L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA Parte I e II, di Marinus_a cura di Roberto Buffagni

Presentazione

 

Questo è un saggio dedicato all’invasione russa dell’Ucraina, articolato in due parti, comparse sulla “Marine Corps Gazette”[1] nei numeri di giugno e di agosto 2022. È un’accurata, approfondita, eccellente analisi professionale dell’operazione militare speciale russa; in assoluto e di gran lunga la migliore che abbia trovato (e non ho cercato poco).

L’Autore è “Marinus”, un ufficiale superiore del Corpo dei Marines, abituale collaboratore del mensile; corre voce, non confermata, che si tratti del ten. gen. (a riposo) Paul Van Riper[2], forse in collaborazione con il figlio. La prima parte dell’analisi di “Marinus, consegnata dall’Autore alla redazione il 14 aprile 2022 e pubblicata nel numero di giugno, è dedicata allo studio del livello materiale della campagna militare russa.

La seconda parte dell’analisi, pubblicata in agosto, è invece dedicata ai livelli mentale e morale della campagna russa, e dunque anche al suo significato e ai suoi obiettivi politici.

Come illustra sinteticamente “Marinus” nell’incipit della prima parte, la distinzione in tre livelli della guerra – materiale, mentale e morale – si rifà all’elaborazione teorica del col. John Boyd, USAF[3],  il maggiore teorico contemporaneo occidentale dell’arte militare, e in particolare della guerra di manovra. Nella classificazione teorica di Boyd i fattori della guerra sono, in ordine d’importanza: uomini, idee e materiale.

L’elaborazione teorica di Boyd ha avuto grande rilievo nella riforma della dottrina del Corpo dei Marines, con la quale essi, negli anni Ottanta/Novanta, hanno adottato teoria e pratica della guerra di manovra. Nella sua elaborazione, Boyd riprende sia la lezione di Sun Tzu, da lui appresa nel corso della guerra del Vietnam, sia la lezione dei teorici e degli interpreti tedeschi della guerra, da Clausewitz a von Manstein.

Invito a leggere con calma e attenzione l’analisi di “Marinus”. Come il lettore potrà constatare, essa è affatto dissonante dalle analisi che hanno trovato consenso ufficiale nelle dirigenze militari e politiche statunitensi ed europee, e conduce a conclusioni completamente diverse in merito alle capacità strategiche e operative dell’esercito russo, agli obiettivi strategici russi, e alle prospettive future del conflitto in Ucraina.

L’eccezionale valore dell’analisi di “Marinus” dipende da tre fattori: a) elevata competenza tecnica dell’Autore b) fonte insospettabile di parzialità a favore dei russi c) destinatario principale dell’analisi, ossia il Corpo dei Marines degli Stati Uniti d’America, un reparto militare che sin d’ora deve prepararsi ad affrontare sul campo il nemico russo. È autoevidente che per affrontare con successo un nemico sul campo di battaglia, è indispensabile conoscerlo e valutarlo nel modo più accurato, realistico e veritiero possibile.

La prima parte del saggio di “Marinus”, intitolata L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA/Parte I: il livello materiale della campagna, è tradotta da me. La seconda parte, intitolata L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA/Parte II: i livelli mentale e morale, è tradotta da Carmen di “Voci dall’Estero”, che ringrazio sentitamente, e riveduta da me. Dove non altrimenti specificato, tutte le note in calce sono dell’Autore. Buona lettura.

Roberto Buffagni

L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA

Parte I: il livello materiale della campagna

Maneuverist Paper No. 21

di Marinus[4]

 

John R. Boyd, il principale teorico della guerra di manovra, ha spesso sostenuto che le guerre sono condotte su tre livelli. A livello materiale, le unità e le formazioni si muovono, occupano, attaccano e difendono per interdire, isolare, indebolire e distruggere le forze ostili. A livello mentale, i belligeranti impiegano varie combinazioni di strategia e stratagemmi per seminare confusione, difficoltà di interpretazione e dissonanza cognitiva nella mente dei loro nemici. A livello morale, gli attori si sforzano di convincere tutti gli interessati che sono più veritieri, umani, giusti e affidabili dei loro avversari. [5]

In ogni conflitto, gli osservatori scopriranno spesso che è più facile monitorare i movimenti delle colonne, l’entità degli schieramenti, e il danno causato dal fuoco, che osservare i cambiamenti in atto nelle menti e nei cuori. Così, anche quando gli effetti raggiunti nelle arene mentale e morale si dimostrano più potenti di quelli forgiati dai corpi e dall’acciaio, chi cerca di trovare il senso di uno specifico conflitto inizierà spesso da un esame dei fenomeni puramente materiali. Quindi, la prima parte di questo articolo tratterà gli aspetti concreti dell’invasione russa dell’Ucraina, e la seconda cercherà di individuare gli effetti di queste azioni ai livelli mentale e morale.

 

Attacchi missilistici

Nell’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022, la prima grande azione che ha luogo a livello materiale consiste in una serie di attacchi, effettuati da ben 300 missili guidati, contro installazioni fisse. Alcuni erano missili balistici a corto raggio, per lo più (se non esclusivamente) di un tipo (Iskander-M) introdotto nel 2005. Altri erano missili da crociera della famiglia Kalibr. (Mentre i missili balistici normalmente venivano lanciati da veicoli terrestri, i missili da crociera pare siano stati lanciati da una combinazione di navi in ​​mare e bombardieri in volo.)

Molti, se non la maggior parte, dei bersagli colpiti nella fase iniziale dei bombardamenti missilistici erano elementi, come piste e radar, a servizio dell’impiego dell’aviazione ucraina. Lo scopo di questi attacchi, tuttavia, non pare sia stato tanto quello di garantire il controllo russo dei cieli, ma piuttosto quello di privare gli ucraini di jet, elicotteri e droni, e quindi della capacità di ostacolare il movimento delle forze di terra russe. Infatti, sebbene alcuni missili russi abbiano distrutto elementi del sistema di difesa contraerea ucraino, la relativa assenza di aerei con equipaggio russi nei cieli dell’Ucraina, nei primi giorni dell’invasione, lascia pensare che alcune batterie missilistiche antiaeree ucraine siano sopravvissute all’assalto iniziale[6].

Nei giorni seguenti, gli attacchi missilistici continuarono, anche se a ritmi un po’ ridotti. Quasi tutti gli obiettivi colpiti, con livelli di precisione senza precedenti, erano soprattutto edifici adibiti esclusivamente a scopi o strutture militari, come quelli che si trovano negli aeroporti civili, che potrebbero facilmente essere convertiti ad uso militare. (La grande eccezione alla regola generale del carattere puramente militare degli obiettivi scelti dai russi per gli attacchi missilistici si è verificata il 1 marzo 2022, quando un missile teleguidato ha distrutto la principale torre di trasmissione televisiva nel centro della capitale ucraina di Kiev.[7])

 

Operazioni a nord-ovest di Kiev

Il secondo evento importante del primo giorno di guerra prese la forma di un attacco elitrasportato contro l’aeroporto Antonov, una struttura di collaudo per aeromobili situata a nord-ovest della periferia della capitale ucraina, Kiev. Reso possibile da un’eccezione alla regola generale della riluttanza russa di far levare in volo velivoli con equipaggio, questo colpo di mano ha portato all’ immediata cattura del campo d’aviazione; che a sua volta, ha reso possibile l’arrivo di rinforzi aviotrasportati. In poco tempo, tuttavia, il contrattacco di una brigata ucraina ha costretto i desantniki [paracadutisti, N.d.C.] a cercare rifugio in una foresta vicina. Lì hanno atteso l’arrivo delle forze meccanizzate russe, che, lasciate le loro aree di raggruppamento in Bielorussia ed entrate in Ucraina vicino al luogo dell’incidente nucleare di Chernobyl del 1986, dovevano giungere al campo d’aviazione nell’immediato futuro.

Le suddette forze meccanizzate, che si sarebbero collegate ai paracadutisti il ​​giorno successivo riconquistando l’Aeroporto Antonov, facevano parte di una lunga colonna, composta di ben 16 BTG (Battalion Tactical Group)[8], che coprivano i circa 125 chilometri di autostrada che collega la regione di Chernobyl alla periferia di Kiev. (Un BTG russo è composto da 142 veicoli, assumendo che viaggino a distanza di 20 metri uno dall’altro, ciascuna di queste formazioni, disposta in fila indiana, occupa 3,5 chilometri di spazio stradale. Tuttavia, poiché l’ultima metà del viaggio è stata effettuata su una superstrada a quattro corsie e l’ultimo quarto del viaggio utilizzando un’altra autostrada a due corsie, le colonne formate dai gruppi tattici di battaglione potrebbero essersi accorciate, verso la fine della marcia.)

Invece di spingersi ulteriormente nella periferia di Kiev, i russi che avevano combattuto all’aeroporto Antonov si attestarono su posizioni difensive. Il resto delle unità russe che era entrato in Ucraina vicino a Chernobyl si è spostato attraverso i circa 5.000 km. quadrati di territorio scarsamente popolato che costeggia la sponda occidentale del bacino idrico di Kiev. (Con una lunghezza di 80 chilometri, il bacino idrico di Kiev divide l’area a nord della capitale ucraina in due regioni molto diverse. Mentre la sponda occidentale è rurale, paludosa e scarsamente solcata da strade, la sponda est è sede di consistenti aree urbanizzate, boschi, e una rete di strade asfaltate, ferrovie e autostrade moderne.)

Il terreno paludoso e la scarsità di strade sulla sponda occidentale del bacino idrico di Kiev ha costretto le forze russe ivi schierate a dipendere da un’unica strada praticabile con qualsiasi tempo atmosferico, lunga 85 chilometri. Sapendolo, le forze di terra ucraine situate a nord-ovest di Kiev hanno fatto almeno due tentativi di tagliare la linea di rifornimento russa. Il maggiore di questi attacchi ha avuto luogo a Ivankiv, città con una popolazione, in tempo di pace, di circa 10.000 abitanti, sita nel punto di intersezione tra l’autostrada a doppia corsia che proviene da Chernobyl e la superstrada a quattro corsie per Kiev. Nessuna di queste imprese, tuttavia, è riuscita a realizzare altro che ingorghi di traffico. Così, entro la fine della prima settimana di guerra, i russi beneficiarono del pieno controllo della sponda occidentale del bacino idrico di Kyiv e, cosa ancor più importante, dell’unica linea di comunicazione terrestre che lo attraversa.

Il successo russo sulla sponda occidentale del bacino idrico di Kiev durante la prima settimana di guerra deve molto all’assenza di aerei militari ucraini. Più specificamente, le lunghe colonne di veicoli russi non avrebbero potuto spostarsi su strada, operando in modalità di ricognizione armata, se avessero dovuto fronteggiare a un gran numero di aerei da attacco al suolo ucraini, con o senza pilota. Pare che questo fatto si debba ricondurre a due cause. Primo, gli attacchi missilistici del primo giorno di guerra, proseguiti (anche se su scala leggermente inferiore) nei giorni successivi, hanno privato le unità dell’aviazione ucraina di gran parte della loro capacità di entrare in azione. Secondo, gli zenitchiki [i partecipanti all’operazione Z, N.d.C.] hanno mantenuto una difesa aerea multistrato, creando un ombrello sulla riva occidentale del bacino idrico di Kiev che ha reso difficile, per il piccolo numero di aerei ucraini che sono riusciti ad alzarsi in volo, raggiungere gli obiettivi prefissati.

Operazioni a est di Kiev

Strano a dirsi, la decina di BTG russi dispiegati a est del bacino idrico di Kiev ha seguito un approccio notevolmente diverso da quello impiegato dai loro omologhi sulla sponda occidentale. Nonostante la presenza di una rete stradale molto più congeniale al movimento operativo, e una linea ferroviaria che avrebbe potuto agevolare il supporto logistico, lo spiegamento russo sulla sponda orientale copriva un territorio molto meno esteso. Condotta su più direttrici, l’avanzata si fermò nei pressi di Chernihiv, una città di circa 300.000 abitanti situata a circa 55 chilometri a sud del confine tra Ucraina e Bielorussia.

Nei giorni seguenti, le forze russe a nord di Chernihiv estesero le proprie posizioni a est e ovest, trasformando quello che in un’epoca precedente si sarebbe chiamato “un esercito di osservazione” in un semicerchio di caposaldi. Diversi giorni dopo divenne chiaro lo scopo di questo posizionamento, sulle prime sconcertante, quando circa dodici BTG, appartenenti a un’altra armata russa, si trasferirono da est. Questa armata, che raggiunse rapidamente la periferia nord-orientale di Kiev, interruppe tutti i restanti collegamenti tra Chernihiv e la capitale.

L’armata russa che ha completato l’isolamento di Chernihiv era entrata in Ucraina da posizioni site a circa 200 chilometri a est di quella città. Ha quindi percorso una distanza molto maggiore, rispetto ai BTG entrati in territorio ucraino su entrambe le sponde del bacino di Kiev. Così facendo, elementi di questa armata circondarono e, dopo un breve scontro a fuoco, accettarono la resa di Konotop, la città più grande lungo il loro percorso. (I termini di capitolazione, concordati da un ufficiale russo e dal sindaco di Konotop, prevedevano che le truppe russe rimanessero all’esterno della città, che l’amministrazione civile restasse in carica, e che la bandiera della Repubblica Ucraina continuasse a sventolare sugli edifici pubblici.)[9]

L’armata che ha attraversato Konotop non ha fatto alcun tentativo di occupare la campagna adiacente le strade su cui viaggiava. Una delle più grandi sacche create da questa tattica, che misurava più di 72 chilometri da nord a sud e 120 chilometri da est a ovest, si trovava a sud di Chernihiv. (I russi hanno rifiutato di occupare il più grande centro urbano sito in questa sacca, la città di Nizhyn, anche se era sede sia di un campo d’aviazione militare che di una struttura per la riparazione di veicoli blindati.[10] )

A sud-est di Chernihiv altre quattro armate russe, ciascuna organizzata più o meno come le altre già descritte, varcarono la lunga frontiera che separa il cuore della Russia europea dal quarto nord-orientale dell’Ucraina.

La più settentrionale avanzò più lontano, seguendo un asse est-ovest che correva parallelo a quello dell’armata che aveva completato l’accerchiamento di Chernihiv. La più meridionale delle quattro armate, che pare fosse anche la più piccola, ha compiuto il progresso minore. Nessuno dei suoi 8 battaglioni tattici era avanzato di oltre 100 chilometri dal confine; alcuni fecero spostamenti ancor più modesti.

Ciascuna delle due armate schierate al centro delle forze che erano entrate in Ucraina dalla Russia centrale seguiva una direttrice di marcia bloccata da una vasta area urbana. Nel caso di Sumsy, si trattava di una città di mezzo milione di abitanti. Nel caso di Kharkiv, è la seconda città più popolosa dell’Ucraina, con il triplo degli abitanti di Sumy. In entrambi i casi, le armate russe sul campo non hanno fatto seri tentativi di prendere il controllo delle aree urbane. Piuttosto, dopo il fallimento delle delegazioni inviate per convincere le autorità locali ad arrendersi, i russi hanno posizionato dei controlli sulle strade che portano alle città, e hanno continuato la loro avanzata.

 

Operazioni nel Donbass

A sud-est di Kharkiv, la più meridionale delle quattro armate russe schierate nell’Ucraina nord-orientale ha collaborato direttamente con le forze della Repubblica Popolare di Luhansk, il più piccolo dei due proto-stati filo-russi formatisi nel 2014 nel Donbass, regione dell’Ucraina orientale. Mentre i miliziani della Repubblica popolare di Luhansk avanzavano lentamente e metodicamente in direzione di Severodonetsk, i BTG russi hanno creato una serie di sacche nell’area tra quella città e il confine russo. (La seconda città più grande dell’oblast di Luhansk, Severodonetsk, fungeva da temporanea capitale della parte dell’oblast rimasta fedele al governo dell’Ucraina[11].)

La milizia della Repubblica popolare di Donetsk somiglia, in molti aspetti, a quella della Repubblica popolare di Luhansk. Tutte e due le organizzazioni consistono di unità auto-reclutate, alcune intorno a specifiche ideologie, altre fortemente legate a specifiche località, e per la maggior parte condotte da comandanti carismatici[12].  Queste tendenze peculiari, già molto in evidenza nella fase di creazione di questi eserciti privati nel 2014, paiono essersi rafforzate nel corso dei sette anni in cui hanno combattuto contro organizzazioni comparabili al servizio dell’Ucraina. Come le milizie filo-russe, le milizie pro-ucraine hanno acquisito notevole esperienza in battaglie di fanteria ad alta intensità per il controllo di villaggi, città e quartieri urbani.

Mentre molti uomini erano esperti nelle arti del combattimento di fanteria leggera appiedata, soprattutto nei centri abitati, e hanno prestato servizio nei ranghi delle milizie dei proto-stati filorussi, le forze di fanteria appiedata dei BTG russi erano ridotte nel numero, e orientate a operare in stretta collaborazione con i blindati e i veicoli da combattimento. Allo stesso modo, mentre l’infrastruttura logistica a sostegno delle milizie proto-statali era stata costruita nel corso di sette anni di guerra di posizione, i convogli di camion di supporto ai BTG hanno dovuto fare i conti con una rete stradale limitata, sottoposta agli attacchi di droni e partigiani. Così, mentre gli obici semoventi e i lanciarazzi multipli di un BTG dovevano limitarsi a un piccolo numero di brevi missioni di fuoco, le batterie d’artiglieria improvvisate delle milizie spesso possedevano la capacità di condurre bombardamenti più estesi, sia nel tempo che nello spazio.

Le caratteristiche dei due tipi fondamentali di forze terrestri russe hanno condotto a una naturale divisione del lavoro, in cui le unità di milizia fissavano, mentre i BTG aggiravano sui fianchi il nemico. In numerosi paesi e città del Donbass, alcuni calderoni più piccoli creati da queste unità tattiche si sono rivelati molto più difficili da ridurre, rispetto agli accerchiamenti più vasti formati dal rapido passaggio dei BTG russi attraverso le zone rurali.

Al contempo, i comandanti delle milizie non-statali solo raramente erano in condizione di aggirare queste sacche, specie quando contenevano analoghe forze avversarie. (Questo fenomeno si è potuto vedere non solo nell’epica lotta per il controllo della città di Mariupol, ma anche nella più breve, più piccola, ma non meno feroce lotta per altre città come Volnovakha.)

Le tre settimane di combattimenti per il possesso di Izium, una città di circa 60.000 abitanti a circa 120 chilometri a sud-est di Kharkiv, forniscono un’interessante eccezione alla politica russa di aggiramento dei centri abitati. Durante la seconda settimana della campagna, le forze russe sono entrate nella parte settentrionale della città. Quasi contemporaneamente, le forze ucraine sono entrate a Izium da sud. Dopo un breve scontro diretto, inizia la guerra di posizione, con i russi che tengono la sponda nord del fiume che scorre al centro della città e gli ucraini che ne difendono la riva sud, che funge da barriera. Questa situazione di stallo si è conclusa l’ultima settimana di marzo, quando una task force russa si è spostata in campo aperto, a sud dell’area edificata. Complicata dalla necessità di montare il pontone sotto il fuoco nemico, questa manovra non è riuscita a isolare completamente i difensori della parte meridionale di Izium. Tuttavia, è riuscita a convincere il comando ucraino a ritirare le forze dalla città.

La decisione russa di occupare Izium, anziché limitarsi ad aggirarla, sembra derivare dal desiderio di usare la città come punto di partenza per una delle due ali della manovra operativa in assoluto più importante di tutta l’invasione dell’Ucraina, l’accerchiamento delle numerose formazioni ucraine che combattono nel Donbass. In particolare, il possesso di Izium ha dato ai russi la possibilità di usare senza problemi le cinque autostrade che si incontrano nella città, una linea ferroviaria che corre fino a Kharkiv (e, da lì, fino a Mosca), e una zona adatta alla creazione di un’ampia base logistica. (Izium è situata sul lato ovest del bacino idrico di Oskil, che la protegge, assieme a diverse centinaia di miglia quadrate dei suoi dintorni, da attacchi via terra provenienti da est.)

Operazioni lungo il Mar d’Azov

Nell’angolo sud-ovest del Donbass il conflitto è iniziato con un attacco in direzione di Mariupol, eseguito in gran parte dalle milizie basate nel territorio controllato dalla Repubblica popolare di Donetsk. Mariupol, il più grande porto ucraino sul mare d’Azov, ospitava quasi mezzo milione di abitanti, nove decimi dei quali parlavano russo come prima lingua.

Tuttavia, nella grande crisi del 2014, la città era riuscita ad evitare l’incorporazione nel proto-stato filo-russo formatosi nel territorio dell’oblast di Donetsk. Divenne così un simbolo della resistenza ucraina alla Russia, oltre che la dimora di eserciti privati, come il famigerato Battaglione Azov, alleato al governo di Kiev.

Il primo attacco a Mariupol e i molti altri attacchi che si sono susseguiti nel corso delle prime otto settimane di guerra, hanno assunto la forma di metodici tentativi di conquistare specifici pezzi di territorio. Si sono quindi rivelati più costosi per i combattenti coinvolti, più distruttivi delle infrastrutture urbane, e più pericolosi per i civili rispetto alle operazioni condotte altrove dai BTG. Necessitando di grandi quantità di munizioni, questi attacchi hanno anche imposto maggiori carichi al sistema di approvvigionamento russo.

Il 27 febbraio 2022, le forze russe che attaccavano dalla Crimea hanno preso il controllo di Berdiansk, il secondo maggiore porto ucraino sul Mar d’Azov[13]. Rimaste intatte le strutture portuali catturate, i russi hanno trasformato rapidamente Berdiansk in una base di rifornimento per i numerosi BTG che si stavano muovendo attraverso l’oblast sito appena a ovest di Mariupol, quello di Zaporizhzhia. (Mentre alcune di queste formazioni si stavano spostando a est, per collegarsi con le forze filo-russe nelle vicinanze di Mariupol, altre si stavano spostando verso nord, verso la riva sud del più grande tra i molti fiumi dell’Ucraina, il Dnipro.)

A Zaporizhzhia, tutte le formazioni dell’esercito russo partite dalla Crimea erano entrate in Ucraina attraverso tre corridoi. Il più ampio, che ospitava sia il traffico stradale che quello ferroviario, era situato in capo all’unico istmo di collegamento tra la penisola di Crimea e la terraferma ucraina. Il secondo era costituito da un’unica autostrada a due corsie interrotta da uno stretto braccio di mare. Il terzo corridoio, il più stretto di tutti, consisteva in una strada di campagna a servizio dei tanti piccoli villaggi turistici situati su una striscia di sabbia che corre lungo tutti i 112 chilometri della costa nord-orientale della Crimea. (Raggiungere la terraferma ucraina per mezzo di questi ultimi due corridoi richiede l’attraversamento di ponti. Uno di questi ponti, che attraversa il braccio di mare summenzionato, segna il confine tra Crimea e Ucraina. L’altro, che attraversa un fiume all’estremità nord della striscia di sabbia, giace per intero all’interno del territorio ucraino.)

La facilità con cui sarebbe stato possibile bloccare questi corridoi suggerisce che i russi abbiano tentato di ottenere il controllo di punti di strozzatura sin dal primo giorno di guerra. In due casi questi tentativi sembrano aver avuto successo; niente sembra aver ostacolato la corsa dei BTG attraverso l’istmo o lo stretto. Tuttavia, l’azione dei Marines russi che sono sbarcati nel villaggio di Azovske, appena a nord del capolinea della terza rotta, si è rivelata incapace di impedire che i genieri ucraini facessero saltare in aria il ponte che collegava la striscia di sabbia alla terraferma.

La storia deve ancora determinare se la fanteria di marina russa sbarcata ad Azovske avesse ricevuto il compito di mettere in sicurezza il ponte[14]. Infatti, non sappiamo ancora se i russi abbiano fatto uso di un percorso che fin da subito si presentava vulnerabile alle interruzioni e poco adatto al traffico intenso.

Quel che è certo, però, è che i Marines russi, a bordo di mezzi corazzati per il trasporto truppe, hanno speso molto poco tempo in spiaggia. Invece, si sono diretti verso la città di Melitopol, a circa 84 chilometri nell’entroterra dal loro sito di sbarco[15].

 

Operazioni a Kherson e Mykolaiv

Non tutte le formazioni russe che erano entrate in Ucraina dalla Crimea si sono trasferite a Zaporizhzhia. Forze significative si sono dirette a nord-ovest, verso le due località dell’oblast di Kherson, dove le autostrade attraversano il il Dnipro. Prima della fine del primo giorno dell’operazione, una di queste colonne aveva catturato il più orientale di questi incroci, che corre lungo la sommità della diga di Nova Khakovka. Al contempo, un’altra colonna catturò ma non riuscì a tenere il ponte di Antonivka, un sobborgo industriale della città di Kherson.

Nei giorni seguenti, mentre ad Antonivka le forze russe erano impegnate in una battaglia con alterne sorti per il controllo del ponte, diversi BTG hanno attraversato il Dnipro a Nova Khakovka e circondato la città di Kherson.

Mentre alcune delle formazioni russe che avevano attraversato il Dnipro hanno bloccato le vie in uscita da Kherson, altre si sono spinti a ovest. Quando Kherson si arrese (1 marzo 2022), queste ultime forze avevano raggiunto la periferia di Mykolaiv, in Ucraina, il secondo maggior porto del Mar Nero. Nonostante l’importanza di quella città per la Marina ucraina, le formazioni russe operanti nelle vicinanze di Mykolaiv non fecero alcun tentativo di prenderla[16]. Piuttosto, hanno preso il controllo delle strade che portano in città, inviato BTG in operazioni di ricognizione in forze, e lasciato il compito di distruggere le molte strutture militari e navali della zona ai missili guidati e agli aerei[17].

Attacchi alla logistica ucraina

Nel corso del mese di marzo, la campagna russa di attacchi missilistici contro obiettivi statici ha spostato la sua attenzione dalle strutture di servizio alla forza aerea ucraina agli impianti, come depositi di carburanti, munizioni, magazzini e officine, a sostegno delle forze di terra. Nella notte tra il 19 e il 20 marzo 2022, ad esempio, missili da crociera Kalibr, lanciati da navi russe nel Mar Nero, hanno colpito la fabbrica di riparazione veicoli pesanti a Nizhyn, circa 64 chilometri a sud-est di Chernihiv. (Il comunicato stampa russo che descrive questo attacco ha caratterizzato la fabbrica come luogo in cui venivano riparati i veicoli corazzati ucraini danneggiati in combattimento.) Quella stessa notte, missili ipersonici hanno colpito un centro di stoccaggio e distribuzione di carburante nella città di Kostayantynivka, circa 65 km. a nord-ovest di Mykolaiv.

Il cambiamento di enfasi della campagna di lancio dei missili guidati ha coinciso con un notevole aumento del numero di missioni di attacco al suolo ad opera di aerei militari russi. Mentre un una piccola parte di questi attacchi ha colpito lo stesso tipo di obiettivi dei missili, la maggior parte delle sortite di attacco al suolo sembrano essere state dirette verso concentrazioni di punti di forza, e aree di equipaggiamento militare[18]. (Sorprendentemente, non ci sono segnalazioni di aerei russi operanti in modalità di ricognizione armata. Resta da vedere se ciò deriva da un cambiamento della prassi operativa russa o semplicemente dalla scarsità di movimenti delle forze di terra ucraine lungo le strade principali).

Ridispiegamento

Durante i primi tre giorni di aprile 2022, tutte le forze di terra russe operanti su entrambi i lati del bacino idrico di Kiev, così come quelle posizionate nell’angolo nord-est dell’Ucraina, sono tornate nelle loro aree di raggruppamento, in Bielorussia e in Russia. Come risultato di questo grande spostamento, tra il 60 e 65% delle forze di terra russe in Ucraina è diventata disponibile per il ridispiegamento. In altri termini, il ritiro di una porzione molto significativa della forza d’invasione russa ha reso possibile il raggruppamento di una potente riserva operativa.

Durante la seconda settimana di aprile, alcune delle formazioni russe che erano state ritirate dall’Ucraina settentrionale, e un certo numero di formazioni fresche, sono giunte nelle vicinanze di Izium. Lì hanno preso parte a un’avanzata verso Severodonetsk che, se completata, creerebbe una sacca a nord del territorio controllato dalla milizia del popolo della Repubblica di Luhansk.

Nota dell’Autore: questo articolo è stato consegnato alla redazione il 14 aprile 2022. È stato quindi scritto ignorando tutti gli eventi che si sono verificati dopo questa data.

 

Appendice

Gruppo tattico di battaglione (BTG)

L’elemento fondamentale delle forze di terra russe che hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022 è il ” gruppo tattico di battaglione” [batal’onnaya takticheskaya gruppa]. Come suggerisce il nome, queste formazioni ad armamenti combinati sono spesso utilizzato per scopi tattici. Tuttavia, ci sono state occasioni durante i primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina del 2022, in cui ai BTG furono affidate missioni di diretto rilievo operativo. Queste includevano la conquista di ponti e il “combattere per l’intelligence” [razvedka boyem]. Quest’ultima azione, che si può tradurre anche come “ricognizione in combattimento”, prevedeva la effettuazione di attacchi su scala relativamente piccola per individuare lacune sfruttabili nelle difese ucraine. Ha quindi molto in comune con la classica tecnica della guerra di manovra della “incursione di ricognizione”.

In termini organizzativi, la composizione dei BTG ha molto in comune con la composizione dei battaglioni impiegati dall’Esercito USA e dal Corpo dei Marines negli ultimi ottant’anni.

Come nel battaglione americano, nel battaglione russo i gruppi tattici sono costituiti da un battaglione di fanteria rinforzato da unità più piccole di altre armi.

I BTG, tuttavia, tendono ad avere molti più pezzi di artiglieria dei loro analoghi americani.

Dove il normale battaglione americano è stato a lungo dotato di una sola batteria armata con il pezzo da campo standard di supporto diretto, l’artiglieria di un tipico BTG russo è composta da una batteria di obici semoventi da 152 mm, una batteria di lanciarazzi multipli montati su camion e una batteria di lanciamissili antiaerei a corto raggio.[19]

 

L’invasione russa dell’Ucraina

Parte II: I livelli mentale e morale[20]

Maneuverist Papers n. 22

 

di Marinus

 

Considerate come fenomeni puramente materiali, le operazioni condotte dalle forze di terra russe in Ucraina nel 2022 presentano un quadro sconcertante. Nel nord dell’Ucraina, i BTG russi hanno invaso gran parte del territorio, ma non hanno tentato di trasformare l’occupazione temporanea in possesso permanente. Infatti, dopo aver trascorso cinque settimane in quella regione, se ne sono andati, rapidamente come erano arrivati. Nel sud, l’ingresso altrettanto rapido delle forze di terra russe ha portato alla creazione di presidi russi e all’insediamento di istituzioni politiche, economiche e culturali russe. Nel terzo teatro della guerra, raramente si sono verificati movimenti rapidi del tipo che ha caratterizzato le operazioni russe sui fronti settentrionale e meridionale. Piuttosto, le formazioni russe nell’Ucraina orientale hanno condotto attacchi di artiglieria ad alta intensità per catturare aree relativamente ridotte.

Un modo per fare un po’ di luce su questo enigma è considerare le operazioni russe su ciascuno dei tre principali fronti della guerra come campagne distinte. Un ulteriore chiarimento deriva dalla consapevolezza che ciascuna di queste campagne seguiva un modello che fa parte del repertorio operativo russo da molto tempo. Questo schema, tuttavia, non riesce a spiegare perché il comando russo abbia applicato modelli distinti a ogni specifica serie di operazioni. Per rispondere a questa domanda, è necessario esaminare gli obiettivi mentali e morali perseguiti da ciascuna di queste tre campagne.

 

I raid al nord

I marines americani hanno usato a lungo il termine “raid” per descrivere un’impresa in cui una piccola forza si sposta rapidamente in un luogo specifico, completa una missione circoscritta, e si ritira il più rapidamente possibile[21]. Per i soldati russi, tuttavia, il cugino linguistico di quella parola (reyd) ha un significato un po’ diverso. Mentre lo spostamento effettuato dalla forza che conduce un raid non è altro che un mezzo per raggiungere specifici punti della mappa, il movimento delle forze, spesso più grandi, che conducono un reyd, produce effetti significativi sul piano operativo. Ossia: mentre si spostano lungo varie strade principali e secondarie, le forze che effettuano un reyd confondono i comandanti nemici, interrompono la logistica nemica e privano i governi nemici della legittimità che deriva dal controllo incontestato del proprio territorio. Allo stesso modo, mentre ogni fase di un odierno raid americano segue obbligatoriamente un copione dettagliato, un reyd è un’impresa più aperta, che può essere adattata per sfruttare nuove opportunità, evitare nuovi pericoli o raggiungere nuovi obiettivi.

Il termine reyd è stato introdotto nel lessico militare russo alla fine del XIX secolo, da teorici che avevano notato le somiglianze tra le operazioni indipendenti della cavalleria nella guerra civile americana e la già consolidata pratica russa di inviare colonne mobili, spesso composte da cosacchi, in lunghe incursioni attraverso il territorio nemico.[22] Un primo esempio di queste incursioni è fornito dalle gesta della colonna comandata da Alexander Chernyshev durante le guerre napoleoniche. Nel settembre del 1813, questa forza di circa 2.300 cavalleggeri e due cannoni da campo leggeri fece un giro di 650 chilometri attraverso il territorio nemico. A metà di questa ardita impresa, la colonna occupò, per due giorni, la città di Kassel, allora capitale di uno degli stati satelliti dell’Impero francese. Il timore che un’impresa così imbarazzante potesse ripetersi convinse Napoleone ad assegnare due corpi d’armata al presidio di Dresda, allora sede del governo di un’altra delle sue colonie.[23] Di conseguenza, quando Napoleone incontrò le forze congiunte dei suoi nemici nella battaglia di Lipsia, la sua Grande Armée, già in inferiorità numerica, era molto più ridotta di quanto sarebbe stato altrimenti.

Nel 2022, i numerosi BTG russi che si sono addentrati in profondità nell’Ucraina settentrionale durante i primi giorni dell’invasione russa non hanno tentato di ripetere l’occupazione di Lipsia. Piuttosto, nel loro percorso evitavano tutte le città più grandi e, nelle rare occasioni in cui si trovavano in una città più piccola, l’occupazione raramente durava più di poche ore. Tuttavia, le colonne russe in rapido movimento hanno creato, su scala molto più ampia, un effetto simile a quello che risultò dall’incursione di Chernyshev del 1813. Ossia, persuasero gli ucraini a indebolire il grosso del loro esercito, che combatteva allora nella regione del Donbass, per rafforzare le difese di città lontane.

 

Occupazione rapida al sud

In termini di velocità e distanze percorse, le operazioni russe nell’area tra la costa meridionale dell’Ucraina e il fiume Dnepr assomigliano alle incursioni effettuate nel nord. Differiscono, tuttavia, nella gestione delle città. Mentre le colonne russe dispiegate su entrambi i versanti di Kiev evitavano le grandi aree urbane ogni volta che potevano, gli omologhi reparti nel sud hanno preso possesso permanente di grandi città. In alcuni casi, come nella ship-to-objective maneuver (STOM) iniziata nel Mar d’Azov e terminata a Melitopol, la conquista della città è avvenuta durante i primi giorni dell’invasione russa. In altri, come nella città di Skadovsk, i russi hanno aspettato diverse settimane prima di occupare alcune aree e affrontare le forze di difesa locali, che durante l’avanzata iniziale avevano ignorato.

Nei tempi immediatamente successivi al loro arrivo, gli ufficiali russi che hanno preso il comando delle aree urbane del sud hanno seguito la stessa politica dei loro colleghi al nord. Cioè, hanno permesso ai rappresentanti locali dello stato ucraino di svolgere le loro funzioni e, in molti casi, di continuare a sventolare la bandiera del loro paese sugli edifici pubblici[24]. Non è passato molto tempo, tuttavia, prima che i funzionari russi prendessero il controllo del governo locale, sostituissero le bandiere sugli edifici e avviassero la sostituzione delle istituzioni ucraine, che si trattasse di banche o compagnie di telefonia cellulare, con quelle russe[25].

Come il modello del reyd, il paradigma di campagne in cui una rapida occupazione militare si accompagna ad una profonda trasformazione politica faceva parte della cultura militare russa da molto tempo. Pertanto, quando hanno dovuto spiegare il concetto delle operazioni sul fronte meridionale, i comandanti russi hanno potuto portare ad esempio una qualsiasi delle numerose, analoghe imprese effettuate dallo Stato sovietico nei quattro decenni successivi all’occupazione sovietica della Polonia orientale nel 1939. (Compresa la conquista di Estonia, Lettonia e Lituania nel 1940, la soppressione dei governi riformisti in Ungheria e Cecoslovacchia durante la Guerra Fredda, e l’invasione dell’Afghanistan nel 1979.)[26]

Nel sud, mentre alcune formazioni russe consolidavano il controllo sul territorio conquistato, altre effettuavano incursioni nelle vicinanze della città di Mykolaiv. Come le analoghe, più grandi incursioni sul fronte settentrionale, queste manovre hanno spinto il comando ucraino a dedicare alla difesa delle città forze che altrimenti avrebbero potuto essere impiegate nei combattimenti per la regione del Donbass. (In questo caso, le città in questione includevano i porti di Mykolaiv e Odessa.) Al contempo, le incursioni nella parte più a nord del fronte meridionale hanno creato un’ampia “terra di nessuno” tra le aree occupate dalle forze russe e quelle interamente sotto il controllo del governo ucraino.

Stalingrado nell’est

Le operazioni russe nel nord e nel sud dell’Ucraina hanno utilizzato pochissimo l’artiglieria da campo, in parte per una questione di logistica. (Sia che facessero incursioni a nord o rapide occupazioni a sud, le colonne russe non avevano i mezzi per trasportare un’ingente quantità di proiettili e razzi.) In quelle campagne, tuttavia, l’assenza di impiego dell’artiglieria risponde alla logica dei fini, piuttosto che dei mezzi. Nel nord, la riluttanza russa a bombardare scaturiva dal desiderio di non inimicarsi la popolazione locale, che quasi tutta, per motivi linguistici ed etnici, tendeva a sostenere lo Stato ucraino. Nel sud, la politica russa di evitare l’uso dell’artiglieria da campo serviva allo stesso scopo politico: preservare vite e proprietà di comunità, in cui molte persone si identificavano come “russe” e molte altre parlavano il russo come lingua madre.

Ad est, invece, i russi hanno effettuato bombardamenti che, sia per durata che per intensità, possono rivaleggiare con le grandi operazioni di artiglieria delle guerre mondiali novecentesche. Resi possibili da linee di rifornimento brevi, sicure e straordinariamente ridondanti, questi bombardamenti servivano a tre scopi. In primo luogo, confinavano le truppe ucraine nelle loro fortificazioni, privandole della capacità di fare altro che rimanere sul posto. In secondo luogo, hanno inflitto un gran numero di perdite, sia a livello propriamente fisico che per gli effetti psicologici della reclusione, dell’impotenza e della prossimità ad un gran numero di esplosioni che fanno tremare la terra. Terzo, quando effettuato per un periodo di tempo sufficiente, spesso misurabile in settimane, il bombardamento di una fortificazione portava invariabilmente o alla ritirata dei difensori, o alla resa.

Possiamo farci un’idea della portata dei bombardamenti russi nell’est dell’Ucraina confrontando la contesa per la città di Popasna (18 marzo – 7 maggio 2022) con la battaglia di Iwo Jima (19 febbraio – 26 marzo 1945). A Iwo Jima, i marines americani combatterono per cinque settimane per annientare i difensori di otto miglia quadrate di terreno abilmente fortificato. A Popasna, gli artiglieri russi hanno bombardato i sistemi di trincee costruiti nei crinali e nelle gole di un’area simile per otto settimane, prima che il comando ucraino decidesse di ritirare le sue forze dalla città.

La cattura di intere aree da parte dell’artiglieria, a sua volta, ha contribuito alla creazione degli accerchiamenti che i russi chiamano “calderoni” (kotly). Come molto della teoria militare russa, questo concetto si basa su un’idea presa in prestito dalla tradizione tedesca della guerra di manovra: il “calderone di battaglia” (Schlachtkessel). Tuttavia, mentre i tedeschi cercavano di creare e sfruttare i loro calderoni il più rapidamente possibile, i calderoni russi possono essere o rapidi e sorprendenti, o lenti e apparentemente ineluttabili. In effetti, le offensive sovietiche coronate da successo della Seconda Guerra Mondiale, come quella che portò alla distruzione della Sesta Armata tedesca a Stalingrado, fecero ampio uso di calderoni di entrambi i tipi.

La libertà dall’urgenza di creare calderoni il più rapidamente possibile ha sollevato i russi che combattevano nell’Ucraina orientale dall’obbligo di tenere specifiche porzioni di territorio. Pertanto, di fronte a un attacco ucraino ben determinato, i russi spesso ritiravano i loro carri armati e le loro unità di fanteria dal terreno conteso. In questo modo, da un canto riducevano il pericolo per le proprie truppe, dall’altro creavano situazioni, per quanto brevi, in cui gli attaccanti ucraini dovevano affrontare proiettili e razzi russi allo scoperto, senza la protezione di un riparo. Altrimenti detto, i russi considerano questi “bombardamenti a ripetizione” non soltanto come un impiego accettabile dell’artiglieria, ma anche come un’opportunità per infliggere ulteriori perdite, impegnandosi in un “consumo vistoso”[27] del munizionamento d’artiglieria.

Nella primavera del 1917 le forze tedesche sul fronte occidentale usarono tattiche simili per creare situazioni in cui le truppe francesi che avanzavano lungo i pendii posteriori dei crinali conquistati di recente venivano colte allo scoperto dal fuoco dell’artiglieria da campo e delle mitragliatrici. L’effetto di questa esperienza sul morale francese fu tale, che i fanti di cinquanta divisioni francesi reagirono con atti di “indisciplina collettiva”, il cui motto era “terremo le posizioni, ma ci rifiutiamo di attaccare”[28]. (Nel maggio del 2022 sono apparsi su Internet diversi video in cui persone che affermavano di essere soldati ucraini che combattevano nella regione del Donbass spiegavano che, pur essendo disposti a difendere le loro posizioni, avevano deciso di disobbedire a qualsiasi ordine che richiedesse loro di avanzare.)

 

Risolvere il paradosso

Nei primi giorni del dibattito sulla guerra di manovra, i maneuverist spesso presentavano la loro filosofia preferita come l’opposto logico della “guerra d’attrito/potenza di fuoco”. Ancora nel 2013, gli anonimi autori delle “Attritionist Letters” usavano questo schema dicotomico per strutturare la loro critica alle pratiche discordanti dallo spirito della guerra di manovra. Nelle campagne russe in Ucraina, tuttavia, una serie di operazioni composte anzitutto di movimento si integra a un’altra costituita principalmente da cannoneggiamenti.

Un modo per risolvere questo apparente paradosso è caratterizzare i raid delle prime cinque settimane di guerra come un Grande Inganno che, pur avendo scarso effetto in termini di distruzioni dirette, ha reso possibile il successivo logoramento delle forze armate ucraine. In particolare, la minaccia portata dalle incursioni ha ritardato il movimento delle forze ucraine nel teatro principale della guerra fino a quando i russi non avessero schierato le unità di artiglieria, messo in sicurezza la rete di trasporto e accumulato le scorte di munizioni necessarie per condurre una lunga serie di massicci bombardamenti. Questo ritardo ha assicurato anche che, quando gli ucraini hanno dispiegato ulteriori formazioni nella regione del Donbass, il movimento di queste forze e delle forniture necessarie a sostenerle è stato reso molto più difficile dalle distruzioni provocate alla rete ferroviaria ucraina da missili guidati a lunga gittata. In altre parole, i russi hanno condotto una breve campagna di manovra nel nord allo scopo di preparare il terreno per una campagna di logoramento, più lunga e di importanza più fondamentale, all’est.

Il netto contrasto tra i differenti tipi di guerra condotta dalle forze russe nelle diverse parti dell’Ucraina ha rafforzato il messaggio centrale delle operazioni d’ informazione russe. Fin dall’inizio, la propaganda russa ha insistito sul fatto che la “operazione militare speciale” in Ucraina serviva a tre scopi: la protezione dei due proto-stati filo-russi, la “smilitarizzazione” e la “denazificazione”. Tutti e tre questi obiettivi implicavano la necessità di infliggere pesanti perdite alle formazioni ucraine che combattevano nel Donbass. Nessuno di questi obiettivi, tuttavia, dipendeva dall’occupazione di parti dell’Ucraina in cui la stragrande maggioranza delle persone parlava la lingua ucraina, abbracciava un’identità etnica ucraina e sosteneva lo Stato ucraino. In effetti, l’occupazione russa prolungata di quei luoghi avrebbe suffragato l’argomento che la Russia stesse cercando di conquistare l’intera Ucraina.

La campagna russa nel sud era al servizio di obiettivi politici diretti. Cioè, è servita a incorporare territori abitati da un gran numero di persone di etnia russa nel “mondo russo”. Allo stesso tempo, la rapida occupazione di città come Kherson e Melitopol ha reso più credibile l’inganno che era il vero scopo delle operazioni al nord, ispirando negli ucraini il timore che le colonne russe, dispiegate su entrambi i lati di Kiev, tentassero di occupare città come Chernihiv e Zhytomyr. Allo stesso modo, le incursioni condotte a nord di Kherson potevano far pensare che i russi volessero tentare l’occupazione di altre città, la più importante delle quali era Odessa.[29]

Missili guidati

Il programma russo di attacchi missilistici guidati, condotto in parallelo alle tre campagne di terra, ha creato una serie di effetti a livello morale, favorevoli allo sforzo bellico russo. Il più importante deriva dal contenimento dei danni collaterali, non solo per la straordinaria precisione delle armi utilizzate, ma anche per la scelta oculata dei bersagli. Pertanto, i nemici della Russia hanno avuto difficoltà a caratterizzare gli attacchi contro depositi di carburante e munizioni, necessariamente situati a una certa distanza dai luoghi in cui vivono e lavorano i civili, come qualcosa di diverso da attacchi a installazioni militari.

Allo stesso modo, l’impegno russo a interrompere il traffico nel sistema ferroviario ucraino avrebbe potuto includere attacchi contro le centrali elettriche, che forniscono elettricità sia alle comunità civili che ai treni. Attacchi del genere, tuttavia, avrebbero provocato molte perdite di vite umane tra i lavoratori di quegli impianti, e molte sofferenze nelle località che sarebbero rimaste senza corrente elettrica. Invece, i russi hanno scelto di dirigere i loro missili verso le sottostazioni di trazione, i trasformatori remoti che convertono l’elettricità della rete generale nelle forme utili ad alimentare i treni[30].

Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui attacchi missilistici contro strutture a “doppio uso” hanno dato l’impressione che i russi avessero, in effetti, preso di mira strutture esclusivamente civili. L’esempio più eclatante di un simile errore è stato l’attacco, compiuto il 1° marzo 2022, alla torre principale della televisione a Kiev. A prescindere dal fatto che ci fosse o meno del vero nell’affermazione russa, che la torre era stata utilizzata per scopi militari, l’attacco a una struttura iconica, a lungo associata a scopi puramente civili, ha pesato molto nel ridurre i vantaggi ottenuti dalla politica russa complessiva di limitare gli attacchi missilistici a obiettivi chiaramente militari[31].

 

La sfida

Le tre campagne di terra condotte dai russi in Ucraina nel 2022 devono molto ai modelli tradizionali. Al contempo, il programma di attacchi missilistici ha sfruttato una capacità a dir poco rivoluzionaria. Che fossero nuovi o vecchi, tuttavia, questi sforzi combinati sono stati condotti in un modo che dimostra una profonda comprensione di tutti e tre i livelli su cui si combattono le guerre. Cioè, i russi raramente hanno dimenticato che, oltre ad essere una battaglia sul piano materiale, la guerra è anche una sfida a livello mentale, oltre che una controversia morale.

L’invasione russa dell’Ucraina potrebbe segnare l’inizio di una nuova guerra fredda, una “lunga lotta nel crepuscolo”[32] paragonabile a quella che si è conclusa con il crollo dell’impero sovietico più di tre decenni fa. Se così è, allora ci troveremo di fronte a un avversario che, pur attingendo molto dal valore della tradizione militare sovietica, si è affrancato sia dalla brutalità insita nell’eredità di Lenin, sia dai paraocchi imposti dal marxismo. Ancor peggio, potremmo trovarci a combattere dei discepoli di John R. Boyd.

 

 

 

 

[1] https://mca-marines.org/magazines/marine-corps-gazette/ I numeri del periodico sono gratuitamente scaricabili, previa registrazione al sito.

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Van_Riper

[3] https://en.wikipedia.org/wiki/John_Boyd_(military_strategist)

[4] Da: “Marines Corps Gazette”, giugno 2022, vol. 106, n. 6., pagg. 100- 105. Corre voce, non confermata, che “Marinus” sia il ten.gen. (a riposo) Paul Van Riper, forse in collaborazione con il figlio. In ogni caso, l’Autore è un ufficiale superiore del Corpo dei Marines, e un collaboratore abituale della “Marines Corps Gazette”.

[5] Per una spiegazione sintetica dei tre livelli di guerra secondo Boyd, v. William S. Lind, “John Boyd’s Art of War,” The American Conservative, (agosto 2013), disponibile su https://www.theamericanconservative.com

[6] Justin Bronk, “The Mysterious Case of the Missing Russian Air Force,”

RUSI, (February 2022), disponibile presso https://rusi.org

[7] Ryan Merrifield and Sam Elliot-Gibbs, “Kyiv TV Tower Explodes after Russia Warns of Missile Strikes in Ukraine Capital,” Mirror, (March 2022), disponibile presso https://www.mirror.co.uk.

[8] V. la descrizione del BTG nell’Appendice alla prima parte del saggio. [N.d.C.]

[9] Natalia Gurkovskaya, “Fighting in Sumy Region: Konotop Authorities Hold Talks with Occupiers after Ultimatum [Бої на Сумщині – влада Конотопа провела переговори з окупантами після ультиматуму],” RBC.UA, (marzo 2022), disponibile presso t https://www.rbc.ua

[10] Redazionale, “Nizhyn Repair Plant of Engineering Vehicles” [Нежинский ремонтный завод инженерного вооружения], Guns.UA, (n.d.), disponibile presso  www.guns.ua

[11] Un oblast è un distretto amministrativo che spesso, anche se non invariabilmente, prende il nome dalla città che funge da sua capitale, e corrisponde, più o meno, a una contea inglese o a un dipartimento francese.

[12] Per una descrizione dettagliata delle unità componenti delle milizie della Nuova Russia, v. Tomáš Šmíd e Alexandra Šmídová, “Anti-Government Non-State Armed Actors in the Confl ict in Eastern Ukraine,”, Mezinárodní

Vztahy: Czech Journal of International Affairs, (Praga: Institute of International Relations, giugno 2021).

 

[13] Redazionale, “Russian Forces Seize Port of Berdyansk,” The Maritime Executive, (February 2022), disponibile presso https://www.maritime-executive.com .

[14] Alcuni osservatori hanno confuso l’Azovske dove ha avuto luogo lo sbarco dei Marines russi con un altro villaggio omonimo nei dintorni del porto di Berdiansk, a circa 150 chilometri a est. Questo errore, a sua volta, ha portato alla più volte ripetuta affermazione che lo sbarco delle unità di fanteria navale si è svolto a 112 chilometri a ovest di

Mariupol. Per un esempio di quest’ultimo errore, v. Redazionale, “Russian Navy Carries Out Amphibious Assault Near Mariupol,”, The Maritime Executive , (febbraio 2022), disponibile presso https://www.maritime-executive.com

[15] Redazionale, “Russian Troops Welcomed with Flags in Ukraine’s Melitopol,” Tass, (February 2022), disponibile presso https://tass.com

[16] L’assenza di tentativi russi di prendere Mikolaiv ha fatto nascere molte storie di piccoli distaccamenti ucraini che fermano forze russe molto più grandi. Per alcuni esempi pittoreschi, vedi Yaroslav Trofimov, “Ukrainian Counteroffensive Near Mykolaiv Relieves Strategic Port City,” The Wall Street Journal , (marzo 2022), disponibile su https://www.wsj.com .

 

[17] Per un resoconto di uno dei tanti attacchi missilistici su obiettivi in Mikolaiv, v. Michael Schwirtz, “Russian Rocket Attack Turns Ukrainian Marine Base to Rubble, Killing Dozens,” New York Times , (marzo 2022), disponibile su https://www.nytimes.com

[18] Per esempi di rapporti russi sui risultati di questi attacchi, cfr. i briefing quotidiani sul canale ufficiale Telegram del Ministero russo della Difesa ( t.me/mod_russia_en ).

 

[19] 1. Questa descrizione dell’organizzazione di un tipico BTG russo è tratta da un’infografica pubblicata sul sito web (attualmente inaccessibile) del Ministero della Difesa russo.

 

[20] “Marine Corps Gazette”, agosto 2022, vol. 106, n. 8, pagg. 90 – 93

[21] Headquarters Marine Corps, MCWP 3-43.1, Raid Operations (Washington, DC: 1993)

[22] Per l’adozione del concetto di “raid” da parte dell’esercito russo di fine diciannovesimo secolo, cfr Karl Kraft von Hohenlohe-Ingelfingen (trad. inglese Neville Lloyd Walford), Letters on Cavalry, (London: E. Stanford, 1893); e Frederick Chenevix Trench, Cavalry in Modern Wars, (London: Keegan, Paul, Trench, and Company, 1884).

[23] Per un breve resoconto del reyd comandato da Alexander Chernyshev, cfr. Michael Adams, Napoleon and Russia, (London: Bloomsbury, 2006).

 

[24] John Reed and Polina Ivanova, “Residents of Ukraine’s Fallen Cities Regroup under Russian Occupation,” The Financial Times, (marzo 2022), disponibile sul sito https://www.ft.com.

 

[25] Adam Taylor, “Shift to Ruble in Kherson Fuels Concerns about Russia’s Aims in Occupied Region,” The Washington Post, (May 2022), disponibile presso https://www.washingtonpost.com.

[26] David M. Glantz, “Excerpts on Soviet 1938-40 Operations from The History of Warfare, Military Art, and Military Science, a 1977 Textbook of the Military Academy of the General Staff of the USSR Armed Forces,” The Journal of Slavic Military Studies, (Milton Park: Routledge, March 1993).

 

[27] “Consumo vistoso” è la traduzione italiana di conspicuous consumption, locuzione introdotta dal sociologo americano Thorstein Veblen nel suo celebre Teoria della classe agiata (1899). Designa e spiega l’uso dei consumatori di acquistare beni di consumo di qualità più elevata, o in quantità maggiore, di quanto sarebbe necessario dal pdv pratico. V. https://www.britannica.com/topic/conspicuous-consumption [N.d.C.]

[28] Il lavoro classico sugli ammutinamenti francesi del 1917 è Richard M. Watt, Dare Call It Treason, (New York, NY: Simon and Schuster, 1963).

 

[29] Michael Schwirtz, “Anxiety Grows in Odessa as Russians Advance in Southern Ukraine,” The New York Times, (March 2022), disponibile presso https://www.nytimes.com

[30] Redazionale, “Russia Bombs Five Railway Stations in Central and Western Ukraine,” The Guardian, (aprile 2022), disponibile sul sito https://www.the-guardian.com.

 

[31] Per un esempio delle tante storie che caratterizzano il bombardamento della torre della televisione del 1 marzo 2022 come un attacco alle infrastrutture civili, cfr. Abraham Mashie,” US Air Force Discusses Tactics with Ukrainian Air Force as Russian Advance Stalls,” Air Force Magazine, (marzo 2022), disponibile sul sito https://www.airforcemag.com.

 

[32] È una citazione dal discorso inaugurale (20 gennaio 1961) della Presidenza di John F. Kennedy. “In your hands, my fellow citizens, more than mine, will rest the final success or failure of our course. Since this country was founded, each generation of Americans has been summoned to give testimony to its national loyalty. The graves of young Americans who answered the call to service surround the globe.

     Now the trumpet summons us again–not as a call to bear arms, though arms we need–not as a call to battle, though embattled we are– but a call to bear the burden of a long twilight struggle, year in and year out, “rejoicing in hope, patient in tribulation”–a struggle against the common enemies of man: tyranny, poverty, disease and war itself.” https://www.jfklibrary.org/learn/about-jfk/historic-speeches/inaugural-address [N.d.C.]

https://mca-marines.org/magazines/marine-corps-gazette/

Il papa, l’innocenza delle vittime e la logica del regime, di Leonardo Lugaresi

L’altro giorno papa Francesco ha pronunciato parole di cristiana pietà per Darya Dugina: nel contesto di una generale condanna della “pazzia della guerra”, di ogni guerra e di questa guerra in particolare (e Dio sa quanto ce n’è bisogno!), l’ha chiamata “povera ragazza” e “vittima innocente”. Credo siano state in particolare queste espressioni a scatenare la rabbia che è montata contro di lui in questi ultimi due giorni. Lasciando perdere, nella loro inanità, i tanti che sui social hanno inveito contro il papa e l’hanno insultato – non solo ignoti e irrilevanti leoni da tastiera ma anche personaggi con un profilo pubblico e una qualche notorietà – colpisce soprattutto la dura reazione del regime di Kiev, che ha fatto un passo ufficiale come la convocazione del nunzio pontificio per esprimere quella che, in sostanza, si pone come una condanna morale della posizione del papa.

Poiché con la morte non si scherza – infame chi lo fa! – bisogna essere rigorosi nella formulazione dei concetti, quindi è necessario chiarire bene il senso dell’espressione vittima innocente, sulla quale c’è invece, e non certo da oggi, una pericolosa confusione. Mi pare che esistano due significati, che non si escludono a vicenda ma che debbono restare distinti, di “innocenza” e di “vittima”. In senso stretto, vittima innocente è solo chi, non avendo alcuna responsabilità per il male del mondo, di quel male subisce ingiustamente le conseguenze, fino a quella estrema della morte per mano altrui. In questo senso, a parte i bambini, che non sono responsabili di nulla nella misura in cui non sono pienamente capaci, di vittime innocenti io tra gli adulti ne conosco una: nostro Signore Gesù Cristo, il solo giusto, il quale è morto appunto per “pagare il conto” di tutte le ingiustizie del mondo. La fattura, dice Paolo, l’ha inchiodata alla croce (IVA inclusa). In tutti gli altri casi, la condizione di vittima, per quanto grave e intollerabile sia l’ingiustizia che la determina, non rende automaticamente innocenti, come invece un diffuso e radicato errore cognitivo ci porta a pensare. Noi proviamo compassione per la vittima, solidarizziamo con essa, “stiamo dalla sua parte” e perciò vogliamo anche che sia “innocente”, che non abbia difetti, che abbia sempre e solo ragione. Ma non è così

I torti delle vittime, i peccati che hanno commesso, piccoli o grandi che siano, pertinenti o meno alla sorte che le ha colpite, non giustificano però in alcuno modo la loro ingiusta sofferenza e morte (se noi crediamo al comandamento “Non uccidere”). C’è quindi un secondo senso, valido quanto il primo e per nulla incompatibile con esso, in cui le vittime, ma questa volta tutte le vittime!, sono innocenti. L’innocenza della vittima, in questo caso, consiste nel fatto che essa non meritava di morire. Coloro che si indignano perché papa Francesco ha definito vittima innocente Darya Dugina, si riferiscono presumibilmente al suo pensiero e alla sua attività nel campo dell’informazione (o disinformazione, o propaganda o quel che volete voi: non mi interessa). Questi tali devono – per decenza, perché se non lo fanno sono infami che irridono alla morte (altrui) – dichiarare apertamente che chiunque “pensa e parla male” merita di essere dilaniato da una bomba messa da un attentatore.

Tale deve essere, a quanto sembra, anche la posizione ufficiale del governo ucraino, che sopra ho definito regime perché quella appena esposta è appunto la logica di un regime, cioè di una forma di governo che non ammette opposizioni, conosce solo sostenitori o nemici da eliminare e rivendica per sé – in quanto vittima di un’ingiusta aggressione – uno status di innocenza assoluta che invece non gli spetta, come sopra abbiamo detto. Mi si obietterà che il presidente Zelensky fu a suo tempo eletto democraticamente, il che è vero. Però non mi risulta che attualmente nel suo sfortunato paese vi sia libertà di opposizione, il che fa del suo governo tecnicamente un regime autoritario. Si replicherà che anche questa è una conseguenza dello stato di guerra e che la guerra l’ha scatenata un altro regime, quello di Putin, che dunque è il colpevole ultimo di tutto il male. Non discuto; però sta di fatto che non solo quello russo ma anche quello che c’è adesso in Ucraina è un regime autoritario, che, in quanto tale, si sente offeso perfino dalla cristiana pietà di papa Francesco per la vittima di un attentato.

Una “povera ragazza”, ha detto lui, e qui c’è in gioco una terza semantica cristiana che purtroppo ha bisogno di essere spiegata, perché ormai le persone parlano una lingua bastarda che non capisce più neanche le parole ereditate dai padri. Oltre a quella sorta di “innocenza” di cui ho appena parlato, che è di ogni vittima in quanto non meritevole di essere uccisa, esiste anche una speciale “dignità dello sconfitto”, un’aura di decoro e di rispettabilità, per non dire di sacralità, che avvolge ogni perdente, ogni caduto nel momento della sua fine, per quanto cattivi siano stati i suoi costumi pregressi e orribile la sua condotta passata. È quell’aura che un cristiano come Renzo Tramaglino, nei Promessi sposi, riconosce subito attorno al corpo agonizzante di don Rodrigo nel Lazzaretto. Quella che rende tutti “poveri” i morti (i “poveri morti”, diceva infatti il popolo, accomunando tutti, di default, in questa sorta di ordine cavalleresco).

Io non so praticamente nulla di Darya Dugina, barbaramente assassinata a 24 anni qualche giorno fa: vedo che per alcuni era una creatura meravigliosa, mentre altri la considerano una persona pessima. Qui e ora non mi importa: quello che so con certezza è che il popolo cristiano di un tempo non avrebbe esistato un minuto a chiamarla, proprio come ha fatto Francesco, “povera ragazza”, senza neanche voler sapere che cosa avesse fatto in vita. Perché il popolo cristiano di un tempo dava d’istinto a ogni defunto il titolo, massimamente onorifico, di “povero” (il più cristologico di tutti, a ben vedere). Bastava morire, e anche il più detestato degli avversari diventava “il povero x”.

Dunque sì: «vittima innocente» e «povera ragazza». Francesco ha parlato cristiano.

https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/08/26/il-papa-linnocenza-delle-vittime-e-la-logica-del-regime/?fbclid=IwAR2LPVvBXV5ia0f-SySzVX5pM494ZyHJ0BmtkI1RPGn9MKbf8k_OMLTyY4A

La seconda guerra civile americana e i modi per vincerla Di Paul S. Gardiner

Un articolo importante! Non tanto riguardo alla conferma scontata, almeno per i nostri lettori, della virulenza dello scontro tra il movimento trumpiano e il resto dello schieramento politico negli Stati Uniti. Nemmeno per il fatto che il tema, altrettanto scontato, della endemica guerra civile sia entrato nel lessico corrente di quegli ambienti e nei comportamenti della leadership attualmente al governo e al potere in quel paese. La grossa novità è un’altra. Con la liquidazione impietosa di Liz Cheney si può dire che la corrente neocon presente nel Partito Repubblicano sia stata definitivamente sconfitta, se non addirittura liquidata impietosamente. Un successo che non porterà probabilmente ad un compattamento definitivo del movimento trumpiano. Nuove contraddizioni e nuove ambiguità emergeranno in maniera sempre più incalzante; con essa nuove figure politiche emergenti. Il testo qui sotto è un prodromo di quanto non tarderà ad affiorare nel tempo. L’unico aspetto da definire è la dinamica che seguiranno; se agiranno quindi sotto traccia, almeno sino alle prossime elezioni presidenziali, nel 2024, in una sorta di guerra di posizione interna a quella in corso nell’occupazione dei presidi dell’amministrazione e dei centri di potere, oppure non riuscirà a tenere le briglia e sarà indotta ad uno scontro politico aperto prematuro. Quanto ai contenuti, l’oggetto del contendere sarà il tentativo di un  parziale o significativo recupero delle politiche avventuriste neoconservatrici all’estero, lasciando ai temi etici la funzione di canale di sfogo delle contrapposizioni. Dall’esito degli sviluppi di questo scontro dipenderà gran parte delle stesse dinamiche geopolitiche e della possibilità che negli Stati Uniti si ricrei una struttura economica più equilibrata ed una coesione giunta ormai ad un punto critico di rottura. Ne parleremo a breve, appena possibile, con Gianfranco Campa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il recente raid clandestino dell’FBI nella casa del presidente Donald Trump lascia pochi dubbi sul fatto che l’America sia davvero nel mezzo di una seconda guerra civile. La guerra finora è una guerra senza sparatorie con molteplici “fronti” di attacco condotti e sostenuti da nemici sia interni che stranieri. Se avranno successo, avranno effettivamente annullato la repubblica costituzionale americana e negato la maggior parte, se non tutti, i diritti e le libertà costituzionali amati dagli americani.

Questa guerra civile viene condotta con successo contro la repubblica americana da molteplici organizzazioni e numerose persone potenti e molto ricche (“progressisti”), tutte impegnate a controllare il modo in cui gli americani pensano, parlano e agiscono. Poiché le libertà ei diritti costituzionali unici degli americani sono oggetto di un duro attacco, c’è un urgente e immediato bisogno che tutti gli americani patriottici si impegnino attivamente.

Questo articolo suggerisce tre azioni che i cittadini patriottici possono intraprendere per impegnarsi efficacemente contro i nemici della loro repubblica. Il potere di un singolo cittadino può essere profondo.

L’America ha un disperato bisogno di leader e sostenitori che si preoccupano molto di più della conservazione della repubblica costituzionale della nazione che dell’arricchimento o del fare solo ciò che desiderano i loro principali donatori. L’America ha bisogno di molti altri leader patriottici e coraggiosi come il governatore della Florida Ron DeSantis, che, insieme ad altre azioni coraggiose, ha recentemente licenziato un procuratore della Florida di sinistra finanziato da George Soros.

Il Governatore DeSantis sta combattendo attivamente l’uso di standard ambientali, sociali e di governance (ESG) “risvegliati” da parte delle istituzioni finanziarie per determinare prestiti e altro sostegno finanziario per le imprese e i cittadini della Florida. Molti altri amministratori delegati devono dimostrare tale coraggio e convinzione.

È urgentemente necessaria una forte leadership conservatrice di tipo DeSantis a tutti i livelli di governo (contea, città, stato e federale). Tale leadership è anche urgentemente necessaria a tutti i livelli della gerarchia educativa americana, compresi gli ambienti K-12 e college e universitari.

I nemici interni e stranieri che conducono e sostengono la seconda guerra civile americana includono:

1) Il Partito Democratico radicale, di estrema sinistra controllato.   Il Partito Democratico di oggi è controllato da membri dell’estrema sinistra radicale, che sono legati a un’ideologia (religione!) che dice che l’America è un paese malvagio che è stato illecitamente fondato da ricchi, vecchi bianchi solo per il loro miglioramento e perpetuazione. Questi radicali mancano e non sono minimamente interessati a una storia equilibrata dei fondatori e della fondazione dell’America. Un tale approccio andrà contro la loro agenda marxista basata sulla razza che si sforza di dividere la popolazione americana piuttosto che unificare il popolo.

Gli attacchi dei Democratici alla repubblica americana includono, tra le altre cose, a) il mantenimento di un confine meridionale estremamente pericoloso e mortale; b) sostenere gruppi violenti e illegali come Antifa e Black Lives Matter; e c) eliminare deliberatamente l’indipendenza energetica dell’America, provocando una superinflazione e mettendo a rischio la sicurezza nazionale americana. Alla luce di quanto sopra, i Democratici patriottici tradizionali di lunga data stanno scegliendo di lasciare il partito .

2) L’agenda del Great Reset dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del World Economic Forum (WEF).   I membri dell’OMS e del WEF (entrambi sostanzialmente finanziati da Bill Gates e altri ricchi “progressisti”) hanno escogitato quella che chiamano l’ agenda del Grande Reset . Questo non è altro che uno sforzo per controllare la vita delle persone controllando la loro salute e il loro denaro. Il partito democratico radicale di estrema sinistra controllato sostiene l’agenda del Great Reset perché è un attacco alla repubblica costituzionale americana.

3) Il Partito Comunista Cinese (PCC), la Russia e altri governi tirannici.   Il PCC, la Russia, la Corea del Nord e altri governi tirannici sono noti per i continui attacchi informatici contro le infrastrutture americane. Il coinvolgimento del PCC nello sviluppo e nel rilascio del virus mortale COVID-19 è ben accettato da numerosi investigatori e da almeno un coraggioso informatore cinese.

Il PCC esercita una grande influenza in molti dei principali college e università americane per promuovere, direttamente o indirettamente, la propaganda del PCC contro i valori americani da tempo accettati, inclusi i valori familiari e cristiani. Il profondo disprezzo che il PCC prova per gli americani è stato rivelato in un discorso tenuto nel 2003 dal ministro della Difesa cinese (generale) Chi Haotian, dove ha affermato : “È davvero brutale uccidere uno o duecento milioni di americani. Ma questo è l’unico percorso che assicurerà un secolo cinese in cui il Partito Comunista Cinese guida il mondo”.

Azioni che gli americani patriottici e amanti della libertà possono intraprendere in questa guerra civile del 21° secolo:

1) Utilizzare gli strumenti forniti da Act for America che consentono ai cittadini di contattare facilmente i loro rappresentanti statali e federali in merito alla legislazione in sospeso promossa dai Democratici di estrema sinistra. Vari legislatori hanno indicato che basta ascoltare solo 40-50 dei loro elettori per fare la differenza nei voti critici sulla legislazione in sospeso.

Le interviste con i legislatori indicano che molti considerano una nota o una chiamata di un singolo elettore rappresentativa di 1.000 persone. Quindi, un solo cittadino è davvero potente.

2) Formare piccoli gruppi di veterani militari (e altri gruppi di cittadini) per diventare sostenitori attivi e vocali di candidati politici conservatori in buona fede. Fornire questo stesso supporto a forti candidati conservatori per consigli scolastici locali e altre posizioni educative. Un esempio di organizzazione di veterani attivisti di grande successo è American Veterans Vote in Virginia.

3) I genitori e tutti i cittadini preoccupati per l’educazione dei giovani americani devono insistere nel prendere visione dei curricula che gli insegnanti K–12 stanno usando per istruire gli studenti. Sfida qualsiasi materiale basato sulla razza, orientamento sessuale e indottrinamento transgender, libri antiamericani e altro materiale utilizzato. Continua ad apparire alle riunioni del consiglio scolastico per chiedere la fine di qualsiasi teoria della razza critica o istruzione derivata impartita agli studenti. Se necessario, contatta l’ organizzazione No Left Turn in Education per un potenziale consiglio/assistenza legale.

In conclusione, ora non è il momento di compiacersi della vita in America: la posta in gioco è troppo alta. I cittadini che amano l’America con le sue amate libertà e diritti costituzionali devono davvero diventare attivi e aiutare a vincere la seconda guerra civile americana!

Paul S. Gardiner è un ufficiale dell’esercito in pensione, veterano del Vietnam e laureato all’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, all’Università dell’Alabama e allo United States Army War College. È fiducioso che le informazioni presentate in questo articolo aiuteranno a motivare un esercito di americani finora non coinvolti a essere attivamente coinvolti nell’attuale guerra civile su più fronti contro la repubblica costituzionale americana. Le libertà ei diritti inalienabili di tutti gli americani devono essere preservati!

https://www.americanthinker.com/articles/2022/08/the_second_american_civil_war_and_ways_to_win_it.html

LIBERTA’ SI’, MA SENZA IL LIBERATORE (…?)_di Daniele Lanza

LIBERTA’ SI’, MA SENZA IL LIBERATORE (…?)
(da leggere come “il paradosso della nazione lettone”)
Tripudio e gaudio dalle istituzioni dell’indipendente repubblica di Lettonia ! Dal cuore della capitale – RIGA – vengono abbattuti, rimossi, quasi 80 metri di obelisco….quello dedicato alla vittoria dell’armata rossa (magniloquente memoriale sovietico edificato alla metà degli anni ottante per il quarantennale della vittoria).
Il governo di RIGA aveva annunciato la misura sin da maggio e la porta a termine adesso a fine estate : lo scopo, questo è chiaro, è quello di estirpare simbolicamente il 1945 stesso, dalla memoria, dal tessuto del paese.
Ci si libera di un ospite sgradito, si eradica la memoria di quel liberatore non percepito come tale dagli autoctoni lettoni, e ancor più dalle sue nazionaliste rappresentanze governative, le quali quindi si disfano del fardello.
Come metterla ? Provo a dirla così : che un popolo possa liberamente, in base alla propria sensibilità decidere chi sia o meno amico e chi sia o meno “liberatore” (termine che certamente ha del relativo) lo ritengo del tutto LECITO. Il nodo – perlomeno in una prospettiva etica – è che tale imprescindibile facoltà di scelta, dovrebbe accompagnarsi ad un altrettanto imprescindibile coerenza generale : in parole elementari, se l’armata rossa staliniana non avesse prevalso, allora sarebbe stata la Wehrmacht hitleriana a prevalere (….).
Ora, io mi astengo dal fare paragoni o bilanci morali tra i due contendenti sopra : sottolineo semplicemente che l'”indomabile” Lettonia in un modo o in un altro…….sarebbe stata COMUNQUE sotto qualcuno. O russi o tedeschi). L’entità lettone, tra due universi culturali e militari di grande spessore come quello slavo e quello germanico, non avrebbe mai avuto la possibilità di formarsi come ha fatto.
L’emergere dello stato Lettone – come altri analoghi – nell’ultimo centinaio di anni è stato dovuto più che non alla capacità organizzativa dei propri popoli, alla debolezza del contenitore in cui erano : il collasso della casa zarista prima e quello della casa sovietica dopo. Poco altro oltre questo (senza offesa per l’identità lettone).
La zona, assolutamente minuscola, era “destinata” nel gioco amorale della geopolitica a divenire parte di qualcuno o qualcosa in ogni caso (sarebbe stata satellite dello stato kaiseriano se quest’ultimo non si fosse eclissato nel 1918, così come di quello nazista non si fosse disintegrato nel 1945).
Con quanto affermato sopra vado al punto essenziale : la Lettonia trova la sua libertà non tanto per moto interno interno…..quanto per il venire meno, contemporaneamente, delle due entità che potremmo sintetizzare come occidentale ed orientale (“orientale” sta per Russia naturalmente……….mentre “occidentale” sta per Prussia – o Germania in senso tradizionale se preferite – ossia non occidentale in senso atlantico e anglosassone come lo concepiamo oggi).
Identità ed indipendenza lettoni – con tutto il rispetto per l’autodeterminazione dei popoli – sono frutto del decesso naturale dei propri “sovra-ordinati” su un piano geostrategico (tali da svariati secoli, ma venuti momentaneamente meno nella finestra contemporanea).
E’ un discorso molto difficile e non condivisibile da molti (lo posso intendere), ma è un fatto su cui riflettere. La libertà lettone è basata più su un….”vuoto”, sull'”assenza” che non su una “presenza”. Ed abbattere il memoriale della vittoria sovietico non fa che incrementare il problema.
Fa specie ricordare che un buon 1/4 degli abitanti della Lettonia sono etnicamente russi e all’incirca 1/3 parlano correntemente la lingua come idioma madre. Nella capitale poi, la proporzione sale al 50% : buona parte di costoro nemmeno ha la cittadinanza.
Io direi, a questo punto perchè non sbarazzarsi anche di costoro e costringerli ad un esodo di massa ?!? (per carità le istituzioni lettoni questo lo pensano e pianificano già da anni pur senza poter utilizzare metodi che non sarebbero passabili nell’opinione pubblica internazionale delle democrazie odierne)
Mi viene in mente la tragicomica metafora di un popolo che volendo liberarsi di qualsiasi cosa gli avevano lasciato gli invasori passati per ritrovare sè stesso…….si ritrovò col NULLA in mano (nemmeno i suoi abitanti).
Tratto da facebook

 

Quando il commercio porta alla guerra, di Dale C. Copeland

Non lasciatevi ingannare da un approccio letterale al testo. Si nota benissimo l’indulgenza verso il convitato di pietra dell’articolo, gli Stati Uniti. I rischi che vengono addebitati alle scelte geopolitiche della Russia e soprattutto della Cina possono essere benissimo ritorti nei confronti degli Stati Uniti. Da oltre quarant’anni questi ultimi hanno perso l’autonomia e la complementarietà ed equilibrio interni della loro economia; hanno smarrito non solo le produzioni, ma anche la capacità produttiva in tanti settori strategici. Una conoscenza difficile da recuperare, soprattutto in mancanza della necessaria consapevolezza della situazione, presente solo nel tormentato quadriennio della Presidenza Trump. Quanto al dinamismo e alla spregiudicatezza delle scelte geopolitiche, piuttosto che del loro ruolo di equilibrio, gli Stati Uniti non sono secondi a nessuno. Più interessante, invece, è cercare di individuare, nell’economia dell’articolo, le leve o le presunte tali, o quanto meno parte di esse, che i centri decisori statunitensi intendono utilizzare per le loro scelte geopolitiche e per i loro tentativi di separare e contrapporre gli intenti dei contendenti. Valutazioni decisive in grado di determinare l’esito fausto o funesto delle scelte politiche e delle linee strategiche. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Cina, Russia e i limiti dell’interdipendenza

Nell’ultimo anno, gli Stati Uniti sono stati costretti a contemplare una possibilità che molti hanno considerato quasi impensabile dai tempi della Guerra Fredda: un grande conflitto militare con un’altra grande potenza Per la prima volta da decenni, Mosca ha lanciato i suoi missili per avvertire Washington del suo sostegno all’Ucraina. E all’inizio di agosto, in seguito alla visita a Taiwan del presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi, Pechino ha drammaticamente intensificato la sua minaccia di un’azione militare sull’isola.

Sorprendenti quasi quanto le minacce stesse è quanto sembra suggerire sui limiti dell’interdipendenza economica come forza di pace. Sia la Cina che la Russia dipendono in misura straordinaria dal commercio per la crescita economica e per assicurarsi le loro posizioni sulla scena mondiale. La Cina è riuscita a quintuplicare il suo PIL negli ultimi due decenni in larga misura attraverso l’esportazione di manufatti; oltre il 50 per cento delle entrate del governo russo proviene dall’esportazione di petrolio e gas. Secondo un filone di pensiero influente nella teoria delle relazioni internazionali, questi legami economici cruciali dovrebbero portare ad un livello molto più alto il prezzo da pagare di un conflitto militare per entrambi i paesi. Eppure, almeno dalle apparenze, nessuno dei due poteri sembra frenato dalla potenziale perdita di tale commercio.

L’immagine non è così semplice come sembra, tuttavia. Per prima cosa, in determinate circostanze, le relazioni commerciali possono fungere da incentivo piuttosto che da deterrente alla guerra. Inoltre, l’affermazione del potere militare o anche la minaccia di un confronto contraddittorio non è sempre correlata a una rottura delle relazioni economiche. Come hanno dimostrato i casi contrastanti di Cina e Russia nell’ultimo anno, i legami economici spesso si svolgono in modi che sfidano le aspettative. Per coloro che ritengono che il commercio possa aiutare a prevenire il conflitto tra grandi potenze, è fondamentale esaminare i modi complessi in cui le forze economiche hanno effettivamente plasmato il pensiero strategico a Pechino e Mosca.

COMMERCIO AGGRESSIVO

Per capire come il commercio possa aumentare, non ridurre, la possibilità di conflitti militari, è necessario attingere alle intuizioni della teoria realista. In generale, il realismo si concentra sulla lotta delle grandi potenze per il potere militare relativo e la posizione in un mondo che manca di un’autorità centrale per proteggerle. Ma sta ai realisti capire che il potere economico è la base per la forza militare a lungo termine e che il commercio internazionale è vitale per costruire una base di potere economico. Per i realisti, il commercio può avere due effetti principali. In primo luogo, fornendo accesso sia a materie prime a basso costo che a mercati redditizi, il commercio può rafforzare la performance economica complessiva e la sofisticatezza tecnologica di uno stato, migliorando così la sua capacità di sostenere il potere militare a lungo termine. Questo è il vantaggio di avere una politica commerciale relativamente aperta e spiega perché il Giappone dopo la Restaurazione Meiji e la Cina dopo la morte di Mao Zedong si siano lasciati alle spalle le politiche autarchiche fallite del passato e abbiano cercato di unirsi all’economia globale.

Ma il commercio in crescita ha anche un secondo effetto. Aumenta la vulnerabilità di una grande potenza alle sanzioni e agli embarghi commerciali dopo essere diventata dipendente dall’importazione di risorse e dall’esportazione di beni per la vendita all’estero. Questa vulnerabilità può spingere i leader a creare flotte per proteggere le rotte commerciali e persino ad entrare in guerra per garantire l’accesso a beni e mercati vitali.

Finché i leader statali si aspettano che le loro relazioni commerciali rimangano solide in futuro, è probabile che consentano allo stato di diventare più dipendente dagli estranei per le risorse e i mercati che guidano la crescita dello stato. Questa è stata la situazione del Giappone dal 1880 al 1930 e della Cina dal 1980 ad oggi. I leader di entrambi gli stati sapevano che senza legami commerciali significativi con altre grandi potenze , inclusi gli Stati Uniti, nessuna delle due avrebbe potuto diventare membri importanti del club del grande potere.

Tuttavia, se le aspettative sul commercio futuro si inaspriscono e i leader arrivano a credere che le restrizioni commerciali di altri stati inizieranno a ridurre il loro accesso a risorse e mercati chiave, allora anticiperanno un declino del potere economico a lungo termine e quindi del potere militare. Potrebbero arrivare a credere che siano necessarie politiche più decise e aggressive per proteggere le rotte commerciali e garantire l’approvvigionamento di materie prime e l’accesso ai mercati.Questa era la difficile situazione del Giappone negli anni ’30 quando vide Francia, Regno Unito e Stati Uniti ritirarsi in regni economici sempre più chiusi e discriminatori. Di conseguenza, i leader giapponesi si sono trovati costretti ad espandere il controllo del Giappone sui suoi legami commerciali con i suoi vicini. Eppure sono anche arrivati ​​a vedere che tali mosse li facevano solo sembrare più aggressivi, dando al Regno Unito e agli Stati Uniti nuovi motivi per limitare le importazioni giapponesi di materie prime, compreso il petrolio.

Oggi i leader cinesi capiscono di dover affrontare un dilemma simile, come hanno fatto i leader di quasi tutti gli stati emergenti della storia moderna. Sanno che la loro politica estera deve essere sufficientemente moderata da sostenere la fiducia di base che consente ai legami commerciali di continuare. Ma devono anche proiettare una forza militare sufficiente per dissuadere gli altri dal tagliare quei legami. La visione realistica di come il commercio influenzi la politica estera spiega perché i leader cinesi sono stati così ostili nell’ultimo anno a determinati sviluppi nell’Asia orientale, in particolare per quanto riguarda Taiwan . In un modo più limitato, questo punto di vista può anche aiutare a spiegare l’ ossessione del presidente russo Vladimir Putin per l’ Ucraina.

ORA O MAI PIÙ

Secondo la maggior parte dei resoconti, la guerra di Putin in Ucraina è stata guidata dai suoi timori per la sicurezza russa – una preoccupazione che l’Ucraina avrebbe potuto aderire alla NATO a breve termine – e dal suo desiderio di passare alla storia come l’uomo che ha contribuito a ricostruire l’impero russo. Ma la decisione di lanciare l’invasione è stata probabilmente rafforzata in due modi importanti da qualcos’altro: le esportazioni di energia russe in Europa.

In primo luogo, Putin ha certamente capito che l’Europa era molto più dipendente dalla Russia di quanto la Russia fosse dall’Europa. Prima di febbraio, l’Unione Europea faceva affidamento su Mosca per circa il 40 per cento del gas naturale di cui aveva bisogno per le sue industrie e per riscaldare le sue case. L’economia russa era, ovviamente, dipendente dalla vendita di questo gas. Ma data la natura della merce, Putin potrebbe aspettarsi che qualsiasi riduzione significativa del flusso di gas naturale ne farebbe aumentare il prezzo, danneggiando l’UE in due modi, attraverso la riduzione dell’offerta e l’aumento dei costi, mentre incide solo marginalmente sulle entrate totali che la Russia riceverebbe dalle sue esportazioni di gas. Come ha sottolineato l’economista Albert Hirschman nel 1945, in riferimento alle relazioni sbilenche della Germania con i paesi dell’Europa orientale durante gli anni ’30, in una situazione di interdipendenza asimmetrica, lo stato meno dipendente sarà probabilmente fiducioso di poter intimidire le sue controparti più dipendenti facendogli accettare la sua dura -linea politica semplicemente perché hanno bisogno del commercio e sono troppo deboli per resistere.

Il fatto che gli europei abbiano continuato ad acquistare gas e petrolio russi ad alti livelli dopo che la Russia ha annesso la Crimea nel 2014 ha suggerito fortemente a Putin che non avrebbero fatto storie se avesse invaso l’Ucraina nel 2022. Ha chiaramente sottovalutato la ferocia della risposta europea. Ma la consapevolezza di Putin della dipendenza economica dell’Europa dalla Russia, unita alla convinzione comune che la Russia avrebbe potuto facilmente battere l’Ucraina in poche settimane, ha contribuito a dargli la fiducia che il suo audace attacco avrebbe avuto successo.

In secondo luogo, Putin aveva motivo di temere che la leva economica della Russia sull’Ucraina e sull’Europa sarebbe diminuita in futuro. Nel 2010, enormi giacimenti di gas naturale sono stati scoperti a sud della città ucraina orientale di Kharkiv e si allargano nelle province di Donetsk e Luhansk. Si stima che il campo contenga circa due trilioni di metri cubi di gas, una quantità equivalente al consumo totale dei 27 paesi dell’UE in cinque anni ai tassi di utilizzo attuali. Il governo ucraino ha rapidamente modificato le normative statali per incoraggiare gli investimenti stranieri e nel 2013 ha firmato un accordo con Shell Oil per lo sviluppo del giacimento, con Exxon Mobil e Shell che hanno accettato di lavorare insieme sull’estrazione di gas in acque profonde al largo della costa sud-orientale.

Sebbene l’ invasione di Putin della Crimea e del Donbas nel 2014 fosse probabilmente motivata da altre preoccupazioni, a Mosca all’epoca era certamente chiaro che se i giacimenti di gas naturale nell’Ucraina orientale fossero stati sviluppati da aziende occidentali, l’Ucraina non solo avrebbe posto fine alla sua dipendenza dalla Russia del gas ma iniziano anche ad esportare il proprio gas nell’UE, aumentando così la sua leva contrattuale sui suoi contratti con Mosca per consentire il passaggio del gas russo attraverso l’Ucraina .

Delle tre serie di gasdotti utilizzati dalla Russia per portare il gas siberiano nell’UE , di cui uno attraverso la Bielorussia e un altro attraverso il Mar Baltico fino alla Germania, il più importante storicamente è stato quello attraversa l’Ucraina, principalmente perché paesi europei senza sbocco sul mare come Ungheria e la Slovacchia sono particolarmente dipendenti dal gas russo . Esportando il proprio gas nell’UE e svezzandosi dalle forniture russe, l’Ucraina invertirebbe la sua relazione energetica asimmetrica con Mosca. E se Kiev sviluppasse legami anche informali con la NATO e l’UE, per non parlare dell’adesione a una o entrambe le organizzazioni, l’Ucraina diventerebbe non solo una minaccia politica per Mosca, ma anche una minaccia economica in grado di minare in modo significativo il potere economico a lungo termine della Russia.

In breve, sebbene le mosse del presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla fine del 2021 per aumentare i legami politici ed economici del suo paese con l’Occidente abbiano certamente sconvolto il senso di sicurezza di Putin del destino della Russia e forse aumentato il timore di Putin che la democrazia liberale potesse diffondersi in Russia, lasciavano anche presagire una significativa perdita della capacità della Russia di utilizzare la carta dell’energia in futuro. Le aspettative a Mosca che la Russia potesse perdere la sua influenza economica sull’Ucraina hanno quindi contribuito alla sensazione di Putin che fosse “ora o mai più” ad assorbire la maggior parte dell’Ucraina a est del fiume Dnepr, un’area che detiene oltre il 90% delle riserve di gas naturale dell’Ucraina.

CHIP PIU’ PICCOLO, PALETTE PIU’ GRANDI

Al contrario, l’interdipendenza economica cinese con il resto del mondo è molto più simmetrica di quella russa. L’economia cinese è guidata dall’esportazione di manufatti e, come l’economia giapponese nel periodo tra le due guerre, la Cina è estremamente dipendente dall’importazione di materie prime per mantenere la sua economia, inclusi petrolio e gas dal Medio Oriente e dalla Russia. La posizione della Cina come officina del mondo, che fornisce una percentuale significativa di laptop, smartphone e sistemi di comunicazione 5G del mondo, dà al paese una certa leva con i partner commerciali. Può minacciare quei partner con restrizioni selettive alle esportazioni e alle importazioni quando non gradisce le loro politiche estere. Ma come anche la dipendenza del Giappone dalle importazioni nel periodo tra le due guerre, la dipendenza della Cina le conferisce vulnerabilità a breve termine sconosciute in Russia . Mosca può certamente essere danneggiata dalle sanzioni economiche, ma la sua capacità di vendere petrolio e gas, a prezzi elevati creati dalle sue stesse azioni in Ucraina, attutisce parecchio il colpo.

Se la Cina dovesse affrontare qualcosa di vicino alle sanzioni radicali ora imposte alla Russia, la sua economia sarebbe completamente devastata. In effetti, la consapevolezza di Pechino di questa vulnerabilità sta già agendo come un deterrente importante ai suoi desideri espansionistici, compresi i suoi piani per un’invasione di Taiwan. Considera i dettagli effettivi della reazione della Cina alla visita di Pelosi a Taiwan, nonostante le minacce che ha fatto in precedenza. Sebbene Pechino abbia dimostrato la sua rabbia con solide esercitazioni militari e lanci di missili che sono passati nello spazio aereo di Taiwan, ha limitato la sua risposta economica in gran parte alle sanzioni sulle esportazioni agricole taiwanesi. In particolare, i funzionari cinesi hanno accuratamente evitato di porre restrizioni alle esportazioni di semiconduttori taiwanesi, poiché la Cina dipende da Taiwan per oltre il 90 percento dei suoi chip high-tech e gran parte dei suoi chip di basso livello. E, naturalmente, la Cina è stata attenta a non sanzionare direttamente gli Stati Uniti per paura di provocare una nuova guerra commerciale che avrebbe esacerbato un’economia cinese già in fase di rallentamento.

Tuttavia, la dipendenza economica della Cina potrebbe portarla a intraprendere un’azione aggressiva nel caso in cui le aspettative cinesi sul commercio futuro dovessero precipitare. Prendiamo il caso dei semiconduttori high-tech di Taiwan. La Cina ora ha una certa capacità di produrre chip con transistor di dimensioni inferiori a 15 e anche inferiori a dieci nanometri. Ma per rimanere all’avanguardia negli sviluppi tecnologici nell’intelligenza artificiale, nei veicoli a guida autonoma e nella produzione di smartphone, ha bisogno di chip che misurino meno di sette o meno di cinque nanometri, che solo Taiwan può produrre in serie con un alto livello di qualità. L’ultimo iPhone di Apple, ad esempio, sebbene sia assemblato in Cina, utilizza un chip a cinque nanometri progettato da Apple prodotto dalla Taiwan Semiconductor Manufacturing Company a Hsinchu, Taiwan.

Non è esagerato affermare che l’intero futuro della capacità della Cina di raggiungere gli Stati Uniti dipende dal continuo accesso ai chip taiwanesi, proprio come la posizione del Giappone negli anni ’30 dipendeva dall’accesso al petrolio controllato da americani e britannici . E proprio come nel 1941 con l’embargo petrolifero americano, se i funzionari cinesi sospettassero che gli Stati Uniti potessero prendere provvedimenti per bloccare l’accesso cinese ai chip taiwanesi, potrebbero stabilire che è necessario prendere l’ isola ora per evitare il declino economico a lungo termine. Questo non è uno scenario inverosimile. Nel giugno 2022, un importante economista cinese ha dichiarato che se Washington avesse imposto sanzioni alla Cina simili a quelle imposte quest’anno alla Russia, la Cina avrebbe dovuto invadere Taiwan per assicurarsi il possesso dei suoi impianti di produzione di chip.

Ma ecco la buona notizia. Le aspettative cinesi per il commercio futuro, come lo erano le aspettative giapponesi nel 1941, sono una funzione delle decisioni politiche americane. Se i funzionari statunitensi capiscono che le loro politiche modellano direttamente il modo in cui Pechino vede il futuro ambiente commerciale, non solo nel commercio in generale ma in quello high-tech in relazione a Taiwan, possono evitare di far sentire ai leader del Partito Comunista Cinese che la loro economia crollerà salvo una azione di forza. Le spirali di ostilità che possono portare alla guerra derivano da scelte, non da realtà date. Rassicurando Pechino che la Cina continuerà a ricevere semiconduttori da Taiwan, anche se non le sofisticate macchine dei Paesi Bassi necessarie per realizzarli, l’amministrazione Biden può moderare le preoccupazioni di Pechino sul commercio futuro e ridurre la probabilità di crisi e guerre.

Il presidente cinese Xi Jinping e le sue coorti, ovviamente, si opporranno anche a questa posizione degli Stati Uniti, dal momento che lascia la Cina dipendente dagli estranei per i chip che sono alla base sia di una moderna economia high-tech che della potenza militare. Tuttavia, poiché un attacco a Taiwan non solo invocherebbe sanzioni economiche che metterebbero a rischio i legami commerciali della Cina con il mondo occidentale, ma potrebbe anche portare alla distruzione involontaria degli stessi impianti di produzione di chip, la Cina ha tutte le ragioni per moderare il suo comportamento, se non la sua retorica, quando si tratta dello status dell’isola.

RENDERE LA DIPENDENZA MENO PERICOLOSA

Putin potrebbe aver pensato che l’Occidente avrebbe ceduto all’Ucraina data la dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi. Ma i leader cinesi ora sanno che gli americani, gli europei e i loro partner globali hanno la determinazione di punire gli invasori e che attaccando Taiwan potrebbero distruggere tutto ciò che il Partito Comunista Cinese ha realizzato negli ultimi quattro decenni. La storia mostra che le grandi potenze dipendenti sono caute nelle loro politiche estere quando i loro leader hanno aspettative positive sul commercio futuro, poiché sanno che il commercio aiuterà a costruire la base di potere a lungo termine dello stato e ad aumentare la ricchezza del cittadino medio. E Xi ha bisogno che entrambi accadano se vuole mantenere la legittimità del governo del partito unico in Cina e la stabilità dello stato stesso.

Quando le grandi potenze cercano di usare l’interdipendenza economica per aiutare a mantenere la pace, devono affrontare un difficile equilibrio. Non basta semplicemente avere alti livelli di commercio, dal momento che Stati dipendenti come il Giappone negli anni ’30 e la Cina oggi possono essere spinti verso politiche più aggressive se determinano che non hanno un accesso sufficiente alle materie prime e ai mercati di cui lo stato ha bisogno per sostenere la sua posizione di grande potenza. I leader di stati meno dipendenti come gli Stati Uniti devono stare attenti a non segnalare che stanno cercando di mantenere basso lo stato dipendente o, peggio, di spingerlo verso un declino assoluto e relativo, come ha affermato il presidente Franklin Roosevelt con l’embargo petrolifero fatto al Giappone nel 1941. Eppure anche una politica commerciale aperta può essere un problema, dal momento che può aiutare lo stato dipendente a recuperare un potere relativo e diventare una minaccia a lungo termine, come hanno capito le amministrazioni statunitensi da Barack Obama a Joe Biden per quanto riguarda la Cina.

Un approccio migliore sarebbe quello di spingere le potenze emergenti come la Cina a livellare il campo di gioco ponendo fine a pratiche come la manipolazione della valuta, i sussidi e l’appropriazione illegale di tecnologia straniera, assicurando al contempo a questi stati che se agiranno con moderazione nelle loro politiche estere, potranno continuare ad avere accesso alle risorse e ai mercati di cui hanno bisogno per la crescita economica e la stabilità interna. I leader delle grandi potenze devono sforzarsi di stabilire relazioni commerciali che consentano agli stati di crescere in termini assoluti e tuttavia garantire che nessuna delle parti temi un futuro significativo declino del potere economico relativo che lo lascerebbe vulnerabile alle minacce esterne o ai disordini civili.

Con le attuali tensioni su Taiwan, esacerbate dal continuo allineamento di Xi con Putin, potrebbe essere difficile. Ma quando la diplomazia delle grandi potenze torna a un livello più equilibrato, Washington può lavorare per ricordare a Pechino che ha bisogno degli Stati Uniti e dei partner occidentali per raggiungere i propri obiettivi economici e che Washington non sfrutterà la dipendenza della Cina per minare tali obiettivi. Biden può assicurare a Xi che la lezione del 1941 – che distruggere le aspettative di uno stato sul commercio futuro può portare alla guerra – è stata appresa dalla parte americana. Ma può anche suggerire che Pechino impari dagli errori del Giappone degli anni ’30 ed eviti il ​​tipo di politiche aggressive che hanno distrutto la fiducia internazionale necessaria per sane relazioni commerciali. Se i leader di Washington e Pechino possono migliorare le reciproche aspettative sia sul commercio che sul comportamento futuro, dovrebbero essere realizzabili molti altri decenni di pace nell’Asia orientale.

  • DALE C. COPELAND è Professore di Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Politica dell’Università della Virginia. È autore di  Interdipendenza economica e guerra .

https://www.foreignaffairs.com/china/when-trade-leads-war-china-russia?utm_medium=newsletters&utm_source=fatoday&utm_campaign=When%20Trade%20Leads%20to%20War&utm_content=20220823&utm_term=FA%20Today%20-%20112017

I POZZI ED IL PENDOLO, di Pierluigi Fagan

I POZZI ED IL PENDOLO. Era noto da anni che i fondali del Mediterraneo orientale fossero pieni di gas, basta vedere una cartina altimetrica delle profondità. Ma i trivellamenti davanti la costa di Egitto e poi davanti Israele hanno poi anche dato conferma probante. Ieri ENI ha confermato che assieme a Total (cartina nel primo commento), hanno trovato bei giacimenti al largo di Cipro. Altrettanti ce ne sono ancora di trivellare, anche davanti al Libano e Siria, nell’Egeo e nelle isole davanti la Turchia che però sono greche. La questione ucraina che ha imposto il nostro de-linking con la Russia accelera ora la ricerca e sfruttamento di questa ghiotta alternativa. Era tutto noto da tempo, ma si preferiva lasciare le cose come stavano anche perché nuovi giacimenti in zone condivise da sei stati, con di mezzo greci e turchi, ciprioti, siriani e libanesi (tra cui Hezbollah) con israeliani solo per parlare dei pozzi, poi si dovrebbe parlare delle condotte, dei diritti di trivellazione e di molto altro, promettevano conflitti certi. Ora ci siamo tolti il problema perché abbiamo un altro conflitto certo in Ucraina e quindi visto che abbiamo sdoganato il conflitto, diamoci sotto!
A me non va di scrivere un articolo di dettaglio, a voi probabilmente di leggerlo. Resto quindi sulle generali per dire una cosa più generale. Non dico su facebook e non dico a fini politici immediati, però direi che qualcuno tra gli studiosi di cose politiche dovrebbe forse rendersi conto della infondatezza degli attuali paradigmi entro i quali pensiamo.
Il mondo è sempre più complesso, imprevedibile, competitivo e rissoso. In questo scenario si muovono soggetti massivi (Stati grandi e potenti) di prima ed ormai anche di seconda potenza. Ogni questione con la quale abbiamo a che fare ci chiede o di esser interpretata a nostro modo, se ne abbiamo la forza (potenza) o di esser subita secondo convenienza altrui. Le questioni mondo sono analizzate e previste dai centri di intelligenza geo-strategica delle prime e seconde potenze. Noi non abbiamo nulla di tutto ciò.
Noi prendiamo il gas dai russi, poi qualcuno decide che no, allora scopriamo che “fortuna!” c’è un sacco di gas nel Mediterraneo. Che bello! Pensiamo ora, poi tra qualche anno quando ci saranno battaglie navali, colpi di stato qui e lì, migranti disperati, sofferenza e dolore per disputarsi i diritti sui nuovi giacimenti, diremo “che brutto!”. Segue donazione Save the Children e profluvio di articoli critici che criticano il perché piove mentre casca l’acqua. Noi ci stupiamo come bambini della pellicola di un film che qualcuno fa scorrere davanti a noi, gioendo, preoccupandoci, polemizzando, credendo di aver capito cose che non capiamo affatto. Noi pendoliamo emotivamente partecipando e giudicando eventi che però hanno noi dentro, non sullo schermo. Eventi che non spuntano fuori uno dopo l’altro come acqua da fontana sono serie di catene causative note e previste, a volte manipolate secondo altrui intenzione. La sola urgenza che molti sentono e giudicare, chi sono i cattivi, chi i buoni, chi quelli come me, chi quelli diversi e quindi contro di me. Noi non ci occupiamo di fatti ma di quello che altri pensano su quei fatti che siamo convinti di conoscere e non conosciamo affatto.
Trivelle, ecologia, nucleare, energia, produzione industriale, armi, fondi di ricerche, alleanze, sovranità, autonomie strategiche, culture strategiche, come tutto ciò va con “democrazia” sono speso argomenti che ci urtano, non ci piacciono, ci impongono studi che non sappiamo e vogliamo o possiamo fare. Soprattutto, ci imporrebbero il sacrificare valori per voleri. Eppure, è ciò che promana dalla realtà.
Il campo del pensiero ha una urgenza forte, riflettere sulle nostre categorie, sulle logiche, sugli strumenti, gli spazi ed i fondi necessari, l’organizzazione stessa visto che queste forme di pensiero invocano lavoro collettivo. Se non riformiamo il campo del pensiero, non avremo piani di azione realistica da condividere e senza questi non avremo massa critica per far cose che non sono facili affatto e sempre che siano anche solo possibili.
Se volete, potete senz’altro fare l’elenco dei desideri, via dall’UE, dall’euro, dalla NATO, dal neoliberismo, dal capitalismo, dall’Occidente brutto e cattivo, dalla Terra anche. Tanto più la realtà è brutta tanto più pendolerete verso le storie belle. Ma il “cosa” non vale nulla senza il “come” come disse quello …

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 9a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la nona di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua nona parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

NONA PUNTATA STATO DELLE COSE

Terrorismo saheliano: è giunta l’ora di fare il punto, di Bernard Lugan

Il declino inarrestabile della Francia e della sua eredità coloniale in Africa. La fine di un ordine relativo. Giuseppe Germinario

Nel Sahel la situazione sembra ormai fuori controllo. Richiesto dagli attuali leader maliani in seguito ai molteplici errori di Parigi[1], il ritiro francese ha lasciato il campo aperto ai GAT (Gruppi terroristici armati), offrendo loro persino una base d’azione per destabilizzare Niger, Burkina Faso e paesi vicini. I risultati politici di un decennio di coinvolgimento francese sono quindi catastrofici.

Un disastro che può essere spiegato da un errore originale nella diagnosi. La polarizzazione sul jihadismo era infatti l’alibi usato per mascherare l’ignoranza dei decisori francesi, unita alla loro incomprensione della situazione, essendo il jihadismo qui prima di tutto la superinfezione di ferite etniche secolari e talvolta addirittura di millenni.

Smettere di vedere la questione del Sahel attraverso il prisma delle nostre ideologie europeo-democratico-centriche e dei nostri automatismi è ormai una necessità imperativa. La sostituzione dell’attualità nel loro contesto storico regionale è quindi la prima priorità in quanto legata a un passato sempre attuale che condiziona largamente le scelte e gli impegni di entrambe le parti[2].

L’ho già scritto molte volte, ma è importante ripeterlo, quattro errori principali che spiegano l’attuale deterioramento della situazione della sicurezza regionale sono stati commessi dai decisori politici francesi:

Errore n. 1

Aver “essenzializzato” la questione qualificando sistematicamente come jihadista qualsiasi bandito armato o anche qualsiasi portatore di armi.

Errore #2

Aver scambiato per “contanti” l’astuzia degli “esperti” che facevano credere loro che coloro che definivano jihadisti fossero mossi dal desiderio di combattere l’islam locale “deviato”. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, eravamo in presenza di trafficanti che si dichiaravano jihadisti per coprire le loro tracce; perché è più gratificante pretendere di combattere per la maggior gloria del Profeta che per cartoni di sigarette o carichi di cocaina. Da qui il connubio tra tratta e religione, il primo avvenuto nella bolla assicurata dall’islamismo.

Errore #3

Aver rifiutato di vedere che ci trovavamo di fronte al groviglio di rivendicazioni etniche, sociali, mafiose e politiche, adeguatamente vestite con il velo religioso. Secondo Rikke Haugegaard (2018) “ Shariah “affari nel deserto”. Comprendere i legami tra reti criminali e jihadismo nel nord del Mali . “, Online , saremmo quindi al cospetto di tutto questo contemporaneamente, con gradi di importanza diversi di ogni punto a seconda del momento:

“Le azioni dei gruppi jihadisti sono guidate da una combinazione di fattori, che vanno dalle lotte di potere locali ai conflitti interni ai clan, al perseguimento di interessi economici associati al commercio di contrabbando”.

Nel suo rapporto del 12 giugno 2018, Crisis Group ha scritto:

“(…) il confine tra il combattente jihadista, il bandito armato e colui che imbraccia le armi per difendere la sua comunità è sfumato. Fare a meno di questa distinzione equivale a collocare nella categoria dei “jihadisti” un vivaio di uomini armati che, al contrario, trarrebbero vantaggio da un trattamento diverso” Crisis Group., (2018) “Confine Niger-Mali: mettere al servizio lo strumento militare di approccio politico ”. Rapporto Africa n°261, 12 giugno 2018.

Errore #4

Questo errore che spiega gli altri tre è l’ignoranza delle costanti etno-storico-politiche regionali, che ha avuto due grandi conseguenze negative:

– Spiegazioni semplicistiche sono state applicate alla complessa, mutevole e sottile alchimia umana saheliana.

– Mentre qui il jihadismo è prima di tutto la superinfezione di vecchie ferite etno-storiche, proponendo come soluzione l’eterno processo elettorale che altro non è che un’indagine etnica a grandezza naturale, la necessità di colmare il “deficit di sviluppo” o la ricerca perché “buon governo” è ciarlataneria politica…

Ecco perché un conflitto originariamente localizzato solo nel nord-est del Mali, limitato a una fazione tuareg, e la cui soluzione dipendeva dalla soddisfazione delle legittime richieste politiche di quest’ultima, si è trasformato in una conflagrazione regionale che sfugge ora a ogni controllo.

Torna indietro :

Nel 2013, quando il progresso di Serval e la riconquista delle città del nord del Mali hanno dovuto essere subordinati a concessioni politiche da parte del potere di Bamako, i decisori francesi hanno esitato. Poi non hanno osato imporli alle autorità meridionali del Mali, scegliendo di appoggiarsi all’illusione della democrazia e al miraggio dello sviluppo.

Tuttavia, come dimostrano costantemente gli eventi, in Africa democrazia = etno-matematica, che ha come risultato che i gruppi etnici più numerosi vincono automaticamente le elezioni. Per questo, invece di estinguere le fonti primarie degli incendi, i sondaggi le riaccendono. Per quanto riguarda lo sviluppo, in quest’area si è già sperimentato di tutto fin dall’indipendenza. Invano. D’altronde, come possiamo ancora osare parlare di sviluppo quando è stato dimostrato che la demografia africana suicida vieta ogni possibilità?

Dimentichi della storia regionale, i decisori francesi non hanno visto che i conflitti attuali sono prima di tutto rinascita di quelli di ieri e che, facendo parte di una lunga catena di eventi, spiegano gli antagonismi o la solidarietà di oggi.

Così, prima della colonizzazione, i sedentari del fiume e delle sue regioni esposte venivano catturati nelle tenaglie predatorie dei Tuareg a nord e dei Fulani a sud. Alla fine dell’800, con la colonizzazione liberatoria, l’esercito francese bloccò l’espansione di queste entità predatorie nomadi il cui crollo avvenne nella gioia delle popolazioni sedentarie da loro sfruttate, i cui uomini massacrarono e vendettero donne e bambini agli schiavisti nel mondo arabo-musulmano.

Ma, così facendo, la colonizzazione ha ribaltato gli equilibri di potere locali offrendo vendetta alle vittime della lunga storia africana, riunendo predoni e predoni entro i limiti amministrativi dell’AOF (Africa occidentale francese). Tuttavia, con l’indipendenza, i confini amministrativi interni di questo vasto insieme divennero confini statali entro i quali, essendo i più numerosi, i sedentari prevalevano politicamente sui nomadi, secondo le leggi immutabili dell’etnomatematica elettorale.

Come potrebbero allora i decisori francesi immaginare che con mezzi derisori sulla scala del teatro delle operazioni, e mentre i paesi della BSS sono indipendenti, sarebbe stato possibile per Barkhane chiudere queste ferite etnorazziali aperte? la notte dei tempi e quali costituiscono il terreno fertile per i gruppi terroristici armati (GAT)?

Nel 2020, a questa ignoranza dell’ambiente e della sua storia si è aggiunta l’incomprensione di una nuova situazione, quando la lotta all’ultimo sangue tra EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) e AQIM ( Al-Qaeda per il Maghreb Islamico ) , è peggiorato, offrendo così alla Francia una superba opportunità d’azione. Ma ancora, sarebbe stato necessario che i “piccoli marchesi” laureati in Scienze-Po che fanno la politica africana della Francia sapessero che:

– L’EIGS collegato a Daesh mira a creare in tutta la BSS (Banda Sahelo-Sahariana), un vasto califfato transetnico che sostituisca e comprenda gli stati attuali.

– Mentre AQIM è l’emanazione locale di grandi frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, vale a dire i Tuareg e i Fulani, i cui capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Fulani Ahmadou Koufa, non sostengono il distruzione degli attuali stati saheliani.

Tuttavia, in quanto ignoranti, i decisori politici parigini non hanno saputo sfruttare questa opportunità per cambiare politica poiché, conoscendo un po’ la regione, l’ho suggerito nel mio comunicato stampa del mese di ottobre 2020 intitolato ” Mali: è necessario il cambio di paradigma .

Tanto più che, e ancor di più, il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Qaeda per tutto il Nord Africa e per la striscia saheliana, ucciso a colpi d’arma da fuoco dall’esercito francese. autonomia ai Tuareg Iyad ag Ghali e ai Peul Ahmadou Koufa, liberandoli così da ogni soggezione esterna. Gli “emiri algerini” che fino ad allora avevano guidato Al-Qaeda nella BSS essendo stati liquidati da Barkhane , Al-Qaeda non era quindi più guidata lì da stranieri, da “arabi”, ma da “regionali”.

Nemmeno Parigi comprendeva che questi ultimi avevano un approccio politico regionale, che le loro rivendicazioni erano principalmente risorgive radicate nei loro popoli e che il “trattamento” delle due frazioni jihadiste meritava quindi rimedi diversi. Non vedendo che c’era un’opportunità sia politica che militare da cogliere, i decisori parigini hanno categoricamente rifiutato qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha persino dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo. Infatti, obbedendo agli ordini, il 10 novembre 2020 le forze francesi uccisero Bag Ag Moussa, il luogotenente di Iyad ag Ghali, mentre, per diversi mesi, i funzionari militari francesi a terra avevano molto intelligentemente evitato di intervenire direttamente su questo movimento .

Contro quanto sostenuto dai vertici militari di Barkhane , Parigi ha quindi persistito in una strategia “all’americana”, “sfruttando” indiscriminatamente tutti i GAT perentoriamente qualificati come “jihadisti”, rifiutando così qualsiasi approccio “buono”… “à la french »…

Ecco perché, in definitiva, sommando errori, chiusi nella loro bolla ideologica e trascurando di tenere conto del peso dell’etno-storia, i leader francesi hanno definito una politica nebulosa che confonde effetti e cause. Una politica che potrebbe portare solo al disastro attuale…

Bernard Lugan


[1] Si vedano tra gli altri sul blog di Afrique Réelle i miei comunicati stampa dell’agosto 2019 ” Senza tenere conto della storia non si può vincere la guerra nel Sahel” ; di ottobre 2020 “ Mali: serve il cambio di paradigma ”; di giugno 2021 ” Barkhane vittima di quattro principali errori politici commessi dall’Eliseo”, e di febbraio 2022 “Mali: gli eteri ideologici spiegano lo sfratto della Francia “.

[2] A questo proposito si veda il mio libro: “ Le guerre del Sahel dalle origini ai giorni nostri ”.

C’era una volta … l’Esercito più forte del mondo_ Di Claudio Martinotti Doria

C’era una volta … l’Esercito più forte del mondo. Quello USA, e il suo clone europeo, quello ucraino

Di Claudio Martinotti Doria

 

Dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina ho scritto una mezza dozzina di articoli sull’argomento e altri correlati, a iniziare dai giorni successivi dell’inizio del conflitto. Non pretendo che andiate a rileggerli nel mio blog o negli altri siti dove sono stati pubblicati, ma fidatevi sulla parola se vi dico che le ho azzeccate tutte.

Mi riferisco all’analisi e valutazioni e previsioni conseguenti allo studio della situazione sul campo e dell’intuizione delle intenzioni e strategie russe, comprese le effettive condizioni in cui versano gli eserciti della NATO.

E quanto scrivevo era in netto contrasto con le versioni ufficiali propagandistiche e mediatiche, al punto da provocarmi le ire e critiche pregiudiziali degli omologati alla narrativa ufficiale. Perché scalfivo le loro convinzioni illusorie sullo stato dell’arte, che nell’immaginario collettivo occidentale degli omologati continua a far credere loro di essere superiori, i più forti, soprattutto dal punto di vista militare e della tecnologia bellica, i detentori del diritto di imporre i loro disvalori al resto del mondo.

In quest’occasione riprendo quegli argomenti puntualizzandoli.

Avevo scritto fin dall’inizio del conflitto, che se al posto delle Forze Armate ucraine ci fosse stato sul campo la NATO sarebbe stata spazzata via dai russi in un paio di settimane, suscitando ovviamente la derisione degli stolti e disinformati (di solito più sono ignoranti più sono supponenti, per dissimulare la loro incompetenza e falsità).

L’Esercito ucraino è stato formato, addestrato e approvvigionato dalla NATO, USA e UK in particolare, per ben otto anni, dal colpo di stato del 2014, assoldando soprattutto i neonazisti e nazionalisti integralisti ucraini, i più motivati e maniaci delle armi e della forza bruta, i più risoluti a ricorrere alla violenza contro i russi e i russofoni ucraini, essendoci tra di loro non pochi psicopatici. Le intenzioni dei paesi occidentali, USA in primis, era quello di trasformarlo in una formidabile arma da guerra contro la Russia, in previsione di una guerra per procura. Per riuscire in questo scopo sono stato inviati in Ucraina migliaia di istruttori militari, veterani e forze speciali, per l’addestramento delle forze armate al combattimento e soprattutto all’uso dei sistemi d’arma della NATO che gli sono stati forniti con generosità, soprattutto dopo il 24 febbraio 2022, inizio del conflitto bellico.

Ai confini con le repubbliche separatiste del Donbass, dove la guerra civile era in corso fin dal colpo di stato del 2014, proseguendo senza interruzioni fino all’inizio dell’intervento russo del 24 febbraio 2022, sono state costruite dall’esercito ucraino centinaia di trincee, bunker, fortificazioni, postazioni protette di artiglieria, campi minati, ecc..

I comandi ucraini a guida NATO avevano concentrato nell’area circa 300mila soldati addestrati e armati fino ai denti, con l’intenzione di condurre un attacco alle due repubbliche separatiste del Donbass, che era stato programmato appena dopo l’intervento russo, che di conseguenza li ha stoppati. L’intenzione del regime di Kiev non era solo la riconquista del Donbass ma anche della Crimea, cioè si trattava, senza mezzi termini, di andare in guerra (per procura) contro la Federazione Russa.

Questo dovrebbe farvi capire come mai gli ucraini hanno resistito così a lungo alle Forze Armate russe, che erano oltretutto in netta inferiorità numerica, in un rapporto di 1 a 3, cosa assolutamente illogica quando si attacca con l’intenzione di invadere un paese per occuparlo. La resistenza ucraina pertanto non è stata solo questione di eroismo ma di preparazione tecnica, tattica e logistica ricevuta in otto anni di tempo e al fatto che si erano organizzati per un attacco in massa al Donbass.

In realtà i russi non avevano alcuna intenzione di invadere e occupare l’Ucraina, ma esattamente come dichiarato fin dall’inizio, volevano liberare i territori del Donbass dalla minaccia dei nazisti e nazionalisti ucraini che hanno continuato a bombardare le città e le aree civili dei russofoni causando oltre 14mila vittime. Soprattutto volevano smilitarizzare l’Ucraina perché non costituisse più una minaccia per la Russia, e per farlo hanno adottato la strategia che abbiamo visto, che potremmo definire del “tritacarne”, lenta ma inesorabile.

La manovra di accerchiamento attorno a Kiev era puramente tattica, fuorviante, per indurre i comandi militari ucraini a sottrarre truppe dal fronte del Donbass per proteggere la capitale e le altre zone minacciate dai russi. Dopo di ché le forze russe si sono concentrati sui loro reali obiettivi in Donbass e nel sud ucraino costiero per ricongiungere la Crimea col Donbass e la Russia.

La netta superiorità dell’aviazione e dell’artiglieria russa ha fatto la differenza e in alcuni mesi ha consentito di liberare il Donbass al 95% della sua estensione, nonostante la presenza di numerose e fortissime postazioni difensive ucraine e nonostante gli ucraini non si siano fatti scrupoli a utilizzare i civili come scudi umani, ad adibire ospedali e scuole a postazioni militari, a bombardare edifici civili per poi attribuire la responsabilità ai russi, a minare con trappole esplosive i territori abbandonati, ecc.. Che rammento essere crimini di guerra.

A distanza di sei mesi dall’inizio dell’intervento militare russo l’esercito ucraino è ormai allo sbando, al collasso. Anche questo lo avevo scritto e previsto come inevitabile. Nonostante tutti i sotterfugi cinici e spietati cui sono ricorsi gli ucraini, alla lunga nessuno può resistere al fuoco infernale dell’artiglieria e aviazione russa, che come descritto dagli stessi veterani e mercenari presenti in loco, non si era mai vista in precedenza in nessuna delle numerose guerre provocate e combattute dalla NATO e paralizza ogni forza di resistenza, mietendo un numero elevatissimo di vittime e distruzione di mezzi militari.

Combattere contro i russi non è come farlo con gli afgani, gli iracheni o i libici, armati tuttalpiù di AK 47 e RPG (lanciagranate) da spalla.

Le vittime ucraine tra morti, feriti, dispersi, prigionieri, disertori, ecc., sono stimate da analisti militari indipendenti in oltre un migliaio al giorno. Dei 600 mila effettivi mobilitati e armati (le altre cifre fornite da Kiev sono solo propaganda), ne saranno rimaste poco più della metà, e sono ridotte piuttosto male.

Al fronte la maggioranza dei reparti ha subito perdite superiori al 60%, quindi non sono più operativi. Vi sono frequenti casi di fucilazioni di soldati e/o uccisioni di ufficiali e diserzioni di massa o rifiuto di obbedire agli ordini da parte di interi reparti.

Sono ormai al collasso, il regime di Kiev fa sempre più fatica ad arruolare uomini, setacciando casa per casa per costringerli a indossare la divisa e recarsi al fronte, hanno addirittura elevato a 70 anni il limite di età per la coscrizione obbligatoria e hanno imposto il carcere per tutti coloro che si rifiutano di combattere.

Centinaia di migliaia di ucraini sono già emigrati all’Estero per sottrarsi alla mobilitazione generale e ancora adesso code interminabili di autovetture di ucraini cercano di varcare i confini interni per porsi sotto la protezione della Russia, migliorando così le proprie condizioni di vita, essendo fin da subito applicate nei territori sotto controllo russo gli stessi standard di vita che nel resto della Russia.

Per citare solo alcuni vantaggi applicati ai territori sotto controllo russo: si viene assunti per la ricostruzione e la ripresa delle attività industriali, si ricevono le pensioni che Kiev non pagava più da tempo, si riceve assistenza sanitaria, si trovano i generi di prima necessità, funzionano i servizi di erogazione di acqua, energia elettrica, gas e la benzina si trova e costa poco, ecc., diventa chiaro perché gli ucraini preferiscano la Russia al loro governo nazista guerrafondaio corrotto dagli USA. E questo avviene non solo tra gli ucraini russofoni ma anche tra quelli che non sono fanatici e nazionalisti.

Perché ho scritto in precedenza, e oggi lo ribadisco con ancora più convinzione, che la NATO non avrebbe resistito neppure una frazione del tempo rispetto agli ucraini? Perché la NATO, nonostante il suo “stolto” segretario di legno (nome omen) ripetitore di banali slogan e patetici bluff, è in condizioni di estrema debolezza.

Non posso certo essere esaustivo e fornire dati tecnici, non è questa la sede essendo un articolo divulgativo e d’informazione di base, ma sappiate che nessun esercito europeo è in piena efficienza, il più potente, quello francese è in efficienza al 50%, gli altri vanno dal 10 al 30% nella migliore delle ipotesi.

Per fare esempi semplici che rendono l’idea, se un esercito su 100 carri armati di cui dispone (ma vale anche per i caccia o l’artiglieria) ne ha 65 fermi da mesi perché in manutenzione, significa che può disporne solo di 35. Ma la cosa ancora più grave è che è stato calcolato che se dovessero affrontare i russi al ritmo attuale d’impiego dell’artiglieria, la NATO avrebbe pochi giorni di autonomia nell’uso dei proiettili, dopo di ché avendoli esauriti dovrebbe ripiegare.

Ho reso l’idea?

E nonostante versino in queste condizioni disperate, hanno inviato armi e munizioni all’Ucraina imitando gli USA, che hanno certamente maggiori disponibilità e potenzialità ma che comunque sono messi male anche loro, essendo molto al di sotto dei loro standard qualitativi abituali, precedenti a certe scelte scellerate di cui parleremo appresso, ma di cui avevo già fatto cenno in passato.

Avevo già accennato in precedenti articoli alle pessime condizioni in cui versa l’esercito dell’ex impero britannico, per capirci è messo molto peggio di quello francese cui ho accennato sopra, nonostante i proclami altisonanti e aggressivi della loro leadership. Quello USA è prossimo al collasso, ormai si basa quasi esclusivamente sull’uso della tecnologia bellica, cioè pilotaggio da remoto di droni e lancio di missili “intelligenti” di precisione, guerra elettronica, ecc., pur essendo ancora indietro con l’approntamento di missili ipersonici, essendo i russi e i cinesi molto più avanzati e dotati in proposito.

Ma a livello di soldati addestrati, operativi e combattivi siamo messi veramente male. Tre sono le cause principali di questo tracollo, due delle quali le avevo già rivelate.

Le vaccinazioni obbligatorie hanno costretto oltre 40mila soldati non disposti a farsi iniettare il siero magico di corta vita a congedarsi o sono stati sospesi d’imperio. Altri 60mila continuano a resistere tramite certificati medici e altri escamotage per guadagnare tempo, ma nel frattempo non possiamo considerarli operativi.

Quelli triplo dosati hanno praticamente triplicato (come le punture) i problemi sanitari gravi che sono una diretta conseguenza delle iniezioni subite con il siero genico sperimentale, quelli che non sono morti sono inabili per le reazioni avverse, perché malati gravi o soggetti a malesseri invalidanti, occasionali o permanenti. Molti dei quali versano in condizioni talmente gravi che hanno dovuto essere congedati.

A queste già gravi condizioni, si sono aggiunte negli ultimi anni alcune scelte scellerate, per volontà dei DEM, dei neocons e del deep state, cui gli alti comandi si sono dovuti adeguare, direttive riformistiche delle forze armate USA, incentrare sull’ideologia transgender, del politically correct, ma soprattutto quella woke, la più devastante e deleteria.

L’applicazione di queste direttive ha favorito l’arruolamento di soggetti del tutto inadeguati ai compiti assegnati, non disposti, motivati e capaci di combattere sul campo, ma solo tramite tecnologia remota, tramite computer e mouse. Per capirci sono “guerrieri da tastiera”. Sono tuttalpiù disposti a premere dei pulsanti per far partire dei missili di precisione.

Queste scelte riformistiche hanno allontanato decine di migliaia di veterani, inducendoli al congedo anticipato, e impedito a quelli fortemente motivati che desideravano arruolarsi di farlo (sapendo a cosa andavano incontro), riducendo drasticamente gli arruolamenti, al punto che hanno dovuto abbassare gli standard qualitativi selettivi accettando anche soggetti poco intelligenti e privi di capacità, potenzialità e competenze.

Per essere ancora più chiaro hanno volutamente favorito i meno dotati e meritevoli, sia nell’arruolamento e sia nelle promozioni, rispetto ai veri combattenti, anche se pluridecorati e con un curriculum invidiabile. Un modo molto efficace per indebolire le forze armate statunitensi sabotandole dall’interno, a conferma del fatto che gli USA i veri nemici non li dovrebbero cercare all’esterno.

Inoltre è venuto a mancare il grande bacino cui attingevano in precedenza le forze armate USA, quello latino-ispanico degli immigrati dal Messico, Caraibi, Centro e Sud America, che si arruolavano con la promessa di ricevere la cittadinanza americana a fine servizio.

Questi immigrati sapendo in che condizioni versa l’esercito, e del rischio reale di doversi recare al fronte a combattere vere guerre con i russi, i cinesi e gli iraniani e non con gli afgani o iracheni, si guardano bene dal presentare domanda di arruolamento, non intendendo rischiare di morire per pochi dollari al mese (non sono certo remunerati come i contractors).

Qualcuno di voi che mi state leggendo pensa forse che i servizi d’intelligence russi, cinesi e iraniani, non siano informati di questa situazione sopra descritta?

Che non sappiano della debolezza e vulnerabilità delle forze armate USA e della NATO? Che non sia per questo motivo che la situazione sta degenerando in un’escalation che pare senza freni?

Se i russi e i cinesi si muovono ancora con prudenza e senza infierire (la Russia in Ucraina non è ancora in guerra, intendo quella vera), anzi direi che sono indubbiamente loro la controparte saggia e ponderata dei due opposti schieramenti, è perché sanno che per compensare e dissimulare la loro debolezza gli USA potrebbero anche ricorrere alle armi nucleari come atto disperato per non perdere la supremazia ed essere relegati ai margini della Storia e del Mondo, come una ex grande potenza ridotta come un pugile a fine carriera, suonato e rintronato.

In conclusione dobbiamo solo sperare nella saggezza e senso del realismo pragmatico della Russia e della Cina, che proseguano nei loro obiettivi lentamente e ponderatamente, senza cadere nelle trappole tese dagli USA e dalla NATO per farli reagire in modo smodato o quantomeno inappropriato, per giustificare una guerra nucleare, che credo sia superfluo precisarlo, colpirebbe l’Europa in primo luogo.

Ecco perché gli ucraini, che non si puliscono neppure lo sfintere anale senza consultarsi prima con gli USA, stanno bombardando la centrale nucleare di Zaporižžja e la Crimea e sono persino ricorsi alle armi biochimiche. Vogliono esasperare i russi per indurli a usare le maniere forti e giustificare l’intervento NATO con armi nucleari tattiche.

Se la popolazione europea non è disposta a correre questi rischi concreti, farebbe bene a rivoltarsi, non solo a protestare, ma proprio insorgere, contro i loro governi, per mandarli a casa e sostituirli con altri, che seppur sempre al soldo dell’élite dominante (provenendo quasi tutti dalle loro scuole di formazione, corrotti e ricattabili), non siano però disposti a suicidare i loro popoli e se stessi.

Spero sia chiaro a tutti che contro la Russia, la Cina e l’Iran, che ormai hanno consolidato un’alleanza militare, solo dei folli disinformati e ottusi possono pensare di riuscire ad affrontarli e vincere rimanendo indenni. Sarebbe la fine dell’Occidente, non solo come supremazia ma come esistenza in vita. Nella migliore delle ipotesi finiremmo per essere colonizzati da loro, paradossalmente la Storia invertirà i ruoli precedenti.

Fatevene una ragione.

Articolo riproducibile citando la fonte.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

 

 

Henry Kissinger è preoccupato per il “disequilibrio”, di Laura Secor

Dopo tanti commenti apparsi sulla stampa internazionale, pubblichiamo l’articolo originale del Wsj, apparso il 12 agosto, incentrato su una conversazione della giornalista con Henry Kissinger. Buona lettura, Giuseppe Germinario 

A 99 anni, Henry Kissinger ha appena pubblicato il suo diciannovesimo libro, “Leadership: Six Studies in World Strategy”. È un’analisi della visione e delle conquiste storiche di un pantheon idiosincratico di leader del secondo dopoguerra: Konrad Adenauer, Charles DeGaulle, Richard Nixon, Anwar Sadat, Lee Kuan-Yew e Margaret Thatcher.

Negli anni ’50, “prima di essere coinvolto in politica”, mi dice il signor Kissinger nel suo ufficio nel centro di Manhattan in una calda giornata di luglio, “il mio piano era di scrivere un libro sulla creazione della pace e la fine della pace nel 19° secolo, a cominciare dal Congresso di Vienna, e quello si trasformò in un libro, e poi avevo circa un terzo di un libro scritto su Bismarck, e sarebbe finito con lo scoppio della prima guerra mondiale. Il nuovo libro, dice, “è una specie di continuazione. Non è solo una riflessione contemporanea».

Tutte e sei le figure profilate in “Leadership”, dice l’ex segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale, sono state modellate da quella che chiama la “seconda Guerra dei Trent’anni”, il periodo dal 1914 al 1945, e hanno contribuito a plasmare il mondo che seguì esso. E tutti combinavano, secondo Kissinger, due archetipi di leadership: il pragmatismo lungimirante dello statista e l’audacia visionaria del profeta.

Alla domanda se conosce qualche leader contemporaneo che condivide questa combinazione di qualità, dice: “No. Vorrei precisare che, sebbene DeGaulle avesse questo in sé, questa visione di se stesso, nel caso di Nixon e probabilmente di Sadat, o anche di Adenauer, non l’avresti saputo in una fase precedente. D’altra parte, nessuna di queste persone era essenzialmente tattica. Padroneggiavano l’arte della tattica, ma avevano una percezione dello scopo quando sono entrati in carica”.

Non si va mai a lungo in una conversazione con il signor Kissinger senza sentire quella parola – scopo – la qualità che definisce il profeta, insieme a un’altra, equilibrio , la preoccupazione guida dello statista. Dagli anni ’50, quando era uno studioso di Harvard che scriveva di strategia nucleare, il signor Kissinger ha inteso la diplomazia come un atto di equilibrio tra le grandi potenze oscurate dal potenziale di una catastrofe nucleare. Il potenziale apocalittico della moderna tecnologia delle armi, a suo avviso, rende il mantenimento di un equilibrio di potenze ostili, per quanto a disagio possa essere, un imperativo prioritario delle relazioni internazionali.

“Nel mio modo di pensare, l’equilibrio ha due componenti”, mi dice. “Una sorta di equilibrio di potere, con l’accettazione della legittimità di valori talvolta opposti. Perché se credi che il risultato finale del tuo sforzo debba essere l’imposizione dei tuoi valori, allora penso che l’equilibrio non sia possibile. Quindi un livello è una sorta di equilibrio assoluto”. L’altro livello, dice, è “l’equilibrio di condotta, il che significa che ci sono limitazioni all’esercizio delle proprie capacità e del proprio potere in relazione a ciò che è necessario per l’equilibrio generale”. Raggiungere questa combinazione richiede “un’abilità quasi artistica”, dice. “Non capita molto spesso che gli statisti abbiano mirato ad esso deliberatamente, perché il potere aveva così tante possibilità di essere ampliato senza essere disastroso che i paesi non hanno mai sentito quel pieno obbligo”.

Il signor Kissinger ammette che l’equilibrio, sebbene essenziale, non può essere un valore in sé. “Ci possono essere situazioni in cui la convivenza è moralmente impossibile”, osserva. “Ad esempio, con Hitler. Con Hitler era inutile discutere di equilibrio, anche se ho una certa simpatia per Chamberlain se pensava di aver bisogno di guadagnare tempo per una resa dei conti che pensava sarebbe comunque inevitabile.

C’è un accenno, in “Leadership”, della speranza del Sig. Kissinger che gli statisti americani contemporanei possano assorbire le lezioni dei loro predecessori. “Penso che il periodo attuale abbia grandi difficoltà a definire una direzione”, dice il signor Kissinger. “È molto sensibile all’emozione del momento.” Gli americani si oppongono a separare l’idea di diplomazia da quella di “rapporti personali con l’avversario”. Tendono a vedere i negoziati, mi dice, in termini missionari piuttosto che psicologici, cercando di convertire o condannare i loro interlocutori piuttosto che di penetrare il loro pensiero.

Il signor Kissinger vede il mondo di oggi sull’orlo di un pericoloso squilibrio. “Siamo sull’orlo della guerra con Russia e Cina su questioni che in parte abbiamo creato, senza alcuna idea di come andrà a finire o cosa dovrebbe portare”, dice. Potrebbero gli Stati Uniti gestire i due avversari triangolando tra loro, come durante gli anni di Nixon? Non offre una semplice ricetta. “Non puoi solo ora dire che li separeremo e li metteremo l’uno contro l’altro. Tutto quello che puoi fare è non accelerare le tensioni e creare opzioni, e per questo devi avere uno scopo”.

Sulla questione di Taiwan, il signor Kissinger è preoccupato che gli Stati Uniti e la Cina stiano manovrando verso una crisi e consiglia fermezza da parte di Washington. “La politica attuata da entrambe le parti ha prodotto e consentito il progresso di Taiwan in un’entità democratica autonoma e ha preservato la pace tra Cina e Stati Uniti per 50 anni”, afferma. “Bisogna quindi stare molto attenti alle misure che sembrano cambiare la struttura di base”.

Il signor Kissinger ha corteggiato le polemiche all’inizio di quest’anno suggerendo che politiche incaute da parte degli Stati Uniti e della NATO potrebbero aver innescato la crisi in Ucraina. Non vede altra scelta che prendere Vladimir Putinha dichiarato seriamente le preoccupazioni per la sicurezza e ritiene che sia stato un errore per la NATO segnalare all’Ucraina che alla fine avrebbe potuto unirsi all’alleanza: “Pensavo che la Polonia, tutti i paesi occidentali tradizionali che hanno fatto parte della storia occidentale, fossero membri logici di Nato”, dice. Ma l’Ucraina, a suo avviso, è un insieme di territori un tempo annessi alla Russia, che i russi vedono come propri, anche se “alcuni ucraini” non lo fanno. La stabilità sarebbe servita meglio agendo da cuscinetto tra la Russia e l’Occidente: “Sono stato a favore della piena indipendenza dell’Ucraina, ma ho pensato che il suo ruolo migliore fosse qualcosa come la Finlandia”.

Dice, tuttavia, che il dado è stato tratto. Dopo il modo in cui la Russia si è comportata in Ucraina, “ora ritengo, in un modo o nell’altro, formalmente o meno, che l’Ucraina debba essere trattata in seguito a ciò come un membro della NATO”. Tuttavia, prevede un accordo che preservi i guadagni della Russia dalla sua incursione iniziale nel 2014, quando ha sequestrato la Crimea e parti della regione del Donbas, sebbene non abbia una risposta alla domanda su come un tale accordo sarebbe diverso dall’accordo fallito stabilizzare il conflitto 8 anni fa.

La pretesa morale rappresentata dalla democrazia e dall’indipendenza dell’Ucraina – dal 2014, chiare maggioranze hanno favorito l’adesione all’UE e alla NATO – e il terribile destino del suo popolo sotto l’occupazione russa si inserisce goffamente nell’arte di governo di Kissinger. Se evitare la guerra nucleare è il bene più grande, cosa è dovuto ai piccoli stati il ​​cui unico ruolo nell’equilibrio globale è quello di essere agito da quelli più grandi?

“Come coniugare la nostra capacità militare con i nostri scopi strategici”, riflette Kissinger, “e come metterli in relazione con i nostri scopi morali: è un problema irrisolto”.

Ripensando alla sua lunga e spesso controversa carriera, tuttavia, non è incline all’autocritica. Alla domanda se ha rimpianti per i suoi anni al potere, risponde: “Da un punto di vista manipolativo, dovrei imparare un’ottima risposta a questa domanda, perché viene sempre posta”. Ma mentre potrebbe rivisitare alcuni punti tattici minori, nel complesso, dice: “Non mi torturo con cose che avremmo potuto fare diversamente”.

https://www.wsj.com/articles/henry-kissinger-is-worried-about-disequilibrium-11660325251

 

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