentali o peggio, le possiede ma non le usa o le usa ad altri scopi. Forse la gente scambia Netflix con la realtà ed allora tutto sembra plausibile, oltre il lavaggio del cervello h24.
Roberto Buffagni

Pierluigi Fagan Io concordo al 100% con la tua interpretazione, lo accenno anche nella presentazione del video di Dottori. La prima fase delle ostilità in Ucraina a mio avviso ha registrato una complessa manovra diversiva russa su più direttrici in direzione Nord Ovest, al fine di modellare il campo di battaglia nel Sudest che è l’obiettivo militare dell’operazione; i russi NON vogliono prendersi l’intera Ucraina perché sarebbe “come ingoiare un porcospino” secondo la spiritosa formula di Mearsheimer. Le direttrici di attacco verso Kiev etc. sono state concepite secondo il modello “acqua che scorre”, nessuno sano di mente poteva pensare che con effettivi così esigui si potesse conquistare Kiev (neanche un paesino di 30.000 abitanti se poi devi tenerlo). Probabile che il comando russo abbia destinato a questa manovra diversiva le truppe meno preparate di cui disponeva, e plausibile anche che queste non l’abbiano presa bene quando si sono viste sul punto di essere travolte. Quel che mi ha lasciato perplesso (non riesco a capirne le motivazioni) è l’esiguità delle forze russe impegnate nell’operazione militare speciale. Anche soltanto per conseguire gli obiettivi ridotti (conquista del Sudest fascia costiera del Mar d’Azov e del Mar Nero compresa) impiegare truppe in lieve inferiorità numerica rispetto al nemico è veramente strano e rischiosissimo. Poi ce la stanno facendo, ma stante il vantaggio della difesa, stanti le fortificazioni ucraine del Donbass, stante l’addestramento e l’armamento NATO delle FFAA ucraine, i russi si sono presi un rischio enorme, secondo manuale per star ragionevolmente certi di prendersi il Sudest avrebbero dovuto impiegare come minimo il doppio, meglio ancora il triplo degli effettivi. Gli sta andando bene e questo, devo dire, è un grande successo militare dei russi; ma perché farsela così difficile? Costa caro, in perdite umane. L’unica spiegazione che trovo è una decisione politica, ossia la speranza della direzione russa che condurre operazioni limitate sul campo favorisse un esito diplomatico delle controversia e prevenisse il compattamento del fronte occidentale. Ovviamente non è andata così. E’ per questa ragione, ossia per il fatto incontestabile che tutta l’operazione militare speciale è stata condotta dai russi con un dispiegamento insufficiente di forze – hanno fatto le classiche “nozze coi fichi secchi” – che diventa plausibile anche l’ipotesi di Dottori. Secondo me è sbagliata, per i motivi che tu hai detto e io ho ribadito, e l’errore iniziale vizia parzialmente l’interpretazione successiva, ma non è necessariamente sintomo di malafede o di parzialità inescusabile. Poi che Dottori “faccia il tifo” per la NATO è indubbio, ma bisogna ascoltare sempre anche l’altra campana.
Pierluigi Fagan

Roberto Buffagni Hai ragione, il quesito c’è. Ipotizzo si tratti di un “tenere a riserva”. Come già scritto, qui, chi la dura la vince, il problema è capire quanto è la “dura”. Dottori dice che le truppe prima al nord sono state “ricondizionate”, già qui servono riserve. Steinman dello speciale Mentana, disse che ad un certo punto sono comparsi nel Lugansk chilometri e chilometri di carri e truppe con la lettera O, prima mai usata e che gli avevano detto venire direttamente ed ex novo dalla Russia. Nei filmati, infatti, si notano reparti con la fascia rossa prima mai usata. Fanno rotazioni ed hanno una prospettiva temporale media o lunga. Lo hanno detto all’inizio del conflitto, il conflitto si modulerà sulla risposta dell’avversario. Di base il rapporto 3.1 dovrebbe esserci visto che c’è a livello demografico, a parte che i russi hanno il più grande confine del mondo da difendere, credo che tengano a riserva per rotazioni. Poi è da vedere cosa succederà quando avranno preso tutto il Donbass. Come sai, secondo me lì si fermano, almeno per il momento. Leggevo oggi, tra l’altro che da settembre in poi lì torna a piovere ed i carri per campi di fango non sono una buona idea. Se mettono i confini dentro la Federazione, non puoi neanche bombardarli più di tanto, altrimenti ti nuclearizzano. Comunque diceva Fabbri ora in diretta che i servizi americani sono molto pessimisti sulla tenuta degli ucraini in Donbass, pare si stiano sgretolando e forse la telefonata oggi di Macron-Scholz è in vista della preparazione di una futura cessazione del fuoco a confini raggiunti. Se ci pensi, questo è più di quanto avevano chiesto i russi all’inizio, potranno dirsi soddisfatti. E’ per questo che bombardano la narrativa del “si stanno accontentando perché hanno perso Kiev e Kharkiv”. Difficile giustificare tutto quello che è successo se alla fine perderanno più di quanto non avrebbero perso accettando la piattaforma iniziale. Nei fatti, potrebbe dimostrarsi che era effettivamente una operazione militare limitata. Ognuna delle parti ha una guerra sul campo ed una nelle praterie mentali del proprio pubblico. Questa reiterazione della “sconfitta di Kiev” servirà per dare una parvenza di pareggio, di “ne è valsa la pena” incluso il nostro invio d’armi.
Francesco Meloni

Pierluigi Fagan probabilmente il comando russo ipotizzava una resa o una tregua chiesta dagli ucraini una volta circondata Kiev. Cosa che non si è verificata sia per il livello di infiltrazione angloamericana degli organi direttivi ucraini sia per la resistenza effettiva delle forze in campo.
Marly Grasso Nunes

Riassunto :
– I russi stanno vincendo nel campo di battaglia utilizzando una piccola parte delle proprie forze e armamenti
– l’esercito ucraino era il maggiore di Europa, addestrato e armato. Con molto fortezze nel territorio (come Azovstal) difficile da conquistare
– Dopo 3 mesi di guerra i russi hanno conquistato 20% del territorio ucraino (impiegando mezzi e personale limitati)
– Ricordando: una guerra si può sostenere se un paese è ancora viabile e funzionate. La Russia combatte due battaglie: una sul campo in Ucraina e una sul fronte economico, sociale e politico nazionale e internazionale. Apparentemente se la cava, per il momento, in entrambi
– L’Ucraina mette le truppe ma non combatte da sola. Ha il sostegno militare, politico, rifornimenti (militare e non), addestramento, inteligence, mercenari (solo?), propaganda ecc dell’occidente. Ha vinto la guerra di propaganda, ma perde nel campo di battaglia. Senza il sostegno dell’occidente il paese, già in grosse difficoltà economiche prima, oggi non sarebbe in grado di sostenere le perdite. Questo significa che piu’ si va’ avanti piu’ questo sostegno dovrà aumentare. Già oggi l’Ucraina ha problemi con carburante, hanno perso controllo della piu’ grande usina nucleare e idrica, delle miniere di carbone, due porti importanti.
– Si pone il problema per quanto tempo possono sostenere l’Europei questo ritmo. Hanno abbozzato gas per rubli, il petrolio continua a essere comprato (sempre rubli ?). Cosa si farà per il grano, per il fertilizzanti, per i metalli, per l’uranio? Sicuramente tutto a prezzi 3/4 volte maggiori e l’inflazione che aumenta e la competitività che diminuisce. Oltre a perda di mercati.
– Il grano in particolare: la Russia è già oggi il primo produttore al mondo, aggiungendo la percentuale prodotta nei territori conquistati dell’Ucraina aumenterebbe ancora di piu’ la sua importanza a livello globale
– Con la conquista di Mariupol la Russia ha acquisito il controllo su una regione con uno dei maggiore produttori del gas Neon importante per semiconduttori e lasers.
Questa è una guerra di attrito e la vincerà chi è in grado di resistere piu’ a lungo.
A quanto pare la Russia ha i suoi tempi e non sembra avere fretta (anche con tutto quello che succede intorno e in Ucraina non hanno ancora cambiato passo, solo aggiustato)
Usa hanno approvato 40 miliardi di dollari per l’ucraina di cui forse 6 in armamenti. Un’altra parte andra’ in reclutamento e addestramento. Il restanti nel sostentamento del paese (e in corruzione). Come ho descritto non và sostenuta solo la guerra ma il paese, che ha perso personale, strutture e importanti fonti di sostentamento.
Alcuni analisti presuppongono che i Russi non hanno risorse sufficienti a fronte di un occidente unito.
Io ci penserei due volte prima di dirlo.
Roberto Buffagni

Pierluigi Fagan Le tue sono considerazioni più che ragionevoli. Ti sintetizzo le mie. 1) Il rapporto 3:1 attacco/difesa dei manuali tattici è pensato per il punto di contatto tra gli schieramenti, non come rapporto di forze strategiche. Sul piano del rapporto di forze strategiche (potenza latente, demografia, potenza militare mobilitata+mobilitabile) la Russia è in vantaggio di ben più che 3:1 sull’Ucraina. Solo mobilitando i riservisti, la Russia può schierare 3 MLN e mezzo di uomini. Con una mobilitazione generale di riservisti e coscritti, può mobilitare 10 MLN di effettivi senza raschiare il fondo del barile.
Per quanto attiene alla potenza latente (economica) la Russia possiede materie prime e capacità di trasformarle incomparabile con quella Ucraina. Sintesi, tra Ucraina e Russia non c’è partita sul piano del rapporto di forze strategiche, e siccome la Russia non può permettersi di perdere la guerra, non c’è il minimo dubbio che la vincerà (poi il contenuto della parola “vittoria” va specificato, e questo contenuto non dipende solo dagli obiettivi russi, ma anche e soprattutto dagli obiettivi strategici americani). Insomma: i russi hanno scelto, per motivi che non riesco a capire, di combattere in Ucraina con forze in lieve inferiorità numerica sebbene tutti i manuali tattici prescrivano che per compensare il vantaggio della difesa sia necessaria una superiorità numerica dell’attaccante che convenzionalmente si stabilisce in 3:1.
2) A prescindere da questa scelta operativa le cui ragioni ci saranno sicuramente ma che mi sfuggono, secondo me non c’è il minimo dubbio che i russi avessero scelto di combattere una guerra “westfaliana”, ossia una guerra limitata per obiettivi limitati. Gli obiettivi territoriali sono, per farla corta, la conquista della Novorossya.
Gli obiettivi politici erano (sottolineo “erano”) “denazificazione”, “demilitarizzazione”, “neutralizzazione”. Denazificazione, demilitarizzazione, neutralizzazione sono la stessa cosa, espressa in forme diverse.
“Neutralizzazione” = mediante la firma di un trattato, garanzia de jure che l’Ucraina non diventerà un bastione militare occidentale sul fianco europeo della Russia.
“Denazificazione” non ha solo una funzione propagandistica a uso interno. Le formazioni di destra radicale ucraine, con le loro milizie ora integrate nelle FFAA ucraine, sono il principale strumento politico degli USA e della NATO per il controllo del governo ucraino, al fine di garantire che l’Ucraina sia de facto un membro della NATO, anche se non lo è de jure; perché per quanto minoritarie nell’elettorato, alla bisogna intimidiscono tutti i politici ucraini (se sgarri questi ti ammazzano).
“Demilitarizzazione” ossia distruzione/sbandamento delle FFAA ucraine = l’Ucraina non è più una minaccia militare per il Donbass e la Russia.
In sintesi: se ai russi fossero riuscite denazificazione + demilitarizzazione dell’Ucraina, essi avrebbero ottenuto de facto il risultato di neutralizzare l’Ucraina, qualora non riuscissero ad ottenerlo de jure.
Il raggiungimento dell’obiettivo territoriale è parzialmente raggiunto. Bisogna vedere se i russi riusciranno a raggiungerlo totalmente perché, anche ammesso che i combattimenti in corso nel Donbass si concludano con una vittoria decisiva russa, resta da conquistare Odessa e il territorio che la circonda, e non sarà assolutamente una passeggiata (inoltre, distruggere Odessa come è stata distrutta Mariupol pone serissimi problemi anche interni, è come distruggere Venezia).
Il raggiungimento di tutti gli obiettivi politici, denazificazione, demilitarizzazione, neutralizzazione, si è dimostrato impossibile perché gli americani hanno rilanciato tremila volte il piatto, e hanno ufficialmente dichiarato al massimo livello che l’obiettivo strategico USA è dissanguare, destabilizzare, frammentare politicamente la Russia, come minimo espellendola dal novero delle grandi potenze; e hanno confermato la serietà delle loro intenzioni votando un colossale riarmo dell’Ucraina, e favorendo l’ingresso in campo della Polonia (altri seguiranno).
Le milizie di destra radicale continuano ad esistere, si stanno riorganizzando e armando (anche su territorio NATO). Le FFAA ucraine stanno radunando, addestrando, armando centinaia di migliaia di coscritti e riservisti, su territorio ucraino e su territorio NATO. Veterani ucraini di stanno addestrando all’uso delle nuove armi NATO in Germania e in Polonia.
Sintesi: anche dopo l’eventuale conquista russa della Novorossya, la guerra in Ucraina NON finisce. Il governo ucraino NON siglerà un trattato con la Russia. L’Ucraina NON sarà “denazificata”, “demilitarizzata”, “neutralizzata”. L’Ucraina continuerà a combattere la Russia grazie all’armamento e al finanziamento costante USA+UE, grazie a una profondità strategica qualitativamente aumentata dal fatto che i santuari logistici delle FFAA ucraine si trovano su territorio NATO e i russi non possono colpirli senza rischiare un allargamento del conflitto e una escalation anche nucleare. L’accerchiamento NATO rischia di essere maggiore, non minore rispetto a prima dell’attacco russo, perché c’è la concreta possibilità che Svezia e Finlandia entrino nell’Alleanza Atlantica e per conto degli USA controllino il Mar Baltico, che per la Russia ha importanza strategica.
Morale: anche se diamo per scontata la conquista della Novorossya, la Russia così ottiene una (notevole, importante) vittoria tattica in una campagna, ma subisce una sconfitta strategica perché non ottiene nessuno degli obiettivi politici che si era prefissa e si ritrova daccapo a quindici.
Senz’altro la Russia, dopo il raggiungimento degli obiettivi territoriali, si disporrà sulla difensiva e consoliderà il territorio conquistato. Il punto è che cosa farà dopo, ossia in che modo risponderà alla sfida esistenziale che le pone l’Occidente, sul piano militare e sul piano politico. E’ qui che si apre il Secondo Atto della tragedia ucraina.
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